6 ARISTOTELE appunti A

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ARISTOTELE
VITA:
(tratto e riadattato da Reale Antiseri storia del pensiero occidentale)
Aristotele nacque nel 384/383 a.C. a Stagira, al confine macedone. Il padre di Aristotele era medico e fu al
servizio del re Aminta di Macedonia (padre di Filippo il Macedone). E’ quindi probabile che, per un certo
periodo di tempo, il giovane Aristotele con la famiglia abbia dimorato a Pella (capitale del regno macedone) e
abbia frequentato la corte.
A diciotto anni, cioè nel 366/65 a.C., Aristotele si recò ad Atene ed entrò nell’Accademia platonica.
Fu appunto alla Scuola di Platone che Aristotele maturò e consolidò la propria vocazione filosofica, tanto che
restò nell’Accademia per ben vent’anni, ossia fino a che Platone rimase in vita. E’ certo che nell’arco dei
vent’anni passati all’Accademia, che sono gli anni decisivi nella vita di un uomo, Aristotele acquisì i principi
platonici nella loro sostanza e li difese in alcuni scritti, ma anche li sottopose a stringenti critiche, tentando di
piegarli in nuove direzioni.
Alla morte di Platone (347 a.C.), Aristotele non si sentì di rimanere nell’Accademia, perché la direzione della
Scuola era stata presa da Speusippo (il quale capeggiava la corrente più lontana dalle convinzioni maturate da
Aristotele) e pertanto se ne andò da Atene e si recò in Asia Minore dove fondò una Scuola e rimase alcuni
anni.
Con il 343/342 inizia un nuovo periodo nella vita di Aristotele: Filippo il Macedone lo chiama a corte e gli
affida l’educazione del figlio Alessandro, che aveva allora tredici anni. Purtroppo sappiamo pochissimo dei
rapporti che si stabilirono tra i due eccezionali personaggi (uno dei più grandi filosofi e uno dei più grandi
uomini politici di tutti i tempi) che la sorte volle legare. E’ certo comunque che Aristotele (in seguito) non
capì l’idea di ellenizzare i Barbari e di parificarli con i Greci. Il genio politico del discepolo, in questo ambito,
dischiuse prospettive storiche assai più nuove e più audaci di quelle che le categorie politiche del filosofo non
permettessero di comprendere, dato che erano categorie sostanzialmente conservatrici.
Alla corte macedone Aristotele restò forse fino a quando Alessandro salì al trono, cioè fin verso il 336 a.C.
Finalmente nel 335/334 a.C. Aristotele tornò ad Atene e fondò la sua Scuola vicino ad un tempietto sacro ad
Apollo Licio, donde venne il nome di “Liceo” dato alla Scuola. E poiché Aristotele impartiva i suoi
insegnamenti passeggiando nel giardino della Scuola, essa fu chiamata anche “Peripato” (dal greco Peripatos
= passaggiata), e Peripatetici furono detti i suoi seguaci.
Il Peripato si contrappose così all’Accademia, e, per un certo periodo di tempo, la eclissò interamente.
Furono questi gli anni più fecondi nella produzione di Aristotele: gli anni che videro il completamento e la
grande sistemazione dei trattati filosofici e scientifici che ci sono pervenuti.
Nel 323 a.C., morto Alessandro, ci fu in Atene una forte reazione antimacedone, nella quale fu coinvolto
anche Aristotele, reo di essere stato maestro del grande sovrano (formalmente fu accusato di empietà). Per
sfuggire ai nemici, si ritirò a Calcide, dove aveva delle proprietà, lasciando Teofrasto alla direzione del
Peripato. Morì nel 322 a.C., dopo pochi mesi di esilio.
Gli scritti di Aristotele
Scritti essoterici = scritti per il pubblico: non ci sono prevenuti; ne abbiamo solo pochi frammenti e ne
conosciamo i contenuti “a grandi linee”. Sono opere in cui Aristotele appare ancora vicino al suo maestro sia
per i contenuti (immortalità dell’anima, conoscenza come reminiscenza, la morte come liberazione, la
filosofia come abbandono del mondo sensibile e contemplazione delle idee eterne), sia per la forma letteraria e
lo stile: infatti questi scritti hanno struttura dialogica e utilizzano i miti e altri ornamenti vivaci.
Scritti esoterici ( = iniziatici, segreti) o acroamatici (= per gli ascoltatori): sono tutti gli scritti utilizzati per
l’insegnamento all’interno del Liceo; hanno uno stile scarno ed essenziale, hanno la veste di trattati
sistematici, rigorosi, razionali, esprimono il pensiero maturo di Aristotele, ormai molto distante dalla filosofia
di Platone.
Gli scritti esoterici o acroamatici sono stati pubblicati, due secoli dopo la morte di Aristotele, da Andronico di
Rodi, che è anche l’artefice della classificazione con cui questi scritti sono giunti fino a noi.
SCRITTI ESOTERICI:
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1) Scritti di Logica, noti complessivamente col nome di Organon (= strumento): comprendono 6 trattati
(Categorie, Dell’interpretazione, Analitici Primi, Analitici Secondi, Topici, Confutazioni sofistiche) e
riguardano il metodo del ragionamento.
2) Scritti di fisica, scienze naturali (botanica, zoologia, metereologia ecc.), psicologia e scritti di matematica:
comprendono numerosi trattati che riguardano il mondo naturale o sensibile.
3) 14 libri della Metafisica: il termine metafisica fu “inventato” da Andronico di Rodi e stava semplicemente
ad indicare i trattati che venivano dopo la fisica. La metafisica di Aristotele si occupa delle cause e dei principi
primi dell’essere, dell’essere in quanto essere, della sostanza e dell’essere soprasensibile o spirituale.
4) scritti di etica, politica, economia, poetica e retorica
DIFFERENZE E ANALOGIE TRA PLATONE E ARISTOTELE
La diversa concezione del sapere e della realtà
Platone e Aristotele discordano fra di loro per la diversa concezione generale degli scopi e della struttura del
sapere.
1) In primo luogo Platone crede nella finalità etica e politica della conoscenza e vede il filosofo, nella sua
massima incarnazione, come un governante e un legislatore della città.
Aristotele invece fissa lo scopo della filosofia nella conoscenza disinteressata del reale e vede il filosofo, nella
sua più compiuta espressione, come un sapiente, o uno scienziato-professore, tutto dedito alla ricerca e
all’insegnamento. Se in Platone prevale quindi il momento etico-politico, in Aristotele predomina quello
conoscitivo e scientifico.
N.B. La finalità etico-politica della conoscenza - per Platone - non comporta la riduzione della filosofia a
tecnica (come invece avveniva per i Sofisti). Platone è convinto che l’azione morale e politica dell’uomo
debba fondarsi su una conoscenza certa e oggettiva della realtà, quindi anche Platone, come Aristotele,
ricerca l’episteme, la scienza.
2) In secondo luogo Platone pensa che il “nostro mondo”, cioè la realtà materiale e mutevole, sia solo il
riflesso o la copia di un mondo superiore, immateriale ed eterno: il mondo delle Idee. Per Platone solo la
conoscenza delle Idee costituisce la Scienza (episteme), mentre la conoscenza del mondo materiale è
Opinione (doxa). Il mondo materiale non ha nessuna consistenza propria, nessuna autonomia, è un mondo di
ombre, di copie imperfette delle Idee.
Per Aristotele invece non esiste nessun mondo di Idee separate dalla realtà materiale: perciò il “nostro
mondo” sensibile non è più visto come un mondo imperfetto, derivato e dipendente da un “altro mondo”
ideale. Pertanto questo mondo sensibile può essere l’oggetto di studio della scienza.
3) In Aristotele non c’è - conseguentemente - quella tendenza ascetico-religiosa che avevamo trovato in
Platone; appare invece un interesse per la realtà naturale, sensibile, che viene considerata “buona” e
autoconsistente. Quindi anche la conoscenza empirica viene considerata positivamente, viene ritenuta
necessaria per l’edificazione della scienza. Platone invece aveva scarso interesse per la conoscenza della
natura e riteneva ingannevole la conoscenza empirica: la vera conoscenza era un processo tutto interiore di
reminescenza e di riflessione razionale.
Diversità di metodi e di interessi
Questa diversa concezione del sapere e della realtà si concretizza anche in un diverso metodo di filosofare.
Mentre in Platone vi è un filosofare aperto e problematico che ripropone incessanetemente interrogativi e
soluzioni, in Aristotele c’è la tendenza ad organizzare il discorso filosofico in un sistema “chiuso”, cioè in un
insieme fisso e immutabile di verità rigidamente connesse.
Inoltre, mentre Platone fa uso dei miti cercando per questa via di superare i limiti della ragione, Aristotele
concepisce la filosofia come una speculazione rigorosamente razionale: quindi nelle opere esoteriche non fa
mai ricorso alla mitologia.
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Infine, come abbiamo già detto, Aristotele nutre un vivo interesse per le scienze naturali (zoologia, biologia
ecc. non a caso era figlio d’un medico!) e uno scarso interesse per la matematica; Platone al contrario è poco
interessato alle scienze naturali e attribuisce invece grandissima importanza alla matematica, considerata
preliminare alla dialettica filosofica.
Analogie sostanziali fra Platone e Aristotele
Le differenze enunciate non devono far pensare ad una contrapposizione netta fra Aristotele e Platone.
Aristotele, pur andando oltre Platone, è pur sempre il “discepolo di Platone” e il suo sistema reca forti eredità
del maestro.
In primo luogo va evidenziato il fatto che Aristotele, come Platone, si oppone al relativismo dei sofisti: anche
per Aristotele è possibile raggiungere una conoscenza oggettiva e certa (valida sempre e per tutti).
In secondo luogo notiamo che anche Aristotele, come Platone, afferma l’esistenza di una realtà spirituale,
soprasensibile, eterna, anche se la rappresenta in modo completamente diverso da Platone. Quindi Aristotele
conferma la “seconda navigazione” platonica e, insieme a Platone, si oppone al materialismo di Democrito.
A questo proposito va notato che nel sistema di Aristotele ci si trova spesso di fronte a una tensione tra
naturalismo e spiritualismo: ciò significa che Aristotele cerca di render conto dell’autonomia e del valore
positivo della realtà naturale, ma nello stesso tempo afferma l’esistenza di una causa prima spirituale,
attribuisce un carattere spirituale all’intelletto umano e pone il fine ultimo dell’uomo nella contemplazione
delle realtà sovrasensibili.
Il quadro delle scienze secondo Aristotele
Aristotele divide e classifica le scienze secondo le loro finalità:
1) al primo posto stanno le scienze teoretiche, che ricercano il sapere per se stesso, cioè la conoscenza
disinteressata, libera; esse sono la metafisica, la fisica (che include tutte le scienze naturali e anche la
psicologia) e la matematica. Queste scienze studiano il necessario (ciò che non può essere diverso da ciò che
è così com’è).
2) al secondo posto stanno le scienze pratiche, che hanno uno scopo: orientare il comportamento umano
individuale (etica) e collettivo (politica, economia).
3) al terzo posto stanno le scienze poietiche che hanno come scopo la produzione: produzione di opere d’arte
(poetica), di discorsi (retorica), di oggetti. Sulla produzione di oggetti, cioè sulla tecnica, Aristotele non ha
scritto nulla.
La logica non rientra nelle tre branche suddette perché essa descrive il metodo di ragionamento che viene
utilizzato da tutte le scienze sopra elencate.
NOTA BENE: per Aristotele la filosofia nasce dalla “meraviglia” di fronte alla realtà e dal desiderio di capire
le cause di quella realtà che “stupisce”. Il fine della filosofia è quindi semplicemente la conoscenza, desiderata
e cercata per se stessa. La filosofia è costituita quindi, primariamente, dalle scienze teoretiche. Perché
Aristotele attribuisce alle scienze teoretiche il primo posto, cioè la dignità più alta?
Perché le scienze teoretiche sono libere, in quanto non sono asservite a nessuno scopo esterno ad esse, e
quindi sono più nobili delle scienze pratiche e poietiche, che invece sono asservite ad altro (così come l’uomo
libero è più nobile del servo che non vive per se stesso, ma per servire un altro uomo).
Notiamo che qui si manifesta una mentalità piuttosto diverso da quella odierna, che molto spesso attribuisce
valore a un pensiero soltanto per la sua efficacia pratica e per i risultati utili che può produrre.
ARISTOTELE : LA METAFISICA
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Che cos’è la metafisica?
E’ noto che il termine “metafisica” (= ciò che è oltre la fisica) non è termine aristotelico (fu coniato da
Andronico di Rodi per designare i libri che, nella sua edizione delle opere aristoteliche, venivano dopo quelli
dedicati alla fisica).
Aristotele usava, per lo più, l’espressione “filosofia prima” o teologia in opposizione alla filosofia seconda o
fisica, ma il termine metafisica fu preferito dai posteri: infatti la “filosofia prima” è la scienza che si occupa
delle realtà-che-stanno-al-di-sopra-di-quelle-fisiche. E metafisica fu denominato, in tutta la storia del pensiero
occidentale (dopo Aristotele), ogni tentativo di superare il mondo empirico per raggiungere una realtà
sovrasensibile.
Le definizioni che Aristotele diede della metafisica sono quattro:
a) la metafisica indaga le cause prime e i principi primi o supremi.
b) indaga l’essere in quanto essere
c) indaga la sostanza
d) indaga Dio e la sostanza soprasensibile.
Queste definizioni sintetizzano tutta la precedente filosofia (da Talete a Platone), ma, soprattutto, sono in
armonia fra di loro, sono reciprocamente collegate, perché (come vedremo) tutte convergono nel problema
della sostanza e della sostanza sovrasensibile.
Metafisica: Le quattro cause
Esaminiamo la prima definizione della Metafisica: “la metafisica indaga le cause prime e i principi primi o
supremi”.
Per Aristotele si tratta di comprendere innanzitutto le cause che determinano ciascuna delle singole cose di
cui è composto il mondo. Tuttavia, anche se dovessero essere chiarite nel dettaglio le cause di ogni cosa
particolare la ricerca non potrebbe dirsi conclusa. Il mondo infatti non è soltanto composto di parti, ciascuna
isolata rispetto alle altre, ma è un tutto ordinato: il mondo non è un insieme di cose e di eventi distinti tra
loro, ma forma un’unità e quindi la realtà nel suo complesso ci pone domande fondamentali. Si tratta in
questo caso di comprendere le cause prime (o ultime), le ragioni originarie che possano permetterci di capire
perché la realtà è fatta così. (per esempio posso capire chela causa dell’esistenza degli esseri viventi è il
meccanismo della riproduzione, ma qual è la causa prima della catena ininterrotta di generazioni? perché la
vita esiste in questo modo?)
Una precisazione: con il termine causa Aristotele intende un concetto piuttosto ampio, più ampio del
significato che questa parola ha per noi; egli intende le condizioni che è necessario ammettere per spiegare le
cose e il loro divenire.
Aristotele distingue quattro tipi di cause:
1) causa formale
2) causa materiale
3) causa efficiente
4) causa finale
Le prime due non sono altro che la forma (o essenza) e la materia, che costituiscono tutte le cose, e di cui
dovremo parlare con maggiore ampiezza più avanti. Ora si badi: materia e forma sono sufficienti a spiegare
la realtà, se la consideriamo staticamente; se, invece, la consideriamo dinamicamente, cioè nel suo divenire,
nel suo prodursi e nel suo corrompersi, allora non bastano più. Così, ad esempio, una statua è da noi ben
conosciuta se conosciamo ciò di cui è fatta (ad esempio il marmo o il bronzo = causa materiale); la forma che
fa sì che sia quella determinata statua e non un’altra (ad esempio la forma di Ermes o di Apollo = causa
formale); chi ha fatto quella statua (lo scultore = causa efficiente); lo scopo per cui è stata fatta (il guadagno
dello scultore oppure il culto religioso = causa finale).
Metafisica: i molteplici significati dell’essere
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La seconda definizione della metafisica, come abbiamo visto sopra, viene data da Aristotele in chiave
ontologica: «c’è una scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in
quanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze
considera l’essere in quanto essere universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia
le caratteristiche di questa parte». La metafisica, dunque, considera l’essere come “intero”, mentre le scienze
particolari considerano solo parti di esso. la metafisica vuole pervenire alle “cause prime dell’essere come
essere”, ossia al perché che dà ragione della realtà nella sua totalità; le scienze particolari si fermano alle
cause particolari, alle particolari sezioni della realtà.
Ma che cos’è l’essere? Parmenide lo aveva inteso come “unico”. Platone aveva già compiuto un grande
progresso introducendo il concetto di “non-essere” come “diverso”, che permetteva di giustificare la
molteplicità degli esseri intelligibili (le Idee). Ma Platone non aveva avuto ancora il coraggio di far rientrare
nella sfera del vero essere anche il mondo sensibile, che preferì denominare “intermedio fra essere e nonessere (perché diviene). Ora Aristotele introduce la sua grande riforma che comporta il totale superamento
dell’ontologia eleatica; l’essere non ha un solo significato ma molteplici significati. Tutto ciò che non è un
puro nulla rientra pienamente nella sfera dell’essere, sia esso una realtà sensibile sia esso una realtà
intelligibile.
Ma, secondo Aristotele, tutti i significati dell’essere implicano un comune riferimento ad
un’unità, ossia uno strutturale riferimento alla sostanza . Questa concezione aristotelica, sviluppata poi dai
filosofi medievali, sarà chiamata teoria dell’ analogia dell’essere .
Pertanto l’essere o è sostanza, o è affezione della sostanza o attività della sostanza, o , in tutti i casi,
qualcosa-che-si-riporta- alla -sostanza.
Aristotele ha cercato anche di redigere una tavola che raccogliesse tutti i significati possibili dell’essere e ha
distinto quattro gruppi fondamentali di significati:
1) l’essere come CATEGORIE
2) l’essere come ATTO E POTENZA
3) l’essere come ACCIDENTE
4) l’essere come VERO e il non-essere come falso
1) LE CATEGORIE rappresentano il gruppo principale dei significati dell’essere e costituiscono le originarie
“divisioni dell’essere”, o i “supremi generi dell’essere”. Ecco la tavola delle categorie:
1. Sostanza
2. Qualità
3. Quantità
4. Relazione
5. Azione
6. Passione
7. Luogo
8. Tempo
( 9. Avere
10. Giacere)
La nona e decima categoria sono indicate tra parentesi perché Aristotele ne parla pochissime volte.
E’ da rilevare che malgrado si tratti di significati originari, solo la prima categoria ha una sussistenza
autonoma, mentre tutte le altre presuppongono la prima e si fondano sull’essere della prima (la “qualità” e la
“quantità” sono sempre di una sostanza, le “relazioni” sono fra sostanze ecc.).
Un’altra osservazione va fatta riguardo alla sostanza: infatti il termine sostanza può riferirsi sia al singolo
individuo, sia al genere: il “gatto” è certamente una sostanza, in quanto non è predicato di altro, ha
sussistenza autonoma, tuttavia solo il singolo gatto, l’individuo, esiste realmente, mentre il genere gatto è
frutto di un’astrazione, esiste come concetto mentale: Aristotele quindi parla di Sostanza prima per riferirsi
alla sostanza individuale, realmente esistente, e di Sostanza seconda per riferirsi alla sostanza generica, che
esiste solo concettualmente.
2) ESSERE IN ATTO - ESSERE IN POTENZA Una seconda via, battuta da Aristotele per superare le
aporie di Parmenide, è quella dei concetti di essere-in-atto e di essere-in-potenza. Secondo Parmenide il
divenire è impossibile, perché l’essere non può divenire dall’essere, dato che l’essere c’è già, né dal nonessere, perché il non-essere non esiste e quindi nulla può divenire da esso.
Per Aristotele invece il divenire, che è una realtà evidente, si può concepire come possibile se si pone
attenzione al fatto che fra il non essere assoluto e l’essere pienamente in atto v’è l’essere-in-potenza. Se un
pezzo di legno diventa una statua attraverso l’opera dello scultore è perché esso lo può diventare, perché è
“in potenza” una statua. Il legno possiede già questo essere-in-potenza, a differenza, ad esempio, dell’aria o
del fuoco che non possono diventare una statua. Così il seme è in potenza la pianta, l’uovo è in potenza
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l’uccello, il bimbo è in potenza l’uomo, ecc. Dunque l’essere (l’essere-in-atto, cioè l’essere così come si
presenta attualmente, nella sua realizzazione attuale) non diviene dal nulla assoluto, ma dall’essere-inpotenza.
D’altro lato, quando tale essere-in-potenza si è realizzato, noi diciamo che l’essere è in atto. Così è essere-inatto la statua compiuta rispetto al legno informe, la pianta rispetto al seme, l’uccello rispetto all’uovo, l’uomo
rispetto al bimbo. Fra potenza e atto c’è una perfetta corrispondenza. Non qualsiasi cosa, infatti, può
diventare una qualsiasi altra cosa (per esempio un seme di frumento non può diventare una quercia o una
pianta di mais, ma solo una pianta di frumento).
L’atto, inoltre, è sempre anteriore alla potenza. Sia perché solo riferendoci all’atto noi possiamo concepire la
potenza (sappiamo che il seme è in potenza una pianta perché abbiamo presente nella mente la pianta in atto),
sia perché ogni potenza è tale in quanto deriva da un precedente atto (il seme deriva dalla pianta, la statua
scolpita deriva dallo scultore che ha già in mente la statua in atto, ecc.).
La dottrina della potenza e dell’atto avrà, come vedremo, molteplici applicazioni nella filosofia aristotelica; ad
essa, infatti, Aristotele si riferirà per cercare di comprendere tutta una serie di fenomeni del mondo fisico e
umano che altrimenti sarebbero incomprensibili.
3) L’ESSERE ACCIDENTALE è l’essere casuale e fortuito (ciò che “accade che sia”). Si tratta di un modo
di essere che non solo dipende da un altro essere, ma che non è legato a questo da alcun vincolo essenziale
(per esempio, è un puro “accadimento” che io sia in questo momento seduto, o pallido, ecc.) E’ dunque un
tipo di essere che “non è né sempre né per lo più”, ma solo “talora”, casualmente.
4) L’ESSERE COME VERO è quel tipo di essere che è proprio della mente umana che pensa le cose e le sa
congiungere come sono congiunte in realtà, o disgiungere come sono disgiunte in realtà. Quest’ultimo tipo di
essere è studiato nella Logica (vedi oltre).
Metafisica: il significato di sostanza
Il punto di riferimento unitario dei vari significati dell’essere è per Aristotele la sostanza. Ogni cosa può esser
detta “essere” perché è sempre in qualche modo collegata con la sostanza. La sostanza è allora l’essere
fondamentale, tanto che domandarsi «che cos’è l’essere?» equivale, per Aristotele, a domandarsi «che cos’è
la sostanza?». Il problema della molteplicità degli esseri diventa quindi il problema della molteplicità delle
sostanze, e la metafisica, come scienza dell’essere, diventa per Aristotele primariamente scienza della
sostanza.
La metafisica dovrà quindi studiare che cosa sia la sostanza in generale, e poi porsi il problema di quali
sostanze esistano: se solo le sostanze sensibili o anche le sostanze soprasensibili.
SOSTRATO. Sostanza, dice Aristotele, significa anzitutto “sostrato”. E con sostrato egli intende «ciò di cui
vengono predicate tutte le altre cose, mentre esso non viene predicato di nessun’altra». In questo senso la
sostanza, come prima categoria dell’essere, si contrappone alle altre categorie. Mentre la qualità, la quantità,
ecc. si predicano dell’essere sostanziale, l’essere sostanziale rimane il soggetto ultimo di ogni altra cosa. Così
possiamo dire che il bianco è la qualità di una statua, ma non possiamo poi dire che la statua sia il predicato o
l’attributo di qualcos’altro. Essa esiste autonomamente in sé e per sé, ed è appunto questa esistenza
autonoma ciò che caratterizza in ultima analisi un essere come sostanza.
Procedendo nell’analisi, Aristotele dice che sostanza è sia il sinolo (o composto) di materia e forma
(per esempio la statua concreta che deriva dall’unione di forma e materia), sia la forma (e cioè la struttura o
configurazione della statua), mentre la materia non può essere considerata sostanza perché non esiste una
materia pura, priva di qualsiasi forma (la materia di fatto si presenta sempre in una certa forma). Pertanto la
materia, in quanto tale, non esiste autonomamente, in sé e per sé.
FORMA: la forma delle cose è sostanza perché è la forma che determina la materia in un certo modo e che
costituisce una realtà nel suo essere più profondo: la forma di una cosa esprime l’essenza della cosa stessa.
Quindi la forma delle cose non è solo il fondamento costitutivo delle cose, ma anche il principio per cui noi le
possiamo conoscere in ciò che esse propriamente sono.
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Teniamo a mente che “forma” non significa aspetto esteriore, apparenza, ma “struttura”, “ principio
organizzatore” (per esempio la forma di una casa è il progetto che determina la disposizione dei mattoni, delle
travi, delle porte ecc.) .
NOTA BENE: Le forme di cui parla Aristotele corrispondono evidentemente alle Idee di Platone. C’è
tuttavia una differenza importantissima: le idee di Platone erano realtà sussistenti, esistenti in una dimensione
ultraterrena, separate dalle cose di cui erano causa. Per Aristotele invece le forme delle cose devono essere
immanenti alle cose, infatti se le idee o forme sono fuori delle cose, non si vede come possano spiegarne
l’essere o farcele meglio conoscere. Questa difficoltà era già presente allo stesso Platone, il quale aveva
cercato di risolverla facendo ricorso al mito del Demiurgo: Platone aveva cioè risolto il problema del rapporto
fra le idee e le cose parlando di “imitazione” e facendo ricorso a una divinità mediatrice. Aristotele però non
accetta questa soluzione perché (secondo lui) non si tratta di una spiegazione razionale, ma solo di una
invenzione poetica e mitica.
Quindi le forme delle cose, secondo Aristotele, non sono separate dalle cose stesse, ma sono immanenti, cioè
esistono dentro le cose, e solo così possono essere principio ontologico e gnoseologico delle cose.
In definitiva Aristotele nega l’esistenza delle Idee, cioè di forme delle cose separate dalle cose, ma tuttavia
non nega, come vedremo, l’esistenza di sostanze immateriali.
SINOLO: a questo punto risulta chiaro che sostanze sono anche, per Aristotele, i sinoli, vale a dire i
“composti di materia e forma”, vale a dire tutte le cose e tutti gli individui concreti: infatti essi hanno
esistenza autonoma, e sono sostrato di determinazioni. Sostanza in senso proprio è il sinolo di materia e
forma.
Metafisica: sostanza, materia e forma, potenza e atto
Le dottrine esposte fin qui vanno ancora integrate con alcune precisazioni riguardanti la potenza e l’atto
riferiti alla sostanza, alla materia e alla forma. Secondo Aristotele c’è una corrispondenza tra la materia e la
potenza, e tra la forma e l’atto. Infatti la materia è potenza o potenzialità perché è capacità di assumere o di
ricevere la forma: ad es.. il bronzo è potenza della statua, perché è capacità di assumere la forma della statua.
La forma si configura invece come atto o attuazione di quella capacità: la forma della statua è l’attuazione
della potenzialità insita nel bronzo. Le sostanze-sinoli, in quanto composti di materia e forma, saranno
pertanto dei misti di potenza e atto: questo significa che tutte le cose materiali avranno un’esistenza attuale
identificata dalla loro forma, ma avranno anche una certa potenzialità, vale a dire la capacità di trasformarsi,
di assumere nuove forme.
Se esistessero degli esseri immateriali, questi, in quanto privi di materia, sarebbero anche privi di potenzialità,
e quindi non sarebbero suscettibili di trasformazioni.
Metafisica: la sostanza soprasensibile
Il problema che si pone alla fine della metafisica è: esistono degli esseri immateriali, o spirituali, vale a dire:
esistono delle sostanze soprasensibili, costituite solo da forma (forme pure e atti puri)?
L’argomentazione di Aristotele a favore dell’esistenza di sostanze soprasensibili presuppone alcuni concetti
trattati nella Fisica, che qui dobbiamo anticipare: 1°) quando parla di movimento Aristotele si riferisce a
qualsiasi tipo di mutamento o di divenire (quindi movimento nello spazio, ma anche trasformazione,
generazione e corruzione, accrescimento e diminuzione)
2°) ogni movimento-divenire è passaggio dalla
potenza all’atto, ed esige una causa che sia già in atto: quindi ogni cosa in movimento è mossa da altro. 3°)
il tempo è eterno, infatti se avesse un inizio e una fine ci sarebbero un “prima” e un “dopo” del tempo, ma
“prima” e “dopo” sono ancora tempo: l’eternità del tempo implica l’eternità del movimento e del mondo,
perché il tempo dipende dal movimento (senza movimento non ci sarebbe percezione del tempo).
Seguiamo ora il ragionamento con cui Aristotele dimostra l’esistenza della sostanza soprasensibile, cioè di
Dio. Le sostanze materiali sono tutte dotate di movimento (in quanto hanno una potenzialità che si deve
attuare). Ora tutto ciò che si muove è necessario che sia mosso da altro: ogni movimento richiede un
“movente” o “motore”; se questo si muove rimanda a un altro “motore” ancora, e così via (per esempio la
rete è mossa dalla pallina, ma questa è mossa dalla racchetta, la racchetta è mossa dal braccio e così via). In
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questo processo di rimandi non è possibile risalire di motore in motore all’infinito, perchè altrimenti non
avremmo mai la causa del movimento e dunque neppure il movimento stesso.
E’ necessario quindi che ci sia un principio assolutamente “primo” e assolutamente “immobile” che sia la
causa prima del movimento intero.
Poiché il movimento è inteso da Aristotele come passaggio dalla potenza all’atto, tale principio,
assolutamente immobile, dovrà essere inteso come assolutamente privo di potenza e quindi come atto puro
(solo l’atto puro non si muove, non diviene, perché è già completamente attuato, non ha nessuna potenzialità
da realizzare). Come tale non potrà avere in sé alcuna materialità, dato che la materia implica potenzialità e
movimento.
Aristotele pertanto afferma l’esistenza di un PRIMO MOTORE IMMOBILE, ATTO PURO (perché privo di
potenzialità), FORMA PURA (perché immateriale), e questo Primo Motore è Dio.
Secondo Aristotele non esiste un unico Dio, in realtà sono molti i motori immobili, quindi le sostanze
immateriali che danno origine al movimento delle cose
materiali: il primo Motore Immobile muove la
sfera delle stelle fisse e poi c’ è un Motore Immobile (una sostanza immateriale e divina) per ognuna delle 55
sfere che stanno fra la sfera delle stelle fisse e la Terra. Aristotele però sente il bisogno di unificare questa
pluralità di cause affermando l’esistenza di un PRIMO Motore al quale gli altri sono subordinati; insomma in
Aristotele c’è un monoteismo esigenziale più che effettivo.
Ma in che modo questo Dio Atto Puro può muovere le cose restando assolutamente immobile? Come
oggetto di desiderio e di amore. “Il primo motore muove come l’oggetto di amore attrae l’amante”. Dio è
perfetto (proprio perché è atto puro) e quindi è il bene sommo, è sommamente desiderabile e amabile, per
questo muove le cose semplicemente attirandole, senza muoversi. Pertanto la causalità di Dio non è una
causalità efficiente (che implica il movimento), ma finale: Dio muove le cose perché è il bene supremo e
perfetto a cui esse tendono
Secondo Aristotele Dio, oltre che Primo Motore Immobile, Atto Puro, Sostanza immateriale, è anche Vita
intellettiva o Intelligenza o Pensiero, perché se egli è perfetto deve possedere la vita nella sua forma più alta e
libera (la vita intellettiva è attività superiore a tutte le altre perché non è determinata dall’esterno ed è quindi
assolutamente libera)
Ma che cosa pensa Dio? pensa la cosa più eccellente: se stesso. Per questo Aristotele lo definisce “Pensiero di
Pensiero”. Dio non può pensare le cose del mondo e gli uomini, esseri imperfetti e mutevoli, perché altrimenti
si abbasserebbe, si degraderebbe. Per la stessa ragione Dio non ama il mondo e gli uomini, perché l’amore è
una manifestazione di bisogno (Amore è figlio di Povertà, aveva detto Platone) incompatibile con la
perfezione divina; Dio quindi è oggetto di amore ma non soggetto di amore (= è amato, non amante).
Infine Dio non ha creato il mondo, ma è soltanto causa del divenire del mondo: di fronte all’esistenza eterna
di Dio sta l’esistenza eterna della materia che si muove e si attua perché attratta, ultimamente, dalla
perfezione divina.
Come si vede la concezione teologica di Aristotele è molto distante sia da quella della religione olimpica (la
divinità aristotelica non è antropomorfa, non ha sembianze, comportamenti e sentimenti umani), sia da
quella biblica e cristiana: in particolare nella teologia biblica e cristiana c’è la creazione, la provvidenza e
l’amore di Dio per le creature, amore gratuito e donativo, che ovviamente non nasce da un bisogno o da
una imperfezione, ma da una ricchezza e sovrabbondanza d’essere. Tuttavia non mancano alcune
somiglianze tra il Dio aristotelico e quello biblico (la perfezione, l’immutabilità e quindi l’eternità, il
monoteismo nel senso che abbiam detto), che verranno valorizzate dalla teologia cristiana.
In conclusione occorre rilevare che Aristotele, dopo aver negato l’esistenza delle Idee platoniche intelligibili
immateriali, ha tuttavia introdotto una sostanza immateriale; quindi la sua critica a Platone non nega la
validità della “seconda navigazione” platonica, vale a dire la scoperta di una dimensione spirituale,
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soprasensibile; però Aristotele concepisce la realtà spirituale in modo diverso, non come forma intelligibile
delle cose, ma come causa intelligente del divenire delle cose.
ARISTOTELE : LA FISICA
La fisica riguarda tutte le sostanze costituite di forma e materia, la quali sono caratterizzate dal movimento.
Abbiamo già visto nella Metafisica quali sono le cause e le condizioni del movimento e del divenire.
A questo punto occorre precisare che per A. esistono diversi tipi di divenire:
1) della sostanza: generazione e corruzione
2) della qualità: alterazione
3) della quantità : aumento e diminuzione
4) del luogo: traslazione
Fisica: il cosmo, mondo terrestre e mondo celeste
Secondo Aristotele il mondo fisico è diviso in due “zone”: il mondo terrestre o sublunare e il mondo celeste o
sopralunare.
Il mondo terrestre è costituito da una materia composta dai quattro elementi: terra aria fuoco e acqua.
Il mondo terrestre è soggetto a tutti i 4 tipi di divenire e tutte le cose terrene sono corruttibili.
Il movimento naturale nel mondo terrestre è un movimento rettilineo e non è determinato dalla forza di
gravità (sconosciuta ad Aristotele), ma dalla tendenza di ogni elemento a raggiungere il suo luogo naturale: il
luogo della terra è il più centrale e basso nell’universo, sopra la terra stanno l’acqua, poi l’aria e poi il fuoco; i
corpi tendono a cadere verso il basso oppure a sollevarsi in base agli elementi da cui sono costituiti.
Attorno alla terra ruotano i corpi celesti (la luna, il sole, i sette pianeti e le stelle), incastonati in sfere
trasparenti (ogni sfera è come una buccia che avvolge la terra, e Aristotele per spiegare tutti i movimenti
astronomici afferma l’esistenza di 56 sfere).
Tutto il mondo sopralunare (corpi celesti e sfere) è costituito da una sola materia, chiamata etere, ed è
caratterizzato da un unico tipo di divenire: il movimento circolare (che appartiene alle traslazioni).
Pertanto tutte le sostanze del mondo sopralunare sono incorruttibili, eterne, come del resto è eterno il mondo
nel suo insieme (ma è spazialmente finito).
Complessivamente la realtà risulta perciò costituita, per Aristotele, da tre livelli: 1: Sostanze soprasensibili,
immateriali e immobili, 2: sostanze celesti, sensibili e mobili ma incorruttibili, 3: sostanze terrestri, sensibili,
mobili e mutevoli, corruttibili.
La concezione aristotelica dell’universo (la distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare, la
collocazione della terra al centro dell’universo con i corpi celesti ruotanti intorno e portati da sfere), con
alcune correzioni fatte da Tolomeo, rimarrà la concezione cosmologica comunemente accettata fino alla
rivoluzione astronomica dell’età moderna (realizzata nei secoli XVI e XVII da Copernico, Keplero e
Galilei).
Fisica: l’ordine finalistico della natura
Lo studio delle cause degli esseri e dei molteplici mutamenti del mondo sensibile conduce Aristotele, nella
Fisica, a polemizzare non solo con Platone riguardo all’immanenza della causa formale, ma anche con
Democrito, e in genere con il meccanicismo atomistico. Per Aristotele tale concezione non rispecchia la realtà
e non spiega i mutamenti che in essa avvengono. Non rispecchia la realtà perché in questa esistono vere e
proprie diversità qualitative e sostanziali (e non solo quantitative). Non spiega i mutamenti che avvengono
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nella realtà, perché questi presentano un ordine e una finalità costanti che in nessun modo possono essere
spiegati dal semplice incontro casuale degli atomi. Si pensi, ad esempio, al crescere di un organismo vivente,
al comportamento di un animale, o anche all’alternarsi regolare delle stagioni.
E’ necessario pensare che in natura sia presente ed agisca una vera e propria causa finale che dia ordine e
regolarità alla natura. Essa non è da ricercarsi in un fine unico trascendente le cose, ma va individuata nella
stessa forma immanente alle singole sostanze, ovvero nella loro causa formale. La forma, infatti, secondo
Aristotele, non solo costituisce la particolare natura di una cosa, ma è anche il principio attivo che suscita il
suo moto naturale e ne determina l’ordine e la direzione secondo un piano prestabilito. Pertanto, in natura, la
causa formale e la causa finale coincidono: è la forma stessa il fine a cui tende il dinamismo naturale di una
sostanza sensibile: il fine di un organismo vivente sarà il pieno e perfetto sviluppo dell’organismo stesso, il
fine dei corpi inanimati sarà il loro “luogo naturale”.
Le forme: un codice genetico?
Ponendo nella forma dei corpi la causa finale di essi, Aristotele prospetta un’originale concezione della
finalità della natura. Non una finalità ad essa estrinseca o a cui essa è forzata dall’esterno, per esempio da
un principio intelligente e ordinatore divino come il Demiurgo platonico, bensì una finalità intrinseca,
propria di ciascuna natura, che tende di per sé a sviluppare quel piano ordinato che in essa è inscritto con
la sua forma. Con terminologia moderna è stato detto che la forma aristotelica svolge la funzione di causa
finale in modo non dissimile dal “codice genetico” di cui parla la contemporanea biologia molecolare.
FISICA: la tensione tra naturalismo e spiritualismo
In Aristotele troviamo una tensione tra Naturalismo e Spiritualismo. Il naturalismo si manifesta non solo
nell’interesse per la natura e per le scienze naturali, ma anche nel tentativo di spiegare la natura ricorrendo a
cause “naturali”, evitando il ricorso a cause esterne alla natura (da ciò il rifiuto delle Idee platoniche). Lo
spiritualismo si manifesta nell’affermazione di sostanze o realtà soprasensibili e nel ruolo assegnato ad esse
per spiegare il movimento, la conoscenza, la vita etica; lo spiritualismo emerge anche quando Aristotele
attribuisce una particolare nobiltà e perfezione alla realtà spirituale e alla conoscenza della stessa.
Queste due tendenze, naturalismo e spiritualismo, portano talvolta Aristotele a proporre 2 soluzioni diverse,
in una certa misura incompatibili e contrapposte, per uno stesso problema.
Così abbiamo visto che la sostanza viene definita come sinolo di materia e forma (naturalismo) però poi si
afferma anche l’esistenza di una sostanza immateriale che è forma pura (spiritualismo).
Il dinamismo della natura viene spiegato facendo ricorso alle forme immanenti agli esseri naturali, forme che
costituiscono il fine intrinseco a cui tende lo sviluppo degli esseri naturali (naturalismo), però Aristotele
afferma anche che deve esserci un Motore Immobile che dà origine, come causa finale, al divenire della
natura (spiritualismo).
Ritroveremo questa tensione anche nella psicologia e nell’etica.
ARISTOTELE - LA PSICOLOGIA
1) LA PSICOLOGIA
La fisica aristotelica non si limita allo studio delle sostanze mobili inanimate, ma si estende anche allo studio
delle sostanze mobili animate, o sostanze viventi, dalle piante, agli animali, all’uomo. Fra le opere dedicate
agli esseri viventi (molte delle quali affrontano temi che oggi diremmo di scienza naturale) un posto
particolare spetta al trattato Sull’anima, in cui sono contenute le affermazioni fondamentali della psicologia
di Aristotele, intesa appunto come “studio dell’anima” (psyché = anima) quale principio degli esseri viventi.
2) L’ANIMA FORMA DEL CORPO
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Come in altri casi, Aristotele esamina le dottrine elaborate precedentemente, in questo caso la concezione
dell’anima dei filosofi naturalisti-materialisti (ad esempio Democrito) e quella spiritualista di Platone. A tali
dottrine Aristotele obietta di aver studiato l’anima in se stessa, senza riferirsi al corpo, quasi che l’anima secondo i miti orfico-pitagorici - “possa penetrare a caso in un corpo qualunque”. Per Aristotele l’anima e il
corpo non debbono essere considerati come due sostanze a sè, unite in modo accidentale, bensì come parti
costitutive di una sostanza unitaria, il corpo vivente, che è sinolo o unione di corpo, quale materia, e di anima,
quale forma.
L’anima viene definita come “forma o atto di un corpo fisico organico che ha la vita in potenza”. Il corpo,
infatti, senza anima è vivo soltanto in potenza. E l’anima non è che la vita del corpo in atto, la struttura
vivente del corpo. Essa quindi non è separabile dal corpo, così come la vista non è separabile dall’occhio e
l’udito non è separabile dall’orecchio. A meno che, avverte Aristotele, vi siano funzioni o attività dell’anima
che non siano attuazioni di una parte del corpo ma siano proprie soltanto dell’anima
3) I TRE TIPI DI ANIMA
Anima vegetativa (propria delle piante)> funzioni: nutrizione e crescita, riproduzione.
Anima sensitiva (degli animali)> funzioni: sensazione, appetito, movimento
Anima intellettiva o razionale (dell’uomo) > funzioni: pensiero razionale, formazione di concetti astratti.
Ogni essere vivente ha una sola anima, quindi l’anima sensitiva degli animali possiede anche le funzioni
dell’anima vegetativa e l’anima intellettiva degli uomini possiede anche le funzioni dell’anima sensitiva e
vegetativa.
4) LA GNOSEOLOGIA
La sensazione (o percezione) è passaggio della facoltà di senso (per esempio la vista) dalla potenza all’atto. Il
vedere è l’attuazione della vista. La sensazione (come attuazione della facoltà di senso) è provocata da un
oggetto sensibile (un colore, un suono ecc. che agisce sui sensi), infatti sappiamo che il passaggio dalla
potenza all’atto richiede sempre una causa attuale. Nella sensazione l’anima assimila un’immagine
dell’oggetto percepito, così come nella nutrizione il corpo assimila la materia del cibo ingerito.
L’anima sensitiva ha anche la capacità di conservare nella memoria le immagini prodotte dalle sensazioni, e
anche di formare immagini generali, cioè immagini riferite a molte sensazioni.
L’intelletto ha la funzione di formare i concetti astratti e universali su cui si basa la nostra conoscenza
razionale (per esempio il concetto di uomo, che si distingue nettamente dall’immagine generale dell’uomo,
perché questa ha un contenuto sensoriale e varia da soggetto a soggetto, mentre il concetto coglie l’essenza
dell’uomo e quindi è universale).
Secondo Aristotele, l’intelletto umano non possiede idee o concetti innati (la conoscenza quindi non è
reminiscenza di qualcosa che in fondo conosciamo già): l’intelletto forma i concetti operando sulle immagini
prodotte dai sensi e conservate dalla memoria.
Anche la conoscenza intellettiva viene spiegata da Aristotele ricorrendo alla potenza e all’atto.
L’intelletto inizialmente non ha una conoscenza in atto dei concetti, però ne ha una conoscenza potenziale
(INTELLETTO POTENZIALE) perché non possiede concetti innati, ma ha la capacità di possederli, cioè di
conoscerli.
D’altra parte il concetto (o forma intelligibile) esiste nelle cose sensibili solo in potenza (per esempio il
concetto astratto e universale di triangolo non esiste attualmente nei triangoli x, y e z, ma solo
potenzialmente, perché per cogliere il concetto astratto e universale di triangolo debbo astrarre da tutte le
caratteristiche particolari di x, di y, e di z).
Esiste dunque una doppia potenzialità: il concetto è conosciuto solo in potenza dall’intelletto potenziale ed
esiste solo in potenza nelle cose sensibili. Perché questa doppia potenzialità si attualizzi, deve intervenire
un’altra facoltà o funzione intellettuale (che Aristotele chiama INTELLETTO ATTIVO) che ha la capacità di
produrre le forme intelligibili astraendole dal sensibile e di far sì che l’intelletto potenziale passi all’atto e
conosca ricevendo in sè tali forme.
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Esso è paragonabile alla luce: come la luce rende visibili i colori e permette alla vista di vedere, così
l’intelletto attivo rende intelligibili le forme delle cose sensibili e permette all’intelletto potenziale di
conoscerle.
5) IL CARATTERE SPIRITUALE DELL’INTELLETTO ATTIVO
L’attività astrattiva dell’intelletto attivo implica un’indipendenza dal corpo e dalla materia (infatti l’astrazione
consiste nel separare il concetto dalla sostanza materiale); inoltre l’intelletto attivo dev’essere, per svolgere la
sua funzione, sempre in atto, e questo comporta (come già abbiamo visto riguardo al Motore Immobile)
l’immaterialità: per questo Aristotele definisce l’intelletto attivo “separato dalla materia”, “impassibile”,
“eterno” “immortale”.
Le affermazioni di Aristotele a riguardo dell’intelletto attivo susciteranno innumerevoli discussioni tra gli
interpreti del pensiero aristotelico, a partire dal fatto che non è chiaro se l’intelletto attivo e l’intelletto
potenziale sono due facoltà della stessa anima intellettiva oppure sono due principi distinti: l’ intelletto attivo
è proprio di ogni uomo? oppure è unico e comune a tutti gli uomini? coincide con Dio? che rapporto ha con
la nostra individualità e il nostro io? l’immortalità dell’intelletto attivo comporta l’immortalità dell’anima
umana personale?
Si tratta di problemi non risolti e neppure affrontati da Aristotele (aporie); del resto non è facile conciliare la
concezione dell’anima intellettiva spirituale, indipendente dalla materia, con la concezione generale dell’anima
come “forma del corpo”.
Anche qui siamo di fronte al problema della tensione tra naturalismo e spiritualismo; c’è indubbiamente - nella
visione aristotelica dell’uomo - un’apertura alla dimensione spiritualistica ereditata dal platonismo, ma non è
facilmente conciliabile con il naturalismo che afferma l’unità sostanziale di anima e corpo.
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ARISTOTELE - LOGICA
La Logica studia il funzionamento del pensiero – del ragionamento – del discorso argomentativo.
Studia quindi il procedimento della dimostrazione, la struttura , i tipi, gli elementi della dimostrazione.
N.B. Nel linguaggio comune spesso si usa (impropriamente) il termine “dimostrazione” anche per riferirsi
all’accertamento di qualche tesi per mezzo di prove sperimentali (per esempio: “Foucault, con il suo
pendolo, ha dimostrato la rotazione terrestre”), ma nel linguaggio della filosofia e delle scienze il termine
“dimostrazione” significa propriamente un procedimento puramente razionale,come quello che viene
utilizzato nei teoremi di geometria.
La Logica, nella filosofia di Aristotele, non appartiene a un campo scientifico particolare (come Scienze
teoretiche, scienze pratiche, ecc.) perché descrive il metodo argomentativo - dimostrativo di tutte le scienze.
Infatti ogni scienza, per essere tale, deve utilizzare questo metodo.
Scritti aristotelici di Logica: “Categorie”, “Analitici Primi”, “Analitici Secondi”, “Topici”, “De
interpretatione” “Confutazioni sofistiche” ecc. tutti raggruppati dall’editore nell’Organon (= strumento)
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GLI OGGETTI DELLA LOGICA SONO:
1) CONCETTI e TERMINI = elementi primi del pensiero e del linguaggio
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2) GIUDIZI e PROPOSIZIONI = relazioni di concetti e di termini
3) RAGIONAMENTI e DIMOSTRAZIONI (o argomentazioni) = concatenazioni di giudizi e di proposizioni
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A. LOGICA DEI CONCETTI
I concetti esprimono gli aspetti universali delle realtà sensibili (generi, specie, categorie),
per esempio: gatto, rettile, uomo, rosso, suono etc.
I concetti sono immagini (= rappresentazioni mentali, prodotte dall’esperienza e dall’intelletto) di realtà
concrete.
I termini sono le parole (simboli convenzionali) con cui esprimiamo nel linguaggio i concetti
pertanto c’è una perfetta corrispondenza tra ….
linguaggio (termini) – pensiero (concetti) – realtà
Quando l’intelletto – lavorando sulle immagini prodotte dall’esperienza – produce per astrazione un concetto,
questo concetto coglie un aspetto oggettivo della realtà. (rivedere quello che si è già studiato sull’intelletto
attivo e passivo e sul processo di astrazione!)
I CONCETTI hanno:
ESTENSIONE = ampiezza, quantità di individui a cui si applica il concetto
COMPRENSIONE = determinatezza, quantità di caratteristiche indicate dal concetto
I concetti che hanno maggior estensione hanno minor comprensione, e viceversa.
Per esempio: “rettile” ha maggior estensione e minor comprensione di “lucertola”
“animale” ha maggior estensione e minor comprensione di “rettile” (infatti gli animali sono più numerosi dei
rettili, ma il termine rettile indica una maggior quantità di caratteristiche – squame, sangue freddo,
respirazione polmonare, vertebrato etc.- rispetto al termine “animale” che significa semplicemente
“organismo vivente dotato di sensazione e movimento”)
I concetti con la massima estensione sono le categorie (già studiate nella metafisica, vedi: sostanza, qualità,
quantità, azione, passione, relazione, luogo, tempo, avere, giacere)
Le CATEGORIE quindi sono i SIGNIFICATI FONDAMENTALI DELL’ESSERE (secondo la metafisica) e
i GENERI SUPREMI DEL PENSIERO E DEL LINGUAGGIO (secondo la logica)
DEFINIZIONI dei CONCETTI = esprimono l’essenza della realtà a cui si riferiscono i concetti.
(per esempio: la definizione di “rettile” esprime l’essenza dei rettili realmente esistenti)
I Concetti vengono definiti indicando il GENERE PROSSIMO e la DIFFERENZA SPECIFICA.
per esempio: “lucertola” è definito dal genere “rettile” e dalle caratteristiche che differenziano la specie
lucertola dagli altri rettili. Il genere prossimo è quello meno esteso in cui rientra il concetto da definire.
Definizione di “uomo” = “animale razionale”
Le categorie non sono definibili perché sono i generi supremi (non ci sono generi più estesi entro cui
collocare le categorie). Gli individui non sono definibili perché non possiamo indicare differenze specifiche.
I concetti non sono né veri né falsi e le definizioni dei concetti sono valide o non valide: infatti una definizione
come “l’uomo è un mammifero a sangue caldo”, pur non essendo falsa, non è valida, perché non coglie la
specificità dell’uomo.
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B. LOGICA DEI GIUDIZI
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GIUDIZIO (o PROPOSIZIONE) = unione di due concetti di cui uno è soggetto e l’altro predicato.
La logica si occupa solo dei giudizi dichiarativi (che affermano o negano), non di proposizioni come comandi,
esclamazioni, domande, esortazioni ecc.
Esempi: le gazzelle corrono, gli uomini sono mortali, Giacomo è a Milano ecc.
Il giudizio può essere VERO o FALSO:
è vero se congiunge concetti che sono congiunti anche nella realtà (o disgiunge concetti che sono disgiunti
nella realtà)
è falso se congiunge concetti che nella realtà sono disgiunti (o viceversa)
quindi la verità (o la falsità) è nel giudizio, ma il criterio di verità (o di falsità) è la realtà.
TIPOLOGIA DEI GIUDIZI:
i giudizi possono essere:
1° Secondo la quantità = universali o particolari
2° Secondo la qualità = affermativi o negativi
Universale affermativa: tutti gli uomini sono biondi
Universale negativa: nessun uomo è biondo (oppure: tutti gli uomini non sono biondi)
Particolare affermativa: alcuni uomini sono biondi (oppure: qualche uomo è biondo)
Particolare negativa: alcuni uomini non sono biondi (oppure: qualche uomo non è biondo)
Nel Medioevo, sulla base dell’insegnamento di Aristotele, è stato elaborato un
QUADRATO LOGICO PER STUDIARE I RAPPORTI TRA I GIUDIZI
U.A. tutti gli
uomini sono
biondi
SU
BA
LT
ER
NE
P.A. alcuni
uomini sono
biondi
CONTRARIE
CONTRADDITTORIE
SUB-CONTRARIE
U.N. nessun
uomo
è
biondo
SU
BA
LT
ER
NE
P.N. alcuni
uomini non
sono biondi
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CONTRARIE: non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false
SUB_CONTRARIE: non possono essere entrambe false, ma possono essere entrambe vere
SUBALTERNE: se l’universale è vera, è vera anche la subalterna, ma non viceversa.
se la subalterna (particolare) è falsa, è falsa anche l’universale, ma non viceversa.
CONTRADDITTORIE: si escludono a vicenda , se una è vera l’altra è falsa (è l’opposizione più forte).
I GIUDIZI possono anche essere:
3° secondo la modalità:
POSSIBILI “Il tempo può diventar brutto” = non è ma può essere
CONTINGENTI
“adesso il tempo è bello” = è ma potrebbe non essere
IMPOSSIBILI
“è impossibile che due rette parallele s’incontrino” = non è e non può mai essere
NECESSARI “è necessario che il triangolo abbia tre lati” = è e non può non essere
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LOGICA DEL SILLOGISMO
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Ragionamento deduttivo – dimostrazione – argomentazione - inferenza =
concatenazione di giudizi, per cui, poste le premesse, segue necessariamente la conclusione
SILLOGISMO = struttura elementare, tipica, del ragionamento deduttivo
ESEMPI:
Premessa maggiore M è P
tutti gli uomini sono mortali
Premessa minore
SèM
Socrate è uomo
Socrate è mortale
Conclusione
SèP
N.B. uomo è il termine MEDIO, cioè il termine che deve comparire in entrambe le premesse e che funge da
“cerniera” tra il soggetto è il predicato della conclusione.
ESISTONO DIVERSI TIPI DI SILLOGISMO: ARISTOTELE LI HA CLASSIFICATI SULLA BASE
DELLA POSIZIONE DEL TERMINE MEDIO NELLE PREMESSE E SULLA BASE DEI TIPI DI
GIUDIZIO CHE COMPONGONO IL SILLOGISMO
Nell’esempio che segue il termine medio cantante è in posizione di soggetto in entrambe le premesse:
Premessa maggiore M è P
Tutti i cantanti sono intonati
Premessa minore
MèS
Qualche cantante è inglese
Qualche inglese è intonato
Conclusione
SèP
Nell’esempio che segue il termine medio sangue caldo è in posizione di predicato in entrambe le premesse,
inoltre notiamo che la premessa minore e la conclusione sono giudizi negativi:
Tutti i mammiferi hanno sangue caldo Premessa maggiore P è M
Premessa minore
SèM
Nessun serpente ha sangue caldo
Nessun serpente è mammifero
Conclusione
SèP
Non tutti i sillogismi portano a conclusioni necessarie, anzi le possibili combinazioni di posizione dei termini
medi e di giudizi universali affermativi, universali negativi, particolari affermativi e negativi sono più di
duecento, ma i sillogismi corretti, che portano a conclusioni necessarie, secondo Aristotele sono solo 14.
Aristotele ha definito le regole che devono rispettare i sillogismi per essere corretti (per esempio: se una delle
premesse è negativa, la conclusione non può essere mai affermativa, il predicato della premessa maggiore
deve avere estensione maggiore del predicato della premessa minore etc.): noi rinunciamo per ragioni di
tempo ad esaminarle dettagliatamente.
MèP
I torinesi sono Italiani
SèM
Paolo è torinese
Quindi Paolo è Italiano
SèP
Nei due esempi precedenti i giudizi sono gli stessi,
sillogismo è corretto, il secondo no.
PèM
I torinesi sono Italiani
SèM
Paolo è Italiano
Quindi Paolo è torinese
SèP
ma cambia la loro posizione nel sillogismo: il primo
Nel sillogismo che segue tutti i giudizi sono palesemente falsi, e tuttavia il sillogismo è corretto perché la
conclusione segue necessariamente dalle premesse:
MèP
Tutti gli uccelli volano
SèM
Tutti gli uomini sono uccelli
Quindi tutti gli uomini volano
SèP
quindi questo sillogismo è corretto, anche se non è vero.
ora esaminiamo il seguente sillogismo:
Tutti i ragazzi che hanno la moto sono felici
io non ho la moto
Quindi io non sono felice
MèP
SèM
SèP
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indipendentemente dalla verità delle premesse e della conclusione, il sillogismo non è corretto, infatti
potrebbero essere felici anche i ragazzi che hanno la bici e quelli che hanno l’auto (ecc.) quindi “io non sono
felice” non è una conclusione necessaria.
Come potrei modificare il sillogismo per renderlo corretto? se la premessa fosse “solo i ragazzi che hanno la
moto sono felici” la conclusione diventerebbe necessaria e quindi il sillogismo sarebbe corretto.
FORMALIZZAZIONE DEI SILLOGISMI.
nei suoi scritti di Logica Aristotele non ha fornito degli esempi di sillogismo come quelli esaminati ora: ha
proposto semplicemente degli schemi in cui ai possibili contenuti dei sillogismi sono sostituite lettere, per
esempio:
Se ogni A inerisce a ogni B
Se A non inerisce a qualche C
Allora qualche C non è B
in tal modo ha realizzato una formalizzazione dei sillogismi che permette di stabilire la correttezza dei
ragionamenti in base alla loro forma, prescindendo dai contenuti.
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SILLOGISMI SCIENTIFICI E DIALETTICI
I sillogismi corretti, se hanno premesse vere, conducono a una conclusione vera, (oltre che necessaria):
questi sillogismi sono chiamati da Aristotele SILLOGISMI SCIENTIFICI perché sono propri della scienza, la
quale deve giungere, con procedimenti dimostrativi, ad affermazioni vere.
Se invece i sillogismi (corretti) hanno premesse solo probabili, la conclusione sarà probabile. Questi
sillogismi sono chiamati da Aristotele SILLOGISMI DIALETTICI. Questi sillogismi sono utili per la retorica
(per esempio nei discorsi politici e giudiziari) che deve convincere gli ascoltatori, pur senza raggiungere la
verità delle scienze.
I sillogismi non corretti (in cui la conclusione non segue necessariamente dalle premesse) sono ingannevoli,
non sono utili né per la scienza né per la retorica; i ragionamenti dei sofisti secondo Aristotele erano di questo
tipo, non corretti e quindi ingannevoli.
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IL PROBLEMA DELLA VERITA’ DELLE PREMESSE
Un sillogismo corretto porta a una conclusione vera se ha premesse vere. Si pone quindi il problema della
verità delle premesse (cioè dei giudizi, perché le premesse del sillogismo sono giudizi). In che modo si può
accertare la verità di un giudizio?
Secondo Aristotele un giudizio vero può essere formulato secondo 3 metodi:
per deduzione (metodo sillogistico)
per induzione
per intuizione
DEDUZIONE: il giudizio che costituisce la premessa di un sillogismo può essere dedotto da un altro
sillogismo (di cui costituirà la conclusione). Per esempio: “Tutti gli uomini sono mortali”, che è la premessa
maggiore del primo sillogismo esaminato sopra, può essere dedotto dal sillogismo: “tutti gli animali sono
mortali, tutti gli uomini sono animali, dunque tutti gli uomini sono mortali”; a sua volta ”tutti gli animali
sono mortali” può essere dedotto da un altro sillogismo (“Tutti gli esseri viventi muoiono, gli animali vivono
ecc.”); come si può rilevare da questi esempi il procedimento deduttivo fa derivare un giudizio da altri giudizi
più generali; tuttavia non è possibile procedere all’infinito in questo modo: ci dovranno pertanto essere delle
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premesse/giudizi non deducibili; la verità di queste premesse/giudizi dovrà essere accertata in altro modo, per
induzione o per intuizione
INDUZIONE
è il procedimento per cui partendo dall’osservazione di tanti casi particolari giungo a un principio generale
(una legge, un concetto universale etc.) . Per esempio, siccome ho osservato che il ferro si dilata col calore,
che il piombo si dilata col calore, che il mercurio, l’alcool, il vetro si dilatano col calore ecc. ecc. giungo alla
conclusione generale che il calore dilata i corpi.
La conclusione del procedimento induttivo è solo probabile, infatti l’esperienza di tanti casi particolari non
può darmi la certezza che il principio generale a cui giungo abbia validità universale: per esempio non posso
essere sicuro che il calore dilati proprio tutti i corpi, potrebbe esserci qualche materiale che non ho
sperimentato e che non obbedisce a questa legge.
Tuttavia Aristotele pensa che l’induzione (e quindi l’esperienza) prepari il processo di astrazione per mezzo
del quale l’intelletto coglie con certezza il concetto universale.
Esempio: Caio è morto, Tizio è morto, Cesare è morto, Giovanni è morto ecc. ecc. , perciò probabilmente
tutti gli uomini sono mortali.
Ma se l’intelletto (astraendo dai tanti uomini di cui si è fatta esperienza) coglie il concetto universale di uomo,
vale a dire l’essenza dell’uomo, capisce che dell’essenza umana fa parte la mortalità: dunque certamente tutti
gli uomini sono mortali
INTUIZIONE
esistono alcuni principii generali che noi conosciamo come veri per intuizione, immediatamente, senza
dedurli né ricavarli dall’esperienza. Sono immediatamente evidenti.
Questi principii sono i primi principii delle scienze (per esempio le definizioni e gli assiomi della matematica,
oppure il movimento per la fisica); possono essere principii di una sola scienza , oppure possono essere
comuni a più scienze, oppure possono essere comuni a tutte le scienze.
Il principio più generale di tutti, perché sta alla base di qualsiasi discorso razionale, è il PRINCIPIO DI NONCONTRADDIZIONE (“riguardo allo stesso soggetto non si può affermare e negare un predicato nello stesso
tempo e sotto lo stesso aspetto”).
Il principio di non contraddizione non può essere dimostrato, perché qualsiasi dimostrazione lo presuppone,
però non può neppure essere confutato, infatti se si nega il principio di non-contraddizione si deve ammettere
che la stessa negazione può essere affermata e negata: negando il principio di non-contraddizione qualsiasi
discorso risulta vero e falso allo stesso tempo, cioè del tutto insignificante e inutile.
Dal principio di non-contraddizione derivano il PRINCIPIO DI IDENTITA’ (ogni cosa è uguale a se stessa
A= A) e il PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO (di un soggetto si può affermare o negare un predicato,
non esiste un’altra possibiltà: per esempio: MARIO CORRE oppure MARIO NON CORRE e basta!)
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