CONFINDUSTRIA
Centro Studi
Working
Paper CSC
Nessuno stimolo alla crescita dell’area
dell’euro dalla politica economica?
Alcune evidenze empiriche
Anna Ruocco e Ciro Rapacciuolo
CSC Working Paper n. 56
Dicembre 2006
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CSC Working Paper
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Il testo dei CSC Working Paper e il loro elenco completo sono disponibili
sul sito internet della Confindustria (http://www.confindustria.it)
Le valutazioni espresse nei lavori inclusi in questa serie impegnano
esclusivamente i loro autori.
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
NESSUNO STIMOLO ALLA CRESCITA DELL’AREA
DELL’EURO DALLA POLITICA ECONOMICA?
ALCUNE EVIDENZE EMPIRICHE
Anna Ruocco
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CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
Abstract
L’economia dell’area dell’euro negli ultimi anni è cresciuta a un ritmo molto
inferiore a quello degli Stati Uniti e a quelli sperimentati in passato nel
Continente stesso. Ma qual è stato il ruolo giocato dall'insieme delle politiche
economiche in questo periodo? Hanno perseguito il sostegno della crescita e la
stabilizzazione del ciclo, o solo il risanamento dei conti pubblici e il controllo dei
prezzi? In questo lavoro vengono analizzate la natura delle politiche economiche
nell’area dell’euro e le loro interazioni, con un focus specifico sui loro effetti sul
ciclo.
Si indagano innanzitutto i motivi storici e la validità presente delle regole di
Maastricht e si analizza una misura sintetica dell’impatto delle manovre di
bilancio sul ciclo, la fiscal stance. Dall'analisi emerge che le politiche di bilancio
nell’area dell'euro, condizionate dal rispetto di rigidi target numerici sul deficit,
non solo non hanno raggiunto l'obiettivo di risanare in modo stabile i conti
pubblici, ma non hanno nemmeno perseguito un efficace sostegno della crescita
nell’area, né nel lungo termine - come sarebbe negli obiettivi - né nel breve.
L’analisi della politica monetaria della Bce è basata su di una analoga misura
sintetica, la monetary stance. Essendo di più rapida attuazione e avendo un centro
decisionale unico, la politica monetaria è di per sé più adatta a svolgere una
funzione anticiclica rispetto all’economia dell’area, sebbene anch’essa non lo
abbia come obiettivo. Si mostra in effetti che, perseguendo e ottenendo la stabilità
dei prezzi, la politica monetaria ha in generale anche svolto un’azione anticiclica,
in particolare sostenendo la crescita nelle fasi di debolezza.
L’interazione tra le due misure di stance fornisce un’indicazione dell’impatto sul
ciclo del complesso della politica economica nell’area dell’euro. Emerge che gli
andamenti delle due stance sono stati per molti versi speculari. Perciò i loro effetti
sul ciclo si sono, almeno in parte, compensati. Il lavoro conclude quindi che negli
ultimi anni la politica economica non ha sostenuto quanto avrebbe potuto e
quanto sarebbe stato necessario la crescita nell’area dell’euro.
Keywords: Cycles, Monetary Policy, Fiscal Policy.
JEL Classification: E32, E52, E62, E63.
Questo lavoro sviluppa alcuni dei risultati contenuti in Centro Studi Confindustria, Il
momento di scegliere: risanare per crescere, Quaderni di Ricerca, n.1, settembre 2006.
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Indice
1. Introduzione ...................................................................................................5
2. Le politiche di bilancio nell’area dell’euro .................................................5
2.1 Motivi storici e validità presente delle regole di Maastricht......................10
2.2 I saldi strutturali e la fiscal stance nell’area dell’euro ...............................11
3. La politica monetaria nell’area dell’euro..................................................13
3.1 Strategia della Bce e monetary policy stance .............................................13
3.2 L’interazione tra politica monetaria e di bilancio nell’area dell’euro.........18
4. Conclusioni ...................................................................................................20
Figure e tabelle .................................................................................................22
Bibliografia .......................................................................................................28
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Dicembre 2006 – n. 56
1. Introduzione
Tra il 2002 ed il 2005 il PIL dell’area dell’euro è cresciuto in media
dell’1,2% all’anno, un ritmo di crescita molto inferiore a quello degli Stati
Uniti e a quelli sperimentati in passato nel Continente. Tra i paesi
dell’area sono cresciuti a tassi più contenuti proprio alcuni tra quelli di
maggiore peso economico quali Germania (+0,5% in media) e Italia
(+0,4%). Il rallentamento dell’area dell’euro è dovuto a fattori di
debolezza strutturale interni (nel mercato del lavoro, delle merci, dei
servizi) aggravati dalla concorrenza sempre più agguerrita da parte dei
paesi emergenti. Alcuni paesi, primo fra tutti l’Italia, hanno perso
competitività principalmente a causa della bassa crescita della
produttività e della propria specializzazione produttiva, ma anche per un
tasso di cambio in progressivo rafforzamento.
A fronte di queste difficoltà, è naturale chiedersi quale sia stato il
contributo che è venuto dalla politica economica. In questo lavoro si
analizzano la natura delle politiche economiche in tale arco di tempo e la
loro relazione con l’andamento del ciclo.
2. Le politiche di bilancio nell’area dell’euro
Nel corso degli anni Novanta le politiche di bilancio nell’area dell’euro
sono state per la maggior parte pro-cicliche e sono state determinate
primariamente dalla necessità di soddisfare i criteri fissati dal Trattato di
Maastricht per entrare nella Unione Economica e Monetaria (UEM).
Nell’UEM la politica di bilancio è di competenza esclusiva degli Stati
membri. Le uniche limitazioni, previste dal Trattato, sono l’obbligo di
contenere i disavanzi e il debito entro certi limiti: il rapporto tra
disavanzo pubblico (previsto o effettivo) e Prodotto interno lordo ai
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prezzi di mercato (PIL) non può essere superiore al 3%; il rapporto tra
debito pubblico e PIL non deve superare il 60%.
Il risultato è stato quello di indebolire il legame tra politiche fiscali e
obiettivi di crescita, che sono passati in secondo piano. I singoli Stati
membri, infatti, per conseguire rapidamente risultati tangibili hanno
perseguito il risanamento delle finanze pubbliche facendo leva
principalmente sulle entrate fiscali. Dopo l’adesione all’UEM però,
mentre da un lato il vincolo è stato avvertito in misura minore, dall’altro
sono emersi quei problemi strutturali che non erano stati risolti negli
anni precedenti. I vincoli alle politiche di bilancio, imposti dalla
normativa europea, non hanno indotto i Paesi membri a ridurre la spesa
corrente al netto degli interessi, che nell’area dell’euro, tra il 1998 e il
2005, è perfino cresciuta, seppur di poco1. Il 2006 potrebbe essere un anno
in cui questa tendenza si arresta.
A partire dal 2002, con il rallentamento dell’economia europea, la politica
di bilancio non solo non ha svolto una funzione di sostegno alla crescita
ma ha mancato pure l’obiettivo del risanamento. Pertanto, le difficoltà in
cui tuttora versano gli stati membri hanno contribuito a mettere in
discussione l’interpretazione dei vincoli di bilancio imposti dal Trattato
di Maastricht e, conseguentemente, le regole del Patto di stabilità e
crescita.
Molteplici sono i problemi alla base della poca incisività delle politiche di
bilancio. Innanzitutto le leve di politica fiscale sono state affidate alla
esclusiva competenza degli Stati membri mentre la crescente
interdipendenza tra le diverse economie dell’Unione europea
richiederebbe un maggiore coordinamento2. Un ulteriore limite è stato
1 Gli unici due paesi ad aver diminuito il rapporto sul PIL della spesa corrente al netto degli
interessi sono stati l’Austria e la Germania.
2 A questo scopo occorrerebbe rafforzare il ruolo dei Grandi orientamenti di politica
economica (Gope), definiti dal Consiglio europeo per garantire il corretto funzionamento
dell’UEM, attraverso linee direttive più concrete, commisurate a ciascuno Stato membro e
mirate al miglioramento del potenziale di crescita e alla creazione di posti di lavoro.
L’obiettivo, posto fin dall’inizio della terza fase dell’UEM, è quello di rendere la politica
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l’aver subordinato l’accesso e, successivamente, la permanenza nell’UEM
al solo raggiungimento di target numerici. Gli Stati membri sono infatti
tenuti a perseguire nel medio termine il risanamento dei conti pubblici,
ma non hanno vincoli sul “come” raggiungere tale risultato. In molti casi
questo ha indotto i governi ad attuare politiche di bilancio con discreti
risultati nel breve periodo rinviando però al futuro la soluzione dei
problemi strutturali.
Tutto ciò si è tradotto in una scarsa attenzione agli obiettivi di crescita.
Per far questo, invece, le politiche di bilancio devono agire anche
intervenendo a sostegno dell’offerta (ad esempio favorendo gli
investimenti produttivi, sia privati sia pubblici) ma soprattutto devono
trovare il giusto equilibrio tra la necessità del consolidamento dei bilanci
pubblici e quella del rafforzamento del potenziale di crescita. La teoria
economica e l’evidenza empirica mostrano infatti che il risanamento dei
bilanci, anche nei periodi di rallentamento economico, non produce
necessariamente effetti negativi sulla crescita: il risultato dipende
dall’entità delle manovre e dalle modalità con le quali si persegue tale
risanamento. Una data riduzione del rapporto indebitamento/PIL può
essere effettuata tramite un aumento delle entrate, tramite una riduzione
delle spese oppure tramite una switching strategy (che inizia con un
aumento delle entrate seguito da tagli alle spese).
Lo studio degli effetti delle politiche di bilancio e il tentativo di
individuare quali possano essere quelle più adatte a coniugare
l’aggiustamento con il sostegno alla crescita, è uno degli argomenti più
dibattuti in letteratura. Recentemente, una parte della letteratura
economica sull’argomento ha mostrato come un aggiustamento di
bilancio possa ottenere differenti risultati, sia in termini di successo nel
ridurre il debito, sia in termini di crescita economica, a seconda delle
diverse modalità d’attuazione e delle condizioni iniziali.
economica una questione di interesse comune tra gli Stati membri. Negli anni, in realtà, il
ruolo dei Gope si è sempre rivelato marginale rispetto a quello di monitoraggio svolto dal
Patto di stabilità e crescita.
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Secondo la teoria macroeconomica tradizionale3 il risanamento delle
posizioni di bilancio avviene solo a costo di una riduzione del PIL e
dell’occupazione. Ridurre il disavanzo pubblico significa ridurre la
domanda per beni e servizi; il che, in presenza di prezzi rigidi, si traduce
in una riduzione della produzione reale. A ciò si aggiungono altri effetti
negativi dal lato dell’offerta nel caso in cui il risanamento avvenga
tramite un incremento delle imposte che comporti un aumento del costo
del lavoro.
La teoria macroeconomica sviluppatasi negli anni ’80, introducendo il
concetto delle aspettative, ha cambiato radicalmente le conclusioni di
politica economica. Le scelte degli operatori economici (consumatori e
imprenditori) sono influenzate non solo dall’attuale situazione
economica ma anche da quanto si attendono per il futuro. Di fronte a
manovre di finanza pubblica che possano ragionevolmente portare ad
una stabile diminuzione dello stock del debito nel medio/lungo termine,
gli operatori economici si aspettano una diminuzione del costo del
servizio per il debito e, in prospettiva, una diminuzione delle imposte. Se
il consumo dipende non dal reddito corrente ma dal reddito permanente
e se gli investimenti si rivelano forward looking, consumi e investimenti
potrebbero risultare più elevati rispetto al caso in cui il Governo non
intraprendesse la via del risanamento4. Inoltre, una riduzione dei salari
e/o dei livelli occupazionali del settore pubblico potrebbe determinare
uno shock positivo nel settore privato inducendo una diminuzione del
costo del lavoro e facendo crescere gli investimenti privati (supply-side
effects). Ipotesi cruciale è che gli operatori giudichino negativamente la
situazione delle finanze pubbliche prima dell’attuazione della manovra e
credano che l’aggiustamento del bilancio dello Stato porterà ad un
miglioramento delle condizioni economiche in futuro.
Le verifiche empiriche mostrano che, a date condizioni, il costo in termini
di perdita di PIL delle politiche di risanamento di bilancio è mitigato
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Nella tradizione Keynesiana
Effetti non-Keynesiani
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dagli effetti positivi sul consumo privato derivanti da un miglioramento
delle aspettative degli agenti economici. Gli studi hanno sottolineato
l’importanza delle dimensioni della manovra di consolidamento5 e della
sua composizione6. La probabilità che una manovra di consolidamento
fiscale abbia effetti espansivi sull’economia è più elevata se le condizioni
economiche che la precedono sono caratterizzate da una bassa crescita e
da un output gap negativo7 e sono associate a situazioni di alto debito. In
sostanza, la presenza di un alto debito crea negli agenti economici
l’aspettativa di essere maggiormente tassati in futuro per ripagare il
debito stesso. Questo infatti non è che il valore attuale delle maggiori
imposte da pagare in futuro.
I principali risultati a cui giunge la letteratura empirica su questo tema
possono essere così sintetizzati8:
- la crescita nei paesi europei è accelerata in circa la metà dei casi in cui si
sono portate avanti manovre di risanamento delle finanze pubbliche;
- nel lungo periodo gli effetti delle manovre si osservano sia
sull’andamento dello stock del debito sia sull’output trend9;
- esiste una correlazione negativa tra trasferimenti in rapporto al PIL e
crescita di lungo periodo del PIL. Sembrerebbe, quindi, esistere un
disincentivo dato dalla presenza di sistemi di sicurezza sociale molto
forti, che indebolirebbero la crescita;
- la probabilità di ottenere una riduzione permanente del debito è più
elevata se il risanamento avviene tramite una riduzione delle spese
piuttosto che con un aumento delle imposte10. In particolare, i tagli delle
Giavazzi e Pagano (1990); Giavazzi e Pagano (1995); Giavazzi, Jappelli e Pagano (1999).
Alesina e Perotti (1995); Alesina e Perotti (1997); Alesina e Ardagna (1998).
7 Commissione Europea (2003).
8 Se non diversamente specificato riportiamo i risultati richiamati nel Rapporto annuale
della Commissione Europea (2003).
9 L’output trend si distingue dall’output potenziale per il metodo di calcolo: il primo viene
stimato con il metodo Hodrick-Prescott, il secondo con una funzione di produzione.
10 Von Hagen, Hallett e Strauch (2001).
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spese che danno i migliori risultati riguardano trasferimenti, sussidi,
salari del pubblico impiego11.
In conclusione, una strategia di finanza pubblica efficace, che consente di
raggiungere sia l’obiettivo del risanamento sia quello della crescita, si
fonda su tagli delle spese correnti, seguiti da riduzioni del carico fiscale.
2.1 Motivi storici e validità presente delle regole di Maastricht
Al momento della conferenza di Maastricht, nel dicembre 1991, il 60%
rappresentava approssimativamente la media delle quote di debito sul
PIL dei paesi membri. Le regole stabilite dal Trattato sono state fissate
considerando l'ipotesi che un rapporto debito/PIL del 60% fosse
sostenibile e che il PIL crescesse a un tasso annuo del 5% in termini
nominali. Coerentemente con queste assunzioni, venne stabilito che il
rapporto indebitamento su PIL non avrebbe dovuto superare il 3%.
Tuttavia, nel 2006 la crescita potenziale reale nell'area dell’euro si
dovrebbe attestare intorno al 2%. Aggiungendo l'obiettivo di inflazione
del 2%, si dovrebbe avere una crescita nominale dell’area dell’euro pari
al 4% circa. Con queste condizioni, per stabilizzare il rapporto debito/PIL
al 60%, la soglia dell’indebitamento dovrebbe essere fissata al 2,4% del
PIL. Come si vede dalla Figura 1a, Francia, Germania e Italia, partendo
dai rispettivi valori del rapporto debito/PIL del 2005 e con un
indebitamento costante del 2,4%, convergerebbero verso il 60%, con
tempi decisamente più lunghi per l’Italia.
I parametri di Maastricht, tenuto conto degli attuali tassi di crescita e del
livello medio del debito, potrebbero essere addirittura definiti blandi.
Infatti, perseguendo l’obiettivo dell’indebitamento sul PIL del 3%, con un
tasso di crescita nominale del 4%, il rapporto debito/PIL al 60% non
sarebbe più raggiungibile. L’andamento del debito sul PIL per Francia e
Germania sarebbe, seppur di poco, crescente. Per l’Italia, invece,
Fatas, Von Hagen, Hallett, Strauch e Sibert (2003). Questi risultati confermano nella
sostanza quanto già rilevato da Von Hagen, Hallett e Strauch (2001) con uno studio
econometrico effettuato su 20 paesi dell’Ocse, relativamente al periodo 1973-1998.
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resterebbe decrescente per alcuni decenni ma non si raggiungerebbe mai
la soglia del 60% (Figura 1b).
2.2 I saldi strutturali e la fiscal stance nell’area dell’euro
Un valido strumento per analizzare più in dettaglio le scelte operate dai
governi europei è la fiscal stance, costruita utilizzando i saldi strutturali.
La Commissione europea utilizza come indicatori di riferimento nelle
proprie analisi sia i saldi di bilancio grezzi, sia quelli aggiustati per gli
effetti del ciclo economico. Questi ultimi, i cosiddetti “saldi strutturali”,
consentono seppur in modo approssimativo di isolare le variazioni delle
poste di bilancio determinate dall’andamento del ciclo economico da
quelle discrezionali, dovute a esplicite variazioni di politica economica.
I saldi di bilancio strutturali non escludono, tuttavia, le misure unatantum. Perciò gli aggiustamenti di bilancio messi in evidenza, anche se
non dovuti al ciclo, potrebbero comunque essere “temporanei”. Nel caso
italiano, in cui il ricorso alle una-tantum è stato molto consistente, i
miglioramenti del saldo strutturale non indicano necessariamente che sia
stato intrapreso un effettivo risanamento.
Nel calcolo della misura di fiscal stance non viene invece considerata la
spesa per interessi, prendendo quindi a riferimento il saldo di bilancio
primario strutturale. Gli interessi passivi per il bilancio pubblico sono
infatti determinati dallo stock del debito pubblico e dal livello dei tassi
d’interesse e, quindi, non sono direttamente imputabili al Governo in
carica (se non nella misura in cui quest’ultimo abbia contribuito a far
crescere il debito).
Per analizzare la fiscal stance dell’area dell’euro, le variazioni del saldo di
bilancio primario corretto per il ciclo12 sono messe in relazione all’output
gap, quale indicatore del ciclo economico.
12 Le politiche di bilancio, in realtà, poco si prestano a svolgere un’attività anti-ciclica: si
pensi alla lentezza con cui sono attuate le manovre di bilancio (ad esempio agli iter
parlamentari di attuazione delle leggi che riguardano il bilancio dello Stato), ma anche
all’incertezza e all’instabilità che si creerebbe se la normativa fiscale venisse utilizzata a fini
11
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Non esistendo una politica di bilancio comune ed essendo le decisioni di
bilancio assunte a livello decentrato, la fiscal stance dell’area dell’euro,
contrariamente alla monetary stance, ha una valenza puramente
indicativa. Le politiche di bilancio sono in linea con lo spirito del Patto se,
una volta raggiunta la posizione di pareggio, il Paese attua politiche
neutrali, ovvero se a variazioni dell’output gap non corrispondono
variazioni del saldo di bilancio corretto per il ciclo13. In questo caso le
variazioni del saldo di bilancio nominale sarebbero il frutto del solo
operare degli stabilizzatori automatici. Per i Paesi ancora lontani dal
pareggio di bilancio è invece richiesta una politica restrittiva: ovvero si
deve verificare un miglioramento del saldo di bilancio aggiustato per il
ciclo (cioè una riduzione dell’indebitamento in termini strutturali).
Il punto critico nel processo di risanamento, per l’area dell’euro (Figura
2) è stato l’adozione di politiche pro-cicliche durante le fasi di buon
andamento economico. Solo le piccole economie, contrariamente alle
grandi, hanno utilizzato in modo proficuo le fasi di crescita per
consolidare le loro posizioni di bilancio.
Sulla base delle previsioni della Commissione e considerando le revisioni
dei conti pubblici italiani, la politica di bilancio nella media dell’area
dell’euro dovrebbe risultare invece sostanzialmente neutrale nel biennio
2005-2006.
Se si analizzano i dati contenuti negli aggiornamenti dei Programmi di
stabilità per l’area dell’euro dal 1999 ad oggi si ha una idea della scarsa
capacità della politica di bilancio di raggiungere gli obiettivi
programmati. Si nota che lo scostamento annuale tra obiettivi e loro
realizzazione è stato in media di 1 punto percentuale di PIL (Tabella 1).
Tale difficoltà deriva dai condizionamenti ai quali le politiche di bilancio
sono sottoposte. In particolare: a) le difficoltà degli Stati membri
congiunturali. Soprattutto per le imprese che devono compiere scelte di investimento è
fondamentale poter contare sulla certezza del diritto.
13 Tecnicamente se la fiscal stance rientra nella banda compresa tra -0,5 e +0,5 la politica di
bilancio viene definita neutrale rispetto al ciclo.
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nell’elaborare le previsioni economiche su cui si basano i loro impegni
nei confronti del Patto; b) le difficoltà nel realizzare le manovre di
bilancio contenute nelle leggi finanziarie; c) le difficoltà previsive della
stessa Commissione che ne hanno compromesso la capacità di
monitoraggio.
Uno dei problemi cruciali messo in evidenza durante l’applicazione del
Patto è che, per dare maggiore responsabilità e indipendenza alle
politiche fiscali dei Paesi membri, per migliorare i tempi e per chiarire
compiti e ruoli delle procedure, si dovrebbero definire in modo più
chiaro i ruoli all’interno delle istituzioni europee (Commissione e
Consiglio) e tra queste e i Paesi membri.
3. La politica monetaria nell’area dell’euro
Una delle determinanti più importanti dell’ambiente macroeconomico
all’interno del quale operano le politiche fiscali dei singoli stati membri è
la politica monetaria. Questa, infatti, fissa i tassi di interesse e influenza i
tassi di cambio e la crescita della moneta, determinanti fondamentali per
gli andamenti dell’attività economica e dei prezzi.
Il condizionamento da parte della politica monetaria sulla politica di
bilancio avviene per via diretta tramite i tassi di interesse che, insieme
alla dimensione e alla composizione dei rispettivi debiti pubblici,
contribuiscono a determinare la spesa per interessi dei diversi Paesi
membri.
La politica monetaria, gestita da un unico centro decisionale, può essere,
a differenza di quella di bilancio, lo strumento più idoneo per intervenire
tempestivamente a sostegno del ciclo economico.
3.1 Strategia della Bce e monetary policy stance
L’assetto istituzionale della politica economica e in particolare la strategia
di politica monetaria hanno subito un profondo cambiamento dal 1999.
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L’introduzione della moneta unica, con la conseguente definizione di
tassi di cambio fissi tra i diversi paesi e di un cambio unico verso l’estero,
l’unificazione del centro decisionale sui tassi di interesse e la crescita
della moneta, segnano una discontinuità senza precedenti nella gestione
della politica monetaria in Europa. Ciò ha influenzato significativamente
la condotta della politica di bilancio di ciascun Paese membro e
l’andamento stesso delle rispettive economie.
La condotta effettiva della politica monetaria nell’area è strettamente
legata agli obiettivi ad essa affidati. L’obiettivo primario del SEBC
(Sistema europeo di banche centrali, che comprende la BCE) è il
mantenimento della stabilità dei prezzi, così sancito dal Trattato di
Maastricht e dall’annesso Statuto del SEBC e della BCE14. Senza
pregiudicare l’obiettivo primario, il SEBC deve dare sostegno all’insieme
delle politiche economiche della Comunità europea. Tale obiettivo di
massima è stato poi reso più specifico dalla Banca stessa (nell’ottobre
1998 e poi con la revisione del 2003), identificandolo con il mantenimento
dell’inflazione sotto il 2% nel medio termine15. La BCE tecnicamente
potrebbe, come ha fatto, modificare ulteriormente la specificazione di
questo obiettivo16. Nei fatti, l’inflazione ha oscillato a lungo attorno al 2%
nel periodo 2002-2005 (Figura 3). Dalla seconda metà dello scorso anno,
però, la dinamica dei prezzi al consumo sta permanendo sopra la soglia
BCE, posizionandosi attorno al 2,4%17.
Art.105 del Trattato e art. 2 dello Statuto.
La BCE ha anche un valore di riferimento per la crescita della moneta M3 (4,5%
tendenziale) ma nessun esplicito obiettivo in termini di crescita del PIL.
16 Si noti che si sarebbe potuto fin dall’inizio fissare, con l’accordo di tutti i Paesi membri,
ovvero indipendentemente da pressioni dei singoli Governi, un obiettivo anche sulla
crescita del PIL. C’è in effetti un lungo e acceso dibattito se sia giusto o meno che la BCE
non abbia la crescita del PIL (magari in relazione al valore potenziale) come obiettivo
esplicito, a fianco della stabilità dei prezzi. Lo si potrebbe fare ancora, modificando il
Trattato, ma con l’unanimità dei voti dei Paesi membri.
17 Tuttavia se si considerano gli shock degli ultimi anni sui prezzi delle materie prime si può
sostenere che l’inflazione non si stia comunque discostando eccessivamente dalla soglia.
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Lo strumento unico a disposizione della BCE nella gestione della politica
monetaria è la fissazione del tasso di interesse ufficiale. Nel corso dei
sette anni e mezzo della sua esistenza, la Banca ha realizzato una
stagione di rialzi dei tassi (dal 2,5% di metà 1999 al 4,75% di fine 2000) e
una di tagli (dal 4,75% di inizio 2001 al 2% di metà 2003). A ciò è seguita
una lunghissima fase di tassi fermi, durata oltre due anni tra il 2003 e il
2005. Infine, l’attuale seconda stagione di rialzi è stata avviata alla fine
del 2005 quando il tasso era al 2%. La manovra sul tasso ufficiale incide
su tutta la struttura dei tassi di interesse in Europa, specialmente su
quelli a breve. Se confrontiamo il tasso di mercato a tre mesi (cosiddetto
Euribor) con il tasso ufficiale di sconto, è evidente la relazione di leading
indicator del primo rispetto al secondo (Figura 4). L’Euribor anticipa la
risalita (discesa) del tasso ufficiale BCE: nelle fasi di risalita (discesa)
quindi l’Euribor è più elevato (basso) del tasso ufficiale. Nel settembre
2006 l’Euribor si è attestato in media al 3,34% e il tasso BCE al 3%.
I due cosiddetti pillar, sulla base dei cui andamenti la BCE
dichiaratamente prende le sue decisioni sui tassi di interesse, sono gli
aggregati monetari e gli andamenti dell’economia reale e dei prezzi.
Tra le grandezze monetarie, la BCE presta particolare attenzione alla
crescita della moneta M3. Da anni questa è costantemente superiore al
valore di riferimento del 4,5% stabilito dalla Banca, il che ha condotto
all’esistenza di un’ampia liquidità nell’area dell’Euro. Gran parte degli
analisti (si veda ad esempio la recente analisi di Buiter, Nielsen e
Vernazza) ritiene eccessiva l’importanza data dalla BCE alla moneta: nel
lungo periodo esiste una forte relazione tra moneta M3 e prezzi, nel
breve periodo però la relazione è debole o del tutto inesistente, rendendo
quindi poco utile ai fini del policy making l’informazione circa la moneta.
Quanto al lato reale dell’economia, per la BCE conta in particolare
l’andamento della crescita reale del PIL dell’area in relazione con la
crescita potenziale e la connessa misura di output gap (Figura 5)18. Un
18 Bisogna distinguere attentamente tra i due concetti: primo, la differenza tra i tassi di
crescita del PIL effettivo e potenziale; secondo, l’output gap basato sul PIL potenziale,
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output gap positivo è infatti un indicatore di possibili tensioni
inflazionistiche perché segnala una situazione di pieno impiego dei
fattori produttivi, con conseguenti pressioni sui loro prezzi. Dal 1999
l’economia dell’area ha registrato prima una fase espansiva (1999-2001) e
poi una più lunga fase in cui la crescita è stata sotto quella potenziale
(2001-2005). Solo nel 2006 si è tornati sopra la crescita potenziale.
Nel corso della sua operatività la complessiva strategia della BCE ha
subito una serie di cambiamenti: il passaggio da Duisenberg a Trichet
(nel novembre 2003); la lieve ridefinizione dell’obiettivo di inflazione e il
parziale downgrading del pillar monetario nel 2003 (cfr. Walton e Daly,
2003); alcuni cambiamenti nella strategia di comunicazione; soprattutto,
la recente adozione da parte di Trichet19 dell’idea della
“normalizzazione” della politica monetaria. Ovvero di un aggiustamento
graduale ma costante verso il livello naturale (o normale) del tasso di
interesse, definito come il livello del tasso al quale l’inflazione è costante
nel medio termine e il PIL è pari al livello potenziale. In precedenza le
autorità di politica monetaria ritenevano che il tasso naturale di interesse
(cfr. Ecb, 2004) fosse un valido concetto teorico ma caratterizzato nella
pratica da un elevato livello di incertezza, sia riguardo la dimensione
delle deviazioni sia, in alcuni casi, addirittura al segno. Ciò portava ad
essere molto cauti nel basare le decisioni su tale indicatore, visto che non
aggiungeva in pratica molto al policy making. Al momento, la posizione
della BCE sembra essere di porre maggiore attenzione a tale indicatore,
pur senza trascurare gli altri.
ovvero lo scarto tra PIL effettivo e potenziale di uno stesso anno in percentuale del
potenziale. In entrambi i casi il PIL potenziale è calcolato dalla Commissione europea in
base alla stima di una funzione di produzione per l’intera economia. Partendo da una
situazione di output gap negativo, quando la prima misura diviene positiva, lo scarto tra PIL
effettivo e potenziale comincia a diminuire e quindi l’output gap si avvicina allo zero e poi al
campo positivo. I segni delle due misure, perciò, in uno specifico anno possono essere
opposti (e in effetti ciò si verifica nei dati in Figura 5 per l’area dell’euro).
19 Da lui citata esplicitamente per la prima volta nell’aprile 2006.
16
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
Sulla base di strumenti sviluppati dalla letteratura empirica, illustriamo
una misura della monetary policy stance per l’area dell’Euro basata proprio
sul tasso naturale che tiene conto, eccetto la moneta, dell’andamento
della maggior parte delle variabili prima analizzate. L’impiego del tasso
naturale di interesse consente di analizzare in maniera sintetica
l’andamento della monetary policy stance nell’area nel corso degli ultimi
anni, verificandone altresì il sostegno dato al ciclo economico. Secondo
buona parte della letteratura empirica, le deviazioni tra il tasso naturale
di interesse e quello effettivo possono infatti essere considerate come una
misura della stance20.
Vi sono in letteratura varie misure del tasso naturale. Quelle tradizionali
(comprese quelle derivate dalla stima di una Taylor rule) ipotizzano un
tasso naturale fisso nel tempo, una misura che non pare fornire grande
attendibilità. La letteratura più recente parte invece dal presupposto più
realistico che il tasso naturale sia variabile nel tempo. Secondo Mésonnier
e Renne (2004), che adottano per l’area dell’euro la metodologia
sviluppata in Laubach e Williams (2003), dal 2000 in poi il tasso effettivo
appare sostanzialmente in linea con quello naturale; questo risultato,
però, implicherebbe che l’azione della BCE non ha mai esercitato nei
confronti né dell’inflazione stessa, né del PIL, un’azione “anti-ciclica”.
Secondo la più attendibile analisi di Fels e Pradhan (2006b), che
utilizziamo in questo lavoro, invece, nel marzo del 2006 il tasso naturale
era intorno al 3,5% e quindi, al momento dell’analisi, il gap era pari a
circa l’1% e la stance molto espansiva (Figura 6)21. Al mese di settembre
2006, con il valore corrente dell’Euribor salito poco sopra il 3,3% e
20 Ciò fornirebbe un importante benchmark per la condotta della stessa politica monetaria,
grazie a una migliore comprensione del suo impatto sull’attività economica e sui prezzi.
21 Un altro punto interessante dell’analisi di Fels e Pradhan (2006b) è che, dall’introduzione
della moneta unica, in poco più di sette anni, il tasso naturale di interesse nell’area si è
ridotto di un punto percentuale. Ciò è consistente con il rallentamento della crescita della
produttività e della popolazione nell’area, oltre che con l’aumento della propensione al
risparmio. Il calo del tasso naturale potrebbe in parte essere spiegato anche dal rapido
guadagno di credibilità della BCE dalla sua istituzione.
17
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
ipotizzando una stabilità negli ultimi sei mesi del tasso naturale, il gap
sarebbe pari a circa il -0,2%. Nonostante i recenti rialzi dei tassi, la stance
di politica monetaria sarebbe dunque ancora lievemente accomodante.
Questo risultato concorda perfettamente con l’analisi della stessa BCE. La
Banca giudica i tassi ancora bassi e la stance di politica monetaria
accomodante e ha anticipato futuri ulteriori aumenti dei tassi, ritenendo
che permangano rischi al rialzo sul medio termine per i prezzi al
consumo. Le previsioni di consenso sono appunto che a fine 2006 la BCE
dovrebbe portare il tasso ufficiale al 3,5% e quindi nel 2007 dovrebbe
decidere una pausa nel processo di normalizzazione.
Combinando questa misura della stance monetaria con l’andamento del
ciclo economico nell’area, misurato dall’output gap, si può analizzare se
l’azione di politica monetaria, al di là dell’obiettivo di inflazione, abbia
avuto un qualunque legame con l’andamento dell’economia reale.
L’evidenza empirica mostra come ci sia una significativa correlazione
(positiva) tra queste due variabili (Figura 7). A output gap negativi è
corrisposta una stance espansiva e a output gap positivi, invece, una stance
restrittiva. Con l’eccezione degli anni 1999 e 2002, la stance si è sempre
situata in territorio anticiclico.
In altri termini la politica monetaria, pur senza averlo come obiettivo
esplicito, ha esercitato un’azione di sostegno ciclico dell’economia
europea nelle fasi depressive e un’azione restrittiva nelle fasi di crescita
sostenuta.
In particolare, in tutto il triennio 2003-2005, di sostanziale stagnazione
economica, la politica monetaria è stata espansiva e anticiclica. E
nonostante il rialzo in corso dei tassi, anche nel 2006 la politica monetaria
sta risultando parimenti espansiva e anticiclica.
3.2 L’interazione tra politica monetaria e di bilancio nell’area dell’euro
Per valutare l’impatto sulla crescita economica nell’area dell’euro del
policy mix è necessario integrare l’analisi della politica monetaria con la
fiscal stance.
18
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
Ciò consente di rispondere alla domanda se la politica economica
dell’area sia stata o meno, dal 1999, di sostegno al ciclo economico,
fornendo quindi una valutazione dei suoi effetti sulla crescita22.
La politica di bilancio nell’area non è stata in generale utilizzata in
funzione anticiclica, ovvero né come sostegno dell’attività economica in
periodi di rallentamento, né come freno in fasi troppo espansive, a
differenza della politica monetaria che è stata in generale anticiclica23. La
Figura 8 evidenzia infatti una relazione positiva per la stance monetaria e
una relazione negativa per quella di bilancio con l’output gap24.
Quanto all’intersezione tra le due politiche, l’analisi condotta in questa
sede25, mostra come, in generale, esse abbiano avuto dalla nascita
dell’UME effetti di segno opposto sul ciclo e che quindi, almeno in parte,
si siano compensate26. La complessiva policy stance perciò è stata meno
22 Va ricordato che, ufficialmente, le due diverse politiche nell’area dell’euro operano in
totale mancanza di coordinamento. Su tale questione è in corso da tempo un acceso
dibattito relativamente a possibili assetti istituzionali alternativi tra i fautori di forme di
cooperazione di diversa ampiezza e i sostenitori dell’indipendenza in senso largo della
BCE. A oggi, la BCE rivolge continui solleciti per consolidamenti di bilancio e per riforme
strutturali e spesso singoli Governi invitano in sede non ufficiale la BCE a operare in una o
nell’altra direzione. Per gli aspetti teorici, cfr. tra gli altri Galì e Monacelli (2005).
23 Rispetto a quella di bilancio, come accennato in precedenza, la politica monetaria è più
adatta a svolgere una funzione anticiclica rispetto all’economia dell’area dell’euro nel suo
complesso perché di più rapida attuazione e con un centro decisionale unico.
24 La misura di output gap utilizzata in questo paragrafo si basa per Germania e Spagna sullo
scostamento del PIL dal suo trend (calcolato applicando un filtro statistico alla serie del PIL)
piuttosto che dal PIL potenziale.
25 Si noti che le unità di misura in cui sono espresse le due stance non sono confrontabili. La
fiscal stance è espressa come variazioni dell’avanzo primario corretto per il ciclo in
percentuale del PIL. La monetary stance come differenza tra tassi di interesse reali. Non è
quindi possibile ricavare in modo diretto una misura unica della economic policy stance da
una qualche combinazione lineare delle due misure.
26 Gli andamenti delle due stance, per molti versi speculari l’uno all’altro, suggerirebbero in
effetti il verificarsi di un risultato “cooperativo” o come decisione razionale di una o
entrambe le parti con l’operare di qualche forma più o meno forte di “coordinamento” o
“cooperazione” tra le due politiche, o come esito di un “gioco non-cooperativo”.
19
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Dicembre 2006 – n. 56
forte (in senso sia espansivo sia restrittivo) di quanto avrebbe potuto
essere se le due politiche fossero andate nella stessa direzione.
Più in particolare, mentre nella fase recessiva del biennio 2003-2004 a una
monetary stance fortemente espansiva si è affiancata una fiscal stance vicina
alla neutralità, nel 2005, anno in cui l’output gap è ulteriormente sceso, la
fiscal stance è divenuta restrittiva limitando l’effetto espansivo della
politica monetaria. Nell’anno in corso, invece, in presenza di un output
gap ancora negativo nonostante la ripresa dell’attività economica,
entrambe le politiche sono caratterizzate, in base ai dati disponibili e alle
previsioni ufficiali e di consenso, da una stance meno forte. Quella
monetaria sarebbe ancora lievemente espansiva, a differenza di quella di
bilancio già sostanzialmente neutrale.
Si può concludere allora che la politica economica complessiva non ha
fornito quello stimolo alla crescita nell’area che avrebbe potuto esercitare
e di cui, in periodi come quello tra il 2003 e il 2005, ci sarebbe forse stato
bisogno. È anche vero che manovre in tale direzione avrebbero potuto
incidere negativamente sulla stabilità dei prezzi e delle finanze
pubbliche.
4. Conclusioni
Questo lavoro ha mostrato, innanzitutto, come negli ultimi anni la
politica di bilancio del complesso dell’area dell’euro, essendo
maggiormente mirata all’obiettivo del risanamento dei bilanci pubblici,
non ha in generale svolto una funzione anticiclica. Un’azione di tale tipo
non è del resto negli obiettivi della politica di bilancio che, invece, mira al
sostegno della crescita di medio-lungo periodo proprio per il tramite del
risanamento dei conti. Tuttavia, neanche l’obiettivo della stabilità dei
conti pubblici può dirsi completamente raggiunto negli anni successivi
alla nascita dell’UEM.
20
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
La politica monetaria, viceversa, pur avendo come obiettivo unico la
stabilità dei prezzi al consumo nel medio termine, ha in generale
esercitato un’azione anticiclica sull’attività economica nell’area. In
particolare sostenendola, durante il recente lungo periodo di modesta
crescita. In più, anche il suo obiettivo dichiarato può considerarsi
sostanzialmente raggiunto: l’inflazione per lunghi anni è rimasta
ancorata alla soglia del 2%, tranne che nel periodo più recente.
Gli andamenti della stance monetaria e di quella di bilancio sono risultati
per molti versi quasi speculari l’uno all’altro. Perciò, almeno in parte, i
loro effetti sul ciclo economico si sono compensati. Questo può essere
stato un risultato involontario o anche l’esito di una decisione (non
ufficiale) di una o entrambe le parti. Comunque sia andata, la stance
complessiva è stata meno forte, sia in senso espansivo che restrittivo, di
quanto avrebbe potuto essere se le due politiche fossero andate nella
stessa direzione.
La politica economica per il complesso dell’area dell’euro non ha dunque
esercitato una forte azione di stabilizzazione del ciclo economico. Non
ha, in particolare, fornito quello stimolo alla crescita di cui, in periodi
come quello tra il 2003 e il 2005, ci sarebbe stato bisogno. E ciò ha
contribuito alla lunghezza stessa della fase di debolezza dell’attività
economica.
21
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
Figure e tabelle
Figura 1 - Simulazioni sull'andamento del rapporto Debito/PIL
a)
110
Italia
Francia
Germania
Debito in % Pil
100
90
80
70
60
0
2
4
6
8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
Anni
Fonte : elaborazioni CSC su dati della Commissione europea, Ameco .
b)
110
Italia
Francia
Germania
Debito in % Pil
100
90
80
70
60
0
2
4
6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
Anni
Fonte: elaborazioni su dati Commissione Europea.
22
CSC Working Paper
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Figura 2 - Fiscal stance e ciclo economico dell'area dell'euro
1.0
pro-ciclica
0.8
restrittiva
anti-ciclica
restrittiva
2005
0.5
fiscal stance
0.3
2004
1999
0.0
2006*
2003
-0.3
2002
-0.5
2000
-0.8
anti-ciclica
pro-ciclica
espansiva
espansiva
2001
-1.0
-2.5
-2.0
-1.5
-1.0
-0.5
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
output gap
* Previsioni della Commissione europea.
Fonte: elaborazioni CSC su dati della Commissione europea.
Fonte: elaborazioni su dati Commissione Europea.
23
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Tabella 1 - Piani di stabilità e di convergenza nell’area dell'euro
(saldi di bilancio in percentuale del PIL)
Piano
1998
a
1999a
2000
1998 1999 2000b 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
-1,8 -1,6 -1,1 -0,8
-2,0 -1,4 -1,1
-1
-0,6 -0,3
-1,3 -0,7 -0,6 -0,3 0,1
2001
2002
0,4
-0,8 -1,1 -1,1 -0,7 -0,3
-1,5 -2,2 -1,8 -1,1 -0,7 -0,1
2003
-2,2 -2,7 -2,3 -1,8 -1,2 -0,7
2004
-2,7 -2,8 -2,3 -1,8 -1,3
2005
Consuntivoc -2,2 -1,3
-2,5 -2,5 -2,3 -1,8 -1,4
0,1 -1,8 -2,5 -3,0 -2,8 -2,4
I dati in tondo aggregano i dati considerati “consuntivi” dai vari Governi al
momento dell’elaborazione dei diversi Programmi; quelli sottolineati
aggregano le stime dei vari Governi effettuate sulla base dei dati parziali
disponibili; quelli in grassetto aggregano gli obiettivi.
a) Area dell'euro a 11 paesi: il piano di Stabilità della Grecia è stato preso in
considerazione per il calcolo del piano dell'area dell'euro a partire dal 2000.
b) Sono compresi gli incassi derivanti dalla vendita delle licenze UMTS.
c) Dati definitivi, così come successivamente rivisti da parte di Eurostat e degli
Istituti nazionali.
Fonte: Commissione Europea, Public finances in Emu, 2000-2006.
24
CSC Working Paper
Dicembre 2006 – n. 56
Figura 3 - Inflazione effettiva nell'area dell'euro e obiettivo BCE
(Dati mensili; variazioni % tendenziali)
3.5
3.0
2.5
2.0
1.5
1.0
0.5
1999m01
2000m01
2001m01
2002m01
2003m01
2004m01
2005m01
2006m01
Fonte: Eurostat.
Figura 4 - Tasso di interesse ufficiale BCE e Euribor
(Dati giornalieri)
Tasso a 3 mesi area-euro e tasso ufficiale Bce (%)
5.5
EURIBOR
5.0
Tasso BCE
4.5
4.0
3.5
3.28
3.00
3.0
2.5
2.0
1.5
01/99
01/00
01/01
01/02
01/03
01/04
01/05
01/06
Fonte: Thomson Financial.
25
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Figura 5 - PIL effettivo e potenziale e output gap nell'area dell'euro
(Dati trimestrali; variazioni % tendenziali)
5.0
2.5
4.5
Pil ef f ettivo
4.0
Pil potenziale
2.0
Output gap *
3.5
1.5
3.0
1.0
2.5
0.5
2.0
0.0
1.5
-0.5
1.0
-1.0
0.5
0.0
1999q01
-1.5
2000q01
2001q01
2002q01
2003q01
2004q01
2005q01
2006q01
* Asse di destra.
Fonte: elaborazioni su dati Commissione europea.
Figura 6 - La Monetary policy stance nell'area dell'euro
(Dati trimestrali; gap del tasso reale di interesse)
Nota: il gap del tasso reale di interesse è la differenza tra il tasso effettivo reale a breve e la
stima del tasso naturale di interesse. Valori positivi (negativi) denotano una monetary policy
stance restrittiva (espansiva).
Fonte: Morgan Stanley, BCE, Eurostat.
26
CSC Working Paper
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Figura 7 - Monetary policy stance e ciclo economico nell'area dell'euro
1.50
Pro-ciclica
restrittiva
monetary policy stance
1.00
Anti-ciclica
restrittiva
2001
0.50
2000
0.00
1999
2006 *
-0.50
2002
2003
-1.00
Anti-ciclica
espansiva
Pro-ciclica
espansiva
2005
-1.50
-2.50
-2.00
-1.50
-1.00
2004
-0.50
0.00
0.50
1.00
1.50
2.00
2.50
output gap
* Nostre stime.
Fonte: elaborazioni su dati Morgan Stanley, Commissione europea.
Figura 8 - Economic policy stance e ciclo economico nell'area dell'euro
1.5
1.3
Fiscal stance
Pro-ciclica
restrittiva
1.0
0.8
Fiscal e Monetary stance
Anti-ciclica
restrittiva
Monetary stance
2005
2001
0.5
0.3
2004
1999
0.0
2006
-0.3
-0.5
2002
2002
1999
2000
2001
2003
-1.0
Anti-ciclica
espansiva
-1.5
-2.5
-2.0
2003
2006
-0.8
2000
-1.3
-1.5
-1.0
Pro-ciclica
espansiva
2004
2005
-0.5
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
Output gap
Fonte: elaborazioni su dati Commissione europea, Morgan Stanley.
27
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Dicembre 2006 – n. 56
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