iuris et de iure - Consiglio Notarile di Catania

IURIS ET DE IURE
Bollettino quindicinale di aggiornamento
del Consiglio Notarile di Catania e Caltagirone
N. 10 - 31 OTTOBRE 2014
in redazione: Giuseppe Pappalardo
--------------------Cari Lettori,
nella "prima pagina" di questo numero del bollettino trovate un approfondimento della
Collega Notaio Donata Galeardi in materia di Attestato di Certificazione Energetica
(APE), essendo entrata in vigore la normativa in tema di adeguamento dei modelli di
libretto e di rapporti di efficienza energetica degli impianti termici e di climatizzazione, a
seguito del Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico del 20 giugno 2014,
pubblicato nella G.U. n. 153 del 4 luglio 2014 (su cui vedasi pure, in questo stesso numero,
il contributo riportato nella sezione Studi del Notariato).
Buona lettura.
(G. P.)
--------------------SOMMARIO
Prima Pagina:
Alcuni orientamenti per la verifica di validità degli Attestati di Prestazione Energetica
(di Donata Galeardi)
pag. 2
Prassi
pag. 4
Giurisprudenza
pag. 8
Studi del Notariato
pag. 9
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PRIMA PAGINA
ALCUNI ORIENTAMENTI PER LA VERIFICA
ATTESTATI DI PRESTAZIONE ENERGETICA
DI
VALIDITA'
DEGLI
A seguito delle numerose perplessità recentemente manifestate e riguardanti
principalmente l'asserito obbligo di allegazione dei libretti di impianti, e, da ultimo, la
verifica della metodologia di software obsoleto come causa di invalidità dell'APE, si ritiene
utile fornire un piccolo prontuario, ad uso pratico e senza alcuna pretesa di esaustività o
completezza (nonché in ordine alla certezza delle soluzioni pratiche proposte), per una
verifica abbastanza veloce della conformità degli Attestati di Prestazione Energetica a tutte
le normative in vigore a seguito delle successioni di leggi nel tempo (ed in particolare a
seguito del Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico 20 giugno 2014, pubblicato
nella G.U. n. 153 del 4 luglio 2014).
1) Il primo controllo da effettuare è in ordine alla data di scadenza dell’APE (di norma 10
anni); date diverse (solo anteriori al decennio, perché posteriori si ritengono non
ammissibili per contrasto con la stessa normativa del D.Lgs. 192/2005) sono giustificabili
solo in presenza di programmazioni di revisione impianti enunciate dallo stesso tecnico, e
da apportarsi a breve, o di varianti inerenti la consistenza, la destinazione, l'uso, delle unità
considerate (ad es. si deve acquistare un immobile da ristrutturare a breve termine e di ciò
viene fatta menzione nell'atto, si deve acquistare un immobile con destinazione da variare,
ecc...).
2) Altra necessaria verifica è quella in ordine alla correttezza dei dati catastali e
dell’indirizzo dell’immobile. Sono considerati validi gli APE redatti e rilasciati con
l'indicazione di dati anche risalenti (attenzione: risalenti in senso storico, non errati)
rispetto a quelli attuali (purché ovviamente non si evidenzi contrasto tra la data di rilascio
e quella in cui è avvenuta la nuova catastazione o variazione catastale), in quanto
modificati per effetto di frazionamenti, fusioni, o altro tipo di variazioni catastali, purché la
modifica non abbia riguardato le superfici utili valutabili ai fini del rendimento energetico
(se, ad es. il sub. 1, indicante appartamento e cantina, viene suddiviso in sub. 2,
appartamento, e sub. 3, cantina, in tal caso l'APE relativo all'intera consistenza del sub. 1,
appartamento, va nuovamente redatto non a causa della nuova subalternazione, ma a
causa del mutamento delle superficie utile da valutarsi ai fini del riscaldamento degli
ambienti).
3) Altra verifica riguarda la correttezza dei dati del proprietario richiedente;
4) Sarà pure necessario verificare l'indicazione della classe energetica e della prestazione
energetica globale (espressa in kWh/mc);
5) Occorrerà verificare in ordine alle informazioni sugli impianti, sia per il riscaldamento
che per l’acqua calda sanitaria (anno di installazione, potenza nominale, tipologia,
combustibile); se questi campi sono vuoti si presume che l’immobile non abbia impianti
(ciò è improbabile per le abitazioni);
6) Necessaria è anche la verifica delle informazioni sul tecnico abilitato (corrispondenza tra
quanto scritto nell’APE con il timbro del tecnico); una sottoverifica di questo punto 6)
riguarda la sottoscrizione del tecnico redattore che dovrebbe essere apposta in tutte le
pagine. In sede di allegazione notarile poi sarà ovviamente necessario, comunque, far
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sottoscrivere l'intero documento anche alle parti dell'atto - oltre a testimoni e notaio
rogante -, sia che venga allegato un originale di esso sia che venga allegato in copia (anche
fotostatica): allegato che dunque andrà sottoscritto al pari di un qualunque allegato di
provenienza non autentica od originaria. Non andrà sottoscritto, invece, l'APE rilasciato in
copia autentica notarile o per estratto conforme a precedente atto, da parte dello stesso
Notaio: essendo documento autentico, infatti, non necessiterà di sottoscrizioni ulteriori
rispetto a quella del Notaio autenticante la copia o l'estratto.
7) Altra verifica, nell'attesa che il Ministero dello Sviluppo Economico si esprima però con
maggiore compiutezza in proposito, è quella di controllare il software con il quale è stato
redatto l’APE: dal 2/10/2014, sulla base dell'aggiornamento fornito dal CTI (Comitato
Termotecnico Italiano) con norma pubblicata in tale data, il software gratuito DOCET non
è più certificato conforme per la redazione degli APE, per cui tutti gli attestati redatti con il
software DOCET che riportano data posteriore il 2/10/2014 non sono - per affermazione
del CTI - validi. Ora, tale conclusione, soprattutto nelle more di un provvedimento
legislativo o regolamentare ad hoc, ad avviso di chi scrive, sembra probabilmente
eccessiva, almeno sotto il profilo della invalidità del documento, ferma restando una
eventuale responsabilità del tecnico redattore. Difatti, le metodologie tecniche da usarsi
per la redazione dell'APE devono essere certificate conformi secondo una specifica
procedura indicata nel D.Lgs. 192/2005, che, in quanto legge, può essere interpretata
autenticamente dallo stesso legislatore con norma regolamentare e non da altro organo.
Pertanto, nell'attesa di una circolare esplicativa sul punto, da parte del Ministero per lo
Sviluppo Economico, potrebbe ritenersi sufficiente ed aderente al dettato normativo
l'utilizzazione di un software autodichiarato conforme alla normativa UNI TS 11300 - 1 e
UNI TS 11300 - 2, da parte del produttore, a prescindere dalla denominazione del software.
E comunque, può essere un utile consiglio quello di non accettare APE comunque redatti
dopo il 2.10.2014 con il metodo del software DOCET.
8) Altra verifica riguarda la dichiarazione sostitutiva di notorietà che si ritiene preferibile
sia presente (inglobata nell’APE o in separata pagina), con la quale il tecnico attesti la
veridicità delle informazioni esposte e l’assenza di conflitto di interessi; il tecnico non può
essere coniuge o parente fino al quarto grado del proprietario; dev’essere presente, allegata
alla dichiarazione, copia di un documento d’identità valido del tecnico.
9) Il notaio ha l’obbligo d’informare la parte acquirente circa l’obbligo della consegna, da
parte del venditore, di tutta la documentazione inerente gli impianti (libretto d’impianto
con annotati gli interventi di manutenzione programmata). In data 15.10.2014, infatti, a
seguito di decisione del Ministero dello Sviluppo Economico, è entrata in vigore la
disciplina di cui all'art. 7, comma 5 del DPR 16.04.2013 n. 74, secondo cui gli impianti
termici per la climatizzazione o produzione di acqua calda sanitaria devono essere muniti
di un "Libretto di impianto per la climatizzazione". Pertanto, in caso di trasferimento a
qualsiasi titolo dell'immobile o dell'unita' immobiliare i libretti di impianto devono essere
consegnati all'avente causa, debitamente aggiornati, con gli eventuali allegati. La norma è
abbastanza chiara, nel senso che non vi è (né da alcuna parte se ne asserisce l'esistenza di)
alcun obbligo di allegazione dei detti libretti, obbligo che vige semmai solo per l'attestato
che viene consegnato alle parti interessate. E' pur vero, però, che, viste le sanzioni
pecuniarie a carico del titolare dell'impianto (variabili da 500 a 3.000 euro) per il caso di
mancata osservanza delle sopra citate norme, si potrà richiamare l'attenzione delle parti al
riguardo ed eventualmente inserire la menzione di averle rese edotte in proposito o
indicare la regolamentazione di una consegna di tali libretti come evento già posto in
essere tra le parti, o in relazione al quale è stata operata una dispensa dalla consegna stessa
(ove ritenuta possibile). (Donata Galeardi)
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PRASSI
Agenzia delle Entrate
RISOLUZIONE n. 87/E del 14 ottobre 2014
OGGETTO: Interpello - ART. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Agevolazioni
fiscali in favore delle start-up innovative e degli incubatori certificati requisito “alternativo” previsto dall’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del
decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179.
Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione dell'articolo 25,
comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, è stato esposto il seguente
QUESITO
ALFA S.R.L., costituita nel 2013 ed avente per oggetto sociale lo sviluppo e la
commercializzazione di una piattaforma informatica fruibile attraverso dispositivi
portatili, intende ottenere la qualifica di start-up innovativa, richiedendo l’iscrizione nella
sezione speciale del registro delle imprese della Camera di Commercio, anche al fine di
consentire agli investitori di fruire delle agevolazioni fiscali introdotte dal decreto-legge 18
ottobre 2012, n. 179.
L’istante dichiara di avere tutti i requisiti obbligatori, necessari per qualificarsi come startup innovativa, previsti dall’articolo 25, comma 2, lettere da b) a g), del decreto-legge n. 179
del 2012, e che intende avvalersi del requisito alternativo previsto dal medesimo articolo
25, comma 2, lettera h), n. 2), il quale richiede l’“impiego come dipendenti o collaboratori
a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro
complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo
un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di
laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti
di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o
superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea
magistrale”.
Tanto premesso, la società istante chiede chiarimenti in merito alla corretta
interpretazione del requisito alternativo citato, e più specificamente, se:
1) gli amministratori-soci, anche non retribuiti, possano considerarsi come forza lavoro;
2) tra i "collaboratori" possano essere annoverati anche i consulenti esterni titolari di
partita IVA, gli stagisti e ogni categoria percipiente un reddito assimilato a quello di lavoro
dipendente;
3) ai fini della verifica della percentuale di un terzo o di due terzi, si debba effettuare un
calcolo "per teste" o in base alla remunerazione.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L'istante ritiene, con riferimento al primo quesito, che gli amministratori-soci, anche non
retribuiti, poiché prestano effettivamente la loro attività presso la società, possono essere
compresi nella forza lavoro rilevante ai fini del rapporto di cui all’articolo 25, comma 2,
lettera h), n. 2), del decreto-legge n. 179 del 2012.
In merito al secondo quesito, la società sostiene, sulla base del tenore letterale della
disposizione, che possano annoverarsi tra i collaboratori tutti i soggetti che “a qualsiasi
titolo" svolgono attività per l’impresa; di conseguenza, ritienepossibile considerare ai fini
del citato rapporto anche gli stagisti, i percipienti reddito assimilato a quello di lavoro
dipendente e i consulenti esterni titolari di partita IVA.
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Infine, in merito al terzo quesito riguardante la determinazione del citato rapporto, la
società ritiene corretto effettuareun calcolo "per teste".
PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, definisce l’impresa start-up
innovativa quale “società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto
italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote
rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su
un sistema multilaterale di negoziazione” in possesso di determinati requisiti.
La start-up innovativa – per definirsi tale ed accedere alla disciplina di favore prevista
dalla Sezione IX del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 – deve possedere i requisiti
“cumulativi” di cui al citato articolo 25, comma 2, lettere da b) a g), nonché almeno uno tra
i requisiti “alternativi” richiesti dalla successiva lettera h).
Per quanto di interesse, l’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2) richiede l’impiego “come
dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo”,
a) “in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di
personale in possesso di titolodi dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di
ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia
svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici
o privati, in Italia o all'estero”;
b) “ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva,
di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell'articolo 3 del regolamento di
cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004,
n. 270”.
Ciò premesso, con riferimento ai quesiti posti dalla società relativamente al secondo
requisito “alternativo” sopra citato, acquisito anche il parere del Ministero dello Sviluppo
Economico, si rappresenta quanto segue.
In merito ai primi due quesiti, si ritiene - tenendo conto dell’intenzione originaria del
legislatore - che qualsiasi lavoratore percipiente un reddito di lavoro dipendente ovvero a
questo assimilato possa essere ricompreso tra la forza lavoro rilevante ai fini della verifica
della sussistenza del requisito “alternativo” in commento.
Con particolare riferimento alla figura degli amministratori-soci, il citato Ministero ha
rappresentato che la norma consente, in armonia con l’attuale disciplina giuslavoristica,
che l’impiego del personale qualificato possa avvenire sia in forma di lavoro dipendente
che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo” e che sicuramente
rientra nel novero anche la figura del socio amministratore.
Tuttavia, la locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” non può scindersi dall’altra
“impiego”.
Di conseguenza, gli amministratori-soci possono essere considerati ai fini del rapporto di
cui all’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, soltanto se
anche soci-lavoratori o comunque aventi un impiego retribuito nella società “a qualunque
titolo”, diverso da quello organico. Diversamente, qualora i soci avessero
l’amministrazione dellasocietà ma non fossero in essa impiegati, gli stessi non potrebbero
essere considerati tra la forza lavoro, ai fini del citato rapporto, atteso che la condizione
relativa “all’impiego” nella società non risulterebbe verificata.
Conformemente a tutto quanto sopra rappresentato, si ritiene che gli stagisti possono
essere considerati forza lavoro solo se retribuiti mentre i consulenti esterni titolari di
partita Iva non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini
del citato rapporto.
Infine, con riferimento al terzo quesito, si concorda con quanto sostenuto dall’istante
atteso che, come rappresentato dal Ministero dello Sviluppo Economico, il calcolo della
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percentuale di forza lavoro altamente qualificata deve essere necessariamente eseguito
“per teste”.
***
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la
presente risoluzione venganopuntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli
Uffici dipendenti.
--------Agenzia delle Entrate
RISOLUZIONE n. 90/E del 17 ottobre 2014
OGGETTO: Interpello – Acquisto per usucapione di beni immobili –
Applicabilità delle agevolazioni prima casa.
Con l’interpello in esame, concernente l’interpretazione del DPR n. 131 del 1986, è stato
esposto il seguente:
Quesito
Con sentenza n. …/14, il Tribunale di … ha dichiarato, in accoglimento di una domanda
formulata ai sensi dell’articolo 1158 del codice civile, l’avvenuta usucapione di alcuni beni
immobili in favore di TIZIO, CAIA,SEMPRONIA. In relazione all’acquisto effettuato, questi
ultimi intenderebbero beneficiare delle agevolazioni ‘prima casa’.
Tenuto conto, tuttavia, che nella sentenza e negli atti del procedimento non sono state rese
le dichiarazioni necessarie per fruire di dette agevolazioni, si chiede di conoscere se il
diritto di fruire delle agevolazioni ‘prima casa’ resti confermato e, in caso di risposta
affermativa, con quali modalità debbano essere rese dagli interessati le predette
dichiarazioni.
Il dubbio interpretativo sorge in quanto con la risoluzione 20 marzo 2012, n. 25, l’Agenzia
delle Entrate, uniformandosi alla giurisprudenza della Suprema Corte, ha chiarito che
l’applicabilità delle agevolazioni in argomento resta subordinata alla presenza delle
condizioni che dovranno essere dedotte dagli interessati nell’atto introduttivo o nel corso
del giudizio per la dichiarazione di intervenuta usucapione.
Soluzione interpretativa prospettata dall’istante
Gli istanti ritengono che sia possibile beneficiare delle agevolazioni ‘prima casa’, anche nel
caso in cui le dichiarazioni non siano state rese nel corso del procedimento.
In tale ipotesi, il contribuente potrà presentare un atto integrativo contenente una
dichiarazione del possesso dei requisiti previsti dalle lettere a), b) e c) della nota II - bis
all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Testo Unico dell’imposta di registro,
approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).
L’interpellante rileva, infatti, che, con risoluzione 3 ottobre 2008, n. 370, è stato precisato,
con riferimento al caso in cui la dichiarazione del possesso dei requisiti per
poter beneficiare delle agevolazioni ‘prima casa’ non era stata effettuata nella domanda di
partecipazione ad un’asta immobiliare, che detta dichiarazione poteva essere resa anche
nelle more della registrazione del decreto di trasferimento.
Negare tale possibilità, invece, nel caso di specie, riguardante una sentenza dichiarativa di
usucapione, comporterebbe di fatto una discriminazione nei confronti dei soggetti che non
hanno potuto rendere dette dichiarazioni nel corso del procedimento.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
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L’articolo 8 della Tariffa, Parte prima, allegata al Testo Unico dell’imposta di registro,
approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), alla nota II - bis prevede che “i
provvedimenti che accertano l’acquisto per usucapione della proprietà di beni immobili o
di diritti reali di godimento sui beni medesimi sono soggetti all’imposta secondo le
disposizioni dell’articolo 1 della Tariffa”.
Di fatto, tale norma equipara la tassazione delle sentenze che accertano l’acquisto degli
immobili per usucapione a quella degli atti traslativi a titolo oneroso della
proprietà di immobili, che sono assoggettati ad imposta di registro in misura
proporzionale.
Con risoluzione 20 marzo 2012, n. 25, questa Agenzia, nell’esaminare un caso di acquisto
di immobile per usucapione, ha precisato, in considerazione dell’interpretazione resa dalla
Corte di Cassazione con la sentenza n. 14120 del 2010, che l’applicabilità delle agevolazioni
‘prima casa’ è subordinata alla presenza delle condizioni previste dalle lettere a) b) e c)
della nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, che dovranno essere dedotte dagli interessati
nell’atto introduttivo o nel corso del giudizio promosso per la dichiarazione di intervenuta
usucapione.
A parere della scrivente, tuttavia, i chiarimenti forniti con la richiamata risoluzione devono
essere coordinati con i principi già affermati da questa amministrazione con riferimento
alle ipotesi di agevolazioni ‘prima casa’ richieste in relazione a trasferimenti immobiliari
disposti con atti giudiziari.
Come rilevato dal contribuente istante, infatti, con risoluzione 3 ottobre 2008, n.
370, questa Agenzia ha affermato che nel caso in cui il contribuente non abbia richiesto le
agevolazioni fiscali ‘prima casa’ nella domanda di partecipazione ad un’asta immobiliare, le
dichiarazioni riguardanti il possesso dei predetti requisiti possono essere rese nelle more
della registrazione del decreto di trasferimento.
Con sentenza 4 ottobre 2006, n. 21379, la Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che il
termine finale entro il quale il destinatario dell’agevolazione può far valere il suo diritto a
chiedere l’applicazione dell’agevolazione ‘prima casa’ è costituito dalla registrazione
dell’atto davanti all’Amministrazione fiscale.
Tale principio trova conferma in diverse altre pronunce della giurisprudenza di legittimità.
Ad esempio, con la sentenza 19 aprile 2013, n. 9569, la Corte di Cassazione ha precisato
che le manifestazioni di volontà di fruire delle agevolazioni ‘prima casa’ “vanno dunque
rese, attenendo ai presupposti dell’agevolazione, anche, quando il contribuente intenda
far valere il proprio diritto all’applicazione dei relativi benefici rendendosi acquirente in
sede di vendita forzata; in tal caso egli dovrà provvedere a rendere le anzidette
dichiarazioni prima della registrazione del decreto di trasferimento del giudice
dell’esecuzione, che costituisce l’atto al quale va riconosciuta efficacia traslativa della
proprietà del bene”.
Più di recente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di confermare detto principio anche
con
riferimento
alla
richiesta
delle
agevolazioni
‘prima casa’ per
un
trasferimento di immobile effettuato con sentenza emessa ex articolo 2932 del c.c.
( esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) avente natura costitutiva (si
veda la sentenza della Corte di Cassazione 3 febbraio 2014, n. 2261).
Anche con riferimento a tale ipotesi, la Corte di Cassazione ha chiarito che “Le prescritte
manifestazioni di volontà …vanno dunque rese, attenendo ai presupposti
dell’agevolazione, anche quando il contribuente intenda far valere il proprio diritto
all’applicazione dei relativi benefici rendendosi acquirente in sede di domanda ex
art. 2932 c.c.; in tal caso le anzidette dichiarazioni dovranno essere rese prima della
registrazione della sentenza sostitutiva del contratto non concluso….”.
A completamento di quanto detto, si evidenzia che proprio con riferimento alle
agevolazioni ‘prima casa’ (come disciplinate dall’articolo 16 del DL 20 maggio 1993, n. 155,
convertito nella legge 19 luglio 1993, n. 243) relative ad immobile acquisito per
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usucapione, l’amministrazione finanziaria con la circolare 16 ottobre 1997, n. 267, aveva
avuto modo di affermare che “la richiesta di agevolazione doveva essere contenuta, a pena
di decadenza, nello stesso atto ovvero nel caso in cui tale dichiarazione era stata omessa
veniva consentito al contribuente di conseguire il trattamento agevolato sulla prima casa,
mediante integrazione dell’atto giudiziario, con dichiarazione autenticata nelle firme, da
autorità anche diversa da quella che aveva redatto il provvedimento giudiziario, stilata ed
allegata al provvedimento stesso nelle more della sua registrazione”.
Coerentemente con i principi già affermati da questa amministrazione e con le
interpretazioni rese dalla giurisprudenza di legittimità si ritiene, quindi, con riferimento al
quesito proposto con la presente istanza di interpello, che nel caso in cui le dichiarazioni
necessarie per fruire delle agevolazioni ‘prima casa’ non siano state rese nella sentenza e
negli atti del procedimento, i contribuenti interessati potranno, comunque, beneficiare
delle predette agevolazioni mediante integrazione dell’atto giudiziario, con dichiarazione
autenticata nelle firme, da autorità anche diversa da quella che aveva redatto il
provvedimento giudiziario, da allegare al provvedimento stesso nelle more della sua
registrazione (cfr. circolare 12 agosto 2005, n. 38).
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la
presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli
Uffici dipendenti.
GIURISPRUDENZA
NOTARIATO - Prescrizione dell'illecito disciplinare
Corte Costituzionale, sentenza 24 settembre 2014, n. 229
La Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del
notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 1°
agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in
attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246),
sollevate, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Corte di cassazione.
(L'aver portato da 4 a 5 anni il termine di prescrizione dell'illecito disciplinare del notaio e
l'avere introdotto l'istituto dell'interruzione del corso della prescrizione non ha violato l'art.
76 Cost., trattandosi di scelte del legislatore delegato coerenti con gli indirizzi generali
della delega e compatibili con la ratio di questa).
PRELAZIONE - Contratti agrari
Cassazione, sentenza 10 luglio 2014, n. 15768, sez. III civile
In materia di contratti agrari il diritto di prelazione in favore del proprietario del fondo
confinante con quello venduto, previsto dall'art. 7, secondo comma, della legge 14 agosto
1971, n. 817, sussiste anche nell'ipotesi in cui, in occasione dell'alienazione, si sia
proceduto ad un suo artificioso frazionamento per eliminare il requisito del confine fisico
tra i suoli, onde precludere l'esercizio del diritto di prelazione.
Riferimenti normativi: Legge 14/08/1971 num. 817 art. 7
Massime precedenti Conformi: N. 5573 del 2003
SERVITÙ - Fondo intercluso
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Cassazione, sentenza 6 ottobre 2014, n. 20982, sez. II civile
Nell'ipotesi in cui il fondo, originariamente unico, sia divenuto intercluso per effetto di
alienazione di una parte di esso a titolo oneroso, il diritto dell'acquirente di ottenere la
costituzione coattiva e gratuita della servitù di passaggio, ai sensi dell'art. 1054 c.c., nel
residuo fondo dell'alienante, può farsi valere soltanto nei confronti di quest'ultimo e dei
suoi eredi, non anche nei confronti degli aventi causa a titolo particolare dell'alienante
medesimo.
DONAZIONE - Donazione indiretta e comunione legale
Cassazione, sentenza 10 ottobre 2014, n. 21494, sez. I civile
In caso di donazione indiretta di un immobile, per verificare se tale bene rientri o meno
nella comunione legale, l'attestazione del notaio, dell'avvenuto pagamento del corrispettivo
dell'immobile con denaro donato dal padre alla figlia, non può considerarsi sufficiente,
trattandosi di una mera presa d'atto della dichiarazione resa al riguardo delle parti. Ai
sensi dell'art. 2700 c.c., l'atto pubblico forma piena prova solo della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle dichiarazioni rese dalle parti o dei
fatti che egli attesti avvenuti in sua presenza, ma non è piena prova della veridicità
intrinseca delle predette dichiarazioni.
SUCCESSIONI - Accettazione tacita dell'eredità
Cassazione, sentenza 11 luglio 2014, n. 15888, sez. III civile
L'accettazione tacita di eredità - pur potendo avvenire attraverso "negotiorum gestio", cui
segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o
dello svolgimento di attività procuratoria - può tuttavia desumersi soltanto da un
comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l'altro chiamato
all'eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la
successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile
del "de cuius".
STUDI DEL NOTARIATO
Su CNN Notizie del 13 ottobre 2014 è stata pubblicata la seguente Segnalazione Novità
Normative, intitolata I LIBRETTI DI IMPIANTO ED I CONTROLLI DI
EFFICIENZA ENERGETICA
Se ne riporta l'introduzione, con rimando allo studio per intero pubblicato sul citato
notiziario.
"Con Decreto Ministero Sviluppo Economico 20 giugno 2014, pubblicato nella G.U. n. 153
del 4 luglio 2014, è stato prorogato al 15 ottobre 2014 il termine per adeguare i modelli di
libretto ed i rapporti di efficienza energetica degli impianti termici e di climatizzazione (il
termine era stato inizialmente fissato al 1 giugno 2014)
L’intera disciplina in tema di controllo dell’efficienza energetica degli impianti e in tema
di libretti degli impianti ha grande rilevanza anche per l’attività notarile, in quanto il
rispetto delle prescrizioni discendenti da detta disciplina incide sulla validità degli
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attestati di certificazione e/o di prestazione energetica da allegare agli atti traslativi a
titolo oneroso.
La validità massima dell'attestato di certificazione e/o prestazione energetica di un
edificio, fissata dalla legge in 10 anni, è, infatti, subordinata al rispetto delle prescrizioni
per le operazioni di controllo di efficienza energetica dei sistemi tecnici dell’edificio, in
particolare per gli impianti termici, comprese le eventuali necessità di adeguamento,
previste dalle normative vigenti. Nel caso di mancato rispetto delle predette disposizioni,
l'attestato energetico decade il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è prevista
la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza
energetica; al fine di consentire il controllo, circa la sussistenza di detta condizione, cui è
subordinata la validità dell’attestato di prestazione energetica, la normativa vigente
prescrive che i libretti di impianto debbano essere allegati, in originale o in copia,
all'attestato di certificazione prestazione energetica (così dispone l’art. 6 del D.M. 26
giugno 2009di approvazione delle Linee guida Nazionali, per quanto riguarda l’attestato
di certificazione energetica e l’art. 6, c. 5, d.lgs. 192/2005, nel testo in vigore dal 6 giugno
2013, per quanto riguarda l’attestato di prestazione energetica).
Appare, pertanto, opportuno, in vista della scadenza del 15 ottobre prossimo, fare il
punto della disciplina in tema di controllo dell’efficienza energetica degli impianti e in
tema di libretto di impianto, disciplina dettata, oltre che dai decreti ministeriali sopra
citati, dal D.P.R. 16 aprile 2013 n. 74, pubblicato in G.U. n. 149 del 27 giugno 2013.
Al riguardo necessitano due precisazioni:
i) in primo luogo va confermata l’opinione che il Notaio non sia tenuto a fare alcun
accertamento sulla sussistenza delle condizioni alle quali è subordinata la validità di
un attestato energetico, dovendo, invece, limitarsi a controllare la data di rilascio ed il
rispetto del termine decennale di validità. Tale accertamento, infatti, richiede
competenze e conoscenze tecniche (circa la tipologia di controlli sull’efficienza energetica
da effettuare con riguardo ai diversi impianti e circa le relative scadenze) che il Notaio
non possiede. Spetterà al proprietario (alienante o locatore) dichiarare e garantire in
atto che non si è verificata nessuna delle condizioni incidenti sulla validità dell’attestato
energetico prodotto, in relazione a quanto prescritto dall’art. 6, c. 5, d.lgs. 192/2005. Sul
piano operativo si consiglia di inserire in atto apposita dichiarazione in tal senso
dell’alienante e/o del locatore (una sorta di “dichiarazione di vigenza” simile a quella
prevista dalla legge per il caso di allegazione del certificato di destinazione urbanistica) (1)
ii) in secondo luogo va precisato che l’art. 10 del suddetto D.P.R. 16 aprile 2013 n.
74 limita l’applicazione delle disposizioni in esso contenute ai territori per i quali le
Regioni o le Province autonome non abbiano ancora adottato propri provvedimenti in
materia di certificazione energetica, in conformità alle direttive comunitarie. La stessa
norma, peraltro, stabilisce che al fine di garantire un'applicazione omogenea sull'intero
territorio nazionale dei principi fondamentali in materia di efficienza energetica, Regioni
e Province autonome debbono assicurare la coerenza dei loro provvedimenti con i
contenuti del decreto in questione."
--------Sempre su CNN Notizie del 13 ottobre scorso è stata data la seguente risposta al
Quesito di Impresa n. 560-2014/I, in tema di APPORTI IN NATURA E PERIZIA
DI STIMA.
Si riporta per intero.
"Si prospetta il seguente quesito: Tizio intende costituire una s.r.l. unipersonale con 10
mila euro di capitale, che viene integralmente sottoscritto e versato in denaro all'atto
costitutivo; intende inoltre apportare, con il medesimo atto,nella stessa s.r.l., un immobile
10
commerciale (di valore indicativo di 150 mila euro) che dovrà confluire integralmente in
una riserva libera del patrimonio netto. Si chiede se tale apporto immobiliare
possa avvenire senza perizia di stima richiesta ex 2465 c.c., precisando che non vi è
interesse né ora né in futuro ad un aumento gratuito di capitale a mezzo imputazione di
detta riserva a capitale
Si chiede se sia possibile apportare a patrimonio un bene immobile, il cui valore confluisce
in una riserva del patrimonio netto senza perizia di stima ex 2465 c.c. (precisando che non
vi è interesse né ora né in futuro ad un aumento gratuito di capitale a mezzo imputazione
di detta riserva a capitale).
***
La possibilità di effettuare apporti consistenti in beni in natura “fuori capitale” non sembra
in discussione.
Si tratta di apporti – invero, sottolinea la dottrina, solitamente di denaro, ma nulla esclude
che possano consistere anche in crediti o in beni in natura – che i soci (tutti o alcuni)
spontaneamente effettuano al patrimonio della società senza una formale imputazione a
capitale e al fine di consentire alla società di svolgere la propria attività d’impresa
(TOMBARI,“Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo
diritto delle società. Liber amicorumGian Franco Campobasso, cur. Abbadessa – Portale,
1, Torino, 2007, 554).
In tale modo, la società viene dotata di nuovi “mezzi propri” che, tuttavia, non vengono
computati a capitale (ABBADESSA, Il problema dei prestiti dei soci nelle società di
capitali, in Giur. comm., 1988, I, 506): all’apporto – che pure al pari del conferimento si
caratterizza per la finalità di mettere durevolmente a disposizione della società comunque i
mezzi economici necessari per lo svolgimento della stessa – non corrisponde, quindi,
l’acquisto di una quota di partecipazione al capitale sociale o l’implementazione di quella
già detenuta (RUBINO DE RITIS, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, Torino,
2001, 5 s.).
Solitamente, tuttavia, tali apporti si configurano come prodromici ad un aumento del
capitale e vengono pertanto configurati come versamenti in conto aumento capitale o in
conto futuro aumento di capitale (a seconda che l’aumento sia già stato deliberato o meno);
ma tale destinazione non sembra invero l’unica possibile.
Muovendo proprio dalla “normale” qualificazione di tali apporti (come versamenti in conto
aumento capitale o in conto futuro aumento), va rilevato come la destinazione dell’apporto
possa esser diversamente configurata.
Nel caso dei versamenti in conto aumento o futuro aumento, si tratta di veri e propri
“conferimenti” sottoposti alla condizione risolutiva, rispettivamente, della mancata
esecuzione o della mancata delibera di aumento, al verificarsi della quale scatta l’obbligo
restitutorio per la società (TRIMARCHI, Le modificazioni del capitale nominale senza
modificazione del patrimonio netto, in Studi e materiali, 2011, 907 ss., spec. 955 ss.,
osserva che «si tratta, allora, di fondi di cui la società è depositaria, il cui mancato utilizzo
allo scopo preordinato non può che comportare la restituzione»; nello stesso
senso, BUSI, S.p.a. – s.r.l., operazioni sul capitale, Milano, 2004, 69; App. Milano 31
gennaio 2003, in Giur. comm., 2003, II, 612 ss.).
Ma così come è possibile imprimere una destinazione all’imputazione a capitale
dell’apporto, appare possibile anche escludere tale destinazione, sì da rendere evidente sin
da subito che questo andrà a costituire una riserva non utilizzabile ai fini di un aumento
gratuito del capitale e, quindi, “targata” in senso negativo rispetto ad una possibile
imputazione a capitale, così escludendosi che questa costituisca una “anticipazione” di
un’eventuale sottoscrizione.
Tali apporti, dunque, si connotano per la mancanza di un obbligo restitutorio in capo alla
società e sono privi di un particolare vincolo di destinazione, distinguendosi così:
11
- tanto dai versamenti in conto aumento o futuro aumento – perché manca sia la
destinazione all’imputazione a capitale, sia in subordine l’obbligo restitutorio;
- quanto dai finanziamenti ex art. 2467 c.c., perché appunto non è prevista la restituzione.
Una volta eseguito l’apporto, che pare configurarsi come un negozio gratuito non donativo
atipico, questo andrà a costituire una riserva che potrà esser utilizzata liberamente dalla
società, con il limite dell’imputazione a capitale.
Nella fase in cui l’apporto viene eseguito, non si è di fronte ad un conferimento, e di
conseguenza non apparirebbero necessarie le cautele previste dall’art. 2465 c.c.: la
particolare destinazione esclude il rischio del possibile aggiramento della disciplina della
valutazione e stima dei conferimenti, rischio che attenta dottrina ha posto in rilievo con
riferimento a tali operazioni (TRIMARCHI, L’aumento del capitale sociale, Milano, 2007,
76).
Tuttavia, si pone in concreto la necessità di una corretta appostazione in bilancio del bene
apportato, che, normalmente, sarà iscritto al valore di costo. Ma poiché qui l’acquisto
avviene gratuitamente, verosimilmente gli amministratori dovranno ricorrere ad una stima
per determinare l’importo.
Peraltro, potrebbe darsi il caso che, successivamente, la destinazione della riserva venga
mutata: in tal caso, laddove il bene che costituisce la riserva sia utilizzato per un aumento
gratuito si renderebbe comunque necessaria la relazione giurata dell’esperto di cui all’art.
2465 c.c.
Si deve, infatti, considerare che la giurisprudenza ha sancito la nullità degli accordi tra soci
e società, volti ad eseguire un conferimento in natura mascherato con lo scopo di evitare
l’applicazione delle garanzie previste dal legislatore per l’imputazione a capitale dei beni
diversi dal denaro, e che, inoltre, la violazione delle predette norme determina la nullità
tanto del negozio di scambio, quanto dell’aumento di capitale ad esso collegato (in tal
senso, App. Milano, 15 dicembre 2000; in dottrina, PORTALE, I conferimenti in natura
“atipici” nelle s.p.a., Torino, 2004, 9; MANZO, L’aumento di capitale mediante
compensazione tra il debito da conferimento ed il credito vantato dal socio nella s.r.l.,
in Not., 2013, 470).
Si deve, comunque, dare atto che nello specifico caso in esame, poiché si prevede
espressamente il divieto di impiegare il bene per un futuro aumento di capitale,
l’eventualità di un utilizzo in tal senso sarebbe altresì subordinata al consenso del socio che
ha eseguito l’apporto."
--------Su CNN Notizie del 15 ottobre scorso è stato pubblicato lo studio LA DISCIPLINA
DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA. Novità normative 2014 (D.L. 133/2014 - cd.
“Sblocca Italia”), a cura del collega Giovanni Rizzi.
Se ne pubblica il sommario.
Sommario: 1. Premessa; 2. L’attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori
(art. 6, co. 2, T.U. D.P.R. 380/2001); 3. La manutenzione straordinaria, la
ristrutturazione edilizia e gli interventi di frazionamento e di accorpa-mento delle unità
immobiliari; 4. Interventi di conservazione; 5. Modifiche alla disciplina del permesso di
costruire; 6. La segnalazione certificata di inizio attività; 7. Il mutamento di destinazione
d’uso; 8. La dichiarazione “alternativa” di conformità ed agibilità; 9. Il permesso di
costruire convenzionato; 10. Modifiche alla legge 17 agosto 1942 n. 1150.
--------Su CNN Notizie del 16 ottobre scorso è stato pubblicato lo Studio Tributario n. 5402014/T, dal titolo NEGOZIAZIONE DEI DIRITTI EDIFICATORI E RELATIVA
12
RILEVANZA FISCALE, ANCHE ALLA LUCE DELL'ART. 2643 N. 2-BIS) C.C.,
curato dal collega Adriano Pischetola.
Se ne riportano l'abstract e il sommario.
"Lo studio in sintesi (Abstract): Lo studio si propone (dopo la 'tipizzazione' della
fattispecie negoziali in materia di diritti edificatori delineate dalla novella recata dal
comma 3 art. 5 del D.L. 13 maggio 2011 n. 70 convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106, che
ha introdotto nell'art. 2643 c.c. il n.ro 2-bis) di riflettere sui relativi profili fiscali, senza
condizionamenti rispetto alle pregresse linee di pensiero già elaborate con riferimento
alla 'cessione di cubatura' e soprattutto prendendo atto della varietà morfologica dei
nuovi strumenti di pianificazione del territorio quali la perequazione, la compensazione e
gli incentivi premiali di capacità edificatoria e delle correlative inferenze sul versante
fiscale.
Peraltro, proprio l'indagine sulla natura giuridica della fattispecie già nota come
'cessione di cubatura' - in qualche modo da considerare quale 'prodromo' della categoria
generale dei negozi di diritti edificatori - mette subito in evidenza la ricaduta che sul
piano fiscale hanno avuto ed hanno tuttora le diverse congetture elaborate da parte della
Giurisprudenza di legittimità e dall'Amministrazione Finanziaria da un lato (che si è
espressa in relazione alla cubatura in termini di 'diritto strutturalmente assimilabile alla
categoria dei diritti reali immobiliari di godimento’) e altra parte della medesima
Giurisprudenza (sostenuta anche da quella amministrativa) che hanno al contrario
individuato in essa efficacia e colorazione solo obbligatorie, esaltando il ruolo conclusivo
e determinante del provvedimento abilitativo edilizio emesso dalla pubblica autorità, il
solo che attribuisca consistenza alle situazioni giuridiche generate dall'attività negoziale
delle parti del contratto.
Anche in materia di negoziazione di diritti edificatori, in qualche modo 'tipizzati' dalla
norma di cui all'art. 2643 n. 2-bis c.c. (introdotto dal d.l. n. 70/2011), l'indagine sulla loro
natura giuridica è pregiudiziale rispetto a qualsiasi individuazione del relativo regime
fiscale; e segnatamente sul punto le opinioni espresse in dottrina (dalla natura di diritti
reali tipici o atipici, a quella di 'beni immateriali di origine immobiliare', all'altra di meri
interessi legittimi 'pretensivi' o di mera 'chance edificatoria', ecc.) così come dalla
Giurisprudenza amministrativa, pur dopo l’emanazione del d.l. n. 70/2011, sono tra esse
alquanto differenziate con evidenti diverse ripercussioni sul consequenziale regime
fiscale, rilevandosi comunque che la mera collocazione del nuovo n. 2-bis nell’alveo
dell’art. 2643 c.c. (sia pure dettato in materia di trascrizione) non pare costituire di per
sé comprova e fondamento ineluttabili della realità di tali diritti, in quanto già
l’ordinamento conosce ipotesi di trascrizione di contratti sicuramente con efficacia
obbligatoria o dubbiosamente reale.
Da quanto sopra detto si capisce bene che le inferenze sul piano fiscale - sia per quanto
attiene alle imposte indirette che a quelle dirette - appaiono condizionate dalla linea di
pensiero cui si reputa di poter accedere.
Al riguardo è essenziale riflettere sulla circostanza per cui, con riferimento alle nuove
politiche di pianificazione del territorio, la realità delle disparate situazioni giuridiche da
esse ingenerate potrebbe non costituirne più un tratto identitario e costitutivo (per
l'assoluta distanza che si può interporre tra il fondo 'originante’ il diritto edificatorio e
quello 'accipiente' destinato ad accoglierlo ma anche, in generale, per la probabile
assenza di quella ‘immediatezza’ che è tipica dei diritti reali, dovendosi al contrario
tenere in debita considerazione tutto il procedimento amministrativo finalizzato a dare
concreta esplicazione a quel diritto); sicché anche l'interprete sul piano fiscale deve
trarne coerenti e convergenti conclusioni, che possono essere anche diverse rispetto a
quelle cui in tempi addietro si era pervenuti con riguardo alla 'cessione di cubatura'.
***
13
Sommario: 1. Premessa; 2. In materia di ‘cessione di cubatura’; 3. Segnatamente in
materia di 'diritti edificatori'; 3.1 La 'vexata quaestio' della natura giuridica dei diritti
edificatori; 4. Le inferenze sul piano fiscale; 4.1 Nelle imposte indirette; 4.2. Nelle
imposte dirette; 5. Conclusioni."
--------Su CNN Notizie del 17 ottobre scorso è stata data la seguente risposta al
Quesito Civilistico n. 1042-2013/C, dal titolo SULLA POSSIBILITÀ DI
OTTENERE, CON PATTUIZIONI MODIFICATIVE DEL CONTRATTO
PRELIMINARE, UNA PROROGA DELL’EFFETTO PRENOTATIVO OLTRE IL
TERMINE DEI TRE ANNI PREVISTO DALL’ART. 2645-BIS COD. CIV.
Si riporta per intero.
"Prospettata la seguente fattispecie:
- In data 6 ottobre 2006 è stato trascritto un contratto preliminare;
- In data 5 marzo 2009 le parti si recano dal Notaio onde stipulare un atto di modifica –
integrazione del contratto preliminare – adducendo che intendono addivenire alla stipula
del definitivo all’esito dell’iter amministrativo per l’approvazione del piano attuativo per la
riqualificazione dell’area dismessa oggetto del contratto preliminare;
- Con il predetto atto di modifica – integrazione, le parti intendono, pertanto, integrare gli
accordi economici e giuridici previsti nel preliminare, rinnovare gli effetti della durata
della trascrizione;
- La promittente venditrice, nella stessa data dell’atto di modifica – integrazione del
preliminare, ha rilasciato consenso all’iscrizione ipotecaria su tutti gli immobili oggetto
dell’originario preliminare e del presente atto;
si chiede se, con un atto di modifica – integrazione del contratto preliminare si possa
ottenere, oltre il termine dei tre anni previsto dall’art. 2645-bis cod. civ, una sorta di
proroga dell’effetto prenotativo della trascrizione del preliminare e, pertanto, avere un
titolo prevalente rispetto alle formalità pregiudizievoli di cui sopra.
***
La trascrizione del contratto preliminare (1) travolge tutte le trascrizioni o iscrizioni
successive a carico del promittente alienante, purché il preliminare sfoci nel definitivo,
determinandosi per tale via una retrodatazione di opponibilità dell’effetto reale scaturente
dal definitivo, a far data dalla trascrizione del preliminare (2).
In particolare il comma 2 dell’art. 2645-bis cod. civ. stabilisce che “la trascrizione del
contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti
preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad
ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle
trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del
contratto preliminare”, così attribuendo efficacia prenotativa alla trascrizione del
preliminare (ovvero, secondo altra ricostruzione, sancendo l’opponibilità di quest’ultima).
Il successivo comma 3 stabilisce che “Gli effetti della trascrizione del contratto
preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data
convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre
anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o
di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto definitivo o della
domanda giudiziale di cui all’art. 2652, primo comma, numero 2)”(art. 2654-bis, comma
3 c.c.).
Sotto il profilo funzionale, pertanto, la trascrizione del preliminare produce un principale
effetto cosiddetto prenotativo, in virtù del quale l'acquirente, una volta trascritto il
contratto definitivo ovvero la sentenza resa ai sensi dell'art. 2932 c.c., edosservate le
14
condizioni previste dal comma 3 del citato art. 2645-bis c.c., prevale rispetto ai terzi che
abbiano eseguito trascrizioni o iscrizioni contro il promittente alienante dopo la
trascrizione del contratto preliminare, facendo così retroagire gli effetti della trascrizione
del definitivo o della sentenza resa ex art. 2932 c.c., alla data della trascrizione del
preliminare. Al fine di impedire abusi a danno di terzi, l'efficacia prenotativa connessa alla
trascrizione del preliminare richiede che via sia corrispondenza tra il titolo posto a base
della formalità di prenotazione e quello posto a base della formalità prenotata.
Nondimeno, può verificarsi che nella fase di passaggio dal preliminare al definitivo si
verifichino variazioni sul piano oggettivo o soggettivo, le quali devono necessariamente
saldarsi con il contratto originario onde perpetuarne gli effetti. L’orientamento dottrinale
maggioritario predica la necessità di assoggettare i mutamenti di cui si discorre alla
pubblicità immobiliare con apposita trascrizione (3).
La riconosciuta efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare può,
pertanto, esplicare i suoi effetti sulla trascrizione prenotata solo se viene garantita la
certezza del collegamento fra i due titoli posti a base della relativa formalità(4): occorre cioè
che il nuovo contratto costituisca esecuzione del precedente già trascritto, sia sul piano
oggettivo (con la identità del diritto, del bene e del rapporto giuridico), che sul piano
soggettivo (con la identità delle persone del promittente-acquirente e dell'acquirente
definitivo).
Il comma 3 dell'art. 2645-bis fissa due distinti termini d'efficacia della trascrizione del
preliminare: un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del definitivo e tre
anni dalla trascrizione stessa. I termini sono tra loro indipendenti, e pertanto il
raggiungimento di uno solo tra essi comporta l'irreversibile venir meno degli effetti della
trascrizione. Mentre secondo parte della dottrina si tratta di termini di decadenza (5), con
conseguente inapplicabilità delle cause di sospensione edi interruzione previste in materia
di prescrizione, un diverso orientamento li considera come limiti obiettivi di efficacia della
fattispecie, in modo non dissimile dalla perenzione ventennale dell'ipoteca ai sensi dell'art.
2847. Anche ad avviso di quest’ultimo orientamento resta in ogni caso esclusa qualunque
ipotesi di interruzione o sospensione: “la cessazione degli effetti della trascrizione per
decorrenza dei termini opera, così come già accade per l'ipoteca, indipendentemente da
qualsivoglia formalità pubblicitaria” (6).
La disposizione è chiaramente finalizzata ad evitare che gli immobili oggetto di preliminare
siano sottoposti ad un limite alla loro circolazione per un termine esuberante rispetto alle
comuni esigenze della contrattazione immobiliare.
Dalla lettura della norma, appare chiaro in primo luogo che l'inutile decorso del termine
ultimo fissato per latrascrizione del definitivo (o altro atto che tenga luogo del definitivo o
della domanda di sentenza ex art. 2652 n. 2) comporta la automatica caducazione del c.d.
«effetto prenotativo», senza che sia necessaria alcuna ulteriore attività pubblicitaria, e in
particolare senza che sia necessario procedere ad annotare la trascrizione di cancellazione,
che anzi in tale ipotesi deve ritenersi non consentita (7).
Non sembra possibile, coerentemente, profittare di un nuovo termine triennale mediante
una rinnovazione della trascrizione che sarebbe in astratto ipotizzabile solo laddove la data
convenuta per la conclusione del definitivo sia di oltre due anni posteriore alla trascrizione
del preliminare (8). Secondo la dottrina in discorso è invece possibile procedere ad una
nuova trascrizione sulla base di un nuovo preliminare o di una proroga convenzionalmente
pattuita, giacché si tratta di ipotesi che implicano il concorso della volontà del promittente
venditore, e cioè del soggetto nel cui interesse il termine è posto. Si badi: nuova
trascrizione, che prende grado dalla data della sua esecuzione, e non rinnovazione in senso
proprio, che consisterebbe in un prolungamento degli effetti della precedente trascrizione
(si mutua la terminologia dell'ipoteca: artt. 2847 e 2848) (9).
Alla stregua del richiamato orientamento dottrinale, non pare possibile ottenere un nuovo
termine
triennale
mediante
l’atto
di
modifica
–
integrazione
del
15
preliminare supra descritto; che ove trascritto darà luogo ad una nuova formalità
pubblicitaria non opponibile alle trascrizioni o iscrizioni precedentemente eseguite contro
il promittente alienante.
Alla medesima conclusione conduce anche un diverso iter argomentativo.
Secondo la giurisprudenza di legittimità le pattuizioni modificative del contratto
preliminare hanno rilievo solo in ordine ai rapporti interni tra i contraenti, giammai ai fini
dell’esecuzione in forma specifica (10).
Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale testé richiamato, sembra chiaro che le
modifiche
del
contratto
preliminare
non
possano
rilevare
in
ordine
all’efficacia prenotativa della
trascrizione
del
preliminare.
Infatti,
l’effetto prenotativoconnesso alla trascrizione del preliminare riguarda solo e soltanto il
rapporto tra preliminare e definitivo. Del resto, considerato che il termine finale della
trascrizione è finalizzato ad evitare che il promittente venditore, tramite un preliminare di
comodo, possa sottrarre a tempo indeterminato un suo immobile alla garanzia
patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., è facile immaginare possibili usi distorti dello
schema preliminare – definitivo laddove si consentano proroghe della trascrizione del
preliminare solo e soltanto finalizzate ad avvantaggiarsi dell’effetto prenotativo.
In conclusione, eventuali modificazioni del contratto stesso, sempreché siano
ammissibili (11), possono essere coperte dall’efficacia prenotativa solo se effettuate nel
termine triennale indicato dall’art. 2645-bis cod. civ; non sembra, invece, ammissibile che
un atto di modifica del preliminare implichi una proroga dell’effetto prenotativo.
__________________
1)
“Nel disciplinare la trascrizione del contratto preliminare, il legislatore ha recepito le
indicazioni della dottrina (notarile, ma non solo) che si è occupata del generale problema della
tutela dell’acquirente di bene immobile, intravedendo in questo mezzo un efficace strumento di
potenziamento della posizione del contraente “debole”, cioè dell’acquirente”: Iannello, La
trascrizione del contratto preliminare. “L’efficacia prenotativa della trascrizione del
preliminare”, inNotariato, 1997, 372 ss.
Cfr., in merito all’orientamento dottrinale che ha sollecitato l’espressa previsione della trascrizione
del preliminare, onde conferire una più efficace tutela al promissario acquirente di un bene
immobile, Santangelo, Il ruolo del Notaio nella contrattazione immobiliare, in Vita not., 1984, 39
e ss.; Mariconda, Latrascrivibilità del contratto preliminare, in Notariato, n. 4/97, p. 337 e ss.;
Id, Contratto preliminare e trascrizione, in Corriere Giuridico, n. 2/97, p. 129;
Piccoli, La trascrivibilità del contratto preliminare - Natura ed effetti, in Intervento al Convegno
Triveneto Padova 10 maggio 1997.
2)
Cfr.
Piccoli, La
trascrizione
del
contratto
preliminare.
Natura e effetti
della trascrivibilità del preliminare. Notariato, 1997, Fasc. 04, pag. 380, “gli effetti prenotativi
determinano la retroattività degli effetti della trascrizione del contratto definitivo o della sentenza
che ne tiene luogo, con un meccanismo che si è da sempre sperimentato per la trascrizione delle
domande giudiziali, per evitare che il tempo del giudizio vada a nocumento di colui che del giudizio
ha bisogno per far valere il suo diritto. Allo stesso modo si consente di trascrivere il contratto
preliminare, considerandolo come atto iniziale di un iter che andrà a concludersi con il definitivo,
rendendo inefficaci nei suoi confronti tutte le trascrizioni e iscrizioni successive”. Cfr. Ex pluribus,
sulla trascrizione del contratto preliminare, Mariconda, La trascrizione del contratto preliminare,
relazione alla Giornata di Studio di Bari, 14 giugno 1997, in La trascrizione del contratto
preliminare, a cura di A. A. Carrabba, Napoli, 1998, 17 ss.; Casu, La trascrizione del contratto
preliminare, in Consiglio Nazionale del Notariato,Studi e materiali, 5.2, Milano, 1998, 559;
Iannello, L’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare, in Notariato, 1997, 372
ss.; Cian, Latrascrivibilità del
preliminare, in St. iuris, 1997,
215
ss.;
Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, in St. iuris, 1997,
455 ss.
3)
De Donato, La trascrizione del contratto preliminare: particolari fattispecie di interesse
notarile, in Riv. not., 1998, 432; Mariconda, Fattispecie trascrivibili e aspetti transitori,
in Notariato, 1997, 371; Patti, Contratto preliminare per persona da nominare, Rivista del
16
Notariato, fasc.6, 2001, pag. 134. Diversamente, per Bechini, La trascrizione del contratto
preliminare, in Riv. not., 1999, 242, a prescindere dall’avvenuta o meno trascrizione della cessione
del preliminare, il definitivo posto in essere nei confronti del cessionario del contratto preliminare
costituisce “comunque esecuzione” di questo, per cui in ogni caso il cessionario potrà avvalersi dei
benefici che discendono dalla trascrizione del preliminare; l’eventuale trascrizione (o annotazione)
della cessione rileverà (forse) solo qualora si tratti di dirimere conflitti tra più cessionari del
medesimo preliminare.
4)
Cfr. Casu, Studio del CNN n. 1702/b, La trascrizione del contratto preliminare, approvato
dalla Commissione Studi Civilistici il 21 luglio 1997 il qualepuntualizza che: “Caratteristica della
c.d. “prenotazione” (questo va opportunamente sottolineato) è che la pubblicità prenotativa non è
fine a se stessa, ma abbisogna di essere completata da un altro segmento della pubblicità, il quale
deve ubbidire a tutti i presupposti essenziali dell’effetto destinato ad essere iscritto nel pubblico
registro (atto ad effetto reale, in primo luogo); scopo della prenotazione è soltanto quello di fare
anticipare la data degli effetti della pubblicità ad un momento anteriore. In altre parole, la
prenotazione non può reggersi mai da sola, ma abbisogna di essere supportata dal secondo
momento, che si realizza in un negozio ad effetti reali, che a sua volta sia stato assoggettato alle
formalità della pubblicità immobiliare. In questo modo i due momenti si saldano e la trascrizione
del primo momento assolve in pieno al suo compito di rendere inopponibili tutte le
trascrizioni od iscrizioni verificatesi nel periodo intermedio”.
5)
Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 463.
6)
Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit.
7)
Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 463.
8)
Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit, 24.
9)
Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit., 1999, nota 70.
10) Ex multis, cfr. Cass. n. 937 del 20 gennaio 2010, Ced (Rv. 611232), secondo cui: “In tema di
esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., posto
che la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di
collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, la sentenza che tiene luogo del
contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento
giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto
preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche. Ne consegue che, in assenza di
specificazione delle quote spettanti a più promissari acquirenti di un immobile, l'esecuzione in
forma specifica del relativo contratto preliminare di compravendita comporta l'attribuzione del
bene in parti uguali ed indivise, in virtù dell'applicazione, in via analogica, del principio generale
espresso dal primo comma dell'art. 1101 cod. civ., mentre eventuali pattuizioni estranee al
contenuto del contratto preliminare intervenute tra i promissari acquirenti circa una eventuale
diversa ripartizione del bene assumono esclusivo rilievo nei loro rapporti interni, senza spiegare
effetti in sede di esecuzione in forma specifica”. Cfr altresì, Cass. n. 2824 del 2003,
CED Rv. 560698; Cass. 27 giugno 1987 n. 5716, Giur. it., 1989, I, 1, c. 374; Cass. 5 agosto 1987 n.
6724, CED Rv. 454942; Cass. 26 aprile 1990, n. 3486, CED Rv. 466846; Cass. 6 agosto 1990 n.
7909, in Giur. it., 1991, I, 1, 791, con nota di Ciannia; Cass. 1 marzo 1995, n. 2319, CED Rv. 490799.
11) Cfr. Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 460, il
quale precisa che “è necessario che il definitivo riproduca il contenuto negoziale programmato con
la stipulazione del preliminare, riproduzione che deve essere oggettivamente rilevabile dai terzi che
consultino i registri immobiliari. In particolare, è necessario che coincidano gli elementi essenziali,
individuati dall'art. 2665 c.c., da riportare nelle note di trascrizione dei due titoli (preliminare e
definitivo) pubblicizzati (soggetti, oggetto e rapporto giuridico). Al fine della tutela dell'affidamento
dei terzi, sembra doversi escludere la possibilità di apportare con il definitivo modifiche oggettive,
salvo
che
le
stesse
non
siano
state
preventivamente
contemplate
nel preliminare(esempio: preliminare di vendita alternativa o con facoltà alternativa). Al di fuori di
questa
ipotesi,
si
ritiene
- Cian, La trascrivibilità del
preliminare,
cit., 44ss.;
Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 460 ss. - che
non possono esservi modifiche in relazione al tipo di diritto trasferito o costituito a favore del
promissario, né in relazione al bene che forma oggetto di preliminare. Diversamente, le mere
variazioni quantitative dell'oggetto non rompono il nesso tra preliminare e definitivo, ma
consentono il dispiegarsi degli effetti prenotativi limitatamente a quanto indicato nel preliminare,
Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 461. Particolari
17
problemi in ordine alla corrispondenza dell'oggetto si pongono, poi, in caso di preliminare di cosa
futura disciplinato dall'art. 2645-bis comma 4 e 5 c.c.. Infine, si segnala che, in merito alle
variazioni di titolo, la dottrina - Cian, La trascrivibilità del preliminare, cit., 44-45;
Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 460 - 461 ritiene che non possa esplicarsi l'efficacia prenotativa in caso di sostanziale mutamento del
rapporto giuridico.
Quanto alle modifiche soggettive, cfr. Casu, Studio del CNN n. 1702/b, La trascrizione del
contratto preliminare, cit., precisa che “E’ indispensabile, perché il meccanismo della prenotazione
della trascrizione del preliminare trovi attuazione, che tra i soggetti che hanno stipulato il
preliminare e i soggetti che stipulano il definitivo esista una perfetta corrispondenza. Questo in
linea di principio, perché può verificarsi che nella fase di passaggio dal preliminare al definitivo si
verifichino mutamenti di soggetti. In tal caso, ferma la regola che comunque questi
mutamenti debbono essere assoggettati alla pubblicità immobiliare con apposita trascrizione (non
basterebbe infatti la semplice annotazione, il cui scopo è di completare le formalità iscritte, non di
iscriverle ex novo), è indispensabile che i mutamenti stessi si saldino con il contratto originario,
contribuendo a perpetuarne gli effetti. E’ il caso del contratto per persona da nominare, della
cessione del contratto, del contratto a favore di terzi, fattispecie che vanno singolarmente trattate”.
Sulle modifiche soggettive, cfr., exmultis, De Donato, La trascrizione del contratto preliminare:
particolari fattispecie di interesse notarile, cit., 432; Mariconda, Fattispecie trascrivibili e aspetti
transitori, cit.; Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit; Patti, Contratto
preliminare per persona da nominare, cit 256; Gabrielli,L’efficacia prenotativa della trascrizione
del contratto preliminare, cit.; Gisolfi, Nota a Cassazione civile, 25.09.2002 n. 13923. Il
preliminare per persona da nominare osservazioni in tema di contratto per persona da
nominare, cessione del contratto e contratto a favore d terzo, in Riv. Notariato, 2003, 5,1241."
-------Su CNN Notizie del 21 ottobre scorso è stata data la seguente risposta al Quesito
Tributario n. 36-2014/T, in tema di PROCEDURA FALLIMENTARE TRATTAMENTO FISCALE VERBALE DI AGGIUDICAZIONE IMMOBILE
ALL’INCANTO.
Si riporta la versione definitiva.
"Si chiede di sapere se possa considerarsi esente da registrazione, ai sensi dell’art. 11 ter
della tabella allegata al D.P.R. 131/1986, il verbale di aggiudicazione
all’incanto di immobile redatto da notaio nell’ambito della procedura fallimentare.
Si ricorda che l’art. 11 ter della tabella allegata al D.P.R. 131/1986 dispone l’esenzione
dall’obbligo di registrazione per verbali di gara o d’incanto, dichiarazioni di nomina di cui
all’art. 583 del codice di procedura civile e relativi depositi, redatti o ricevuti dai notai
delegati.
La disposizione è stata introdotta dall’art. 19 comma 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133
con decorrenza 18 maggio 1999.
La previsione di esenzione da registrazione parrebbe porsi in conseguenza alle modifiche
operate al codice di procedura civile.
Con l’art. 3 della legge 302/1998 è stato infatti inserito nel corpus normativo del codice di
procedura civile l’art. 591-bis in base al quale il notaio può essere delegato dal giudice
dell’esecuzione delle operazioni di vendita di beni immobili (1).
L’espressa previsione d’esenzione parrebbe essersi resa necessaria in relazione agli atti
compiuti dal notaio nell’ambito della procedura esecutiva.
Occorre ricordare, in proposito, che gli atti dell’autorità giudiziaria in sede civile e penale
diversi da quelli espressamente contemplati nella parte prima della Tariffa, sono
annoverati dall’art. 2 della tabella e, in ragione di ciò,risultano esenti dall’obbligo di
registrazione.
18
Benché non pare possibile individuare posizioni univoche sul punto, è opportuno segnalare
che, secondo l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, l’ambito applicativo dell’art.
2 menzionato possa individuarsi solo per differenza rispetto all’art. 8 della tariffa parte
prima, con la conseguenza che possono farsi rientrare in tale perimetro applicativo gli atti
dell’autorità giudiziaria non idonei a definire anche parzialmente il giudizio (2). Devono
dunque ritenersi destinatari del particolare trattamento impositivo di cui all’art. 2 della
tabella tutti gli atti che non siano ricompresi nella portata della norma contenuta nell’art. 8
della tariffa, quali quelli che non incidono su diritti soggettivi delle parti in causa. In tale
concetto, secondo alcuni autori, rientrano tutti i provvedimenti giudiziari che esauriscono
la propria funzione sul piano meramente processuale senza incidere sulla sfera giuridica
delle parti (3).
Seguendo questa logica, prima dell’introduzione dell’art. 11-ter, poteva apparire dubbio se
gli atti compiuti nell’ambito della procedura esecutiva dal notaio delegato ai sensi dell’art.
591-bis potessero o meno rientrare nella previsione d’esenzione da registrazione.
Al riguardo occorre altresì considerare, con specifico riferimento alla natura giuridica del
verbale d’incanto nel processo esecutivo, che si è di fronte ad un atto che ha natura
processuale e, più precisamente, può essere qualificato come atto del processo esecutivo.
Muovendo da questo presupposto taluno è giunto a ritenere che non possa al contempo
escludersi la natura di atto notarile laddove il verbale sia redatto o ricevuto da notaio e che
sia soggetto, in quanto tale, (anche) alla legge notarile (4).
In base a queste argomentazioni si poteva ritenere che il verbale redatto dal notaio ai sensi
dell’art. 591-bis c.p.c.dovesse essere registrato.
La ratio della previsione d’esenzione specifica di cui all’art. 11-ter potrebbe dunque
ritrovarsi nella circostanza che il notaio riceve una delega a svolgere una funzione che è
propria del giudice dell’esecuzione. In ragione di ciò il verbale di gara o d’incanto redatto o
ricevuto nell’ambito della procedura espropriativa delegata è assoggettato allo stesso
regime applicabile nell’ipotesi in cui l’esecuzione sia condotta direttamente dal giudice.
Nell’ambito del fallimento le norme utilizzabili per porre in essere la “delega” al notaio per
la liquidazione dei beni del fallito sono sostanzialmente due: l’art. 104-ter III co. l.f. e l’art.
107 II co. l.f.
Ai sensi dell’art. 104-ter il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare
ad altri professionisti alcune incombenze della procedura relativa alla liquidazione
dell’attivo.
La norma consente la disponibilità di un’ampia gamma di operazioni, quali ad esempio
l’affidamento ad altri professionisti delle operazioni di vendita sul modello dell’art. 591bis c.p.c. (5).
La nomina del notaio può avvenire anche in applicazione dell’art. 107 II comma l.f.
La norma appena citata dispone che “il curatore può provvedere nel programma di
liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate
dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto
compatibili”; in sostanza il curatore può chiedere al giudice di procedere lui stesso alla
vendita invece di lasciarla al curatore istante.
La disposizione suindicata, facendo riferimento al codice di procedura civile e alle norme
di questo compatibili con la legge fallimentare, consente al giudice di delegare la vendita, a
lui richiesta, ad un notaio di sua fiducia ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c.; in questo modo il
notaio delegato dal giudice alla vendita dei beni del fallimento ai sensi dell’art. 107 II
comma in combinato disposto con l’art. 591-bis c.p.c., e quindi invece dell’organo
giudiziario espressamente richiesto dal curatore, esercita l’attività liquidativa (6).
Si può osservare dunque che, nel primo caso è il curatore, seppur con l’approvazione del
giudice, ad affidare le incombenze della procedura al notaio, nell’altro caso è il giudice
stesso che può delegare le operazioni di vendita immobiliare ai sensi dell’art. 591-bis del
codice civile. Si tratta dunque di un differente ruolo per il notaio: nell’un caso potrebbe
19
qualificarsi come “delegato” del curatore (o, secondo alcuni, ausiliario del giudice) (7),
nell’altro come sostituto del giudice (8).
Sebbene sia controversa la natura delle funzioni svolte dal curatore fallimentare (9), può
senz’altro affermarsi che sianoposte in essere nell’ambito di una procedura
coattiva equiparabile alla vendita effettuata nell'ambito della procedimento esecutivo (10),
ancorché non siano riconducibili alla funzione giurisdizionale in senso stretto.
Ciò posto, s’è prima evidenziato come, in base ad una certa interpretazione, l’ambito
applicativo dell’art. 2 della tabella possa individuarsi solo in via residuale rispetto all’art. 8
della tariffa, parte I. Conseguentemente, dovrebberorientrare nella previsione d’esenzione,
tutti gli atti dell’autorità giurisdizionale, diversi da quelli contemplati nel menzionato
articolo 8, che esauriscono la propria funzione sul piano meramente processuale.
Seguendo questo ragionamento, il riferimento soggettivo all’autorità giurisdizionale,
contenuto nell’art. 2, non assume rilevanza determinante nell’individuazione dell’ambito
applicativo della stessa disposizione, potendo farvi in essa rientrare gli atti del processo
non idonei a definirlo - che, quindi, abbiano funzione endoprocessuale - anche se emanati
da soggetti diversi dal giudice.
In altri termini, ferma la necessità di appurare se si tratti di un atto processuale,
nell’applicazione dell’esenzione da registrazione di cui all’art. 2 menzionato potrebbe
prevalere la valutazione circa funzione oggettiva dell’atto stesso rispetto alla sua riferibilità
soggettiva all’autorità giurisdizionale.
Occorre in quest’ottica porre in luce come l’assetto cui l’art. 2 della tabella menzionata
faceva riferimento sia indubbiamente mutato nel tempo. Nell’ambito della procedura
esecutiva immobiliare (ma anche in sede fallimentare), il ruolo e l’attività del giudice sono
stati rimodulati con la finalità di “degiurisdizionalizzare” e snellire la procedura stessa (11).
La disposizione di cui all’art. 11-ter potrebbe allora considerarsi volta a confermare il
medesimo principio contenuto nella disposizione generale d’esenzione da registrazione di
cui all’art. 2 più volte menzionato e a sancire, ai fini della tassazione, la prevalenza della
funzione endoprocessuale del verbale di gara o d’incanto, rispetto alla sua, pur
riconosciuta, natura di atto pubblico notarile.
Dunque, ragionevolmente argomentando dalla natura endoprocessuale dell’atto qui in
esame, così come risulta dal sistema della legge fallimentare, è possibile sostenere che
tanto nell’ipotesi in cui il notaio sia “delegato” dal curatore al compimento delle operazioni
di liquidazione ai sensi all’art. 104-ter, che nel caso previsto dall’art. 107, in cui sia il
giudice a delegare il notaio secondo le norme del codice di procedura civile, il verbale di
aggiudicazione da esso redatto sia comunque esente da registrazione.
Diversamente, l’interpretazione restrittiva del combinato disposto dell’art. 2 e 11-ter della
tabella, in base alla quale il verbale di aggiudicazione dovrebbe considerarsi non soggetto a
registrazione solo nell’ipotesi in cui le operazioni di vendita di competenza del giudice ai
sensi dell’art. 107 secondo comma citato vengano delegate al notaio in forza dell’art. 591bisc.p.c., seppur plausibile, appare in minor misura sostenibile con argomenti di carattere
sistematico, risultando ancorata in prevalenza al dato testuale.
________________________
1)
Si rinvia sul punto allo studio 2297 approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 12
novembre 1998, Espropriazione forzata immobiliare e compiti affidati al notaio (a proposito
della legge 3 agosto 1998, n. 302), est. G. Casu- N. Raiti
2)
Sul punto e per riferimenti si veda MASTROIACOVO, Imposte di registro, ipotecaria e
catastale nelle procedure concorsuali, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle
procedure concorsuali e delle grandi imprese in crisi, Milano, 2013, 198-199.
3)
Sul punto si veda FANTOZZI – TINELLI, Il regime tributario del processo civile, Torino,
1994, 148-149.
4)
cfr. G. Casu, Verbale d’incanto nel processo esecutivo (natura giuridica), in Dizionario
giuridico del Notariato, Milano, 2006, 1085 e ss.
20
5)
Cfr. sul punto ESPOSITO, Il programma di liquidazione profili applicativi, in Jorio –
Fabiani ( a cura di ) Il nuovo diritto fallimentare, Torino, 2007, 1721
6)
Si rinvia per la disamina di tale specifica problematica a FABIANI, Funzione processuale del
notaio ed espropriazione forzata, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali (a cura
della Commissione Studi), n. 2/2002, 517 ss e Riv. dir. civ., 2002, II, 131 ss; ID., Delegabilità ai
notai delle operazioni di vendita immobiliare con incanto in sede fallimentare, in Consiglio
Nazionale del Notariato, Studi e materiali (a cura della Commissione Studi), n. 1/2004. In tema si
veda Studio n. 6-2011/E, I diversi possibili ruoli nel notaio nella fase di liquidazione della nuova
procedura fallimentare, est. P. D’Adamo
7)
Vi è chi sostiene che il “professionista” notaio cui è affidata la vendita ai sensi dell’art. 104ter, comma 3, L.F. non sarebbe più un delegato del giudice, bensì un delegato del curatore, i cui atti
sono sottoposti ad analitica verifica da parte del giudice delegato e sono opponibili, secondo una
parte della dottrina, con gli stessi strumenti con i quali ci si oppone agli atti del curatore; il
professionista delegato ex art. 104-ter L.F. sarebbe, quindi, portatore di un potere di
rappresentanza del curatore nel compimento dei singoli atti delegati (TRENTINI, Controllo sugli
atti del professionista delegato alla vendita del fallimento, nota a Cass. 11 maggio 2007 n. 10925,
in Il Fallimento, 2007, 1163 ss.) in senso contrario c’è chi ritiene che il notaio delegato rimanga un
ausiliario del giudice delegato in quanto il potere che legittima la nomina da parte del curatore e a
cui è sottoposto l’atto di nomina stesso deriva geneticamente dal giudice delegato; in tal caso
appare, però, dubbio che il notaio nominato ex art. 104-terL.F. possa essere considerato un
delegato del giudice alla stregua di quanto avviene nelle esecuzioni individuali con l’art. 591bis c.p.c.(D’ADAMO, Le procedure competitive all’interno della riforma della liquidazione
dell’attivo, cit., 1244)
8)
La dottrina prevalente (DI NANNI, Espropriazione immobiliare: delega ai notai delle
operazioni di vendita, con incanto, in Corr. giur., 1998, 1378; FABIANI, Funzione processuale del
notaio ed espropriazione forzata in Riv. dir. civ., 2002, II, 145; LUISO- MICCOLI, Espropriazione
forzata immobiliare e la delega ai notai degli incanti, Riv. esec. Forz., 2003, 365) ritiene che
nell’esercizio della delega di cui all’art. 591 il notaio assuma il ruolo di sostituto anziché di mero
ausiliario del del giudice, poiché la sua attività supera i compiti di assistenza o di collaborazione
subordinata che caratterizza gli ausiliari, al pari di quanto accade nello svolgimento delle
operazioni divisionali delegate dal giudice istruttore.
9)
Secondo alcune teorie, ormai risalenti, al curatore doveva essere riconosciuta una funzione
di rappresentanza o di sostituzione del fallito o dei creditori ovvero di entrambi. Si vedano i
riferimenti in FERRARA, Curatore del fallimento, in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 511. In base ad
un’altra concezione il curatore dovrebbe qualificarsi come “incaricato giudiziario con posizione
autonoma che si pone al fianco del giudice”. In tale qualità egli assumerebbe il compito di
amministrare e liquidare il compendio fallimentare al fine di soddisfare i creditori in coerenza con
la regola della par condicio creditorum, al punto che, in considerazione della delicatezza del
mandato conferitogli, l’art. 30 della legge fallimentare gli attribuisce la qualifica di pubblico
ufficiale. In questo senso FERRARA, Curatore del fallimento, cit. , 513, PROVINCIALI, Trattato di
diritto fallimentare, I, Milano, 1974, 698; SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1974,
118; Cass. Civ. n. 11572/1992. Sulla finalità dell’attribuzione della qualifica dipubblico ufficiale
in giurispr. Cass. 8704/1998; Cass. pen. 8282/1973. Più di recente c’è chi invece ha ritenuto che la
qualifica di pubblico ufficiale attribuita al curatore risulti anacronistica (LO CASCIO, Il fallimento
e le altre procedure concorsuali, Milano 2007, 241 contra MANDRIOLI,Poteri, funzioni e
responsabilità del nuovo curatore fallimentare, in www.ilcaso.it del 18 giugno 2007) e che i profili
pubblicistici del ruolo che il curatore assolve risultano stemperati dal nuovo assetto dei rapporti tra
gli organi tanto da indurre alcuni a ritenere configurabile, attesa la sua più spiccata natura
privatistica, il diritto al risarcimento dei danni per un’ingiusta destituzione dall’incarico (cfr. i
riferimenti citati da SPIOTTA,Ilcuratore, In Jorio- Fabiani (a cura di) Il nuovo diritto fallimentare,
Bologna, 2010, 190.
10) Ex multis IOZZO, La liquidazione dell’attivo, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla
riforma “organica” al decreto “correttivo”, Bologna, 2008, 279 Cfr. di recente in questo senso
Tribunale di Pescara, ord. 3 Aprile 2012.
11) Si veda per quanto attiene alla procedura esecutiva immobiliare MONDINI, Delegabilità ai
notai delle operazioni d’incanto nelle espropriazioni immobiliari, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1997, 268, secondo il quale degiurisdizionalizzare significa decentrare a soggetti non giuridici, che
21
possono agire con maggiore libertà di forme e quindi con maggiore tempestività il compimento di
attività che, pur essendo inserite nel processo esecutivo avente indubbia natura giurisdizionale,
non sono di per se stesse espressione di jus dicere riservate queste ultime al giudice in via esclusiva.
Anche il contesto normativo delineato dalla riforma della legge fallimentare (attuata dal D.lgs. n.
5/2006 e dal D.lgs.n. 169 2007) è ispiratoad un’ottica di “degiurisdizionalizzazione” della
procedura del fallimento. È stato infatti ridisegnato il ruolo del curatore attribuendogli una
marcata funzione gestionale che peraltro è bilanciata dall’opera di vigilanza che tuttora spetta al
giudice delegato e al tribunale fallimentare nonché dai nuovi poteri attribuiti al comitato dei
creditori cfr. in tema MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, Torino, 2011, 35 ed ivi ulteriori
riferimenti."
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Su CNN Notizie del 20 ottobre scorso è stato pubblicato il Quesito di Impresa n. 5622014/I, intitolato CONFERIMENTO DI INVENZIONE INDUSTRIALE IN CORSO
DIBREVETTAZIONE E PUBBLICITÀ, la cui risposta qui si riporta.
"Si espone la seguente fattispecie: in sede di aumento di capitale di una s.r.l. un socio, in
qualità di inventore depositante e titolare di una domanda di brevetto italiano per
invenzione industriale, conferisce in società una quota pari allo 0,6% dei diritti di
utilizzazione sotto forma di licenza parziale dell’invenzione “alfa”, ovvero – più
precisamente – i diritti di sfruttamento economico dell’invenzione, del know-how e dei
brevetti che verranno successivamente ottenuti in via esclusiva e non la titolarità
dell’invenzione ne’ del brevetto.
Si chiede di sapere se sia possibile e con quale forma dare pubblicità presso l’ufficio
italiano marchi e brevetti del conferimento sopra illustrato dal momento che oggetto di
conferimento sono solo i diritti di sfruttamento economico di un’invenzione per la quale è
stata presentata, ma non ancora ottenuta, la domanda di brevetto.
Qualora tale pubblicità sia possibile si chiede, altresì, di sapere se il notaio che ha rogato il
verbale di aumento del capitale comprensivo del conferimento sia obbligato a curarla (in
che forma ed entro quale termine) oppure se tale pubblicità sia meramente facoltativa od
opportuna.
***
Va al riguardo rilevato come la trascrizione nei registri di proprietà industriale utilizza un
sistema a base reale e concerne tutte quelle privative industriali che siano titolate
(BIANCHI, Atto notarile e nuovi strumenti telematici nei registri della proprietà
industriale, in Fondazione Italiana del Notariato, L’atto pubblico notarile come strumento
di tutela nella società dell’informazione, Milano, 2013, 170 ss.), laddove per privative
titolate debbono intendersi quei diritti di proprietà industriale garantiti da titoli
di brevettazione o da titoli di registrazione.
Ciò, pertanto, sembrerebbe escludere l’assoggettabilità a pubblicità di vicende circolatorie
che abbiano ad oggetto invenzioni industriali che, pur essendo stata presentata la relativa
domanda, non siano state ancora registrate: il che, peraltro, non contrasta neppure con il
principio ricorrente del codice della proprietà industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30),
secondo cui gli effetti della registrazione decorrono dalla domanda, perché è dalla
registrazione che sono conferiti i diritti esclusivi (v., ad esempio, art. 15 commi 1 e 2 c.p.i.);
e analoga previsione v’è con riguardo alla brevettazione, stabilendo l’art. 53 che gli effetti
del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda con la descrizione, le rivendicazioni e
gli eventuali disegniè resa accessibile al pubblico ma che «diritti esclusivi considerati da
questo codice sono conferiti con la concessione del brevetto».
Il sistema della pubblicità, nel c.p.i., è essenzialmente contenuto nell’art. 138 che prevede
che debbono esser rese pubbliche, mediante trascrizione presso l’Ufficio italiano brevetti e
marchi, una serie di vicende relative alle privative industriali (gli atti fra vivi, a titolo
22
oneroso o gratuito, che trasferiscono, in tutto o in parte, i diritti su titoli di proprietà
industriale, quelli che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di
godimento privilegi speciali o diritti di garanzia, gli atti di divisione, di società, di
transazione, di rinuncia relativi a tali diritti, il verbale di pignoramento; le sentenze che
dichiarano l'esistenza degli atti sopra indicati e quelle che pronunciano la nullità,
l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione di un atto trascritto; i
testamenti e gli atti che provano l'avvenuta successione legittima e le sentenze relative;
ecc.). Tale pubblicità opera certamente in funzione di risoluzione del conflitto tra più
acquirenti dal medesimo autore ma ha, secondo l’opinione più accreditata, anche funzione
dichiarativa.
A fronte di un sistema che evoca, sia per funzione che per ambito oggettivo di applicazione,
la disciplina della pubblicità immobiliare e mobiliare, il codice della proprietà industriale
non richiede tuttavia che il titolo in forza del quale la trascrizione può essere attuata abbia
necessariamente le caratteristiche dell’autenticità.
Il comma 3 dell’art. 138 c.p.i. prevede, infatti, che “Per ottenere la trascrizione, il
richiedente deve presentare apposita nota di trascrizione, sotto forma di domanda,
allegando copia autentica dell'atto pubblico ovvero l'originale o la copia autentica della
scrittura privata autenticata ovvero qualsiasi altra documentazione prevista dall'articolo
196”.
E il rinvio a tale ultima disposizione sostanzialmente apre l’accesso al pubblico registro
anche a titoli non autentici, richiedendo per il caso di fusione una certificazione rilasciata
dal Registro delle imprese e, soprattutto, per il caso di cessione o di concessione di licenza
“una dichiarazione di cessione, di avvenuta cessione o di avvenuta concessione di licenza
firmata dal cedente e dal cessionario con l'elencazione dei diritti oggetto della cessione o
concessione”.
Analoga previsione si riscontra anche nell’art. 40, comma 2 del regolamento di attuazione
del codice (D.M. 13 gennaio 2010, n. 33), secondo cui, “alla domanda di trascrizione
debbono essere uniti: a) copia dell’atto da cui risulta il cambiamento di titolarità o dell’atto
che costituisce o modifica o estingue i diritti personali o reali di godimento o di garanzia di
cui al comma 1, lettera a), ovvero copia dei verbali e sentenze di cui al comma 1, lettera b),
osservate le norme della legge sul registro ove occorra, oppure un estratto dell’atto stesso
oppure nel caso di fusione una certificazione rilasciata dal Registro delle imprese o da altra
autorità competente, oppure, nel caso di cessione, una dichiarazione di avvenuta cessione
firmata dal cedente e dal cessionario con l’elencazione dei diritti oggetto della
cessione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi può richiedere che la copia dell’atto o
dell’estratto sia certificata conforme all’originale da un pubblico ufficiale o da ogni altra
autorità pubblica competente”.
Va altresì rilevato come, nella disciplina della pubblicità della proprietà industriale manchi
una norma analoga all’art. 2671 c.c. (né questo è in alcun modo richiamato) che obbliga il
notaio che abbia ricevuto il relativo atto ad effettuarne la trascrizione.
In conclusione, in base all’attuale disciplina del c.p.i., il notaio non ha un obbligo di
provvedere alla trascrizione; trascrizione che, nel caso di specie, potrà avvenire solo dopo
che sarà stato concesso il brevetto per l’invenzione industriale conferenda."
--------Su CNN Notizie del 12 ottobre scorso è stato pubblicato lo studio DECRETO LEGGE
47/2014 E MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DEGLI IMMOBILI DA
COSTRUIRE, a cura del collega Giovanni Rizzi.
Si pubblica per intero.
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"Sommario: 1. La nullità della clausola di rinuncia; 2. La fideiussione; 3. La assicurazione
indennitaria decennale; 4. Il contenuto del contratto preliminare; 5. Le altre modifiche
contenute nel D.L. 28 marzo 2014 n. 47.
1. La nullità della clausola di rinuncia
Il Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, di attuazione alla legge 2 agosto 2004 n. 210
recante delega al governo per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili
da costruire, ha introdotto nel nostro ordinamento un "pacchetto" articolato di tutele a
favore dell'acquirente di immobile da costruire. Tale pacchetto comprende:
i) l'obbligo posto a carico del costruttore di consegnare all'acquirente una
fideiussione a garanzia di tutte le somme o comunque dei corrispettivi incassati dal
costruttore stesso sino al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di
godimento (artt. 2 e 3);
ii) l'obbligo posto a carico del costruttore di consegnare all'acquirente una polizza
assicurativa indennitaria di durata decennale a garanzia dell'obbligo posto a carico dello
stesso di risarcire gli eventuali danni materiali e diretti dell'immobile derivanti da rovina
totale o parziale o da gravi difetti costruttivi (art. 4)
iii) l'obbligo di conformare il contratto preliminare, nonché qualsiasi altro contratto
comunque diretto al successivo trasferimento della proprietà o di diverso diritto reale di
godimento, ad un contenuto "minimo" fissato dal legislatore (con previsione di specifiche
allegazioni) (art. 6)
iv) l'ampliamento dei soggetti legittimati a richiedere la suddivisione del mutuo fondiario
in quote ed il corrispondente frazionamento della garanzia ipotecaria e la previsione, nel
caso di inerzia della Banca, di un procedimento sostitutivo con l'intervento del Notaio (art.
7)
v) l'impedimento posto a carico del Notaio di procedere alla stipula di atti di
compravendita, se prima o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla
suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la
cancellazione o frazionamento dell'ipoteca o del pignoramento (art. 8)
vi) il diritto di prelazione a favore dell'acquirente, privato dell'immobile dallo stesso già
adibito ad abitazione principale per sé o per parente di primo grado, nel caso di vendita
all'incanto dell'immobile stesso nell'ambito di procedura esecutiva(art. 9)
vii) l'esclusione dalla revocatoria fallimentare per immobili che l'acquirente (per sé ovvero
per suoi parenti ed affini entro il terzo grado) si sia impegnato ad abitare, se trasferiti a
"giusto prezzo" (art. 10)
viii) la possibilità per l'acquirente di escutere la garanzia fideiussoria prima che il curatore
comunichi la scelta tra l'esecuzione o lo scioglimento del contratto (art. 11).
Scopo della normativa in commento, è quello di tutelare il “contraente debole”, rimediando
alle inevitabili“asimmetrie contrattuali” che si registrano quando diversi sono i “rapporti
di forza” tra le parti contrattuali, asimmetrie per compensare le quali, pertanto, il
legislatore è intervenuto imponendo l'osservanza di determinate regole di comportamento
che possano garantire un “riequilibrio” tra le contrapposte posizioni e quindi rapporti più
equi tra le parti.
La disciplina di tutela, peraltro, non si applica ad ogni atto negoziale avente per oggetto un
fabbricato da costruire o in corso di costruzione, ma solo se ricorrono tutti
i presupposti (soggettivi, oggettivi e contrattuali) di applicazione della normativa in
commento così come previsti dal Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, presupposti,
peraltro, non sempre delineati con precisione. (1)
I presupposti di applicabilità della nuova disciplina di tutela, così come definiti dall'art. 1
del decreto in commento sono i seguenti:
24
a) Presupposto soggettivo: riguarda le parti del contratto; è richiesto che a vendere o
a promettere di vendere sia uncostruttore che agisce nell’esercizio di impresa e che ad
acquistare o a promettere di acquistare sia una persona fisica.
b) Presupposto oggettivo: deve trattarsi di “immobili da costruire” ossia di immobili
per i quali, da un lato, “sia già stato richiesto il permesso di costruire” ma che
dall’altro ”siano ancora da edificare o per i quali la costruzione non risulti essere stata
ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di
agibilità”.
Per quanto riguarda la tipologia di fabbricato la disposizione di cui all'art. 1 non fa
distinzioni di sorta: la nuova disciplina di tutela si applica, pertanto, a prescindere dalla
destinazione d'uso del fabbricato da costruire che potrà indifferentemente essere
residenziale, commerciale, produttiva, direzionale, ecc., con la eccezione delle fattispecie
contemplate
dall'art.
9 (relativa
al
diritto
di
prelazione) e
dall'art.
10 (relativa alla esenzione della revocatoria fallimentare) che fanno espresso riferimento
ad immobili che l'acquirente si impegni (art. 10) o abbia già adibito (art. 9) ad abitazione
propria (o di parenti in primo grado, per l'art. 9, di parenti ed affini fino al terzo grado per
l'art. 10), limitando pertanto il proprio ambito di applicazione ad immobili a destinazione
residenziale.
Esiste poi un terzo presupposto per l’applicazione della normativa in commento che
potremmo definire “presupposto contrattuale”. Tale presupposto, peraltro, non è
unico e valido per tutte le fattispecie disciplinate dal decreto legislativo 122/2005 e non è
“ricavabile” in via generale dell’art. 1 del decreto: l’art. 1 alla lettera a) parla infatti, con
riguardo all’acquirente, di “persona fisica che sia promissario acquirente o che acquisti un
immobile da costruire ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di
leasing, che abbia o possa avere per effetto l’acquisto o comunque il trasferimento non
immediato della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un
immobile da costruire” con ciò ricomprendendo ogni fattispecie contrattuale (preliminare,
acquisto ad effetti immediati, acquisto ad effetti differiti) avente per oggetto immobili da
costruire (la definizione di cui alla lettera b) dell’art. 1 relativa al costruttore
venditore é del
tutto
speculare). Il
presupposto
contrattuale
va
quindi
verificato edindividuato con riguardo alla disciplina specifica dettata per ciascuna singola
fattispecie. Ad esempio, con riguardo specifico alla garanzia fideiussoria, la normativa in
commento si applica solo in caso di stipula di contratti che abbiano come finalità il
trasferimento non immediato della proprietà o di un altro diritto di godimento su un
immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità. Così dispone l’art. 2, del
decreto.
In passato ci si era chiesti se le tutele discendenti dal Decreto legislativo 20 giugno 2005,
n. 122 rientrassero nella disponibilità delle parti e quindi se la parte acquirente (ossia la
parte nel cui interesse erano previste dette tutele) potesse rinunciare alle stesse.
La questione si poneva soprattutto per quelle forma di tutela che esigono uno specifico
comportamento (spesso comportante oneri economici) da parte del venditore (consegna
della fideiussione, per la tutela sub a), consegna della polizza indennitaria decennale, per
la tutela sub b), conformazione del contenuto del preliminare ai requisiti di legge, per la
tutela sub c), per le quali si poteva prospettare un interesse del venditore (“parte forte” del
contratto”) ad essere dispensato dagli oneri imposti dalla normativa in commento.
La questione non si poneva invece per tutti quei casi in cui la tutela consiste in una facoltà
riconosciuta all’acquirente, a prescindere da qualsiasi comportamento “collaborativo” del
venditore (si pensi alle tutele di cui sub iv, sub vi, sub vii e sub viii), casi nei quali la tutela
discende direttamente dall’ordinamento, senza che vi sia alcun interesse delle parti ad
escluderla, oppure nel caso del divieto di stipula posto a carico del Notaio rogante (tutela
sub v), in quanto la disposizione precettiva, in questo caso, si rivolge direttamente al
Notaio, senza alcuna “mediazione” consentita alle parti.
25
In dottrina, già all’indomani dell’entrata in vigore del Decreto legislativo 20 giugno 2005,
n. 122, si era ritenuto di escludere la possibilità per l’acquirente di rinunciare alle tutele
discendenti da detto decreto (2).
Tale posizione di “chiusura” a qualsiasi possibile forma di rinuncia alle tutele dal Decreto
legislativo 20 giugno 2005, n. 122 ora è stata espressamente sancita anche dal
legislatore. L’art. 10-quater, co. 1, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con
legge 23 maggio 2014, n. 80, infatti, introduce all’art. 5 del Decreto legislativo 20
giugno 2005 n. 122, dopo il comma 1, un nuovo comma 1-bis che così dispone:
“L’acquirente non può rinunciare alle tutele previste dal presente decreto; ogni clausola
contraria è nulla e deve intendersi come non apposta”.
La nuova norma riguarda, peraltro, le sole clausole di rinuncia alla tutela, sancendone la
nullità.
Non incide, invece, sulla disciplina sostanziale delle tutele medesime, che rimane invariata.
Quindi se una tutela non viene di fatto applicata, senza che vi sia stata una preventiva
rinuncia dell’acquirente, formalizzata con apposita clausola contrattuale, il contratto sarà
valido, nullo, o risolubile a seconda della disciplina dettata per la specifica tutela non
applicata.
In caso, invece, di clausola di rinuncia alla tutela, inserita nel corpo dell’atto, detta clausola
sarà senz’altro nulla. Tuttavia la nullità della stessa non si estenderà all’intero contratto,
dovendosi intendere come “non apposta” (si ha, nel caso di specie, un’applicazione del
principio sancito dall’art. 1419 c.c.).
Di seguito una breve sintesi della disciplina in vigore con riguardo alle tre forme di tutela
che, per i motivi sopra illustrati, potrebbero maggiormente essere interessate dalla nuova
norma in commento.
2. La fideiussione
Verificandosi i presupposti di applicabilità della disciplina in commento, quali sopra
illustrati, il “costruttore” prima o al più tardi all’atto della stipula del contratto, dovrà
consegnare all’”acquirente” una fideiussione, rilasciata da una banca o da un’impresa di
assicurazione o da intermediario finanziario a ciò abilitato (3), a garanzia di un importo pari
alle somme e/o al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore abbia già
riscosso o, secondo i termini e le modalità stabilite in detto contratto, debba ancora
riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di
godimento. La garanzia pertanto dovrà “coprire”:
- le somme che il costruttore abbia già riscosso o i valori (4) che il costruttore abbia già
acquisito al momento della stipula del contratto
- le somme che, in base al contratto, il costruttore debba riscuotere o i valori che il
costruttore debba acquisire dopo la stipula del contratto ma prima che si verifichi il
trasferimento della proprietà o del diverso diritto reale di godimento.
La garanzia non riguarderà invece somme e valori che il costruttore è invece destinato a
riscuotere e/o acquisire solo nel momento in cui si verifichi il trasferimento della proprietà
dell’edificio o di altro diritto reale sullo stesso.
Sono inoltre escluse:
- le somme per le quali è pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuante (5)
- i contributi pubblici già assistiti da autonoma garanzia (6)
Se è previsto l’accollo del mutuo (o di quota frazionata del mutuo) stipulato dal
costruttore:
- la garanzia non riguarderà quelle somme che l’acquirente si è impegnato a pagare
mediante accollo del mutuo stipulato dal costruttore, accollo da perfezionare nel momento
in cui verifichi il trasferimento a favore dell’acquirente della proprietà dell’edificio o di
altro diritto reale sullo stesso;
26
- la garanzia invece dovrà “coprire” anche quelle somme che l’acquirente abbia pagato
mediante
accollo
del
mutuo
stipulato
dal
costruttore,
qualora
detto
accollo venga perfezionato in momento precedente a quello in cui è previsto il
trasferimento a favore dell’acquirente della proprietà dell’edificio o di altro diritto reale
sullo stesso (con assunzione da parte del “costruttore” della veste di “terzo datore di
ipoteca”)
L’art. 1, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, prevede espressamente che la
fideiussione possa essere rilasciata “anche secondo quanto previsto dall’art. 1938 c.c.” a
norma del quale la “fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione
condizionale o futura con la previsione in quest’ultimo caso dell’importo massimo”.Scopo
del richiamo operato dal decreto è quello di consentire il rilascio di polizze fideiussorie a
contenuto “progressivo”, volte cioè a garantire gli importi via via effettivamente riscossi
dal costruttore entro il limite massimo costituito dall’intero importo che il costruttore
dovrà incassare prima del trasferimento della proprietà o del diritto reale (la garanzia,
infatti, in caso di escussione riguarda il rimborso solo di quanto effettivamente versato
dall’acquirente); il tutto, ovviamente, per contenere i costi della polizza
medesima. Infatti appare inutile garantire, da subito, somme non ancora incassate
materialmente dal costruttore, e che pertanto, in caso di “situazione di crisi” comunque
non vanno rimborsate all’acquirente(7)
Si ritiene, in relazione a quanto disposto dall'art. 2, primo comma, e dall'art. 3, ultimo
comma, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, che la fideiussione debba essere
rilasciata con durata fissata sino al momento del trasferimento della proprietà o del diverso
diritto reale di godimento, in quanto questo è il momento sino al quale, in base alla
normativa in commento, l'acquirente deve essere tutelato e garantito. Nel caso venga,
invece, rilasciata una fideiussione con scadenza a termine "fisso", tale termine non deve in
alcun modo precedere quello indicato in contratto come momento del verificarsi
dell'effetto traslativo; ad esempio in un contratto preliminare, il termine di durata della
fideiussione non potrà precedere il termine fissato per la stipula del contratto definitivo.
Qualora sia prevista la facoltà per le parti di prorogare il termine contrattualmente previsto
per il prodursi dell'effetto traslativo, dovrà anche essere previsto che, l'esercizio di tale
facoltà sia subordinato alla preventiva proroga del termine di scadenza della fideiussione,
affinché tale ultimo termine vada a scadere sempre in un momento successivo o
quantomeno coincidente con quello del trasferimento della proprietà.
In caso di violazione della disciplina relativa all’obbligo di consegna della fideiussione,
l’art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, prevede espressamente la nullità del
contratto.
La nullità, peraltro, può essere fatta valere solo dall’acquirente “tutelato” (cd. “nullità
relativa”): il costruttore inadempiente, pertanto, non potrà “sfruttare” il suo
inadempimento per chiedere la nullità di un contratto della cui stipula si è pentito.
Deve ritenersi applicabile la sanzione della nullità anche nel caso in cui la garanzia
fideiussoria prestata non presenti tutte le caratteristiche prescritte dalla legge; ad esempio:
- nel caso di garanzia prestata solo per parte delle somme da garantire (in questa
fattispecie può pertanto ricondursi anche quella del "prezzo simulato");
- nel caso di garanzia prestata da soggetto diverso da quelli indicati dalla legge
- nel caso di polizza rilasciata senza la previsione della rinuncia al beneficio della
preventiva escussione del debitore principale
Non è previsto negli artt. 2 e 3, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n.
122, alcun adempimento di carattere formalein relazione alla garanzia fideiussoria ed in
particolare non è previsto alcun obbligo di menzionare gli estremi della fideiussione nel
contratto. Tale obbligo è invece previsto nel successivo art. 6 che nella rubrica reca il
titolo “contenuto del contratto preliminare” ma che nel dispositivo poi estende il proprio
ambito di applicazione ad “ogni altro contratto che ai sensi dell’art. 2 sia comunque
27
diretto al successivo acquisto in capo a persona fisica della proprietà o di altro diritto
reale su immobile da costruire”, e quindi in pratica a tutti quei contratti ad effetti traslativi
non immediati cui fanno riferimento le disposizioni degli artt. 1 e 2 ed ai quali si applica la
disciplina di tutela in commento. In particolare l’art. 6, primo comma,lett. g), stabilisce che
il contratto preliminare ed ogni altro contratto che sia comunque diretto al successivo
acquisto in capo a persona fisica della proprietà o di altro diritto reale su immobile da
costruire, devono contenere gli estremi della fideiussione di cui all’articolo 2. Tuttavia
detta disposizione non prevede la sanzione della nullità per il caso di omissione di taluna
delle menzioni nella stessa previste. In dottrina si discute sulla sanzione applicabile in caso
di violazione delle prescrizioni dell’art. 6 (vedi in appresso); si ritiene, peraltro, di
escludere la sanzione della nullità, neppure relativa, con la conseguenza che il contratto
sarà e rimarrà valido qualora la garanzia fideiussoria sia stata di fatto rilasciata, a
prescindere dalla circostanza che la stessa sia stata o meno menzionata in atto. Quando
invece il legislatore ha chiesto la menzione degli estremi della fideiussione a pena
di nullità lo ha detto espressamente: si pensi alla disciplina in tema
di "multiproprietà",dettata dall'art. 72-bis, terzo comma, Decreto legislativo 6 settembre
2005, n. 206 (Codice del Consumo), che così dispone: "Delle fideiussioni deve farsi
espressa menzione nel contratto di multiproprietà a pena di nullità"
L’acquirente, come già ricordato, stante la disposizione dell’art. 5, co. 1-bis, Decreto
Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, introdotta dall’art. 10-quater, co. 1, D.L. 28 marzo
2014,
n.
47, non
può rinunciare preventivamente
alla
garanzia
fideiussoria. Un’eventuale clausola di rinuncia inserita in contratto è nulla e deve
intendersi come non apposta, con la conseguenza che:
- la rinuncia dell’acquirente alla polizza fideiussoria non avrà alcun effetto, e della stessa
non potrà avvalersi la parte venditrice
- il contratto stipulato è nullo, ma non tanto per la presenza della clausola nulla di rinuncia
(come già detto la nullità della clausola non si estende all’intero contratto, ex art. 1419
c.c.) ma per la mancata consegna della fideiussione; si tratterà di “nullità relativa” in
quanto potrà essere fatta valere solo dall’acquirente “tutelato”.
Con riguardo a questa specifica nullità un quesito si impone: se il preliminare stipulato è
nullo a sensi dell’art. 2,Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, per omessa consegna
della fideiussione (fattispecie alla quale va equiparata quella della fideiussione non
conforme alla legge) è ugualmente possibile stipulare il contratto definitivo? ovvero la
nullità del preliminare (seppur relativa) si estende anche al definitivo?
Non è certo, questa, la sede per affrontare la problematica della “autonomia causale” del
definitivo rispetto al preliminare. Ne è possibile dare una risposta certa ad una questione
che ha diviso dottrina e giurisprudenza. È del tutto evidente che se si segue la tesi
della piena autonomia strutturale e funzionale del contratto definitivo rispetto al
preliminare, in base alla quale è al momento della formazione del consenso definitivo, e
non a quello relativo al contratto preliminare, che bisogna fare riferimento per valutare la
validità del contratto stipulato in esecuzione del preliminare, nessun impedimento
sussisterebbe alla stipula del definitivo anche nel caso di preliminare nullo per omessa
consegna della fideiussione, salva, peraltro, la possibilità per l’acquirente di chiedere
l’annullamento del contratto definitivo così stipulato in caso di “errore di diritto” ossia nel
caso in cui lo stesso riesca a dimostrare che la ragione unica o principale, che lo ha indotto
a stipulare il definitivo, sia stato l'erroneo convincimento sulla validità del preliminare che
lo obbligava a concludere quel contratto.
Diversa è invece la prospettiva aderendo all’opposta tesi della funzione “solutoria” del
definitivo, in base alla qualeil contratto definitivo altro non sarebbe che mero atto di
esecuzione di una volontà che già si è formata in tutta la sua interezza in occasione della
stipula del preliminare, con la conseguenza che ogni causa di invalidità o di inefficacia del
preliminare si trasmetterebbe necessariamente anche al definitivo.
28
Ma anche a prescindere dall'accoglimento dell'una o dell'altra delle due tesi sopra esposte,
sembra del tutto plausibilela tesi di chi, con riguardo specifico alla fattispecie in oggetto,
ritiene che una volta stipulato il contratto definitivo si abbia una sorta di “sanatoria
implicita” del contratto preliminare nullo per l’omessa consegna della fideiussione. È
chiaro, infatti, che se la fideiussione, nel caso di stipula di un preliminare, deve garantire il
promissario acquirente per le somme dallo stesso anticipate, sino al momento del
trasferimento della proprietà (vedi art. 3, comma 7, Decreto Legislativo 20 giugno 2005,
n. 122) e se la nullità relativa costituisce, a sua volta, lo strumento a disposizione del
promissario acquirente per rendere effettivo il diritto ad ottenere questa garanzia, ne
discende che una volta avvenuto il trasferimento della proprietà e venuti meno “i rischi”
che richiedevano l’attivazione della garanzia fideiussoria, debbano venire meno anche tutte
le conseguenze negative previste per il caso in cui la garanzia non sia stata prestata.
Pertanto se è stato stipulato un preliminare senza consegna della fideiussione, e come tale
affetto da nullità relativa, ha un senso far valere detta nullità prima di un
possibile“tracollo” del costruttore, e ciò al fine di sciogliersi dal rapporto contrattuale
viziato ed ottenere o la restituzione di quanto versato o la stipula di altro preliminare
accompagnato dalla consegna della fideiussione. Ma se il promissario acquirente non ha
agito per chiedere la nullità del preliminare e ciò nondimeno stipula l’atto definitivo, non vi
è più motivo per far valere una nullità che non ha più ragion d’essere, visto che il
promissario acquirente ha comunque raggiunto l’obiettivo prefissato (ossia l’acquisto della
proprietà). In pratica la stipula del definitivo, determinando l’effetto traslativo della
proprietà, priverebbe un’eventuale azione di nullità della sua funzione economico/sociale
(essendo venuto meno il "rischio" da tutelare) e quindi del suo fondamento giuridico e
pertanto determinerebbe una sorta di “sanatoria” o “convalida” automatica del contratto
preliminare “nullo” (si rammenta al riguardo che quella dell’art. 2, Decreto Legislativo 20
giugno 2005, n. 122 è pur sempre una “nullità relativa” posta nell’interesse di una sola
parte, e per la quale, in dottrina, non si esclude la possibilità di una “sanatoria” e/o
“convalida”).
In base a tutte queste considerazioni si ritiene, pertanto, possibile per il Notaio ricevere un
atto definitivo di compravendita, in esecuzione di un preliminare nullo per omessa
consegna della fideiussione ex art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n.
122; senza considerare il fatto che il più delle volte sarà interesse proprio dell’acquirente
stipulare al più presto l’atto definitivo, specie se lo stesso ha anticipato gran parte del
corrispettivo. Un eventuale tracollo del costruttore, proprio perché manca la fideiussione,
lo lascerebbe privo di qualsiasi tutela, né l’azione di nullità potrebbe, in caso di dissesto
totale, fargli riavere le somme sborsate. La disposizione in commento quindi va letta nel
senso che deve fornire una tutela all’acquirente e non certo nel senso di penalizzare
l’acquirente, impedendogli la stipula del definitivo dopo aver rischiato tutte le somme
anticipate per non aver ricevuto la polizza fideiussoria!
Né tale soluzione sembra contrastare con la disposizione dell’art. 5, comma 1-bis, del
decreto, che vieta la rinuncia alla tutela fideiussoria. La fattispecie da ultimo considerata
(rinuncia dell’acquirente a far valere la nullità del preliminare per mancata consegna
della fideiussione attraverso la stipula del definitivo), proprio perché può costituire
l’”ultima spiaggia” per l’acquirente per salvare “il salvabile”, è ben diversa dalla fattispecie
della rinuncia “preventiva” alla fideiussione, formalizzata con apposita clausola inserita
nel contratto preliminare, della quale è ora sancita la nullità.
3. La assicurazione indennitaria decennale
L’art. 4, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, impone l'obbligo al costruttore di
fornire garanzia per il risarcimento al quale fosse tenuto a seguito di danni materiali e
diretti all’immobile, compresi i danni a terzi, a sensi dell’art. 1669 c.c., derivanti da rovina
totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per
29
difetto della costruzione, che si siano manifestati successivamente alla stipula del contratto
definitivo di compravendita o dell'atto definitivo di assegnazione.
La garanzia prescritta, consiste, in particolare, in una polizza assicurativa indennitaria a
beneficio dell’acquirente con durata decennale e con effetto dalla data di ultimazione dei
lavori. La polizza dovrà invece essere consegnata dal costruttoreall’atto del trasferimento
della proprietà, anche se destinata ad operare a partire dalla data di ultimazione dei lavori.
La garanzia, inoltre, è dovuta a prescindere da una “situazione di crisi” in cui incorra il
costruttore, essendo destinataad operare all’emergere di vizi e difformità dell’edificio
realizzato.
I presupposti (“soggettivo” ed “oggettivo”) per l'applicazione della disposizione di cui
all'art. 4 in commento, sono quelli di cui all'art. 1, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n.
122, sopra già illustrati.
Per quanto riguarda il “presupposto contrattuale” la disciplina legislativa appare confusa e
mal formula, così da sollevare molti dubbi circa i presupposti di applicabilità della
disposizione in commento, in ordine alla fattispecie contrattuale stipulata (8).
La norma, infatti, esordisce parlando di consegna della polizza “all’atto del trasferimento
della proprietà”: ciò potrebbe far ritenere che tale specifica tutela si applichi a qualsiasi
contratto che abbia come effetto il trasferimento della proprietà di immobili da costruire.
Alla fine peraltro la norma parla di danni manifestatisi “successivamente alla stipula del
contratto definitivo di compravendita o di assegnazione”: ciò potrebbe far ritenere che
tale specifica tutela si applichi solo in presenza della“sequenza preliminare/definitivo”
Ma ancora l’art. 5, che richiama espressamente l’art. 4 in commento, parla di “contratti
aventi per oggetto il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale
di godimento”: ciò potrebbe far ritenere che tale specifica disciplina si applichi ai
contratti ad effetti traslativi non immediati in genere e non solo in presenza
della “sequenza preliminare/definitivo”.
Pur tra i molteplici dubbi testè evidenziati, si ritiene di dover dare “prevalenza” al disposto
dell’art. 5 e limitare comunque l’ambito di applicazione della norma in commento ai
contratti ad effetti traslativi non immediati. In caso contrariosi verificherebbe una
disparità di trattamento tra chi stipula simili contratti e chi stipula, invece, un contratto ad
effetti traslativi immediati, difficilmente giustificabile: infatti in caso di immobile da
costruire per il quale la richiesta di titolo edilizio sia stata fatta prima del 21 luglio 2005 la
polizza dovrebbe essere consegnata solo in caso di stipula, dopo il 21 luglio, di contratto ad
effetti traslativi immediati ma non anche nel caso di stipula di contratto ad effetti reali non
immediati. Probabilmente il legislatore ha voluto subordinare (senza peraltro
ben esplicitarlo nella norma) la consegna di questa polizza agli stessi presupposti previsti
per la fideiussione di cui all’art. 2 (ove si dice espressamente che “la fideiussione deve
essere consegnata in caso di contratti che abbiano come finalità il trasferimento non
immediato della proprietà”). Si vogliono così tutelare coloro che acquistano un bene
quando il bene ancora non esiste e che devono quindi “confidare” sulla correttezza e
professionalità del venditore nell’esplicazione dell’attività edificatoria. La soluzione
proposta va peraltro accolta col “beneficio di inventario” data la non felice formulazione
normativa.
Da quanto detto in ordine al presupposto contrattuale, discende, peraltro, un legittimo
quesito: come si può conciliare il fatto che tra i presupposti vi sia la stipula di un contratto
ad effetti traslativi non immediati avente per oggetto beni immobili da costruire (sempre
con i benefici del “dubbio” sopra evidenziati) con la circostanza che nell'art. 4 in commento
la consegna della polizza assicurativa dal costruttore all'acquirente è prevista "all'atto del
trasferimento della proprietà"?
In realtà l'art. 4 contempla una fattispecie "a formazione progressiva" così congegnata:
- presupposto per la consegna della polizza assicurativa indennitaria è la stipula di un
contratto ad effetti traslativi non immediati;
30
- il momento in cui tale polizza deve essere materialmente consegnata dal costruttore
all’acquirente è quello in cui avviene il trasferimento della proprietà;
- gli effetti della polizza decorreranno invece dal momento dell’ultimazione dei
lavori, momento che potrebbe essere anche successivo a quello del trasferimento della
proprietà.
Non è prevista dall’art. 4 del decreto alcuna sanzione per il caso di mancata prestazione
di questa polizza assicurativa (al contrario di quanto previsto dall'art. 2 che sanziona con la
nullità “relativa” relativa la mancata consegna della fideiussione), e quindi bisogna
escludere che la mancata prestazione di questa polizza indennitaria possa, in qualsiasi
modo, incidere sulla validità del contratto.
Resta, ovviamente, fermo, per l'acquirente il rimedio della risoluzione per inadempimento
ex artt. 1453 e segg. c.c.; in caso di violazione dell'obbligo posto dall'art. 4 in commento,
l'acquirente potrà certamente diffidare il venditore ad adempiere entro un congruo
termine ex art. 1454 c.c., con dichiarazione che decorso, inutilmente detto termine, senza
che sia stata consegnata la polizza assicurativa indennitaria, il contratto s'intenderà
senz'altro risolto. E, nel caso di specie, deve ritenersi sempre verificata la condizione di cui
all'art. 1455 c.c., stante la grande rilevanza, per una adeguata tutela dell'acquirente, che il
Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, ha riconosciuto alla consegna di detta polizza,
per cui l'inadempimento dell'obbligo della sua consegna non può in alcun modo
considerarsi di "scarsa importanza" avuto riguardo all'interesse dell'acquirente.
L’importanza di questo adempimento è stata ora confermata proprio dalla disposizione
dell’art. 5, co. 1-bis, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, introdotta dall’art. 10quater, co. 1, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, in base alla quale l’acquirente non
può rinunciare preventivamente alla polizza indennitaria. Un’eventuale clausola di
rinuncia inserita in contratto è nulla e deve intendersi come non apposta, con la
conseguenza che:
- la rinuncia dell’acquirente alla polizza fideiussoria non avrà alcun effetto, e della stessa
non potrà avvalersi la parte venditrice
- il contratto stipulato rimane peraltro valido, in quanto, da un lato, la nullità della clausola
non si estende all’intero contratto, ex art. 1419 c.c., e, dall’altro, l’art. 4 del decreto non
prevede alcuna sanzione per il caso di mancata prestazione della polizza indennitaria
- resta, comunque, ferma la possibilità per l’acquirente di chiedere la risoluzione del
contratto stipulato per inadempimento di “non scarsa importanza” ai sensi dell’art. 1453
c.c. (il venditore non potrà opporsi alla richiesta di risoluzione richiamandosi alla clausola
di rinuncia inserita nel contratto che, come detto, deve ritenersi come non apposta).
Da segnalare che non è previsto alcun obbligo di menzione in atto degli estremi di tale
polizza assicurativa indennitaria,neppure nell’art. 6 del Decreto Legislativo 20 giugno
2005, n. 122 che invece prescrive che il contratto preliminare ed ogni altro contratto che
sia comunque diretto al successivo acquisto in capo a persona fisica della proprietà o di
altro diritto reale su immobile da costruire, devono contenere gli estremi della fideiussione
di cui all’articolo 2.
4. Il contenuto del contratto preliminare
Con il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 il legislatore, tra le varie forme di tutela
introdotte a favore dell'acquirente di immobile da costruire, ha previsto anche l'obbligo di
conformare il contratto preliminare, nonché qualsiasi altro contratto comunque diretto al
successivo trasferimento della proprietà o di diverso diritto reale di godimento, ad un
contenuto "minimo" La disciplina sul punto è dettata dall’art. 6 del decreto suddetto.
Scopo della norma è garantire all'acquirente una corretta e completa informazione sul
contenuto del contratto che è chiamato a stipulare.
Verificandosi i presupposti (soggettivo ed oggettivo) di cui all'art. 1, Decreto legislativo 20
giugno 2005, n. 122, sopra già illustrati, il contratto preliminare dovrà contenere:
31
a) le indicazioni previste all'articolo 2659, primo comma, n. 1) e all’articolo 2826, primo
comma, del codice civile.
b) la descrizione dell'immobile e di tutte le sue pertinenze di uso esclusivo oggetto del
contratto.
c) gli estremi di eventuali atti d’obbligo e convenzioni urbanistiche stipulati per
l’ottenimento dei titoli abilitativi alla costruzione e l’elencazione dei vincoli previsti;
d) le caratteristiche tecniche della costruzione, con particolare riferimento alla struttura
portante, alle fondazioni, alle tamponature, ai solai, alla copertura, agli infissi ed agli
impianti.
e) i termini massimi di esecuzione della costruzione, anche eventualmente correlati alle
varie fasi di lavorazione;
f) l'indicazione del prezzo complessivo da corrispondersi in danaro o il valore di ogni
altro eventuale corrispettivo, i termini e le modalità per il suo pagamento, la
specificazione dell'importo di eventuali somme a titolo di caparra; le modalità di
corresponsione del prezzo devono essere rappresentate da bonifici bancari o versamenti
diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte venditrice ed alla stessa
intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa
dell'avvenuto pagamento;
g) gli estremi della fideiussione di cui all'articolo 2 del Decreto Legislativo 20 giugno
2005, n. 122
h) l'eventuale esistenza di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo
sull'immobile con l'indicazione del relativo ammontare, del soggetto a cui favore
risultano e del titolo dal quale derivano, nonché la pattuizione espressa degli obblighi del
costruttore ad esse connessi e, in particolare, se tali obblighi debbano essere adempiuti
prima o dopo la stipula del contratto definitivo di vendita.
i) gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora
rilasciato, nonché di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla
costruzione;
l) l'eventuale indicazione dell’esistenza di imprese appaltatrici con la specificazione dei
relativi dati identificativi
Non precisa la disposizione dell’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, quali
siano le conseguenze della mancanza nel preliminare di taluno degli elementi sopra
indicati (nullità, annullabilità, facoltà per l’acquirente di recedere, risoluzione ecc.).
Sul punto le opinioni manifestate, in prima battuta, dai commentatori della nuova
normativa sono state le più disparate.
Queste, in proposito, le conclusioni che sono state proposte nel precedente studio del
Consiglio Nazionale del Notariato (9):
a) la nullità: innanzitutto di nullità si potrà parlare solo nel caso di mancanza di quelle
menzioni che attengono all’individuazione dell’oggetto del contratto, mancanza tale da
determinare l’indeterminatezza dell’oggetto, con conseguente nullità del contratto a sensi
dell’art. 1418, secondo comma, c.c.; si deve, invece, escludere, per la violazione dell’art. 6
del decreto, la sanzione della nullità dell’atto, a sensi dell’art. 1418, primo comma, c.c.; tale
norma dispone, infatti, che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative (cd.
nullità virtuale). Dottrina e giurisprudenza hanno, peraltro, ritenuto ricorrere la figura
della nullità virtuale nei casi di negozi stipulati in violazione di norme che siano dirette alla
tutela di un interesse pubblico e generale. Ma non sembra che, nel caso di specie, la norma
dell’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, sia diretta alla tutela di un interesse
pubblico e generale. Gran parte delle menzioni richieste sono chiaramente poste a tutela di
una delle parti del contratto. Tutto ciò trova esplicita conferma anche nella Relazione
illustrativa al decreto ove si afferma che “allo scopo di rendere più trasparente
l’operazione negoziale e consentire al promissario acquirente una completa
rappresentazione, così da porsi al riparo da possibili pregiudizi conseguenti aduna
32
stesura approssimativa e lacunosa del testo contrattuale, in attuazione dell’articolo 3
lettera m) della legge delega, sono stati compiutamente disciplinati i contenuti del
contratto ed i relativi allegati”
Inoltre quando il legislatore, nel richiedere un requisito formale da osservare
nella stipula del contratto, ha sanzionato la mancanza di tale requisito con la nullità del
contratto stesso, lo ha detto espressamente (vedasi al riguardo l’art. 1351 c.c. proprio in
tema di preliminare). Ed ancora, nello stesso Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122,
il legislatore delegato quando ha voluto sanzionare con la nullità la mancata osservanza di
un obbligo posto dal decreto medesimo lo ha detto espressamente: vedasi al riguardo l’art.
2 ove la mancata consegna della fideiussione porta alla nullità (seppur relativa) del
contratto (10).
b) l’annullabilità: l’annullabilità del contratto potrà essere invocata solo in presenza dei
presupposti di legge di cui agli artt. 1425 e segg. cod. civ. Pertanto solo se il promissario
acquirente sarà in grado di dimostrare che il suo consenso sia stato dato per errore, e
che tale errore, sempre che possa considerarsi “essenziale” ai sensi e per gli effetti di cui
all’art. 1429 c.c., sia stato determinato proprio dalla mancanza di taluno degli elementi
prescritti dalla norma in commento, potràchiedere l’annullamento del contratto a norma
dell’art. 1427 c.c.. Pertanto la mancanza di una qualsiasi delle menzioni prescritte dall’art.
6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, non determina di per sé l’annullabilità del
contratto.
c) la rinegoziazione del contratto: appare plausibile ritenere che in caso di violazione della
norma in commento sorga, in prima battuta, un obbligo di rinegoziare il contenuto del
contratto in modo da adeguarlo alle prescrizioni di legge.La fonte di quest'obbligo
andrebbe individuata negli artt. 1374 e 1375 c.c. (11). Parte della dottrina (12) e la
giurisprudenza maggioritaria (13) sono ormai orientate nel senso di attribuire all’istituto
della buona fede, la funzione di strumento di intervento “creativo”: quindi non più la
buona fede da considerare come mero strumento di valutazione del comportamento delle
parti in sede di esecuzione del contratto, ma la buona fede da considerare come regola di
comportamento delle parti contrattuali, con possibilità di costruire obblighi integrativi
rispetto a quelli già fissati convenzionalmente. Il dovere, discendente dall’art. 1375 c.c., in
relazione anche al disposto di cui al precedente art. 1374 c.c., secondo il quale il contratto
obbliga le parti a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne
derivano secondo la legge, porterebbe quindi a ritenere sussistente l’obbligo, in capo alla
parte promittente venditrice, di procedere alla “rinegoziazione” del contratto nei termini
sopra descritti. È ovvio che questa non può essere l’unica conseguenza per il caso di
violazione della disposizione dell’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122.
d) la risoluzione del contratto: se il rimedio della rinegoziazione non dovesse sortire
effetto alcuno, e quindi dovesse fallire il rimedio destinato ad operare in “prima battuta”, il
promissario acquirente, a fronte del reiterato inadempimento del costruttore, potrà
ricorrere al rimedio di cui all'art. 1453 c.c. e quindi potrà richiedere:
- o l'adempimento del contratto nonché il risarcimento del danno subito
- ovvero la risoluzione del contratto, salvo, sempre, il diritto al risarcimento del danno,
Il ricorso all'art. 1453 c.c. si fonderebbe, nel caso di specie, su un duplice inadempimento
imputabile al costruttore promittente venditore:
- sull’inadempimento dell’obbligo di “rinegoziazione” del contratto, che come sopra detto
discende dagli artt. 1375 e 1374 c.c.
- sull’inadempimento dell’obbligo posto a carico del promittente venditore di conformare il
contratto a quel contenutominimo considerato dal legislatore (con l'art. 6 in commento)
indispensabile per assicurare "al promissario acquirente una completa rappresentazione"
(delle caratteristiche e qualità del bene in vendita, dei possibili vincoli od oneri esistenti,
del contenuto delle obbligazioni reciproche, ecc.), così da porsi al riparo da possibili
pregiudizi conseguenti ad una stesura approssimativa e lacunosa del testo contrattuale"
33
Esistono nel nostro ordinamento altre disposizioni che sanzionano espressamente la
mancata comunicazione alla controparte di talune circostanze inerenti l’oggetto del
contratto particolarmente rilevanti, prevedendo la possibilità di richiedere la risoluzione
del contratto. Emblematica, sotto questo profilo, è la disposizione dell’art. 1482 c.c., la
quale prevede per l’appunto la risoluzione del contratto nel caso in cui la cosa
venduta risulti gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da
sequestro non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati, qualora la cosa
non venga liberata nel termine fissato dal giudice. Nello stesso senso si pone anche la
disposizione dell'art. 1489 c.c., la quale prevede che se la cosa venduta è gravata da oneri o
da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e se
gli stessi non sono stati dichiarati nel contratto e sono ignorati dall'acquirente, lo stesso
può chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. E non a caso tra gli
elementi che l’art. 6, primo comma, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, stabilisce
debbano essere contenuti nel preliminare, vi sono anche le garanzie reali ed i vincoli
derivanti da pignoramento o da sequestro e comunque tutti i vincoli e gli oneri derivanti da
trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo, compresi quelli derivanti da convenzioni
urbanistiche (lettere h e c). La sanzione, pertanto, per la violazione di tale “dovere di
conformazione/informazione”, può essere, a buona ragione, rinvenuta, in conformità a
quanto già previsto dagli artt. 1482 e 1489 c.c., nella richiesta di risoluzione del contratto
ovvero nella richiesta del risarcimento del danno (e nei casi previsti dall'art. 1489 c.c.
anche nella richiesta di riduzione del prezzo). La risoluzione, peraltro, sulla base del
principio generale in materia, desumibile dall’art. 1455 c.c., potrebbe essere richiesta
solo in presenza di un inadempimento del promittente venditore che non sia di “scarsa
importanza” e quindi solo se l’elemento omesso debba considerarsi essenziale nella
formazione del processo volitivo del promissario acquirente, e pertanto nel caso in cui, se
conosciuto quell’elemento, il promissario acquirente non avrebbe concluso il contratto o lo
avrebbe concluso a condizioni differenti. Se invece l’inadempimento sia di “scarsa
importanza” il promissario acquirente potrà pur sempre richiedere il risarcimento del
danno.
Il promissario acquirente, come già ricordato, stante la disposizione dell’art. 5, co. 1bis, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, introdotta dall’art. 10-quater, co. 1, D.L.
28 marzo 2014, n. 47, non può rinunciarepreventivamente al diritto di vedere
conformato
il contratto
preliminare,
al
contenuto
prescritto dall’art.
6 del
decreto.Un’eventuale clausola di rinuncia inserita in contratto è nulla e deve intendersi
come non apposta, con la conseguenza che:
- la rinuncia del promissario acquirente non avrà alcun effetto, e della stessa non potrà
avvalersi il promittente venditore
- il contratto stipulato non potrà, comunque, essere considerato nullo, per la presenza della
clausola nulla di rinuncia, in quanto, come già detto, la nullità della clausola non si estende
all’intero contratto, ex art. 1419 c.c.
- se il contratto è stato, peraltro, stipulato in violazione del disposto dell'art. 6, Decreto
Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, qualora tale violazione non sia così grave da
determinare la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto ol’annullabilità del
contratto per errore essenziale, ricorrendo le condizioni sopra illustrate, e qualora la
violazione stessa non sia di "scarsa importanza" avuto riguardo all'interesse del
promissario acquirente, quest'ultimo, qualora non intenda comunque adempiere il
contratto accontentandosi del solo risarcimento dei danni subiti, potrà procedere ai sensi
dell'art.1454 c.c., e quindi diffidare il promittente venditore ad adempiere, ossia a
procedere alla rinegoziazione del contratto preliminare (al fine di conformarlo alle
prescrizioni dell'art. 6) entro un congruo termine (non inferiore a quindici giorni), con
dichiarazione che decorso, inutilmente detto termine, senza che si sia proceduto alla
rinegoziazione, il contratto s'intenderà senz'altro risolto. Il promittente venditore, infatti,
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non potrà opporsi alla domanda di risoluzione o di risarcimento del danno richiamandosi
alla clausola di rinuncia inserita nel contratto che, come detto, deve ritenersi come non
apposta.
5. Le altre modifiche contenute nel D.L. 28 marzo 2014 n. 47
L’art. 10-quater, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con legge 23 maggio 2014, n. 80
non si è limitato a modificare l’art. 5 del Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122,
sancendo il divieto per l’acquirente alla rinuncia delle tutele previste dal decreto
medesimo, ma ha modificato altre due disposizioni del Decreto Legislativo 20 giugno
2005, n. 122:
i) l’art. 9 del decreto nel senso di riconoscere all’acquirente il diritto di prelazione
previsto in detta norma anche nel caso di immobile che lo stesso abbia adibito a abitazione
principale del proprio coniuge (in precedenza era previsto tale diritto solo se il l’acquirente
avesse adibito l’immobile ad abitazione principale per sé o per un proprio parente in primo
grado).
Pertanto a seguito di tale modifica all’acquirente che, a seguito della “situazione di crisi” in
cui sia stato coinvolto il“costruttore”, venga privato dell’immobile, qualora lo stesso venga
successivamente venduto all’incanto (nell'ambito diprocedura esecutiva individuale o
concorsuale) è riconosciuto il diritto di prelazione nell’acquisto dell’immobile al prezzo
definitivo raggiunto nell’incanto anche in esito alle eventuali offerte ai sensi dell’articolo
584 del codice di procedura civile, a condizione che:
- l’immobile sia stato materialmente consegnato all’acquirente medesimo
- l’immobile sia stato, dall’acquirente, adibito ad abitazione principale per sé, o
del proprio coniuge, o per un proprio parente in primo grado.
Per quanto la norma faccia espressamente riferimento all’incanto non sembra dubitabile
che il diritto di prelazionedalla stessa previsto sussista anche in ipotesi di vendita senza
incanto (14).
Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione, l’autorità che procede alla vendita
dell’immobile (previa comunicazione della predetta condizione anche nell’avviso di
vendita) provvede a dare comunicazione all’acquirente, con atto notificato a mezzo ufficiale
giudiziario, della definitiva determinazione del prezzo entro dieci giorni dall’adozione del
relativo provvedimento (da intendersi come il verbale di aggiudicazione), con indicazione
di tutte le condizioni alle quali la vendita dovrà essere conclusa (condizioni di vendita,
termini e modalità di saldo del prezzo) e l’invito ad esercitare la prelazione. L’acquirente
deve esercitare il diritto di prelazione, a pena di decadenza, entro il termine di dieci
giorni dalla ricezione della comunicazione offrendo, con atto notificato a mezzo ufficiale
giudiziario all’autorità che procede alla vendita dell’immobile, condizioni uguali a quelle
comunicategli. La prelazione spetta all’acquirente anche nel caso in cui abbia escusso la
fideiussione di cui all’art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122. Tuttavia qualora
l’acquirente abbia acquistato l’immobile, per effetto dell’esercizio del diritto di
prelazione, ad un prezzo inferiore alle somme riscosse in sede di escussione della
fideiussione, la differenza deve essere restituita al fideiussore, qualora l’immobile
acquistato abbia consistenza e caratteristiche tipologiche e di finitura corrispondenti a
quelle previste nel contratto stipulato con il costruttore. Ove non ricorra tale condizione,
l’eventuale eccedenza da restituire al fideiussore deve risultare da apposita stima. È
escluso, in ogni caso, il diritto di riscatto nei confronti dell’aggiudicatario.
ii) l’art. 10 del decreto nel senso di prevedere la sottrazione dalla azione revocatoria
fallimentare per il trasferimento di immobili qualora l’acquirente si impegni a stabilirvi,
entro i dodici mesi successivi alla data di acquisto o di ultimazione degli stessi, la residenza
anche del proprio coniuge (in precedenza era prevista tale sottrazione solo se l’acquirente
si fosse impegnato a stabilire la residenza propria o di suoi parenti o affini entro il terzo
grado).
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Pertanto a seguito di tale modifica non sono soggetti all’azione revocatoria prevista
dall’articolo 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni gli atti a
titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale
di godimento di immobili da costruire a condizione che:
- si tratti di immobili ad uso abitativo (la fattispecie in oggetto ha, pertanto, un ambito
applicativo, per quanto riguarda la tipologia degli immobili più ristretto rispetto a quello
delle altre fattispecie previste dal decreto legislativo 122/2005, con la eccezione del diritto
di prelazione di cui all'art. 9 pure limitato alle sole tipologie residenziali);
- si tratti di immobili nei quali l’acquirente si impegni a stabilire, entro dodici mesi
dall’acquisto o dall’ultimazione degli stessi, la residenza propria, o del proprio
coniuge, o di suoi parenti o affini entro il terzo grado
- si tratti di atti posti in essere al giusto prezzo da valutarsi alla data della stipula del
preliminare.
Non sono, altresì, soggetti alla azione revocatoria i pagamenti dei premi e delle
commissioni relativi ai contratti di fideiussione e di assicurazione indennitaria previsti
dagli articoli 3 e 4, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, qualora effettuati
nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso.
_____________________
1)
Vedasi al riguardo lo Studio 5813/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 23 luglio
2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: la garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova
normativa” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 1033 e segg.
2)
Vedasi, con riguardo specifico, all’obbligo di consegna della fideiussione, lo Studio 5813/C
approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 23 luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: la garanzia
fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa” (estensore G. Rizzi) – Studi e
Materiali – Giuffrè 2005 – pag. 1059
3)
Sui requisiti che debbono possedere gli intermediari finanziari a seguito delle modifiche
apportate al Testo Unico Bancario (Decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385) con l’eliminazione
dell’autonomo
elenco
degli
intermediari
finanziari
già
previsto
dall’art. 107
suddetto TUB vedasi Ufficiostudi C.N.N. Quesito di impresa n. 1000/2013/I (estensori A. Paolini,
A. Ruotolo, D. Boggiali) pubblicato in CNN Notizie del 4 dicembre 2013
4)
Ad esempio il valore dell’area edificabile nel caso di permuta di area edificabile con unità da
costruire.
5)
In tale fattispecie si è, ad esempio, fatta rientrare l’ipotesi del mutuo erogato all’acquirentemutuatario garantito da ipoteca iscritta dal venditore, terzo datore di ipoteca: avendo su tali
somme il venditore già prestato garanzia ipotecaria dovrebbe, essere esentato dall’obbligo di
prestare ulteriori garanzie. Tale ipotesi, peraltro, non trova il conforto della dottrina.
6)
Tale previsione è stata introdotta nel testo definitivo del decreto delegato in accoglimento di
un’osservazione della Commissione del Senato come riconosciuto nella Relazione illustrativa al
decreto; nella stessa relazione si precisa che si è ritenuto di esonerare dall’obbligo di garanzia “le
fattispecie per le quali già vi sia un’autonoma garanzia, giacché in tal caso non vi sarebbe
ragione per imporre al costruttore un onere ulteriorerispetto a quello già posto in essere, come
accade ad esempio per le garanzie fideiussorie dei contributi pubblici”
7)
In questo senso si è espressa anche la Relazione illustrativa al decreto ove si è chiarito
che “in accoglimento di un’osservazione formulata da entrambe le Commissioni parlamentari si è
precisato che le parti possano convenire di utilizzare anche lo schema tipico della fideiussione per
obbligazione futura previsto dall’art. 1938 c.c. con ciò consentendo che il valore della fideiussione
possa essere rapportato ai versamenti effettivamente avvenuti e non stimato sull’intero valore
del bene promesso in vendita, così da inserire quel concetto di progressività che è oggetto dei
suggerimenti provenienti dalle citate commissioni parlamentari”.
8)
Vedasi al riguardo lo Studio 5812/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20
luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo,
revocatoria fallimentare e le altre novità legislative” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali
– Giuffrè 2005 – pagg. 1009 e segg.
36
9)
Trattasi dello Studio 5814/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio 2005:
“Il Dlgs. 122 del 2005: il contenuto del contratto preliminare” (estensore G. Rizzi) – Studi e
Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 977 e segg.
10) Nel senso di ammettere la nullità solo nel caso in cui a seguito dell'omissione si
verifichi l'indeterminatezza o l'indeterminabilità dell'oggetto del contratto e di escludere invece che
la "mancata inserzione di una qualsiasi delle menzioni obbligatorie previste dall'art. 6 sia di per
sé causa di nullità dell'intero contratto, anche quando il suo oggetto risulti determinato o
determinabile secondo le regole codicistiche " in quanto altrimenti "ne discenderebbe una
dilatazione del tutto irragionevole ed il più delle volte antitetica agli interessi dell'acquirente,
dell'area delle nullità del contratto, con conseguente abbassamento anziché un'elevazione del
livello di tutela dell'acquirente", si è espresso LUMINOSO - I contenuti necessari del contratto
preliminare e degli altri contratti diretti al successivo trasferimento della proprietà di un
immobile da costruire e dei relativi allegati - Atti del Convegno Paradigma - Milano 29 giugno
2005
11) In questo senso BARALIS – Considerazioni sparse sulla bozza di decreto delegato
conseguente alla l. 210/2004, in Rivista del Notariato, 2005, pag. 746
12) BIANCA – La nozione di buona fede quale regola di comportamento
contrattuale Riv. Dir. Civ 1983; FRANZONI Degli effetti del contrattoComm. Schlesinger Milano
1998; RODOTA’ Le fonti di integrazioni del contratto – Milano 1969
13) Cass. 10 ottobre 2003 n. 15150; Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078.
14) Vedasi al riguardo lo Studio 5812/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio
2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria
fallimentare e le altre novità legislative” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005
– pagg. 1009 e segg. Per quanto riguarda il caso di delega delle operazioni di vendita si rinvia anche
a quanto scritto in Consiglio Nazionale del Notariato, Le operazioni delegate nel processo di
espropriazione forzata immobiliare, Percorso operativo, Verona, 2007, pag. 42 , pag. 115 e pag.
148."
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Su CNN Notizie del 24 ottobre 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Civilistico
n. 334-2014/C, intitolato LA SORTE DELLA PROCURA DOPO LA MORTE DEL
RAPPRESENTATO, che si pubblica per intero.
"Si prospetta la seguente fattispecie concreta: Tizia, proprietaria di un immobile, data la
sua tarda età, rilascia a favore della figlia procura a vendere il detto immobile. La detta
procura non è rilasciata anche nell’interesse della mandataria.
Tizia muore. Ora Caia, nonostante la procura non sia anche in rem propriam, richiede al
Notaio di procedere alla vendita valendosi della detta procura.
Della morte di Tizia è informato, oltre al Notaio ed al rappresentante, anche la parte
acquirente.
Rispetto a tale fattispecie si chiede di conoscere se sia possibile ricevere l’atto di
compravendita in questione.
***
Il quesito prospettato impone di stabilire quale sia la sorte della procura, conferita al di
fuori della attività di impresa e nell’esclusivo interesse del rappresentato, alla morte di
quest’ultimo (1).
Al riguardo, bisogna innanzitutto rilevare che «la morte del rappresentato, dopo il
conferimento della procura, determina l’estinzione del potere rappresentativo, in
quanto non esiste più il soggetto nel cui nome e nel cui interesse l’attività dovrebbe essere
esplicata (non applicandosi alla procura le norme relative alla continuazione del mandato
nonostante la morte del mandante) (2) ».
A tale conclusione conducono una serie di argomentazioni qui di seguito meglio esposte.
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In primo luogo, occorre considerare che «l’esercizio del potere rappresentativo è legato alla
vita del dominus e non può superare tale limite legale (tralasciando il fatto che sarebbe
illogico agire in nome e per conto di un soggetto defunto), sostenere il contrario
significherebbe che la procura avrebbe effetti post mortem e questo contrasterebbe con il
divieto dei patti successori che tutela il principio secondo cui le conseguenze della morte
sono regolate solo dalla legge o dal testamento e non da una procura con
effetti post mortem. Inoltre, in caso di morte del rappresentato non è possibile imporre
agli eredi di avere fiducia in un rappresentante scelto dal de cuius. Senza considerare che
se la rappresentanza continuasse con gli eredi del rappresentato, il compimento dell’atto
da parte del rappresentante (scelto dal de cuius), comporterebbe l’accettazione tacita
dell’eredità per gli eredi del defunto (rappresentato), un’accettazione tacita che, di fatto,
dipenderebbe da una procura rilasciata dal de cuius e non degli eredi (3) ».
A quanto precede si aggiunga che nel caso di specie non paiono neppure sussistere i
presupposti per ammettere l’ultrattività della procura dopo la morte del rappresentato,
non trattandosi:
1) di un potere gestorio conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi (art. 1723,
comma 2, c.c.);
2) di una procura avente ad oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa
(art. 1722, n. 4, ult. cpv., c.c.) (4).
3) di proseguire la esecuzione già iniziata dell’incarico, se vi è pericolo nel ritardo (art. 1728
c.c.) (5), il quale «va riferito al tempo della morte del mandante e non ad un tempo
posteriore, in cui sia sorto un pericolo gravante sull’eredità del mandante (6) ».
Ancora si consideri che, sempre nel caso di specie, non sembrano neppure ricorrere i
presupposti per ritenere applicabile l’articolo 1729 c.c. (7), a tenore del quale sono validi nei
confronti del mandante o dei suoi eredi gli atti che il mandatario ha compiuto prima di
conoscere (8) l’estinzione del mandato (9). Infatti, il mandatario «non può beneficiare della
norma quando è a conoscenza dell’estinzione o quando versa in ignoranza colpevole (10)».
Quanto invece agli effetti dellaestinzione della procura rispetto ai terzi valgono le
considerazioni di recente sviluppate dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale
«in caso di estinzione del potere rappresentativo per morte del soggetto rappresentato, ai
sensi dell’art. 1722 n. 4 c.c., gli atti compiuti dal rappresentante nell’esplicazione
dell’attività gestoria, anche se posti in esseresuccessivamente, sono operativi di effetti nei
confronti sia del rappresentante sia dei terzi (con i quali rappresentante costituisce i
rapporti contrattuali previsti dalla procura), sempre che al momento del compimento
dell’attività gestoria, i terzi abbiano senza colpa ignorato la causa di estinzione del
mandato» (11).
Circa la sorte del negozio concluso dal rappresentante dopo la morte del rappresentato, la
giurisprudenza di merito(12) ha inoltre ritenuto che «l’esercizio del potere rappresentativo
in un momento successivo alla morte del rappresentato non dà luogo alla fattispecie della
falsa rappresentanza, in quanto difetta un soggetto legittimato a ratificare il negozio. Il
negozio così concluso, essendo inefficace e, quindi, inidoneo a produrre il trasferimento del
diritto, non legittima gli eredi al risarcimento del danno, ma a recuperare il bene oggetto
del contratto, in quanto possibile. In tale fattispecie la nullità del negozio è rilevabile dal
giudice anche d’ufficio» (13).
Rispetto infine al comportamento professionale al quale è chiamato il notaio, incaricato di
ricevere l’atto di compravendita in questione, sembra ragionevole ritenere che quest’ultimo
non sia tenuto a compiere una indagine che vada oltre i limiti segnati dall’art.
1396 cod. civ., secondo cui:
1) le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi
con mezzi idonei, perché, in mancanza, esse non sono agli stessi opponibili, se non si prova
che ne erano comunque a conoscenza al momento della conclusione del contratto (primo
comma);
38
2) le altre cause di estinzione del potere di rappresentanza - tra cui rientra anche la morte
del rappresentato di cui all’art. 1722, n. 4, c.c. - non sono opponibili ai terzi che le hanno
senza colpa ignorate (secondo comma).
Si ritiene infatti che la posizione del notaio rogante sia «del tutto assimilabile a quella del
terzo di cui alla norma citata, non avendo a sua disposizione per la verifica della
sussistenza dei poteri del rappresentante, strumenti diversi da quelli utilizzabili dal terzo
contraente, essendogli infatti preclusa la facoltà di avviare indagini particolari o diverse da
quelle che, per legge, potrebbe compiere colui che contratti con un rappresentante per
accertare l’avvenuta - o meno - estinzione del potere rappresentativo. Il notaio,
analogamente al terzo contraente, è destinatario delle determinazioni e degli atti del
procuratore sino a che, dell’avvenuto ritiro o estinzione dei poteri rappresentativi, non sia
data comunicazione con adeguati mezzi di partecipazione» (14) (art. 1396, comma 1, c.c.),
oppure non abbia senza colpa ignorato una delle altre cause di estinzione del potere di
rappresentanza, tra cui rientra senza dubbio la morte del rappresentato (artt. 1396, comma
2, e 1722, n. 4, c.c.) (15)
In conclusione, alla luce delle precedenti considerazioni, sembra ragionevole ritenere che
la morte del rappresentato, dopo il conferimento della procura, abbia determinato
l’estinzione del potere rappresentativo, non ricorrendo - stando a quando riferito - alcuna
delle eccezioni previste dal legislatore. In aggiunta a ciò, non è poi senza rilievo la
circostanza - sempre nel quesito segnalata - secondo la quale sia la mandataria, sia i terzi
acquirenti sia lo stesso Notaio sono tutti a conoscenza della morte del rappresentato. Tale
conoscenza porta infatti ad escludere che:
- alla mandataria possa applicarsi l’art. 1729 c.c.;
- ai terzi come al notaio possa applicarsi l’ultima parte del secondo comma dell’art. 1396
c.c., non trattandosi in tutta evidenza di una ipotesi di “ignoranza incolpevole”.
______________________
1)
In letteratura, M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184; L. M.A. DI
CESARE, La c.d. ultrattività del mandato, in Vitanot., 1984, p. 1086; G. MIRABELLI, Dei
contratti
in
generale,
in Comm.
cod.
civ.,
Torino,
1961
(1980),
p.
305; L. BIGLIAZZI GERI, Procura, in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, p. 1000; U.
CARNEVALI, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 11; A. LUMINOSO,Mandato,
commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. e comm., A. CICU e F. MESSINEO (diretto
da), L. MENGONI (continuato da), Milano, 1984, p. 153; N. GROSSI, Le altre cause di estinzione
del mandato, in Il mandato, F. ALCARO (a cura di), in Diritto privato oggi, P. CENDON (a cura
di), Milano, 2000, p. 576 ss.
2)
P. FAVA (a cura di), Il Contratto, Milano, 2012, p. 492.
3)
P. FAVA (a cura di), Il Contratto, Milano, 2012, p. 492. «La fiducia del rappresentato nella
procura del rappresentante, che sta alla base del conferimento della procura, la deve sorreggere
anche per tutta la sua durata (se si tratta di procura conferita esclusivamente nell’interesse del
rappresentato). Ecco perché la procura si estingue, di regola, alla morte del rappresentato: può
darsi infatti che gli eredi, ormai succeduti in suo luogo, preferiscano provvedere
diversamente» P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2012, p. 228. «La procura,
basandosi sulla fiducia personale che il procuratore ispira, cessa, di regola, anche per la morte del
rappresentante o del rappresentato (chi gli succede può ,infatti, preferire di condurre l’affare
direttamente e mediante altro procuratore)» A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, Manuale di
diritto privato, Milano, 2011, p. 537. «La morte o la sopravvenuta incapacità del
mandante fanno cessare la capacità di svolgere un’autonoma attività di gestione del proprio
patrimonio da parte del mandante stesso. Considerando il conferimento del mandato
espressione del potere di gestire, secondo criteri personali, il proprio patrimonio, sembra lecito
presumere nel mandante, una volta perduta tale gestione, la volontà di porre fine anche all’incarico
conferito. Inoltre (…) estinto il mandato, gli eredi, in caso di morte del mandante, e il tutore, in
caso di interdizione, avranno la necessaria libertà nella scelta delle operazioni di gestione
39
patrimoniale» N. GROSSI, Le altre cause di estinzione del mandato, in Il mandato, F. ALCARO (a
cura di), in Diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di), Milano, 2000, p. 576 ss.
4)
Sulle eccezioni alla regola generale di estinzione del mandato per morte del mandante, per
tutti, T. DE LUCA, R.D. COGLIANDRO, M. D’AURIA, M. RONZA, Dei singoli contratti, Vol. II,
Milano, 2002, p. 153.
5)
U. CARNEVALI, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 11;
M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184. L’applicabilità di quest’ultima
disposizione in particolare «presuppone la presenza di due circostanze: che il mandatario, al
verificarsi di una delle suddette cause di estinzione, abbia già iniziato l’attività e che vi sia “pericolo
nel ritardo”» N. GROSSI, Le altre cause di estinzione del mandato, inIl mandato, F. ALCARO (a
cura di), in Diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di), Milano, 2000, p. 591.
6)
P. RESCIGNO (a cura di), Comm. cod. civ., in Le fonti del diritto italiano, Milano, 2008, p.
3119. «La condizione di pericolo nel ritardo che, secondo l’art. 1745 cpv. c.c. 1865 (vig. art. 1728, 1°
comma), autorizza il mandatario, sebbene il mandato sia rimasto estinto per la morte del
mandante, a portare a termine l’affare già cominciato, deve riferirsi al tempo della morte del
mandante, non ad un termo posteriore in cui sia sorto un pericolo gravante sull’eredità» Cass., 10
febbraio 1944, in Rep. Foro it., 1943-5, Mandato, 37.
7)
Sulla portata della norma contenuta in tale articolo risulta possibile registrare due distinti
orientamenti. Secondo un primo indirizzo, prevalente in dottrina (M. GRAZIADEI, Mandato,
in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184; A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione,
in Tratt. dir.civ. e comm., A. CICU e F. MESSINEO (diretto da), L. MENGONI (continuato da),
Milano, 1984, p. 438; U. CARNEVALI, voce Mandato, inEnc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 12) ed in
giurisprudenza (Cass., 5 febbraio 1974, n. 305; Cass., 15 febbraio 1972, n. 415; Cass., 21 maggio
1958, n. 1703) , la regola in esame riguarda esclusivamente il rapporto interno tra mandante e
mandatario, in quanto la opponibilità al terzo delle cause di estinzione del potere rappresentativo
resta soggetta alla norma contenuta nell’art. 1396 c.c., con la conseguenza che il
negozio gestorio può produrre effetti tra mandante e terzo di buona fede, mentre resta a carico del
mandatario in mala fede nei rapporti interni. Secondo un diverso indirizzo, che pare
essere minoritario specie in giurisprudenza (Cass., 25 ottobre 1975, n. 3557, in Giur. it., 1976, I, 1,
p. 1130; Cass., 10 giugno 1965, n. 1176, in Foro it., 1965, I, c. 2005; in Giust. civ., I, p. 1793; in Riv.
dir. comm., 1966, II, p. 235, con nota critica di FELICETTI,Osservazioni in tema di estinzione di
mandato), la regola fissata dall’art. 1729 c.c. vincolerebbe non soltanto i rapporti interni ma anche
il terzo contraente. Per una puntuale rassegna degli orientamenti in materia, da ultimo, C.
CARNEVALE, Art. 1729, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro
IV, Delle obbligazioni, Artt. 1703-1753, C. CARNEVALE e F. GIORDANO (a cura di), C.
RUPERTO(coordinato da), Milano, 2012, p. 376.
8)
«La conoscenza può avere luogo in qualunque modo, indipendentemente dalla
comunicazione o notificazione, e l’onere di provarla incombe su chi vi abbia interesse. Alla
conoscenza va equiparata l’ignoranza incolpevole» P. RESCIGNO (a cura di), Comm. cod. civ.,
in Le fonti del diritto italiano, Milano, 2008, p. 3121. «La conoscenza può aver luogo in qualunque
modo, indipendentemente da comunicazione o notificazione, e l’onere di provarla incombe su chi
vi abbia interesse; fino al momento della conoscenza il mandato produce tutti i suoi effetti a carico
del mandante e dei suoi aventi causa, ma non del mandatario in quanto non può pretendersi
l’attuazione di un rapporto, che sia estinto; la norma è posta, infatti, ad esclusiva tutela degli
interessi del mandatario e dei suoi aventi causa» G. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm. cod.
civ., Torino, 1968, p. 626-627.
9)
In base a tale norma: 1) «il mandatario non subisce in via definitiva gli effetti degli atti
compiuti con i terzi nell’arco di tempo compreso tra l’estinzione del mandato, e il momento in cui
egli ebbe notizia della causa estintiva» M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994,
p. 184; 2) «in mancanza di una siffatta norma, che tutela la buona fede del mandatario,
l’atto gestorio, in quanto compiuto dopo l’avvenuta estinzione del mandato, resterebbe a carico del
mandatario stesso» U. CARNEVALI, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 12.
10) G. BONILINI e M.
CONFORTINI, I
codici
ipertestuali, Codice
civile
commentato, G. BONILINI, M. CONFORTINI e C. GRANELLI (a cura di), A. RIZZI (con la
collaborazione di), Artt. 1678-2969, Torino, 2012, p. 3883.
11) Cass., 18 febbraio 2008, n. 3959, in Giust. civ. Mass., 2008, 2, p. 244. In senso
conforme, Cass., 5 febbraio 1974, n. 305. «In ordine ai rapporti tra mandato e potere di
40
rappresentanza conferito con la procura si è ritenuto (Cass., 5 febbraio 1974 n. 305) che l’estinzione
del potere di rappresentanza per morte del soggetto che l’ha conferito, non è opponibile ai terzi
contraenti che senza loro colpa l’abbiano ignorata, sia da parte del rappresentante che da parte
degli eredi del rappresentato. I limiti di tale opponibilità sono disciplinati esclusivamente dal 2°
comma dell’art. 1396 senza possibilità di alcuna interferenza delle regole riguardanti il sottostante
rapporto di mandato intercorso tra rappresentato e rappresentante e la sua eventuale ultrattività
(artt. 1722, n. 4, 1728 e 1729), regole queste che attengono ai solo rapporti derivanti dal contratto di
mandato, anche con riferimento agli eredi del mandante, senza incidere sul potere di
rappresentanza, sul conseguente rapporto tra terzi contraenti e rappresentante, pur se questi sia
l’erede del rappresentato, e sull’opponibilità a tali terzi dei limiti di quel potere» C.
CARNEVALE, Art. 1729, inLa giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro
IV, Delle obbligazioni, Artt. 1703-1753, C. CARNEVALE e F. GIORDANO(a cura di), C.
RUPERTO (coordinato da), Milano, 2012, p. 376.
12) Corte Appello Roma, 13 giugno 2006,in Obbl. e contr., 2006, p. 940. Con
riferimento alla inefficacia di un contrato di transazione stipulato dal rappresentante dopo la morte
del rappresentato, evento che costituisce causa di estinzione della procura, Cass., 20 dicembre
2005, n. 28141.
13) C. CARNEVALE, Art. 1729, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina,
Libro IV, Delle obbligazioni, Artt. 1703-1753, C. CARNEVALE e F. GIORDANO (a cura di), C.
RUPERTO (coordinato da), Milano, 2012, p. 315.
14) Nota di questo Ufficio Studi, n. 4920, est. M. LEO.
15) «L’art. 1396 c.c. pone a carico del rappresentato l’onere di portare a conoscenza dei terzi le
modificazioni o la revoca della procura, mentre non esige alcuna forma di partecipazione delle
cause estintive della procura diverse dalla revoca (art. 1722, n. 1, 3 e 4, c.c.). Tale diversità di
disciplina non comporta, pertanto, una differenza di regime sul piano probatorio, giacché anche le
cause estintive diverse dalla revoca non operano nei confronti dei terzi se questi le hanno ignorate
senza colpa, talché incombe al rappresentato o ai sui aventi causa l’onere di provare le circostanza
che escludono l’apparenza e, quindi, l’affidamento dei terzi» Cass., 6 gennaio 1979, n. 55."
--------Su CNN Notizie del 27 ottobre 2014 è stato pubblicato lo Studio Civilistico n. 2632014/C, dal titolo VENDITA FORZATA E ATTESTATO DI PRESTAZIONE
ENERGETICA (alla luce delle recenti modifiche al D.lgs. 192/2005 di cui al
D.L. 4 giugno 2013, n. 63 convertito con L. 3 agosto 2013, n. 90 e di cui al D.L.
23 dicembre 2013, n. 145 conv. in L. 21 febbraio 2014, n. 9).
Se ne pubblicano l'abstract e il sommario.
"Lo studio in sintesi (Abstract): la disciplina contenuta nel D.lgs. 192 del 2005 origina dalla
necessità di dare attuazione a quanto prescritto dalla normativa europea che, nel
perseguimento di una maggiore efficienza energetica degli edifici sul territorio degli Stati
membro, è certamente rivolta a disciplinare la sola attività negoziale/contrattuale di
circolazione dei beni immobili, lasciando al diritto interno dei singoli Stati membro la
regolamentazione della materia in termini di procedimenti giudiziari.
Nel nostro sistema interno nazionale, la vendita coattiva per l’attuazione (forzata e
giudiziale) del diritto di credito insoddisfatto è tradizionalmente regolata da una disciplina
speciale: quanto al contenuto, alla forma, ai mezzi di impugnazione e alla stabilità del
provvedimento giudiziale che la attua; pertanto, una disciplina destinata a regolare una
vendita negoziale e a sanzionare una sola o entrambe le parti di una compravendita
consensuale non può considerarsi automaticamente applicabile ad essa e, in assenza di
espressi ed inequivocabili indici normativi, l’indagine interpretativa deve tenere conto
della delicata e particolare materia processuale/giudiziale che coinvolge interessi pubblici
il cui bilanciamento non a caso è riservato in esclusiva al legislatore nazionale.
41
Né nell’originaria formulazione dell’art. 6 del D.lgs. 192 del 2005 né nelle riformulazioni
che si sono succedute fino a quella attualmente vigente (dal 22 febbraio 2014) sono, a
nostro parere, rinvenibili sicuri indici della volontà del legislatore nazionale (unico
legittimato a regolare la materia processuale) di attrarre ed includere nella disciplina
prevista (e adeguatamente sanzionata) anche le vendite forzate attuate a mezzo di decreto
di trasferimento in ambito giudiziale.
La espressa estensione (da ultimo) dell’obbligo di allegazione dell’attestato di prestazione
energetica agli “atti di trasferimento a titolo oneroso” ben può essere interpretata come
semplicemente intesa a ricomprendere tutta una serie di atti (sempre contrattuali) che nel
linguaggio interno nazionale potevano non ritenersi ricompresi nel termine
precedentemente utilizzato di “vendita”.
Sembrano piuttosto rinvenibili diversi indizi sia sul piano letterale che su quello
sistematico nel senso della non estensione alle vendite forzate giudiziali degli obblighi e
delle sanzioni ivi previsti:
- il riferimento espresso ad una “clausola” contenente una certa dichiarazione
dell’acquirente;
- il riferimento espresso al “contratto” a proposito dell’obbligo di allegazione;
- il principio di legalità e tipicità delle sanzioni amministrative in generale e, quindi, la
loro non estensibilità a soggetti diversi da quelli indicati nella norma di legge (le parti della
vendita) che, però, nel caso di vendita forzata, non possono ritenersi in alcun modo
responsabili del contenuto del provvedimento del giudice con cui viene effettuato il
trasferimento (in forma di decreto);
- la complessiva disciplina della vendita forzata che si caratterizza, tra l’altro, per essere
coattiva e funzionale all’attuazione del diritto di credito, secondo uno statuto che tiene
conto di interessi di ordine pubblico di grado almeno pari a quelli perseguiti dalla
normativa in ambito energetico.
Come è stato in altre sedi rilevato, la disciplina in ambito energetico è oggetto di sempre
più intensa attenzione in ambito europeo, come in continua evoluzione è anche il processo
di riavvicinamento delle discipline nazionali in ambito di circolazione di immobili e di
attuazione coattiva e giudiziaria del diritto di credito, ma allo stato attuale dell’evoluzione
normativa interna ed europea non ci sembra si possa dubitare del fatto che la vendita
attuata a mezzo di provvedimento giudiziale nell’ambito dell’esecuzione forzata come
disciplinata dal legislatore italiano goda di uno statuto del tutto speciale sottratto a quello
della vendita contrattuale che è, appunto, oggetto del D.lgs. 192/2005.
E se anche non si volesse escludere a priori un’interpretazione che ritenesse applicabile
anche al trasferimento in ambito giudiziale coattivo la normativa in tema di dotazione e di
allegazione dell’attestato diprestazione energetica (contrariamente a quanto qui
sostenuto), le eventuali violazioni non potrebbero comunque mai determinare
l’applicabilità delle sanzioni amministrative ivi previste, infatti:
- non si vede come possa applicarsi la sanzione prevista per la violazione dell’obbligo di
dotazione (a carico del solo proprietario nel caso di vendita) a chi subisce coattivamente
l’alienazione del proprio bene;
- non sembrano applicabili agli organi della procedura o al creditore procedente le
responsabilità civili conseguenti alla violazione degli obblighi di informativa
precontrattuale previsti in ambito energetico (informazioni e consegna della
documentazione in fase di trattativa), in quanto, una volta esaurite le eventuali
contestazioni su presunte irregolarità della vendita, non è comunque data la responsabilità
per vizi nella vendita forzata;
- né sembrano irrogabili alle parti della vendita (visto che il decreto di trasferimento è atto
unilaterale del giudice e non contratto) le sanzioni amministrative previste per la
violazione dell’obbligo di inserimento della clausola (con la quale l’acquirente dichiara di
avere ricevuto le informazione e la documentazione tra cui l’attestato) o dell’obbligo di
42
allegazione (“al contratto”) dell’attestato di prestazione energetica, previsti dall’art.6 per i
“contratti di compravendita” e gli “atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso”, se il
decreto di trasferimento è atto del Giudice delle Esecuzioni sul cui contenuto le parti non
possono incidere.
Quanto, infine, all’obbligo di inserimento delle caratteristiche energetiche del bene offerto
in vendita in caso di annuncio con i mezzi di pubblicità commerciali e alla sanzione
prevista in caso di sua violazione a carico del “responsabile dell’annuncio”, come sopra già
meglio esplicitato, si è pervenuti per esclusione a sole due letture possibili:
- la prima, a nostro avviso preferibile, secondo cui la disposizione andrebbe letta in
coordinamento con tutte le altre, e, quindi, rivolta alle sole vendite consensuali;
- la seconda che propone una frattura tra questa e tutte le altre disposizioni dell’articolo 6
(e che presuppone che il responsabile dell’annuncio sia in grado di conoscere se il bene sia
stato dotato di attestato), secondo cui, ogni volta che dalla documentazione agli
atti risulti la dotazione, l’annuncio dovrebbe indicare le caratteristiche energetiche del
bene.
Forse il decreto previsto per l’adeguamento del D.M. 26 giugno 2009 destinato a
prevedere, tra l’altro, la definizione di uno schema di annuncio di vendita per esposizione
nelle agenzie immobiliari (!) potrà fornire ulterioriargomenti a favore della prima (o della
seconda) interpretazione proposta, ma è certamente opportuno, anche in un’ottica di
efficienza del sistema che il professionista eventualmente delegato alla vendita, prima di
effettuare gli adempimenti pubblicitari, verifichi sempre se l’attestato di prestazione
energetica sia agli atti e ne tenga conto nella redazione dell’avviso di vendita.
Le conclusioni fin qui raggiunte non escludono naturalmente che l’applicazione delle
norme di diritto processuale, nei diversi istituti e nelle diverse fasi del procedimento,
possano comportare diversi e specifici obblighi degli ausiliari del Giudice, in ottemperanza
alle direttive ed istruzioni da questi loro impartite, nel rispetto dei principi che governano
la materia delle vendite forzate.
La riflessione è importante per chiarire che il principio di corretta informazione delle
caratteristiche dei beni posti in vendita è, comunque, presente con proprie peculiarità
anche nella vendita forzata, ma con ricadute in caso di sua violazione sulla validità degli
atti processuali secondo la disciplina della stabilità della vendita forzata, che dipendono
dalla gravità del difetto di informazione e dal momento in cui lo stesso è fatto valere.
Pertanto, la valutazione circa l’estensione di discipline pensate per la vendita consensuale a
quella coattiva giudiziale, pur in alcuni casi opportuna sul piano della competitività della
vendita forzata, deve sempre tenere conto e della natura coattiva della vendita forzata e dei
meccanismi processuali che governano il processo esecutivo e che rimettono al Giudice
dell’Esecuzione, in assenza di un’espressa previsione normativa diversa, la direzione del
processo.
Non a caso la Costituzione riserva la materia del diritto processuale (che regola l’attività
giudiziaria) in esclusiva al legislatore nazionale, in considerazione del delicato e necessario
bilanciamento degli interessi in gioco sempre di ordine pubblico e di livello nazionale.
***
Sommario: 1. Premessa; 2. Conclusioni raggiunte nel vigore della formulazione del D.lgs.
192/2005 vigente fino al 3 agosto 2013. Esclusione della vendita forzata dal perimetro di
applicazione del D.lgs. 192 del 2005; 3. Le novità apportate dal D.L. n. 63/2013
convertito in L. n. 90/2013 e il bilanciamento degli interessi in gioco da parte del
legislatore statale; 4. I nuovi articoli 6e 15 del D.lgs. 192 del 2005 a seguito delle novità
apportate dal D.L.n.63/2013 convertito in L. n. 90/2013. Argomenti a favore della non
applicazione della disciplina prevista alla vendita forzata a mezzo di decreto di
trasferimento; 5. Consequenziale irrilevanza rispetto alle vendite forzate attuate a mezzo
43
di decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. del comma 8 dell’art.1 del D.lgs. 145/2013; 6.
Il D.L.23 dicembre 2013, n. 145 (c.d. “destinazione Italia”) oggi convertito con L. 21
febbraio 2014, n. 9 e la disciplina attualmente vigente in tema di allegazione dell’APE
agli atti di trasferimento a titolo oneroso. Argomenti a favore della non applicazione
della
disciplina
prevista
alla
vendita
forzata a
mezzo
di decreto
di
trasferimento; 7. Opportunità della dotazione di attestato di prestazione energetica dei
beni posti in vendita in sede esecutiva sotto il profilo della competitività della vendita
forzata e opportunità dell’allegazione dell’attestato di prestazione energetica agli atti al
decreto di trasferimento (o della sua consegna all’aggiudicatario) sotto il profilo
dell’economia del sistema; 8.Conclusioni"
44