Note a sentenza Lavoro (Rapporto di) - Licenziamento individuale Successiva revoca del provvedimento - Reintegra nel posto di lavoro - Decorrenza ex tunc degli effetti dalla data di decorrenza originaria del rapporto di lavoro - Retribuzioni medio tempore maturate Trib. Roma – Sez. Lavoro – 10 Gennaio 2013, n. 245 – G.U. dr. Nunziata – ric.: D.M. (avv. F.d.A.); res.: B.N. ora B.S. (avv. F.M. e N.P.) Carlotta Maria Manni Praticante Abilitato Il licenziamento, una volta comunicato alla controparte, è unilateralmente irrevocabile. È tuttavia consentita l’accettazione della revoca da parte del lavoratore (Cass. 11664-06). Tale revoca implica l’invito del datore a riprendere il lavoro e la sua volontà di considerare il rapporto come mai risolto “de iure”. E pertanto, ove accettata, essa ripristina il rapporto di lavoro con effetto dalla data del recesso, con la conseguenza che da tale data il lavoratore ha diritto alle retribuzioni “medio tempore” maturate, essendo il mancato svolgimento della prestazione lavorativa imputabile esclusivamente alla condotta datoriale e potendo la tempestiva impugnativa del licenziamento, valutarsi come implicita offerta delle energie lavorative da parte del lavoratore (Cass. 5638-09). F atto e diritto – La parte ricorrente, all’odierna udienza, ha dichiarato a fronte dell’avvenuta ripresa del servizio in data 16.3.2012, di abbandonare la domanda per la parte inerente alla validità del licenziamento ed al risarcimento dei danni. Nel rito del lavoro il contenuto della domanda proposta dal ricorrente e della memoria difensiva del resistente fissano il thema decidendum, che non può più essere alterato con l’introduzione di nuovi elementi, tali da modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate nei termini di cui all’art. 420 c.p.c.; tale regola processuale, però, non esclude che l’attore abbandoni alcuni capi della domanda ovvero che il convenuto rinunci a talune eccezioni, trattandosi di una condotta processuale che rientra nella piena disponibilità delle parti (Cass. 7035-86). Non si verte invece in materia di rinuncia agli atti del giudizio, con conseguente necessità delle formalità richieste dall’art. 306 c.p.c., atteso che tale istituto comporta l’estinzione del giudizio, laddove nel caso in esame il giudizio permane, in quanto restano fermi i residui capi della domanda. Temi Romana Il lavoratore ha insistito per l’accoglimento della residua parte della domanda con condanna del datore di lavoro alla corresponsione delle retribuzioni dal licenziamento alla ripresa del servizio con declaratoria della continuazione del rapporto di lavoro dalla originaria assunzione. La domanda è parzialmente fondata nei termini di seguito esposti. Quanto al primo profilo, il lavoratore è stato licenziato in data 16.3.2011 e collocato in mobilità ai sensi della L. 223/91. È pacifico tra le parti che successivamente, in sede di trattative sindacali, il licenziamento è stato revocato (v. anche accordo aziendale 7.4.2011) e che tale revoca è stata accettata dal lavoratore al più tardi con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio. Il giudice è chiamato a pronunciarsi su fatti che siano sostanzialmente controversi tra le parti; ed anzi deve porre a fondamento della decisione, oltre alle prove raggiunte dalle parti, i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita (art. 115 c.p.c.; Cass. 14623-09). Il licenziamento, una volta comunicato alla controparte, è unilateralmente irrevocabile. È tuttavia consentita 57 Note a sentenza l’accettazione della revoca da parte del lavoratore (Cass. 11664-06). Tale revoca implica l’invito del datore a riprendere il lavoro e la sua volontà di considerare il rapporto come mai risolto “de iure”. E pertanto, ove accettata, essa ripristina il rapporto di lavoro con effetto dalla data del recesso, con la conseguenza che da tale data il lavoratore ha diritto alle retribuzioni “medio tempore” maturate, essendo il mancato svolgimento della prestazione lavorativa imputabile esclusivamente alla condotta datoriale e potendo la tempestiva impugnativa del licenziamento, valutarsi come implicita offerta delle energie lavorative da parte del lavoratore (Cass. 5638-09). Quanto sopra esposto trova conferma nel comportamento processuale della società la quale, in comparsa di risposta, ha dichiarato: 1) di aderire alla proposta del D. di ricostituire il rapporto “fin dalla data del licenziamento”; 2) che, entro qualche giorno, il lavoratore avrebbe ricevuto lettera di accettazione di tale proposta, “mettendo nel nulla il precedente effetto risolutivo”; 3) che, in tal modo, “il rapporto è costituito fin dall’origine”. La revoca del recesso, in una con l’invito a riprendere servizio, deve essere portata a conoscenza del lavoratore, al quale deve essere comunicata. Nel caso in esame il datore di lavoro ha ottemperato a tale onere soltanto in corso di causa, con lettera del 12.3.2012, dopo che il lavoratore ha accettato la revoca per averne avuto conoscenza “aliunde”. Alla luce delle considerazioni esposte la società deve essere condannata a pagare al lavoratore le retribuzioni dal momento del licenziamento (16.3.2011) a quello della instaurazione del presente giudizio (7.12.2011) in osservanza del principio generale secondo cui, salva diversa disposizione di legge, la materia del contendere si cristallizza al momento della instaurazione del giudizio e quindi non possono essere prese in considerazione pretese fondate su fatti non dedotti nel ricorso introduttivo e successivi allo stesso. Quanto al secondo profilo, la domanda di declaratoria della inefficacia od invalidità di licenziamento collettivo contiene necessariamente quella di accertamento della continuazione del rapporto di lavoro, conseguendo necessariamente la reintegra nel posto di lavoro (v. art. 5 comma 3 L. 223/91 e art. 18 Stat. Lav. nel testo vigente “ratione temporis”). Consegue che tale ultima domanda non può essere considerata né nuova né tardiva, purché sussista l’interesse a proporla al momento della decisione (art. 100 c.p.c.). Tale interesse sussiste a fronte della opposizione manifestata dal difensore della società alla odierna udienza. La data di assunzione originaria va individuata, secondo le risultanze dello statino-paga di febbraio 2011, al 20.11.1989. D’altro canto lo stesso lavoratore dà atto in ricorso di essere stato licenziato e riassunto nel novembre 1989. Alla luce delle considerazioni esposte deve dichiararsi la continuazione del rapporto di lavoro fin dalla data del 20.11.1989. L’esito complessivo del giudizio ed il perfezionamento della revoca del licenziamento con ripresa del servizio in corso di causa giustifica la declaratoria di compensazione delle spese processuali. (Omissis) Revoca del licenziamento: tra margini di incertezza e soluzioni normative La sentenza in commento concerne un aspetto controverso del diritto di lavoro: la revoca del licenziamento. Prima della nota Riforma Fornero1 – di cui si avrà modo di discorrere nel prosieguo di questo lavoro – le Parti sociali rinviavano l’argomento ai principi generali di diritto civile concernenti i negozi giuridici, lasciando in tal modo ampi margini a interpretazioni talora discordanti. Il tema ha sollevato numerose perplessità alimentando frequenti dibattiti. La giurisprudenza, sovente, è intervenuta per trovare una disciplina applicabile ad un istituto che sembrava dimenticato dal Legislatore. 1. Effetti della revoca sul rapporto di lavoro Il quesito centrale, attorno a cui ruota la vexata quaestio del giudizio, concerne gli effetti della revoca del licenziamento; ossia, per meglio dire, se questa determini la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, ovvero se da essa derivi una mera prosecuzione del rapporto instaurato in precedenza. Nel caso di specie, il ricorrente era stato licenziato e collocato in mobilità dalla Società presso cui aveva prestato per anni la propria attività lavorativa. Successivamente, impugnava il licenziamento medesi- 58 Temi Romana Note a sentenza Tuttavia, tale orientamento non convince; una simile previsione, mentre da un lato favorisce ampiamente il datore di lavoro che, mediante una variazione contrattuale, può decidere se corrispondere o meno le somme medio tempore dovute, d’altro canto rende il lavoratore sottoposto alla discrezionalità del datore. Né può giovare, in tal senso, la libertà a contrarre del lavoratore, che spesso per esigenze meramente economiche si trova costretto ad accettare condizioni dettate da parte datoriale. mo innanzi al Tribunale di Roma (Sez. lavoro). A seguito di trattative concluse in sede sindacale, la Società revocava – nelle more del giudizio – il provvedimento impugnato. La suddetta revoca veniva accettata dal ricorrente entro i termini e nelle modalità previste ex lege. Nel frattempo il giudizio proseguiva per i residui capi di domanda relativi all’accertamento del diritto del ricorrente alla retribuzione per il periodo compreso tra la data del licenziamento e la data della riassunzione. Sebbene la Cassazione abbia mostrato segnali di costante oscillazione, l’orientamento maggioritario2 ha assunto il convincimento secondo cui a seguito della revoca del licenziamento si realizza la prosecuzione dell’originario rapporto di lavoro. Ne consegue il diritto del lavoratore a vedersi corrispondere la retribuzione maturata medio tempore: ossia nel periodo intercorso dalla data del licenziamento sino al momento della revoca sopravvenuta. La ratio di un simile orientamento risiede nella considerazione per cui il mancato svolgimento della prestazione è imputabile al datore, che di fatto ha licenziato il proprio dipendente. Di converso, l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore si configura come espressione dell’intenzione di svolgere prestazioni lavorative3. Per usare le parole della Suprema Corte, il comportamento del lavoratore esprime una “offerta delle energie lavorative”. Per esigenze di completezza, giova qui richiamare un orientamento minoritario secondo cui l’elemento di discernimento, tra la riassunzione e la reintegrazione, risiede nella dichiarazione del datore – contenuta nel nuovo contratto di lavoro individuale – in cui il rapporto di lavoro viene considerato come “mai risolto de iure”. Se ne deduce che, ove il datore di lavoro esprima la volontà di riassumere il lavoratore a condizioni differenti rispetto all’originario rapporto, e, quindi, con elementi essenziali differenti, si realizzerà la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro cui, necessariamente, dovrà precedere l’accettazione del lavoratore, con la conseguenza che il lavoratore non avrà diritto alla corresponsione delle somme maturate medio tempore. Pertanto, nella valutazione complessiva, il giudice dovrà tenere in particolare considerazione il tenore letterale della proposta formulata dal datore medesimo4. Temi Romana 2. Accettazione della revoca: elemento necessario? La natura giuridica della revoca presenta ulteriori spunti di analisi e di riflessione. Come accennato, l’orientamento dominante della Suprema Corte rifiuta la soluzione di continuità tra i due rapporti di lavoro, considerandoli piuttosto un unicum. Ne consegue l’assoluta irrilevanza dell’accettazione della revoca da parte del lavoratore5. Questa considerazione muove dalla presunzione che l’impugnazione del licenziamento si traduca in una volontà a proseguire il rapporto di lavoro. In siffatta maniera, il lavoratore avrebbe già espresso una conferma – seppure tacita e presunta – da ricercare in una fase anteriore rispetto alla revoca. A sostegno di questo orientamento, vi è il principio della presunzione di conoscenza (peraltro previsto dall’art. 1335 del Codice civile), secondo cui la revoca si ritiene conosciuta, e quindi efficace, nel momento in cui la stessa giunga all’indirizzo del destinatario, avendo chiaramente riguardo alle particolari modalità della sua comunicazione. In tale circostanza, spetta al giudice di merito accertare se il lavoratore-destinatario possa averne avuta conoscenza utilizzando la normale diligenza. Tuttavia la Suprema Corte6, pur confermando il principio di continuità dei rapporti, ha mostrato numerose reticenze nel seguire il dettato codicistico. Anzi da esso ha tratto (e trae tuttora) spunto con una interpretazione innovativa. La revoca viene configurata come una proposta contrattuale di reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro e non più come revoca in senso stretto. Pertanto, affinché si possa perfezionare l’accordo, il lavoratore dovrà accettare la proposta dichiarando di voler proseguire il rapporto di lavoro. Mediante questo diverso inquadramento giuridico, la 59 Note a sentenza fatti noti convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza11. stessa Corte ha rifiutato l’idea di una “irrilevanza dell’accettazione”, che di fatto mina la sfera giuridica del lavoratore, sottoponendolo al potere decisionale del datore, il quale diviene unico dominus del rapporto contrattuale. In definitiva la revoca del licenziamento deve considerarsi come un atto al quale deve seguire, necessariamente, una accettazione – espressa o tacita – da parte del lavoratore, per l’espletamento degli effetti ad essa connessi7. Per quanto concerne la forma dell’accettazione non sembra, invece, porsi alcun limite. Viene escluso l’obbligo della forma scritta, in quanto gli atti risolutori degli effetti prodotti da atti scritti non sono assoggettati al medesimo requisito formale; ciò in ossequio al principio secondo cui la forma degli atti è libera se la legge non richiede espressamente una forma determinata8. Non essendovi alcun limite, l’accettazione della revoca può avvenire in forma espressa, tacita o presunta sulla base di comportamenti concludenti del lavoratore, siano essi commissivi che omissivi. Ne consegue, logicamente, che la mera presentazione sul luogo di lavoro e il successivo svolgimento delle proprie mansioni assumono il significato di accettazione alla prosecuzione del rapporto, in quanto palesemente contrastante con la volontà di interruzione del rapporto di lavoro medesimo9. Spetta al giudice adito procedere alla ricostruzione della volontà del lavoratore medesimo di rinunziare ad un proprio diritto, il quale, una volta valutati tutti gli elementi di prova, potrà accertare la sussistenza o meno della volontà abdicativa del lavoratore10. Chiaramente le presunzioni dovranno presentare i requisiti di gravità, precisione e concordanza definiti dalla giurisprudenza e che di seguito si riporta per mero scrupolo chiarificatore a vantaggio del lettore. Il requisito della gravità si configura come “il grado di convincimento che ciascuno di essi (elementi indiziari) è idoneo a produrre” tale che possa determinare una “ragionevole certezza”. Il requisito della precisione impone che l’iter logico che ha guidato il giudice nel ragionamento non sia vago, ma definito in maniera inequivoca, chiara ed esaustiva. Da ultimo il requisito della concordanza richiede che il fatto ignoto – nel caso di specie la volontà abdicativa – desunto dal giudice di merito, sia il risultato di una pluralità di 3. Coesistenze incerte e percorsi alternativi Il legislatore individua numerosi strumenti a tutela del lavoratore che sia destinatario di un licenziamento successivamente revocato. Spetta a questo ultimo scegliere il percorso più efficace ed idoneo per difendere i propri interessi. Tuttavia, sovente, la coesistenza tra gli strumenti medesimi rischia di divenire inconciliabile se non addirittura contrastante. 3.1. Tutela reintegratoria e tutela risarcitoria In merito alla eventuale coesistenza tra la tutela reintegratoria e la tutela risarcitoria, rileva verificare se il datore abbia reintegrato il lavoratore, non solo nella propria posizione lavorativa, ma altresì, abbia provveduto a ripristinare tutti i diritti, sì da eliminare tutti gli effetti pregiudizievoli e dannosi del licenziamento. In questo caso la prosecuzione del rapporto – seppure formale – fa venire meno il fatto generatore del danno12. Ne consegue, pertanto, che al lavoratore non spetta alcun diritto al risarcimento. Altresì rileva la peculiare ipotesi in cui il datore di lavoro abbia revocato il licenziamento in un momento immediatamente successivo, prima che il lavoratore ne possa avere conoscenza, sicché lo stesso licenziamento non spiega i propri effetti nel mondo giuridico, tale da potersi definire sostanzialmente inesistente13. Non si applica, di conseguenza, la previsione normativa di cui l’art. 8 della legge n. 604/1966, salvo il diritto al risarcimento dei danni di cui l’art. 1218 Cod. civ. Rientrano in siffatta previsione normativa i danni per retribuzione ritardata o inferiore al dovuto, per il carattere ingiurioso del licenziamento o per il nocumento alla salute del lavoratore per il quale sia provato il nesso eziologico14. A contrariis, qualora il rapporto di lavoro sia stato interrotto dal licenziamento, il risarcimento è dovuto nella misura in cui il fatto dannoso verificatosi ha spiegato i suoi effetti. In tale contesto la successiva revoca, benché non incida sulla tutela risarcitoria, può variarne in minima parte l’entità e la natura15. Tale soluzione, certamente, non è stata accolta all’unanimità da quell’indirizzo minoritario della giurisprudenza che definiva il diritto al risarcimento 60 Temi Romana Note a sentenza minimo delle 5 mensilità. Diversa è la disciplina per le altre forme viziate di licenziamento. Ove il fatto non sussista, ovvero il medesimo rientri in una fattispecie punibile con sanzione conservativa, il giudice ordina la reintegrazione e il pagamento dell’indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità19. In tutti gli altri casi in cui non ricorrano i presupposti per la comminazione del licenziamento, al lavoratore spetta una indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità20. “connesso in via diretta ed immediata” al licenziamento illegittimo. Ragion per cui neanche il ripristino ex tunc del rapporto lavorativo avrebbe potuto ostacolare la costituzione della tutela risarcitoria in capo al lavoratore. La stessa stesura dell’art. 18 Stat. Lav. (ante Riforma Fornero) non prevedeva alcun rimedio per impedire l’insorgere del medesimo diritto, fissato nella misura non inferiore a cinque mensilità16. Una simile previsione sussiste indipendentemente dalla sopravvenuta reintegra o dalla accettazione o meno della revoca. Ne discende che il lavoratore, che abbia accettato la revoca del licenziamento, ha comunque diritto di ottenere il risarcimento, salvo che non vi abbia rinunciato attraverso un accordo bilaterale o collettivo con il proprio datore di lavoro. Per quanto concerne la disciplina dell’istituto, occorre evidenziare come la recente riforma Fornero abbia notevolmente modificato la disciplina del risarcimento (come, del resto, anche di altri aspetti connessi al licenziamento). La formula contenuta nell’art. 18 Stat. Lav. ante riforma prevedeva una disciplina unitaria per tutte le ipotesi di invalidità del licenziamento. Non vi era alcun distinguo. Pertanto il giudice, una volta accertato il vizio del licenziamento comminato, condannava il datore al risarcimento del danno patito dal lavoratore. L’indennità risarcitoria veniva calcolata con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra (comunque non inferiore a 5 mensilità). Il dettato normativo di cui all’art. 18 Stat. Lav. cambia in maniera evidente. Il legislatore diversifica le tutele risarcitorie a seconda della particolare tipologia di licenziamento; a ciascuna di esse segue una particolare tipologia di effetti negativi per il lavoratore, spesso non sufficientemente tutelabile con una previsione normativa omogenea. La recente riforma prevede, in primis, una tutela maggiore per i lavoratori destinatari di un licenziamento discriminatorio17 o di licenziamento comunicato oralmente, laddove indica che il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore “indipendente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”18. Inoltre l’indennità risarcitoria, pur essendo calcolata nelle medesime modalità, rimane vincolata al limite Temi Romana 3.2. Tutela reintegratoria e indennità sostitutiva Il licenziamento illegittimo comporta la facoltà per il lavoratore/creditore, di optare per una strada alternativa alla reintegra. Questi può decidere di usufruire di una indennità sostitutiva (in seguito anche solo I.S.). Chiaramente, la scelta di uno preclude l’esercizio dell’altro. Il diritto alla I.S. sorge contemporaneamente al diritto concernente la reintegra, configurandosi il primo come una sorta di monetizzazione del secondo in una somma pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto21. Qualora il lavoratore abbia accettato la revoca proposta dal datore di lavoro – e di conseguenza sia stato reintegrato nella posizione lavorativa – viene meno il suo diritto alla indennità. L’attuale disciplina normativa (ex art. 18 co. 3 Stat. Lav.) prevede che il lavoratore possa chiedere una indennità, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, nel termine di 30 giorni con decorrenza “dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio”, ove questo ultimo sia anteriore alla comunicazione. L’indicazione del termine ha lo scopo ben preciso di contenere, in termini ragionevolmente ristretti, la situazione di incertezza giuridica in cui si verrebbe a trovare il datore di lavoro. La ratio alla base di un simile istituto trova fondamento in una duplice considerazione: da un lato il lavoratore potrebbe non avere più interesse alla reintegrazione sul posto di lavoro, d’altro canto il datore non può essere costretto a reintegrare il lavoratore in ragione del principio, costituzionalmente tutelato, della libertà di iniziativa economica. 4. Conclusioni La questione, sottoposta ad esame in questo breve lavo- 61 Note a sentenza ro, torna ad essere oggetto di analisi con le recenti riforme. Il legislatore ridisegna, in concreto, la disciplina conformandosi in toto all’autorevole giurisprudenza ormai consolidatasi nel corso degli anni, quasi a voler cristallizzare un orientamento ormai condiviso e condivisibile22. Il dettato configura la revoca come un potere unilaterale, senza indicare alcun riferimento alla volontà del lavoratore di riprendere o meno la propria attività; vengono completamente abbandonati i riferimenti codicistici che sino ad allora avevano costituito un valido sostegno al vulnus normativo. Unica condizione imposta è la tempestività entro cui deve essere effettuata la revoca, pari a 15 giorni dalla comunicazione al datore dell’impugnazione del licenziamento, a seguito della quale si realizza il ripristino del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità. Una siffatta previsione logicamente può far sorgere ragionevolmente il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate medio tempore, poiché il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto. Tuttavia non può riconoscersi, nella riforma in questione, un trattamento di favore per il lavoratore, poiché la stessa garantisce al datore di lavoro di sanare l’eventuale vizio del licenziamento mediante revoca, senza alcun bisogno di accettazione da parte del lavoratore. La sentenza in epigrafe non viene minimamente toccata dalla Riforma Fornero per ovvie ragioni, ispirate al principio del “tempus regit actum”. Il giudizio, conclusosi a qualche mese di distanza dall’entrata in vigore della l. 92/2012, ha tuttavia risentito del prevalente orientamento maggioritario giurisprudenziale, già accennato, in perfetta sintonia col nuovo disposto normativo di cui all’art. 18 co. 10, conducendo il Giudice del Tribunale di Roma a concludere che il lavoratore/ricorrente – il cui licenziamento era stato revocato in corso di causa – abbia, non solo il diritto alla reintegra (e non già quello alla riassunzione) ma, altresì, la copertura retributiva e previdenziale del periodo intermedio corrispondente all’arco di tempo compreso tra la data di licenziamento e quella della reintegrazione,nonché il risarcimento del danno. Il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto. Pertanto ne consegue, logicamente, che sulla busta paga del lavoratore reintegrato dovrà essere indicata la data di assunzione e non la data di reintegra, come erroneamente avvenuto nel caso di specie. Nelle more del giudizio – la cui sentenza è, qui, oggetto di commento – il datore di lavoro ha cancellato dal ridetto cedolino la data di assunzione originaria sostituendola con la data di rientro in servizio del lavoratore medesimo. Tale precisazione assume un rilievo di notevole importanza laddove si consideri che l’eventuale erronea indicazione arreca danni di carattere economico per il lavoratore medesimo. Si pensi, infatti, agli scatti di anzianità, ossia gli aumenti retributivi che maturano periodicamente in relazione all’attività continuativa o meno presso la medesima azienda. Una posticipata collocazione temporale della data di assunzione, inevitabilmente determina un minus percipiendi a danno del lavoratore e della sua famiglia, il quale, ingiustificatamente e ingiustamente, si vede privato di un diritto contrattualmente stabilito su base nazionale. Tuttavia questo non rappresenta il solo e unico problema che consegue l’erronea indicazione della data sul cedolino. Ad esso si aggiunge poi la questione del tutto ipotetica e niente affatto surreale, ossia l’ipotesi in cui il datore proceda al licenziamento collettivo. Per chiarezza espositiva rileva menzionare la nota L. del 23 luglio 1991, n. 22323 in materia di mobilità. Il testo normativo indica i criteri di scelta dei lavoratori destinati al licenziamento; tali criteri sono indicati talora nel testo dei contratti collettivi stipulati tra le parti sociali24. In mancanza di una espressa previsione contrattuale, sovviene il legislatore il quale dispone che, nel procedere al licenziamento collettivo, il datore di lavoro dovrà tener conto dei carichi familiari, dell’anzianità e delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, con la precisazione che i predetti requisiti debbono concorrere tra loro. Si tratta, in definitiva, di criteri oggettivi che consentono la formazione di una graduatoria dei lavoratori. Tale previsione normativa garantisce la trasparenza della procedura che, in quanto riferita a criteri ben determinati, si sottrae ad eventuali comportamenti dolosi da parte del datore e garantisce il pieno esercizio dei diritti dei lavoratori25. Una simile precisazione non è affatto marginale. Il 62 Temi Romana Note a sentenza comportamento negligente della Società, che aveva indicato nei cedolini dello stipendio la data di reintegra e non già la data di assunzione avrebbe potuto generare problemi ed equivoci in riferimento alla posizione del ricorrente all’interno dell’azienda, sicché questi sarebbe potuto divenire nuovamente destinatario di un futuro eventuale licenziamento collettivo, salvo poi a dover procedere a nuova impugnativa. _________________ 1 Legge 28 giugno 2012, n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, in G.U. n. 153 del 3.7.2012, S.O. n. 136. 2 Si vedano, ex multis, Cass. Civ. Sez. Lav. del 2.2.2007, n. 2258; 9.3.2009, n. 5638; 14.8.2012, n. 14493. 3 Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. del 9.3.2009, n. 5638. Tale considerazione si desume, altresì, a contrariis dalla sentenza della Cass. Civ. del 2.2.2007 n. 2258 nella parte in cui dispone che “[…] la mancata accettazione della revoca non è giuridicamente irrilevante, in quanto viene equiparata al rifiuto della prestazione, che, per la sinallagmaticità del rapporto, preclude il sorgere dell’obbligazione datoriale alla corresponsione della retribuzione”. 4 Nel caso di specie il datore di lavoro aveva fatto chiaro riferimento non alla reintegrazione, bensì alla riassunzione del dipendente licenziato. Pertanto il rapporto si intende costituito ex nunc e non piuttosto ex tunc. L’accettazione da parte del lavoratore preclude qualsiasi diritto alle retribuzioni maturate in medio tempore. Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. del 12.7.2004, n. 12867. 5 Si tenga presente il formalismo dell’espressione “…a prescindere dall’accettazione del lavoratore…” (in Cass. Civ. Sez. Lav. del 2.2.2007 n. 2258). 6 Si noti, d’altra parte, l’oscillazione forni- Temi Romana ta dalla Cass. Civ. Sez. Lav. del 3.1.2011, n. 36 secondo cui “…la revoca del recesso non può avere l’effetto di ricostituire il rapporto di lavoro, occorrendo a tal fine una manifestazione di volontà del lavoratore”. Tale principio risulta, peraltro, già espresso nelle precedenti sentenze del 5.10.2007 n. 20901 e del 5.3.2008 n. 5929. 17 A titolo di esempio: il licenziamento intimato in prossimità del matrimonio o durante il periodo di gravidanza della lavoratrice. 7 Cass. Civ. Sez. Lav. del 12.10.1993, n.10085; 5.10.2007, n. 20901; 5.3.2008, n. 5929; 3.1.2011, n. 36; 15.6.2011, n. 13090. 21 Così Cass. Civ. Sez. Lav., 21.12.1995, Cass. n. 13047; Cass. 5.12.1997 n. 12366; Cass. 13.6.2002 n. 8493. 8 Cass. Civ. Sez. Lav. 1.7.2004, n. 12107. 22 Cfr. in particolare l’art. 18 co. 10 Stat. Lav. 9 Cass. Civ. 3.1.2011, n. 36. 23 Pubblicato in G.U. n. 175 del 27.7.1991 – S.O. n. 43 e modificato dall’art. 2 co. 73 della L. 28 giugno 2012, n. 92. 10 Ai fini della suddetta verifica la giurisprudenza opera un costante riferimento normativo al Codice civile – art. 2729 – che disciplina le presunzioni semplici. 11 Cass. Civ. Sez. II, 24.2.2004, n. 3646. 12 “…il recesso non ha spiegato efficacia alcuna sulla continuità del rapporto e sulla ordinaria funzionalità del sinallagma contrattuale”. Cfr. Trib. Torino del 30.9.2002; Appello Milano 1.9.2004; Cass. Civ. 14.8.2012, n. 14493. 13 Cass. Civ. Sez. Lav. 1.7.2004, n.12102. 14 Cass. Civ. Sez. Lav. 12.12.2007, n. 26073. 15 App. Perugia, 22.9.2011. 16 Cass. 12.10.1993 n. 10085; Cass. Civ. Sez. Lav., 21.12.1995, n. 13047 e Cass. 1.7.2004, n. 12102; Trib. Cassino, 6.7.2007. 63 18 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 1. 19 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 4. 20 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 5. 24 A riguardo cfr. l’art. 5 co. 1 – rubricato “Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese” del testo citato il quale dispone che: “L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive, ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi contratti nel rispetto dei seguenti criteri in concorso tra loro; a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico produttive ed organizzative”. 25 Cass. Civ. Sez. Lav., 9.6.2011, n. 12544.