UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA CORSO DI LAUREA IN MEDICINA VETERINARIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE VETERINARIE CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI RADIOLOGIA VETERINARIA TESI SPERIMENTALE DI LAUREA IN RADIOLOGIA VETERINARIA E MEDICINA NUCLEARE ASPETTI ECOGRAFICI DELLE NEOPLASIE EPATICHE NEL CANE RELATORE Ch.mo PROF. LEONARDO MEOMARTINO Anno Accademico 2009/2010 CANDIDATO SALVATORE DE LEO MATR. 079/000004 Indice Introduzione 1 Richiami di anatomia 3 Fisiologia del fegato 12 Classificazione istopatologica e comportamento biologico delle neoplasie 23 epatiche Esame radiografico 35 TC 37 Scintigrafia 39 Risonanza Magnetica 41 Ecografia 42 Biopsia ed agoaspirazione ecoguidate 46 Mezzi di contrasto nell’esame ecografico del fegato 50 Aspetti ecografici normali del fegato 53 Quadri ecografici patologici del fegato 59 Parte sperimentale 76 Introduzione alla parte sperimentale 77 Materiali e metodi 79 Risultati 81 Discussioni 100 Conclusioni 106 Bibliografia 107 I Introduzione L’ecografia del fegato è oramai considerata indispensabile per una valutazione corretta e completa dell’organo, perché consente di effettuarne lo studio morfologico e funzionale e, se necessario, manovre di tipo interventistico eco-assistite e miniinvasive. Fra le diverse patologie che possono interessare il fegato, le neoplasie sono relativamente frequenti: esse, infatti, nel cane, rappresentano il 3,5% di tutte le neoplasie. Oltre alle neoplasie primarie, nel fegato, data la sua funzione di filtraggio, sono molto frequenti anche le metastasi di neoplasie sviluppatesi in altri organi. Pertanto, nella pratica clinica è consueto il riscontro di tali patologie e, spesso, è proprio grazie all’ecografia che è possibile emettere una diagnosi di neoplasia epatica. Come per altri organi o distretti anatomici, l’esame ecografico è estremamente sensibile nell’evidenziare alterazioni morfo-strutturali ma non altrettanto specifico nel differenziarle. Spesso, il solo esame ecografico non è sufficiente per una diagnosi certa perché gli aspetti ecografici di patologie sia neoplastiche sia non neoplastiche sono sovrapponibili. In questi casi, la diagnosi di certezza può essere emessa solo dopo aver prelevato cellule o tessuto direttamente dalla lesione. Tuttavia, le manovre interventistiche, sebbene facilitate proprio dall’ecografia, non sempre sono possibili da effettuare: a volte perché non si può sedare il paziente; a volte perché vi sono concomitanti difetti della coagulazione; a volte perché i proprietari del cane non desiderano andare oltre con gli approfondimenti diagnostici. Dai dati relativi alla casistica del Centro di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Napoli, solo nel 38% 1 dei casi viene effettuato un prelievo ecoguidato da una lesione epatica e questo dato è sovrapponibile a quello di altre strutture specialistiche. Perciò, lo scopo della tesi è stato, principalmente, la ricerca e l’evidenziazione di elementi ecografici caratterizzanti che permettessero di effettuare, in maniera sufficientemente affidabile, una diagnosi differenziale tra le patologie neoplastiche e quelle non neoplastiche. Allo stesso tempo, data la vasta letteratura già esistente sull’argomento, si è proceduto al confronto tra i dati presenti in bibliografia e quelli da noi ottenuti. Per conseguire questi obbiettivi, è stata effettuata una revisione analitica di tutte le indagini ecografiche relative a soggetti nei quali si era giunti ad una diagnosi di certezza cito-istopatologica. La tesi è organizzata in una parte generale, con capitoli dedicati all’anatomia e alla fisiologia del fegato, alla classificazione istopatologica ed al comportamento biologico delle neoplasie epatiche, alle diverse metodiche di Diagnosi per Immagini utilizzabili e, infine, un capitolo sulla tecnica di esecuzione dell’esame ecografico con la descrizione dell’aspetto ecografico normale e dei diversi quadri ecografici presenti in caso di neoplasia. Segue una parte sperimentale costituita dai materiali e i metodi utilizzati, dai risultati ottenuti e da un capitolo di discussione. Termina la tesi un breve capitolo dedicato alle conclusioni. 2 Richiami di anatomia Il fegato è la più voluminosa delle ghiandole extraparietali annesse all’apparato digerente al quale invia il prodotto della sua attività esocrina (la bile) attraverso il dotto escretore, il coledoco. L’organo risulta relativamente voluminoso (nel cane pesa da 0,3 a 1,3 kg), ha colore rosso-bruno, è suddiviso in lobi da profonde incisure ed è contenuto nella parte anteriore destra della cavità addominale ove occupa l’ipocondrio destro, l’epigastrio e in alcuni casi parte dell’ipocondrio sinistro anche se, ventralmente, sorpassa l’arco costale a livello dell’ottavo spazio intercostale e si porta all’indietro nella sottoregione xifoidea assumendo rapporti con il pavimento dell’addome sino a giungere, in caso di epatomegalia o in soggetti a torace ampio e diaframma poco profondo, nella regione ombelicale ove riposa su un cuscinetto adiposo sottosieroso (Pelagalli e Botte, 1989). 3 Figura 1- Rappresentazione schematica del fegato di cane, fascia viscerale (modificato da Chetboul, 2003). Il fegato è costituito da 4 lobi: destro, sinistro, quadrato e caudato. A loro volta, sia il lobo destro sia il sinistro, sono suddivisi in un lobo laterale ed uno mediale; il lobo caudato è, a sua volta, diviso in un processo papillare ed in un processo caudato. La faccia craniale o diaframmatica del fegato è convessa e si adatta alla cupola diaframmatica. Il suo limite craniale si colloca tra la quinta e la dodicesima-tredicesima costa, a seconda della conformazione del torace nelle diverse razze. La faccia caudale o 4 viscerale è concava; ha aspetto irregolare e cambia un poco i suoi rapporti in relazione allo stato di ripienezza dello stomaco. Questo determina nel fegato due nette depressioni: quella corrispondente al piloro, dove si trova la fessura portale coperta in parte dal processo papillare del lobo caudato; la fossa della colecisti che, con l’accollamento posteriore dei margini dei lobi destri, è completamente circondata dal fegato. Sul bordo dorsale la vena cava stabilisce rapporti prima con il lobo caudato e poi con quello destro e, prima di attraversare il diaframma, riceve lo sbocco di due o tre vene epatiche. L’incisura esofagea è ampia. Sul margine dorsale del lobo destro e su quello caudale del lobo caudato si nota una netta impronta per il rene destro. Il sistema di fissazione del fegato è dato da diversi legamenti: il legamento triangolare sinistro è robusto e teso tra lobo laterale sinistro e pilastro corrispondente del diaframma; il legamento triangolare destro è più sottile e dal bordo superiore del lobo laterale destro va al pilastro destro del diaframma; il legamento coronario, posto tra faccia craniale e diaframma, non è molto sviluppato; il legamento falciforme è sottile; si stacca tra lobo sinistro mediale e lobo quadrato e raggiunge il centro tendineo del diaframma, sotto lo iato per vena cava. A questi legamenti vanno aggiunti quello epatorenale ed il piccolo omento. Il sistema dei dotti biliari nel cane si caratterizza per la presenza di più dotti epatici che vanno a sboccare indipendentemente nel dotto cistico o nel coledoco. La colecisti, lunga 4-5 cm, poggia nella fossa cistica collocata tra lobo quadrato e lobo destro mediale. Non supera il bordo ventrale del fegato e si proietta all’altezza dell’ottavo spazio intercostale. Il dotto cistico, dopo lo sbocco dell’ultimo dotto epatico si continua con il coledoco. La mucosa della cistifellea si solleva in 5 complesse pieghe primarie. Nel condotto cistico e nel coledoco le muscolatura circolare è abbastanza sviluppata. Il fegato è un organo parenchimatoso pieno rivestito, per buona parte della sua superficie, dal peritoneo viscerale. Sotto questo è posta una sottile lamina di tessuto connettivale che circonda l’organo, la capsula di Glisson, e gli fornisce profondamente lo stroma. A livello dell’ilo, la capsula è più spessa ed invia consistenti tralci che accompagnano le ramificazioni dell’arteria epatica, della vena porta e dei nervi e a ritroso quelle dei dotti biliari e dei vasi linfatici. A mano a mano che si approfondano nel fegato e si suddividono, i tralci si assottigliano e, con le ultime esili ramificazioni, forniscono il connettivo interlobulare degli epatociti e dei sinusoidi dei lobuli. Il parenchima epatico è costituito da un grande numero di lobuli, ritenuti come le unità morfologico-funzionali dell’organo (Pelagalli e Botte, 1989). Ciascun lobulo ha la forma di una minuscola piramide a sezione grossolanamente esagonale, alta 1,5-2 mm. I lobuli sono aderenti l’uno all’altro anche se li separa una modesta quantità di tessuto interlobulare. In più punti, ove più lobuli contigui vengono a contatto con gli spigoli, il connettivo è meglio rappresentato e costituisce uno spazio portale o portobiliare di Kiernan nel quale sono accolte le ultime diramazioni dell’arteria epatica e della vena porta, i dotti biliari e linfatici interlobulari e sottili branche nervose. Nel lobulo epatico, un sottile stroma reticolare accoglie gli epatociti ed i capillari sinusoidali. Gli epatociti sono ordinati in lamine monostratificate le quali definiscono un sistema labirintico tridimensionale nei cui spazi prendono posto i sinusoidi. Nella sezione trasversale di un lobulo, le lamine possono assumere una 6 forma di filiere di cellule poste radialmente ed intervallate ai capillari forniti dai rami terminali dell’arteria epatica e della vena porta presenti negli spazi portobiliari. Tipicamente i capillari della periferia del lobulo si spingono, anastomizzandosi, verso il centro ove fanno capo ad una vena centrolobulare. Questa percorre il lobulo nel senso della lunghezza e fa capo ad una vena sottolobulare cui giungono molte vene centrolobulari. Le vene sottolobulari sono radice di un numero limitato di vene epatiche che, infine, sboccano nella vena cava caudale nel tratto in cui questo vaso è in stretto rapporto con la superficie diaframmatica del fegato. Figura 2- Rappresentazione schematica dell'organizzazione del lobulo epatico (modificato da modificato da Pelagalli e Botte , 1989). 7 Gli epatociti o cellule epatiche sono di forma poliedrica con sei o più facce. Ciascuno di essi ha almeno una faccia orientata verso il sinusoide dal cui endotelio lo separa una strettissima fessura (spazio di Disse); fessure simili si riscontrano anche nelle aree in cui vengono in contatto epatociti contigui. Una delle facce, però, reca una minuscola doccia ed apponendosi alla faccia dell’epatocita vicino modificata allo stesso modo, delimita un condottino o capillare biliare, che rappresenta il primo tratto delle vie biliari. L’insieme di questi canalicoli, in realtà privi di parete propria, raggiunge i colangioli posti alla periferia del lobulo e, attraverso questi, i dotti interlobulari presenti negli spazi portobiliari. Speciali sistemi giunzionali delle cellule che li delimitano, impediscono, di norma, ai capillari biliari di comunicare con gli spazi intercellulari vicini. La membrana degli epatociti, sia a livello degli spazi di Disse che dei capillari biliari, si espande in numerosi microvilli. Gli epatociti posseggono un voluminoso nucleo; molti di essi possono essere binucleati. Nel loro citoplasma l’apparato di Golgi ed il reticolo endoplasmatico ruvido sono sviluppati; abbondano, inoltre, i mitocondri ed i lisosomi. Tali caratteristiche ben si accordano con le loro molteplici funzioni che portano alla produzione di bile (secrezione esocrina) ed alla elaborazione di sostanze ricavate e poi immesse modificate nel sangue (secrezione endocrina). I capillari sinusoidali hanno diametro molto variabile e sono privi di membrana basale. Tra le loro cellule endoteliali possono riscontrarsi delle discontinuità in forma di poro di diametro inferiore al micron. La loro superficie libera si espande in numerosi microvilli e porta vescicole pinocitosiche. Annesse ai capillari, si trovano le cellule stellate di Kupffer poste a ridosso delle cellule endoteliali tra le quali possono inviare delle propaggini che si spingono nel 8 lume potendo cosi regolare il flusso del sangue. Queste cellule hanno molte caratteristiche degli elementi istiocitari in quanto sono capaci di fagocitosi e granulopessia. L’organizzazione dei capillari, con la presenza di pori e la mancanza di membrana basale, è certamente legata alla necessità di favorire gli scambi tra sangue ed epatociti. Alcune indagini sperimentali hanno messo in dubbio che il lobulo prima descritto rappresenti l’unità funzionale del fegato per cui sono state proposte altre divisioni del parenchima aderenti alla sua reale organizzazione. Il lobulo portale fa riferimento al territorio drenato dal singolo dotto biliare interlobulare ed interessa, ovviamente, più lobuli contigui. In questa zona la bile scorre in modo centripeto ed il sangue in senso inverso. Più recentemente è stato introdotto il concetto di acino epatico con cui si indica il territorio a sezione più o meno ellissoidale raggiunto da un ramo terminale dell’arteria epatica e della vena porta e drenato da un dotto biliare. In queste aree, l’afflusso di sangue può essere regolato da cellule mioepiteliodi che accompagnano i vasi interlobulari. 9 Figura 3- Disegno schematico raffigurante i tre tipi di lobulo epatico. 1, lobulo epatico classico (esagonale); 2, lobulo portale (triangolare); 3, acino epatico(romboide); VC, territorio della vena centrolobulare; PB, territorio dello spazio portale con la triade portale. Il lobulo classico è ricostruito a destra nel diagramma. Le frecce continue e quelle tratteggiate nei diversi tipi di lobulo epatico indicano rispettivamente il decorso della circolazione sanguigna (—►) e di quella biliare ( -►)(modificato da Pelagalli e Botte, 1989). La bile viene raccolta dai capillari biliari per mezzo dei colangioli, minuti vasi, delimitati da epitelio cubico, presenti alla periferia del lobulo. I colangioli fanno capo ai dotti interlobulari tappezzati da epitelio cilindrico semplice le cui cellule hanno nuclei rotondeggianti spostati verso il polo basale. I dotti interlobari seguono la trama connettiva del fegato e vanno incontro a successive confluenze sino a dare origine ad un numero limitato di dotti di calibro maggiore (dotti lobari) che, infine, danno il dotto epatico. I dotti più grandi sono rivestiti da epitelio cilindrico e posseggono, nella loro parete, fibre elastiche e numerose fibrocellule muscolari lisce. Nel dotto epatico è ben evidente la consueta organizzazione dei visceri cavi. Procedendo dall’interno verso l’esterno, si incontrano le tuniche mucosa, muscolare e sierosa. 10 La mucosa si solleva in pliche ed accoglie, nella sua lamina propria, delle ghiandole tubulari acinose, semplici e composte, che elaborano una secrezione sierosa. Nella tunica muscolare abbondano le fibre elastiche. Il rivestimento sieroso, infine, si trova solo nel tratto esterno all’ilo del fegato. Il fegato è raggiunto dall’arteria epatica, che è una branca dell’arteria celiaca e che gli reca il sangue ossigenato, e dalla vena porta, la quale lo fornisce di sangue ridotto ma ricco di sostanze raccolte a livello dell’intestino. Questi vasi, superato l’ilo, si dividono in due branche, destra e sinistra, ciascuna delle quali va incontro ad ulteriori numerose suddivisioni seguendo la trama connettivale dell’organo. Al termine originano i vasi interlobulari che alimentano la rete di capillari sinusoidali. Il sistema venoso inizia con le vene centrolobulari che danno origine alle vene epatiche. I dotti linfatici degli spazi portobiliari costituiscono una rete profonda ed una superficiale; quest’ultima è ben evidente a livello della faccia diaframmatica. Da queste si staccano i vasi che raggiungono l’ilo e i linfonodi qui presenti. Altri linfatici si impegnano nei legamenti del fegato e quindi fanno capo ai linfonodi del diaframma e del mediastino. I nervi destinati al fegato sono dati dal vago e dal simpatico. 11 Fisiologia del fegato Nel fegato si attua una miriade di processi metabolici di ossidazione e di riduzione, di degradazione e di sintesi nell’ambito del metabolismo dei glicidi, dei protidi, dei lipidi, dei composti azotati non proteici, degli acidi biliari, dei pigmenti biliari e di numerose vitamine per cui le predette funzioni oltre che legate all’attività dell’organo risultano strettamente correlate tra loro. A queste funzioni epatiche se ne aggiungono altre, non meno importanti, quali quelle di disintossicazione, di coniugazione, escretoria, di deposito e infine quella protettiva. Metabolismo glucidico La glicogenosintesi La glicogenolisi La gluconeogenesi La glicolisi La glicogenesi la glicemia Nella glicogenosintesi il fegato mette in riserva il glicogeno del quale è il tessuto più ricco; quest’ultimo è rinnovato in maniera relativamente rapida, il suo tasso è funzione dello stato di nutrizione, infatti si abbassa fino a divenire nullo nel digiuno. Il glicogeno è sintetizzato principalmente a partire dal glucosio ematico, può essere però sintetizzato anche da altri metabolici quali amminoacidi glucogenetici e lipogenetici. La glicogenosintesi epatica è regolata da vari fattori soprattutto ormonali, quali l’insulina che la stimola, l’adrenalina che favorisce la glicogenolisi, il 12 glucagone che esplica medesima azione dell’adrenalina, la glicemia, quando elevata, stimola la glicogenosintesi ed infine il glicogeno epatico che quando aumentato esplica azione inibente sulla sintetasi stessa (Aguggini et al., 1997). La glicogenolisi è il processo di demolizione del glicogeno e si svolge oltre che nel fegato anche nel muscolo e nel rene. La glicogenolisi, che riveste importanza fondamentale nella regolazione della glicemia, avviene ad opera della fosforilasi, la cui attivazione è catalizzata dal glucagone, e dall’adrenalina. La fosforilasi scinde il legame ,1,4-glicosidico dell’estremo della catena polisaccaridica del glicogeno formando glucosio-1-fosfato, il quale per entrare nel processo glicolitico deve essere trasformato in glucosio-6-fosfato. Quest’ultimo per azione dell’enzima specifico presente nel fegato, viene liberato del fosfato con produzione del glucosio libero che diffonde nel sangue assicurando un costante apporto ai tessuti e livelli normali di glicemia. La gluconeogenesi è un processo mediante il quale il fegato realizza la sintesi del glucosio a partire dai precursori quali lipidi e proteine ed è in grado di far fronte alle richieste di glucosio quando la dieta è carente in glicidi. La glicolisi, anche se non esclusiva del fegato, costituisce la più importante via di utilizzazione sia del glucosio assorbito sia del glicogeno. Gli esosi vengono degradati a piruvato che, per decarbossilazione ossidativa, dà origine all’acetato e quindi al citrato, che riveste importanza nel ciclo degli acidi tricarbossilici di Krebs. Parte dell’energia che si libera viene conservata sotto forma di ATP. La glicogenesi è il processo mediante il quale avviene la sintesi di glucosio partendo dai suoi metaboliti. Il fegato è anche in grado di operare la trasformazione del fruttosio, del mannosio e del galattosio in glucosio. 13 Il fegato inoltre è in grado di mantenere la glicemia entro limiti fisiologici abbastanza ristretti grazie a fattori regolatori essenzialmente ormonali. All’azione ipoglicemizzante svolta dall’insulina si contrappongono il glucagone, i glicocorticoidi, il somatotropo, la tiroxina e l’adrenalina che agiscono con modalità differenti soprattutto sugli enzimi coinvolti nei processi di glicogenogenesi, glicogenolisi, e gluconeogenesi. Metabolismo lipidico Il fegato riveste un ruolo preponderante quale organo principale di trasformazione dei lipidi. La sua funzione più importante e peculiare è la biosintesi ed il rilascio delle lipoproteine plasmatiche che, attraverso il sangue, raggiungono i vari tessuti. Dopo la penetrazione nelle cellule, per diffusione passiva, dei monogliceridi e del glicerolo derivanti dalla scissione dei trigliceridi, operata dalla lipasi a livello del lume intestinale, nella mucosa intestinale dei mammiferi avviene la resintesi dei trigliceridi. La fase terminale del trasporto dei lipidi nell’intestino è la formazione dei chilomicroni, complessi lipoproteici elaborati dal reticolo endoplasmatico e dall’apparato di Golgi degli enterociti e costituiti da trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo e proteine. I chilomicroni eliminati dagli enterociti nel torrente linfatico passano, tramite il dotto toracico, nel circolo sanguigno e raggiungono il fegato ed il tessuto adiposo. Sulla degradazione della modesta quota di chilomicroni che pervengono al fegato i pareri non sono univoci, infatti si ipotizza che la scissione avvenga in sede extraepatica a livello dell’endotelio capillare, oppure che essi possano essere scissi ad acidi grassi liberi dalle cellule epatiche, in particolare dalle cellule di Kuppfer, a livello dei 14 lisosomi. Gli acidi grassi liberi si ricongiungono a quelli veicolati dall’albumina serica e captati dagli epatociti. Sintesi degli acidi grassi e loro utilizzazione Questa attività svolta prevalentemente dagli adipociti è presente anche negli epatociti e nelle cellule di Kuppfer. Il glucosio ha un ruolo dominante nella lipogenesi. Il fegato capta una quota molto importante dei NEFA derivanti dalla dissociazione dei chilomicroni o dalla lipolisi adipocitaria che gli giungono con il plasma e li utilizza attraverso tre vie metaboliche: la ossidazione che esplica solo una piccola parte di essi; la trasformazione in corpi chetonici quali acetoacetato, acetone, idrossibutirrato; la esterificazione La seconda via riveste notevole importanza negli stati di digiuno prolungato; infatti molti tessuti ed in particolare il miocardio sono in grado di utilizzare l’acetoacetato prodotto dal fegato traendone fino al 70% del fabbisogno energetico. La esterificazione che riguarda la quota più elevata dei NEFA, previa rimaneggiamento di questi ultimi, porta attraverso il colesterolo, il glicerofosfato ed il glicerolo a steridi, fosfolipidi e soprattutto a trigliceridi, che possono essere legati alle proteine a costruire lipoproteine, o essere depositati nel fegato. 15 Sintesi delle lipoproteine Consiste nel legame dei lipidi, quali trigliceridi, NEFA, colesterolo libero, esteri del colesterolo, fosfolipidi alle e globuline. In base alla loro densità, e quindi ai rapporti percentuali tra lipidi e proteine presenti in essi, si distinguono tre classi principali di lipoproteine; le lipoproteine leggere (VLDL), le più ricche in trigliceridi e le più povere in proteine; le lipoproteine a bassa densità (LDL) più ricche in proteine e più povere in trigliceridi; le lipoproteine a alta densità (HDL) molto ricche in proteine Vi è un continuo scambio di lipidi tra tessuto adiposo e fegato attraverso il sangue. Sintesi dei fosfolipidi I fosfolipidi vengono sintetizzati dal fegato, a livello del reticolo endoplasmatico liscio, a partire dagli acidi grassi liberi che pervengono all’organo dal tessuto adiposo e dall’assorbimento intestinale. I fosfolipidi insieme alle proteine concorrono alla formazione delle lipoproteine plasmatiche che si distribuiscono ai vari tessuti. Metabolismo epatico del colesterolo La biosintesi del colesterolo appartiene soprattutto all’epatocita, anche se tutte le cellule possono effettuarla. Il catabolismo del colesterolo porta alla formazione degli acidi biliari, degli ormoni steroidei e degli esteri del colesterolo. Gli acidi biliari sono 16 prodotti specifici dell’attività metabolica degli epatociti ed in essi viene convertito circa l’80% del colesterolo epatico. La variazione di numero e di posizione dei vari gruppi idrossilici presenti nella molecola determina la formazione di un gran numero di acidi biliari, tra cui i più importanti sono l’acido colico e l’acido desossicolico. Essi vengono escreti con la bile previa coniugazione con la glicina e la taurina a livello epatico per formare l’acido glicolico e taurocolico. Metabolismo proteico Per le proteine, a differenza dei glicidi e dei lipidi, non esistono forme di deposito da utilizzare in caso di necessità. Le proteine dell’organismo sono soggette di continuo a scissione e resintesi e, pertanto, i componenti cellulari vanno incontro ad un intenso ricambio di proteine. Con l’assorbimento intestinale una grande quantità di amminoacidi perviene, attraverso la vena porta, al fegato che ne capta una quota importante ed interviene, in tal modo, nel controllo dell’amminoacidemia. Gli amminoacidi captati dal fegato, in parte vengono rimessi in circolazione rientrando quindi nel poll amminoacidico generale, in parte subiscono trasformazioni in senso catabolico, ed in parte vengono impiegati per l’elaborazione delle proteine epatiche e plasmatiche. 17 Biosintesi delle proteine plasmatiche Nel fegato avviene la biosintesi della albumine, della maggior parte delle e delle globuline e del fibrinogeno, mentre le globulina ed una parte delle e globuline si formano nel tessuto linfoide e nelle plasmacellule. L’albumina serica interamente di origine epatica, rappresenta il 40% circa delle proteine plasmatiche totali e svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento della pressione oncotica e nel trasporto di numerose sostanze quali calcio, zinco, magnesio, bilirubina libera ecc. Le e globuline svolgono funzioni di trasporto dei lipidi, costituendo in tal caso le lipoproteine, ed ancora di vitamine e di ormoni. Sempre di origine epatica sono le glicoproteine quali la transferrina, che lega il ferro plasmatico convogliandolo alla sintesi dell’emoglobina, la ceruloplasmina, che opera il trasporto di rame, e le aptoglobuline, che si combinano con l’emoglobina aumentandone la proprietà perossidasica (Aguggini et al., 1997). La quasi totalità dei fattori della coagulazione del sangue è sintetizzata dal fegato. A livello epatico si ha anche la sintesi di proteine cellulari immagazzinando i protidi in possesso sotto forma di tessuto neoformato e tendendo all’ipertrofia cellulare. In condizione di inanizione il fegato è tra gli organi che più rapidamente perde le proprie proteine, ma è anche quello che altrettanto rapidamente recupera il proprio tasso proteico con il passaggio ad una alimentazione corretta. Trasformazioni degli amminoacidi La transamminazioni sono reazioni di grande rilievo biologico catalizzate, in genere, da enzimi specifici, le transaminasi, localizzate sia nei mitocondri sia nella frazione solubile del citoplasma che, in primo luogo, consentono di raccogliere i gruppi 18 amminici dei vari amminoacidi nella forma di uno solo, di solito l’acido glutammico, e rendono poi possibile la degradazione ossidativa indiretta degli amminoacidi. Le transamminasi glutammico-ossalacetica (GOT) e glutammico-piruvica (GPT), sono attive, soprattutto la prima, nei tessuti animali ed in particolare nel fegato, nel tessuto muscolare scheletrico e cardiaco ed in quello renale. La loro determinazione quantitativa e quella del loro rapporto costituisce un indice molto importante, nell’ampio quadro dell’esplorazione funzionale del fegato, nelle epatopatie in cui la marcata sofferenza cellulare ne comporta la liberazione e messa in circolo. Nel fegato si realizzano inoltre numerose conversioni ed interconversioni di amminoacidi, quali la formazione di tirosina dalla fenilalanina e la conversione reciproca tra glicina e serina. Si realizzano quindi vere sintesi di amminoacidi non essenziali essendo quelli essenziali solo di origine alimentare. Metabolismo di composti azotati non proteici L’ureogenesi è una funzione di particolare importanza in virtù della quale una sostanza dotata di elevata tossicità quale l’ammoniaca viene coinvolta nel ciclo di Krebs che si chiude con la formazione di urea che liberata nel sangue viene eliminata con le urine. L’ammoniaca perviene al fegato attraverso il circolo portale come tale e sotto forma di amminoacidi tramite il circolo sistemico. A livello epatico il gruppo amminico viene utilizzato dagli enzimi glutamminasi e glutammato deidrogenasi. Le basi puriniche adenina e guanina sono degradate dal fegato e dal rene con formazione di acido urico. Solo l’uomo, i primati, il cane dalmata e la cavia presentano escrezione di acido urico con le urine mentre negli altri mammiferi ureotelici per metabolizzazione dell’acido urico si ha l’eliminazione di allantoina. 19 Funzione di disintossicazione Il fegato riveste un ruolo preponderante anche se non esclusivo nell’ambito di questa funzione che è svolta, peraltro, anche dal rene, dall’intestino, dal polmone e dalla cute. Per disintossicazione si intende l’insieme delle trasformazioni chimiche che il fegato opera a carico di sostanze molto spesso tossiche, estranee all’organismo o anche endogene. Non sempre ciò si verifica potendo accadere talvolta che le sostanze divengano più tossiche dopo le modificazioni volte a produrne disintossicazione ed in questa evenienza si parla di attivazione metabolica. I processi di disintossicazione, legati all’azione di complessi polienzimatici microsomiali epatici, consistono sia in una modificazione della struttura della sostanza sia in una coniugazione di essa con un prodotto del metabolismo. Le più comuni reazioni di coniugazione sono quelle risultanti dalla combinazione della sostanza estranea con acido glicuronico, con acido solforico e con glicina. Funzione biligenetica L’elaborazione e la secrezione della bile si realizzano mediante la captazione e la sintesi di metaboliti da parte della cellula epatica, il trasporto di sostanze nella cellula stessa ed infine la escrezione nei canalicoli biliari dei suoi diversi componenti ed di acqua. La bilirubina e la biliverdina sono i principali pigmenti biliari e derivano dal catabolismo dell’emoglobina e in minor misura dalla mioglobina, citocromi ecc. L’emoglobina si libera con la distruzione dei globuli rossi che si attua nelle cellule reticoloendoteliali della milza, del midollo osseo, e del fegato; a livello del fegato i pigmenti si formano, pertanto nelle cellule di Kupffer, passano nel plasma e 20 pervengono agli epatociti insieme con la bilirubina originatasi in sedi diverse. L’emoglobina liberatasi con la eritrocateresi subisce il distacco di globina che viene degradata ad amminoacidi mentre il gruppo eme, previa rimozione del ferro che viene impiegato di nuovo nella sintesi di emoglobina, viene trasformato in bilirubina e biliverdina. La bilirubina libera cosi formatasi può penetrare facilmente attraverso la membrana all’interno delle cellule dove esercita un effetto tossico interferendo con le funzioni metaboliche. Nel plasma la bilirubina libera viene trasportata legata alle albumine e quindi perde la capacità a diffondere attraverso le membrane cellulari. Nell’epatocita la bilirubina viene coniugata con l’acido glicuronico e trasformata in bilirubina monoglicuronide e diglicuronide. La bilirubina coniugata è idrosolubile ed è escreta attivamente dall’epatocita nei canalicoli biliari; allorché perviene con la bile nell’intestino viene trasformata in bilirubina libera ad opera della flora batterica intestinale, viene ridotta nel colon a stercobilinogeno ed urobilinogeno. Quest’ultimo è assorbito parzialmente dall’intestino, passa nel sangue e viene in piccola parte escreto con le urine come urobilina e per la quota restante riescreto con la bile. L’urobilinogeno non assorbito viene escreto con le feci come stercobilinogeno che a contatto con l’aria si ossida a stercobilina. Gli acidi biliari sono prodotti specifici dell’attività metabolica degli epatociti e derivano dal catabolismo dell’80% del colesterolo epatico. I più importanti sono l’acido colico e l’acido desossicolico che nell’epatocita vengono coniugati con la glicina e con la taurina per dare gli acidi glicocolico e taurocolico. Gli acidi biliari vengono in gran parte riassorbiti nel digiuno e nell’ileo e attraverso il circolo portale riportati al fegato. La quota di essi che non viene riassorbita viene eliminata con le feci ed in piccola parte con le urine. 21 I sali biliari sono secreti generalmente come sale di sodio e potassio degli acidi biliari. Nella digestione e nell’assorbimento dei lipidi i sali biliari rivestono grande importanza per l’azione tensioattiva che svolgono a livello dell’interfacie acquagrassi. Tale azione rende possibile la dispersione dei grassi, nell’ambiente acquoso intestinale sotto forma di minute goccioline e quindi la formazione di un’emulsione che accresce la superficie di contatto tra acqua e lipidi moltiplicando le possibilità di contatto tra enzimi e lipidi. Altre funzioni del fegato Oltre a costituire organo di riserva delle vitamine soprattutto delle liposolubili A e E che possono venire immagazzinate per lunghi periodi, il fegato esercita su di esse importanti funzioni metaboliche quali esterificazione delle vitamine liposolubili, fosforilazione della tamina, della riboflavina e del piridossale, formazione del coenzima B dodici dalla vitamina B dodici e del coenzima A dall’acido pantotenico. Inoltre svolge un ruolo endocrino con la sintesi dell’ angiotensinogeno che è trasformato in angiotensina 1 dalla renina. Una funzione di rilievo è data dalla inattivazione degli ormoni circolanti; infine il fegato assolve a funzioni di difesa dell’organismo che sono quelle proprie delle cellule del sistema reticolo-endoteliale e vengono esplicate dalle cellule di Kupferr. 22 Classificazione istopatologica e comportamento biologico delle neoplasie epatiche Nel cane i tumori epatici primitivi sono poco comuni e rappresentano meno dell’1,5% di tutti i tumori del cane (Withrow e Vail, 2007), mentre i tumori secondari metastatici sono 2,5 volte più frequenti, a causa del duplice apporto ematico attraverso l’arteria epatica e la vena porta (Strombeck, 1978; Cullen e Popp, 2002; Withrow e Vail, 2007). In uno studio condotto da Trigo et al., (1982) su 1867 cani esaminati ecograficamente in 7 anni venivano registrati i seguenti tumori epatici: 49 primari e 129 tumori secondari; 14 tumori primari benigni: adenomi epatocellulari e colangiocellulari; 35 tumori primari maligni: 18 carcinomi epatocellulari; 13 carcinomi colangiocellulari; 1 carcinoma misto colangioepatocellulare; 2 emangiosarcomi; 1 fibrosarcoma. Nell’uomo è evidente l’associazione tra cancerogenesi epatica e virus dell’epatite B, malattie epatiche croniche (cirrosi), presenza di sostanze tossiche negli alimenti (aflatossine e nitrosuree) assunzione di alcuni farmaci e infestazioni da trematodi. Nel cane sono stati condotti trial tossicologici che hanno dimostrato il potenziale cancerogeno delle nitrosouree, ma un fattore eziopatogenetico certo non è ancora stato identificato. Inoltre, soltanto una minima percentuale di pazienti con carcinoma epatocellulare presenta cirrosi epatica: pertanto, le malattie epatiche croniche non sembrano avere importanza nella cancerogenesi dei tumori epatici. Il virus dell’epatite non è mai stato isolato dal fegato dei cani con carcinoma (Tennant et al., 2004). 23 I tumori primari possono essere descritti in tre modi: massivi: se interessano un lobo epatico con piccoli noduli metastatici diffusi; nodulari: vari noduli in più lobi; diffusi: ampie zone di fegato infiltrate da tessuto neoplastico privo di demarcazione capsulare (Patnaik et al., 1980). I tumori epatici primitivi possono derivare dai diversi stipiti cellulari presenti nel fegato: -dagli epatociti (adenoma epatocellulare e carcinoma epatocellulare) -dalle cellule dei dotti (colangioadenoma e colangiocarcinoma) -dagli elementi mesenchimali (per esempio, emangiosarcoma delle cellule endoteliali). I più frequenti nel cane sono l’adenoma epatocellulare, il carcinoma epatocellulare, il colangiocarcinoma e i carcinoidi epatici (Thamm, 2001). 24 Derivazione Tumori benigni Tumori maligni Epiteliale adenoma epatocellulare adenoma biliare (colangioma, adenoma colangiocellulare) cistoadenoma biliare carcinoma epatocellulare carcinoma biliare (colangiocarcinoma) cistoadenocarcinoma biliare epatocolangiocarcinoma epatoblastoma Neuroendocrina Mesenchimale Carcinoide (carcinoma neuroendocrino) mielolipoma emangioma linfangioma mesenchimoma emangiosarcoma linfangiosarcoma leiomiosarcoma fibrosarcoma osteosarcoma extrascheletrico rabdomiosarcoma Ematopoietica linfoma disordini mieloproliferativi sarcoma istiocitico diffuso mastocitoma plasmacitoma non classificabile carcinoma indifferenziato sarcoma indifferenziato secondari tumori gastroenterici emangiosarcoma carcinoma pancreatico carcinoma mammario insulinoma fibrosarcoma feocromocitoma lesioni pseudotumorali iperplasia nodulare iperplasia rigenerativa amartoma vascolare amartoma biliare teleangectasia Figura 4- Classificazione istopatologica dei tumori epatici proposta dall’OMS 2003 (modificata da Marconato, 2005). L’ adenoma epatocellulare (epatoma) è un raro tumore benigno, solitamente peduncolato e a margini arrotondati, che può presentarsi in forma solitaria 25 oppure multipla e può raggiungere notevoli dimensioni (oltre i 15 cm di diametro). Esso appare solitamente di consistenza morbida e colore marrone chiaro o giallo ed è costituito da epatociti ben differenziati, ma l’architettura normale del fegato non è conservata. L’adenoma epatocellulare non presenta predisposizione di sesso (Bastianello, 1983) ed è stato descritto soprattutto in cani anziani, senza particolari distribuzioni razziali (Patnaik et al., 1980). Tipicamente, l’adenoma epatocellulare comprime il tessuto epatico attiguo, senza però invaderlo (Jubb et al., 2007). Istologicamente può essere difficile distinguere l’adenoma epatocellulare dall’iperplasia nodulare o dal carcinoma epatocellulare ben differenziato. I criteri istologici differenziali si basano sull’infiltrazione locale, sull’invasione vascolare o linfatica e sulla presenza di atipie cellulari. L’adenoma epatocellulare di piccole dimensioni è asintomatico; se più voluminoso può essere palpabile. Trattandosi di una neoplasia molto friabile, la complicanza più temibile è la rottura con emoperitoneo: in questo caso la diagnosi differenziale deve essere posta con l’emangiosarcoma (Marcato, 2002). L’adenoma epatocellulare non rappresenta una lesione precancerosa: pertanto, la prognosi dopo l’escissione chirurgica è buona. L’iperplasia epatocellulare nodulare o iperplasia nodulare benigna del fegato, secondo alcuni autori, è una lesione pseudotumorale, che dovrebbe regredire una volta cessato l’ipotetico stimolo, mentre secondo altri, è definita con il termine di epatomi multipli, in quanto non è stata identificata la causa di stimolazione iperplastica e non è stata dimostrata la capacità di regressione di questa iperplasia (Bergman, 1985). L’iperplasia nodulare è caratterizzata dalla presenza di noduli singoli o multipli, fino a 5 cm di diametro, variamente 26 distribuiti nel parenchima epatico. Tipicamente, l’iperplasia interessa soggetti adulti e anziani (> 8 anni) (Bergman, 1985). La diagnosi conclusiva è istopatologica: l’iperplasia, di solito, è costituita da aggregati nodulari di epatociti non incapsulati, che mantengono la caratteristica architettura lobulare. Iperplasia nodulare e adenomi non sono da confondere con la rigenerazione nodulare del fegato, secondaria a necrosi epatocitarie o fibrosanti croniche che si ripercuotono sul parenchima epatico. In questo caso le lesioni conferiscono all’organo un aspetto macronodulare (Dayrell-Hart et al., 1991). Il cistoadenoma biliare rappresenta una variante dell’adenoma epatocellulare ed è caratterizzato dalla presenza di cisti che interessano i dotti biliari intraepatici. Molto frequente nel gatto è rarissimo nel cane (Adler, Wilson, 1995). Il carcinoma epatocellulare rappresenta il tumore epatico primario più comune nel cane. L’età media dei cani colpiti è di 10-11 anni (Rooney, 1959). I cani di sesso maschile sembrano essere maggiormente predisposti rispetto alle femmine ma senza predisposizione di razza (Patnaik et al., 1981). Il carcinoma epatocellulare si può presentare sotto varie forme macroscopiche: massiva (60% circa nella specie canina), nodulare (30% circa) e diffusa (10% circa) (Patnaik et al., 1981; Trigo et al., 1982). Si può trovare in tutti i lobi epatici ma il lobo epatico sinistro è segnalato per essere colpito più di frequente. I carcinomi sono capsulati in poco più della metà dei casi. Nelle forme diffuse la capsula è sempre assente. La forma massiva solitaria è caratterizzata dalla presenza di un’unica massa di grosse dimensioni, che interessa un solo lobo epatico (solitamente il sinistro) oppure più lobi adiacenti, con eventuali piccoli 27 noduli satelliti metastatici nel restante parenchima epatico ed è la forma più comune nel cane. La forma nodulare è caratterizzata da noduli multipli di varie dimensioni che interessano i lobi epatici, mentre la forma diffusa è caratterizzata dalla presenza di diverse masse indistinte sparse per tutto il parenchima epatico (Patnaik et al., 1981). Il parenchima tumorale è friabile e presenta una varietà di colori, che vanno dal bianco-grigiastro al rosso al bruno al giallo al verde, per la presenza di aree emorragiche, necrotiche e cistiche, di infiltrazioni lipidiche e di fenomeni colestatici ( Marcato, 2002). Dal punto di vista istopatologico, il carcinoma epatocellulare può essere classificato come trabecolare, adenoide, solido o poco differenziato. Le cellule tumorali sono simili agli epatociti normali, ma più grandi, con citoplasma finemente granuloso acidofilo, spesso ricco di glicogeno e lipidi, e perciò vacuolizzato, con nuclei ampi e d’aspetto vescicolare. Oppure si trovano cellule più piccole, spesso non facilmente distinguibili da cellule di origine biliare. Inoltre manca qualsiasi reminescenza di spazi portali, vene centrolobulari e dotti biliari. Queste caratteristiche differenziano i tumori dalle iperplasie nodulari, frequenti nel cane, nelle quali in particolare la presenza degli spazi portali è invece sempre riconoscibile (Marconato, Del Piero, 2002). Il potenziale metastatico del carcinoma epatocellulare varia notevolmente in funzione della forma macroscopica: se diffuso, può superare il 60 %, mentre per la forma massiva è riportato un tasso metastatico che varia dal 4,8 al 36,6%, secondo lo studio considerato. La diffusione ai polmoni avviene per via ematogena, attraverso le vene epatiche; è tuttavia possibile riscontrare metastasi 28 linfonodali e peritoneali (carcinomatosi). Per carcinomatosi si intende la disseminazione della neoplasia sulle superfici peritoneali. I tumori che più frequentemente danno carcinomatosi sono le neoplasie epatiche, pancreatiche, intestinali e ovariche, ma anche l’emangiosarcoma splenico o epatico (ed in questo caso si preferisce parlare di sarcomatosi) ed il linfoma (linfomatosi) (Patnaik et al., 1980). Il colangioma (adenoma biliare o colangiocellulare) nel cane è un raro tumore benigno asintomatico riscontrato per lo più come reperto occasionale in corso di necroscopia. Si presenta sotto forma di massa irregolare e non incapsulata, chiara, verdastra o grigia, spongiosa o multicistica, che tende ad interessare l’intero lobo epatico ed istologicamente in questi tumori si rileva una struttura tubulare nei noduli solidi, oppure multiloculare con cavità a parete connettivale sottile rivestite da epitelio cubico, o piatto, talora con escrescenze papillari (cistoadenoma biliare) nei noduli policistici. Il contenuto di mucina delle microcavità cistiche è considerato un elemento per escludere formazioni cistiche congenite (Jubb et al., 2007). Tra i tumori epatici maligni, il colangiocarcinoma (carcinoma biliare) è secondo in ordine di frequenza nel cane. In merito al segnalamento, il 65% dei cani colpiti dal tumore ha un’età superiore ai 10 anni e sembra esservi una predisposizione per il sesso femminile e per i cani di razza Labrador Retriever (Patnaik et al., 1980). Secondo diversi studi, sarebbe interessato maggiormente il lobo sinistro (Patnaik et al., 1981). Il colangiocarcinoma origina dall’epitelio biliare e presenta istologicamente una componente scirrosa. Gli epiteli del colangiocarcinoma sono simili a quelli dei dotti biliari, con elementi cubici o 29 cilindrici a citoplasma chiaro, basofilo, e nuclei piccoli. Esso può prendere origine dal dotto biliare intraepatico, dal dotto biliare extraepatico oppure dalla cistifellea. Anche per il colangiocarcinoma sono descritte le forma massiva, che può interessare anche un intero lobo epatico, e la nodulare, più frequente, e caratterizzata da masse di varie dimensioni, sparse per tutto il parenchima epatico. In entrambe le forme le masse tumorali contengono spesso aree necrotiche e cistiche e, se la componente cistica è predominante, si parla di cistoadenocarcinoma biliare. Il comportamento biologico è aggressivo e caratterizzato da un alto tasso metastatico superiore all’80% (Trigo et al., 1982). Il colangiocarcinoma è di difficile differenziazione dall’adenocarcinoma metastatico, ad esempio dall’adenocarcinoma pancreatico. Possono essere utili per la differenziazione l’abbondanza di stroma fibroso, la secrezione di mucina e l’infiltrazione di cordoni cellulari nei sinusoidi alla periferia dei noduli, che contraddistinguono il colangiocarcinoma (Trigo et al., 1982). La via di diffusione è linfoematogena ed i siti metastatici riportati sono polmoni, linfonodi epatici e peritoneo. È segnalato in letteratura un colangiocarcinoma metastatico al midollo osseo in un cane bovaro del bernese (Marconato, Del Piero, 2005). L’epatoblastoma è un tumore molto raro nel cane. Si tratta di una neoplasia costituita da epatociti embrionali o fetali, uniformi con citoplasma granulare, che tendono e formare corde, trabecole o acini. Nell’uomo l’epatoblastoma compare entro i primi diciotto mesi di vita e, contrariamente ai nostri animali domestici, è invasivo. 30 Il carcinoide o apudoma è un raro tumore maligno, che origina dal sistema neuroendocrino (cellule APUD: Amine Precursor Uptake and Decarboxilation) diffuso dell’epitelio biliare o del fegato e che interessa per lo più cani di età inferiore ai 10 anni (Patnaik et al., 1981). Il carcinoide può presentarsi nella forma solitaria, che interessa un unico lobo epatico, un singolo dotto biliare o la cistifellea, o in quella multipla nodulare, quest’ultima più frequente (Patnaik et al., 1981). Si tratta di un tumore molto aggressivo, con potenziale metastatico del 90%. I siti metastatici preferenziali sono il restante parenchima epatico, i linfonodi regionali ed i polmoni. Per la diagnosi è spesso necessario ricorrere all’immunoistochimica (positività all’enolasi specifica neuronale – NSE , alla sinaptofisina, alla cromogranina, alla somatostatina, al glucagone, alla serotonina e all’ACTH) oppure alla reazione di Grimelius, che evidenzia l’argirofilia delle cellule neuroendocrine. Secondo uno studio immunoistochimico recente, un pannello di antigeni comprendente NSE e sinaptofisina o NSE e cromogranina identificava il 90% dei tumori neuroendocrini nel cane. È riportato in letteratura un carcinoide epatico in un cane caratterizzato dalla secrezione ectopica di ACTH e responsabile di ipercortisolemia e ipokalemia (Churcher, 1999). Tra i tumori maligni di origine mesenchimale, l’emangiosarcoma è sicuramente il più importante. E’ una neoplasia che insorge solitamente in età avanzata, origina dalle cellule endoteliali dei sinusoidi epatici ed è molto vascolarizzata. Nel cane, soltanto il 10% degli emangiosarcomi ha origine epatica (Srebernik, Appleby, 1991). Microscopicamente si presenta come una massa singola o con focolai multipli di colore variegato, da rosso scuro a grigio- 31 rosso-purpureo a giallo. Istologicamente è costitutito da cellule endoteliali, spesso pleomorfe, che formano lesioni cavitarie ripiene di sangue. Le cavità sono molto fragili e tendono a rompersi, provocando emoperitoneo. Il tasso metastatico è elevato e le metastasi tipicamente interessano polmoni, miocardio e peritoneo. Frequentemente può causare trombosi della vena porta e delle vene sovraepatiche. Il corrispettivo tumore benigno, l’angioma (emangioma), è raro e deve essere differenziato dall’amartoma vascolare (Marcato, 2002). Il mesenchimoma maligno è composto da cellule mesenchimali che si differenziano in due o più forme maligne: saranno perciò riscontrabili varie combinazioni tra rabdomiosarcoma, liposarcoma, condrosarcoma, sarcoma osteogenico, sarcoma sinoviale e sarcoma indifferenziato (McDonald, Helman, 1986). Il leiomiosarcoma è una neoplasia della muscolatura liscia che tende a crescere lentamente ma, contrariamente alle altre localizzazioni, nel fegato il leiomiosarcoma ha potenziale metastatico elevato e si accompagna spesso ad ipoglicemia paraneoplastica (Bagley et al., 1996). Il mastocitoma epatico ha comportamento biologico particolarmente aggressivo e tende ad interessare il fegato diffusamente (Marconato, Del Piero, 2005). Il linfoma raramente origina primariamente nel fegato (linfoma epatico primitivo), mentre è più frequente il coinvolgimento secondario dell’organo nei pazienti affetti da linfoma di IV e V stadio (secondo il sistema OMS): infatti, più spesso il coinvolgimento epatico fa parte di un disordine multicentrico 32 (Dobson, 2004). Il linfoma è la neoplasia maligna più comune del sistema emopoietico del cane (80% dei tumori ematopoietici ed il 5-7% di tutte le neoplasie del cane) ed è paragonabile al linfoma non Hodgkin umano (Teske, 1994). L’incidenza in Europa è di circa 30 nuovi casi su 100.000 ogni anno, anche se probabilmente questi dati sono sottostimati. In genere sono interessati cani adulti (6-8 anni), senza predisposizione di sesso (Jagielski et al., 2002). Le seguenti razze sono invece considerate particolarmente a rischio: Boxer (particolarmente predisposto al linfoma di tipo T e che risponderebbe peggio alla chemioterapia), Bassethound, San Bernardo, Terrier Scozzese, Airedale Terrier, Bulldog, Pastore Tedesco, Rottweiler, Bull Mastiff, Golden Retriever e Beagle (Edwards et al., 2003). L’elevata frequenza in queste razze suggerisce una predisposizione su base genetica (dimostrata per i Bull Mastiff ed i Rottweiler), anche se sono state ipotizzate cause ambientali (erbicidi, esposizione a benzene, fumo di tabacco o a campi magnetici), infettive virali e immunomediate (somministrazione di ciclosporine o immunosoppressione). Nei soggetti malati sono presenti linfoadenomegalia generalizzata e lesioni multiple in corrispondenza del fegato, milza, polmoni e cute. Il linfoma è una malattia sistemica a carattere progressivo, caratterizzata dalla proliferazione maligna e incontrollata delle cellule del sistema linfoide arrestatesi in una fase precisa della loro naturale linea di trasformazione, che interessa linfonodi ed altri visceri solidi, come fegato e milza, oppure siti extranodali (intestino, stomaco, reni, cute, occhio, sistema nervoso centrale e periferico). Tale mobilità è legata al fatto che cellule linfoidi neoplastiche circolano liberamente per tutto il corpo e possono raggiungere qualsiasi organo. 33 I linfonodi portali, in corso di linfoma, risultano particolarmente aumentati di volume e molto vascolarizzati. I tumori secondari sono più frequenti di quelli primari. Le metastasi più frequenti sono quelle dell’emangiosarcoma, seguite da quelle del linfoma, degli adenocarcinomi e dei carcinomi (gastrico, pancreatico, mammario, surrenalico, tiroideo, polmonare, prostatico, ovarico), meno frequentemente dei sarcomi e del mieloma (Cullen, Popp, 2002). Anche i tumori epatici primitivi possono metastatizzare al parenchima epatico stesso ed in questo caso la diffusione avviene attraverso il sistema biliare duttale o i sinusoidi. L’aspetto tipico è quello di una lesione voluminosa (tumore primitivo), accanto a tanti piccoli noduli (metastasi). Le cellule metastatiche (emboli neoplastici) giungono al fegato tramite il sistema portale o attraverso la circolazione sistemica. 34 Tecniche di diagnostica per immagini Esame Radiografico L’esame ha rappresentato fino a qualche decennio fa, l’unico strumento di Diagnostica per Immagini disponibile nell’ambito della maggior parte delle strutture veterinarie. L’esame RX presenta molti limiti quali il fatto di fornire immagini di tipo planare, nelle quali intervengono numerosi fenomeni di sovrapposizione fra le diverse strutture anatomiche, spesso di tipo analogico e, soprattutto, con scarsa risoluzione di contrasto per i tessuti molli. Normalmente, le informazioni che la radiografia è in grado di dare riguardano la sede, le dimensioni, i profili e la densità. Pertanto, nel caso del fegato le più importanti informazioni sono quelle relative alle dimensioni, molto più facilmente ed oggettivamente valutabili rispetto all’ecografia, e alla densità che, nel caso di lesioni calcifiche come ad esempio i calcoli biliari, risulterà modificata. Per permettere la visualizzazione del sistema biliare, in passato, sono state proposte delle indagini contrastografiche che, però, al momento non sono più praticate sia per la tossicità dei mdc utilizzati sia per l’introduzione di tecniche alternative quali l’ecografia. 35 Figura 5 – Esame Rx dell’addome anteriore in proiezione laterale: del fegato si possono apprezzare solo i limiti definiti cranialmente dal diaframma, caudalmente dallo stomaco e dalle anse intestinali e ventralmente dal grasso del legamento falciforme (frecce). 36 TC La Tomografia Computerizzata (TC) è una tecnica di Diagnostica per Immagini che fornisce immagini di fette del corpo attraversate da un fascio di raggi X altamente collimato la cui attenuazione viene rivelata da un sistema di dettetori e ricostruita sottoforma di immagine tomografica da un computer (Bertoni et al, 2005). Rispetto all’esame radiografico la TC presenta una maggiore risoluzione di contrasto e questo, assieme al fatto che le immagini sono di tipo tomografico, e che si utilizzano mezzi di contrasto iodati e.v., rappresenta il maggior vantaggio rispetto all’esame RX convenzionale. Gli apparecchi TC più recenti sono in grado di effettuare scansioni di più piani contemporaneamente ed in maniera continua in modo da ottenere immagini di grandi volumi del corpo in pochi secondi (Bertoni et al, 2005). Negli ultimi anni, la TC si è andata diffondendo anche in campo Veterinario ma, dato che sono impiegati raggi X, che è necessaria la narcosi o la sedazione profonda e che si ricorre alla somministrazione di mezzi di contrasto, per quanto riguarda il fegato, la TC è considerata una tecnica di 2° livello, dopo l’esame ecografico. La TC del fegato è indicata quando sono richieste maggiori informazioni sulla sede, il volume, i rapporti anatomici e la vascolarizzazione delle lesioni epatiche. La TC del fegato, inoltre, trova particolari indicazioni nello studio degli shunt porto-sistemici (Frank et al., 2003; Bertoni et al, 2005). Anche con la TC, come con l’ecografia, sono possibili manovre interventistiche guidate (biopsie, agoaspirazioni, drenaggio, termoablazioni, alcolizzazioni, ecc.). 37 Figura 6- TC postcontrasto shunt porto-cava intraepatico (modificato dal Corso di Radiologia Veterinaria del Prof. Meomartino su ―Federica‖). Figura 7- TC fegato: aspetto pre e postcontrasto di metastasi epatiche di un carcinoma mammario (punte frecce nere). 38 Scintigrafia La scintigrafia è una metodica di Medicina Nucleare che fornisce immagini che rappresentano una mappa della distribuzione corporea di una molecola radioattiva (radiofarmaco indicatore o tracciante) emettente raggi gamma. La scintigrafia è una tecnica molto sensibile per la diagnosi delle affezioni epatobiliari. L’isotopo che viene adottato con maggiore frequenza nell’uso clinico è il tecnezio 99 m (99mTc) che viene incorporato nel radiofarmaco specifico per lo studio pianificato. L’emivita del 99m Tc è relativamente breve (6 ore), pertanto, benché l’animale debba comunque essere tenuto in isolamento per 24 o 48 ore e l’urina e le feci che esso elimina conservate fino a quando la loro radioattività non sia scesa fino ai valori ambientali, il pericolo di irradiazione è ridotto sia per il paziente che per il personale addetto all’esame. Ad esempio, il 99m Tc legato allo zolfo colloidale, che viene fagocitato dalle cellule monocitarie-macrofagiche del fegato, viene utilizzato per valutare la presenza di lesioni epatiche. La scintigrafia viene utilizzata anche per la diagnosi degli shunt porto-sistemici tramite lo studio del percorso vascolare seguito dal pertecnetato marcato con 99m Tc dopo l’assorbimento nel colon o nei tessuti perirettali (Koblik, 1995). Le curve di tempo/attività permettono di stabilire se l’isotopo è giunto prima nel fegato, il che è normale, oppure nel cuore o nei polmoni, il che è compatibile con ogni tipo si alterazione che consenta al flusso venoso portale di aggirare il distretto epatico. Questo approccio presenta il vantaggio di valutare specificamente l’apporto ematico portale piuttosto che la massa epatica che negli animali con shunt porto-sistemico congenito o con affezione epatobiliare e shunt acquisito può essere ridotta oppure no. 39 I risultati del test non forniscono dettagli anatomici ma solo la prova della presenza o assenza di shunt porto-sistemico. La scintigrafia ha il vantaggio di permettere studi panoramici, di evidenziare precocemente i processi patologici (elevata sensibilità) e di poter essere eseguita sul soggetto sveglio o al massimo sedato. Gli svantaggi sono il costo e la gestione delle attrezzature, l’incapacità di differenziare il tipo di patologia (bassa specificità) e i problemi di natura radio protezionistica che ne limitano l’utilizzazione in Medicina Veterinaria. Figura 8- Scintigrafia circolo-portale in un cane (modificato dal corso di Radiologia Veterinaria del Prof. Meomartino su ―Federica‖). 40 Risonanza Magnetica E’ una tecnica che fornisce immagini utilizzando un campo magnetico di elevata intensità, molto superiore a quella del campo magnetico terrestre, e impulsi di radiofrequenza. La RM consente di vedere in maniera eccellente i tessuti molli perché sfrutta il segnale dell’acqua, o meglio dei nuclei degli atomi delle molecole di acqua. Con la RM si possono ottenere immagini diverse delle stesse strutture anatomiche in quanto oltre che dalla quantità d’acqua, il segnale dipende anche dalla costituzione chimico-fisica del tessuto in esame. La RM quindi è in grado di rappresentare i tessuti molli con elevato contrasto. Inoltre, durante gli studi RM è possibile ottenere immagini tomografiche attraverso i vari piani anatomici (trasversali, sagittali, dorsali od obliqui) senza la necessità di modificare la posizione del paziente (Bertoni et al., 2005). In uno studio condotto su 23 cani su 27 lesioni epatiche, differenziate in benigne e maligne sulla base delle immagini RM, e poi confrontati con esami istopatologici e citologici, l’accuratezza è stata del 94% mentre la sensibilità e specificità sono state del 100% (Clifford et all, 2004). Questi risultati suggeriscono che la RM potrebbe avere una notevole importanza nel differenziare accuratamente le lesioni benigne da quelle maligne. Inoltre, rispetto alla TC, la RM ha il vantaggio di non utilizzare radiazioni ionizzanti. I maggiori svantaggi della RM sono la ridotta disponibilità (in particolare degli apparecchi ad elevato campo, più veloci e con maggiore risoluzione spaziale), la necessità di ricorso all’anestesia generale, la necessità di utilizzare attrezzature dedicate, l’elevato costo di gestione e di conseguenza degli esami che ne hanno finora limitato la diffusione della tecnica in Medicina Veterinaria. 41 Ecografia L’ecografia è una tecnica di Imaging che sfrutta gli echi prodotti dagli ultrasuoni e, perciò, non invasiva e con elevata risoluzione di contrasto per i tessuti molli. L’economicità delle attrezzature e la completa innocuità della tecnica ne hanno favorito la diffusione sul territorio anche in campo Veterinario. Tuttavia, l’esecuzione dello studio e l’interpretazione delle immagini è più difficile di altre tecniche di Diagnostica per Immagini: infatti, l’ecografia è una tecnica considerata, per antonomasia, operatore-dipendente. Fondandosi sul principio che un impulso sonoro viene riflesso (eco) quando passa attraverso l’interfaccia formata da due materiali con differente impedenza, l’ecografia può evidenziare la diversità esistente tra i liquidi omogenei, a bassa ecogenicità, quali sangue e bile, e le strutture più eterogenee composte dai vari tipi di tessuti molli. Fin dall’introduzione della tecnica in campo medico, il fegato, grazie alle sue dimensioni e all’ecogenicità del parenchima, si è prestato allo studio ecografico. Attualmente, l’ecografia è considerata essenziale per una corretta e completa valutazione delle malattie epatiche perché essa consente lo studio in tempo reale, morfologico e, per certi versi, funzionale. Ecograficamente, sono apprezzabili sia il parenchima epatico, sia l’apparato biliare (in particolare la colecisti), sia il sistema vascolare (in particolare quello venoso epatico e portale). L’esame ecografico del fegato è, inoltre, utile ai fini della diagnosi istologica perché permette di effettuare dei prelievi di materiale patologico ecoguidati direttamente dalla o dalle lesioni. Lo studio ecografico del fegato rappresenta l’oggetto della presente tesi e, pertanto, qui di seguito, ne viene illustrato in dettaglio il protocollo. 42 Figura 9- Algoritmo diagnostico per lo studio del fegato: l’ecografia come tecnica di primo livello (modificato dal corso di Radiologia Veterinaria del Prof. Meomartino da ―Federica‖). Preparazione e posizionamento del paziente L’ecografia epatica non richiede una particolare preparazione per il paziente; è comunque consigliabile eseguire l’esame sull’animale a digiuno da almeno 12 ore allo scopo di limitare la presenza di artefatti provocati dalla distensione meteorica o da parte di materiale alimentare dello stomaco. Occorre effettuare un’ampia tricotomia dell’addome che comprenda la regione retro-xifoidea e gli ipocondri, destro e sinistro, ed estendendola cranialmente fino ad includere, a destra, gli ultimi 2-3 spazi intercostali. Infatti, in alcune condizioni, per esplorare il fegato, è necessario utilizzare la via intercostale; queste condizioni si verificano in caso di microepatia (shunt porto-sistemico o cirrosi), nei soggetti dolicomorfi e con torace profondo e quando c’è un’abnorme distensione gastrica o gastro-intestinale. 43 Per l’esecuzione dell’esame, si possono utilizzare diversi posizionamenti quali il decubito dorsale, il decubito laterale destro e sinistro, la stazione quadrupedale. La scelta del posizionamento dipende spesso dalle preferenze e dalle abitudini dell’operatore, tuttavia, si ricorda che qualunque sia il posizionamento adottato esso costituisca parte di un protocollo codificato e ripetibile. Esecuzione dell’esame ecografico Come per gli altri organi, si deve selezionare una frequenza di ultrasuoni in rapporto alle dimensione del soggetto in esame: frequenze intorno a 5-6 MHz permettono una buona penetrazione degli ultrasuoni (10-12 cm) e, perciò, si utilizzano nei cani di taglia medio-grande; nei cani di taglia gigante può essere necessario ricorrere a frequenze inferiori, intorno a 3,5 MHz, a discapito, però, della risoluzione spaziale delle immagini ottenute; nei cani di piccola taglia conviene utilizzare sonde con frequenza pari o superiore a 7,5 MHz che offrono la migliore risoluzione per una profondità adeguata (4-6 cm). Per quanto riguarda la geometria della disposizione dei cristalli, si preferisce utilizzare sonde Convex o, meglio, Microconvex e Lineari pediatriche, per lo scarso ingombro che ne favorisce l’utilizzo sulle regioni cutanee retro-xifoidea e dell’ipocondrio sulle quali, spesso, è necessario effettuare una certa compressione, al di sotto del profilo sternale e costale, per avvicinare la sonda al fegato o per superare l’ostacolo rappresentato da qualche tratto del tubo digerente. In genere, quando si inizia lo studio del fegato, la sonda viene posta sullo spazio retro-xifoideo, inclinata di 30° circa cranio-dorsalmente, e con il fascio posto lungo il piano sagittale mediano. Da questa posizione, poi, si effettueranno dei movimenti “a ventaglio”, verso destra e verso sinistra per esplorare tutto l’organo nei vari piani 44 parasagittali e obliqui longitudinali. Successivamente, sempre mantenendo la sonda sulla regione retro-xifoidea, si ruota di 90°, mantenendo però l’inclinazione di circa 30° cranio-dorsalmente, con il fascio ora disposto nel piano trasversale. Da questa posizione si effettueranno dei movimenti “a ventaglio” cranio-ventralmente e caudodorsalmente, sempre esplorando tutto il parenchima. Di solito, per completare l’esplorazione delle porzioni più laterali dell’organo, è necessario spostare la sonda sull’ipocondrio o sugli ultimi spazi intercostali di sinistra e di destra, alterando comunque prima le scansioni longitudinali (eventualmente sul piano dorsale) e poi quelle trasversali. La visione del fegato è agevolata durante l’inspirazione poiché l’appiattimento della cupola diaframmatica si associa allo spostamento caudale dell’organo. Quando l’approccio descritto precedentemente non permette una completa esplorazione dell’organo, in particolare dei lobi di destra, si può considerare l’approccio intercostale con l’animale in stazione (Bargellini et al, 2006). Nell’approccio intercostale destro la sonda viene posta in posizione parasternale o, se necessario, più dorsalmente, a livello del 10°, 11°, o 12° spazio, posteriormente all’area di esplorazione cardiaca. 45 Biopsia ed agoaspirazione ecoguidate Il fegato è sicuramente uno degli organi che più si presta alle metodiche di tipo interventistico. Vengono considerate nell’ambito di queste metodiche i prelievi di materiale a scopo diagnostico e le procedure a scopo terapeutico (drenaggio di raccolte, alcolizzazione o termoablazione di noduli, ecc.). Il prelievo di materiale biologico mediante tecniche eco-assistite rappresenta, per il fegato, la metodica interventistica principe, grazie alla grande utilità diagnostica e prognostica che essa riveste. Le lesioni epatiche, sia focali sia diffuse, spesso non hanno caratteri ecografici specifici e, per questo, la diagnosi richiede il ricorso alla citologia o all’istologia. Le agoaspirazioni e le biopsie possono essere effettuate utilizzando particolari guidapunte adattati alla sonda o “a mano libera”: nel primo caso, l’ago effettua un percorso obbligato ma sempre visibile nel campo di vista; nel secondo caso, vi è una maggiore libertà di movimento tra sonda e ago, ma spesso l’ago non è visibile nel piano di scansione. In effetti, la prima opzione è più costosa e presenta dei limiti dovuti all’ingombro del guida-punte ma, d’altro canto, è più facile e non richiede particolare esperienza per la sua esecuzione. La tecnica “a mano libera”, invece, è più economica e versatile ma richiede una maggiore esperienza da parte dell’operatore. Quando si utilizzano aghi sottili non associati ad aspirazione e il materiale cellulare viene prelevato mediante infissione dell’ago, nel cui lume le cellule passano per capillarità o per diapedesi, si usa il termine di “agoinfissione”. Possono essere utilizzati aghi sottili o aghi trancianti (il tipo più diffuso è quello con punta “tru-cut”): con i primi, dato che vengono raccolte poche cellule, può essere allestito un esame citologico; con i secondi, dato che viene prelevata una “carota” o, 46 comunque, un frustolo consistente di tessuto, si possono effettuare degli esami istologici. Nell’esecuzione di manovre interventistiche ecoguidate sul fegato, è sempre opportuno controllare l’ematocrito e i parametri della coagulazione (almeno il tempo di Quick, detto di protrombina, e il tempo di tromboplastina parziale attivata): se l’emostasi si rivelasse alterata, è consigliabile rimandare la procedura dopo un periodo di alcuni giorni di somministrazione di 5-10 mg/kg di vitamina K. L’agoinfissione o agoaspirazione con ago sottile sono metodiche estremamente sicure perché poco traumatiche e, quindi, miniinvasive. Per ottenere un campione ottimale, è preferibile utilizzare aghi molto sottili, da 27 a 22 G, ed effettuare più movimenti di “va e vieni” intralesionali (almeno 3 o 4): in questo modo, si ottiene una minima contaminazione ematica soprattutto se non viene esercitata l’aspirazione. La valutazione Doppler del tessuto da campionare non è indispensabile, ma può aiutare ad identificare i vasi presenti intorno o dentro al “bersaglio” e a controllare eventuali emorragie post-procedura. Quando si è in presenza di patologie diffuse, è consigliabile effettuare più prelievi da più siti meglio, se possibile, da tutti i lobi epatici. In caso di lesione diffusa o, comunque, di grandi dimensioni, di facile aggredibilità e in soggetti particolarmente collaborativi, l’agoaspirazione e l’agoinfissione non richiedono alcun contenimento farmacologico. Nel caso, invece, di animali irrequieti, di lesioni localizzate in posizioni “difficili” e, quindi, potenzialmente pericolose (ad esempio, nei pressi della colecisti o della vena cava caudale) o di piccole dimensioni, è necessario ricorrere alla sedazione o alla narcosi del paziente. 47 L’agoaspirazione e l’agoinfissione, come abbiamo detto, hanno il grande vantaggio di essere poco traumatiche e, pertanto, presentano pochi rischi e poche controindicazioni, però, esse consentono solo lo studio degli epatociti, normali o patologici, e non quello dell’architettura epatica. Questo riduce la specificità della manovra sebbene, grazie alla guida fornita in tempo reale dall’ecografia, sia possibile aumentare l’accuratezza dei prelievi mediante agoaspirazione. Secondo uno studio condotto su 110 prelievi (Hager et al., 1985), nel quale si effettuava un confronto tra le diagnosi ottenute mediante agoaspirazione e quelle mediante biopsia, una corretta diagnosi è stata possibile in più del 90% dei casi, qualunque fosse stata la tecnica di prelievo impiegata. Tuttavia, è riportato che si possono avere diagnosi dubbie tra ematoma, emangiosarcoma ed emangioma, o tra iperplasia nodulare e adenoma, o, addirittura, carcinoma epatocellulare, quando i prelievi sono quantitativamente limitati, come è spesso il caso delle agoaspirazioni (Lamb, 1991). La metodica di esecuzione della biopsia con aghi trancianti è pressoché sovrapponibile alla precedente. In questo caso, dato il maggiore diametro degli aghi utilizzati (da 18 a 14 G), la procedura è, teoricamente, più traumatizzante delle manovre di agoaspirazione e agoinfissione, soprattuto se si utilizzano aghi con meccanismo di prelievo della “carota” manuale e non automatico o semi-automatico. Quindi, è necessario ricorrere o, almeno, ad un’anestesia locale, che permetta di praticare una piccola incisione cutanea, o, più spesso, ad una sedazione profonda o ad un’anestesia generale, quando le difficoltà della procedura richiedono una maggiore immobilità del paziente. La biopsia epatica ecoguidata è controindicata quando sono presenti disordini dell’emostasi, dilatazione delle vene e/o delle vie biliari intra- o extra-epatiche. L’ascite non rappresenta una reale controindicazione 48 ma rende più difficile la metodica per la maggiore mobilità dei lobi nel versamento (Barr, 1995) ed, inoltre, allunga i tempi di emostasi. Le complicanze delle procedure di agoaspirazione/agoinfissione e di biopsia ecoguidata comprendono l’emorragia, la rottura delle vie biliari con peritonite secondaria e la diffusione di cellule neoplastiche nella cavità peritoneale (Leveille et al., 1993; Nyland et al., 1995). Vari studi condotti su campioni piuttosto vasti di cani o gatti sottoposti a procedure interventistiche, hanno dimostrato che le complicanze più frequenti sono quelle cosiddette minori (emorragie intraparenchimali di grado moderato) rispetto a quelle maggiori (emorragie gravi, peritonite, diffusioni metastatiche) (Leveille et al., 1993; Nyland et al., 1995). Per accrescere la sicurezza della procedura e per escludere la presenza di eventuali sanguinamenti di piccola entità ma persistenti, si consiglia di tenere sotto osservazione il paziente, mediante controlli ecografici ripetuti del punto di prelievo, nelle 4 ore successive alla manovra (Partington, Biller, 1996). 49 Mezzi di contrasto nell’esame ecografico del fegato I mezzi di contrasto e l’uso delle armoniche rappresentano delle innovazioni dell’Imaging ecografico che sono già discretamente diffuse in campo umano ma che sono ancora ai loro primi passi in campo veterinario (Nyman et al., 2005; Schärz et al., 2005). Grazie alla loro introduzione è stato possibile non solo evidenziare meglio le lesioni epatiche che all’esame convenzionale appaiono isoecogene al parenchima sano, ma anche avere informazioni sull’architettura vascolare delle lesioni, utili per la caratterizzazione della benignità o della malignità. I primi mezzo di contrasto ecografici erano costituiti da microbolle aeree che si venivano a creare durante le fasi di inoculazione per fenomeni di gavitazione e di agitazione. Successivamente, per superare la naturale instabilità delle bolle aeree, si è racchiuso il gas in microcapsule e, a seconda del tipo di involucro, si distinguono mdc di 1a e di 2a generazione. I mezzi di contrasto di 1a generazione hanno un rivestimento rigido che amplifica il segnale ma non lo modifica e l’insonazione porta alla rottura delle bolle. Quelli di 2a generazione hanno, invece, una capsula molto soffice di fosfolipidi e, grazie a questa caratteristica, quando le microbolle vengono investite dagli ultrasuoni, sono in grado di oscillare generando onde riflesse che vibrano a frequenze multiple rispetto a quella di insonazione (1a armonica: frequenza doppia; 2a armonica: frequenza tripla; etc.). Grazie a sonde dedicate, è possibile, in ricezione, distinguere gli echi provenienti dal mdc da quelli di origine tissutale. I mdc vengono iniettati per via endovenosa e, attraverso il circolo sanguigno, arrivano ai tessuti da esplorare e li impregnano in modo diverso a secondo del tipo di architettura vascolare, fisiologica, nel caso di tessuti normali, o patologica nel caso di 50 lesioni. Si descrivono tre fasi, una arteriosa, una venosa ed una portale: la prima dura poco meno di 40-50 secondi; la seconda fino a 3-4 minuti. La differente composizione della parte arteriosa, venosa e/o portale delle lesioni, benigne o maligne, permette di identificarne la natura distinguendole e caratterizzandole con estrema affidabilità e accuratezza. Qui di seguito, si accenna ai comportamenti di wash-in e wash-out delle principali lesioni epatiche L’angioma epatico, lesione benigna primitiva, all'ecografia con mdc mostra tipicamente una progressiva tendenza al riempimento dalla periferia al centro della lesione durante la fase portale, fino a divenire intensamente contrastata rispetto al circostante tessuto e mantenere tale contrasto più a lungo dei tessuti sani. Gli adenomi e i noduli di iperplasia, lesioni benigne, in fase arteriosa, come gli epatocarcinomi, presentano un intenso contrast enhancement (dovuto allo sviluppo di una autonoma neoangiogenesi arteriosa), ma al contrario degli epatocarcinomi, essendo conservata la componente vascolare portale, presentano una fase portale normale. L’epatocarcinoma, tumore maligno primitivo, nell’ecografia con mdc presenta una rapidissima e transitoria fase di inteso riempimento (iper enhancement) nella fase arteriosa, dovuto alla spiccata attività neoangiogenetica, un’altrettanto rapida fase venosa di wash-out, mentre la fase portale, a causa della perdita della componente vascolare di tipo portale, manca rendendolo, perciò, facilmente riconoscibile rispetto al parenchima sano circostante. Le metastasi possono avere comportamenti vari, tuttavia, di solito, l'impiego del mdc mette in evidenza una tipica assenza della fase arteriosa di wash-in, al limite sostituita da un’esile impregnazione periferica “ad anello” seguita da una rapida fase 51 venosa, associata anche ad assenza della fase portale, come nel caso degli epatocarcinomi. Nel caso dei linfomi, l’ecografia con mdc mette in evidenza una caratteristica assenza di impregnazione sia in fase arteriosa che portale. 52 Aspetti ecografici normali del fegato Quando si compie un esame ecografico del fegato, devono essere valutati in successione: le dimensioni, i contorni e l’aspetto del parenchima (ecogenicità, ecostruttura); le vie biliari; le dimensioni ed il tragitto dei vasi (rami della vena porta, vene epatiche e sovraepatiche e vena cava caudale). Non va dimenticato che, al fine di escludere altre patologie (surrenaliche, spleniche, gastro-intestinali, pancreatiche, ecc.) eventualmente collegabili con lesioni epatiche, in ogni caso è necessario effettuare un esame ecografico del restante addome. Il fegato è facilmente individuabile per la sua posizione craniale nell’addome e per il fatto che è strettamente addossato al diaframma. Quest’ultimo appare come una linea curva tanto più ecogenica quanto più il fascio ultrasonoro lo interseca perpendicolarmente1. Ventralmente, è presente il legamento falciforme normalmente infiltrato di grasso. Esso è, di solito, differenziabile dal parenchima epatico per la sua trama più grossolana e l’ecogenicità superiore e rappresenta, assieme alla corticale del rene destro e al parenchima splenico, uno dei tessuti di riferimento utilizzati per stabilire l’ecogenicità del parenchima epatico. 1 Ricordiamo, però, che il diaframma sopra descritto viene detto “diaframma ecogenico” che corrisponde all’interfaccia tra pleura viscerale e parenchima polmonare aerato. Il diaframma vero e proprio è normalmente invisibile perché non distinguibile dal parenchiam epatico. Esso diviene visibile solo in caso di versamenti pleurici e peritoneali concomitanti. 53 Il parenchima epatico si caratterizza per un’ecostruttura omogenea, ad ecotessitura di media grana e ecogenicità intermedia risultante dalla combinazione di grasso, connettivo interstiziale, vasi ed epatociti. L’ecogenicità del parenchima epatico è inferiore a quella del legamento falciforme e della milza e leggermente superiore o uguale a quella della corticale renale (Partington, Biller, 1996). Il confronto tra il lobo caudato e la corticale del rene destro, così come tra il lobo quadrato/lobo sinistro mediano e il legamento falciforme, dato l’intimo contatto esistente, è sempre possibile. Il confronto tra la milza e il fegato è più difficile, a volte impossibile, per la posizione assunta dagli organi nell’addome. La visualizzazione contemporanea della testa della milza e dei lobi sinistri del fegato può avvenire attraverso una finestra acustica laterale sinistra, spesso portata tra gli ultimi spazi intercostali. Va, comunque, ricordato che un’ecogenicità normale del parenchima epatico non significa assoluta assenza di lesioni: nei casi dubbi, solo i prelievi di materiale biologico possono escludere o includere con certezza una patologia (Lamb, 1991). Ad eccezione dei casi di ascite, nelle immagini ecografiche i lobi epatici non sono solitamente distinguibili. Essi, tuttavia, in alcuni casi, possono essere apprezzati grazie ai movimenti di scorrimento relativi o alla glissoniana ispessita. Più spesso, invece, i lobi si riconoscono grazie ai rapporti anatomici: lobi sinistri/fondo gastrico, lobi destri/antro pilorico e duodeno, lobo caudato/ rene destro, lobo quadrato/colecisti. Sono stati eseguiti molti studi per definire le dimensioni epatiche e lo standard di normalità. Grazie a questi studi si è stabilito che il sesso non influenza le 54 dimensioni del fegato, contrariamente al peso corporeo e alla conformazione del cane (le misure epatiche si sono rilevate maggiori nei cani a torace stretto e profondo che in quelli a torace largo). Purtroppo, ad oggi, non è stato proposto alcun metodo di misurazione accettabile, a causa dell’assenza di correlazione tra le misure lineari ed il volume epatico. Per valutare le dimensioni epatiche in maniera rapida ed oggettiva, il metodo più semplice consiste probabilmente nell’utilizzo dell’esame radiografico. Ecograficamente, la valutazione delle dimensioni epatiche è soggettiva e dipende, quindi, dal grado di esperienza dell’operatore. Esistono, tuttavia, alcuni criteri per definire ecograficamente le dimensioni del fegato: Aspetto dei margini dei lobi: i margini epatici sono normalmente affilati e con profili regolari. La presenza di margini arrotondati è indice di ipertrofia. Sede: il parenchima epatico normale, in genere, non oltrepassa, i profili costali; sebbene questo criterio sia meno affidabile del precedente, nei soggetti a torace profondo, il debordamento dei lobi epatici è indice di epatomegalia. Rapporto tra lobo caudato e rene destro: si deve sospettare epatomegalia quando questo lobo si estende oltre il terzo craniale del rene destro; nell’immagine, il lobo tende “a mangiarsi” il rene. Rapporto tra lobo sinistro laterale e fondo gastrico: come per il lobo caudato, in caso di epatomegalia, il lobo sinistro laterale tende a superare, ventralmente, il fondo gastrico, portandosi più caudalmente. 55 Distanza tra lo stomaco ed il diaframma: in caso di epatomegalia, tale distanza tende ad aumentare. Purtroppo non esistono dei parametri di riferimento. Orientamento del fascio ultrasonoro: la difficoltà a visualizzare il fegato associata anche all’esigenza di orientare il fascio ultrasonoro in modo quasi orizzontale o di utilizzare un approccio intercostale testimoniano la presenza di microepatia (Wrigley, 1985). Vie biliari Nel cane, normalmente, del sistema biliare è possibile apprezzare solo la colecisti e, in soggetti particolari, l’ultimo tratto del coledoco. Le dimensioni della colecisti sono maggiori quando l’animale è a digiuno. La colecisti può considerarsi sovradistesa se raggiunge il diaframma cranialmente. Essa è facilmente identificabile sulla destra del piano mediano e ha forma di pera in sezione longitudinale o rotonda-ovalare in sezione trasversale. Normalmente, la sua parete è sottile e regolare e non è visibile se non dove gli ultrasuoni la intersecano perpendicolarmente. In caso di microepatia o di meteorismo gastro-intestinale, per osservare la colecisti è necessario l’approccio intercostale destro. La bile contenuta nella colecisti è normalmente priva di echi. La presenza di sedimento biliare ecogeno (il cosiddetto “fango”) si può evidenziare in seguito ad anoressia o digiuno prolungato, sebbene, spesso, nei soggetti anziani questo rilievo sia di frequente riscontro senza che possa essere associato ad alcuna causa o sintomo (Nyland et al., 1995). La colecisti è spesso oggetto del cosiddetto “artefatto a specchio” 56 per cui si visualizza sia da una parte che dall’altra del diaframma. L’anomalia congenita della doppia colecisti si distingue facilmente da tale artefatto poiché in questo caso le due vescicole sono entrambe dalla stessa parte del diaframma (Partington, Biller, 1996). Distalmente alla colecisti, il parenchima epatico appare più ecogenico che nei settori limitrofi a causa di un altro artefatto detto del “rinforzo di parete posteriore”. Vasi Nell’ambito del parenchima epatico, le strutture vascolari normalmente visibili con l’ecografia sono i rami della vena porta, le vene epatiche e sovraepatiche e la vena cava. L’albero arterioso non è normalmente visibile. È possibile evidenziarlo con il Doppler. Nelle immagini ecografiche, le strutture vascolari appaiono come strutture anecogene rotonde/ovalari, se in scansione trasversale, o nastriformi e rastremate, se in scansione longitudinale. I rami portali prendono origine dalla vena porta a livello dell’ilo epatico e si distinguono dalle vene epatiche per la presenza di una parete iperecogena: questa pseudo-immagine di parete deriva dalla presenza di grasso, nonché dei nervi, delle vie biliari e delle arterie, perifericamente ai rami portali. Le vene epatiche sono caratterizzate dal contenuto anecogeno e dall’assenza di pareti. Le vene epatiche confluiscono in 2 o 3 grandi vene sovraepatiche, poste cranialmente e dorsalmente nel parenchima epatico, poco prima di sboccare nella vena cava caudale. La vena cava caudale è posta dorsalmente al lobo caudato ed ai lobi di destra. Il suo diametro può essere influenzato sia dalle compressioni esercitate con la 57 sonda sulla parete addominale, sia dagli atti respiratori (si riduce durante l’inspirazione, aumenta durante l’espirazione). Questa variabilità di diametro non è presente in caso di ipertensione venosa sistemica. 58 Quadri ecografici patologici del fegato Le lesioni epatiche vengono classicamente distinte in lesioni focali o diffuse. Le lesioni focali si possono presentare sotto forma di lesione singola o di lesioni multiple, più o meno ben delimitate dal parenchima circostante. Le lesioni focali possono avere dimensioni variabili da pochi millimetri (noduli) a parecchi centimetri (lesione “a massa”). In quest’ultimo caso, può essere evidente il cosiddetto “effetto massa” che si estrinseca con la deformazione dei profili capsulari dell’organo e la compressione e la deviazione dei vasi periferici. Oltre a ciò, le lesioni focali sono solitamente riconoscibili anche grazie alle modificazioni del normale pattern del parenchima epatico, che può diventare ipo- o iperecogeno in maniera omogenea o disomogenea, o anche per la presenza di una capsula limitante o di un alone ipoecogeno. Le lesioni diffuse del parenchima epatico sono più difficili da determinare rispetto quelle focali che, per definizione, si distinguono per essere circondate da tessuto normale. Esse possono essere classificate in funzione delle alterazioni delle dimensioni (epatomegalia, microepatia) e della ecogenicità (aumentata o diminuita) che possono determinare. Come indicato precedentemente, i criteri di valutazione delle dimensioni del fegato includono l’aspetto dei margini lobari (più o meno arrotondati), il rapporto del lobo caudato con il rene destro e quelli del lobo sinistro laterale ed il fondo gastrico, la distanza tra stomaco e diaframma e, infine, l’orientamento del fascio ultrasonoro oltre che la facilità di visualizzare il fegato stesso. 59 Figura 10- Epatite: è presente epatomegalia, il lobo caudato circonda il rene destro, nonché iperecogenicità diffusa, il parenchima epatico è iperecogeno rispetto alla corticale renale. La patologia epatica è testimoniata anche dalla presenza di un versamento peritoneale. L’ecogenicità deve essere valutata attraverso il confronto con il parenchima degli organi e dei tessuti adiacenti, corticale renale destra, grasso del legamento falciforme e milza. Il parenchima si considera iperecogeno quando la sua ecogenicità è superiore o simile a quella del legamento falciforme o della milza e ipoecogeno quando l’ecogenicità è inferiore a quella della corticale renale destra. In caso di lesioni diffuse omogenee, possono non essere evidenti modificazioni delle dimensioni o dell’ecogenicità. Se, tuttavia, sono presenti alterazioni del quadro clinico e biochimico, la conferma diagnostica può aversi solo dopo un’eventuale biopsia. È, comunque, improbabile che le patologie 60 epatiche possano dare alterazioni dei profili biochimici non accompagnate da evidenti modificazioni ecografiche. I criteri generali per la valutazione del parenchima epatico aiutano a riconoscere, in genere, molto precocemente le alterazioni. La sensibilità dell’ecografia nell’individuare alterazioni patologiche è molto elevata e pari ad altre tecniche di Imaging più avanzate (Poulsen Nautrup, Tobias, 1998). Tuttavia, questa elevata sensibilità non si accompagna ad altrettanto elevata specificità. Un particolare aspetto ecografico non permette di fare una diagnosi differenziale fra una lesione non neoplastica ed una neoplasia, oppure tra una lesione benigna ed una maligna: soltanto l’esame istologico o citologico di materiale prelevato direttamente dalla lesione è in grado di stabilire la diagnosi precisa. Comunque, nonostante il basso grado di specificità dell’esame ecografico, è pur sempre possibile ritrovare nelle varie patologie epatiche dei quadri abbastanza caratteristici la cui descrizione può ritenersi utile almeno per emettere una diagnosi di sospetto. Pertanto, qui di seguito, vengono esposti i quadri ecografici delle principali patologie, anche di quelle non neoplastiche, che possono interessare il fegato. La steatosi epatica è l’alterazione caratterizzata dal deposito di trigliceridi in forma vacuolare nel citoplasma degli epatociti. L’eziologia è la più varia: diabete mellito, obesità, dislipidemie, malnutrizione, gravidanza e uso cronico di farmaci, in particolare i cortisonici. Il volume del fegato risulta più o meno aumentato, in relazione alla diversa condizione di gravità, e con bordi arrotondati. All’esame ecografico il parenchima si presenta diffusamente 61 iperecogeno (Biller, 1992). L’ecogenicità può risultare perfino superiore a quella del grasso del legamento falciforme. L’alterazione è solitamente diffusa e riguarda tutto l’organo, ma, in alcuni casi, può anche apparire come forma circoscritta, interessando uno o più lobi epatici adiacenti, o parte dei lobi stessi (Armstrong, 1994). Le zone interessate appaiono iperecogene e circondate da parenchima ad ecogenicità minore: si configura in questo modo un aspetto “a carta geografica”. Le epatiti sono processi infiammatori diffusi del parenchima epatico, caratterizzati da degenerazione epatocitaria, necrosi cellulare ed infiltrazione flogistica. La necrosi epatocitaria è evento irreversibile, che riconosce l’eziologia più varia, a cui fa seguito una risposta immunitaria. Le cause includono agenti chimici, parassitari, infettivi virali o batterici, anossia, carenze nutrizionali e disturbi immunomediati. Le epatiti possono essere suddivise in acute e croniche, a seconda del periodo di insorgenza e della persistenza. In medicina umana vengono definite croniche le epatiti di durata superiore ai 6 mesi. La sola indagine ecografica non permette di formulare la diagnosi di epatite acuta, in quanto non esistono pattern caratteristici: il fegato può apparire di volume normale, i bordi epatici leggermente arrotondati. In questo caso vengono in supporto la sintomatologia clinica e le indagini di laboratorio. In alcuni casi, la colecisti può presentare edema della parete che, quindi, è ispessita e appare sdoppiata ed, inoltre, può essere presente linfoadenomegalia dei linfonodi epatici portali. Nei casi più gravi e di più lunga durata, quando la fibrosi diventa notevole, l’ecostruttura del parenchima si caratterizza con echi grossolani di maggiore luminosità, fino ad arrivare, nelle forme croniche, ad 62 alterazioni dell’ecostruttura, che risulta disomogenea e più addensata con iperecogenicità diffusa (Thornburg, 1988). L’ecostruttura sgranata con echi eterogenei distribuiti in modo non uniforme è correlata alla fibrosi epatica finale. La cirrosi è un’alterazione irreversibile della struttura del parenchima epatico caratterizzata dalla presenza di fibrosi diffusa e di noduli di rigenerazione. I processi di fibrosi sono una conseguenza dell’infiammazione e dei danni subiti dal parenchima epatico. Nella fibrosi si ha un incremento della quota di collagene e di altri elementi del connettivo extracellulare. In relazione alla grandezza dei noduli si possono avere: cirrosi micro nodulare (noduli < 3 mm); macronodulare (noduli > 3 mm) e cirrosi mista (noduli di diametro variabile) (Hoover et al., 1989). Da un punto di vista morfologico, i cambiamenti che insorgono in un fegato affetto da cirrosi sono: comparsa di irregolarità dei profili capsulari visibili come una linea iperecogena non uniforme, a volte quasi discontinua, soprattutto nelle forme micronodulari; ecostruttura parenchimale diffusamente alterata dalla presenza di numerosi noduli di rigenerazione (ipo-iso-iperecogeni); nelle fasi terminali della degenerazione, dimensioni epatiche nettamente diminuite; alterazioni delle strutture vascolari intraparenchimali, con comparsa di microshunt e ridotta visualizzazione dei vasi portali ed epatici (Di Lelio et al., 1989). 63 Le cisti epatiche appaiono come formazioni rotondeggianti, singole o multiple, a contenuto completamente anecogeno, a margini regolari, prive di parete visibile o delimitate da una fine linea ecogena. Le cisti sono caratterizzate da forte rinforzo di parete posteriore, a causa del loro contenuto liquido. Possono essere congenite, riconducibili a cause genetiche, o acquisite, secondarie a parassitosi o post-traumatiche. In genere, le cisti sono asintomatiche e rappresentano un reperto occasionale. L’adenoma (epatoma), più spesso riscontrato nei lobi epatici di sinistra (Penninck, 1995), di solito si presenta come nodulo o massa relativamente omogeneo, lievemente iperecogeno o anche isoecogeno rispetto al parenchima circostante e, quindi, difficilmente differenziabile. Purtroppo, l’aspetto dell’adenoma è spesso completamente differente: omogeneo ipoecogeno o disomogeneo, con aree ipoecogene e anecogene. 64 Figura 11- Epatoma: massa iso-ipoecogena al lobo sinistro mediano (frecce). L’angioma può apparire come nodulo singolo o multiplo, tipicamente di forma sferica a sede perivascolare ed ecostruttura iperecogena, senza alone periferico e, a volte, con lieve rinforzo di parete. Gli angiomi di dimensioni superiori a 4 cm, a causa dei concomitanti fenomeni necrotico emorragici, hanno un aspetto ecografico più complesso, ad ecogenicità mista, con aree cistiche e/o setti e profili irregolari o lobulati. Lo studio con il color Doppler o il power Doppler non evidenzia vascolarizzazione all’interno dell’angioma, caratteristica che lo distingue da altre lesioni focali maligne, quali i carcinomi, primari o secondari, con i quali deve porsi la diagnosi differenziale. 65 Figura 12- Angioma epatico: lesione nodulare iperecogena. Il carcinoma epatocellulare, pur essendo una forma rara, è il tumore epatico maligno primitivo di più frequente riscontro nel cane. L’aspetto ecografico è molto variabile sia dal punto di vista dell’ecogenicità che dell’ecostruttura, sia del numero che della forma delle lesioni. L’aspetto più frequente è quello di una lesione “a massa” unica iperecogena (Whiteley et al., 1989). Nelle forme nodulari, questi possono presentarsi come ipoecogeni, isoecogeni, iperecogeni o ad ecostruttura mista. Il pattern ipoecogeno sembra derivare dalla presenza nel nodulo di massa cellulare pura, con scarso tessuto connettivo e scarsi depositi lipidici. 66 Figura 13- Epatocarcinoma. Lesione diffusa iperecogena con centro ipoecogeno (frecce): i limiti della lesione sono difficili da individuare a causa del coinvolgimento lobare. Figura 14- Epatocarcinoma epatocellulare. Vascolarizzazione ―a canestro‖ intorno alla massa. 67 Il pattern iperecogeno, invece, si manifesta se sono presenti abbondanti depositi di lipidi nelle cellule neoplastiche e scarso sviluppo dei sinusoidi. La vascolarizzazione del o dei noduli dell’epatocarcinoma è prevalentemente di tipo arterioso, con drenaggio venoso misto. Con il color Doppler è possibile evidenziare un pattern “a canestro” (vasi che circondano la lesione) oppure uno di vascolarizzazione intranodale. La presenza di flussi pulsatili intranodali è considerata segno di vascolarizzazione neoplastica (Lamb, 1990). Figura 15- Epatocarcinoma: lesione ―a massa‖ disomogenea per la presenza di nodulazioni iperecogene. 68 Il colangiocarcinoma ecograficamente può presentarsi sotto forma di noduli periferici di diametro inferiore ai 3 mm, solitamente, ipoecogeni, oppure sotto forma di noduli di diametro maggiore con aspetto ecografico variabile; nelle forme ilari e duttali è presente la capsula iperecogena circoscrivente. Figura 16 – Scansione longitudinale parasagittale sui lobi epatici di sinistra. Colangiocarcinoma: lesione ―massiva‖ con profili bozzoluti, moderatamente disomogenea e con alone periferico (frecce). L’adenocarcinoma biliare si manifesta spesso per la presenza di aree anecogene o ipoecogene visibili in seno al parenchima epatico (Penninck, Haroutunian, 1985). 69 L’emangiosarcoma si presenta come una massa voluminosa ad ecostruttura complessa e disomogenea con lacune ipoecogene, con spessa capsula iperecogena o con margini infiltrati. Figura 17 A- Emangiosarcoma della milza. 70 Figura 17 B- Metastasi epatica dell’emangiosarcoma splenico visualizzato nell’immagine precedente: un nodulo ipoecogeno è presente nel lobo sinistro medio. Il linfoma epatico primario è raro. Più spesso, il coinvolgimento epatico fa parte di un disordine multicentrico. Il sospetto diagnostico di linfoma sarà accresciuto se, contemporaneamente, è presente linfoadenomegalia dei linfonodi regionali o se si evidenziano lesioni simili in altri organi (milza e rene). In caso di linfoma epatico, si possono avere sia forme diffuse sia focali. Conseguentemente, si hanno due pattern ecografici distinti: la forma diffusa è caratterizzata da epatomegalia; l’ecostruttura del parenchima può essere da normale ad alterata, con pattern più sgranato o disomogeneo, e la sua ecogenicità variare da ipo- ad iperecogena, riduzione del letto vascolare venoso portale ed epatico e arrotondamento dei bordi epatici come conseguenza dell’epatomegalia. 71 le forme focali sono caratterizzate da lesioni nodulari, di dimensioni, ecogenicità ed ecostruttura variabile; le forme più frequenti sono quelle con noduli ipoecogeni ed omogenei, ma, altrettanto frequenti sono le forme con noduli iperecogeni, anecogeni similcistici o con centro iperecogeno (aspetto “a bersaglio”). I linfonodi portali, in corso di linfoma, risultano particolarmente ingranditi, rotondeggianti, ipoecogeni, a volte con rinforzo di parete posteriore, e molto vascolarizzati. Figura 18 - Linfoma epatico: nel parenchima sono presenti multiple nodulazioni ipoecogene (frecce). 72 Figura 19- Metastasi mastocitoma: sono presenti multiple piccole nodulazioni ipoecogene con ―core‖ iperecogeno (―aspetto a bersaglio‖) (frecce). Per quanto riguarda le neoplasie secondarie, il fegato è frequentemente interessato da metastasi di tumori originati da altri organi. L’aspetto ecografico è quanto mai vario, sia per la forma sia per il pattern. La forma dipende soprattutto dalle dimensioni: più le lesioni sono piccole, più sono rotondeggianti. Le metastasi epatiche possono presentarsi sotto forma di lesioni nodulari multiple, sebbene, occasionalmente, possano presentarsi come massa unica o come un’alterazione epatica diffusa ad ecostruttura eterogenea. Uno dei pattern più caratteristici di malignità è quello di lesione “a bersaglio”, centro iperecogeno con alone ipoecogeno periferico. Questo alone dipende dalla velocità di crescita della lesione: a maggiore velocità, corrisponde alone più marcato (Cuccovillo, Lambs, 2002). 73 L’ecogenicità delle lesioni metastatiche può essere la più varia: l’ipoecogenicità è la più frequente, seguita dall’iperecogenicità, dall’isoecogenicità e dal pattern complesso, dove, cioè, si alternano in maniera irregolare i pattern precedentemente descritti. Le lesioni nodulari possono o meno essere dotate di capsula (Nyman et al., 2004). A volte le lesioni metastatiche hanno un’ecogenicità poco diversa da quella del parenchima normale oppure si presentano sotto forma di un tessuto eterogeneo infiltrante, invadente la quasi totalità del parenchima. In questi casi, l’uso di sonde ad alta frequenza, del color Doppler o, più di recente, dei mezzi di contrasto e delle armoniche, accrescono notevolmente la sensibilità dell’esame. Figura 20- Metastasi adenocarcinoma mammario: lesione ―a massa‖ ipoecogena (frecce). 74 Figura 21- Metastasi carcinoma prostatico: lesioni nodulari iperecogene (frecce). 75 Parte Sperimentale 76 Introduzione alla parte sperimentale Come abbiamo detto nel capitolo relativo alla descrizione dell’esame ecografico, esso rappresenta l’esame di primo livello quando si sospetta una patologia epatica: è estremamente sensibile, non è dannoso, quasi sempre può essere eseguito sul paziente sveglio e, infine, è utile per l’esecuzione di manovre interventistiche per la caratterizzazione delle lesioni stesse. Tuttavia, il limite maggiore dell’ecografia è dato dal suo essere strettamente operatore-dipendente. Perciò, tutte le informazioni in grado di ridurre le valutazioni di tipo soggettivo, inevitabilmente presenti nell’ecografia, rappresentano uno strumento utile per semplificare e rendere più oggettiva l’interpretazione delle immagini. Le misure quantitative sono un esempio di valutazioni oggettive affidabili e riproducibili. Purtroppo, nello studio del fegato sono pochi gli indici morfometrici quantitativi per i quali è stato definito un range di valori normali e quasi tutti relativi alle valutazioni flussimetriche vascolari (Lamb, 2003). L’ecografia con mezzo di contrasto (CEUS = Contrast Enhancement UltraSonography) rappresenta un promettente campo di sviluppo che, però, è ancora poco diffuso in campo veterinario a causa della costosità dei mezzi di contrasto e della necessità di attrezzature specifiche. Le dimensioni totali dell’organo o il grado di distensione della colecisti si basano tuttora su valutazioni soggettive, la cui affidabilità è direttamente proporzionale al grado di esperienza dell’operatore. Quindi, ogni qualvolta si mettono a disposizione degli ecografisti parametri di valutazione comparativa ben codificati, si rende più facile e più oggettiva l’indagine ecografica. Purtroppo, pur affidandosi ad un protocollo d’esame preciso e 77 sistematico, l’esame ecografico del fegato, a causa della complessità e delle dimensioni dell’organo, rimane un’indagine difficile. Pertanto, principale scopo della tesi è stato quello di cercare di evidenziare dei caratteri ecografici comuni ai vari tipi di lesioni neoplastiche e non neoplastiche che potessero aiutare ad identificare, almeno come sospetto diagnostico, le varie patologie. In secondo luogo, si è proceduto ad un confronto tra i dati riportati in letteratura e quelli del nostro campione. A tal fine, è stata effettuata una revisione analitica di tutte le immagini ecografiche relative a soggetti con patologie epatiche di cui si era ottenuta una diagnosi di certezza. 78 Materiali e Metodi E’ stato effettuato uno studio retrospettivo sul database del Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli “ Federico II” relativo al periodo compreso dal gennaio 2001 a gennaio del 2010. Tutti le immagini dell’ecografie di cani che comprendevano l’esame del fegato sono state sottoposte a revisione analitica. Tutti gli esami sono stati eseguiti utilizzando un apparecchio GE Logiq MD400, equipaggiato con sonda microconvex multifrequenza (range 5,5 – 8.5 MHz; frequenza centrale 7 MHz) e sonda lineare multifrequenza (range 8.5 – 13 MHz; frequenza centrale 11 MHz) e provvisto di scheda Doppler (Doppler Pulsato, Color Doppler e Power Doppler) o un apparecchio portatile B/N Mindray 6600 equipaggiato con sonda microconvex multifrequenza (5,5 – 7 – 8.5 MHz) ed una sonda lineare multifrequenza (7,5 – 8,5 – 10 MHz). Di tutti i cani, il cui esame evidenziava la presenza di lesioni epatiche compatibili con neoplasia, sono stati inclusi nel campione solo i soggetti nei quali, successivamente, la diagnosi di neoplasia veniva confermata o esclusa da esami citologici o istologici eseguiti su materiale prelevato con tecnica interventistica ecoassistita, o in corso di chirurgia o, infine, in corso di necroscopia. Tutti gli esami citoistopatologici sono stati effettuati presso il Dipartimento di Anatomia Patologica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli. Di ogni soggetto incluso nello studio sono stati registrati il sesso, l’età (media, minima e massima) e la razza. Di tutti gli esami sono state riviste le registrazioni e riconsiderate analiticamente le immagini relative alle lesioni epatiche. Di queste si considerava la sede, la 79 distribuzione (focali o diffuse), le dimensioni, l’ecogenicità, l’ecostruttura, la presenza o meno di capsula o di alone ipoecogeno periferico e la vascolarizzazione. In tutti i casi, le lesioni epatiche venivano correlate con eventuali altre lesioni localizzate ad altri organi o tessuti. Nella valutazione delle dimensioni delle lesioni focali epatiche si è utilizzata la classificazione proposta da Suter per le lesioni polmonari: miliare fino a 3 mm nodulare da 3 mm a 4 cm massa oltre i 4 cm. 80 Risultati Nel periodo considerato, si sono riscontrati 115 cani con quadri ecografici compatibili con neoplasia epatica. Da questi, sono stati successivamente selezionati 44 soggetti che, incrociando i dati del Centro di Radiologia con quelli della sezione di Anatomia Patologica, avevano una diagnosi di certezza cito-istopatologica. Il campione è risultato composto da 24 maschi e 20 femmine. L’età media dei soggetti era di 10,7 anni (range 2-16 anni). Le razze più colpite sono risultate i Meticci (18), gli Yorkshire Terrier (8), i Siberian Husky (4), i Cocker Spaniel (3), i Boxer (2), i Pitt Bull (2), i Setter Inglesi (2), e 5 razze (Barboncino nano, Collie, Golden Retriever, Maltese e Pinscher nano) rappresentate da un solo soggetto. Il campione è stato, quindi, suddiviso in sottogruppi in considerazione di vari fattori: lesione neoplastica e non neoplastica; lesione neoplastica benigna e maligna; lesione neoplastica primaria e secondaria. Dagli esami cito-istopatologici sono risultate 9 lesioni non neoplastiche e 36 lesioni neoplastiche (un soggetto presentava sia una lesione non neoplastica infiammatoria, una colangite, sia una lesione neoplastica benigna, un epatoma2). Le lesioni non neoplastiche comprendevano: 3 steatosi, 2 epatiti croniche, 2 cirrosi, una colangite e una lesione cistica benigna. I soggetti di questo gruppo erano rappresentati da 5 maschi e 4 femmine, di età media 9,5 anni (range 6-12 2 In considerazione della difficoltà di caratterizzare cito-istologicamente in maniera univoca l’adenoma epatocellulare (epatoma) e l’iperplasia nodulare benigna, i due termini verranno utilizzati come sinonimi. 81 anni), 4 Meticci e 2 Cocker spaniel, un Pittbull, un Setter inglese e uno Yorkshire Terrier (all’interno di questo gruppo, il Cocker affetto da colangite, è stato considerato anche nel gruppo delle lesioni neoplastiche perché presentava anche un epatoma). Il gruppo riferito alle neoplasie, 7 benigne e 29 maligne, comprendeva 20 maschi e 16 femmine. L’età media era di 11 anni (range 2-16 anni). Le razze interessate erano i Meticci (14), gli Yorhshire Terrier (7), i Siberian Husky (4), i Boxer (2), i Cocker Spaniel (2), e 7 razze rappresentate da un solo soggetto ciascuna (Barboncino, Collie, Golden Retriever, Maltese, Pinscher nano, Pittbull e Setter Inglese). Il gruppo delle neoplasie benigne era rappresentato da 6 maschi e 1 femmina. L’età media dei soggetti di questo gruppo era di 11,3 anni (range 8-14 anni) mentre, per quanto riguarda la razza, vi erano 2 Meticci, 2 Cocker Spaniel, 2 Yorkshire Terrier e 1 Pinscher nano. Tutte le lesioni benigne erano primarie: 1 angioma e 6 epatomi (o noduli di iperplasia benigna). 82 Figura 22- Prevalenza delle neoplasie benigne e maligne (n=36). Le neoplasie maligne erano 29: 4 epatocarcinomi, 3 linfomi epatici, 2 colangiocarcinomi, 5 metastasi di carcinoma mammario, 3 metastasi di carcinoma prostatico, 2 metastasi di carcinoma ovarico, 2 metastasi di emangiosarcoma splenico, 2 linfomi intestinali, 1 metastasi di fibrosarcoma della milza, 1 metastasi di carcinoma dei surreni, 1 metastasi di sarcoma dei tessuti molli della coscia, 1 metastasi di Sertolioma, 1 metastasi di mastocitoma e 1 metastasi di carcinoma delle ghiandole salivari (Figura 21). 83 Figura 23- Prevalenza delle neoplasie epatiche maligne primarie e secondarie (n = 29). Figura 24- Frequenza e tipologia delle neoplasie maligne primarie e secondarie (n = 29). 84 Il sottogruppo delle neoplasie maligne primarie comprendeva 9 soggetti, 6 maschi e 3 femmine, con età media di 10,1 anni (range 2-14 anni). Le razze coinvolte erano i Meticci (4), il Boxer (2), il Collie (1), il Siberian Husky (1), lo Yorkshire Terrier (1). I soggetti affetti da neoplasia maligna secondaria erano 20, 8 maschi e 12 femmine con età media di 11,2 anni (range 3-16 anni). Le razze interessate erano i Meticci (8), gli Yorkshire Terrier (4), i Siberian Husky (3), i Barboncini (1), i Golden Retriever (1), i Maltese (1), i Pittbull (1), i Setter Inglese (1). Dall’esame dei caratteri ecografici, le lesioni non neoplastiche si presentavano come lesione focale singola (una cisti anecogena, un nodulo iso-ipoecogeno), come noduli multipli (in un caso come noduli ipo- o iperecogeni ed in un altro come noduli iperecogeni con centro ipoecogeno, senza alone periferico) o, le restanti, come lesioni diffuse. Le lesioni diffuse interessavano tutto il parenchima epatico ed erano quasi tutte iperecogene, ad esclusione di una che risultava iso-iperecogena, avevano un’ecostruttura disomogenea, profili irregolari o bozzoluti senza alone periferico (Tabella 1). 85 Tabella 1– Caratteri ecografici delle lesioni non neoplastiche (n = 9). Ecogenicità Ecostruttura Sede Alone Disomogenea (5) Tutto il fegato (5) No Irregolari (4) Iperecogeno (4) Lesioni diffuse (n = 5) Profili Iso-iperecogeno (1) Bozzoluti (1) Iso-ipoecogeno (1) Regolari (1) Nodulo singolo (n = 2) Omogenea (2) Sinistra (2) No Anecogeno (1) Irregolari (1) Iperecogeno con centro ipoecogeno (1) Noduli multipli (n = 2) Disomogenea (2) Iperecogeno ed ipoecogeno (1) 86 Irregolari (1) Tutto il fegato (2) No Bozzoluti (1) Le lesioni neoplastiche benigne erano 7: 4 a nodulo singolo; 2 a noduli multipli; 1 come massa singola. I noduli singoli (1 iperecogeno, 1 isoecogeno e 2 isoipoecogeni), avevano ecostruttura prevalentemente omogenea, tranne in un caso, profili regolari, presenza o assenza di alone ipoecogeno periferico ed erano localizzati principalmente al lobo epatico di sinistra. Nei due casi con noduli multipli, questi erano iperecogeni o ipoecogeni, con aspetto omogeneo, profili regolari, alone presente o assente e localizzati al lobo di sinistra. L’unica lesione a massa, singola, era iso-ipoecogena, con ecostruttura omogenea, profili regolari, presenza di alone o di capsula e localizzata al lobo epatico di sinistra (Tabella 2). 87 Tabella 2– Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche benigne (n = 7). Ecogenicità Lesioni a massa (n = 1) Iso-ipoecogeno (1) Ecostruttura Sede Alone Profili Sinistra (1) Si (1) Regolari (1) Si (2) Regolari (3) No (2) Irregolari (1) Omogenea (1) Iperecogeno (1) Omogenea (3) Nodulo singolo (n = 4) Sinistra (3) Isoecogeno (1) Disomogenea (1) Destra (1) Iso-ipoecogeno (2) Iperecogeno (1) Noduli multipli (n = 2) Omogenea (2) Ipoecogeno (1) 88 Si (1) Sinistra (2) Regolari (2) No (1) Il gruppo dei tumori maligni primari era costituito da: una lesione diffusa iperecogena (carcinoma epatocellulare) che coinvolgeva tutto il fegato; 5 lesioni a massa (in un caso multiple), ad ecostruttura disomogena, profili bozzoluti, in genere, con apprezzabile alone periferico e localizzazione nei lobi di sinistra; 3 neoplasie a noduli multipli (una iperecogena, una isoecogena, ed una ipoecogena), ad ecostruttura disomogenea e profili bozzoluti, in genere senza apprezzabile alone periferico e localizzate principalmente al lobo sinistro del fegato (Tabella 3). 89 Tabella 3- Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne primarie (n = 9) Ecogenicità Lesioni diffuse (n = 1) Iperecogeno (1) Ecostruttura Sede Tutto il fegato (1) Disomogenea (1) Alone No (1) Profili Non distinguibili (1) Iperecogeno (2) Sinistra (5) Lesioni a massa (n =5) Iso-iperecogeno (2) Si (3) Irregolari (2) No (2) Bozzoluti (3) Disomogenea (5) Ipoecogeno (1) Iperecogeno (1) Noduli multipli (n = 3) Isoecogeno (1) Ipoecogeno (1) 90 Omogenea (1) Tutto il fegato (2) Si (1) Regolari (1) Disomogenea (2) Sinistra (1) No (2) Bozzoluti (2) Le lesioni maligne secondarie erano 20, 2 come lesioni diffuse, 4 a massa unica, e 14 a noduli multipli. Le lesioni diffuse (una iperecogena, e una a “complex mass”) erano disomogenee ed irregolari e interessavano tutto il parenchima epatico. Le masse (due iso-iperecogene, una iperecogena, ed una a “complex mass”) avevano ecostruttura disomogenea, in genere profili irregolari e presenza di alone, e localizzazione principalmente al lobo epatico di sinistra. Infine, le lesioni nodulari multiple, in 3 casi noduli iperecogeni, in 4 isoipoecogeni, in 4 casi noduli ipoecogeni, 1 risultava essere a “complex mass”, 1 era iso-iperecogeno ed 1 ipoecogeno e a bersaglio, avevano ecostruttura disomogenea, profili irregolari, presenza o assenza di alone periferico e localizzazione prevalentemente al lobo di sinistra (Tabella 4). 91 Tabella 4- Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne secondarie (n = 20). Ecogenicità Lesioni diffuse (n = 2) Ecostruttura Alone Iperecogeno (1) Complex-mass (1) Disomogenea (2) Iso-iperecogeno (2) Tutto il fegato (2) Profili Si (1) No (1) Irregolari (2) Irregolari (3) Iperecogeno (1) Lesione a massa (4) Sede Sinistra (3) Disomogenea (4) Complex-mass (1) Si (3) No (1) Bozzoluti (1) Si (7) Regolari (2) No (7) Irregolari (8) Destra (1) Iperecogeno (3) Iso-iperecogeno (1) Iso-ipoecogeno (4) Noduli multipli (n = 14) Ipoecogeno (4) Ipoecogeno e a bersaglio (1) Complex Mass (1) 92 Omogenea (1) Disomogenea (13) (in due casi anche “a nido d’ape” o “a bersaglio” Lobi sinistra e destra (4) Sinistra (10) Bozzoluti (4) Considerando le lesioni sulla base della loro diagnosi cito-istopatologica, nel caso delle patologie non neoplastiche si può affermare che le infiammazioni (epatiti e colangiti) interessavano tutto l’organo e avevano un pattern moderatamente disomogeneo iperecogeno. Le steatosi e le cirrosi hanno presentato quadri più complessi (Tabella 5). Per quanto riguarda le lesioni neoplastiche benigne, gli epatomi, che rappresentavano la quasi totalità dei casi (6 su 7), sebbene variando di dimensioni e di numero, avevano sempre una distribuzione focale, da lesione singola “a massa” a lesione nodulare, prevalentemente nei lobi di sinistra, spesso con presenza di alone ipoecogeno periferico ed ecostruttura solitamente omogenea, iso-ipoecogena. L’unico caso di emangioma mostrava caratteri ecostrutturali compatibili con quelli descritti in letteratura, soprattutto umana, cioè di lesione nodulare iperecogena singola perivascolare senza alone periferico (Tabella 6). 93 Tabella 5- Caratteri ecografici delle lesioni non neoplastiche in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 9). Distribuzione Ecogenicità Ecostruttura Sede Alone Profili Lesioni diffuse Iperecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Irregolari Lesioni diffuse Iperecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Irregolari Lesioni diffuse Iperecogeno Tutto il fegato No Irregolari Omogenea Sinistra No Regolari Disomogenea Tutto il fegato No Irregolari 75/2005 Epatite cronica 427/2007 Epatite cronica Reticolare 1169/ 2005 Colangite Disomogenea 144/2010 Cisti Nodulo singolo 104/2008 Steatosi Noduli multipli Anecogeno Iperecogeno con centro ipoecogeno 834/2008 Nodulo Nodulo singolo Iso-ipoecogeno Omogenea Sinistra No Irregolari 1171/2008 Steatosi Lesioni diffuse Iperecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Irregolari 56/2008 Cirrosi Lesioni diffuse Iso-iperecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Bozzoluti 19/2010 Cirrosi Noduli multipli Disomogenea Tutto il fegato No Bozzoluti staetosico Iperecogeno ed ipoecogeno 94 Tabella 6 – Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche benigne in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 7). Distribuzione Ecogenicità Ecostruttura Sede Alone Profili 879/2006 Angioma Nodulo singolo Iperecogeno Omogenea Sinistra No Regolari 136/2002 Epatoma Noduli multipli Iperecogeno Omogenea Sinistra Si Regolari 1169/2005 Epatoma Noduli multipli Ipoecogeno Omogenea Sinistra No Regolari 398/2007 Epatoma Lesioni a massa Iso-ipoecogeno Omogenea Sinistra Si Regolari 1032/2009 Epatoma Nodulo singolo Iso-ipoecogeno Omogenea Sinistra Si Regolari 193/2010 Epatoma Nodulo singolo Iso-ipoecogeno Disomogenea Destra Si Irregolari 518/210 Epatoma Nodulo singolo Isoecogeno Omogenea Sinistra No Regolari 95 Le lesioni maligne primarie, nella nostra casistica, erano rappresentate essenzialmente da carcinomi (4 epatocarcinomi e 2 colangiocarcinomi) e da linfomi (3 casi). I primi tendevano ad avere un comportamento variabile per quanto riguarda la distribuzione, sebbene erano prevalenti le lesioni a massa (4 su 6), con ecostruttura disomogenea ma in nessun caso “a complex mass”, profili bozzoluti e con o senza alone periferico. I linfomi primari epatici, invece, sebbene presentassero, come i carcinomi, localizzazione prevalentemente a sinistra, mostravano caratteri ecografici più variabili: distribuzione “a massa” o a noduli multipli, ecogenicità da ipo a iperecogena, pattern omogeneo o disomogeneo, alone periferico presente o non presente (Tabella 7). Nel caso delle lesioni maligne secondarie si sono avuti quadri diversi a seconda del tipo di tumore di partenza ma, come ovvio, una netta prevalenza della distribuzione nodulare multipla. Le metastasi da sarcomi (2 emangiosarcomi della milza, 1 fibrosarcoma della milza e 1 sarcoma dei tessuti molli della coscia) avevano un pattern disomogeneo, a volte complesso, con o senza alone periferico e prevalente localizzazione a sinistra (Tabella 8). I due linfomi secondari hanno avuto un comportamento simile per alcuni caratteri, quali ad esempio l’ecogenicità, in ambedue i casi aumentata, l’ecotessitura disomogena e la localizzazione sempre coinvolgente la parte sinistra dell’organo. Tuttavia, la distribuzione poteva essere infiltrante/diffusa o “a massa” e l’alone poteva o non poteva esserci (Tabella 8). 96 L’unico caso di metastasi di mastocitoma si presentava come noduli ipoecogeni con centro iperecogeno, aspetto “a bersaglio” tipicamente descritto in letteratura per le lesioni epatiche dei tumori a cellule tonde, quali linfomi e, appunto, mastocitomi (Tabella 8). I carcinomi derivanti dagli organi della sfera sessuale sono stati considerati separatamente nei due generi: nei maschi prevalevano (3 su 4) le metastasi da adenocarcinoma prostatico, tutte distribuite nei lobi di sinistra, solitamente a noduli multipli, più spesso iperecogeni, in un solo caso iso-ipoecogeni, con o senza alone periferico; nelle femmine, i 2 casi di metastasi da carcinomi ovarici davano lesioni multiple, “a massa”, con alone ipoecogeno periferico, iperecogene o di tipo complesso, localizzate o a sinistra o nel lobo caudato, mentre, le metastasi da adenocarcinoma mammario (5 casi, ovvero il gruppo più consistente del campione) avevano una distribuzione a noduli multipli, solitamente ipoecogeni o isoecogeni, più di frequente localizzati a sinistra, con o senza alone periferico (Tabella 8). I rimanenti due casi di metastasi da carcinoma, uno secondario a carcinoma del surrene sinistro e l’altro a carcinoma delle ghiandole salivari, avevano ambedue una distribuzione nodulare multipla, sia ai lobi di sinistra sia a quelli di destra, in un caso iperecogeni e nell’altro, quello del carcinoma del surrene, ipoecogeni, a volte con aspetto “a bersaglio”, e con presenza o meno di alone (Tabella 8). 97 Tabella 7- Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne primarie in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 9). Distribuzione Ecogenicità Ecostruttura Sede Alone Profili Lesioni diffuse Iperecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Non distinguibili 547/2005 Epatocarcinoma Noduli multipli Isoecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Bozzoluti 1224/2006 Epatocarcinoma Lesioni a massa Iperecogeno Disomogenea Sinistra Si Bozzoluti 136/2009 Epatocarcinoma Lesioni a massa Iperecogeno Disomogenea Sinistra Si Bozzoluti Lesioni a massa Iso-iperecogeno Disomogenea Sinistra Si Bozzoluti Lesioni a massa Iso-iperecogeno Disomogenea Sinistra No Irregolari 275/2006 Linfoma Noduli multipli Ipoecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Bozzoluti 293/2009 Linfoma Noduli multipli Iperecogeno Omogenea Sinistra Si Regolari 294/2009 Linfoma Lesioni a massa Ipoecogeno Disomogenea Sinistra No Irregolari 216/2002 Epatocarcinoma 310/2008 Colangiocarcinoma 1204/2009 Colangiocarcinoma 98 Tabella 8– Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne secondarie in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 20). Distribuzione Ecogenicita’ Ecostruttura Sede Alone Profili 113/2002 mets fibrosarcoma milza Lesioni diffuse Complex mass Disomogenea Tutto il fegato Si Irregolari 682/2008 mets emangiosarcoma milza Noduli multipli Ipoecogeno Disomogenea Sinistra No Irregolari Noduli multipli Complex mass Disomogenea Sinistra No Irregolari Noduli multipli Ipoecogeno Disomogenea e a nido d’ape Sinistra Si Irregolari Lesioni diffuse Iperecogeno Disomogenea Tutto il fegato No Irregolari Lesioni a massa Iso-iperecogeno Disomogenea Sinistra Si Non distinguibili Noduli multipli Ipoecogeno e a bersaglio Disomogenea Sinistra No Irregolari Lesioni a massa Iperecogeno Disomogenea Sinistra No Bozzoluti Noduli multipli Iperecogeno Disomogenea Sinistra No Irregolari Disomogenea Sinistra Si Irregolari Iperecogeno Disomogenea Sinistra Si Bozzoluti Complex mass Disomogenea Destra Si Irregolari Iso-iperecogeno Disomogenea Sinistra Si Irregolari Noduli multipli Ipoecogeno Disomogenea Sinistra Si Bozzoluti Noduli multipli Ipoecogeno Disomogenea Lobi sinistra e destra No Regolari Noduli multipli Iso-iperecogeno Disomogenea Lobi sinistra e destra Si Irregolari Noduli multipli Iso-ipoecogeno Omogenea Sinistra Si Regolari Noduli multipli Iso-ipoecogeno Disomogenea Sinistra No Bozzoluti Noduli multipli Iso-ipoecogeno Disomogenea e a bersaglio Lobi sinistra e destra Si Bozzoluti Noduli multipli Iperecogeno Disomogenea Lobi sinistra e destra No Irregolari 1068/2008 mets emangiosarcoma milza 430/2007 mets sarcoma tessuti molli (coscia) 684/2008 mets linfoma 883/2009 mets linfoma 831/2008 mets mastocitoma 1046/2005 mets carcinoma prostatico 884/2001 mets carcinoma prostatico 198/2009 mets adenocarcinoma prostatico 980/2007 mets sertolioma 1113/2006 mets carcinoma ovarico 1178/2009 mets carcinoma ovarico 48/2001 mets adenocarcinoma mammario 231/2001 mets adenocarcinoma mammario 1024/2008 mets adenocarcinoma mammario 9/10 mets adenocarcinoma mammario 29/2010 mets adenocarcinoma mammario 521/2006 mets carcinoma surrene 634/2009 mets carcinoma ghiandole salivari Noduli multipli Noduli multipli Lesioni a massa Lesioni a massa Isoipoecogeno 99 Discussioni Nel nostro campione sono presenti soggetti che, in seguito al prelievo di materiale bioptico epatico, sono risultati affetti da patologie non neoplastiche. La scelta di includere anche questi casi è giustificata da due motivi: il primo è che, come abbiamo visto nel capitolo della descrizione ecografica delle varie patologie, i quadri ecografici delle lesioni non neoplastiche non sono specifici e possono avere tratti in comune con le neoplasie; il secondo è che, come per altre casistiche presenti in letteratura (Patnaik et al., 1980; Hager et al., 1985; Whiteley et al., 1989), non sempre all’esame ecografico segue la manovra di prelievo di materiale bioptico. Infatti, come è possibile evincere dai nostri risultati, su un campione di 115 cani con quadri ecografici epatici compatibili con lesioni neoplastiche, solo in 44 casi (38%) si è proceduto alla caratterizzazione cito-istopatologica. Sebbene il numero dei casi di lesioni non neoplastiche incluso non sia elevato e sebbene i loro aspetti ecografici si confermino non univoci rispetto a quelli di alcune neoplasie, è possibile ricavare alcune indicazioni utili ad indirizzare la diagnosi di sospetto verso una lesione benigna piuttosto che maligna: ad esempio, quasi tutte le lesioni non neoplastiche, in particolare le flogosi, coinvolgono l’intero organo (nel nostro campione le lesioni neoplastiche sia benigne che maligne, sono prevalentemente localizzate nei lobi epatici di sinistra, 80%). Fanno eccezione solo la cisti epatica e un nodulo steatosico. Anche le cirrosi, che presentano dei pattern ecografici estremamente complessi e tali da simulare lesioni maligne, hanno presentato un coinvolgimento generalizzato dell’organo, associato sempre a microepatia. Le steatosi si 100 caratterizzavano, come già ampiamente descritto in letteratura (Biller, 1992; Armstrong, 1994; Nyland, 1995; Poulsen Nautrup, 2001), per la diffusa iperecogenicità del parenchima associata di solito a epatomegalia. Questi caratteri ecografici permettono di fare diagnosi, almeno di sospetto, di steatosi, sebbene la presenza nel nostro campione di un soggetto con lesione nodulare singola, nonché la descrizione in letteratura di lesioni focali analoghe, rende più complicato il processo interpretativo. Quindi, le steatosi, se focali o, comunque, non diffuse a tutto il parenchima, possono porre dei problemi di diagnosi differenziale con le neoplasie in cui vi sia iperecogenicità del parenchima (Armstrong, 1994). Un discorso simile si pone per le infiammazioni epatiche, epatiti e colangiti, in particolare quando croniche. Infatti, come abbiamo detto nel capitolo della descrizione dei quadri patologici e come emerge dai nostri tre casi, le epato-colangiti si caratterizzano per una iperecogenicità diffusa del parenchima, anche in questo caso, spesso associata a epatomegalia. A differenza delle steatosi e di quanto riportato da Thornburg (1988), nel nostro campione sono assenti le infiammazioni localizzate ad un solo lobo. Per quanto riguarda sesso, età e razza, dalla casistica in nostro possesso, a parte una prevalenza dei maschi nel gruppo delle lesioni maligne primarie e delle femmine in quello delle metastasi, non sono risultate particolari predisposizioni o distribuzioni. Questo dato è in accordo con quanto riportato in letteratura ( Rooney ,1959; Patnaik et al., 1980 e 1981; Jagielski et al., 2002). Fra le lesioni neoplastiche benigne, è interessante notare come nel nostro campione vi sia un solo caso di angioma e come anche in letteratura le segnalazioni certe di questo tipo di tumore siano estremamente rare nel cane 101 (Patnaik et al., 1980). Nonostante che i caratteri ecografici dell’angioma nel cane siano sovrapponibili a quelli descritti nell’uomo (lesione più spesso nodulare, iperecogena, perivascolare, a lenta crescita e senza alone periferico) la sua rarità è in contrasto con quanto succede nell’uomo, dove l’angioma è la neoplasia più frequente del fegato (Gandolfi et al., 1991). Tuttavia, nell’esperienza di molti ecografisti veterinari, è frequente che anche nel cane nel corso di ecografie del fegato si evidenzino lesioni con caratteri ecografici e con comportamento biologico compatibili con angioma. Purtroppo, come abbiamo già detto, il ricorso a manovre interventistiche e, quindi, a esami diretti di tali lesioni, è meno frequente che in umana e, perciò, non è possibile avere delle indicazioni sia sulla reale prevalenza dell’angioma sia sull’eventuale importanza del sesso come riferito per la specie umana, dove è più frequente nelle donne adulte (Gandolfi et al., 1991). Gli epatomi e i noduli di iperplasia benigna, nella nostra e in altre casistiche, sono stati trattati come un’unica lesione a causa della difficoltà di differenziarli da un punto di vista cito-istologico. Il comportamento biologico dei casi presenti nella nostra casistica, lesione spesso unica che colpisce cani anziani senza una particolare predisposizione di sesso o di razza, concorda con quanto già riportato in letteratura (Patnaik et al., 1980; Bergman, 1985). Ecograficamente, uno degli aspetti più frequenti dell’epatoma è la sua ecogenicità spesso omogenea ed isoecogena al parenchima sano circostante. In questi casi, nella nostra esperienza, il ricorso al color o al power Doppler o, come descritto in letteratura, ai mezzi di contrasto, migliora la caratterizzazione di tali lesioni. I casi presenti nel nostro campione, sebbene mostrino una certa 102 variabilità per quanto concerne le dimensioni delle lesioni, comunque sempre focali, quasi sempre singole e più spesso localizzate nei lobi di sinistra, ricalcano quanto riportato in letteratura (Patnaik et al., 1980; Bergman, 1985; Penninck, 1995). Per quanto riguarda le neoplasie epatiche maligne primarie, la composizione della nostra casistica sembra concordare con quanto riportato in letteratura: il carcinoma epatocellulare è il tumore maligno primario di più frequente riscontro nel cane; l’età media dei cani colpiti da questo tumore maligno è di 10-11 anni (Rooney, 1959); è descritta una prevalenza dei cani maschi rispetto alle femmine (Patnaik et al., 1980) ma senza particolari predisposizioni di razza (Patnaik et al., 1981). L’aspetto ecografico può essere vario sia dal punto di vista dell’ecogenicità sia dell’ecostruttura sia del numero e della forma delle lesioni. La forma più frequente è quella di una massa unica iperecogena (Whiteley et al., 1989). L’ecogenicità dei noduli, rispetto al parenchima circostante, può avere pattern ipoecogeno, isoecogeno, iperecogeno o ad ecostruttura mista, aspetto omogeneo e profili regolari, mancanza di alone e localizzazione al lobo epatico sinistro (Patnaik et al., 1981). Nel nostro campione, le lesioni avevano una distribuzione prevalentemente focale, di lesione “a massa” o di noduli multipli, ma anche di lesione diffusa lobare, in genere iperecogene ma disomogenee e con profili irregolari o bozzoluti, con o senza alone periferico. La sede delle lesioni, come riportato in letteratura (Patnaik et al., 1981) era quasi sempre nei lobi di sinistra, ma, in un caso la sede era nei lobi di destra. 103 I colangiocarcinomi descritti in letteratura (Patnaik et al., 1981) interessano più frequentemente i cani di sesso femminile, anziani con età media superiore ai 10 anni e con predisposizione più frequente per la razza Labrador Retriever. Il loro aspetto può essere di noduli miliari subcapsulari, solitamente ipoecogeni, oppure di massa ipo-anecogena che, nelle forme ilari e duttali, è capsulata (Long, 2002). I due casi presenti nel nostro campione colpivano sì soggetti anziani ma, a differenza di quanto riportato sopra, ambedue erano maschi e di razze differenti dal Labrador (un meticcio e un boxer); inoltre, le lesioni apparivano solo come masse iso-iperecogene, disomogenee con profili irregolari o bozzoluti e con o senza alone, in ambedue i casi localizzate ai lobi sinistri. In effetti, l’aspetto ecografico dei colangiocarcinomi occorsi alla nostra attenzione è praticamente sovrapponibile a quello della maggior parte degli epatocarcinomi. Per quanto riguarda i linfomi, dobbiamo subito sottolineare che, sebbene la forma epatica primaria sia riportata come rara nel cane (Dobson, 2004), nel nostro campione è più frequente rispetto alla forma metastatica (3 casi contro 2). A parte questa particolarità, gli aspetti ecografici da noi riscontrati, noduli multipli ad ecogenicità variabile da ipo- ad iperecogena, a volte con alone periferico o con aspetto “a bersaglio”, in prevalenza localizzati ai lobi epatici di sinistra, concorda con quanto riportato in letteratura (Jagielski, et al., 2002; Edwards et al., 2003). Manca nella nostra casistica, almeno dei linfomi primari epatici, la forma diffusa. Le lesioni maligne secondarie del nostro campione sono in numero maggiore rispetto a quelle maligne primarie ovvero il 69% e quindi il dato concorda con 104 quanto riportato in letteratura (Cullen e Popp, 2002). Anche l’aspetto o, per meglio dire, gli aspetti ecografici da noi riscontrati sono quanto mai vari, per distribuzione, forma ed ecostruttura, perché dipendenti dalla lesione originaria e dallo stadio di avanzamento: nodulo singolo, noduli multipli o lesioni diffuse a tutto il fegato, ipoecogeni, isoecogeni, iperecogeni o “a complex mass”, omogenei o disomogenei o “a bersaglio”, con profili regolari, bozzoluti o non distinguibili e con presenza o assenza di sottile alone ipoecogeno periferico. Tuttavia, volendo cercare qualche indicazione utile per la caratterizzazione ecografica, nel nostro campione possiamo rilevare che: quasi tutte le forme metastatiche presentavano una distribuzione di tipo nodulare multiplo; la localizzazione coinvolgeva sempre i lobi sinistri e, a volte, anche i destri; le metastasi di sarcomi tendevano ad avere aspetto complesso; le metastasi dei carcinomi originanti dagli organi sessuali maschili erano più spesso iperecogene mentre quelle degli organi sessuali femminili ipo-isoecogene. La forma dipende soprattutto dalle dimensioni: più le lesioni sono piccole, più sono rotondeggianti; l’aspetto di lesione “a massa” per le forme metastatiche è, verosimilmente, dovuto alla confluenza di più noduli perché accanto alla lesione di dimensioni maggiori sono state sempre riscontrate delle lesioni nodulari satelliti. Uno degli aspetti più caratteristici ed allarmanti delle lesioni metastatiche è quello “a bersaglio” con piccolo centro iperecogeno e spesso alone ipoecogeno periferico. Questo alone dipende dalla velocità di crescita della lesione: a maggiore velocità, corrisponde alone più marcato (Cuccovillo, Lambs, 2002). 105 Conclusioni La Diagnostica per Immagini riveste un ruolo cruciale per giungere ad una diagnosi o ad un sospetto diagnostico, ma anche per monitorare l’evoluzione della malattia nel follow-up, cioè nei controlli a distanza. Da quanto riportato, si può concludere che l’ecografia si conferma la tecnica di elezione, in campo veterinario, perché associa ad una grande sensibilità diagnostica l’assenza di invasività, l’economicità, la possibilità di essere effettuata senza ricorrere a contenimenti farmacologici. Inoltre, quando necessario, è possibile accrescere la specificità dell’esame, grazie al ricorso a manovre di tipo interventistico mini-invasive, perché eco-guidate, o, ai mezzi di contrasto che, si spera, in un prossimo futuro entrino nella routine diagnostica. Comunque, sebbene, come abbiamo più volte ripetuto, l’ecografia non presenti una grande specificità, perché molte patologie, sia neoplastiche che non neoplastiche, presentano quadri ecografici sovrapponibili, e che solo dagli esami diretti di materiale prelevato dalle lesioni sia possibile arrivare ad una diagnosi di certezza, dai nostri risultati e dalla revisione della letteratura si possono estrapolare alcune linee guida: le lesioni diffuse a tutto l’organo è molto probabile che siano lesioni benigne di tipo infiammatorio o degenerativo; le lesioni localizzate nei lobi di sinistra è molto probabile che siano neoplasie, benigne o maligne, primarie o secondarie; le lesioni nodulari o anche “a massa” singole, ipo-isoecogene, con profili regolari è molto probabile siano lesioni neoplastiche benigne primarie; le lesioni “a massa” con pattern disomogeneo e profili irregolari è molto probabile che siano lesioni neoplastiche maligne primarie; le lesioni nodulari multiple, di qualsiasi tipo di pattern, prevalentemente localizzate a sinistra è molto probabile che siano metastasi. 106 Bibliografia 1. 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