Donne nella storia

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Donne nella storia
La condizione femminile
ad Atene e a Sparta
La storia ci ha tramandato l’immagine della donna greca poco inserita
nella vita sociale e dedita quasi esclusivamente alla famiglia. Ma questa
immagine corrisponde solo in parte
alla realtà. È vero che la donna greca
non godeva dei diritti politici e che il
costume riservava solo agli uomini le
consuetudini di vita associativa particolarmente care ai Greci (banchetti,
palestre, scuole); tuttavia alcune donne greche erano relativamente colte e,
pur nella loro apparente separatezza,
riuscivano a esercitare una certa influenza sulle decisioni private e pubbliche della famiglia. La condizione
femminile non era uguale in tutta la
Grecia: notevoli differenze – che riflettevano in generale la diversità culturale tra le due poleis – si riscontrano confrontando il modo in cui venivano educate e vivevano le donne ad
Atene e a Sparta.
LE DONNE ATENIESI
Come si è detto, ad Atene le donne
non potevano esercitare diritti politici o giuridici ed erano sottoposte all’autorità prima del padre, poi del
marito, che peraltro poteva ripudiarle senza bisogno di un valido motivo.
Paradossalmente, le donne meno libere erano quelle di buona famiglia,
che trascorrevano la vita perlopiù
confinate nelle stanze a loro assegnate, il gineceo: uscivano da quello della
casa paterna solo per entrare in quello del marito. Qui vivevano insieme
ai figli più piccoli e alle serve di famiglia, curavano l’educazione della prole durante la prima infanzia (fino ai
sette anni) e dirigevano l’andamento
della casa: non eseguivano le faccende domestiche, considerate servili,
ma sorvegliavano e organizzavano il
lavoro degli schiavi; inoltre gestivano
l’economia familiare, cercando di regolare i consumi con prudenza ma
senza eccedere nel risparmio, per
Lezioni di storia antica e medievale
© 2010 DeAgostini Scuola S.p.A. - Novara
mantenere il decoro richiesto dalla
posizione sociale del marito. Dovevano sapere tessere e filare, due attività
che, insieme a poche altre (impastare
il pane, cucinare, suonare uno strumento, leggere), apprendevano dalla
madre, da un’ava o dalle serve.
Vi erano però, per quanto rare, alcune
occasioni in cui avevano modo di
uscire dal gineceo. Ad esempio, durante le feste religiose più importanti
era loro concesso di sfilare in processione per assistere ai sacrifici. Inoltre,
come vedremo, in età giovanile le ragazze si potevano dedicare ad attività
sportive, che ovviamente venivano
praticate fuori dalle mura domestiche.
Un momento importante nella vita
della donna ateniese era il matrimonio. Ad Atene ci si sposava per avere
r La stele funeraria di una ricca ateniese,
Hegeso, ritratta in un interno domestico. La
donna, seduta su una sedia elegante, prende una collana da un cofanetto che le porge
una serva.
almeno un figlio maschio che assicurasse al padre il culto che questi aveva dedicato agli antenati, considerato
indispensabile per la felicità del defunto nell’aldilà. La cerimonia nuziale incominciava con sacrifici agli dèi e
con un bagno purificatore nell’acqua
attinta alla fonte dedicata alla dea
Calliroe. Dopo un sontuoso banchetto nella casa del padre della sposa, la
coppia si trasferiva direttamente nella
nuova abitazione.
Questa era dunque la condizione
delle fanciulle di buona famiglia. Le
donne del popolo avevano invece
maggiore libertà e autonomia, perché, dovendo lavorare per sopravvivere, conducevano un’esistenza più
libera, in mezzo alla gente, e contribuivano in maniera determinante alla vita della famiglia.
LE DONNE SPARTANE
Rispetto alle ateniesi, le donne spartane godevano della più ampia libertà.
Non vivevano nel gineceo e non era-
r
Una donna ritratta nell’atto di guardarsi
allo specchio, pittura su vaso del IV secolo a.C.
SEZIONE 2 • La civiltà greca
1
Donne nella storia
j Fanciulle
impegnate nella
corsa durante le
gare Eree
raffigurate nel
particolare di una
pittura vascolare.
no tenute a saper filare e tessere, perché a tutti i lavori domestici erano
preposte le schiave. Praticavano anche molti sport – mescolandosi liberamente ai maschi, senza preoccuparsi di mostrarsi nude nelle palestre e
negli stadi – perché lo scopo principale dell’educazione era quello di
formare madri vigorose, capaci di generare figli robusti e sani, adatti alla
vita militare. Inoltre a Sparta, dove il
numero degli spartiati dominatori era
molto inferiore a quello degli iloti
sottoposti, non incrementare le nascite tra i nobili era considerato una specie di tradimento e sposarsi e far figli
era considerato un dovere, tanto che
gli scapoli venivano puniti dalla legge. Il matrimonio però non veniva celebrato con feste o cerimonie particolari, ma in modo pratico e sbrigativo:
si rapiva la sposa con il consenso dei
genitori e, dopo aver passato con lei
un tempo assai breve, il marito tornava alla vita di caserma.
LE DONNE GRECHE E LO SPORT
I maggiori storici greci hanno documentato l’esistenza di un’antica tradizione agonistica femminile.
Questa pratica, come si è già accennato, era in uso soprattutto a Sparta,
dove risaliva alle leggi di Licurgo,
cioè al VII secolo a.C. Lo ricorda Senofonte, uno storico ateniese che criticava il modo tradizionale greco di
allevare le ragazze, future madri, e riteneva migliore il sistema educativo
spartano, in contrasto con l’opinione
Lezioni di storia antica e medievale
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dellla maggior parte dei suoi concittadini ateniesi, che invece non apprezzava molto le donne spartane,
giudicate troppo robuste, poco femminili e trascurate.
Scrive Senofonte: «Dappertutto, secondo i criteri comuni, si crescono
le femmine destinate un domani a
diventare madri misurando loro il
pane e il companatico, proibendo il
vino o lasciandoglielo bere solo molto annacquato, facendo loro fare
una vita sedentaria, stando quiete e
lavorando la lana, come gli artigiani.
Ma come potranno, delle donne allevate in questo modo, generare figli
robusti? Licurgo, invece, giudicò
che bastassero le schiave per confezionare tessuti e vesti, e che compito
preminente delle donne nate libere
fosse la maternità. Perciò per prima
cosa stabilì che l’educazione fisica
femminile non fosse meno curata di
quella maschile; poi fece in modo
che anche le donne gareggiassero tra
loro nella corsa e in prove di forza,
pensando che i figli nati da entrambi
i genitori robusti sarebbero stati più
forti e vigorosi».
La grande occasione che i Greci avevano per dimostrare il proprio valore sportivo era data dai giochi olimpici, dove si suppone che le ragazze
gareggiassero fin dall’VIII secolo
a.C., addirittura prima dell’istituzione delle prove maschili. Ogni quattro anni a Olimpia, alla festa di Era,
sedici ragazze si cimentavano in una
gara di corsa dedicata alla dea. Pri-
ma che di una competizione sportiva, si trattava quindi di una manifestazione religiosa, che aveva il significato simbolico di preparazione al
matrimonio. Sembra che queste gare, chiamate Heraia (Eree), in epoca
antica fossero riservate alle fanciulle
spartane o tebane, ma che in seguito
fossero state aperte anche alle atlete
delle altre città.
Secondo gli studi più recenti effettuati sulle pitture vascolari, anche in
Attica le ragazze praticavano la ginnastica e si esercitavano negli sport,
sebbene le attività ginniche non rientrassero in un organico progetto pedagogico come a Sparta.
Le fanciulle ateniesi, come i loro
concittadini maschi, avevano molta
confidenza con l’acqua, sapevano
nuotare e si divertivano al mare: sui
vasi sono spesso rappresentate ragazze che si tuffano o nuotano, ma
non abbiamo notizia di attività agonistiche vere e proprie. Non sappiamo neppure se ad Atene le donne
potessero praticare l’equitazione.
Solo in epoca ellenistica le ateniesi
ricche poterono mantenere scuderie
e partecipare alle gare ippiche delle
Panatenee, facendo correre altre
donne fantino, quasi tutte straniere.
r Fanciulla che corre. Bronzetto di produzione spartana (VI secolo a.C.).
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