Primo arco temporale (Due processi) 1° Processo L’AMERICA PRECOLOMBIANA Il popolamento del continente Il continente americano, geograficamente isolato, ha conosciuto fino alla fine del ‘400 uno sviluppo culturale autonomo e indipendente da quello del “vecchio mondo”. Nonostante nel corso dei secoli precedenti abbiano certamente avuto luogo contatti transoceanici tra Asia e America, non vi è infatti ragione di credere che si sia verificato alcuno scambio di idee, costumi e oggetti in grado di influenzare significativamente il processo evolutivo delle popolazioni amerinde. Uno dei primi interrogativi che gli europei si sono posti dopo essere giunti nel continente è stato quello relativo alla genesi delle popolazioni che lo abitavano; a questo proposito, a partire dal XVI secolo sono state formulate diverse ipotesi, la maggior parte delle quali non possono tuttavia essere considerate vere e proprie teorie scientifiche. Sin da subito la preoccupazione principale degli europei è stata, infatti, da un lato quella di individuare nella Bibbia la soluzione al problema, formulando una spiegazione che fosse compatibile con la teoria biblica relativa alla genesi dell’umanità, e dall’altro di fornire spiegazioni che giustificassero la politica di colonizzazione portata avanti nel Nuovo Mondo. Si è giunti così a formulare le tesi più disparate, alcune delle quali apparentemente logiche e coerenti, ma in realtà errate poichè basate su comparazioni linguistiche e affinità culturali prive di qualsiasi valore scientifico. Soltanto a partire dal XIX secolo si è iniziato a condurre studi scientifici sulle origini dell’uomo americano, soprattutto al fine di chiarire le cause delle differenze etniche tra le popolazioni amerinde, che solo in parte potevano essere spiegate dall’adattamento ambientale. Le due grandi ipotesi moderne formulate a tale proposito - le teorie monorazziale o asiatica e multirazziale - sono accomunate dal rifiuto delle presunte origini europee o africane delle popolazioni americane. Mentre secondo la prima gli amerindi discendono da diverse popolazioni asiatiche giunte in America attraversando lo stretto di Bering, la teoria multirazziale si fonda sulla convinzione che gli amerindi non discendano da un’unica etnia, bensì da diversi gruppi provenienti dall’Asia, dall’Australia e dall’Oceania, giunti nel continente in fasi diverse. Le due teorie sono state a lungo oggetto di dibattito, sebbene oggi la prima ipotesi sembri essere superata. Il popolamento del continente americano ha inizio durante l’ultima delle grandi glaciazioni del quaternario, verificatasi tra il 50000 e l’8000 a.C., nel corso della quale la formazione di un ponte di terra nello stretto di Bering, dovuta all’abbassamento delle acque marine provocato dal gelo, permette alle popolazioni asiatiche di attraversare via terra lo stretto. Si verificano probabilmente due ondate di migrazioni, la prima delle quali porta nel continente gruppi dediti alla raccolta e alla pesca, mentre la seconda gruppi di cacciatori esperti, i quali iniziano a dirigersi verso sud lungo la costa pacifica e raggiungono la Patagonia nel 9000 a.C. Tuttavia, il popolamento del continente non è uniforme, e molte zone rimangono spopolate. A partire dal 7000 a.C. ha inizio un lento processo che presenta diversi tratti in comune con la rivoluzione neolitica del “vecchio mondo”, che porterà alcuni gruppi nomadi di raccoglitori e cacciatori ad insediarsi e a specializzarsi nella domesticazione di piante e animali. Tale processo si verifica in forma parallela e indipendente in Mesoamerica - dove si diffondono la coltivazione di mais, patata, manioca, quinta, fagiolo, zucca, avocado, peperoncino e l’addomesticamento del cane, del tacchino, del lama e del porcellino d’India - nelle Ande – dove prevalgono la coltivazione della patata e l’addomesticamento del lama - nell’area del bacino Amazzonico e nei territori orientali degli attuali Stati Uniti. Al momento dell’arrivo degli europei l’agricoltura rappresenta l’attività economica prevalente, sebbene non sia praticata da tutti i popoli amerindi. Non si deve infatti pensare alle società preispaniche come ad una realtà omogenea e compatta; al contrario, caratteristica delle culture precolombiane è proprio l’enorme varietà linguistica, economica, culturale ed organizzativa, risultato di un processo di differenziazione dovuto in gran parte ad una scarsità di comunicazione e di scambi tra le aree settentrionali, centrali e meridionali del continente, nonchè alle diversità ambientali, che hanno costretto gli abitanti ad adattarsi a paesaggi e climi differenti. La diversità americana è un dato che va sottolineato al fine di comprendere la rapidità - con l’eccezione di alcune aree - con la quale ha avuto luogo la conquista europea, favorita appunto dalla frammentazione e, in alcuni casi, dalla conflittualità tra diversi popoli. Nonostante la varietà è possibile comunque individuare tratti che accomunano le culture precolombiane, distinguendole da quelle asiatiche, europee e africane: l’assenza di grandi erbivori addomesticati (cavalli, buoi, vacche); la non conoscenza della ruota e delle sue molteplici applicazioni; un’arretratezza nello sviluppo della metallurgia, che non va oltre l’“età del bronzo”; la scoperta e l’utilizzazione del caucciù; l’abitudine di fumare, ossia di inalare attraverso sigari e pipe il fumo che nasce dalla combustione di alcune erbe. Sulla base dei ritrovamenti archeologici, gli studiosi hanno individuato due grandi zone culturali nell’America antica, l’America nucleare e l’America marginale. La prima, che si estende dal sud-ovest degli attuali Stati Uniti al nord del Cile e al nordovest dell’Argentina, comprende a sua volta tre aree culturali: il Mesoamerica (Messico, Guatemala, Belice e parte dell’Honduras), un’Area Intermedia (Centroamerica e il nord della Colombia e dell’Ecuador) e l’Area Andina (sud della Colombia e dell’Ecuador, Perù, Bolivia, nord del Cile e nord-ovest dell’Argentina). In questa macro-regione, sede delle prime civiltà agricole e cuore dell’America antica, si formano le società più complesse e progredite. Nella zona degli attuali stati messicani di Veracruz e Tabasco ha origine la prima grande civiltà mesoamericana, quella Olmeca (1500-100 a.C.), della quale rimangono ancora oggi un mistero le origini, lo sviluppo e la scomparsa. Grazie ai ritrovamenti archeologici è stato comunque possibile individuare alcuni degli elementi principali della cultura Olmeca, come la presenza di centri cerimoniali, le monumentali sculture di pietra e l’uso di geroglifici. L’America marginale comprende invece il resto del continente, dove, a causa delle condizioni climatiche e ambientali che rendono più difficile l’adattamento umano, i gruppi etnici della zona non superano la fase delle jefaturas, società tribali semi-isolate. Alla fine del XV secolo in America sono presenti società diverse, che possono essere classificate in tre categorie - tribù, “jefaturas” e stati - sulla base delle modalità di sussistenza e della complessità dell’organizzazione sociale. La maggior parte degli studi si sono tuttavia concentrati sulle civiltà più complesse, che hanno dato vita a Stati di una certa potenza, sulle quali, grazie anche all’incontro con gli spagnoli e alle testimonianze di questi, si hanno più notizie: le civiltà Maya, Inca e Azteca. Tappe dell’evoluzione culturale delle società precolombiane Bande di cacciatori e raccoglitori (Arcaico o Litico) Tribù agricole (Neolitico) Signorie agricole (Preclassico o Formativo) Stati agricoli (Classico) Stati militaristi (Postclassico) La civiltà Maya 40000 a.C. - 5000 a.C. Presenza di società nomadi, dedite alla caccia, alla raccolta e alla pesca. 5000 a.C. - 1000 a.C. Scoperta dell’agricoltura e addomesticamento di alcuni animali (tacchino e lama). Origini della lavorazione della ceramica, della tessitura e dell’architettura. 1000 a.C. - inizio dell’era cristiana Nascita della vita urbana e comparsa della stratificazione sociale. Nascita della civiltà Olmeca, la prima civiltà mesoamericana. Fino al 1000 d.C. Consolidamento delle classi sociali e dell’egemonia della classe sacerdotale. Hanno origine i primi stati americani, stati teocratici che entreranno in crisi all’inizio del X secolo. Sviluppo dell’architettura, della ceramica e della tessitura; fioritura della metallurgia in Perú e dell’astronomia, della matematica e della scrittura in Mesoamerica. Costruzione delle prime piramidi in pietra. Nascita delle civiltá Teotihuacana, Zapoteca e Maya in Mesoamerica. 1000 d.C. - conquista spagnola Stati militaristi in cui domina la classe guerriera. A partire dal XII secolo, attraverso l’assoggettamento di piccoli stati da parte di uno stato potente, che si appropria di parte della produzione dei popoli conquistati per soddisfare le esigenze della propria classe dominante, hanno origine i due grandi imperi con cui gli europei si misureranno: l’Impero Inca e l’Impero Azteco. Dal punto di vista culturale, la civiltà Maya è certamente una delle più articolate. Nessuna tra le antiche civiltà americane, infatti, ha raggiunto un simile livello di sviluppo nel campo dell’astronomia, della matematica, dell’architettura, della pittura e della scultura. All’epoca della sua massima espansione, la cultura Maya si estende su un’area di circa 280.000 Km², che comprende il territorio degli attuali Stati messicani di Yucatán, Campeche e Quintana Roo, parte degli Stati di Tabasco e Chiapas, i Dipartimenti guatemaltechi di Petèn e Izabal, le regioni nord-occidentali dell’Honduras e di El Salvador e il Belize; la massima fioritura viene raggiunta tuttavia nella regione di Petèn, malgrado le condizioni ambientali la rendano poco adatta all’insediamento umano. La storia di questa civiltà copre un arco temporale che va dal X secolo a.C. all’arrivo degli spagnoli, sebbene sia necessario precisare che l’ultima roccaforte maya capitolerà soltanto nel 1697, ossia settant’anni dopo l’arrivo del capitano spagnolo Francisco de Montejo nello Yucatán. Questo lungo arco di tempo può essere diviso in tre periodi: Formativo, compreso tra il X secolo a.C. e il III secolo d.C. ; Classico, dal III al X secolo d.C. ; Postclassico, dal X secolo alla conquista spagnola. Durante il periodo Formativo piccole comunità provenienti dall’altopiano guatemalteco si insediano nella regione di Petèn, dove vengono fondati i primi centri di culto, che svolgono al tempo stesso la funzione di centri commerciali. E’ tuttavia soltanto a partire dal III secolo che fanno la loro comparsa i grandi centri cerimoniali della cultura maya: Tikal, Palenque, Uaxactún, Naranjo, Nakún e Yaxhá; il periodo Classico rappresenta, infatti, il momento di massima fioritura di questa civiltà, caratterizzato da un forte sviluppo culturale che investe soprattutto il campo architettonico. A partire dall’VIII secolo d.C. ha inizio una fase di declino sociale e culturale, durante la quale la popolazione maya emigra verso est, nella penisola dello Yucatán, che diverrà il cuore di questa civiltà nei secoli successivi. Le ragioni di questo spostamento sono ancora in gran parte ignote, ma è probabile che la scarsità di risorse, dovuta in parte alla siccità, e la pressione esercitata dall’avanzata di altri popoli abbiano contribuito enormemente. La valle del Messico viene occupata dai Toltechi, una popolazione di lingua Nahuatl giunta dal nord che occupa Teotihuacán, l’immensa metropoli della valle di Anahuac, e, riunendo i piccoli stati del Messico centrale, dà vita ad un impero avente il suo centro a Tollan (oggi Tula); la cultura tolteca esercita un’influenza notevole su tutto il mesoamerica, e sugli stessi centri maya dello Yucatan. Verso la metà del XV secolo si assiste ad una ripresa della conflittualità politica tra i centri maya, dovuta in particolare alla caduta di Mayapan, la città-stato nelle cui mani era passato a partire dal XIII secolo il potere politico. Al momento dell’arrivo degli spagnoli la civiltà maya attraversa dunque una fase di lento declino accompagnato da conflittualità tra le città-stato, conflittualità che tuttavia non agevolerà la conquista, ostacolata, al contrario, proprio dall’assenza di una centralizzazione politica. Recenti scoperte archeologiche hanno costretto gli studiosi ad una revisione delle tradizionali ipotesi relative alla società e all’economia maya. I ritrovamenti presso l’antico centro cerimoniale di Tikal e gli accertamenti circa l’ampiezza e le dimensioni degli insediamenti del periodo classico, rivelando l’esistenza di numerosi gruppi di case che si estendevano dal centro per diverse miglia in cui probabilmente risiedevano i contadini, hanno messo in crisi l’idea tradizionale delle città maya quali centri esclusivamente cerimoniali abitati da una ristretta élite costituita da sacerdoti, nobili e funzionari, e provocato un forte dibattito circa il grado di urbanizzazione di questa civiltà. Queste scoperte hanno inoltre costretto a riconsiderare le teorie sul sistema economico, e in particolare sulle tecniche agricole utilizzate; a lungo si è ritenuto, infatti, che i Maya praticassero esclusivamente un’agricoltura di tipo estensivo incentrata sulla coltivazione del mais e basata su una tecnica consistente nel bruciare la vegetazione di un terreno per metterlo a coltura, mentre i ritrovamenti archeologici hanno dato prova di un ampio ricorso, nelle regioni dei bassipiani centrali, ad un’agricoltura di tipo intensivo, basata sul terrazzamento e su sviluppate tecniche di irrigazione. Oltre a mais, fagioli, zucche e patate dolci, è probabile che i Maya coltivassero anche cotone, tabacco e cacao. Anche il commercio ha la sua importanza, essendo l’organizzazione politicoamministrativa maya fondata su città-stato autonome legate da reti parentali e commerciali, tra le quali si viene a creare una diversificazione delle attività produttive (i centri cerimoniali, ad esempio, erano più attivi degli altri nell’artigianato). I reperti archeologici hanno testimoniato l’esistenza di un commercio su larghe distanze, controllato dalla casta dei commercianti, attraverso cui si importano prodotti di lusso quali giada e sale, provenienti da Teotihiuacán e altri luoghi del Mesoamerica, e si esportano pezzi artigianali e prodotti locali come cacao, cotone, incerata. Il commercio conosce un importante sviluppo anche grazie all’articolato sistema idrografico delle terre centrali, che fornisce vie di comunicazione rapide e comode. La stratificazione sociale maya è basata sulla parentela, fatto che impedisce qualsiasi tipo di mobilità sociale: l’appartenenza ad un determinato lignaggio obbliga a contrarre matrimonio con una persona dello stesso lignaggio, a vestire in un certo modo e ad esercitare la professione del clan, il che comporta l’esistenza di “classi sociali” costituite esclusivamente da sacerdoti, guerrieri, commercianti, artigiani e contadini. Il governo della comunità ricade sul lignaggio che vanta la discendenza più diretta dal fondatore, che monopolizza le cariche amministrative e in particolare quelle religiose; il discendente più diretto del fondatore, chiamato Hualach Huinic (uomo vero), esercita al tempo stesso il potere politico, religioso e militare attraverso degli intermediari, i bataboob, anch’essi appartenenti al lignaggio fondatore, e trasmette questo potere ai propri discendenti. La classe dominante, improduttiva, è mantenuta dai contadini, i quali, in cambio di un piccolo appezzamento di terreno in usufrutto, forniscono i prodotti alimentari, costruiscono templi e palazzi e combattono in guerra. Nonostante i Maya siano un popolo sostanzialmente pacifico, ossia non tendente a dominare o ad assoggettare altri popoli - a differenza degli Aztechi e degli Incas - recenti scoperte archeologiche hanno dimostrato la frequenza delle guerre tra le città-stato e l’importanza e il prestigio della classe guerriera nella società. Dal punto di vista religioso, i Maya possiedono una visione ciclica del tempo, secondo la quale il mondo presente è destinato ad andare incontro a distruzione, così come è accaduto con i mondi precedenti. Il pensiero teologico, basato sull’idea che esista un ordine universale immodificabile, contribuisce a giustificare e a consolidare la struttura sociale e politica, a capo della quale si trova il sommo sacerdote (il già citato Hualach Huinic), umano e divino al tempo stesso. Le divinità maya possiedono poteri limitati, attraverso i quali possono intervenire momentaneamente nelle vicende umane, ma non sono in grado di modificare l’ordine cosmico; esse sono caratterizzate da una dualità, in base alla quale a seconda delle circostanze possono assumere sembianze benefiche o maligne, maschili o femminili. In onore di queste divinità vengono edificati templi e monumenti e svolti diversi rituali, tra cui sacrifici umani. Un elemento di straordinaria importanza è costituito dal grado di sviluppo culturale raggiunto dai Maya, che non ha eguali nelle altre civiltà precolombiane; non a caso essi sono stati definiti i “greci del nuovo mondo”. La scrittura geroglifica, composta da più di 700 segni e riservata all’uso religioso e politico, è giunta sino a noi incisa su stele di pietra e vasi di ceramica, e, nonostante non sia stata ancora decodificata del tutto, ha lasciato testimonianza dei notevoli risultati raggiunti nel campo della matematica (uso del calcolo vigesimale e del concetto di zero) e dell’astronomia (i Maya possiedono due calendari, di cui uno rituale, di 260 giorni e l’altro solare, di 360 giorni). La civiltà Maya ha raggiunto un’importante sviluppo anche in campo artistico ed architettonico, come testimoniano i templi e le piramidi, oggi meta di visitatori provenienti da tutto il mondo. Ancora oggi è possibile individuare nella vita quotidiana delle popolazioni di origine maya tracce dell’antica cultura di questa grande civiltà. L’Impero Azteco Nel periodo in cui Cortès giunge nel Messico centrale, gran parte del Mesoamerica ricade sotto il controllo degli Aztechi (o Mexica, come essi si definivano), gruppo di lingua Náhuatl originario del nord-ovest del Messico, che in meno di un secolo dà vita ad un Impero che si estende dalla frontiera settentrionale dell’area all’istmo di Tehuantepec, e dall’Atlantico al Pacifico. Gli Aztechi sono l’ultima popolazione ad invadere la Valle del Messico dopo la caduta dell’Impero Tolteco, del quale assimilano la cultura. Partiti dal nord-ovest probabilmente intorno al 1111, essi si stanziano dapprima sulla collina di Chapultèpec e, dopo essersi fusi con altri popoli, si stabiliscono definitivamente in un isolotto del lago Tetzoco (ora prosciugato); qui, tra il 1344 e il 1345, ha inizio la costruzione di Tenochtitlán (l’attuale Città del Messico), il cuore del futuro impero, che in poco tempo diventerà una città densamente popolata (nel 1519 contava tra i 150.000 e i 300.000 abitanti), con un mercato visitato quotidianamente da più di 60.000 persone. Per quasi un secolo gli Aztechi sono subordinati all’autorità di Azcapotzalco, una delle principali città-stato della regione; la morte del re azcapotzalca nel 1426 dà origine ad una crisi dinastica di cui gli Aztechi approfittano per rendersi indipendenti: guidati dal loro capo, Itzcoatl, si alleano con le città di Tetzcoco e Tlacopan e riescono a sconfiggere Azcapotzalco, dando vita ad una confederazione che si caratterizza subito per la sua spiccata tendenza imperialista. Nel giro di qualche decennio, grazie alle campagne di Montezuma I e dei suoi successori, i confini dell’Impero si estendono fino a comprendere gran parte dell’area mesoamericana. Al momento dell’ascesa al potere di Montezuma II, nel 1502, gli Aztechi e i loro alleati riscuotono tributi da diverse città e governano circa 25 milioni di persone. Il nuovo sovrano riesce ad imporre la supremazia di Tenochtitlán sulle due città alleate e avvia una serie di riforme finalizzate a consolidare l’Impero. In particolare, egli si impegna nel tentare di sottomettere quelle città-stato indipendenti che avevano resistito agli attacchi dei suoi predecessori, senza tuttavia riuscire nel suo intento, poichè queste continuano ad opporsi strenuamente al pagamento dei tributi e alla sottomissione all’autorità del sovrano azteco. Questo fallimento costituirà la principale ragione della fine dell’Impero, poichè gli spagnoli difficilmente sarebbero riusciti a sconfiggere così rapidamente l’esercito azteco se non avessero potuto contare sull’alleanza con le popolazioni delle città-stato che non volevano accettare di essere inglobate nell’Impero e perdere così la propria indipendenza. Il sistema politico azteco, un misto di teocrazia e dispotismo, è caratterizzato da un accentramento del potere nelle mani di un sovrano, il Huey tlatoani (grande oratore), che esercita il potere esecutivo, legislativo e giudiziario, e svolge le funzioni principali anche in campo religioso, sebbene non gli sia attribuito alcun carattere divino. La carica non è ereditaria, al contrario il monarca viene eletto da un consiglio costituito dai più importanti sacerdoti, funzionari e guerrieri del regno, che ha il compito di scegliere il futuro tlatoani tra i figli, i fratelli o i nipoti del sovrano precedente. Gli Aztechi tendono a rispettare le autonomie delle città-stato che vengono sottomesse, alle quali è richiesto il rispetto di determinati obblighi, come quelli di versare un cospicuo tributo annuale al sovrano, del quale si proclamano vassalli, e di partecipare alle guerre dell’Impero; soltanto nel caso in cui i vinti tentino di ribellarsi il potere centrale impone un governo diretto, nominando un governatore militare azteco. La struttura centralizzata dell’Impero Azteco sarà al tempo stesso motivo di forza e debolezza: per gli spagnoli, infatti, sarà più facile sottomettere gli Aztechi che i Maya, poichè una volta catturato il sovrano e conquistata Tenochtitlán tutto il sistema su cui si è fondato il funzionamento dell’Impero crollerà rapidamente. L’organizzazione sociale azteca, inizialmente egualitaria, subisce nel corso del tempo dei cambiamenti che portano al consolidamento di una rigida e complessa struttura gerarchica. Al vertice di tale struttura si trova la classe dominante, e in primo luogo i diretti discendenti del primo tlatoani, seguiti dai nobili di alto rango che hanno acquisito il titolo per merito, i quali occupano le più importanti cariche amministrative e possiedono enormi estensioni di terra nei paesi conquistati; il resto della nobiltà è costituito dai parenti del sovrano, che esercitano le funzioni amministrative intermedie, e infine da quei guerrieri o mercanti che sono riusciti a modificare la propria condizione originaria di plebei grazie alle proprie doti militari e alle proprie capacità commerciali. Gli artigiani, i mercanti e i contadini sono divisi in gruppi non omogenei, tra i quali esistono grandi differenze di status giuridico ed economico; ciò che li accomuna, oltre al fatto di non poter svolgere funzioni di tipo governativo, è l’obbligo di versare un tributo allo Stato. Infine, al margine della struttura sociale si trovano gli schiavi. L’originaria organizzazione dell’agricoltura, basata sul possesso e l’utilizzazione delle terre da parte dei calpulli, gruppi di individui legati da legami di parentela, subisce nel corso del tempo delle trasformazioni in direzione di un sistema che ricorda quello feudale europeo, nel quale soltanto i nobili, il clero e i capi militari che si sono distinti in guerra detengono il possesso della terra, mentre i calpulli sono ridotti al rango di tributari oppure in condizioni semi-servili; tuttavia, questa trasformazione si attua in maniera differenziata, e in alcune aree il sistema si mantiene più vicino a quello delle origini. Il tributo che i popoli sottomessi sono tenuti a versare costituisce un altro importante pilastro dell’economia azteca, accanto all’agricoltura; per lo più viene impiegato nel mantenimento della corte e dell’esercito, nel finanziamento delle cerimonie religiose e infine, in caso di periodi di carestia o di cattivi raccolti, per il sostentamento del popolo, mentre ciò che rimane viene trasformato dagli artigiani in prodotti di lusso, che vengono esportati in altre aree del Mesoamerica. Strettamente connesso a questo tipo di economia è dunque il commercio, le cui rotte si estendono dalle coste del pacifico a quelle del Golfo del Messico, e comprendono scambi commerciali con l’area maya. Il pensiero teologico azteco riflette la complessità del sistema sociale ed economico, e comprende infatti due diverse tradizioni religiose: si ha una divinizzazione della guerra da parte della classe guerriera non condivisa dai coltivatori, i quali venerano gli dei dell’acqua e della vegetazione. Questa dualità si riflette anche nel complesso sistema cerimoniale azteco, e in particolare nei sacrifici umani tributati alle diverse divinità. Gli Aztechi credono nella vita ultraterrena, che presenta caratteristiche diverse a seconda delle divinità venerate in vita. I sacerdoti aztechi costituiscono probabilmente il gruppo sociale dotato di maggior potere e prestigio. In virtù del potere di intercessione e intermediazione presso le divinità, essi sono spesso chiamati a risolvere controversie private e collettive; sono inoltre i depositari del sapere e delle tradizioni azteche, e attraverso il possesso del calendario sacro che regola l’attività agricola svolgono un ruolo chiave nella società. Il sacerdozio è numeroso e ben organizzato, come esige la complessità della vita religiosa azteca; a capo di esso vi sono due sacerdoti principali, uguali in prestigio e potere, che rappresentano rispettivamente Tlatoc, il dio dell’acqua, e Huitzilopochtli, il dio della guerra, seguiti dai sacerdoti incaricati di svolgere le cerimonie e dal resto del clero. Dal punto di vista culturale gli Aztechi raggiungono importanti risultati, sebbene non riescano ad eguagliare in nessun campo i Maya, salvo quello della monumentale scultura in pietra. Gli Aztechi utilizzano due calendari simili a quelli Maya, di cui uno liturgico, composto da 13 "mesi" di venti giorni, ciascuno dei quali prende il nome da un animale, una pianta o un fenomeno naturale, e uno solare di 365 giorni. Anche per gli Aztechi il calcolo del tempo è fondamentale, poichè essi sono convinti che periodicamente si verifichino delle catastrofi, che possono essere posticipate soltanto attraverso il ricorso ad incessanti atti di purificazione e astinenze, nonchè e a sacrifici umani tributati al Dio del Sole. La scrittura mexica, grazie alla quale gli Aztechi possono contabilizzare i tributi e registrare eventi passati, consiste per lo più in disegni attraverso i quali vengono rappresentati concetti e oggetti, sebbene esistano alcuni simboli fonetici utilizzati per trascrivere varie sillabe; l’assenza di una scrittura formale non impedisce comunque lo sviluppo della poesia e dell’arte della retorica, campo nel quale sono veri e propri maestri. Quando gli europei raggiungono il continente la cultura azteca è sicuramente una delle più ricche e fiorenti, ed è anche per questo che gli spagnoli si preoccuperanno di elaborarne descrizioni articolate e dettagliate. Gli Incas L’impero Inca, è il più vasto impero precolombiano del continente americano, oltre che il più recente per formazione. Nel XIV secolo, dopo aver avuto la meglio su popoli molto avanzati dal punto di vista culturale, come i Chimú, gli Incas ristabiliscono l’unità politica, economica e culturale delle Ande centrali. Al momento della sua massima espansione, l’Impero si estende su un territorio di più di 600.000 km², comprendente gran parte degli attuali stati sudamericani di Colombia, Ecuador, Perú, Bolivia, Argentina e Cile, dove risiedono quasi 15 milioni di abitanti. Sulle origini del popolo Inca esistono due leggende, entrambe legate alla fondazione di Cuzco (nell’attuale Perú), capitale dell’Impero, attribuita a Manco Cápac, mitico iniziatore della dinastia regnante. Storicamente, colui che dà inizio all’espansione territoriale e che trasforma il regno in un vero e proprio Impero, più potente sul piano militare di quello azteco, è Pachacuútec Inca Yupanqui (1438-1471), riconosciuto come il primo vero Imperatore Inca. Al momento dell’arrivo degli spagnoli l’Impero attraversa una fase critica, dovuta ad una guerra civile scoppiata alla morte di Huayna Cápac (1525) e dell’erede designato; questa guerra, che vede opporsi a Huascar, il candidato al trono dalla nobiltà risiedente a Cuzco, Atau Huallpa, il favorito dagli abitanti di Quito, si conclude soltanto con l’arrivo degli spagnoli nel 1532. L’organizzazione statale degli Incas è stata impropriamente definita da alcuni studiosi “socialista” o addirittura “comunista” perchè incentrata su forme di proprietà comune delle terre; in realtà, quello inca è un regime di tipo dispotico, militarista e teocratico, che non esita a reprimere duramente chiunque si ribelli e ad imporre ai popoli conquistati l’idioma Quechua e la religione incaica. La diffusione della propria lingua (ancora parlata dalla stragrande maggioranza delle popolazioni indie dell’area centrale delle Ande), l’imposizione di una religione di stato, ed una politica di incorporazione dei capi delle tribù assoggettate in un sistema burocratico centralizzato, sono parte di un progetto mirante a consolidare il dominio nella regione. Il potere politico e quello religioso si sommano nella figura dell’Imperatore, il Sapa Inca, al quale è attribuita una natura divina in virtù della discendenza dal dio Sole. L’impero è suddiviso in quattro regioni (suyos) a capo delle quali sono posti dei governatori generali, parenti dell’Inca e membri del Consiglio Supremo che lo assiste nella guida dell’Impero. Questo tipo di suddivisione territoriale, particolarmente efficace, verrà mutuata dagli spagnoli nel periodo coloniale nell’organizzazione del viceregno del Perù. Le caratteristiche morfologiche del territorio dell’Impero, che si estende lungo la Cordigliera delle Ande, obbligano gli Incas a ideare un sistema di comunicazione adeguato alle esigenze di un impero che si estende soprattutto in lunghezza. L’efficacia di questo sistema di comunicazione risulta tanto più impressionante se confrontata con le reti di comunicazione adottate successivamente in epoca coloniale, che provocheranno un allungamento eccessivo dei tempi di recapito delle ordinanze trasmesse da Lima alle province più periferiche del viceregno spagnolo. I centri amministrativi sono collegati da un’efficiente rete di strade lastricate e di sentieri lunga 40.000 Km, che permette ad eserciti e messaggeri di raggiungere rapidamente qualsiasi parte dell’Impero; immensi ponti sospesi permettono di varcare i burroni, mentre per attraversare i fiumi sono utilizzate strutture galleggianti di canna. Gli Incas praticano un agricoltura di tipo intensivo, basata in particolare sul terrazzamento. La terra, di proprietà statale, è divisa in tre parti, assegnate rispettivamente allo Stato, al clero e agli ayllus, comunità agricole basate su legami di parentela. La quota assegnata agli ayllus viene a sua volta ripartita tra le famiglie a seconda delle loro necessità; queste, oltre a coltivare la terra loro concessa e la quota assegnata all’ayllu destinata al mantenimento dei non autosufficienti, sono obbligati a coltivare, senza alcun compenso, anche le terre di competenza dello Stato e della chiesa. La complessa organizzazione del lavoro che questo sistema richiede, la Mita, sarà in parte mantenuta ed utilizzata dagli spagnoli durante la conquista. La distribuzione della produzione, sia agricola che artigianale, è affidata ad un complesso sistema burocratico, il che minimizza il ruolo del commercio. Oltre all’obbligo di lavorare le terre assegnate allo Stato e alla Chiesa la popolazione è tenuta a prestare servizio nell’esercito e a lavorare per le opere pubbliche e per le attività artigianali del sovrano. Come quelle mesoamericane, anche la religione ufficiale incaica è politeista. La divinità principale è Viracocha, creatore del mondo e della civiltà umana, il cui culto è circoscritto ai sacerdoti e alla nobiltà; il resto della società inca venera Inti, il Dio Sole, dal quale si ritiene discenda il Sapa Inca. A capo della chiesa incaica vi è un sommo sacerdote, in genere fratello o cugino dell’Imperatore, il quale, affiancato dai sacerdoti, dirige ed esegue rituali e cerimonie che includono preghiere, sacrifici e l’arte della divinazione, nonchè la cura di malattie attraverso pratiche magiche. Per quanto riguarda la cultura, una politica assimilazionista è evidente nello stile artistico, che fonde forme e tecniche delle culture assoggettate. Parte della produzione artistica che inizialmente è stata attribuita agli Incas è infatti frutto dell’attività di altri popoli. L’architettura tende più alla funzionalità e alla solidità che alla bellezza formale, com’è evidente se si osservano le rovine degli edifici di Machu Picchu, una delle più importanti città incaiche, progettati per resistere ai terremoti e caratterizzati da uno stile sobrio, geometrico e privo di elementi decorativi, ma non per questo meno sofisticato di quello mesoamericano. L’abbondanza di oggetti d’oro e d’argento rinvenuti a Cuzco testimonia, inoltre, l’alto livello raggiunto nella metallurgia. E’ certamente nel campo statistico che gli Incas raggiungono i più importanti risultati: nonostante essi non conoscano la scrittura, ideano un sistema (il quipu) che gli permette non solo di tenere una dettagliata contabilità dei beni prodotti e distribuiti nell’Impero, ma anche di elaborare censimenti della popolazione, indispensabili in presenza di un’economia pianificata. L’assenza di un sistema di scrittura non impedisce comunque l’elaborazione di lunghi poemi narrativi, preghiere e racconti, che vengono trasmessi oralmente di generazione in generazione. Questi poemi sono spesso accompagnati da una musica basata sulla scala pentatonica eseguita con diversi tipi di strumenti, come flauti, trombe e fischietti rudimentali, che viene utilizzata anche per accompagnare danze. Nonostante i conquistatori spagnoli abbiano distrutto l’organizzazione politica e annientato la civiltà incaica, alcuni tratti di questa cultura - come la già citata lingua Quechua, le numerose comunità indie (gli ayllu) basate su un’organizzazione di tipo cooperativo, alcune credenze e rituali pagani, nonchè le monumentali rovine dei più importanti centri incas - sopravvivono ancora oggi nella regione Andina centrale.