Pdf - Temi Romana

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Note a sentenza
Lavoro (Rapporto di) - Licenziamento individuale Successiva revoca del provvedimento - Reintegra nel posto
di lavoro - Decorrenza ex tunc degli effetti dalla data di
decorrenza originaria del rapporto di lavoro - Retribuzioni
medio tempore maturate
Trib. Roma – Sez. Lavoro – 10 Gennaio 2013, n. 245 – G.U. dr. Nunziata – ric.: D.M. (avv. F.d.A.); res.: B.N. ora B.S. (avv. F.M. e N.P.)
Carlotta Maria Manni
Praticante Abilitato
Il licenziamento, una volta comunicato alla controparte, è unilateralmente irrevocabile. È tuttavia consentita
l’accettazione della revoca da parte del lavoratore (Cass. 11664-06). Tale revoca implica l’invito del datore a
riprendere il lavoro e la sua volontà di considerare il rapporto come mai risolto “de iure”. E pertanto, ove accettata, essa ripristina il rapporto di lavoro con effetto dalla data del recesso, con la conseguenza che da tale data
il lavoratore ha diritto alle retribuzioni “medio tempore” maturate, essendo il mancato svolgimento della prestazione lavorativa imputabile esclusivamente alla condotta datoriale e potendo la tempestiva impugnativa del licenziamento, valutarsi come implicita offerta delle energie lavorative da parte del lavoratore (Cass. 5638-09).
F
atto e diritto – La parte ricorrente, all’odierna
udienza, ha dichiarato a fronte dell’avvenuta
ripresa del servizio in data 16.3.2012, di abbandonare la domanda per la parte inerente alla validità del
licenziamento ed al risarcimento dei danni.
Nel rito del lavoro il contenuto della domanda proposta
dal ricorrente e della memoria difensiva del resistente
fissano il thema decidendum, che non può più essere
alterato con l’introduzione di nuovi elementi, tali da
modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni
già formulate nei termini di cui all’art. 420 c.p.c.; tale
regola processuale, però, non esclude che l’attore
abbandoni alcuni capi della domanda ovvero che il
convenuto rinunci a talune eccezioni, trattandosi di una
condotta processuale che rientra nella piena disponibilità delle parti (Cass. 7035-86).
Non si verte invece in materia di rinuncia agli atti del
giudizio, con conseguente necessità delle formalità
richieste dall’art. 306 c.p.c., atteso che tale istituto
comporta l’estinzione del giudizio, laddove nel caso in
esame il giudizio permane, in quanto restano fermi i
residui capi della domanda.
Temi Romana
Il lavoratore ha insistito per l’accoglimento della residua parte della domanda con condanna del datore di
lavoro alla corresponsione delle retribuzioni dal licenziamento alla ripresa del servizio con declaratoria della
continuazione del rapporto di lavoro dalla originaria
assunzione.
La domanda è parzialmente fondata nei termini di
seguito esposti.
Quanto al primo profilo, il lavoratore è stato licenziato
in data 16.3.2011 e collocato in mobilità ai sensi della
L. 223/91. È pacifico tra le parti che successivamente,
in sede di trattative sindacali, il licenziamento è stato
revocato (v. anche accordo aziendale 7.4.2011) e che
tale revoca è stata accettata dal lavoratore al più tardi
con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio.
Il giudice è chiamato a pronunciarsi su fatti che siano
sostanzialmente controversi tra le parti; ed anzi deve
porre a fondamento della decisione, oltre alle prove raggiunte dalle parti, i fatti non specificamente contestati
dalla parte costituita (art. 115 c.p.c.; Cass. 14623-09).
Il licenziamento, una volta comunicato alla controparte, è unilateralmente irrevocabile. È tuttavia consentita
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Note a sentenza
l’accettazione della revoca da parte del lavoratore
(Cass. 11664-06). Tale revoca implica l’invito del datore a riprendere il lavoro e la sua volontà di considerare
il rapporto come mai risolto “de iure”. E pertanto, ove
accettata, essa ripristina il rapporto di lavoro con effetto dalla data del recesso, con la conseguenza che da tale
data il lavoratore ha diritto alle retribuzioni “medio
tempore” maturate, essendo il mancato svolgimento
della prestazione lavorativa imputabile esclusivamente
alla condotta datoriale e potendo la tempestiva impugnativa del licenziamento, valutarsi come implicita
offerta delle energie lavorative da parte del lavoratore
(Cass. 5638-09).
Quanto sopra esposto trova conferma nel comportamento processuale della società la quale, in comparsa
di risposta, ha dichiarato: 1) di aderire alla proposta del
D. di ricostituire il rapporto “fin dalla data del licenziamento”; 2) che, entro qualche giorno, il lavoratore
avrebbe ricevuto lettera di accettazione di tale proposta, “mettendo nel nulla il precedente effetto risolutivo”; 3) che, in tal modo, “il rapporto è costituito fin
dall’origine”.
La revoca del recesso, in una con l’invito a riprendere
servizio, deve essere portata a conoscenza del lavoratore, al quale deve essere comunicata. Nel caso in esame
il datore di lavoro ha ottemperato a tale onere soltanto
in corso di causa, con lettera del 12.3.2012, dopo che il
lavoratore ha accettato la revoca per averne avuto
conoscenza “aliunde”.
Alla luce delle considerazioni esposte la società deve
essere condannata a pagare al lavoratore le retribuzioni
dal momento del licenziamento (16.3.2011) a quello
della instaurazione del presente giudizio (7.12.2011) in
osservanza del principio generale secondo cui, salva
diversa disposizione di legge, la materia del contendere si cristallizza al momento della instaurazione del
giudizio e quindi non possono essere prese in considerazione pretese fondate su fatti non dedotti nel ricorso
introduttivo e successivi allo stesso.
Quanto al secondo profilo, la domanda di declaratoria
della inefficacia od invalidità di licenziamento collettivo contiene necessariamente quella di accertamento
della continuazione del rapporto di lavoro, conseguendo necessariamente la reintegra nel posto di lavoro (v.
art. 5 comma 3 L. 223/91 e art. 18 Stat. Lav. nel testo
vigente “ratione temporis”).
Consegue che tale ultima domanda non può essere considerata né nuova né tardiva, purché sussista l’interesse
a proporla al momento della decisione (art. 100 c.p.c.).
Tale interesse sussiste a fronte della opposizione manifestata dal difensore della società alla odierna udienza.
La data di assunzione originaria va individuata, secondo le risultanze dello statino-paga di febbraio 2011, al
20.11.1989. D’altro canto lo stesso lavoratore dà atto in
ricorso di essere stato licenziato e riassunto nel novembre 1989.
Alla luce delle considerazioni esposte deve dichiararsi
la continuazione del rapporto di lavoro fin dalla data
del 20.11.1989.
L’esito complessivo del giudizio ed il perfezionamento
della revoca del licenziamento con ripresa del servizio
in corso di causa giustifica la declaratoria di compensazione delle spese processuali.
(Omissis)
Revoca del licenziamento: tra margini di incertezza
e soluzioni normative
La sentenza in commento concerne un aspetto controverso del diritto di lavoro: la revoca del licenziamento.
Prima della nota Riforma Fornero1 – di cui si avrà
modo di discorrere nel prosieguo di questo lavoro – le
Parti sociali rinviavano l’argomento ai principi generali di diritto civile concernenti i negozi giuridici,
lasciando in tal modo ampi margini a interpretazioni
talora discordanti.
Il tema ha sollevato numerose perplessità alimentando
frequenti dibattiti. La giurisprudenza, sovente, è intervenuta per trovare una disciplina applicabile ad un istituto che sembrava dimenticato dal Legislatore.
1. Effetti della revoca sul rapporto di lavoro
Il quesito centrale, attorno a cui ruota la vexata quaestio del giudizio, concerne gli effetti della revoca del
licenziamento; ossia, per meglio dire, se questa determini la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro,
ovvero se da essa derivi una mera prosecuzione del rapporto instaurato in precedenza.
Nel caso di specie, il ricorrente era stato licenziato e
collocato in mobilità dalla Società presso cui aveva
prestato per anni la propria attività lavorativa.
Successivamente, impugnava il licenziamento medesi-
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Temi Romana
Note a sentenza
Tuttavia, tale orientamento non convince; una simile
previsione, mentre da un lato favorisce ampiamente il
datore di lavoro che, mediante una variazione contrattuale, può decidere se corrispondere o meno le somme
medio tempore dovute, d’altro canto rende il lavoratore
sottoposto alla discrezionalità del datore. Né può giovare, in tal senso, la libertà a contrarre del lavoratore,
che spesso per esigenze meramente economiche si
trova costretto ad accettare condizioni dettate da parte
datoriale.
mo innanzi al Tribunale di Roma (Sez. lavoro).
A seguito di trattative concluse in sede sindacale, la
Società revocava – nelle more del giudizio – il provvedimento impugnato. La suddetta revoca veniva accettata dal ricorrente entro i termini e nelle modalità previste ex lege. Nel frattempo il giudizio proseguiva per i
residui capi di domanda relativi all’accertamento del
diritto del ricorrente alla retribuzione per il periodo
compreso tra la data del licenziamento e la data della
riassunzione.
Sebbene la Cassazione abbia mostrato segnali di
costante oscillazione, l’orientamento maggioritario2 ha
assunto il convincimento secondo cui a seguito della
revoca del licenziamento si realizza la prosecuzione
dell’originario rapporto di lavoro. Ne consegue il diritto del lavoratore a vedersi corrispondere la retribuzione maturata medio tempore: ossia nel periodo intercorso dalla data del licenziamento sino al momento della
revoca sopravvenuta.
La ratio di un simile orientamento risiede nella considerazione per cui il mancato svolgimento della prestazione è imputabile al datore, che di fatto ha licenziato
il proprio dipendente. Di converso, l’impugnazione del
licenziamento da parte del lavoratore si configura come
espressione dell’intenzione di svolgere prestazioni
lavorative3. Per usare le parole della Suprema Corte, il
comportamento del lavoratore esprime una “offerta
delle energie lavorative”.
Per esigenze di completezza, giova qui richiamare un
orientamento minoritario secondo cui l’elemento di
discernimento, tra la riassunzione e la reintegrazione,
risiede nella dichiarazione del datore – contenuta nel
nuovo contratto di lavoro individuale – in cui il rapporto di lavoro viene considerato come “mai risolto
de iure”. Se ne deduce che, ove il datore di lavoro
esprima la volontà di riassumere il lavoratore a condizioni differenti rispetto all’originario rapporto, e,
quindi, con elementi essenziali differenti, si realizzerà la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro cui,
necessariamente, dovrà precedere l’accettazione del
lavoratore, con la conseguenza che il lavoratore non
avrà diritto alla corresponsione delle somme maturate
medio tempore. Pertanto, nella valutazione complessiva, il giudice dovrà tenere in particolare considerazione il tenore letterale della proposta formulata dal datore medesimo4.
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2. Accettazione della revoca: elemento necessario?
La natura giuridica della revoca presenta ulteriori spunti di analisi e di riflessione. Come accennato, l’orientamento dominante della Suprema Corte rifiuta la soluzione di continuità tra i due rapporti di lavoro, considerandoli piuttosto un unicum.
Ne consegue l’assoluta irrilevanza dell’accettazione
della revoca da parte del lavoratore5. Questa considerazione muove dalla presunzione che l’impugnazione del
licenziamento si traduca in una volontà a proseguire il
rapporto di lavoro. In siffatta maniera, il lavoratore
avrebbe già espresso una conferma – seppure tacita e
presunta – da ricercare in una fase anteriore rispetto
alla revoca.
A sostegno di questo orientamento, vi è il principio
della presunzione di conoscenza (peraltro previsto dall’art. 1335 del Codice civile), secondo cui la revoca si
ritiene conosciuta, e quindi efficace, nel momento in
cui la stessa giunga all’indirizzo del destinatario, avendo chiaramente riguardo alle particolari modalità della
sua comunicazione. In tale circostanza, spetta al giudice di merito accertare se il lavoratore-destinatario possa
averne avuta conoscenza utilizzando la normale diligenza.
Tuttavia la Suprema Corte6, pur confermando il principio di continuità dei rapporti, ha mostrato numerose
reticenze nel seguire il dettato codicistico. Anzi da esso
ha tratto (e trae tuttora) spunto con una interpretazione
innovativa. La revoca viene configurata come una proposta contrattuale di reintegrazione del lavoratore sul
posto di lavoro e non più come revoca in senso stretto.
Pertanto, affinché si possa perfezionare l’accordo, il
lavoratore dovrà accettare la proposta dichiarando di
voler proseguire il rapporto di lavoro.
Mediante questo diverso inquadramento giuridico, la
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Note a sentenza
fatti noti convergenti nella dimostrazione della sua
sussistenza11.
stessa Corte ha rifiutato l’idea di una “irrilevanza dell’accettazione”, che di fatto mina la sfera giuridica del
lavoratore, sottoponendolo al potere decisionale del
datore, il quale diviene unico dominus del rapporto
contrattuale.
In definitiva la revoca del licenziamento deve considerarsi come un atto al quale deve seguire, necessariamente, una accettazione – espressa o tacita – da parte
del lavoratore, per l’espletamento degli effetti ad essa
connessi7.
Per quanto concerne la forma dell’accettazione non
sembra, invece, porsi alcun limite. Viene escluso
l’obbligo della forma scritta, in quanto gli atti risolutori degli effetti prodotti da atti scritti non sono
assoggettati al medesimo requisito formale; ciò in
ossequio al principio secondo cui la forma degli atti
è libera se la legge non richiede espressamente una
forma determinata8.
Non essendovi alcun limite, l’accettazione della revoca
può avvenire in forma espressa, tacita o presunta sulla
base di comportamenti concludenti del lavoratore, siano
essi commissivi che omissivi. Ne consegue, logicamente, che la mera presentazione sul luogo di lavoro e il successivo svolgimento delle proprie mansioni assumono il
significato di accettazione alla prosecuzione del rapporto, in quanto palesemente contrastante con la volontà di
interruzione del rapporto di lavoro medesimo9.
Spetta al giudice adito procedere alla ricostruzione
della volontà del lavoratore medesimo di rinunziare ad
un proprio diritto, il quale, una volta valutati tutti gli
elementi di prova, potrà accertare la sussistenza o meno
della volontà abdicativa del lavoratore10.
Chiaramente le presunzioni dovranno presentare i
requisiti di gravità, precisione e concordanza definiti
dalla giurisprudenza e che di seguito si riporta per
mero scrupolo chiarificatore a vantaggio del lettore. Il
requisito della gravità si configura come “il grado di
convincimento che ciascuno di essi (elementi indiziari) è idoneo a produrre” tale che possa determinare
una “ragionevole certezza”. Il requisito della precisione impone che l’iter logico che ha guidato il giudice
nel ragionamento non sia vago, ma definito in maniera inequivoca, chiara ed esaustiva. Da ultimo il requisito della concordanza richiede che il fatto ignoto –
nel caso di specie la volontà abdicativa – desunto dal
giudice di merito, sia il risultato di una pluralità di
3. Coesistenze incerte e percorsi alternativi
Il legislatore individua numerosi strumenti a tutela del
lavoratore che sia destinatario di un licenziamento successivamente revocato. Spetta a questo ultimo scegliere il percorso più efficace ed idoneo per difendere i propri interessi. Tuttavia, sovente, la coesistenza tra gli
strumenti medesimi rischia di divenire inconciliabile se
non addirittura contrastante.
3.1. Tutela reintegratoria e tutela risarcitoria
In merito alla eventuale coesistenza tra la tutela reintegratoria e la tutela risarcitoria, rileva verificare se il
datore abbia reintegrato il lavoratore, non solo nella
propria posizione lavorativa, ma altresì, abbia provveduto a ripristinare tutti i diritti, sì da eliminare tutti gli
effetti pregiudizievoli e dannosi del licenziamento. In
questo caso la prosecuzione del rapporto – seppure formale – fa venire meno il fatto generatore del danno12.
Ne consegue, pertanto, che al lavoratore non spetta
alcun diritto al risarcimento.
Altresì rileva la peculiare ipotesi in cui il datore di
lavoro abbia revocato il licenziamento in un momento
immediatamente successivo, prima che il lavoratore ne
possa avere conoscenza, sicché lo stesso licenziamento
non spiega i propri effetti nel mondo giuridico, tale da
potersi definire sostanzialmente inesistente13.
Non si applica, di conseguenza, la previsione normativa di cui l’art. 8 della legge n. 604/1966, salvo il diritto al risarcimento dei danni di cui l’art. 1218 Cod. civ.
Rientrano in siffatta previsione normativa i danni per
retribuzione ritardata o inferiore al dovuto, per il carattere ingiurioso del licenziamento o per il nocumento
alla salute del lavoratore per il quale sia provato il
nesso eziologico14.
A contrariis, qualora il rapporto di lavoro sia stato
interrotto dal licenziamento, il risarcimento è dovuto
nella misura in cui il fatto dannoso verificatosi ha spiegato i suoi effetti. In tale contesto la successiva revoca,
benché non incida sulla tutela risarcitoria, può variarne
in minima parte l’entità e la natura15.
Tale soluzione, certamente, non è stata accolta
all’unanimità da quell’indirizzo minoritario della giurisprudenza che definiva il diritto al risarcimento
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Temi Romana
Note a sentenza
minimo delle 5 mensilità. Diversa è la disciplina per le
altre forme viziate di licenziamento. Ove il fatto non
sussista, ovvero il medesimo rientri in una fattispecie
punibile con sanzione conservativa, il giudice ordina la
reintegrazione e il pagamento dell’indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità19. In tutti gli altri casi in
cui non ricorrano i presupposti per la comminazione
del licenziamento, al lavoratore spetta una indennità
risarcitoria compresa tra un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità20.
“connesso in via diretta ed immediata” al licenziamento illegittimo. Ragion per cui neanche il ripristino
ex tunc del rapporto lavorativo avrebbe potuto ostacolare la costituzione della tutela risarcitoria in capo al
lavoratore. La stessa stesura dell’art. 18 Stat. Lav.
(ante Riforma Fornero) non prevedeva alcun rimedio
per impedire l’insorgere del medesimo diritto, fissato
nella misura non inferiore a cinque mensilità16. Una
simile previsione sussiste indipendentemente dalla
sopravvenuta reintegra o dalla accettazione o meno
della revoca.
Ne discende che il lavoratore, che abbia accettato la
revoca del licenziamento, ha comunque diritto di ottenere il risarcimento, salvo che non vi abbia rinunciato
attraverso un accordo bilaterale o collettivo con il proprio datore di lavoro.
Per quanto concerne la disciplina dell’istituto, occorre
evidenziare come la recente riforma Fornero abbia notevolmente modificato la disciplina del risarcimento
(come, del resto, anche di altri aspetti connessi al licenziamento).
La formula contenuta nell’art. 18 Stat. Lav. ante riforma
prevedeva una disciplina unitaria per tutte le ipotesi di
invalidità del licenziamento. Non vi era alcun distinguo.
Pertanto il giudice, una volta accertato il vizio del licenziamento comminato, condannava il datore al risarcimento del danno patito dal lavoratore. L’indennità risarcitoria veniva calcolata con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra (comunque non inferiore a 5
mensilità).
Il dettato normativo di cui all’art. 18 Stat. Lav. cambia in
maniera evidente. Il legislatore diversifica le tutele risarcitorie a seconda della particolare tipologia di licenziamento;
a ciascuna di esse segue una particolare tipologia di effetti
negativi per il lavoratore, spesso non sufficientemente tutelabile con una previsione normativa omogenea.
La recente riforma prevede, in primis, una tutela maggiore per i lavoratori destinatari di un licenziamento
discriminatorio17 o di licenziamento comunicato oralmente, laddove indica che il giudice ordina al datore di
lavoro la reintegrazione del lavoratore “indipendente
dal motivo formalmente addotto e quale che sia il
numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”18.
Inoltre l’indennità risarcitoria, pur essendo calcolata
nelle medesime modalità, rimane vincolata al limite
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3.2. Tutela reintegratoria e indennità sostitutiva
Il licenziamento illegittimo comporta la facoltà per il lavoratore/creditore, di optare per una strada alternativa alla
reintegra. Questi può decidere di usufruire di una indennità sostitutiva (in seguito anche solo I.S.). Chiaramente, la
scelta di uno preclude l’esercizio dell’altro.
Il diritto alla I.S. sorge contemporaneamente al diritto
concernente la reintegra, configurandosi il primo come
una sorta di monetizzazione del secondo in una somma
pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto21. Qualora il lavoratore abbia accettato la revoca
proposta dal datore di lavoro – e di conseguenza sia
stato reintegrato nella posizione lavorativa – viene
meno il suo diritto alla indennità.
L’attuale disciplina normativa (ex art. 18 co. 3 Stat.
Lav.) prevede che il lavoratore possa chiedere una
indennità, in sostituzione della reintegrazione nel
posto di lavoro, nel termine di 30 giorni con decorrenza “dalla comunicazione del deposito della sentenza, o
dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio”,
ove questo ultimo sia anteriore alla comunicazione.
L’indicazione del termine ha lo scopo ben preciso di
contenere, in termini ragionevolmente ristretti, la
situazione di incertezza giuridica in cui si verrebbe a
trovare il datore di lavoro.
La ratio alla base di un simile istituto trova fondamento in una duplice considerazione: da un lato il lavoratore potrebbe non avere più interesse alla reintegrazione
sul posto di lavoro, d’altro canto il datore non può essere costretto a reintegrare il lavoratore in ragione del
principio, costituzionalmente tutelato, della libertà di
iniziativa economica.
4. Conclusioni
La questione, sottoposta ad esame in questo breve lavo-
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Note a sentenza
ro, torna ad essere oggetto di analisi con le recenti riforme. Il legislatore ridisegna, in concreto, la disciplina
conformandosi in toto all’autorevole giurisprudenza
ormai consolidatasi nel corso degli anni, quasi a voler
cristallizzare un orientamento ormai condiviso e condivisibile22.
Il dettato configura la revoca come un potere unilaterale, senza indicare alcun riferimento alla volontà del
lavoratore di riprendere o meno la propria attività; vengono completamente abbandonati i riferimenti codicistici che sino ad allora avevano costituito un valido
sostegno al vulnus normativo.
Unica condizione imposta è la tempestività entro cui
deve essere effettuata la revoca, pari a 15 giorni dalla
comunicazione al datore dell’impugnazione del licenziamento, a seguito della quale si realizza il ripristino
del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità.
Una siffatta previsione logicamente può far sorgere
ragionevolmente il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate medio tempore, poiché il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto.
Tuttavia non può riconoscersi, nella riforma in questione, un trattamento di favore per il lavoratore, poiché la
stessa garantisce al datore di lavoro di sanare l’eventuale vizio del licenziamento mediante revoca, senza alcun
bisogno di accettazione da parte del lavoratore.
La sentenza in epigrafe non viene minimamente toccata dalla Riforma Fornero per ovvie ragioni, ispirate al
principio del “tempus regit actum”.
Il giudizio, conclusosi a qualche mese di distanza dall’entrata in vigore della l. 92/2012, ha tuttavia risentito del prevalente orientamento maggioritario giurisprudenziale, già accennato, in perfetta sintonia col
nuovo disposto normativo di cui all’art. 18 co. 10,
conducendo il Giudice del Tribunale di Roma a concludere che il lavoratore/ricorrente – il cui licenziamento era stato revocato in corso di causa – abbia,
non solo il diritto alla reintegra (e non già quello alla
riassunzione) ma, altresì, la copertura retributiva e
previdenziale del periodo intermedio corrispondente
all’arco di tempo compreso tra la data di licenziamento e quella della reintegrazione,nonché il risarcimento
del danno.
Il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto.
Pertanto ne consegue, logicamente, che sulla busta
paga del lavoratore reintegrato dovrà essere indicata la
data di assunzione e non la data di reintegra, come erroneamente avvenuto nel caso di specie.
Nelle more del giudizio – la cui sentenza è, qui, oggetto di commento – il datore di lavoro ha cancellato dal
ridetto cedolino la data di assunzione originaria sostituendola con la data di rientro in servizio del lavoratore medesimo.
Tale precisazione assume un rilievo di notevole importanza laddove si consideri che l’eventuale erronea indicazione arreca danni di carattere economico per il lavoratore medesimo.
Si pensi, infatti, agli scatti di anzianità, ossia gli
aumenti retributivi che maturano periodicamente in
relazione all’attività continuativa o meno presso la
medesima azienda. Una posticipata collocazione temporale della data di assunzione, inevitabilmente determina un minus percipiendi a danno del lavoratore e
della sua famiglia, il quale, ingiustificatamente e ingiustamente, si vede privato di un diritto contrattualmente
stabilito su base nazionale.
Tuttavia questo non rappresenta il solo e unico problema che consegue l’erronea indicazione della data sul
cedolino. Ad esso si aggiunge poi la questione del tutto
ipotetica e niente affatto surreale, ossia l’ipotesi in cui
il datore proceda al licenziamento collettivo.
Per chiarezza espositiva rileva menzionare la nota
L. del 23 luglio 1991, n. 22323 in materia di mobilità. Il testo normativo indica i criteri di scelta dei
lavoratori destinati al licenziamento; tali criteri
sono indicati talora nel testo dei contratti collettivi
stipulati tra le parti sociali24. In mancanza di una
espressa previsione contrattuale, sovviene il legislatore il quale dispone che, nel procedere al licenziamento collettivo, il datore di lavoro dovrà tener
conto dei carichi familiari, dell’anzianità e delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, con la
precisazione che i predetti requisiti debbono concorrere tra loro.
Si tratta, in definitiva, di criteri oggettivi che consentono la formazione di una graduatoria dei lavoratori. Tale
previsione normativa garantisce la trasparenza della
procedura che, in quanto riferita a criteri ben determinati, si sottrae ad eventuali comportamenti dolosi da
parte del datore e garantisce il pieno esercizio dei diritti dei lavoratori25.
Una simile precisazione non è affatto marginale. Il
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Temi Romana
Note a sentenza
comportamento negligente della Società, che aveva
indicato nei cedolini dello stipendio la data di reintegra
e non già la data di assunzione avrebbe potuto generare problemi ed equivoci in riferimento alla posizione
del ricorrente all’interno dell’azienda, sicché questi
sarebbe potuto divenire nuovamente destinatario di un
futuro eventuale licenziamento collettivo, salvo poi a
dover procedere a nuova impugnativa.
_________________
1 Legge 28 giugno 2012, n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del
mercato del lavoro in una prospettiva di
crescita”, in G.U. n. 153 del 3.7.2012, S.O.
n. 136.
2 Si vedano, ex multis, Cass. Civ. Sez. Lav.
del 2.2.2007, n. 2258; 9.3.2009, n. 5638;
14.8.2012, n. 14493.
3 Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. del 9.3.2009, n.
5638. Tale considerazione si desume, altresì, a contrariis dalla sentenza della Cass.
Civ. del 2.2.2007 n. 2258 nella parte in cui
dispone che “[…] la mancata accettazione
della revoca non è giuridicamente irrilevante, in quanto viene equiparata al rifiuto
della prestazione, che, per la sinallagmaticità del rapporto, preclude il sorgere dell’obbligazione datoriale alla corresponsione della retribuzione”.
4 Nel caso di specie il datore di lavoro aveva
fatto chiaro riferimento non alla reintegrazione, bensì alla riassunzione del dipendente licenziato. Pertanto il rapporto si intende
costituito ex nunc e non piuttosto ex tunc.
L’accettazione da parte del lavoratore preclude qualsiasi diritto alle retribuzioni maturate in medio tempore. Cfr. Cass. Civ. Sez.
Lav. del 12.7.2004, n. 12867.
5 Si tenga presente il formalismo dell’espressione “…a prescindere dall’accettazione del lavoratore…” (in Cass. Civ.
Sez. Lav. del 2.2.2007 n. 2258).
6 Si noti, d’altra parte, l’oscillazione forni-
Temi Romana
ta dalla Cass. Civ. Sez. Lav. del 3.1.2011, n.
36 secondo cui “…la revoca del recesso
non può avere l’effetto di ricostituire il rapporto di lavoro, occorrendo a tal fine una
manifestazione di volontà del lavoratore”.
Tale principio risulta, peraltro, già espresso
nelle precedenti sentenze del 5.10.2007 n.
20901 e del 5.3.2008 n. 5929.
17 A titolo di esempio: il licenziamento intimato in prossimità del matrimonio o
durante il periodo di gravidanza della lavoratrice.
7 Cass. Civ. Sez. Lav. del 12.10.1993,
n.10085; 5.10.2007, n. 20901; 5.3.2008, n.
5929; 3.1.2011, n. 36; 15.6.2011, n. 13090.
21 Così Cass. Civ. Sez. Lav., 21.12.1995,
Cass. n. 13047; Cass. 5.12.1997 n. 12366;
Cass. 13.6.2002 n. 8493.
8 Cass. Civ. Sez. Lav. 1.7.2004, n. 12107.
22 Cfr. in particolare l’art. 18 co. 10 Stat. Lav.
9 Cass. Civ. 3.1.2011, n. 36.
23 Pubblicato in G.U. n. 175 del 27.7.1991
– S.O. n. 43 e modificato dall’art. 2 co. 73
della L. 28 giugno 2012, n. 92.
10 Ai fini della suddetta verifica la
giurisprudenza opera un costante riferimento normativo al Codice civile – art. 2729 –
che disciplina le presunzioni semplici.
11 Cass. Civ. Sez. II, 24.2.2004, n. 3646.
12 “…il recesso non ha spiegato efficacia
alcuna sulla continuità del rapporto e sulla
ordinaria funzionalità del sinallagma contrattuale”. Cfr. Trib. Torino del 30.9.2002;
Appello Milano 1.9.2004; Cass. Civ.
14.8.2012, n. 14493.
13 Cass. Civ. Sez. Lav. 1.7.2004, n.12102.
14 Cass. Civ. Sez. Lav. 12.12.2007, n. 26073.
15 App. Perugia, 22.9.2011.
16 Cass. 12.10.1993 n. 10085; Cass. Civ.
Sez. Lav., 21.12.1995, n. 13047 e Cass.
1.7.2004, n. 12102; Trib. Cassino, 6.7.2007.
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18 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 1.
19 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 4.
20 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 5.
24 A riguardo cfr. l’art. 5 co. 1 – rubricato
“Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a
carico delle imprese” del testo citato il
quale dispone che: “L’individuazione dei
lavoratori da licenziare deve avvenire in
relazione alle esigenze tecnico-produttive, ed
organizzative del complesso aziendale, nel
rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi
contratti nel rispetto dei seguenti criteri in
concorso tra loro;
a) carichi di famiglia;
b) anzianità;
c) esigenze tecnico produttive ed organizzative”.
25 Cass. Civ. Sez. Lav., 9.6.2011, n. 12544.
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