Mario FELACO
(Preside della Facoltà di Scienze Motorie - Università “G. d’Annunzio” Chieti)
Delegato d’Ateneo per le Politiche dell’Handicap
Disabilità come occasione di pari opportunità
La Carta dei Diritti Fondamentali riconosce che, affinché le persone disabili abbiano pari
opportunità, il diritto a non essere discriminati deve essere accompagnato dal diritto a ricevere
sostegno e assistenza.
Secondo il concetto moderno espresso dalla Commissione Europea nel rapporto Delivering e
Accessibility, la disabilità è un insieme di condizioni potenzialmente restrittive derivanti da un
fallimento della società nel soddisfare i bisogni delle persone e nel consentire loro di mettere a
frutto le proprie capacità.
Le prime definizioni distinte fra danno, disabilità ed handicap sono state date nel 1980
dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nell’International Classification of Impairments,
Disabilities and Handicaps (ICIDH).
In essa, la disabilità è una qualsiasi limitazione o mancanza (derivante da un danno) della capacità
di compiere un’attività nel modo considerato normale per un essere umano; mentre il termine
handicap indica uno svantaggio per un dato individuo, conseguente ad una menomazione o ad una
disabilità, che limita o impedisce il pieno adempimento di un ruolo considerato normale.
Queste definizioni sono state concettualmente sostituite dall’OMS nel 2001 con il rovesciamento
dei termini parlando in positivo di funzioni corporee; strutture corporee; attività e partecipazione;
fattori ambientali.
Con questa nuova terminologia, la parola disabilità viene sostituita da attività e la parola handicap
da partecipazione, identificando in questo modo uno schema in cui al centro è posta l’attività del
soggetto nel contesto in cui vive.
Una pietra miliare nello sviluppo delle politiche della disabilità/attività ed handicap/partecipazione
è stata la Dichiarazione di Madrid nel Congresso Europeo sulla Disabilità del 2002, con la sua
formula di programma:
“Non discriminazione + azione positiva = integrazione sociale"
La Dichiarazione di Madrid si è basata su alcune considerazioni fondamentali:
1. la disabilità è una questione che riguarda i diritti umani;
2. le persone disabili chiedono pari opportunità, non beneficenza;
3. le barriere sociali portano alla discriminazione e all'esclusione sociale;
4. le persone disabili costituiscono un gruppo eterogeneo;
5. le persone disabili, cittadini invisibili;
nell’ottica del superamento delle barriere ambientali e degli atteggiamenti sociali che impediscono
di fatto alle persone disabili di avere un ruolo attivo nella vita pubblica, favorendo il pregiudizio,
l’indifferenza e la ghettizzazione.
Dal Congresso Europeo di Madrid è derivata la nuova linea di pensiero sulla disabilità, che ravvede
la necessità, da parte della società moderna, di prendere coscienza dei disabili come persone aventi
dei diritti e come cittadini indipendenti e consumatori, di prendere coscienza dell'eliminazione delle
barriere, della creazione di norme sociali e politiche, dell'accessibilità alla cultura e all'ambiente
circostante, delle capacità di ogni persona disabile fornendo loro i mezzi di sostegno appropriati.
Infine, occorre abbandonare la convinzione che la politica per le persone disabili sia materia di
competenza di un solo Ministero e collaborare per farla diventare responsabilità di tutto il
Governo.
Per questo, il punto fondamentale del Programma Europeo è stato quello di creare una società
integrante. A favore di questo è stata prodotta una legislazione antidiscriminatoria sufficientemente
articolata, nella consapevolezza che la legge non è sufficiente senza la sensibilizzazione e l'impegno
costante di tutte le componenti sociali.
L’Anno Europeo delle persone con disabilità ha avviato e promosso un programma politico nei vari
Paesi, volto alla piena integrazione dei disabili, nel rispetto del programma “Verso un'Europa senza
ostacoli per i disabili”.
Sono stati formulati numerosi piani di azioni positive pluriennali e stanziati consistenti
finanziamenti europei. E’ stata
promossa la cultura della differenza, della tolleranza,
dell’integrazione, perché le persone disabili possano avere reali pari opportunità di partecipare
attivamente alla vita sociale come tutti.
Uno dei settori più importanti per l’integrazione del giovane disabile è rappresentato dalla Scuola e
dall’Università. Il riferimento di legge principale è rappresentato dalla Legge quadro n. 104 del
1992, seguita dalla Legge integrativa n. 17 del 1999, dove per lo studente disabile è prevista “la
programmazione da parte dell’Università di interventi adeguati sia al bisogno della persona sia
alla peculiarità del piano di studi individuale”.
Per la Legge 17/99 devono essere “garantiti i sussidi tecnici didattici specifici (…), nonché il
supporto di appositi servizi di tutorato specializzato istituiti dalle Università nei limiti del proprio
bilancio e delle risorse destinate alla copertura (...), il trattamento individualizzato, le prove
equipollenti, nonché l’istituzione del servizio di tutorato stesso e di quella cosiddetta figura di
“docente delegato dal Rettore con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le
iniziative concernenti l’integrazione nell’ambito dell’Ateneo”.
In base a queste Leggi, ogni Ateneo deve formulare annualmente dei progetti articolati per gli
interventi adeguati ai disabili e nell’Università “G. d’Annunzio”, per il prossimo biennio, abbiamo
progettato la realizzazione di una palestra polifunzionale per sviluppare e promuovere attività e
competizioni sportive adattate, con il contributo della Facoltà di Scienze dell’Educazione Motoria.
Parallelamente, agli studenti disabili che ne fanno richiesta forniamo i servizi di tutorato
specializzato con trattamenti individualizzati, come previsto dalla Legge, e nel rispetto del concetto
che “il diritto allo studio per i disabili non va facilitato, ma garantito”.
Tuttavia, nonostante il notevole impegno economico da parte delle varie strutture e gli sforzi
personali di chi vi opera, le leggi sull’integrazione delle persone disabili non possono essere
applicate con successo se il sistema delle infrastrutture sociali non è sufficientemente adeguato.
Molto è predisposto ma poco funziona in maniera continuativa ed integrata intorno al soggetto
disabile che comunque ha sempre bisogno di una persona a sé dedicata.
Tutto questo è la negazione dell’autonomia della persona.
Anche la gestione della disabilità nell’Università risente di tutto questo.
Pertanto, la disabilità può essere una grande occasione di pari opportunità per una società civile, ma
rischia di essere occasione perduta.