B Simmetrie e cristalli In questa appendice richiameremo proprietà di enti geometrici molto elementari per mostrarne poi delle interessanti applicazioni in Cristallografia. ria Si considerino i punti A0 , A1 , A2 , . . . An con n ≥ 1; si dice spezzata l’insieme dei segmenti congiungenti ciascun Ai con Ai+1 , i = 0, . . . , n − 1. I punti A0 , A1 , A2 , . . . An si dicono vertici della spezzata e la spezzata si dice chiusa se An = A0 . A6 viso A1 A3 A0 A2 A5 A4 za p rov Figura B.1. Esempio di spezzata aperta. Si dice poligono ogni spezzata chiusa con almeno tre vertici. I segmenti della spezzata si dicono lati del poligono e gli estremi dei segmenti vertici del poligono . boz Talvolta è utile pensare ai lati di un poligono che siano orientati concordemente come a n vettori aventi per somma zero. Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B p. 434 A3 A8 A9 A5 A4 A2 A6 A7 A0 A1 Figura B.2. Esempio di spezzata chiusa. viso ria Se tutti i vertici di un poligono sono complanari il poligono si dice piano, sghembo altrimenti. In base al Teorema di Jordan 1 un poligono piano divide il piano che lo contiene in (almeno) due regioni di cui quelle limitate si dicono interno del poligono. Un poligono si dice convesso se, presi comunque due punti interni al poligono, il segmento che li unisce è interno al poligono; si dice invece concavo se ciò non accade. Figura B.3. Esempi di un poligono convesso (a sinistra) e di uno concavo (a destra) Un poligono si dice equilatero se tutti i lati hanno la stessa lunghezza, equiangolo se tutti gli angoli sono uguali. za p rov Mentre ogni triangolo equiangolo è anche equilatero, nei quadrangoli i due concetti sono indipendenti: infatti un rombo è equilatero ma non equiangolo mentre un rettangolo è equiangolo ma non equilatero. Un poligono si dice regolare se risulta sia equilatero che equiangolo. Con l’ausilio della figura B.4 è facile vedere il seguente fatto 1 Una curva piana continua che non si autointerseca divide il piano in due regioni di cui una limitata. Questo profondo risultato, apparentemente intuitivo, venne dimostrato per la prima volta da Camille Jordan (1838 – 1922) nel suo Cours d’Analyse. boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 435 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B La somma degli angoli interni di un poligono convesso di n(≥ 3) lati è pari a (n − 2) · π. —◮ Dimostrazione. Preso infatti un punto interno O si considerino gli n triangoli individuati dal vertice O e dagli estremi di ciascun lato del poligono. Poiché la somma degli angoli interni di un triangolo è l’angolo piatto2 e quindi misura (in radianti) π, la somma degli angoli interni del poligono risulta dunque pari alla somma degli angoli interni degli n triangoli (n · π) a cui va tolto l’angolo di ampiezza 2π che costituisce la somma degli angoli di vertice O degli n triangoli. ◭— ria O Figura B.4. La somma degli angoli interni di un poligono convesso con n lati è pari alla somma degli angoli interni di n − 2 triangoli viso Pertanto ogni angolo interno di un poligono regolare misura (1 − 2/n) · π. za p rov Ci chiediamo ora: è possibile ricoprire l’intero piano una sola volta usando un solo tipo di poligono regolare con lato unitario, facendo combaciare lati e vertici di poligoni adiacenti? Questo problema - noto anche come problema della tassellatura del piano - ha chiaramente una soluzione dato che è possibile pavimentare l’intero piano con quadrati di lato unitario, che non si accavallano e che, se adiacenti, hanno in comune lati e vertici. La risposta generale è pure sorprendentemente semplice. Poiché in un vertice possono convergere m poligoni regolari di n lati, la condizione per la tassellatura del piano diventa m(1 − 2/n)π = 2π ossia 2 A questo risultato si arriva facilmente considerando, in un triangolo qualsiasi, la retta per un vertice parallela al lato opposto. Essa individua, con gli altri due lati, angoli congruenti agli angoli opposti al vertice, pertanto la somma degli angoli interni di un triangolo è l’angolo piatto (vedere figura B.5). boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B p. 436 β α β α Figura B.5. La somma degli angoli interni di un triangolo è pari all’angolo piatto m(n − 2) = 2n ria che possiamo equivalentemente scrivere nella forma (m − 2)(n − 2) = 4. Se ne deduce che le uniche soluzioni intere di questa equazione sono viso m=3 n=6 m=4 n=4 m=6 n=3 (B.1) cioè oltre alla tassellatura del piano con quadrati è possibile la tassellatura del piano con triangoli equilateri e con esagoni regolari. La generalizzazione nello spazio IR3 dei poligoni piani è rappresentata dai poliedri (in IRn , con n ≥ 4 dai politopi ). za p rov Un poliedro è un insieme finito e connesso di poligoni piani tali che ogni lato di ciascun poligono appartiene esattamente ad un altro poligono e con la proprietà che i lati dei poligoni che concorrono a ciascun vertice rimangano in un solo semispazio individuato da un piano passante per tale vertice. Gli interni dei poligoni si dicono facce mentre i loro lati si dicono spigoli. Esempi di poliedri sono le piramidi, i prismi e gli antiprismi. Dalla definizione risulta che le facce non possono intersecarsi in un poliedro e che non sono ammesse tra i poliedri situazioni tipo la “doppia piramide a boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 437 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B (a) (b) (c) (e) (d) ria Figura B.6. Esempi di poliedri: piramidi [(a),(b)], prisma (c) e antiprismi [(d),(e)] viso clessidra”. Infine, come per i poligoni piani, appare chiaro che un poliedro divide lo spazio in (almeno) due regioni, di cui quelle limitate costituiscono l’interno. Un poliedro si dice convesso se nessun piano contenente le facce interseca l’interno. Un poliedro si dice regolare se tutte le facce sono poligoni regolari convessi uguali tra loro e se ad ogni vertice concorrono lo stesso numero di spigoli. za p rov Se, in un poliedro regolare le facce sono poligoni regolari con p lati e se a ogni vertice concorrono q spigoli, il poliedro regolare si indica con {p, q}. A differenza dei poligoni regolari convessi (che sono infiniti), di poliedri regolari convessi ce ne sono solo 5 come risulta da una banale generalizzazione del ragionamento svolto per la determinazione delle tassellature regolari del piano. Sia infatti dato un poliedro regolare e convesso {p, q}; se immaginiamo di sviluppare su un piano passante per un vertice del poliedro le q facce che a questo concorrono, dalla convessità segue che q(1 − 2/p)π < 2π, ossia, sviluppando, boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B 1 1 1 + > ; p q 2 p. 438 (B.2) pertanto le sole coppie intere {p, q} verificanti la (B.2) sono p = 3, q = 3 p = 3, q = 4 p = 3, q = 5 p = 4, q = 3 p = 5, q = 3 che danno luogo, rispettivamente, ai poliedri detti tetraedro, ottaedro, icosaedro, cubo e dodecaedro. Complessivamente essi sono noti come solidi platonici3 . Tetraedro Cubo Dodecaedro ria Ottaedro Icosaedro Cosı̀ chiamati perché descritti per la prima volta da Platone, il quale però attribuisce la scoperta di alcuni di essi ai Pitagorici. Questi, che del numero e delle relazioni misurabili della geometria avevano fatto il fondamento della loro dottrina, ritenevano che i solidi in questione, per la loro regolarità, si interponevano tra le sfere celesti (quindi implicitamente erano in grado di apprezzarne l’inscrivibilità in sfere) e queste, con il loro moto, nell’armonia dell’universo, producevano suoni e musica, pure regolati da perfetti rapporti numerici. Infine va ricordato che i primi quattro solidi platonici vennero descritti anche da Euclide e a questi Platone, nel Timeo, associò i quattro elementi costitutivi dell’Universo, cioè fuoco (tetraedro), aria (ottaedro), acqua (icosaedro), e terra (cubo). Il quinto solido platonico, ossia il dodecaedro, fu, secondo Platone, usato dal Creatore per decorare l’Universo; sempre nel medesimo dialogo, Platone afferma “non accorderemo a nessuno che vi siano corpi visibili più belli di questi.” La bellezza e regolarità di questi solidi vennero riscoperte durante il Rinascimento contemporaneamente ai primi studi di prospettiva (si pensi al De quinque corporibus regolaribus di Piero della Francesca o al De proportione di Luca Pacioli) per poi essere nuovamente rivisitati in chiave esoterica dal neoplatonico Keplero. za p rov 3 viso Figura B.7. I cinque solidi platonici boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 439 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B ria Vediamo infine, per completezza, il caso non convesso partendo dal piano. I cosiddetti poligoni regolari a stella (noti già ai Pitagorici) sono poligoni non convessi con lati ed angoli formati da lati consecutivi uguali fra loro, con la possibilità per i lati di autointesecarsi. Il pentagono regolare stellato (o stella a cinque punte) si ottiene ad esempio congiungendo in ordine alterno i vertici di un pentagono regolare convesso. Analogamente si possono costruire in IR3 dei poliedri regolari a stella che sono poliedri non convessi con facce autointersecantesi fra loro. Si può dimostrare che anche i poliedri regolari a stella (noti anche come poliedri di Keplero (1777 – 1859)4 sono in numero finito; più precisamente tre dodecaedri stellati e un icosaedro stellato. Matematico e astronomo, Keplero (J. Kepler, 1571 – 1630) detto Keplero) propose un modello del sistema solare basato sui solidi platonici; a confermare l’atteggiamento pitagorico che ancora permeava la visione dell’Universo, ricordiamo che nel libro L’armonia del mondo del 1619 Keplero descrisse le leggi musicali che regolano il moto dei pianeti in accordo con quanto asserito da Platone (e attribuito ai pitagorici) e secondo le quali i rapporti armonici del moto dei pianeti corrispondono ai rapporti dell’ottava e della quinta (Timeo). Si noti che la famosa terza legge di Keplero, poi usata da Newton per ricavare la legge di gravitazione universale, ritrova il rapporto di quinta giacché asserisce che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta attorno al Sole è proporzionale al cubo della sua distanza da esso (per la precisione la terza legge fa riferimento “al semiasse maggiore” invece che “alla distanza” dato che l’orbita, in genere, risulta ellittica, col sole in uno dei fuochi). Il sistema solare, come complesso di sfere, veniva sostanzialmente descritto attraverso i rapporti dei solidi platonici mentre ciascun pianeta veniva interpretato come una corda di una lira a sette corde suonata da Apollo: con il loro moto venivano prodotti i suoni che costituivano la musica delle sfere. In particolare Keplero precisa che Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da bassi e la Terra e Venere da alti. za p rov 4 viso Figura B.8. Pentagono regolare stellato boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B Dodecaedro stellato Dodecaedro stellato di II specie di III specie Icosaedro stellato ria Dodecaedro stellato p. 440 di VII specie di IV specie viso Figura B.9. I poliedri di Keplero-Poinsot Teorema di Eulero za p rov Un poliedro si dice semplice se può essere deformato in modo continuo fino a diventare una sfera, ovvero se il poliedro non presenta “buchi”. Più precisamente si potrebbe dire che presa comunque una curva chiusa sul poliedro, essa può venir deformata in modo continuo fino ad un punto. Per i poliedri semplici vale il seguente risultato. Indichiamo con F il numero delle facce, con S il numero degli spigoli e con V il numero dei vertici di un poliedro semplice. Allora 5 F − S + V = 2. —◮ Dimostrazione. Si tolga una faccia del poliedro e, con movimenti continui, si deformi il restante del poliedro fino a realizzare uno sviluppo piano. boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 441 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B Naturalmente, con questo procedimento, il numero di vertici e il numero di spigoli del poliedro rimangono invariati; considerando l’esterno dello sviluppo piano come la faccia rimossa, anche il numero delle facce del poliedro rimane inalterato. Operiamo ora dei cambiamenti nello sviluppo piano del poliedro che non cambiano la caratteristica di Eulero del poliedro, ossia la quantità F − S + V . Su ogni faccia dello sviluppo piano con più di tre spigoli si aggiunga una diagonale (cioè un segmento che unisce due vertici non consecutivi); ad ogni aggiunta di una diagonale aumenterà di una unità sia S (si aggiunge uno spigolo) che F (si aggiunge una faccia). Tuttavia rimane invariata la quantità F − S + V . Si rimuovano quelle facce (ormai tutte triangolari) dello sviluppo piano che risultano avere due spigoli sulla frontiera dello sviluppo stesso. In tal modo, ogni rimozione comporta la diminuzione di una faccia, due spigoli e un vertice, rimanendo inalterata la quantità F − S + V . Si ripeta questo procedimento fino a che tutte le facce dello sviluppo piano rimanenti abbiano in comune con la frontiera o uno spigolo oppure lo sviluppo piano si riduca ad un triangolo. Si rimuovano quelle facce dello sviluppo piano aventi in comune con la frontiera uno spigolo; ad ogni rimozione diminuiscono di una unità sia il numero delle facce che il numero degli spigoli, pertanto resta invariata la quantità F − S + V . ria Alla fine, dopo aver ripetutamente operato i cambiamenti descritti nei punti a), b) e c), lo sviluppo piano del poliedro si riduce ad un triangolo per il quale il calcolo della caratteristica di Eulero è molto facile dato che V = 3, S = 3 e F = 2 (contando, come detto all’inizio della dimostrazione, sia la faccia interna che quella esterna). Pertanto F − S + V = 2 − 3 + 3 = 2. ◭— La formula della caratteristica di Eulero per un politopo n-dimensionale si generalizza nella seguente (Formula di Schläfli) viso N0 − N1 + N2 − · · · + (−1)n−1 · Nn−1 = 1 − (−1)n ove Nj , 0 ≤ j < n è il numero dei politopi j-dimensionali contenuti nel politopo; si può dimostrare che essa risulta invariante per trasformazioni continue. Tale formula consente anche di “memorizzare” più facilmente quella di Eulero, osservando che il numero di politopi di dimensione pari va sommato, mentre va sottratto il numero di politopi di dimensione dispari. za p rov Infine, per completezza, ricordiamo che un importantissimo risultato sulle triangolazioni delle superfici compatte dovuto a Radò consente di classificare tali oggetti passando allo studio degli sviluppi piani dei poliedri associati. Vediamo ora come usando il Teorema di Eulero sia possibile ricavare in altro modo i solidi platonici. Sia infatti dato un poligono convesso regolare {p, q}; poiché ogni spigolo appartiene a due facce e unisce due vertici si ricavano subito le seguenti relazioni 2S = pF = qV. Pertanto, utilizzando la Formula di Eulero si deduce che boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B 2=F −S+V = cioè anche p. 442 2·S 2·S −S+ p q 1 1 1 1 + = + . p q 2 S (B.3) Essendo per ipotesi p, q numeri interi maggiori di 3 (e S > 0), se p e q sono strettamente maggiori di 3 si ottiene l’assurdo 1 1 1 1 1 1 1 + ≤ + = ≤ + . p q 4 4 2 2 S Quindi o p = 3 o q = 3. Se p = 3, da 1 1 1 1 = + − S q 3 2 0< ria si ricava che q ≤ 5, cioè q = 3 o q = 4 o q = 5. Poiché la (B.3) è “simmetrica” in p e q, si vede facilmente che, oltre alle coppie viste, le uniche altre possibili soluzioni intere di (B.3) sono p = 4, q = 3 e p = 5, q = 3. Le caratteristiche dei solidi platonici sono riassunte nella tabella B.1. Tabella B.1. Caratteristiche dei solidi platonici F S V tetraedro 4 6 4 ottaedro 8 12 6 icosaedro 20 30 12 cubo 6 12 8 dodecaedro 12 30 20 za p rov {3, 3} {3, 4} {3, 5} {4, 3} {5, 3} nome viso tipo {p, q} Richiami sulle simmetrie Indicata con d la distanza euclidea in IRN una funzione biunivoca f : IRN → IRN tale che ∀x, y ∈ IRN d(f (x), f (y)) = ρ · d(x, y) boz ©F. Rosso, Università di Firenze ρ ∈ IR+ www.math.unifi.it/rosso/ p. 443 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B si dice una similitudine o trasformazione di similitudine di rapporto ρ. In particolare se ρ = 1 la trasformazione si dice isometria, mentre sarà un ingrandimento o una riduzione a seconda che ρ > 1 o ρ < 1. In IR2 un esempio di similitudine è un’omotetia di centro O e rapporto ρ, cioè una applicazione del piano in sé che lascia fisso il punto O e trasforma ogni altro punto nel modo indicato nella figura B.10, mentre un esempio di isometria del piano è una simmetria assiale o riflessione (cioè una applicazione del piano in sé involutoria che lascia fisso ogni punto di una retta fissata detta asse di simmetria e che trasforma ogni semipiano individuato dall’asse nell’altro. Anche le traslazioni e le rotazioni del piano sono isometrie. P′ ρ · d(O, P ) P O viso ria Figura B.10. Esempio di omotetia di centro O e rapporto ρ; il punto P ′ viene individuato sulla congiungente OP alla distanza d(O, P ′ ) = ρ · d(O, P ). za p rov Figura B.11. Esempio di simmetria assiale. È facile vedere che: ogni traslazione del piano si può ottenere come composizione di due riflessioni ad assi paralleli (si noti che l’intensità della traslazione è pari al doppio della distanza fra gli assi); boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B p. 444 Figura B.12. Traslazione ogni rotazione del piano si può ottenere come composizione di due riflessioni ad assi incidenti nel centro di rotazione (si noti che l’angolo della rotazione è pari al doppio dell’angolo fra gli assi); viso ria Figura B.13. Rotazione ogni similitudine del piano si può ottenere come composizione di al più un’omotetia, di una traslazione e di una rotazione, ossia ogni similitudine del piano si può ottenere come composizione di al più un’omotetia e di quattro riflessioni. za p rov Le roto-traslazioni vengono anche dette movimenti rigidi del piano. L’insieme dei movimenti rigidi e delle riflessioni del piano si dicono anche congruenze. Si noti che l’insieme delle rotazioni di centro fissato (cosı̀ come l’insieme di tutte le traslazioni del piano), con la ovvia legge di composizione, costitui- boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 445 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B scono un gruppo6 . Diremo che un oggetto o figura è “simmetrica” se esiste una congruenza che lascia l’oggetto invariato pur permutando i suoi elementi. L’insieme di tutte le congruenze di un oggetto simmetrico (a cui va aggiunto l’identità) è un gruppo detto gruppo delle simmetrie dell’oggetto. Più ampio è tale gruppo e maggiori sono le simmetrie dell’oggetto, nel senso che l’oggetto appare più simmetrico (si noti che ogni oggetto ha per simmetria l’identità). Osserviamo in particolare che se il gruppo delle simmetrie di una figura è finito, la figura possiede un numero finito di “vertici” che vengono permutati dalle congruenze. Pertanto esiste un “centro” che viene trasformato in sé dalle congruenze. Dunque abbiamo mostrato la seguente Ogni gruppo finito di congruenze lascia almeno un punto fisso. viso ria In particolare se il gruppo finito delle congruenze di una figura è ciclico (il che accade se ogni congruenza S del gruppo si ottiene componendo m volte con se stessa una sola congruenza T del gruppo, detta generatore del gruppo) il punto A della figura verrà trasformato nel punto A1 = T (A) o in A2 = T (A1 ) = T (T (A)) o nel punto A−1 = T −1 (A) o, in generale, nel punto Ak = T k (A) con −n < k < n dalle congruenze del gruppo di simmetrie della figura. I punti A−n+1 , . . . , A−1 , A, A1 , . . . , An−1 possono essere pensati come vertici di un poligono che risulta equilatero (si ricordi che T è un’isometria). Viceversa, dato un poligono regolare di n lati, esso è dotato di un gruppo di simmetrie che ha come sottogruppo il gruppo delle rotazioni aventi per centro il centro del poligono: esso è un gruppo ciclico generato dalla rotazione di ampiezza 2π/n. Passando dal piano allo spazio, una rotazione attorno ad una retta o asse di ampiezza 2π/n determina un gruppo ciclico di n elementi (considerando anche l’identità). L’asse è detto binario, ternario, quaternario, ecc. a seconda che n = 2, 3, 4, ecc. 6 za p rov Vogliamo ora computare il numero di rotazioni di un poliedro {p, q}. I possibili assi di rotazione sono le congiungenti il centro del poliedro con i vertici, i punti medi degli spigoli e i centri delle facce. Poiché, a parte il tetraedro, vertici, spigoli e facce sono antipodali rispetto al centro del poliedro, il numero degli assi è 12 (F + S + V ); nel tetraedro, però, ogni vertice è antipodale ad una faccia, sicché il numero totale degli assi continua ad essere 21 (F + S + V ). In un poliedro {p, q}, attorno ad ogni asse passante per un vertice si determinano q − 1 rotazioni (non computando l’identità), ovvero ogni asse per un vertice di un poliedro {p, q} è q-nario, mentre ogni asse passante per il centro di una In matematica si indica con tale nome un insieme di oggetti in cui sia definita una legge di moltiplicazione (che possiamo indicare ad esempio col simbolo ◦) con le seguenti proprietà: il “prodotto” (comunque sia definito) di due elementi a, b dell’insieme genera un elemento c appartenete all’insieme stesso, il prodotto è associativo (cioè (a ◦ b) ◦ c = a ◦ (b ◦ c)), esiste un elemento neutro e (tale cioè che a ◦ e = a), per ogni elemento a esiste l’inverso ã (ovvero a ◦ ã = e). boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B p. 446 faccia è p-nario (le p rotazioni attorno ad un asse passante per il centro di una faccia coincidono infatti col gruppo delle rotazioni della faccia stessa, che è un poligono regolare con p lati). Gli assi passanti per il punto medio di uno spigolo sono invece binari. In totale dunque, escludendo di computare l’identità, il numero delle rotazioni di un poliedro {p, q} è pari a 1 (F (p − 1) + S + V (q − 1)). 2 Tenendo conto della formula di Eulero e delle relazioni 2S = pF = qV che sussistono in un poliedro {p, q} risulta poi 1 1 (F (p − 1) + S + V (q − 1)) = (pF − F + S + qV − V ) = 2 2 = 1 1 (pF − 2 + qV ) = (4S − 2) = 2S − 1. 2 2 za p rov viso ria Pertanto, il numero delle rotazioni di un poliedro {p, q}, contando anche l’identità, è dato da 2S. Lo studio delle simmetrie dei poliedri è alla base della classificazione delle forme semplici dei cristalli (cristallografia geometrica). I cristalli infatti presentano una eccezionale regolarità e simmetria e sono raggruppati in 32 classi che si possono suddividere in 7 sistemi a seconda delle proprietà di simmetria. Cosı̀ il sistema cubico (quello della comune salgemma) è caratterizzato dall’esistenza di 3 assi quaternari e 4 ternari (nella più regolare delle classi, la esacisottaedrica, vi sono anche 6 assi binari, a conferma della formula appena calcolata, dato che 6+4(3−1)+3(4−1)+1 = 24 = 2·12 = 2S), nel sistema esagonale i cristalli sono dotati di un asse senario, in quello tetragonale di un asse quaternario, in quello trigonale di un asse ternario, in quello rombico di un asse binario; infine il sistema monoclino è caratterizzato dalla presenza di una simmetria di tipo “riflessione rispetto ad un piano” mentre quello triclino non ha alcuna simmetria. Salta agli occhi che queste simmetrie (e tutte le possibili loro combinazioni) sono poche se confrontate con quelle immaginabili per i poliedri o per altre strutture naturali. Si pensi ad una stella marina: se le cinque braccia sono uguali essa è dotata di una simmetria di asse quinario. In natura invece non esistono cristalli con assi quinari, né con assi di simmetria di tipo settenario, ottonari o, in generale, maggiore di senario. Il motivo è profondo ed interessante dal punto di vista geometrico. Fu lo studioso francese Haüy il primo a supporre (nel 1784) che i cristalli fossero formati da un aggregato regolare di piccolissime “celle” la cui forma geometrica determinava quella del cristallo stesso. Haüy chiamò tali celle molecole integranti e, benché ne avesse individuato solo tre, egli tuttavia introdusse l’idea che i cristalli avessero una struttura regolare e discontinua boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 447 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B che si sarebbe poi sviluppata fino all’odierno concetto di reticolo cristallino di atomi, definitivamente confermato nel 1912 con l’esperimento di diffrazione dei raggi X ideato da Max von Laue. Ben prima però, l’intuizione di Haüy fu perfezionata da Bravais il quale, studiando i possibili modi in cui si potevano realizzare dei reticoli spaziali omogenei, periodici e discontinui, riuscı̀ a trovare 14 possibili reticoli, che, tenendo conto delle simmetrie, si riducono ai 7 sistemi già descritti. L’idea di Haüy di molecola integrante consentı̀ al mineralogista inglese Miller di associare a ogni faccia di (una cella di) un cristallo dei simboli (noti come simboli milleriani (l : m : n)) che, rispetto ad un opportuno sistema di riferimento cristallografico, rappresentano i coefficienti (normalizzati) che individuano il piano contenente la faccia stessa. Poiché si ritiene che un cristallo sia una struttura discontinua e periodica, se ne deduce che deve valere la cosiddetta legge di razionalità degli indici, secondo la quale a facce parallele corrispondono, rispetto ad un opportuno sistema di riferimento cristallografico, indici milleriani proporzionali, con costante di proporzionalità razionale. Tale legge fondamentale della cristallografia è anche detta legge di Haüy. viso ria Sulla base di queste premesse cristallografiche possiamo mostrare geometricamente il motivo per il quale nei cristalli non possono esistere altri assi di rotazione oltre a quelli di tipo binario, ternario, quaternario e senario. Sia dato infatti un reticolo piano di punti dotato di più di un centro di rotazione. Sia P un centro di rotazione di ampiezza 2π/n e sia Q 6= P un centro di rotazione di ampiezza 2π/n che realizzi la minima distanza r da P (si veda la figura B.14). Sia P ′ il trasformato di P rispetto alla rotazione di centro Q e Q′ il trasformato di Q rispetto alla rotazione di centro P ′ . Possono presentarsi due eventualità: o P = Q′ oppure P 6= Q′ . Nel primo caso il triangolo di vertici P ′ , Q e P = Q′ è equilatero e dunque l’angolo di rotazione è di π/3, ossia n = 6; nel secondo caso dovendo risultare, per ipotesi su r, d(P, Q) ≤ d(P, Q′ ) segue immediatamente che l’angolo di rotazione deve essere maggiore di π/2, ossia n ≤ 4. za p rov Q’ 2π/n P’ P 2π/n Q Figura B.14. Dimostrazione geometrica della restrizione cristallografica boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B p. 448 Questa dimostrazione è dovuta a Wigner e il risultato è anche noto come restrizione cristallografica; si osservi che è in perfetto accordo con il risultato sulla tassellatura del piano e che, in cristallografia, si interpreta con la proprietà di omogeneità dei cristalli. Per la precisione, va ricordato che esistono degli stati di aggregazione atomica con una struttura diversa (detta dei quasicristalli) da quella dei cristalli che non implicano l’esistenza di un reticolo e per le quali esistono delle simmetrie di ordine 5. Queste strutture, rivelate dalla diffrazione ai raggi X di una lega di alluminio e manganese, vennero scoperte per la prima volta nel 1984, ma descritte molto prima, come ipotesi teorica, dal matematico inglese Roger Penrose che studiò la possibilità di tassellare il piano con forme pentagonali in maniera non periodica. Classi cristalline descrizione I 3 assi della croce assiale hanno tutti differente lunghezza e formano tra loro angoli diversi da 90◦ . I cristalli triclini non presentano né assi di simmetria né piani di riflessione Sistema monoclino I 3 assi della croce assiale sono di diversa lunghezza. 2 assi formano tra loro angoli retti; il terzo forma con il loro piano un angolo maggiore di 90◦ . I cristalli monoclini hanno un solo asse binario ed un solo piano di simmetria viso Sistema ortorombico ria Classe Sistema triclino I 3 assi della croce assiale hanno lunghezza differente e formano tra loro 3 angoli retti. Si considera ortorombico un cristallo che presenta solo assi binari e/o 2 piani di riflessione insieme za p rov Sistema trigonale o romboedrico La croce assiale è a quattro assi, 3 assi di uguale lunghezza giacciono su un piano orizzontale formando un angolo di 120◦ tra di loro. Il quarto asse è più lungo o più corto degli altri ed è perpendicolare al loro piano orizzontale. Un cristallo è trigonale se ha un asse ternario boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 449 Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B Due degli assi della croce assiale hanno eguale lunghezza in quanto a 90◦ l’asse si ripete a causa della simmetria quaternaria, il terzo è più lungo o più corto. Tutti e 3 gli angoli che formano sono retti. Un cristallo si considera tetragonale se ha un solo asse di simmetria quaternario Sistema esagonale Impiega una croce assiale a 4 assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono sul piano orizzontale facendo un angolo di 120◦ l’uno con l’altro. Il quarto asse è più lungo o più corto ed è disposto perpendicolarmente al piano degli altri tre. È considerato esagonale un cristallo avente un asse senario Sistema cubico Tutti e 3 gli assi della croce assiale hanno la stessa lunghezza e si incrociano tra loro ad angolo retto. Si considera cubico un cristallo che abbia almeno 2 assi di simmetria ternari za p rov viso ria Sistema tetragonale boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/ p. 450 viso ria Fabio Rosso: Lezioni di Matematica ..., Capitolo B za p rov Figura B.15. Reticoli di Bravais boz ©F. Rosso, Università di Firenze www.math.unifi.it/rosso/