Unità | lezione 34 | Il mondo fisico | Lezione 5 34 Aristotele Il mondo fisico determinata, appunto, dalla “natura” particolare degli oggetti sensibili, che ci vengono offerti tramite l’esperienza. La metafisica della natura 3. Come metafisica della natura, la fisica ha in comune con l’ontologia i principi fondamentali dell’essere, i quali testimoniano in tal modo la loro onnipervasività o trascendentalità. La spiegazione razional-deduttiva. Fisica e ontologia 4. Se il metodo dell’indagine fisica si avvale di ipotesi, esperienze, induzioni e descrizioni – in modo simile a come oggi siamo abituati a concepirle –, la spiegazione dei fenomeni è, invece, razional-deduttiva. Essa opera con una grande semplicità strutturale ed è dotata di un alto potere esplicativo, addirittura prossimo alla tautologia. Sono infatti l’intima “natura” delle cose, la loro “forma” e la loro costituzione intrinseca a determinare ciò che le cose sono e come possiamo conoscerle, non i concetti, le credenze o gli schemi intellettuali dell’uomo 1. Al contrario, dunque, di quello che in prima istanza può sembrare, la fisica aristotelica non è né antropomorfica né una semplice proiezione psicologica di pensieri soggettivi sul mondo. Il mondo fisico ha anzi per Aristotele una sua struttura logica e oggettiva che si proietta nell’ontologia 2. Una simile strutturazione logica conferisce alla natura materiale l’immagine di un grande edificio perfettamente simmetrico, sorretto dagli schemi sostanzialistici dell’atto e della potenza, della forma e della materia, dell’essenza e dell’accidente. 34.1. L’oggetto della fisica La fisica studia l’oggettività materiale L a fisica o “filosofia seconda” ha come oggetto l’insieme dei fenomeni sensibili del mondo esterno, in quanto dotati di movimento e sottoposti al divenire. La sua radice è la stessa del termine phýsis (= natura), che Aristotele non intende più come ciò che, in generale, definisce l’ambito dell’oggettività, ma come l’oggettività materiale, caratterizzata dall’instabilità e dal mutamento. Essa fa parte delle scienze teoretiche assieme alla matematica e alla filosofia prima (cfr. lezione 32); il suo compito non è dunque solo quello di descrivere gli oggetti materiali, ma anche di individuarne i criteri di comprensione attraverso principi astratti. Queste caratterizzazioni danno alla fisica aristotelica un’impronta ben precisa che possiamo esprimere nel modo seguente. La fisica è scienza qualitativa 1. Come scienza teoretica o “contemplativa”, l’indagine fisica sul mondo dei fenomeni non ha per Aristotele alcuna connotazione sperimentale, pratica o tecnica. Essa è anzi una scienza qualitativa di tipo analitico, che possiamo intendere come un’autentica metafisica o “ontologia” della natura a carattere finalistico. Ciò basta a distinguerla dalla fisica moderna di matrice galileiana, caratterizzata invece dallo sperimentalismo e dalla riduzione matematico-quantitativa dei concetti, corrispondentemente a una concezione antimetafisica e meccanicistica della natura. La riabilitazione del mondo fenomenico e dell’esperienza 2. Al tempo stesso, proprio per il fatto di essere una scienza, la fisica in senso aristotelico implica una riabilitazione del mondo fenomenico e materiale, che non è più consegnato al non-essere (Parmenide) o ridotto all’apparenza sensibile del “vero” essere ideale (Platone), ma – sebbene in senso derivato – gode di una sua autonomia conoscitiva, 459 1. La fisica come scienza dei fini della natura « Ma nasce un dubbio: che cosa vieta che la natura agisca senza alcun fine e non in vista del meglio, bensì come piove Zeus, non per far crescere il frumento, ma per necessità (difatti ciò che ha evaporato, deve raffreddarsi e, una volta raffreddato, diventa acqua e scende giù: e che il frumento cresca quando questo av­viene, è un fatto accidentale)? E, parimenti, quando il grano, poniamo, si guasta sull’aia, non ha piovuto per questo fine, cioè affinché esso si guastasse, ma questo è accaduto per accidente. E, quindi, nulla vieta che questo stato di cose si verifichi anche nelle parti degli esseri viventi e che, ad esempio, per necessità i denti incisivi nascano acuti e adatti a tagliare, quelli molari, invece, piatti e utili a masticare il cibo; ma che tutto questo avvenga non per tali fini, bensì per accidente. E così pure delle altre parti in cui sembra esserci la causa finale. E, pertanto, quegli esseri, in cui tutto si è prodotto accidentalmente, ma allo stesso modo che se si fosse prodotto in vista di un fine, si sono conser­vati per il fatto che per caso sono risultati costituiti in modo op­portuno; quanti altri, invece, non sono in tale situazione, si sono perduti o si van perdendo [...]. Questo, o su per giù questo, è il ragionamento che potrebbe metterci in imbarazzo: ma è impossibile che la cosa stia così. Infatti, le cose ora citate e tutte quelle che sono per natura, si generano in questo modo o sempre o per lo più, mentre ciò non si verifica per le cose fortuite e casuali. Difatti, pare che non fortuitamente né a caso piova spesso durante l’inverno; ma sotto la canicola, sì; né che ci sia calura sotto la canicola; ma in inverno, sì. Dal momento che, dunque, tali cose sembrano generarsi o per fortuita coincidenza o in virtù di una causa finale, se non è possibile che esse avvengano né per fortuita coincidenza né per caso, allora avverranno in vista di un fine. Ma tutte le cose di tal genere sono sempre conformi a natura, come ammettono anche i meccanicisti. Dunque, nelle cose che in natura sono generate ed esistono, c’è una causa finale». Aristotele, Fisica, cit., II, 8, 198 b 17 – 199 a 7, pp. 44-45.