SØREN KIERKEGAARD (1813-1855) “La categoria del singolo è così legata al mio nome che io vorrei che sulla mia tomba si scrivesse “Quel singolo” Nasce a Copenaghen da famiglia economicamente stabile, pervasa da una religiosità oscura, dominata dal senso del peccato. I due episodi fondamentali della sua vita sono la rottura del fidanzamento con Regina Olsen e la polemica con la Chiesa protestante. La critica all’hegelismo “Ma Hegel! Qui ho bisogno del linguaggio di Omero. A quali scoppi di risa devono essersi abbandonati gli dei! Un così sgraziato professorino che pretende semplicemente di aver scoperto la necessità di ogni cosa…” “Avviene con la maggior parte dei filosofi a riguardo dei loro sistemi, come se uno costruisse un enorme castello e poi si ritirasse per suo conto a vivere in un granaio” “Il corvo che perde il formaggio per colpa dell’eloquenza, ecco un’immagine della dottrina idealistica, la quale, quando tutto è andato perduto, non ha trattenuto che se stessa”. La polemica con l’idealismo si estende alla filosofia moderna che ha preteso di risolvere razionalmente le contraddizioni della realtà e il dramma dell’uomo che aspira all’infinito. K. Attacca in Hegel soprattutto il principio secondo cui il “concetto” corrisponde al reale. La ragione da l’illusione di conciliare le opposizioni solo perché le traspone in una sfera astratta. Ma nelle sue dimensioni trova posto tutto salvo l’esistenza che, in quanto tale, è assolutamente irriducibile al concetto. La Sinistra hegeliana aveva considerato illusoria la soluzione hegeliana e aveva posto l’accento sulla drammaticità della condizione umana. Anche Kierkegaard ritiene ancora aperto il dramma dell’uomo, ma rifiuta di cercare ad esso una soluzione qui, su questa terra, con i mezzi a disposizione dell’uomo. Il dramma, la crisi, la scissione, il dislivello incolmabile fra il desiderio e il possesso sono costitutivi della situazione umana. L’esistenza Il perno dell’opposizione ad Hegel è il concetto di esistenza. Oggetto della speculazione di Hegel non era l’esistenza ma l’essenza, e più precisamente l’essenza razionale. L’esistenza era per Hegel pura accidentalità. Esistere viene da ek-sistere, cioè “stare fuori” dal concetto, L’esistenza è qualcosa di dato, indipendentemente dall’attività speculativa dell’uomo. Kierkegaard vuole invece occuparsi sul particolare, sull’individuale, sul singolo, sulla soggettività. Dato che l'esistenza sfugge alla ragione conciliatrice, l'indizio attraverso il quale la si può cogliere è l'irriducibilità dei contrasti, l'AUT-AUT. Contro l'astrattezza del pensiero occorre far valere la concretezza dell'esistenza, che si presenta caratterizzata dalla libertà e dalla scelta, non eludibile, di un determinato modo di vita. 1) Don Giovanni e la vita estetica Di fronte alla vita ci si può comportare come un esteta, cioè come colui che "vive sempre soltanto nel momento, e ha una coscienza soltanto relativa e limitata a se stesso". E' la situazione di chi "coglie, attimo per attimo, momento per momento, il nettare della vita senza mai lasciarsi prendere dal fiore che ce lo offre". E' la figura del Don Giovanni, per il quale la vita è seduzione. Egli si muove nel mondo senza metter radici. Egli non mostra mai se stesso, ma sempre una immagine cangiante, in modo da apparire quale la donna che corteggia vuole che egli sia, senza in realtà essere mai nessuna delle maschere di cui si riveste. Il suo è un mondo della pura esteriorità, privo di profondità e di stabilità. Don Giovanni non costruisce mai rapporti stabili. Non ha una moglie: vuole tutte le donne ma non ne vuole scegliere nessuna. In realtà anche questa è una scelta, è la scelta di non scegliere, di fuggire da ogni scelta: perciò l'esteta non vive, ma si lascia vivere. Per questo ha continuo bisogno del nuovo, se si ferma è perduto: è assalito dalla disperazione (essere dispersi). Se Don Giovanni smette di recitare e guarda se stesso, scopre il vuoto. Non ha fatto delle scelte, non è quindi nessuno. E' il nulla della disperazione, terrore del vuoto, dispersione nell'attimo, nella molteplicità degli stati d'animo. Ultimamente ogni donna è uguale, perché non ne sceglie nessuna in particolare. Per questo il sentimento rivelatore di questo stato è la noia, che è necessità che il gioco si ripeta. “In un certo senso hai ragione, nulla di finito, infatti, nemmeno l’intero mondo può soddisfare l’animo umano, che sente il bisogno dell’eterno”. 2) L'uomo sposato e la vita etica (il consigliere di stato Guglielmo) Quando l'uomo accetta di scegliere entra nella sfera dell'etica, accogliendo una possibilità di vita totalmente diversa. Il lavoro, la moglie, i figli gli permettono di avere un'identità allora egli entra nel mondo dei diritti e dei doveri della società. Egli è nella sfera del generale, cioè nella sfera dei doveri e delle regole sociali, dei sistemi di valori riconosciuti. Egli non teme la ripetizione, anzi la ama, vedendo in essa una continua riconferma della sua decisione iniziale. creando perciò una continuità nel tempo. Anche la vita etica appare tuttavia limitata. L'incapacità di fedeltà, il senso del peccato e ultimamente un bisogno risorgente di infinito conducono a -strappare il velo della rispettabilità borghese e a riconoscere il proprio fallimento. Ecco allora la disperazione, la "malattia mortale". Essa distrugge tutte le finitezze scoprendo tutte le loro illusioni. “Occorre darle il benvenuto, farla entrare nell’animo e lasciare che lo perquisisca, e permetterle di scacciare “tutti i pensiero finiti e gretti”. “ E’ in questo modo che Dio, che vuole essere amato, discende con l’aiuto dell’inquietudine in caccia dell’uomo”. 3) La vita religiosa (il cavaliere della fede, Abramo) Timore e tremore descrive l’atteggiamento che l’uomo religioso deve avere nei confronti del divino. Nella sfera etica l’individuo vive nell’ambito dell’universale: ciò che è bene e ciò che è male sono noti a tutti. Il “cavaliere della fede” è solo, il suo unico rapporto è con Dio. Ma la fede è rischio, non è l’adesione a un sistema dato. Isolato dagli altri è un’eccezione assoluta. Non c’è nella fede alcuna ripetizione, alcun comportamento da seguire, ma lo stare di fronte a Dio. La fede non può essere dimostrata mediante alcuna analisi razionale ma è il risultato di un atto esistenziale . La fede è PARADOSSO, in quanto va al di là delle possibilità umane, è un salto che si gioca nell’attimo presente. Nel momento l’infinito si manifesta nel finito. Il cristianesimo è l’unica vera religione perché l’incarnazione rappresenta questo infinito che entra nel finito. Angoscia e disperazione Angoscia: di fronte al vuoto delle possibilità esterne Disperazione: di fronte alla precarietà della condizione interna, nel rapporto col proprio io. E’ la malattia mortale, non perché fa morire, ma perché l’uomo è posto di fronte al fallimento e “vive la morte” in se stesso, necessariamente posto a confronto con la propria limitatezza e con l’impossibilità di compiere il proprio volere. Angoscia e disperazione possono trovare una soluzione unicamente nella fede, che ci da la speranza in una possibilità reale in cui “tutto è possibile”. Il credente non ha più l’angoscia del possibile, poiché il possibile è nelle mani di Dio; né si perde nella disperazione perché sa di dipendere da Dio. Conclusioni Kierkegaard rivendica il primato esistenziale dell’individuo, rifiuta ogni pretesa di superare il dramma dell’esistenza attraverso una forma qualsiasi di organizzazione mondana (Chiesa). Al tempo stesso non fa dell’individuo un assoluto; l’uomo dipende da Dio e ne ì separato da una differenza assoluta, che può essere scavalcata solo da un’iniziativa di Dio stesso, dalla grazia, Nella storia si gioca il dramma dell’uomo finito di fronte all’Assoluto,