Percorso 3 ■ La donna La donna Tutte le comunità greche erano associazioni di maschi adulti: queste società tenevano ai margini anzitutto le donne che, soprattutto ad Atene, godevano di limitati diritti civili ed erano escluse da quelli politici, quindi gli schiavi, il cui lavoro produceva la maggior parte della ricchezza nella città, e altresì gli stranieri in generale, sia gli altri Greci sia i barbari. Mentre nella civiltà riflessa nei poemi omerici la donna ha una propria autonomia, questa viene meno nella Grecia storica e ancora di più in quella classica, soprattutto nella democratica Atene. Nell’Odissea, quando Telemaco e Mentore si recano a Sparta in cerca di notizie di Odisseo, che dieci anni dopo la fine della guerra troiana non era ancora ritornato a Itaca, Elena li accoglie onorevolmente nella reggia e li intrattiene insieme a Menelao, mentre nel V secolo nessuna donna «per bene», ateniese o spartana, si sarebbe trattenuta, conversando a lungo, con ospiti che fossero entrati nella sua casa. Nella democratica Atene, le donne avevano le loro stanze separate in casa, spesso al piano superiore perché fossero più isolate, e ne uscivano di solito per andare a sposarsi, per partecipare a cerimonie religiose solenni o ai funerali dei congiunti, mentre la spesa domestica era fatta dal marito o dalle schiave. Anzi, ad Atene la condizione della donna era ancora più ristretta che a Sparta, poiché in quella città le ragazze facevano ginnastica insieme ai loro coetanei maschi: questo uso era oggetto di critica da parte degli Ateniesi, che chiamavano ingiuriosamente le ragazze spartane phainomerìdes, «quelle che mostrano le gambe». Così avveniva per l’istruzione. I cori di fanciulle spartane che nel VII secolo cantavano gli inni e i parteni composti per loro dal poeta Alcmane dovevano essere in grado di comprendere questi testi elevati e di eseguire i complessi movimenti di danza in relazione alla loro struttura metrica. In un’altra città della Grecia arcaica, Mitilene nell’isola di Questa statuetta raffigura una ragazza spartana mentre danza: le ragazze a Sparta godevano di una libertà sconosciuta alle ragazze ateniesi. © SEI 2009 – V. Citti C. Casali L. Fort, Metis 1 Percorso 3 ■ La donna Lesbo, le giovani della classe superiore ricevevano un’istruzione raffinata da parte di maestre colte che insegnavano loro le buone maniere, ma anche impartivano una formazione culturale elevata attraverso la preparazione di testi di poesia composti per loro; per queste performances ricevevano inoltre un’iniziazione al canto e alla musica, forse anche alla danza. Siamo informati di questo attraverso la poesia di una di queste maestre, Saffo, vissuta a cavallo tra il VII e il VI secolo a.C., che istruiva le sue allieve, provenienti anche da altre isole e dal continente, attraverso l’esecuzione delle sue canzoni, le quali ci dimostrano una conoscenza profonda dei poemi omerici e di altri testi di poesia contemporanea e sono composte in una forma impeccabile dal punto di vista linguistico e metrico; la scuola di Saffo non era la sola attiva a Mitilene. Nell’Atene del V secolo, invece, una donna libera non riceveva alcuna istruzione, se non per ciò che riguardava la direzione della casa e l’amministrazione del patrimonio familia Mosaico con l’immagine della poetessa Saffo, che insegnava canto e musica alle ragazze nella re. Soltanto le etere, donne dalla vita e dai sua scuola di Lesbo. costumi abbastanza liberi che presenziavano Soltanto le etere presenziavano o ai banchetti, come testimonia la decorazione di questo vaso ai banchetti maschili e li rallegravano candel IV secolo a.C. 2 © SEI 2009 – V. Citti C. Casali L. Fort, Metis Percorso 3 ■ La donna Particolare della decorazione di un vaso del V secolo a.C. che mostra la vestizione di una sposa per il matrimonio. tando canzoni e accompagnandosi sulla cetra, ricevevano la cultura necessaria per queste funzioni e non a caso soltanto di alcune etere sappiamo che erano capaci di sostenere una conversazione intellettuale elevata: nel Simposio platonico Socrate afferma di avere imparato la dottrina dell’amore ideale proprio da una di esse, Diotima. Sulla condizione della donna ateniese nel V secolo è esemplare un dialogo che lo scrittore e storico ateniese Senofonte scrisse sul governo della casa, l’Economico. Il protagonista, Iscomaco, racconta a Socrate come ha insegnato a sua moglie il modo in cui doveva dirigere la casa, sorvegliando le entrate e le uscite e sovraintendendo al lavoro delle schiave, in modo che il marito potesse non preoccuparsi di queste attività e dedicarsi ai suoi affari e alla vita pubblica, le normali attività quotidiane degli uomini. Senofonte rappresenta bene il modo di pensare dell’Ateniese medio, che considerava la donna inferiore all’uomo sia fisicamente sia intellettualmente, un essere di carattere debole e passionale, bisognoso di essere guidato in tutte le sue attività dall’intelletto razionale dell’uomo. Questo modo di pensare diffuso costituiva la giustificazione psicologica per la violenza sociale di fatto imposta alla donna attica; ma quando il filosofo Aristotele, che con la sua scuola fondò una vera e propria enciclopedia del sapere, approfondì le ricerche nel campo delle scienze naturali, trovò una ragione scientifica per giustificare questa soggezione. Nelle opere biologiche di Aristotele si legge che, se il seme maschile giunge ancora caldo nell’utero, il feto concepito è di sesso maschile; se invece si raffredda e indebolisce le proprie capacità, viene concepita una femmina, come se la femmina fosse un maschio mal riuscito. Questa situazione è rispecchiata anche nel diritto familiare: l’adulterio del marito non è mai considerato un reato, se mai un’offesa nei confronti della moglie, mentre se un uomo sorprendeva sua moglie in flagrante adulterio, aveva il diritto di uccidere l’uomo che era con lei, ma poteva solo ripudiare la donna, evidentemente considerata irresponsabile dei suoi atti, come se si trattasse di un oggetto rubato. In ogni caso la mora© SEI 2009 – V. Citti C. Casali L. Fort, Metis 3 Percorso 3 ■ La donna lità sessuale della moglie era fondamentale per garantire che la prole fosse legittima e che il patrimonio venisse trasmesso nell’interno del gruppo familiare, il ghenos: il figlio dell’adulterio era un estraneo che doveva essere allontanato. Anche alcuni miti rispecchiano questo sistema sociale maschilista. Gli dei avevano concesso ad Admeto, re di Fere in Tessaglia, di poter sopravvivere alla morte se qualcuno avesse accettato di morire al suo posto quando fosse stata la sua ora; quando il dèmone della morte si presentò per prenderlo, non si trovò nessuno disposto a morire per lui, se non la moglie Alcesti. Questa vicenda è argomento di una tragedia di Euripide e Platone la ricorda come esempio sublime di amore e di dedizione coniugale. Un altro mito raccontava che le Danaidi, figlie di Danao, re dell’Egitto, erano chieste in matrimonio dai cugini, figli di Egitto, fratello minore del loro padre. La situazione sociale delle Danaidi rappresentava sulla scena quella stessa che era propria di tutte le donne greche rispetto ai problemi dell’eredità: la donna non ereditava, ma poteva trasmettere l’eredità paterna a un eventuale figlio maschio. Per questo i figli di Egitto volevano a ogni costo sposare le figlie del primogenito Danao, perché il regno d’Egitto rimanesse nell’ambito della famiglia, e quando esse fuggirono dall’Egitto in Grecia le inseguirono; alla fine le Danaidi, costrette con la forza a sposare i cugini, per istigazione del padre uccisero i rispettivi mariti nella prima notte di nozze, tranne Ipermestra, che risparmiò il suo sposo Linceo (e da lei discese Immagini tratte da vasi ateniesi che una stirpe reale nella città di Argo). La norma che mostrano diversi tipi di abiti femminili. sta a fondamento di questo mito era legge nell’Atene classica: ci dimostra che in Atene, ancora nel V secolo, permanevano forti elementi del diritto familiare in concorrenza con il diritto cittadino ormai affermato nelle istituzioni. Di questo fenomeno abbiamo una conferma se pensiamo all’uso, documentato da molti oratori attici del secolo seguente, che uno zio sposasse la propria nipote: in questo modo la dote della ragazza restava all’interno del gruppo familiare. Addirittura una legge attica prescriveva che se una donna sposata al di fuori del gruppo riceveva da un lontano congiunto un’eredità, il parente più prossimo aveva il diritto di chiedere l’annullamento del matrimonio esistente per sposarla e recuperare in famiglia la proprietà ereditata. © SEI 2009 – V. Citti C. Casali L. Fort, Metis 4