Percorso 1 ■ La polis
La polis
L’organizzazione politico-sociale della Grecia arcaica quale emerge dai poemi
omerici fa pensare a una monarchia di tipo patriarcale: sovrano supremo era il
wanax, che regnava dal suo palazzo. Attorno al palazzo sorgevano i diversi damoi (villaggi), in cui viveva il popolo, formato da contadini e artigiani; alla guida dei damoi
c’erano i basileis, capi dei gruppi gentilizi, i quali prendevano le decisioni di utilità
comune. Secondo alcuni studiosi, è possibile che nei poemi omerici vi siano tracce di
due organizzazioni differenti: le monarchie patriarcali facevano parte della leggenda
eroica, trasmessa dall’età micenea; invece la morale aristocratica, basata sulla ricerca
della gloria militare, rifletteva piuttosto la struttura sociale aristocratica dominante
in Grecia al tempo in cui furono redatti i poemi. In ogni caso non vi si trova ancora
traccia di quella che sarà invece in seguito l’organizzazione sociale caratteristica della
società greca, la polis.
La polis è la struttura comunitaria in cui l’uomo greco si riconosce completamente: essa
infatti assomma tutti i valori propri della civiltà greca dall’età arcaica fino all’ellenismo, da
quelli civili ai religiosi, strettamente connessi tra
loro. Ogni polis
costituiva unità
a sé, con strutture politiche, magistrati e assemblee deliberative
proprie, spesso
con nomi diversi.
Questa veduta
aerea di Micene
mostra la posizione
predominante del
palazzo reale
rispetto al damos
sottostante.
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Il Partendone, simbolo di Atene, sorgeva sull’Acropoli ed era dedicato ad Atena, divinità protettrice della città.
Sommariamente, tuttavia, si possono indicare due tipologie di polis: governi a prevalente partecipazione popolare da un lato e governi di tipo aristocratico dall’altra. Nelle
poleis di primo tipo l’assemblea di tutti i cittadini maschi liberi e adulti determinava le
linee di politica interna ed estera ed eleggeva le magistrature che le avrebbero messe in
atto. Di questo tipo fu il governo di Atene a partire dal V secolo. Nei governi aristocratici, invece, il numero degli aventi diritto alla cittadinanza era limitato, di solito in funzione della proprietà terriera: qui il modello di riferimento è Sparta.
La polis era inoltre un centro assolutamente indipendente da qualsiasi istituzione
estranea a essa, anche se in certi momenti della storia greca alcune poleis sono state sotto
il controllo del re di Persia oppure sono entrate, con un rapporto di parziale dipendenza, nelle alleanze di città aristocratiche costituite intorno a Sparta ovvero di città democratiche intorno ad Atene.
Ancora, la polis aveva forme proprie di amministrazione della giustizia e culto degli
dei: in ogni città, infatti, si celebravano feste in onore delle divinità protettrici, feste che
costituivano un’occasione in cui i cittadini si incontravano e rinnovavano nell’esperienza comune i legami che avevano nei confronti della polis.
Sebbene i numerosi dialetti greci possano essere ricondotti a grandi linee alle famiglie
dei dialetti dorici, ionici, eolici e arcado-ciprioti, ogni città parlava un dialetto con
caratteristiche proprie e spesso aveva anche un proprio alfabeto.
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Moneta ateniese del
Ogni polis batteva moneta propria, anche
III secolo a.C.
se le monete delle città più importanti dal
punto di vista commerciale avevano
corso anche al di fuori delle città che le
producevano.
Noi possediamo una documentazione letteraria adeguata quasi soltanto per
le due maggiori poleis che si disputarono l’egemonia: il modello aristocratico di
Sparta e quello di Atene. In quest’ultimo la relativa democrazia interna si sostenne a lungo su un
impero commerciale e militare che scaricava sugli alleati, ridotti a
sudditi dalla logica del controllo esercitato dalla città dominante, le Moneta siracusana
del V secolo a.C.
proprie tensioni interne: gli ateniesi poveri avevano garantita la
sopravvivenza perché il sistema delle alleanze costituito all’indomani delle guerre persiane assicurava alla città egemone entrate sufficienti a mantenere la flotta, in cui i cittadini poveri servivano come marinai e quindi guadagnavano il necessario per vivere.
Più tardi il sistema di alleanze si trasformò in un vero e proprio impero, in cui gli alleati erano obbligati a versare un contributo che serviva non solo a mantenere la flotta e
pagare gli equipaggi, ma anche ad abbellire Atene di splendidi templi e altri pubblici edifici: in questo periodo gli ateniesi poveri erano mantenuti a spese delle altre città, che
erano obbligate a pagare tributi.
Questo carattere di unicità della città-stato greca ci è accertato da altri fatti ben noti e da testi significativi. La commedia di Aristofane è interamente costruita su problemi della
vita collettiva della città, come la guerra del Peloponneso, la
quantità incredibile dei processi che affliggeva la vita politica
e la nuova educazione, che i sofisti proponevano e che i tradizionalisti rifiutavano energicamente. In queste commedie ci
sono continui riferimenti a persone delle quali gli storici
non fanno assolutamente parola, sbeffeggiate per i loro
vizi privati: l’impressione che se ne ricava è di pettegolezzi da villaggio o da cortile, che solo gli appartenenti a una
comunità assolutamente ristretta, in cui tutti si conoscevano tra loro, potevano intendere e che anche i commentatori antichi, vissuti a secoli di distanza dalle rappresentazioni, non sempre erano in grado di spiegare.
D’altra parte, nel Critone di Platone Socrate afferma
di non essersi mai allontanato dalla sua città se non per
gli obblighi del servizio militare e che, se scappasse per
Busto di Aristofane, commediografo
sfuggire alla condanna a morte che gli è stata inflitta,
che mette in scena i problemi
quotidiani di Atene.
non saprebbe poi che cosa fare di se stesso in qualsiasi
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altra parte della Grecia; in più egli
dichiara di essere ben consapevole del
fatto che secondo le leggi della città
suo padre aveva sposato sua madre, lo
aveva concepito, riconosciuto, allevato ed educato, ed egli si sentiva figlio
delle leggi ateniesi non meno che dei
suoi genitori.
Il suo allievo Platone dedicò buona
parte dei suoi scritti a rendere testimonianza alla grande figura del suo
maestro, ingiustamente condannato,
e scrisse la Repubblica per illustrare il
progetto ideale di una città giusta da
contrapporre a quella ingiusta, divisa
da mille rivalità ed egoismi, che aveva
condannato a morte Socrate; tuttavia,
quando gli fu prospettata la possibilità di mettere in atto quel programma
politico che aveva espressamente
dichiarato irrealizzabile proprio nelle
prime pagine della Repubblica, non
Affresco proveniente da Efeso che ritrae Socrate, cittadino
esitò ad attraversare più volte il mare
fortemente legato ad Atene.
per andare a Siracusa su invito del
tiranno Dione, a costo di gravi fatiche per la sua età avanzata e di rischi per la sua libertà e per la sua stessa vita, tanto gli era cara l’idea di una convivenza civile che soddisfacesse gli ideali che gli stavano a cuore.
D’altra parte l’allievo di Platone, Aristotele, in un suo trattato sulla politica scrisse che «l’uomo è un essere nato per vivere in una polis»: un greco poteva non essere
soddisfatto della politica o delle scelte particolari della comunità in cui viveva, ma
non poteva pensare di vivere se non in una polis e normalmente in quella in cui era
nato e che era la sua.
La globalità della vita in una città-stato greca si può cogliere anche in altri aspetti
della vita civile: in un sistema democratico come quello ateniese la democrazia era
diretta, cioè tutti i cittadini partecipavano, attraverso le discussioni e le votazioni che
avvenivano in assemblea, alla decisioni fondamentali della vita pubblica, che riguardavano l’amministrazione dello stato, la pace e la guerra, le alleanze, la costruzione degli
edifici pubblici, e nello stesso tempo stabilivano le norme che riguardavano il diritto di
cittadinanza e quelle sui matrimoni e il diritto di eredità. Noi, abituati a una democrazia rappresentativa, non riusciamo a pensare che tutti i cittadini debbano partecipare a
tutte queste decisioni, come gli Ateniesi non avrebbero mai pensato che questo procedimento fosse democrazia. Inoltre molte delle cariche politiche erano attribuite per sor© SEI 2009 – V. Citti C. Casali L. Fort, Metis
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teggio e a rotazione: se le grandi decisioni della politica interna ed estera erano affidate
all’assemblea popolare, la gestione quotidiana della politica era affidata al Consiglio, la
Boulè, composta di cinquecento cittadini estratti a sorte, cinquanta per ognuna delle
dieci tribù in cui Clistene aveva diviso i cittadini ateniesi.
L’anno era diviso in dieci periodi e a ognuna delle dieci tribù era attribuito per uno di
questi periodi il governo della città, la cosiddetta pritania; ognuno dei pritani governava per un giorno la città, a turno e per rotazione. In questo modo la maggior parte dei
cittadini di Atene per un giorno esercitava la presidenza del collegio dei pritani, cioè era
di fatto il presidente della repubblica. L’assemblea popolare durante il quinto secolo
comprendeva circa trentamila cittadini: tra questi erano sorteggiati cinquemila che,
divisi in dieci sezioni, costituivano l’Eliea, il tribunale popolare che giudicava tutti i
processi tranne quelli di sangue. In questo modo, dunque, l’assemblea popolare esercitava direttamente quei poteri che il nostro stato moderno ha distribuito tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
Uno stato aristocratico differiva dalla democrazia per il fatto che i diritti di cittadinanza erano attribuiti a poche centinaia di persone: queste, tuttavia, godevano di pari
diritti politici e Senofonte, che aveva molta simpatia per il sistema di governo spartano, afferma che in nessuna città greca gli uguali erano tanto uguali come a Sparta.
Resti dell’agorà di Atene: qui gli uomini si riunivano, sbrigavano i propri affari, assistevano ai processi.
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Nell’uno e nell’altro sistema la maggior parte dei lavori manuali più faticosi erano
delegati a schiavi, di proprietà privata ad Atene, dello stato a Sparta, in modo che i cittadini godevano di non poco tempo libero da dedicare alle attività politiche dell’assemblea o del Consiglio o a quelle giudiziarie dei tribunali; la piazza e le botteghe che la circondavano erano abitualmente piene di gente che andava in giro per sbrigare i propri
affari, ma anche per divertirsi ad ascoltare i discorsi di accusa e difesa nei tribunali e
quelli degli intellettuali più famosi che affluivano ad Atene per farsi conoscere e per
chiacchierare con amici e conoscenti (le donne erano di norma escluse da questi incontri). Ne seguiva che in Atene i maschi adulti si conoscevano bene tra loro e la vita cittadina assumeva i caratteri di una comunità di persone legate da rapporti strettissimi.
Un elemento fondamentale per la coesione del corpo civico erano gli spettacoli teatrali, dove forse erano ammesse anche le donne: ogni anno, tra marzo e aprile, si celebravano in Atene le Grandi Dionisie, il «festival» in onore del dio cui era consacrato il teatro situato sul pendio meridionale dell’Acropoli. Vi partecipavano in massa i cittadini e
molti stranieri, che convenivano ad Atene nel momento in cui finivano le tempeste invernali e il mare tornava a essere navigabile. Le feste duravano sei giorni. Nel primo si svolgevano una processione e un solenne sacrificio in onore di Dioniso, cui seguiva un concorso tra dieci ditirambi, presentati ognuno da una delle dieci tribù; nel secondo cinque
poeti presentavano altrettante commedie, mentre nel terzo, nel quarto e nel quinto tre
poeti tragici mettevano in scena ognuno tre tragedie e un dramma satiresco. Alla fine,
una giuria di cinque giudici, sorteggiati tra dieci cittadini scelti uno per ogni tribù, stabiliva il primo, il secondo e il terzo classificato nel concorso. A conclusione delle celebrazioni, si riuniva un’assemblea popolare per discutere sulla riuscita della festa.
Nel Teatro
di Dioniso
(qui vediamo
i resti
dell’edificio di
epoca romana)
si svolgevano
gli spettacoli
teatrali
di Atene.
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Altre feste, sempre dedicate a Dioniso, erano le Dionisie
rurali, celebrate nei demi rurali dell’Attica tra dicembre
e gennaio, le Lenee, tra gennaio e febbraio, e le
Antesterie, tra febbraio e marzo. Nelle Piccole
Dionisie si ripresentavano tragedie e commedie già presentate nelle Grandi Dionisie,
nelle Lenee erano messe in scena commedie,
di solito nuove, mentre nelle Antesterie
c’era una gara di ditirambi. Delle tre forme
drammatiche che venivano presentate a
queste feste, la tragedia metteva in scena di
norma un evento tramandato dalla leggenda eroica, desunto dal mito troiano, da quello tebano, da quello di Eracle o altri, raramente un episodio di storia recente, come nel
caso dei Persiani di Eschilo; la commedia presentava un importante problema della vita associata, risolto in una forma paradossale e naturalmente ridicola; il dramma satiresco, che nelle Gli attori recitavano indossando delle
maschere; questa maschera tragica
rappresentazioni tragiche costituiva il quarto
è stata ritrovata a Lipari.
dramma presentato da ogni poeta dopo tre tragedie, era un episodio della leggenda eroica presentato in forma spesso buffonesca, con
il coro costituito da sileni, uomini-cavallo riconoscibili dalla coda equina, con una pelle
di capro ai fianchi e fallo eretto.
Tutti questi spettacoli si svolgevano sotto il diretto controllo delle massime autorità
dello stato e la loro esecuzione era valutata in un’assemblea generale del popolo di
Atene, come si faceva per i trattati di pace e le dichiarazioni di guerra. Nell’età di Pericle,
poi, ai cittadini poveri fu assegnata una speciale indennità perché potessero pagarsi l’ingresso. Anche le spese per la rappresentazione costituivano un onere civico: l’arconte
eponimo nominava il corego, un ricco cittadino che si assumeva, in favore della città, le
spese per la messa in scena, soprattutto per i costumi e per il mantenimento degli attori e dei coreuti durante le prove.
A partire dalla fine del V secolo, le città stato-greche entrarono in una profonda crisi.
Le maggiori città della Grecia, Sparta e Atene, si logorarono nel corso di una spietata
guerra quasi trentennale, la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), che si concluse con
la sconfitta di Atene e un breve periodo egemonizzato da città governate da regimi oligarchici, prima Sparta e poi Tebe, sempre più dipendenti dalla monarchia persiana, il
cui appoggio finanziario aveva determinato la vittoria degli Spartani nella guerra del
Peloponneso.
Ben presto, tuttavia, le città greche dovettero misurarsi con una monarchia ben organizzata politicamente e militarmente, situata ai margini del mondo greco, e ne divennero dipendenti: nel IV secolo a.C. i re di Macedonia (Filippo prima e Alessandro poi)
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entrarono di forza nel sistema politico delle città greche e lo scardinarono, assumendone il controllo.
Dopo la spedizione di Alessandro Magno contro l’impero persiano e dopo che, alla
morte del grande conquistatore, si formarono in tutto il Mediterraneo orientale i regni
dei suoi successori, le poleis sopravvissero fisicamente nell’ambito dei nuovi stati, ma
perdettero per sempre quell’autonomia che aveva fatto di loro un fenomeno unico nella
storia dell’umanità. Così l’uomo greco, abituato a vivere nell’ambito di una comunità
che gli forniva tutto l’appoggio necessario per la sua sicurezza spirituale, si trovò a vivere in grandi stati in cui il potere era lontano dai singoli e accentrato nella corte del re,
presso i suoi dignitari e i suoi generali. L’uomo greco non fu più cittadino di una comunità indipendente e ben definita, ma in generale del mondo. Ne conseguì l’isolamento
dei singoli, che potevano appoggiarsi in parte sui rapporti privati di amicizia e di vicinanza oppure sulla forza interiore della loro coscienza, nel caso di alcuni intellettuali,
ovvero nella fede di religioni diverse, che non si basavano sui valori della città, ma promettevano la salvezza per i singoli uomini.
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