In kierkegaard il vivere coincide con la scrittura, ciò nonostante la scrittura non è istintiva e immediata ma nasce da continue riflessioni sofferte. Sarà lui stesso a dividere le sue opere in base al tipo di comunicabilità, (rapporto quindi che ha con il pubblico) in opere a comunicazione diretta (sono quelle religiose) che portano la sua firma, e quelle a comunicazione indiretta con svariati pseudonimi, tra queste l’opera più importante è aut aut. E poi ci sono varie opere non destinate alla pubblicazione, la piu importante è “il Diario”. La pseudonimia presente nelle svariate opere di kierkegaard è un tipico strumento letterario, utilizzato dai romantici, di cui il filosofo si serve per parlare della verità. Gli pseudonimi di solito sono nomi molto bizzarri e che spesso alludono a qualcosa. Queste opere prevedono che l’interlocutore sia attivo (tipo dialogo socratico, non si deve leggere passivamente ma creare il dubbio, essere attivo in qualche maniera). Le sue opere sono comunicazioni non di fatti ma di esistenza, infatti i vari pseudonimi non servono a nascondersi ma incarnano le varie possibili esistenze (totale relativismo, prende varie posizioni, varie possibilità, vari punti di vista). I vari punti di vista sono espressi dai vari pseudonimi, detti anche le varie “maschere”. Tutte le possibilità sono presenti, ma kierkegaard non si identifica pienamente in nessuna di esse. Questo suo concetto della comunicazione lo porta a criticare la modernità, in quanto il mondo moderno è dominato dall’anonimato anche quando nelle opere c’è la firma, non c’è mai l’identificazione tra l’esistenza dell’autore e ciò che viene scritto. Come critica l’anonimato di colui che scrive, critica anche l’anominato del ricevente, in quanto con lo sviluppo della stampa l’io lettore è diventato il pubblico, non è piu il singolo soggetto. Secondo il filosofo lo scrivere è un azione, cioè scrivere è esistere, un esistere personale che non si rivolge al pubblico ma al singolo, questo fa si che gli uomini devono essere attenti alla verità, alla ricerca della verità, che nelle opere di kierkegaard non viene data come qualcosa di stabilito ma come qualcosa che il lettore deve cercare con l’aiuto dell’autore, il lettore deve quindi ritrovarsi in una delle possibili esistenze che vengono offerte dall’autore Le possibilità e la scelta: vita estetica, vita etica, vita religiosa Per kierkegaard esistono tre stati di esistenza (modi di vivere) e ogni singolo sceglie nel cammino della sua esistenza il proprio modo, non a caso il titolo dell’opera principale è aut aut cioè l’alternativa tra le possibili scelte. La prima possibilità presa in considerazione è la vita estetica 1) vita estetica: l’esteta vive del piacere immediato, di attimi, e le figure prese in considerazione sono il don giovanni, faust. Sia il don giovanni che il faust incarnano la figura di un seduttore, dove il piacere della seduzione è per entrambi immediata, ma mentre per il primo la seduzione è piu fisica e rivolta a più donne, il secondo è intellettuale e si focalizza solo su una donna, ma cercandone un dominio completo su di questa (emotivo, dei sensi ecc). L’ultima figura sulla quale si sofferma è quella del seduttore Johannes: la seduzione di quest’ultimo però non è né fisica, né intellettuale ma letteraria: cioè la seduzione diventano un opera d’arte, quindi il suo desiderio non è mai reale, non è mai il possesso di una o piu donne ma resta sempre e solo desiderio, perché se venisse appagato finirebbe. La figura di Johannes viene in particolar modo trattata nel “diario del seduttore”. Essendo l’esteta travolto dalle continue possibilità, infatti l’esteta non attua mai una scelta, non si incarna mai in qualcuno, è sempre alla disperata ricerca del piacere, questo lo porta alla disperazione (nasce dal fatto che il seduttore è alla continua ricerca del piacere e quindi c’è il rischio del nulla. La disperazione può essere combattuta in due modi: o distraendosi e quindi evitandola, ma questo nel tempo porta al disorientamento, a perdersi. L’altra strada per superare la disperazione è superarla pienamente e quindi di fare una scelta, cioè scegliere di essere qualcuno e passare alla vita etica, quindi di smettere di essere seduttore ed esteta). Se vogliamo parlare in termini di scelta, la vita estetica è la vita della non scelta, la vita etica è quella della scelta 2) vita etica: l’uomo etico, a differenza dell’estetico, è libero perché decide di scegliere. Invece l’uomo estetico, non scegliendo, lascia agli altri scegliere. L’uomo etico inoltre è consapevole di se stesso in quanto si è scelto, l’uomo estetico invece è incosciente di se stesso perché si nasconde dietro le continue maschere, le continue apparenze. Anche per quanto riguarda il rapporto con il tempo c’è una differenza tra i due tipi di uomini: l’uomo etico da spessore al tempo in quanto riconoscendosi, scegliendosi come persona nel presente, può fissare e dare concretezza al passato e al futuro. L’esteta invece non ha memoria, non ha passato, e non fa altro che ripetersi in ogni istante. In poche parole l’esteta vive delle immediatezze, del piacere momentaneo, l’uomo etico invece vive nella storia. Se nella vita estetica erano state prese in considerazione le tre figure di don giovanni, faust e johanne, nel considerare invece la vita etica si prende in considerazione la figura del giudice Wilhem, esempio di marito e lavoratore. La scelta, di cui parla kierkegaard, non è una scelta solo individuale, nel senso che la scelta va estesa all’intera comunità (nel senso che va presa come esempio per chi è passato dalla vita estetica a quella etica) 3) vita religiosa: viene presa in considerazione in due opere: la prima si chiama “timore e tremore”, la seconda “il concetto dell’angoscia”. In queste due opere viene presa in considerazione il salto dalla vita etica a quella religiosa: l’uomo etico prima o poi si imbatterà nel peccato (qui si intende il peccato originale, non tanto quello carnale e quello dell’esteta) e quindi nel pentimento: pentirsi del peccato significa ricongiungersi a Dio. La figura emblematica della vita religiosa è abramo, che viene posto difronte alla piu grande contraddizione: la morale e Dio. Abramo deve attuare una scelta: ammazzare il figlio e quindi andare contro la morale ma obbedire a Dio, oppure non ammazzare il figlio e quindi andare contro dio ma rispettare la morale? La scelta di abramo sarà la vita religiosa, quindi abbandona la vita etica, va contro la morale, obbedisce a Dio e decide di ammazzare il figlio: ma è proprio in quel momento che sarà premiato da Dio, infatti la sua mano sarà fermata da un angelo e il figlio non sarà ucciso. Se in “timore e tremore” era stata analizzata la figura di abramo come uomo etico e religioso allo stesso tempo, nell’opera “il concetto dell’angoscia” viene presa in considerazione l’angoscia. L’angoscia è il sentimento tipico dell’uomo libero che dinanzi alle varie possibilità è pervaso da un sentimento di angoscia: quindi questa si differenzia dalla paura, perché la paura è paura di qualcosa, invece l’angoscia non è paura di qualcosa in specifico ma è paura del nulla. Già con il primo uomo era presente il sentimento di angoscia: infatti su adamo incombeva la scelta tra la trasgressione o l’obbedienza. Il sentimento dell’angoscia è connaturato all’uomo, è la condizione stessa della possibilità: essendo l’uomo libero di scegliere tra le varie possibilità, sarà sempre in una condizione di angoscia gli ultimi scritti dopo timore e tremore e dopo il concetto dell’angoscia, kirkegaard scrive altre 4 opere: “briciole di filosofie”, “postilla non scientifica conclusiva di Climacus”, “la malattia mortale”, “l’esercizio del cristianesimo di Anticlimacus”. In tutte e quattro le opere viene delineato un nuovo concetto di filosofia dell’esistenza dove la vita religiosa è considerata il piu alto stadio dell’esistenza. Inoltre in queste opere c’è anche una critica alla filosofia hegeliana, infatti sia il titolo dell’opera “le briciole” sia il titolo “Postilla non scientifica” stanno a sottolineare la critica alla filosofia sistematica e organica di hegel. Infatti per kirkegaard sarebbe impossibile scrivere un sistema dell’esistenza perché questa è in continuo movimento e non ha nulla di fisso. Kirkegaard critica anche l’identificazione hegeliana finito-infinito, in quanto per il filosofo dell’esistenza tra dio e l’uomo c’è una netta separazione, per kirkegaard dio è trascendenza non è immanenza. Anzi ancor di piu per kirkegaard già il passaggio da un esistenza all’altra, prevede rottura e non un semplice passaggio. Infatti quando l’uomo passa da uno stato di coscienza ad un altro fa un salto. Negli ultimi scritti kirkegaard rivisita anche tematiche gia trattate in opere precedenti: ad esempio il tema della disperazione era gia stato affrontato in aut aut, dove si parlava della disperazione come stadio finale dell’uomo estetico. Ora nell’opera la malattia mortale viene ripreso il concetto di disperazione, ma è considerato come condizione stessa degli uomini. La disperazione è cioè la malattia dell’uomo. Anche quando l’uomo pensa di essere felice, in realtà nel suo animo c’è la disperazione, in quanto l’uomo non è disperato per questa o quella cosa, ma è disperato perché non accetta la propria natura di essere derivato da altro, cioè di essere finito. L’unica via di uscita dalla disperazione è credere, credere in colui da cui è generato e quindi in colui che l’ha posto come finito. Il credere prevede l’accettazione del piu grande paradosso della fede: il paradosso è cristo stesso in quanto è dio ma nello stesso tempo uomo. Chi non accetta questo paradosso commette uno scandalo (per kirkegaard scandalizzarsi significa non accettare le incertezze, i paradossi della fede)