aspetti ecografici delle neoplasie epatiche nel cane

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA
CORSO DI LAUREA IN MEDICINA VETERINARIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE VETERINARIE
CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI RADIOLOGIA VETERINARIA
TESI SPERIMENTALE DI LAUREA IN
RADIOLOGIA VETERINARIA E MEDICINA NUCLEARE
ASPETTI ECOGRAFICI DELLE
NEOPLASIE EPATICHE NEL CANE
RELATORE
Ch.mo PROF.
LEONARDO MEOMARTINO
Anno Accademico 2009/2010
CANDIDATO
SALVATORE DE LEO
MATR. 079/000004
Indice
Introduzione
1
Richiami di anatomia
3
Fisiologia del fegato
12
Classificazione istopatologica e comportamento biologico delle neoplasie
23
epatiche
Esame radiografico
35
TC
37
Scintigrafia
39
Risonanza Magnetica
41
Ecografia
42
Biopsia ed agoaspirazione ecoguidate
46
Mezzi di contrasto nell’esame ecografico del fegato
50
Aspetti ecografici normali del fegato
53
Quadri ecografici patologici del fegato
59
Parte sperimentale
76
Introduzione alla parte sperimentale
77
Materiali e metodi
79
Risultati
81
Discussioni
100
Conclusioni
106
Bibliografia
107
I
Introduzione
L’ecografia del fegato è oramai considerata indispensabile per una valutazione
corretta e completa dell’organo, perché consente di effettuarne lo studio morfologico
e funzionale e, se necessario, manovre di tipo interventistico eco-assistite e miniinvasive.
Fra le diverse patologie che possono interessare il fegato, le neoplasie sono
relativamente frequenti: esse, infatti, nel cane, rappresentano il 3,5% di tutte le
neoplasie. Oltre alle neoplasie primarie, nel fegato, data la sua funzione di filtraggio,
sono molto frequenti anche le metastasi di neoplasie sviluppatesi in altri organi.
Pertanto, nella pratica clinica è consueto il riscontro di tali patologie e, spesso, è
proprio grazie all’ecografia che è possibile emettere una diagnosi di neoplasia
epatica.
Come per altri organi o distretti anatomici, l’esame ecografico è estremamente
sensibile nell’evidenziare alterazioni morfo-strutturali ma non altrettanto specifico
nel differenziarle. Spesso, il solo esame ecografico non è sufficiente per una diagnosi
certa perché gli aspetti ecografici di patologie sia neoplastiche sia non neoplastiche
sono sovrapponibili. In questi casi, la diagnosi di certezza può essere emessa solo
dopo aver prelevato cellule o tessuto direttamente dalla lesione. Tuttavia, le manovre
interventistiche, sebbene facilitate proprio dall’ecografia, non sempre sono possibili
da effettuare: a volte perché non si può sedare il paziente; a volte perché vi sono
concomitanti difetti della coagulazione; a volte perché i proprietari del cane non
desiderano andare oltre con gli approfondimenti diagnostici. Dai dati relativi alla
casistica del Centro di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Napoli, solo nel 38%
1
dei casi viene effettuato un prelievo ecoguidato da una lesione epatica e questo dato è
sovrapponibile a quello di altre strutture specialistiche.
Perciò, lo scopo della tesi è stato, principalmente, la ricerca e l’evidenziazione di
elementi ecografici caratterizzanti che permettessero di effettuare, in maniera
sufficientemente affidabile, una diagnosi differenziale tra le patologie neoplastiche e
quelle non neoplastiche. Allo stesso tempo, data la vasta letteratura già esistente
sull’argomento, si è proceduto al confronto tra i dati presenti in bibliografia e quelli
da noi ottenuti.
Per conseguire questi obbiettivi, è stata effettuata una revisione analitica di tutte le
indagini ecografiche relative a soggetti nei quali si era giunti ad una diagnosi di
certezza cito-istopatologica.
La tesi è organizzata in una parte generale, con capitoli dedicati all’anatomia e alla
fisiologia del fegato, alla classificazione istopatologica ed al comportamento
biologico delle neoplasie epatiche, alle diverse metodiche di Diagnosi per Immagini
utilizzabili e, infine, un capitolo sulla tecnica di esecuzione dell’esame ecografico
con la descrizione dell’aspetto ecografico normale e dei diversi quadri ecografici
presenti in caso di neoplasia. Segue una parte sperimentale costituita dai materiali e i
metodi utilizzati, dai risultati ottenuti e da un capitolo di discussione. Termina la tesi
un breve capitolo dedicato alle conclusioni.
2
Richiami di anatomia
Il fegato è la più voluminosa delle ghiandole extraparietali annesse all’apparato
digerente al quale invia il prodotto della sua attività esocrina (la bile) attraverso il
dotto escretore, il coledoco.
L’organo risulta relativamente voluminoso (nel cane pesa da 0,3 a 1,3 kg), ha colore
rosso-bruno, è suddiviso in lobi da profonde incisure ed è contenuto nella parte
anteriore destra della cavità addominale ove occupa l’ipocondrio destro, l’epigastrio
e in alcuni casi parte dell’ipocondrio sinistro anche se, ventralmente, sorpassa l’arco
costale a livello dell’ottavo spazio intercostale e si porta all’indietro nella
sottoregione xifoidea assumendo rapporti con il pavimento dell’addome sino a
giungere, in caso di epatomegalia o in soggetti a torace ampio e diaframma poco
profondo, nella regione ombelicale ove riposa su un cuscinetto adiposo sottosieroso
(Pelagalli e Botte, 1989).
3
Figura 1- Rappresentazione schematica del fegato di cane, fascia viscerale (modificato da Chetboul,
2003).
Il fegato è costituito da 4 lobi: destro, sinistro, quadrato e caudato. A loro volta, sia il
lobo destro sia il sinistro, sono suddivisi in un lobo laterale ed uno mediale; il lobo
caudato è, a sua volta, diviso in un processo papillare ed in un processo caudato.
La faccia craniale o diaframmatica del fegato è convessa e si adatta alla cupola
diaframmatica.
Il suo limite craniale si colloca tra la quinta e la dodicesima-tredicesima costa, a
seconda della conformazione del torace nelle diverse razze. La faccia caudale o
4
viscerale è concava; ha aspetto irregolare e cambia un poco i suoi rapporti in
relazione allo stato di ripienezza dello stomaco. Questo determina nel fegato due
nette depressioni: quella corrispondente al piloro, dove si trova la fessura portale
coperta in parte dal processo papillare del lobo caudato; la fossa della colecisti che,
con l’accollamento posteriore dei margini dei lobi destri, è completamente circondata
dal fegato.
Sul bordo dorsale la vena cava stabilisce rapporti prima con il lobo caudato e poi con
quello destro e, prima di attraversare il diaframma, riceve lo sbocco di due o tre vene
epatiche. L’incisura esofagea è ampia. Sul margine dorsale del lobo destro e su
quello caudale del lobo caudato si nota una netta impronta per il rene destro.
Il sistema di fissazione del fegato è dato da diversi legamenti: il legamento
triangolare sinistro è robusto e teso tra lobo laterale sinistro e pilastro corrispondente
del diaframma; il legamento triangolare destro è più sottile e dal bordo superiore del
lobo laterale destro va al pilastro destro del diaframma; il legamento coronario, posto
tra faccia craniale e diaframma, non è molto sviluppato; il legamento falciforme è
sottile; si stacca tra lobo sinistro mediale e lobo quadrato e raggiunge il centro
tendineo del diaframma, sotto lo iato per vena cava. A questi legamenti vanno
aggiunti quello epatorenale ed il piccolo omento.
Il sistema dei dotti biliari nel cane si caratterizza per la presenza di più dotti epatici
che vanno a sboccare indipendentemente nel dotto cistico o nel coledoco.
La colecisti, lunga 4-5 cm, poggia nella fossa cistica collocata tra lobo quadrato e
lobo destro mediale. Non supera il bordo ventrale del fegato e si proietta all’altezza
dell’ottavo spazio intercostale. Il dotto cistico, dopo lo sbocco dell’ultimo dotto
epatico si continua con il coledoco. La mucosa della cistifellea si solleva in
5
complesse pieghe primarie. Nel condotto cistico e nel coledoco le muscolatura
circolare è abbastanza sviluppata.
Il fegato è un organo parenchimatoso pieno rivestito, per buona parte della sua
superficie, dal peritoneo viscerale. Sotto questo è posta una sottile lamina di tessuto
connettivale che circonda l’organo, la capsula di Glisson, e gli fornisce
profondamente lo stroma. A livello dell’ilo, la capsula è più spessa ed invia
consistenti tralci che accompagnano le ramificazioni dell’arteria epatica, della vena
porta e dei nervi e a ritroso quelle dei dotti biliari e dei vasi linfatici. A mano a mano
che si approfondano nel fegato e si suddividono, i tralci si assottigliano e, con le
ultime esili ramificazioni, forniscono il connettivo interlobulare degli epatociti e dei
sinusoidi dei lobuli.
Il parenchima epatico è costituito da un grande numero di lobuli, ritenuti come le
unità morfologico-funzionali dell’organo (Pelagalli e Botte, 1989).
Ciascun lobulo ha la forma di una minuscola piramide a sezione grossolanamente
esagonale, alta 1,5-2 mm. I lobuli sono aderenti l’uno all’altro anche se li separa una
modesta quantità di tessuto interlobulare. In più punti, ove più lobuli contigui
vengono a contatto con gli spigoli, il connettivo è meglio rappresentato e costituisce
uno spazio portale o portobiliare di Kiernan nel quale sono accolte le ultime
diramazioni dell’arteria epatica e della vena porta, i dotti biliari e linfatici
interlobulari e sottili branche nervose.
Nel lobulo epatico, un sottile stroma reticolare accoglie gli epatociti ed i capillari
sinusoidali. Gli epatociti sono ordinati in lamine monostratificate le quali
definiscono un sistema labirintico tridimensionale nei cui spazi prendono posto i
sinusoidi. Nella sezione trasversale di un lobulo, le lamine possono assumere una
6
forma di filiere di cellule poste radialmente ed intervallate ai capillari forniti dai rami
terminali dell’arteria epatica e della vena porta presenti negli spazi portobiliari.
Tipicamente i capillari della periferia del lobulo si spingono, anastomizzandosi,
verso il centro ove fanno capo ad una vena centrolobulare. Questa percorre il lobulo
nel senso della lunghezza e fa capo ad una vena sottolobulare cui giungono molte
vene centrolobulari.
Le vene sottolobulari sono radice di un numero limitato di vene epatiche che, infine,
sboccano nella vena cava caudale nel tratto in cui questo vaso è in stretto rapporto
con la superficie diaframmatica del fegato.
Figura 2- Rappresentazione schematica dell'organizzazione del lobulo epatico (modificato da
modificato da Pelagalli e Botte , 1989).
7
Gli epatociti o cellule epatiche sono di forma poliedrica con sei o più facce.
Ciascuno di essi ha almeno una faccia orientata verso il sinusoide dal cui endotelio lo
separa una strettissima fessura (spazio di Disse); fessure simili si riscontrano anche
nelle aree in cui vengono in contatto epatociti contigui. Una delle facce, però, reca
una minuscola doccia ed apponendosi alla faccia dell’epatocita vicino modificata allo
stesso modo, delimita un condottino o capillare biliare, che rappresenta il primo
tratto delle vie biliari. L’insieme di questi canalicoli, in realtà privi di parete propria,
raggiunge i colangioli posti alla periferia del lobulo e, attraverso questi, i dotti
interlobulari presenti negli spazi portobiliari. Speciali sistemi giunzionali delle
cellule che li delimitano, impediscono, di norma, ai capillari biliari di comunicare
con gli spazi intercellulari vicini. La membrana degli epatociti, sia a livello degli
spazi di Disse che dei capillari biliari, si espande in numerosi microvilli.
Gli epatociti posseggono un voluminoso nucleo; molti di essi possono essere
binucleati. Nel loro citoplasma l’apparato di Golgi ed il reticolo endoplasmatico
ruvido sono sviluppati; abbondano, inoltre, i mitocondri ed i lisosomi. Tali
caratteristiche ben si accordano con le loro molteplici funzioni che portano alla
produzione di bile (secrezione esocrina) ed alla elaborazione di sostanze ricavate e
poi immesse modificate nel sangue (secrezione endocrina).
I capillari sinusoidali hanno diametro molto variabile e sono privi di membrana
basale. Tra le loro cellule endoteliali possono riscontrarsi delle discontinuità in forma
di poro di diametro inferiore al micron. La loro superficie libera si espande in
numerosi microvilli e porta vescicole pinocitosiche.
Annesse ai capillari, si trovano le cellule stellate di Kupffer poste a ridosso delle
cellule endoteliali tra le quali possono inviare delle propaggini che si spingono nel
8
lume potendo cosi regolare il flusso del sangue. Queste cellule hanno molte
caratteristiche degli elementi istiocitari in quanto sono capaci di fagocitosi e
granulopessia. L’organizzazione dei capillari, con la presenza di pori e la mancanza
di membrana basale, è certamente legata alla necessità di favorire gli scambi tra
sangue ed epatociti.
Alcune indagini sperimentali hanno messo in dubbio che il lobulo prima descritto
rappresenti l’unità funzionale del fegato per cui sono state proposte altre divisioni del
parenchima aderenti alla sua reale organizzazione. Il lobulo portale fa riferimento al
territorio drenato dal singolo dotto biliare interlobulare ed interessa, ovviamente, più
lobuli contigui. In questa zona la bile scorre in modo centripeto ed il sangue in senso
inverso. Più recentemente è stato introdotto il concetto di acino epatico con cui si
indica il territorio a sezione più o meno ellissoidale raggiunto da un ramo terminale
dell’arteria epatica e della vena porta e drenato da un dotto biliare. In queste aree,
l’afflusso di sangue può essere regolato da cellule mioepiteliodi che accompagnano i
vasi interlobulari.
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Figura 3- Disegno schematico raffigurante i tre tipi di lobulo epatico. 1, lobulo epatico classico
(esagonale); 2, lobulo portale (triangolare); 3, acino epatico(romboide); VC, territorio della vena
centrolobulare; PB, territorio dello spazio portale con la triade portale. Il lobulo classico è
ricostruito a destra nel diagramma. Le frecce continue e quelle tratteggiate nei diversi tipi di lobulo
epatico indicano rispettivamente il decorso della circolazione sanguigna (—►) e di quella biliare ( -►)(modificato da Pelagalli e Botte, 1989).
La bile viene raccolta dai capillari biliari per mezzo dei colangioli, minuti vasi,
delimitati da epitelio cubico, presenti alla periferia del lobulo. I colangioli fanno capo
ai dotti interlobulari tappezzati da epitelio cilindrico semplice le cui cellule hanno
nuclei rotondeggianti spostati verso il polo basale. I dotti interlobari seguono la trama
connettiva del fegato e vanno incontro a successive confluenze sino a dare origine ad
un numero limitato di dotti di calibro maggiore (dotti lobari) che, infine, danno il
dotto epatico.
I dotti più grandi sono rivestiti da epitelio cilindrico e posseggono, nella loro parete,
fibre elastiche e numerose fibrocellule muscolari lisce. Nel dotto epatico è ben
evidente la consueta organizzazione dei visceri cavi. Procedendo dall’interno verso
l’esterno, si incontrano le tuniche mucosa, muscolare e sierosa.
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La mucosa si solleva in pliche ed accoglie, nella sua lamina propria, delle ghiandole
tubulari acinose, semplici e composte, che elaborano una secrezione sierosa. Nella
tunica muscolare abbondano le fibre elastiche. Il rivestimento sieroso, infine, si trova
solo nel tratto esterno all’ilo del fegato.
Il fegato è raggiunto dall’arteria epatica, che è una branca dell’arteria celiaca e che
gli reca il sangue ossigenato, e dalla vena porta, la quale lo fornisce di sangue ridotto
ma ricco di sostanze raccolte a livello dell’intestino. Questi vasi, superato l’ilo, si
dividono in due branche, destra e sinistra, ciascuna delle quali va incontro ad ulteriori
numerose suddivisioni seguendo la trama connettivale dell’organo. Al termine
originano i vasi interlobulari che alimentano la rete di capillari sinusoidali.
Il sistema venoso inizia con le vene centrolobulari che danno origine alle vene
epatiche. I dotti linfatici degli spazi portobiliari costituiscono una rete profonda ed
una superficiale; quest’ultima è ben evidente a livello della faccia diaframmatica. Da
queste si staccano i vasi che raggiungono l’ilo e i linfonodi qui presenti. Altri linfatici
si impegnano nei legamenti del fegato e quindi fanno capo ai linfonodi del
diaframma e del mediastino. I nervi destinati al fegato sono dati dal vago e dal
simpatico.
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Fisiologia del fegato
Nel fegato si attua una miriade di processi metabolici di ossidazione e di riduzione,
di degradazione e di sintesi nell’ambito del metabolismo dei glicidi, dei protidi, dei
lipidi, dei composti azotati non proteici, degli acidi biliari, dei pigmenti biliari e di
numerose vitamine per cui le predette funzioni oltre che legate all’attività dell’organo
risultano strettamente correlate tra loro. A queste funzioni epatiche se ne aggiungono
altre, non meno importanti, quali quelle di disintossicazione, di coniugazione,
escretoria, di deposito e infine quella protettiva.
Metabolismo glucidico

La glicogenosintesi

La glicogenolisi

La gluconeogenesi

La glicolisi

La glicogenesi

la glicemia
Nella glicogenosintesi il fegato mette in riserva il glicogeno del quale è il tessuto più
ricco; quest’ultimo è rinnovato in maniera relativamente rapida, il suo tasso è
funzione dello stato di nutrizione, infatti si abbassa fino a divenire nullo nel digiuno.
Il glicogeno è sintetizzato principalmente a partire dal glucosio ematico, può essere
però sintetizzato anche da altri metabolici quali amminoacidi glucogenetici e
lipogenetici. La glicogenosintesi epatica è regolata da vari fattori soprattutto
ormonali, quali l’insulina che la stimola, l’adrenalina che favorisce la glicogenolisi, il
12
glucagone che esplica medesima azione dell’adrenalina, la glicemia, quando elevata,
stimola la glicogenosintesi ed infine il glicogeno epatico che quando aumentato
esplica azione inibente sulla sintetasi stessa (Aguggini et al., 1997).
La glicogenolisi è il processo di demolizione del glicogeno e si svolge oltre che nel
fegato anche nel muscolo e nel rene. La glicogenolisi, che riveste importanza
fondamentale nella regolazione della glicemia, avviene ad opera della fosforilasi, la
cui attivazione è catalizzata dal glucagone, e dall’adrenalina. La fosforilasi scinde il
legame ,1,4-glicosidico dell’estremo della catena polisaccaridica del glicogeno
formando glucosio-1-fosfato, il quale per entrare nel processo glicolitico deve essere
trasformato in glucosio-6-fosfato. Quest’ultimo per azione dell’enzima specifico
presente nel fegato, viene liberato del fosfato con produzione del glucosio libero che
diffonde nel sangue assicurando un costante apporto ai tessuti e livelli normali di
glicemia.
La gluconeogenesi è un processo mediante il quale il fegato realizza la sintesi del
glucosio a partire dai precursori quali lipidi e proteine ed è in grado di far fronte alle
richieste di glucosio quando la dieta è carente in glicidi.
La glicolisi, anche se non esclusiva del fegato, costituisce la più importante via di
utilizzazione sia del glucosio assorbito sia del glicogeno. Gli esosi vengono degradati
a piruvato che, per decarbossilazione ossidativa, dà origine all’acetato e quindi al
citrato, che riveste importanza nel ciclo degli acidi tricarbossilici di Krebs. Parte
dell’energia che si libera viene conservata sotto forma di ATP.
La glicogenesi è il processo mediante il quale avviene la sintesi di glucosio partendo
dai suoi metaboliti. Il fegato è anche in grado di operare la trasformazione del
fruttosio, del mannosio e del galattosio in glucosio.
13
Il fegato inoltre è in grado di mantenere la glicemia entro limiti fisiologici
abbastanza ristretti grazie a fattori regolatori essenzialmente ormonali. All’azione
ipoglicemizzante
svolta
dall’insulina
si
contrappongono
il
glucagone,
i
glicocorticoidi, il somatotropo, la tiroxina e l’adrenalina che agiscono con modalità
differenti soprattutto sugli enzimi coinvolti nei processi di glicogenogenesi,
glicogenolisi, e gluconeogenesi.
Metabolismo lipidico
Il fegato riveste un ruolo preponderante quale organo principale di trasformazione
dei lipidi. La sua funzione più importante e peculiare è la biosintesi ed il rilascio
delle lipoproteine plasmatiche che, attraverso il sangue, raggiungono i vari tessuti.
Dopo la penetrazione nelle cellule, per diffusione passiva, dei monogliceridi e del
glicerolo derivanti dalla scissione dei trigliceridi, operata dalla lipasi a livello del
lume intestinale, nella mucosa intestinale dei mammiferi avviene la resintesi dei
trigliceridi. La fase terminale del trasporto dei lipidi nell’intestino è la formazione
dei chilomicroni, complessi lipoproteici elaborati dal reticolo endoplasmatico e
dall’apparato di Golgi degli enterociti e costituiti da trigliceridi, fosfolipidi,
colesterolo e proteine.
I chilomicroni eliminati dagli enterociti nel torrente linfatico passano, tramite il dotto
toracico, nel circolo sanguigno e raggiungono il fegato ed il tessuto adiposo. Sulla
degradazione della modesta quota di chilomicroni che pervengono al fegato i pareri
non sono univoci, infatti si ipotizza che la scissione avvenga in sede extraepatica a
livello dell’endotelio capillare, oppure che essi possano essere scissi ad acidi grassi
liberi dalle cellule epatiche, in particolare dalle cellule di Kuppfer, a livello dei
14
lisosomi. Gli acidi grassi liberi si ricongiungono a quelli veicolati dall’albumina
serica e captati dagli epatociti.
Sintesi degli acidi grassi e loro utilizzazione
Questa attività svolta prevalentemente dagli adipociti è presente anche negli epatociti
e nelle cellule di Kuppfer. Il glucosio ha un ruolo dominante nella lipogenesi. Il
fegato capta una quota molto importante dei NEFA derivanti dalla dissociazione dei
chilomicroni o dalla lipolisi adipocitaria che gli giungono con il plasma e li utilizza
attraverso tre vie metaboliche:

la  ossidazione che esplica solo una piccola parte di essi;

la trasformazione in corpi chetonici quali acetoacetato, acetone, 
idrossibutirrato;

la esterificazione
La seconda via riveste notevole importanza negli stati di digiuno prolungato; infatti
molti tessuti ed in particolare il miocardio sono in grado di utilizzare l’acetoacetato
prodotto dal fegato traendone fino al 70% del fabbisogno energetico.
La esterificazione che riguarda la quota più elevata dei NEFA, previa
rimaneggiamento di questi ultimi, porta attraverso il colesterolo, il glicerofosfato ed
il glicerolo a steridi, fosfolipidi e soprattutto a trigliceridi, che possono essere legati
alle proteine a costruire lipoproteine, o essere depositati nel fegato.
15
Sintesi delle lipoproteine
Consiste nel legame dei lipidi, quali trigliceridi, NEFA, colesterolo libero, esteri del
colesterolo, fosfolipidi alle  e  globuline. In base alla loro densità, e quindi ai
rapporti percentuali tra lipidi e proteine presenti in essi, si distinguono tre classi
principali di lipoproteine;

le  lipoproteine leggere (VLDL), le più ricche in trigliceridi e le più povere
in proteine;

le  lipoproteine a bassa densità (LDL) più ricche in proteine e più povere in
trigliceridi;

le  lipoproteine a alta densità (HDL) molto ricche in proteine
Vi è un continuo scambio di lipidi tra tessuto adiposo e fegato attraverso il sangue.
Sintesi dei fosfolipidi
I fosfolipidi vengono sintetizzati dal fegato, a livello del reticolo endoplasmatico
liscio, a partire dagli acidi grassi liberi che pervengono all’organo dal tessuto
adiposo e dall’assorbimento intestinale. I fosfolipidi insieme alle proteine
concorrono alla formazione delle lipoproteine plasmatiche che si distribuiscono ai
vari tessuti.
Metabolismo epatico del colesterolo
La biosintesi del colesterolo appartiene soprattutto all’epatocita, anche se tutte le
cellule possono effettuarla. Il catabolismo del colesterolo porta alla formazione degli
acidi biliari, degli ormoni steroidei e degli esteri del colesterolo. Gli acidi biliari sono
16
prodotti specifici dell’attività metabolica degli epatociti ed in essi viene convertito
circa l’80% del colesterolo epatico. La variazione di numero e di posizione dei vari
gruppi idrossilici presenti nella molecola determina la formazione di un gran numero
di acidi biliari, tra cui i più importanti sono l’acido colico e l’acido desossicolico.
Essi vengono escreti con la bile previa coniugazione con la glicina e la taurina a
livello epatico per formare l’acido glicolico e taurocolico.
Metabolismo proteico
Per le proteine, a differenza dei glicidi e dei lipidi, non esistono forme di deposito da
utilizzare in caso di necessità. Le proteine dell’organismo sono soggette di continuo a
scissione e resintesi e, pertanto, i componenti cellulari vanno incontro ad un intenso
ricambio di proteine.
Con l’assorbimento intestinale una grande quantità di amminoacidi perviene,
attraverso la vena porta, al fegato che ne capta una quota importante ed interviene, in
tal modo, nel controllo dell’amminoacidemia. Gli amminoacidi captati dal fegato, in
parte vengono rimessi in circolazione rientrando quindi nel poll amminoacidico
generale, in parte subiscono trasformazioni in senso catabolico, ed in parte vengono
impiegati per l’elaborazione delle proteine epatiche e plasmatiche.
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Biosintesi delle proteine plasmatiche
Nel fegato avviene la biosintesi della albumine, della maggior parte delle  e delle 
globuline e del fibrinogeno, mentre le  globulina ed una parte delle  e  globuline
si formano nel tessuto linfoide e nelle plasmacellule. L’albumina serica interamente
di origine epatica, rappresenta il 40% circa delle proteine plasmatiche totali e svolge
un ruolo fondamentale nel mantenimento della pressione oncotica e nel trasporto di
numerose sostanze quali calcio, zinco, magnesio, bilirubina libera ecc.
Le  e  globuline svolgono funzioni di trasporto dei lipidi, costituendo in tal caso le
lipoproteine, ed ancora di vitamine e di ormoni.
Sempre di origine epatica sono le glicoproteine quali la transferrina, che lega il ferro
plasmatico convogliandolo alla sintesi dell’emoglobina, la ceruloplasmina, che
opera il trasporto di rame, e le aptoglobuline, che si combinano con l’emoglobina
aumentandone la proprietà perossidasica (Aguggini et al., 1997).
La quasi totalità dei fattori della coagulazione del sangue è sintetizzata dal fegato. A
livello epatico si ha anche la sintesi di proteine cellulari immagazzinando i protidi in
possesso sotto forma di tessuto neoformato e tendendo all’ipertrofia cellulare. In
condizione di inanizione il fegato è tra gli organi che più rapidamente perde le
proprie proteine, ma è anche quello che altrettanto rapidamente recupera il proprio
tasso proteico con il passaggio ad una alimentazione corretta.
Trasformazioni degli amminoacidi
La transamminazioni sono reazioni di grande rilievo biologico catalizzate, in genere,
da enzimi specifici, le transaminasi, localizzate sia nei mitocondri sia nella frazione
solubile del citoplasma che, in primo luogo, consentono di raccogliere i gruppi
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amminici dei vari amminoacidi nella forma di uno solo, di solito l’acido glutammico,
e rendono poi possibile la degradazione ossidativa indiretta degli amminoacidi.
Le transamminasi glutammico-ossalacetica (GOT) e glutammico-piruvica (GPT),
sono attive, soprattutto la prima, nei tessuti animali ed in particolare nel fegato, nel
tessuto muscolare scheletrico e cardiaco ed in quello renale. La loro determinazione
quantitativa e quella del loro rapporto costituisce un indice molto importante,
nell’ampio quadro dell’esplorazione funzionale del fegato, nelle epatopatie in cui la
marcata sofferenza cellulare ne comporta la liberazione e messa in circolo. Nel
fegato si realizzano inoltre numerose conversioni ed interconversioni di
amminoacidi, quali la formazione di tirosina dalla fenilalanina e la conversione
reciproca tra glicina e serina. Si realizzano quindi vere sintesi di amminoacidi non
essenziali essendo quelli essenziali solo di origine alimentare.
Metabolismo di composti azotati non proteici
L’ureogenesi è una funzione di particolare importanza in virtù della quale una
sostanza dotata di elevata tossicità quale l’ammoniaca viene coinvolta nel ciclo di
Krebs che si chiude con la formazione di urea che liberata nel sangue viene
eliminata con le urine. L’ammoniaca perviene al fegato attraverso il circolo portale
come tale e sotto forma di amminoacidi tramite il circolo sistemico. A livello epatico
il gruppo amminico viene utilizzato dagli enzimi glutamminasi e glutammato
deidrogenasi. Le basi puriniche adenina e guanina sono degradate dal fegato e dal
rene con formazione di acido urico. Solo l’uomo, i primati, il cane dalmata e la cavia
presentano escrezione di acido urico con le urine mentre negli altri mammiferi
ureotelici per metabolizzazione dell’acido urico si ha l’eliminazione di allantoina.
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Funzione di disintossicazione
Il fegato riveste un ruolo preponderante anche se non esclusivo nell’ambito di questa
funzione che è svolta, peraltro, anche dal rene, dall’intestino, dal polmone e dalla
cute. Per disintossicazione si intende l’insieme delle trasformazioni chimiche che il
fegato opera a carico di sostanze molto spesso tossiche, estranee all’organismo o
anche endogene. Non sempre ciò si verifica potendo accadere talvolta che le sostanze
divengano più tossiche dopo le modificazioni volte a produrne disintossicazione ed
in questa evenienza si parla di attivazione metabolica.
I processi di disintossicazione, legati all’azione di complessi polienzimatici
microsomiali epatici, consistono sia in una modificazione della struttura della
sostanza sia in una coniugazione di essa con un prodotto del metabolismo.
Le più comuni reazioni di coniugazione sono quelle risultanti dalla combinazione
della sostanza estranea con acido glicuronico, con acido solforico e con glicina.
Funzione biligenetica
L’elaborazione e la secrezione della bile si realizzano mediante la captazione e la
sintesi di metaboliti da parte della cellula epatica, il trasporto di sostanze nella cellula
stessa ed infine la escrezione nei canalicoli biliari dei suoi diversi componenti ed di
acqua.
La bilirubina e la biliverdina sono i principali pigmenti biliari e derivano dal
catabolismo dell’emoglobina e in minor misura dalla mioglobina, citocromi ecc.
L’emoglobina si libera con la distruzione dei globuli rossi che si attua nelle cellule
reticoloendoteliali della milza, del midollo osseo, e del fegato; a livello del fegato i
pigmenti si formano, pertanto nelle cellule di Kupffer, passano nel plasma e
20
pervengono agli epatociti insieme con la
bilirubina originatasi in sedi diverse.
L’emoglobina liberatasi con la eritrocateresi subisce il distacco di globina che viene
degradata ad amminoacidi mentre il gruppo eme, previa rimozione del ferro che
viene impiegato di nuovo nella sintesi di emoglobina, viene trasformato in bilirubina
e biliverdina. La bilirubina libera cosi formatasi può penetrare facilmente attraverso
la membrana all’interno delle cellule dove esercita un effetto tossico interferendo con
le funzioni metaboliche. Nel plasma la bilirubina libera viene trasportata legata alle
albumine e quindi perde la capacità a diffondere attraverso le membrane cellulari.
Nell’epatocita la bilirubina viene coniugata con l’acido glicuronico e trasformata in
bilirubina monoglicuronide e diglicuronide. La bilirubina coniugata è idrosolubile ed
è escreta attivamente dall’epatocita nei canalicoli biliari; allorché perviene con la bile
nell’intestino viene trasformata in bilirubina libera ad opera della flora batterica
intestinale, viene ridotta nel colon a stercobilinogeno ed urobilinogeno.
Quest’ultimo è assorbito parzialmente dall’intestino, passa nel sangue e viene in
piccola parte escreto con le urine come urobilina e per la quota restante riescreto con
la bile. L’urobilinogeno non assorbito viene escreto con le feci come
stercobilinogeno che a contatto con l’aria si ossida a stercobilina.
Gli acidi biliari sono prodotti specifici dell’attività metabolica degli epatociti e
derivano dal catabolismo dell’80% del colesterolo epatico.
I più importanti sono l’acido colico e l’acido desossicolico che nell’epatocita
vengono coniugati con la glicina e con la taurina per dare gli acidi glicocolico e
taurocolico. Gli acidi biliari vengono in gran parte riassorbiti nel digiuno e nell’ileo e
attraverso il circolo portale riportati al fegato. La quota di essi che non viene
riassorbita viene eliminata con le feci ed in piccola parte con le urine.
21
I sali biliari sono secreti generalmente come sale di sodio e potassio degli acidi
biliari. Nella digestione e nell’assorbimento dei lipidi i sali biliari rivestono grande
importanza per l’azione tensioattiva che svolgono a livello dell’interfacie acquagrassi. Tale azione rende possibile la dispersione dei grassi, nell’ambiente acquoso
intestinale sotto forma di minute goccioline e quindi la formazione di un’emulsione
che accresce la superficie di contatto tra acqua e lipidi moltiplicando le possibilità di
contatto tra enzimi e lipidi.
Altre funzioni del fegato
Oltre a costituire organo di riserva delle vitamine soprattutto delle liposolubili A e E
che possono venire immagazzinate per lunghi periodi, il fegato esercita su di esse
importanti funzioni metaboliche quali esterificazione delle vitamine liposolubili,
fosforilazione della tamina, della riboflavina e del piridossale, formazione del
coenzima B dodici dalla vitamina B dodici e del coenzima A dall’acido pantotenico.
Inoltre svolge un ruolo endocrino con la sintesi dell’ angiotensinogeno che è
trasformato in angiotensina 1 dalla renina. Una funzione di rilievo è data dalla
inattivazione degli ormoni circolanti; infine il fegato assolve a funzioni di difesa
dell’organismo che sono quelle proprie delle cellule del sistema reticolo-endoteliale e
vengono esplicate dalle cellule di Kupferr.
22
Classificazione istopatologica e comportamento biologico delle
neoplasie epatiche
Nel cane i tumori epatici primitivi sono poco comuni e rappresentano meno
dell’1,5% di tutti i tumori del cane (Withrow e Vail, 2007), mentre i tumori
secondari metastatici sono 2,5 volte più frequenti, a causa del duplice apporto
ematico attraverso l’arteria epatica e la vena porta (Strombeck, 1978; Cullen e
Popp, 2002; Withrow e Vail, 2007).
In uno studio condotto da Trigo et al., (1982) su 1867 cani esaminati
ecograficamente in 7 anni venivano registrati i seguenti tumori epatici:

49 primari e 129 tumori secondari;

14 tumori primari benigni: adenomi epatocellulari e colangiocellulari;

35 tumori primari maligni: 18 carcinomi epatocellulari; 13 carcinomi
colangiocellulari; 1 carcinoma misto colangioepatocellulare; 2
emangiosarcomi; 1 fibrosarcoma.
Nell’uomo è evidente l’associazione tra cancerogenesi epatica e virus
dell’epatite B, malattie epatiche croniche (cirrosi), presenza di sostanze tossiche
negli alimenti (aflatossine e nitrosuree) assunzione di alcuni farmaci e
infestazioni da trematodi. Nel cane sono stati condotti trial tossicologici che
hanno dimostrato il potenziale cancerogeno delle nitrosouree, ma un fattore
eziopatogenetico certo non è ancora stato identificato. Inoltre, soltanto una
minima percentuale di pazienti con carcinoma epatocellulare presenta cirrosi
epatica: pertanto, le malattie epatiche croniche non sembrano avere importanza
nella cancerogenesi dei tumori epatici. Il virus dell’epatite non è mai stato
isolato dal fegato dei cani con carcinoma (Tennant et al., 2004).
23
I tumori primari possono essere descritti in tre modi:

massivi: se interessano un lobo epatico con piccoli noduli metastatici
diffusi;

nodulari: vari noduli in più lobi;

diffusi: ampie zone di fegato infiltrate da tessuto neoplastico privo di
demarcazione capsulare (Patnaik et al., 1980).
I tumori epatici primitivi possono derivare dai diversi stipiti cellulari presenti
nel fegato:
-dagli epatociti (adenoma epatocellulare e carcinoma epatocellulare)
-dalle cellule dei dotti (colangioadenoma e colangiocarcinoma)
-dagli elementi mesenchimali (per esempio, emangiosarcoma delle cellule
endoteliali).
I più frequenti nel cane sono l’adenoma epatocellulare, il carcinoma
epatocellulare, il colangiocarcinoma e i carcinoidi epatici (Thamm, 2001).
24
Derivazione
Tumori benigni
Tumori maligni
Epiteliale
adenoma epatocellulare
adenoma biliare
(colangioma, adenoma
colangiocellulare)
cistoadenoma biliare
carcinoma epatocellulare
carcinoma biliare
(colangiocarcinoma)
cistoadenocarcinoma biliare
epatocolangiocarcinoma
epatoblastoma
Neuroendocrina
Mesenchimale
Carcinoide (carcinoma
neuroendocrino)
mielolipoma
emangioma
linfangioma
mesenchimoma
emangiosarcoma
linfangiosarcoma
leiomiosarcoma
fibrosarcoma
osteosarcoma extrascheletrico
rabdomiosarcoma
Ematopoietica
linfoma
disordini mieloproliferativi
sarcoma istiocitico diffuso
mastocitoma
plasmacitoma
non classificabile
carcinoma indifferenziato
sarcoma indifferenziato
secondari
tumori gastroenterici
emangiosarcoma
carcinoma pancreatico
carcinoma mammario
insulinoma
fibrosarcoma
feocromocitoma
lesioni pseudotumorali
iperplasia nodulare
iperplasia rigenerativa
amartoma vascolare
amartoma biliare
teleangectasia
Figura 4- Classificazione istopatologica dei tumori epatici proposta dall’OMS 2003
(modificata da Marconato, 2005).
L’ adenoma epatocellulare (epatoma) è un raro tumore benigno, solitamente
peduncolato e a margini arrotondati, che può presentarsi in forma solitaria
25
oppure multipla e può raggiungere notevoli dimensioni (oltre i 15 cm di
diametro). Esso appare solitamente di consistenza morbida e colore marrone
chiaro o giallo ed è costituito da epatociti ben differenziati, ma l’architettura
normale del fegato non è conservata. L’adenoma epatocellulare non presenta
predisposizione di sesso (Bastianello, 1983) ed è stato descritto soprattutto in
cani anziani, senza particolari distribuzioni razziali (Patnaik et al., 1980).
Tipicamente, l’adenoma epatocellulare comprime il tessuto epatico attiguo,
senza però invaderlo (Jubb et al., 2007). Istologicamente può essere difficile
distinguere l’adenoma epatocellulare dall’iperplasia nodulare o dal carcinoma
epatocellulare ben differenziato. I criteri istologici differenziali si basano
sull’infiltrazione locale, sull’invasione vascolare o linfatica e sulla presenza di
atipie cellulari. L’adenoma epatocellulare di piccole dimensioni è asintomatico;
se più voluminoso può essere palpabile. Trattandosi di una neoplasia molto
friabile, la complicanza più temibile è la rottura con emoperitoneo: in questo
caso la diagnosi differenziale deve essere posta con l’emangiosarcoma
(Marcato, 2002). L’adenoma epatocellulare non rappresenta una lesione
precancerosa: pertanto, la prognosi dopo l’escissione chirurgica è buona.
L’iperplasia epatocellulare nodulare o iperplasia nodulare benigna del
fegato, secondo alcuni autori, è una lesione pseudotumorale, che dovrebbe
regredire una volta cessato l’ipotetico stimolo, mentre secondo altri, è definita
con il termine di epatomi multipli, in quanto non è stata identificata la causa di
stimolazione iperplastica e non è stata dimostrata la capacità di regressione di
questa iperplasia (Bergman, 1985). L’iperplasia nodulare è caratterizzata dalla
presenza di noduli singoli o multipli, fino a 5 cm di diametro, variamente
26
distribuiti nel parenchima epatico. Tipicamente, l’iperplasia interessa soggetti
adulti e anziani (> 8 anni) (Bergman, 1985). La diagnosi conclusiva è
istopatologica: l’iperplasia, di solito, è costituita da aggregati nodulari di
epatociti non incapsulati, che mantengono la caratteristica architettura lobulare.
Iperplasia nodulare e adenomi non sono da confondere con la rigenerazione
nodulare del fegato, secondaria a necrosi epatocitarie o fibrosanti croniche che
si ripercuotono sul parenchima epatico. In questo caso le lesioni conferiscono
all’organo un aspetto macronodulare (Dayrell-Hart et al., 1991).
Il cistoadenoma biliare rappresenta una variante dell’adenoma epatocellulare
ed è caratterizzato dalla presenza di cisti che interessano i dotti biliari
intraepatici. Molto frequente nel gatto è rarissimo nel cane (Adler, Wilson,
1995).
Il carcinoma epatocellulare rappresenta il tumore epatico primario più
comune nel cane. L’età media dei cani colpiti è di 10-11 anni (Rooney, 1959). I
cani di sesso maschile sembrano essere maggiormente predisposti rispetto alle
femmine ma senza predisposizione di razza (Patnaik et al., 1981). Il carcinoma
epatocellulare si può presentare sotto varie forme macroscopiche: massiva
(60% circa nella specie canina), nodulare (30% circa) e diffusa (10% circa)
(Patnaik et al., 1981; Trigo et al., 1982). Si può trovare in tutti i lobi epatici
ma il lobo epatico sinistro è segnalato per essere colpito più di frequente. I
carcinomi sono capsulati in poco più della metà dei casi. Nelle forme diffuse la
capsula è sempre assente. La forma massiva solitaria è caratterizzata dalla
presenza di un’unica massa di grosse dimensioni, che interessa un solo lobo
epatico (solitamente il sinistro) oppure più lobi adiacenti, con eventuali piccoli
27
noduli satelliti metastatici nel restante parenchima epatico ed è la forma più
comune nel cane. La forma nodulare è caratterizzata da noduli multipli di varie
dimensioni che interessano i lobi epatici, mentre la forma diffusa è
caratterizzata dalla presenza di diverse masse indistinte sparse per tutto il
parenchima epatico (Patnaik et al., 1981).
Il parenchima tumorale è friabile e presenta una varietà di colori, che vanno dal
bianco-grigiastro al rosso al bruno al giallo al verde, per la presenza di aree
emorragiche, necrotiche e cistiche, di infiltrazioni lipidiche e di fenomeni
colestatici ( Marcato, 2002).
Dal punto di vista istopatologico, il carcinoma epatocellulare può essere
classificato come trabecolare, adenoide, solido o poco differenziato. Le cellule
tumorali sono simili agli epatociti normali, ma più grandi, con citoplasma
finemente granuloso acidofilo, spesso ricco di glicogeno e lipidi, e perciò
vacuolizzato, con nuclei ampi e d’aspetto vescicolare. Oppure si trovano cellule
più piccole, spesso non facilmente distinguibili da cellule di origine biliare.
Inoltre manca qualsiasi reminescenza di spazi portali, vene centrolobulari e
dotti biliari. Queste caratteristiche differenziano i tumori dalle iperplasie
nodulari, frequenti nel cane, nelle quali in particolare la presenza degli spazi
portali è invece sempre riconoscibile (Marconato, Del Piero, 2002). Il
potenziale metastatico del carcinoma epatocellulare varia notevolmente in
funzione della forma macroscopica: se diffuso, può superare il 60 %, mentre per
la forma massiva è riportato un tasso metastatico che varia dal 4,8 al 36,6%,
secondo lo studio considerato. La diffusione ai polmoni avviene per via
ematogena, attraverso le vene epatiche; è tuttavia possibile riscontrare metastasi
28
linfonodali e peritoneali (carcinomatosi). Per carcinomatosi si intende la
disseminazione della neoplasia sulle superfici peritoneali. I tumori che più
frequentemente danno carcinomatosi sono le neoplasie epatiche, pancreatiche,
intestinali e ovariche, ma anche l’emangiosarcoma splenico o epatico (ed in
questo caso si preferisce parlare di sarcomatosi) ed il linfoma (linfomatosi)
(Patnaik et al., 1980).
Il colangioma (adenoma biliare o colangiocellulare) nel cane è un raro
tumore benigno asintomatico riscontrato per lo più come reperto occasionale in
corso di necroscopia. Si presenta sotto forma di massa irregolare e non
incapsulata, chiara, verdastra o grigia, spongiosa o multicistica, che tende ad
interessare l’intero lobo epatico ed istologicamente in questi tumori si rileva
una struttura tubulare nei noduli solidi, oppure multiloculare con cavità a parete
connettivale sottile rivestite da epitelio cubico, o piatto, talora con escrescenze
papillari (cistoadenoma biliare) nei noduli policistici. Il contenuto di mucina
delle microcavità cistiche è considerato un elemento per escludere formazioni
cistiche congenite (Jubb et al., 2007).
Tra i tumori epatici maligni, il colangiocarcinoma (carcinoma biliare) è
secondo in ordine di frequenza nel cane. In merito al segnalamento, il 65% dei
cani colpiti dal tumore ha un’età superiore ai 10 anni e sembra esservi una
predisposizione per il sesso femminile e per i cani di razza Labrador Retriever
(Patnaik et al., 1980). Secondo diversi studi, sarebbe interessato maggiormente
il lobo sinistro (Patnaik et al., 1981). Il colangiocarcinoma origina dall’epitelio
biliare e presenta istologicamente una componente scirrosa. Gli epiteli del
colangiocarcinoma sono simili a quelli dei dotti biliari, con elementi cubici o
29
cilindrici a citoplasma chiaro, basofilo, e nuclei piccoli. Esso può prendere
origine dal dotto biliare intraepatico, dal dotto biliare extraepatico oppure dalla
cistifellea. Anche per il colangiocarcinoma sono descritte le forma massiva, che
può interessare anche un intero lobo epatico, e la nodulare, più frequente, e
caratterizzata da masse di varie dimensioni, sparse per tutto il parenchima
epatico. In entrambe le forme le masse tumorali contengono spesso aree
necrotiche e cistiche e, se la componente cistica è predominante, si parla di
cistoadenocarcinoma biliare. Il comportamento biologico è aggressivo e
caratterizzato da un alto tasso metastatico superiore all’80% (Trigo et al.,
1982). Il colangiocarcinoma è di difficile differenziazione dall’adenocarcinoma
metastatico, ad esempio dall’adenocarcinoma pancreatico. Possono essere utili
per la differenziazione l’abbondanza di stroma fibroso, la secrezione di mucina
e l’infiltrazione di cordoni cellulari nei sinusoidi alla periferia dei noduli, che
contraddistinguono il colangiocarcinoma (Trigo et al., 1982). La via di
diffusione è linfoematogena ed i siti metastatici riportati sono polmoni,
linfonodi epatici e peritoneo. È segnalato in letteratura un colangiocarcinoma
metastatico al midollo osseo in un cane bovaro del bernese (Marconato, Del
Piero, 2005).
L’epatoblastoma è un tumore molto raro nel cane. Si tratta di una neoplasia
costituita da epatociti embrionali o fetali, uniformi con citoplasma granulare,
che tendono e formare corde, trabecole o acini. Nell’uomo l’epatoblastoma
compare entro i primi diciotto mesi di vita e, contrariamente ai nostri animali
domestici, è invasivo.
30
Il carcinoide o apudoma è un raro tumore maligno, che origina dal sistema
neuroendocrino (cellule APUD: Amine Precursor Uptake and Decarboxilation)
diffuso dell’epitelio biliare o del fegato e che interessa per lo più cani di età
inferiore ai 10 anni (Patnaik et al., 1981). Il carcinoide può presentarsi nella
forma solitaria, che interessa un unico lobo epatico, un singolo dotto biliare o la
cistifellea, o in quella multipla nodulare, quest’ultima più frequente (Patnaik et
al., 1981). Si tratta di un tumore molto aggressivo, con potenziale metastatico
del 90%. I siti metastatici preferenziali sono il restante parenchima epatico, i
linfonodi regionali ed i polmoni. Per la diagnosi è spesso necessario ricorrere
all’immunoistochimica (positività all’enolasi specifica neuronale – NSE , alla
sinaptofisina, alla cromogranina, alla somatostatina, al glucagone, alla
serotonina e all’ACTH) oppure alla reazione di Grimelius, che evidenzia
l’argirofilia
delle
cellule
neuroendocrine.
Secondo
uno
studio
immunoistochimico recente, un pannello di antigeni comprendente NSE e
sinaptofisina o NSE e cromogranina identificava il 90% dei tumori
neuroendocrini nel cane. È riportato in letteratura un carcinoide epatico in un
cane caratterizzato dalla secrezione ectopica di ACTH e responsabile di
ipercortisolemia e ipokalemia (Churcher, 1999).
Tra i tumori maligni di origine mesenchimale, l’emangiosarcoma è
sicuramente il più importante. E’ una neoplasia che insorge solitamente in età
avanzata, origina dalle cellule endoteliali dei sinusoidi epatici ed è molto
vascolarizzata. Nel cane, soltanto il 10% degli emangiosarcomi ha origine
epatica (Srebernik, Appleby, 1991). Microscopicamente si presenta come una
massa singola o con focolai multipli di colore variegato, da rosso scuro a grigio-
31
rosso-purpureo a giallo. Istologicamente è costitutito da cellule endoteliali,
spesso pleomorfe, che formano lesioni cavitarie ripiene di sangue. Le cavità
sono molto fragili e tendono a rompersi, provocando emoperitoneo. Il tasso
metastatico è elevato e le metastasi tipicamente interessano polmoni, miocardio
e peritoneo. Frequentemente può causare trombosi della vena porta e delle vene
sovraepatiche.
Il corrispettivo tumore benigno, l’angioma (emangioma), è raro e deve essere
differenziato dall’amartoma vascolare (Marcato, 2002).
Il mesenchimoma maligno è composto da cellule mesenchimali che si
differenziano in due o più forme maligne: saranno perciò riscontrabili varie
combinazioni tra rabdomiosarcoma, liposarcoma, condrosarcoma, sarcoma
osteogenico, sarcoma sinoviale e sarcoma indifferenziato (McDonald, Helman,
1986).
Il leiomiosarcoma è una neoplasia della muscolatura liscia che tende a crescere
lentamente ma, contrariamente alle altre localizzazioni, nel fegato il
leiomiosarcoma ha potenziale metastatico elevato e si accompagna spesso ad
ipoglicemia paraneoplastica (Bagley et al., 1996).
Il mastocitoma epatico
ha comportamento biologico particolarmente
aggressivo e tende ad interessare il fegato diffusamente (Marconato, Del
Piero, 2005).
Il linfoma raramente origina primariamente nel fegato (linfoma epatico
primitivo), mentre è più frequente il coinvolgimento secondario dell’organo nei
pazienti affetti da linfoma di IV e V stadio (secondo il sistema OMS): infatti,
più spesso il coinvolgimento epatico fa parte di un disordine multicentrico
32
(Dobson, 2004). Il linfoma è la neoplasia maligna più comune del sistema
emopoietico del cane (80% dei tumori ematopoietici ed il 5-7% di tutte le
neoplasie del cane) ed è paragonabile al linfoma non Hodgkin umano (Teske,
1994). L’incidenza in Europa è di circa 30 nuovi casi su 100.000 ogni anno,
anche se probabilmente questi dati sono sottostimati. In genere sono interessati
cani adulti (6-8 anni), senza predisposizione di sesso (Jagielski et al., 2002). Le
seguenti razze sono invece considerate particolarmente a rischio: Boxer
(particolarmente predisposto al linfoma di tipo T e che risponderebbe peggio
alla chemioterapia), Bassethound, San Bernardo, Terrier Scozzese, Airedale
Terrier, Bulldog, Pastore Tedesco, Rottweiler, Bull Mastiff, Golden Retriever e
Beagle (Edwards et al., 2003). L’elevata frequenza in queste razze suggerisce
una predisposizione su base genetica (dimostrata per i Bull Mastiff ed i
Rottweiler), anche se sono state ipotizzate cause ambientali (erbicidi,
esposizione a benzene, fumo di tabacco o a campi magnetici), infettive virali e
immunomediate (somministrazione di ciclosporine o immunosoppressione).
Nei soggetti malati sono presenti linfoadenomegalia generalizzata e lesioni
multiple in corrispondenza del fegato, milza, polmoni e cute. Il linfoma è una
malattia sistemica a carattere progressivo, caratterizzata dalla proliferazione
maligna e incontrollata delle cellule del sistema linfoide arrestatesi in una fase
precisa della loro naturale linea di trasformazione, che interessa linfonodi ed
altri visceri solidi, come fegato e milza, oppure siti extranodali (intestino,
stomaco, reni, cute, occhio, sistema nervoso centrale e periferico).
Tale mobilità è legata al fatto che cellule linfoidi neoplastiche circolano
liberamente per tutto il corpo e possono raggiungere qualsiasi organo.
33
I linfonodi portali, in corso di linfoma, risultano particolarmente aumentati di
volume e molto vascolarizzati.
I tumori secondari sono più frequenti di quelli primari. Le metastasi più
frequenti sono quelle dell’emangiosarcoma, seguite da quelle del linfoma, degli
adenocarcinomi e dei carcinomi (gastrico, pancreatico, mammario, surrenalico,
tiroideo, polmonare, prostatico, ovarico), meno frequentemente dei sarcomi e
del mieloma (Cullen, Popp, 2002).
Anche i tumori epatici primitivi possono metastatizzare al parenchima epatico stesso
ed in questo caso la diffusione avviene attraverso il sistema biliare duttale o i
sinusoidi. L’aspetto tipico è quello di una lesione voluminosa (tumore primitivo),
accanto a tanti piccoli noduli (metastasi). Le cellule metastatiche (emboli neoplastici)
giungono al fegato tramite il sistema portale o attraverso la circolazione sistemica.
34
Tecniche di diagnostica per immagini
Esame Radiografico
L’esame ha rappresentato fino a qualche decennio fa, l’unico strumento di
Diagnostica per Immagini disponibile nell’ambito della maggior parte delle strutture
veterinarie. L’esame RX presenta molti limiti quali il fatto di fornire immagini di
tipo planare, nelle quali intervengono numerosi fenomeni di sovrapposizione fra le
diverse strutture anatomiche, spesso di tipo analogico e, soprattutto, con scarsa
risoluzione di contrasto per i tessuti molli. Normalmente, le informazioni che la
radiografia è in grado di dare riguardano la sede, le dimensioni, i profili e la densità.
Pertanto, nel caso del fegato le più importanti informazioni sono quelle relative alle
dimensioni, molto più facilmente ed oggettivamente valutabili rispetto all’ecografia,
e alla densità che, nel caso di lesioni calcifiche come ad esempio i calcoli biliari,
risulterà modificata. Per permettere la visualizzazione del sistema biliare, in passato,
sono state proposte delle indagini contrastografiche che, però, al momento non sono
più praticate sia per la tossicità dei mdc utilizzati sia per l’introduzione di tecniche
alternative quali l’ecografia.
35
Figura 5 – Esame Rx dell’addome anteriore in proiezione laterale: del fegato si possono apprezzare
solo i limiti definiti cranialmente dal diaframma, caudalmente dallo stomaco e dalle anse intestinali e
ventralmente dal grasso del legamento falciforme (frecce).
36
TC
La Tomografia Computerizzata (TC) è una tecnica di Diagnostica per Immagini che
fornisce immagini di fette del corpo attraversate da un fascio di raggi X altamente
collimato la cui attenuazione viene rivelata da un sistema di dettetori e ricostruita
sottoforma di immagine tomografica da un computer (Bertoni et al, 2005).
Rispetto all’esame radiografico la TC presenta una maggiore risoluzione di contrasto
e questo, assieme al fatto che le immagini sono di tipo tomografico, e che si
utilizzano mezzi di contrasto iodati e.v., rappresenta il maggior vantaggio rispetto
all’esame RX convenzionale. Gli apparecchi TC più recenti sono in grado di
effettuare scansioni di più piani contemporaneamente ed in maniera continua in
modo da ottenere immagini di grandi volumi del corpo in pochi secondi (Bertoni et
al, 2005).
Negli ultimi anni, la TC si è andata diffondendo anche in campo Veterinario ma, dato
che sono impiegati raggi X, che è necessaria la narcosi o la sedazione profonda e che
si ricorre alla somministrazione di mezzi di contrasto, per quanto riguarda il fegato,
la TC è considerata una tecnica di 2° livello, dopo l’esame ecografico. La TC del
fegato è indicata quando sono richieste maggiori informazioni sulla sede, il volume, i
rapporti anatomici e la vascolarizzazione delle lesioni epatiche. La TC del fegato,
inoltre, trova particolari indicazioni nello studio degli shunt porto-sistemici (Frank
et al., 2003; Bertoni et al, 2005). Anche con la TC, come con l’ecografia, sono
possibili manovre interventistiche guidate (biopsie, agoaspirazioni, drenaggio,
termoablazioni, alcolizzazioni, ecc.).
37
Figura 6- TC postcontrasto shunt porto-cava intraepatico (modificato dal Corso di Radiologia
Veterinaria del Prof. Meomartino su ―Federica‖).
Figura 7- TC fegato: aspetto pre e postcontrasto di metastasi epatiche di un carcinoma
mammario (punte frecce nere).
38
Scintigrafia
La scintigrafia è una metodica di Medicina Nucleare che fornisce immagini che
rappresentano una mappa della distribuzione corporea di una molecola radioattiva
(radiofarmaco indicatore o tracciante) emettente raggi gamma. La scintigrafia è una
tecnica molto sensibile per la diagnosi delle affezioni epatobiliari. L’isotopo che
viene adottato con maggiore frequenza nell’uso clinico è il tecnezio 99 m (99mTc) che
viene incorporato nel radiofarmaco specifico per lo studio pianificato. L’emivita del
99m
Tc è relativamente breve (6 ore), pertanto, benché l’animale debba comunque
essere tenuto in isolamento per 24 o 48 ore e l’urina e le feci che esso elimina
conservate fino a quando la loro radioattività non sia scesa fino ai valori ambientali,
il pericolo di irradiazione è ridotto sia per il paziente che per il personale addetto
all’esame. Ad esempio, il
99m
Tc legato allo zolfo colloidale, che viene fagocitato
dalle cellule monocitarie-macrofagiche del fegato, viene utilizzato per valutare la
presenza di lesioni epatiche.
La scintigrafia viene utilizzata anche per la diagnosi degli shunt porto-sistemici
tramite lo studio del percorso vascolare seguito dal pertecnetato marcato con
99m
Tc
dopo l’assorbimento nel colon o nei tessuti perirettali (Koblik, 1995). Le curve di
tempo/attività permettono di stabilire se l’isotopo è giunto prima nel fegato, il che è
normale, oppure nel cuore o nei polmoni, il che è compatibile con ogni tipo si
alterazione che consenta al flusso venoso portale di aggirare il distretto epatico.
Questo approccio presenta il vantaggio di valutare specificamente l’apporto ematico
portale piuttosto che la massa epatica che negli animali con shunt porto-sistemico
congenito o con affezione epatobiliare e shunt acquisito può essere ridotta oppure no.
39
I risultati del test non forniscono dettagli anatomici ma solo la prova della presenza o
assenza di shunt porto-sistemico.
La scintigrafia ha il vantaggio di permettere studi panoramici, di evidenziare
precocemente i processi patologici (elevata sensibilità) e di poter essere eseguita sul
soggetto sveglio o al massimo sedato. Gli svantaggi sono il costo e la gestione delle
attrezzature, l’incapacità di differenziare il tipo di patologia (bassa specificità) e i
problemi di natura radio protezionistica che ne limitano l’utilizzazione in Medicina
Veterinaria.
Figura 8- Scintigrafia circolo-portale in un cane (modificato dal corso di Radiologia Veterinaria del
Prof. Meomartino su ―Federica‖).
40
Risonanza Magnetica
E’ una tecnica che fornisce immagini utilizzando un campo magnetico di elevata
intensità, molto superiore a quella del campo magnetico terrestre, e impulsi di
radiofrequenza. La RM consente di vedere in maniera eccellente i tessuti molli
perché sfrutta il segnale dell’acqua, o meglio dei nuclei degli atomi delle molecole di
acqua. Con la RM si possono ottenere immagini diverse delle stesse strutture
anatomiche in quanto oltre che dalla quantità d’acqua, il segnale dipende anche dalla
costituzione chimico-fisica del tessuto in esame. La RM quindi è in grado di
rappresentare i tessuti molli con elevato contrasto. Inoltre, durante gli studi RM è
possibile ottenere immagini tomografiche attraverso i vari piani anatomici
(trasversali, sagittali, dorsali od obliqui) senza la necessità di modificare la posizione
del paziente (Bertoni et al., 2005). In uno studio condotto su 23 cani su 27 lesioni
epatiche, differenziate in benigne e maligne sulla base delle immagini RM, e poi
confrontati con esami istopatologici e citologici, l’accuratezza è stata del 94% mentre
la sensibilità e specificità sono state del 100% (Clifford et all, 2004). Questi risultati
suggeriscono che la RM potrebbe avere una notevole importanza nel differenziare
accuratamente le lesioni benigne da quelle maligne. Inoltre, rispetto alla TC, la RM
ha il vantaggio di non utilizzare radiazioni ionizzanti. I maggiori svantaggi della RM
sono la ridotta disponibilità (in particolare degli apparecchi ad elevato campo, più
veloci e con maggiore risoluzione spaziale), la necessità di ricorso all’anestesia
generale, la necessità di utilizzare attrezzature dedicate, l’elevato costo di gestione e
di conseguenza degli esami che ne hanno finora limitato la diffusione della tecnica in
Medicina Veterinaria.
41
Ecografia
L’ecografia è una tecnica di Imaging che sfrutta gli echi prodotti dagli ultrasuoni e,
perciò, non invasiva e con elevata risoluzione di contrasto per i tessuti molli.
L’economicità delle attrezzature e la completa innocuità della tecnica ne hanno
favorito la diffusione sul territorio anche in campo Veterinario. Tuttavia,
l’esecuzione dello studio e l’interpretazione delle immagini è più difficile di altre
tecniche di Diagnostica per Immagini: infatti, l’ecografia è una tecnica considerata,
per antonomasia, operatore-dipendente.
Fondandosi sul principio che un impulso sonoro viene riflesso (eco) quando passa
attraverso l’interfaccia formata da due materiali con differente impedenza,
l’ecografia può evidenziare la diversità esistente tra i liquidi omogenei, a bassa
ecogenicità, quali sangue e bile, e le strutture più eterogenee composte dai vari tipi di
tessuti molli.
Fin dall’introduzione della tecnica in campo medico, il fegato, grazie alle sue
dimensioni e all’ecogenicità del parenchima, si è prestato allo studio ecografico.
Attualmente, l’ecografia è considerata essenziale per una corretta e completa
valutazione delle malattie epatiche perché essa consente lo studio in tempo reale,
morfologico e, per certi versi, funzionale. Ecograficamente, sono apprezzabili sia il
parenchima epatico, sia l’apparato biliare (in particolare la colecisti), sia il sistema
vascolare (in particolare quello venoso epatico e portale). L’esame ecografico del
fegato è, inoltre, utile ai fini della diagnosi istologica perché permette di effettuare
dei prelievi di materiale patologico ecoguidati direttamente dalla o dalle lesioni.
Lo studio ecografico del fegato rappresenta l’oggetto della presente tesi e, pertanto,
qui di seguito, ne viene illustrato in dettaglio il protocollo.
42
Figura 9- Algoritmo diagnostico per lo studio del fegato: l’ecografia come tecnica di primo livello
(modificato dal corso di Radiologia Veterinaria del Prof. Meomartino da ―Federica‖).
Preparazione e posizionamento del paziente
L’ecografia epatica non richiede una particolare preparazione per il paziente; è
comunque consigliabile eseguire l’esame sull’animale a digiuno da almeno 12 ore
allo scopo di limitare la presenza di artefatti provocati dalla distensione meteorica o
da parte di materiale alimentare dello stomaco. Occorre effettuare un’ampia
tricotomia dell’addome che comprenda la regione retro-xifoidea e gli ipocondri,
destro e sinistro, ed estendendola cranialmente fino ad includere, a destra, gli ultimi
2-3 spazi intercostali. Infatti, in alcune condizioni, per esplorare il fegato, è
necessario utilizzare la via intercostale; queste condizioni si verificano in caso di
microepatia (shunt porto-sistemico o cirrosi), nei soggetti dolicomorfi e con torace
profondo e quando c’è un’abnorme distensione gastrica o gastro-intestinale.
43
Per l’esecuzione dell’esame, si possono utilizzare diversi posizionamenti quali il
decubito dorsale, il decubito laterale destro e sinistro, la stazione quadrupedale. La
scelta del posizionamento dipende spesso dalle preferenze e dalle abitudini
dell’operatore, tuttavia, si ricorda che qualunque sia il posizionamento adottato esso
costituisca parte di un protocollo codificato e ripetibile.
Esecuzione dell’esame ecografico
Come per gli altri organi, si deve selezionare una frequenza di ultrasuoni in rapporto
alle dimensione del soggetto in esame: frequenze intorno a 5-6 MHz permettono una
buona penetrazione degli ultrasuoni (10-12 cm) e, perciò, si utilizzano nei cani di
taglia medio-grande; nei cani di taglia gigante può essere necessario ricorrere a
frequenze inferiori, intorno a 3,5 MHz, a discapito, però, della risoluzione spaziale
delle immagini ottenute; nei cani di piccola taglia conviene utilizzare sonde con
frequenza pari o superiore a 7,5 MHz che offrono la migliore risoluzione per una
profondità adeguata (4-6 cm). Per quanto riguarda la geometria della disposizione
dei cristalli, si preferisce utilizzare sonde Convex o, meglio, Microconvex e Lineari
pediatriche, per lo scarso ingombro che ne favorisce l’utilizzo sulle regioni cutanee
retro-xifoidea e dell’ipocondrio sulle quali, spesso, è necessario effettuare una certa
compressione, al di sotto del profilo sternale e costale, per avvicinare la sonda al
fegato o per superare l’ostacolo rappresentato da qualche tratto del tubo digerente.
In genere, quando si inizia lo studio del fegato, la sonda viene posta sullo spazio
retro-xifoideo, inclinata di 30° circa cranio-dorsalmente, e con il fascio posto lungo il
piano sagittale mediano. Da questa posizione, poi, si effettueranno dei movimenti “a
ventaglio”, verso destra e verso sinistra per esplorare tutto l’organo nei vari piani
44
parasagittali e obliqui longitudinali. Successivamente, sempre mantenendo la sonda
sulla regione retro-xifoidea, si ruota di 90°, mantenendo però l’inclinazione di circa
30° cranio-dorsalmente, con il fascio ora disposto nel piano trasversale. Da questa
posizione si effettueranno dei movimenti “a ventaglio” cranio-ventralmente e caudodorsalmente, sempre esplorando tutto il parenchima. Di solito, per completare
l’esplorazione delle porzioni più laterali dell’organo, è necessario spostare la sonda
sull’ipocondrio o sugli ultimi spazi intercostali di sinistra e di destra, alterando
comunque prima le scansioni longitudinali (eventualmente sul piano dorsale) e poi
quelle trasversali. La visione del fegato è agevolata durante l’inspirazione poiché
l’appiattimento della cupola diaframmatica si associa allo spostamento caudale
dell’organo. Quando l’approccio descritto precedentemente non permette una
completa esplorazione dell’organo, in particolare dei lobi di destra, si può
considerare l’approccio intercostale con l’animale in stazione (Bargellini et al,
2006). Nell’approccio intercostale destro la sonda viene posta in posizione
parasternale o, se necessario, più dorsalmente, a livello del 10°, 11°, o 12° spazio,
posteriormente all’area di esplorazione cardiaca.
45
Biopsia ed agoaspirazione ecoguidate
Il fegato è sicuramente uno degli organi che più si presta alle metodiche di tipo
interventistico. Vengono considerate nell’ambito di queste metodiche i prelievi di
materiale a scopo diagnostico e le procedure a scopo terapeutico (drenaggio di
raccolte, alcolizzazione o termoablazione di noduli, ecc.).
Il prelievo di materiale biologico mediante tecniche eco-assistite rappresenta, per il
fegato, la metodica interventistica principe, grazie alla grande utilità diagnostica e
prognostica che essa riveste. Le lesioni epatiche, sia focali sia diffuse, spesso non
hanno caratteri ecografici specifici e, per questo, la diagnosi richiede il ricorso alla
citologia o all’istologia.
Le agoaspirazioni e le biopsie possono essere effettuate utilizzando particolari guidapunte adattati alla sonda o “a mano libera”: nel primo caso, l’ago effettua un
percorso obbligato ma sempre visibile nel campo di vista; nel secondo caso, vi è una
maggiore libertà di movimento tra sonda e ago, ma spesso l’ago non è visibile nel
piano di scansione. In effetti, la prima opzione è più costosa e presenta dei limiti
dovuti all’ingombro del guida-punte ma, d’altro canto, è più facile e non richiede
particolare esperienza per la sua esecuzione. La tecnica “a mano libera”, invece, è
più economica e versatile ma richiede una maggiore esperienza da parte
dell’operatore. Quando si utilizzano aghi sottili non associati ad aspirazione e il
materiale cellulare viene prelevato mediante infissione dell’ago, nel cui lume le
cellule passano per capillarità o per diapedesi, si usa il termine di “agoinfissione”.
Possono essere utilizzati aghi sottili o aghi trancianti (il tipo più diffuso è quello con
punta “tru-cut”): con i primi, dato che vengono raccolte poche cellule, può essere
allestito un esame citologico; con i secondi, dato che viene prelevata una “carota” o,
46
comunque, un frustolo consistente di tessuto, si possono effettuare degli esami
istologici.
Nell’esecuzione di manovre interventistiche ecoguidate sul fegato, è sempre
opportuno controllare l’ematocrito e i parametri della coagulazione (almeno il tempo
di Quick, detto di protrombina, e il tempo di tromboplastina parziale attivata): se
l’emostasi si rivelasse alterata, è consigliabile rimandare la procedura dopo un
periodo di alcuni giorni di somministrazione di 5-10 mg/kg di vitamina K.
L’agoinfissione o agoaspirazione con ago sottile sono metodiche estremamente
sicure perché poco traumatiche e, quindi, miniinvasive. Per ottenere un campione
ottimale, è preferibile utilizzare aghi molto sottili, da 27 a 22 G, ed effettuare più
movimenti di “va e vieni” intralesionali (almeno 3 o 4): in questo modo, si ottiene
una minima contaminazione ematica soprattutto se non viene esercitata l’aspirazione.
La valutazione Doppler del tessuto da campionare non è indispensabile, ma può
aiutare ad identificare i vasi presenti intorno o dentro al “bersaglio” e a controllare
eventuali emorragie post-procedura. Quando si è in presenza di patologie diffuse, è
consigliabile effettuare più prelievi da più siti meglio, se possibile, da tutti i lobi
epatici.
In caso di lesione diffusa o, comunque, di grandi dimensioni, di facile aggredibilità e
in soggetti particolarmente collaborativi, l’agoaspirazione e l’agoinfissione non
richiedono alcun contenimento farmacologico. Nel caso, invece, di animali irrequieti,
di lesioni localizzate in posizioni “difficili” e, quindi, potenzialmente pericolose (ad
esempio, nei pressi della colecisti o della vena cava caudale) o di piccole dimensioni,
è necessario ricorrere alla sedazione o alla narcosi del paziente.
47
L’agoaspirazione e l’agoinfissione, come abbiamo detto, hanno il grande vantaggio
di essere poco traumatiche e, pertanto, presentano pochi rischi e poche
controindicazioni, però, esse consentono solo lo studio degli epatociti, normali o
patologici, e non quello dell’architettura epatica. Questo riduce la specificità della
manovra sebbene, grazie alla guida fornita in tempo reale dall’ecografia, sia possibile
aumentare l’accuratezza dei prelievi mediante agoaspirazione. Secondo uno studio
condotto su 110 prelievi (Hager et al., 1985), nel quale si effettuava un confronto tra
le diagnosi ottenute mediante agoaspirazione e quelle mediante biopsia, una corretta
diagnosi è stata possibile in più del 90% dei casi, qualunque fosse stata la tecnica di
prelievo impiegata. Tuttavia, è riportato che si possono avere diagnosi dubbie tra
ematoma, emangiosarcoma ed emangioma, o tra iperplasia nodulare e adenoma, o,
addirittura, carcinoma epatocellulare, quando i prelievi sono quantitativamente
limitati, come è spesso il caso delle agoaspirazioni (Lamb, 1991).
La metodica di esecuzione della biopsia con aghi trancianti è pressoché
sovrapponibile alla precedente. In questo caso, dato il maggiore diametro degli aghi
utilizzati (da 18 a 14 G), la procedura è, teoricamente, più traumatizzante delle
manovre di agoaspirazione e agoinfissione, soprattuto se si utilizzano aghi con
meccanismo di prelievo della “carota” manuale e non automatico o semi-automatico.
Quindi, è necessario ricorrere o, almeno, ad un’anestesia locale, che permetta di
praticare una piccola incisione cutanea, o, più spesso, ad una sedazione profonda o
ad un’anestesia generale, quando le difficoltà della procedura richiedono una
maggiore immobilità del paziente. La biopsia epatica ecoguidata è controindicata
quando sono presenti disordini dell’emostasi, dilatazione delle vene e/o delle vie
biliari intra- o extra-epatiche. L’ascite non rappresenta una reale controindicazione
48
ma rende più difficile la metodica per la maggiore mobilità dei lobi nel versamento
(Barr, 1995) ed, inoltre, allunga i tempi di emostasi.
Le complicanze delle procedure di agoaspirazione/agoinfissione e di biopsia
ecoguidata comprendono l’emorragia, la rottura delle vie biliari con peritonite
secondaria e la diffusione di cellule neoplastiche nella cavità peritoneale (Leveille et
al., 1993; Nyland et al., 1995). Vari studi condotti su campioni piuttosto vasti di
cani o gatti sottoposti a procedure interventistiche, hanno dimostrato che le
complicanze
più
frequenti
sono
quelle
cosiddette
minori
(emorragie
intraparenchimali di grado moderato) rispetto a quelle maggiori (emorragie gravi,
peritonite, diffusioni metastatiche) (Leveille et al., 1993; Nyland et al., 1995). Per
accrescere la sicurezza della procedura e per escludere la presenza di eventuali
sanguinamenti di piccola entità ma persistenti, si consiglia di tenere sotto
osservazione il paziente, mediante controlli ecografici ripetuti del punto di prelievo,
nelle 4 ore successive alla manovra (Partington, Biller, 1996).
49
Mezzi di contrasto nell’esame ecografico del fegato
I mezzi di contrasto e l’uso delle armoniche rappresentano delle innovazioni
dell’Imaging ecografico che sono già discretamente diffuse in campo umano ma che
sono ancora ai loro primi passi in campo veterinario (Nyman et al., 2005; Schärz et
al., 2005).
Grazie alla loro introduzione è stato possibile non solo evidenziare meglio le lesioni
epatiche che all’esame convenzionale appaiono isoecogene al parenchima sano, ma
anche avere informazioni sull’architettura vascolare delle lesioni, utili per la
caratterizzazione della benignità o della malignità.
I primi mezzo di contrasto ecografici erano costituiti da microbolle aeree che si
venivano a creare durante le fasi di inoculazione per fenomeni di gavitazione e di
agitazione. Successivamente, per superare la naturale instabilità delle bolle aeree, si è
racchiuso il gas in microcapsule e, a seconda del tipo di involucro, si distinguono
mdc di 1a e di 2a generazione. I mezzi di contrasto di 1a generazione hanno un
rivestimento rigido che amplifica il segnale ma non lo modifica e l’insonazione porta
alla rottura delle bolle. Quelli di 2a generazione hanno, invece, una capsula molto
soffice di fosfolipidi e, grazie a questa caratteristica, quando le microbolle vengono
investite dagli ultrasuoni, sono in grado di oscillare generando onde riflesse che
vibrano a frequenze multiple rispetto a quella di insonazione (1a armonica: frequenza
doppia; 2a armonica: frequenza tripla; etc.). Grazie a sonde dedicate, è possibile, in
ricezione, distinguere gli echi provenienti dal mdc da quelli di origine tissutale.
I mdc vengono iniettati per via endovenosa e, attraverso il circolo sanguigno,
arrivano ai tessuti da esplorare e li impregnano in modo diverso a secondo del tipo di
architettura vascolare, fisiologica, nel caso di tessuti normali, o patologica nel caso di
50
lesioni. Si descrivono tre fasi, una arteriosa, una venosa ed una portale: la prima dura
poco meno di 40-50 secondi; la seconda fino a 3-4 minuti.
La differente composizione della parte arteriosa, venosa e/o portale delle lesioni,
benigne o maligne, permette di identificarne la natura distinguendole e
caratterizzandole con estrema affidabilità e accuratezza. Qui di seguito, si accenna ai
comportamenti di wash-in e wash-out delle principali lesioni epatiche
L’angioma epatico, lesione benigna primitiva, all'ecografia con mdc mostra
tipicamente una progressiva tendenza al riempimento dalla periferia al centro della
lesione durante la fase portale, fino a divenire intensamente contrastata rispetto al
circostante tessuto e mantenere tale contrasto più a lungo dei tessuti sani.
Gli adenomi e i noduli di iperplasia, lesioni benigne, in fase arteriosa, come gli
epatocarcinomi, presentano un intenso contrast enhancement (dovuto allo sviluppo di
una autonoma neoangiogenesi arteriosa), ma al contrario degli epatocarcinomi,
essendo conservata la componente vascolare portale, presentano una fase portale
normale.
L’epatocarcinoma, tumore maligno primitivo, nell’ecografia con mdc presenta una
rapidissima e transitoria fase di inteso riempimento (iper enhancement) nella fase
arteriosa, dovuto alla spiccata attività neoangiogenetica, un’altrettanto rapida fase
venosa di wash-out, mentre la fase portale, a causa della perdita della componente
vascolare di tipo portale, manca rendendolo, perciò, facilmente riconoscibile rispetto
al parenchima sano circostante.
Le metastasi possono avere comportamenti vari, tuttavia, di solito, l'impiego del
mdc mette in evidenza una tipica assenza della fase arteriosa di wash-in, al limite
sostituita da un’esile impregnazione periferica “ad anello” seguita da una rapida fase
51
venosa, associata anche ad assenza della fase portale, come nel caso degli
epatocarcinomi.
Nel caso dei linfomi, l’ecografia con mdc mette in evidenza una caratteristica
assenza di impregnazione sia in fase arteriosa che portale.
52
Aspetti ecografici normali del fegato
Quando si compie un esame ecografico del fegato, devono essere valutati in
successione:

le dimensioni, i contorni e l’aspetto del parenchima (ecogenicità,
ecostruttura);

le vie biliari;

le dimensioni ed il tragitto dei vasi (rami della vena porta, vene
epatiche e sovraepatiche e vena cava caudale).
Non va dimenticato che, al fine di escludere altre patologie (surrenaliche,
spleniche, gastro-intestinali, pancreatiche, ecc.) eventualmente collegabili con
lesioni epatiche, in ogni caso è necessario effettuare un esame ecografico del
restante addome.
Il fegato è facilmente individuabile per la sua posizione craniale nell’addome e
per il fatto che è strettamente addossato al diaframma. Quest’ultimo appare
come una linea curva tanto più ecogenica quanto più il fascio ultrasonoro lo
interseca perpendicolarmente1. Ventralmente, è presente il legamento
falciforme normalmente infiltrato di grasso. Esso è, di solito, differenziabile dal
parenchima epatico per la sua trama più grossolana e l’ecogenicità superiore e
rappresenta, assieme alla corticale del rene destro e al parenchima splenico, uno
dei tessuti di riferimento utilizzati per stabilire l’ecogenicità del parenchima
epatico.
1
Ricordiamo, però, che il diaframma sopra descritto viene detto “diaframma ecogenico” che
corrisponde all’interfaccia tra pleura viscerale e parenchima polmonare aerato. Il diaframma vero e
proprio è normalmente invisibile perché non distinguibile dal parenchiam epatico. Esso diviene
visibile solo in caso di versamenti pleurici e peritoneali concomitanti.
53
Il parenchima epatico si caratterizza per un’ecostruttura omogenea, ad
ecotessitura di media grana e ecogenicità intermedia risultante dalla
combinazione di grasso, connettivo interstiziale, vasi ed epatociti.
L’ecogenicità del parenchima epatico è inferiore a quella del legamento
falciforme e della milza e leggermente superiore o uguale a quella della
corticale renale (Partington, Biller, 1996). Il confronto tra il lobo caudato e la
corticale del rene destro, così come tra il lobo quadrato/lobo sinistro mediano e
il legamento falciforme, dato l’intimo contatto esistente, è sempre possibile. Il
confronto tra la milza e il fegato è più difficile, a volte impossibile, per la
posizione assunta dagli organi nell’addome. La visualizzazione contemporanea
della testa della milza e dei lobi sinistri del fegato può avvenire attraverso una
finestra acustica laterale sinistra, spesso portata tra gli ultimi spazi intercostali.
Va, comunque, ricordato che un’ecogenicità normale del parenchima epatico
non significa assoluta assenza di lesioni: nei casi dubbi, solo i prelievi di
materiale biologico possono escludere o includere con certezza una patologia
(Lamb, 1991).
Ad eccezione dei casi di ascite, nelle immagini ecografiche i lobi epatici non
sono solitamente distinguibili. Essi, tuttavia, in alcuni casi, possono essere
apprezzati grazie ai movimenti di scorrimento relativi o alla glissoniana
ispessita. Più spesso, invece, i lobi si riconoscono grazie ai rapporti anatomici:
lobi sinistri/fondo gastrico, lobi destri/antro pilorico e duodeno, lobo caudato/
rene destro, lobo quadrato/colecisti.
Sono stati eseguiti molti studi per definire le dimensioni epatiche e lo standard
di normalità. Grazie a questi studi si è stabilito che il sesso non influenza le
54
dimensioni del fegato, contrariamente al peso corporeo e alla conformazione
del cane (le misure epatiche si sono rilevate maggiori nei cani a torace stretto e
profondo che in quelli a torace largo). Purtroppo, ad oggi, non è stato proposto
alcun metodo di misurazione accettabile, a causa dell’assenza di correlazione
tra le misure lineari ed il volume epatico. Per valutare le dimensioni epatiche in
maniera rapida ed oggettiva, il metodo più semplice consiste probabilmente
nell’utilizzo dell’esame radiografico. Ecograficamente, la valutazione delle
dimensioni epatiche è soggettiva e dipende, quindi, dal grado di esperienza
dell’operatore. Esistono, tuttavia, alcuni criteri per definire ecograficamente le
dimensioni del fegato:

Aspetto dei margini dei lobi: i margini epatici sono normalmente affilati
e con profili regolari. La presenza di margini arrotondati è indice di
ipertrofia.

Sede: il parenchima epatico normale, in genere, non oltrepassa, i profili
costali; sebbene questo criterio sia meno affidabile del precedente, nei
soggetti a torace profondo, il debordamento dei lobi epatici è indice di
epatomegalia.

Rapporto tra lobo caudato e rene destro: si deve sospettare
epatomegalia quando questo lobo si estende oltre il terzo craniale del
rene destro; nell’immagine, il lobo tende “a mangiarsi” il rene.

Rapporto tra lobo sinistro laterale e fondo gastrico: come per il lobo
caudato, in caso di epatomegalia, il lobo sinistro laterale tende a
superare, ventralmente, il fondo gastrico, portandosi più caudalmente.
55

Distanza tra lo stomaco ed il diaframma: in caso di epatomegalia, tale
distanza tende ad aumentare. Purtroppo non esistono dei parametri di
riferimento.

Orientamento del fascio ultrasonoro: la difficoltà a visualizzare il fegato
associata anche all’esigenza di orientare il fascio ultrasonoro in modo
quasi orizzontale o di utilizzare un approccio intercostale testimoniano
la presenza di microepatia (Wrigley, 1985).
Vie biliari
Nel cane, normalmente, del sistema biliare è possibile apprezzare solo la
colecisti e, in soggetti particolari, l’ultimo tratto del coledoco.
Le dimensioni della colecisti sono maggiori quando l’animale è a digiuno. La
colecisti può considerarsi sovradistesa se raggiunge il diaframma cranialmente.
Essa è facilmente identificabile sulla destra del piano mediano e ha forma di
pera in sezione longitudinale o rotonda-ovalare in sezione trasversale.
Normalmente, la sua parete è sottile e regolare e non è visibile se non dove gli
ultrasuoni la intersecano perpendicolarmente.
In caso di microepatia o di meteorismo gastro-intestinale, per osservare la
colecisti è necessario l’approccio intercostale destro. La bile contenuta nella
colecisti è normalmente priva di echi. La presenza di sedimento biliare ecogeno
(il cosiddetto “fango”) si può evidenziare in seguito ad anoressia o digiuno
prolungato, sebbene, spesso, nei soggetti anziani questo rilievo sia di frequente
riscontro senza che possa essere associato ad alcuna causa o sintomo (Nyland
et al., 1995). La colecisti è spesso oggetto del cosiddetto “artefatto a specchio”
56
per cui si visualizza sia da una parte che dall’altra del diaframma. L’anomalia
congenita della doppia colecisti si distingue facilmente da tale artefatto poiché
in questo caso le due vescicole sono entrambe dalla stessa parte del diaframma
(Partington, Biller, 1996). Distalmente alla colecisti, il parenchima epatico
appare più ecogenico che nei settori limitrofi a causa di un altro artefatto detto
del “rinforzo di parete posteriore”.
Vasi
Nell’ambito del parenchima epatico, le strutture vascolari normalmente visibili
con l’ecografia sono i rami della vena porta, le vene epatiche e sovraepatiche e
la vena cava. L’albero arterioso non è normalmente visibile. È possibile
evidenziarlo con il Doppler. Nelle immagini ecografiche, le strutture vascolari
appaiono come strutture anecogene rotonde/ovalari, se in scansione trasversale,
o nastriformi e rastremate, se in scansione longitudinale.
I rami portali prendono origine dalla vena porta a livello dell’ilo epatico e si
distinguono dalle vene epatiche per la presenza di una parete iperecogena:
questa pseudo-immagine di parete deriva dalla presenza di grasso, nonché dei
nervi, delle vie biliari e delle arterie, perifericamente ai rami portali.
Le vene epatiche sono caratterizzate dal contenuto anecogeno e dall’assenza di
pareti. Le vene epatiche confluiscono in 2 o 3 grandi vene sovraepatiche, poste
cranialmente e dorsalmente nel parenchima epatico, poco prima di sboccare
nella vena cava caudale.
La vena cava caudale è posta dorsalmente al lobo caudato ed ai lobi di destra. Il
suo diametro può essere influenzato sia dalle compressioni esercitate con la
57
sonda sulla parete addominale, sia dagli atti respiratori (si riduce durante
l’inspirazione, aumenta durante l’espirazione). Questa variabilità di diametro
non è presente in caso di ipertensione venosa sistemica.
58
Quadri ecografici patologici del fegato
Le lesioni epatiche vengono classicamente distinte in lesioni focali o diffuse.
Le lesioni focali si possono presentare sotto forma di lesione singola o di lesioni
multiple, più o meno ben delimitate dal parenchima circostante. Le lesioni
focali possono avere dimensioni variabili da pochi millimetri (noduli) a
parecchi centimetri (lesione “a massa”). In quest’ultimo caso, può essere
evidente il cosiddetto “effetto massa” che si estrinseca con la deformazione dei
profili capsulari dell’organo e la compressione e la deviazione dei vasi
periferici. Oltre a ciò, le lesioni focali sono solitamente riconoscibili anche
grazie alle modificazioni del normale pattern del parenchima epatico, che può
diventare ipo- o iperecogeno in maniera omogenea o disomogenea, o anche per
la presenza di una capsula limitante o di un alone ipoecogeno.
Le lesioni diffuse del parenchima epatico sono più difficili da determinare
rispetto quelle focali che, per definizione, si distinguono per essere circondate
da tessuto normale. Esse possono essere classificate in funzione delle
alterazioni delle dimensioni (epatomegalia, microepatia) e della ecogenicità
(aumentata
o
diminuita)
che
possono
determinare.
Come
indicato
precedentemente, i criteri di valutazione delle dimensioni del fegato includono
l’aspetto dei margini lobari (più o meno arrotondati), il rapporto del lobo
caudato con il rene destro e quelli del lobo sinistro laterale ed il fondo gastrico,
la distanza tra stomaco e diaframma e, infine, l’orientamento del fascio
ultrasonoro oltre che la facilità di visualizzare il fegato stesso.
59
Figura 10- Epatite: è presente epatomegalia, il lobo caudato circonda il rene destro, nonché
iperecogenicità diffusa, il parenchima epatico è iperecogeno rispetto alla corticale renale. La
patologia epatica è testimoniata anche dalla presenza di un versamento peritoneale.
L’ecogenicità deve essere valutata attraverso il confronto con il parenchima
degli organi e dei tessuti adiacenti, corticale renale destra, grasso del legamento
falciforme e milza. Il parenchima si considera iperecogeno quando la sua
ecogenicità è superiore o simile a quella del legamento falciforme o della milza
e ipoecogeno quando l’ecogenicità è inferiore a quella della corticale renale
destra. In caso di lesioni diffuse omogenee, possono non essere evidenti
modificazioni delle dimensioni o dell’ecogenicità. Se, tuttavia, sono presenti
alterazioni del quadro clinico e biochimico, la conferma diagnostica può aversi
solo dopo un’eventuale biopsia. È, comunque, improbabile che le patologie
60
epatiche possano dare alterazioni dei profili biochimici non accompagnate da
evidenti modificazioni ecografiche.
I criteri generali per la valutazione del parenchima epatico aiutano a
riconoscere, in genere, molto precocemente le alterazioni. La sensibilità
dell’ecografia nell’individuare alterazioni patologiche è molto elevata e pari ad
altre tecniche di Imaging più avanzate (Poulsen Nautrup, Tobias, 1998).
Tuttavia, questa elevata sensibilità non si accompagna ad altrettanto elevata
specificità. Un particolare aspetto ecografico non permette di fare una diagnosi
differenziale fra una lesione non neoplastica ed una neoplasia, oppure tra una
lesione benigna ed una maligna: soltanto l’esame istologico o citologico di
materiale prelevato direttamente dalla lesione è in grado di stabilire la diagnosi
precisa.
Comunque, nonostante il basso grado di specificità dell’esame ecografico, è pur
sempre possibile ritrovare nelle varie patologie epatiche dei quadri abbastanza
caratteristici la cui descrizione può ritenersi utile almeno per emettere una
diagnosi di sospetto. Pertanto, qui di seguito, vengono esposti i quadri
ecografici delle principali patologie, anche di quelle non neoplastiche, che
possono interessare il fegato.
La steatosi epatica è l’alterazione caratterizzata dal deposito di trigliceridi in
forma vacuolare nel citoplasma degli epatociti. L’eziologia è la più varia:
diabete mellito, obesità, dislipidemie, malnutrizione, gravidanza e uso cronico
di farmaci, in particolare i cortisonici. Il volume del fegato risulta più o meno
aumentato, in relazione alla diversa condizione di gravità, e con bordi
arrotondati. All’esame ecografico il parenchima si presenta diffusamente
61
iperecogeno (Biller, 1992). L’ecogenicità può risultare perfino superiore a
quella del grasso del legamento falciforme. L’alterazione è solitamente diffusa
e riguarda tutto l’organo, ma, in alcuni casi, può anche apparire come forma
circoscritta, interessando uno o più lobi epatici adiacenti, o parte dei lobi stessi
(Armstrong, 1994). Le zone interessate appaiono iperecogene e circondate da
parenchima ad ecogenicità minore: si configura in questo modo un aspetto “a
carta geografica”.
Le epatiti sono processi infiammatori diffusi del parenchima epatico,
caratterizzati da degenerazione epatocitaria, necrosi cellulare ed infiltrazione
flogistica. La necrosi epatocitaria è evento irreversibile, che riconosce
l’eziologia più varia, a cui fa seguito una risposta immunitaria. Le cause
includono agenti chimici, parassitari, infettivi virali o batterici, anossia, carenze
nutrizionali e disturbi immunomediati. Le epatiti possono essere suddivise in
acute e croniche, a seconda del periodo di insorgenza e della persistenza. In
medicina umana vengono definite croniche le epatiti di durata superiore ai 6
mesi. La sola indagine ecografica non permette di formulare la diagnosi di
epatite acuta, in quanto non esistono pattern caratteristici: il fegato può apparire
di volume normale, i bordi epatici leggermente arrotondati. In questo caso
vengono in supporto la sintomatologia clinica e le indagini di laboratorio. In
alcuni casi, la colecisti può presentare edema della parete che, quindi, è
ispessita e appare sdoppiata ed, inoltre, può essere presente linfoadenomegalia
dei linfonodi epatici portali. Nei casi più gravi e di più lunga durata, quando la
fibrosi diventa notevole, l’ecostruttura del parenchima si caratterizza con echi
grossolani di maggiore luminosità, fino ad arrivare, nelle forme croniche, ad
62
alterazioni dell’ecostruttura, che risulta disomogenea e più addensata con
iperecogenicità diffusa (Thornburg, 1988). L’ecostruttura sgranata con echi
eterogenei distribuiti in modo non uniforme è correlata alla fibrosi epatica
finale.
La cirrosi è un’alterazione irreversibile della struttura del parenchima epatico
caratterizzata dalla presenza di fibrosi diffusa e di noduli di rigenerazione. I
processi di fibrosi sono una conseguenza dell’infiammazione e dei danni subiti
dal parenchima epatico. Nella fibrosi si ha un incremento della quota di
collagene e di altri elementi del connettivo extracellulare. In relazione alla
grandezza dei noduli si possono avere: cirrosi micro nodulare (noduli < 3 mm);
macronodulare (noduli > 3 mm) e cirrosi mista (noduli di diametro variabile)
(Hoover et al., 1989).
Da un punto di vista morfologico, i cambiamenti che insorgono in un fegato
affetto da cirrosi sono:
 comparsa di irregolarità dei profili capsulari visibili come una linea
iperecogena non uniforme, a volte quasi discontinua, soprattutto nelle
forme micronodulari;
 ecostruttura parenchimale diffusamente alterata dalla presenza di
numerosi noduli di rigenerazione (ipo-iso-iperecogeni);
 nelle fasi terminali della degenerazione, dimensioni epatiche nettamente
diminuite;
 alterazioni delle strutture vascolari intraparenchimali, con comparsa di
microshunt e ridotta visualizzazione dei vasi portali ed epatici (Di Lelio
et al., 1989).
63
Le cisti epatiche appaiono come formazioni rotondeggianti, singole o multiple,
a contenuto completamente anecogeno, a margini regolari, prive di parete
visibile o delimitate da una fine linea ecogena. Le cisti sono caratterizzate da
forte rinforzo di parete posteriore, a causa del loro contenuto liquido. Possono
essere congenite, riconducibili a cause genetiche, o acquisite, secondarie a
parassitosi o post-traumatiche. In genere, le cisti sono asintomatiche e
rappresentano un reperto occasionale.
L’adenoma (epatoma), più spesso riscontrato nei lobi epatici di sinistra
(Penninck, 1995), di solito si presenta come nodulo o massa relativamente
omogeneo, lievemente iperecogeno o anche isoecogeno rispetto al parenchima
circostante e, quindi, difficilmente differenziabile. Purtroppo, l’aspetto
dell’adenoma è spesso completamente differente: omogeneo ipoecogeno o
disomogeneo, con aree ipoecogene e anecogene.
64
Figura 11- Epatoma: massa iso-ipoecogena al lobo sinistro mediano (frecce).
L’angioma può apparire come nodulo singolo o multiplo, tipicamente di forma
sferica a sede perivascolare ed ecostruttura iperecogena, senza alone periferico
e, a volte, con lieve rinforzo di parete. Gli angiomi di dimensioni superiori a 4
cm, a causa dei concomitanti fenomeni necrotico emorragici, hanno un aspetto
ecografico più complesso, ad ecogenicità mista, con aree cistiche e/o setti e
profili irregolari o lobulati. Lo studio con il color Doppler o il power Doppler
non evidenzia vascolarizzazione all’interno dell’angioma, caratteristica che lo
distingue da altre lesioni focali maligne, quali i carcinomi, primari o secondari,
con i quali deve porsi la diagnosi differenziale.
65
Figura 12- Angioma epatico: lesione nodulare iperecogena.
Il carcinoma epatocellulare, pur essendo una forma rara, è il tumore epatico
maligno primitivo di più frequente riscontro nel cane. L’aspetto ecografico è
molto variabile sia dal punto di vista dell’ecogenicità che dell’ecostruttura, sia
del numero che della forma delle lesioni. L’aspetto più frequente è quello di una
lesione “a massa” unica iperecogena (Whiteley et al., 1989). Nelle forme
nodulari, questi possono presentarsi come ipoecogeni, isoecogeni, iperecogeni o
ad ecostruttura mista. Il pattern ipoecogeno sembra derivare dalla presenza nel
nodulo di massa cellulare pura, con scarso tessuto connettivo e scarsi depositi
lipidici.
66
Figura 13- Epatocarcinoma. Lesione diffusa iperecogena con centro ipoecogeno (frecce): i
limiti della lesione sono difficili da individuare a causa del coinvolgimento lobare.
Figura 14- Epatocarcinoma epatocellulare. Vascolarizzazione ―a canestro‖ intorno alla
massa.
67
Il pattern iperecogeno, invece, si manifesta se sono presenti abbondanti depositi
di lipidi nelle cellule neoplastiche e scarso sviluppo dei sinusoidi. La
vascolarizzazione del o dei noduli dell’epatocarcinoma è prevalentemente di
tipo arterioso, con drenaggio venoso misto. Con il color Doppler è possibile
evidenziare un pattern “a canestro” (vasi che circondano la lesione) oppure uno
di vascolarizzazione intranodale. La presenza di flussi pulsatili intranodali è
considerata segno di vascolarizzazione neoplastica (Lamb, 1990).
Figura 15- Epatocarcinoma: lesione ―a massa‖ disomogenea per la presenza di nodulazioni
iperecogene.
68
Il colangiocarcinoma ecograficamente può presentarsi sotto forma di noduli
periferici di diametro inferiore ai 3 mm, solitamente, ipoecogeni, oppure sotto
forma di noduli di diametro maggiore con aspetto ecografico variabile; nelle
forme ilari e duttali è presente la capsula iperecogena circoscrivente.
Figura 16 – Scansione longitudinale parasagittale sui lobi epatici di sinistra. Colangiocarcinoma:
lesione ―massiva‖ con profili bozzoluti, moderatamente disomogenea e con alone periferico (frecce).
L’adenocarcinoma biliare si manifesta spesso per la presenza di aree
anecogene o ipoecogene visibili in seno al parenchima epatico (Penninck,
Haroutunian, 1985).
69
L’emangiosarcoma si presenta come una massa voluminosa ad ecostruttura
complessa e disomogenea con lacune ipoecogene, con spessa capsula
iperecogena o con margini infiltrati.
Figura 17 A- Emangiosarcoma della milza.
70
Figura 17 B- Metastasi epatica dell’emangiosarcoma splenico visualizzato nell’immagine
precedente: un nodulo ipoecogeno è presente nel lobo sinistro medio.
Il linfoma epatico primario è raro. Più spesso, il coinvolgimento epatico fa
parte di un disordine multicentrico. Il sospetto diagnostico di linfoma sarà
accresciuto se, contemporaneamente, è presente linfoadenomegalia dei
linfonodi regionali o se si evidenziano lesioni simili in altri organi (milza e
rene). In caso di linfoma epatico, si possono avere sia forme diffuse sia focali.
Conseguentemente, si hanno due pattern ecografici distinti:

la forma diffusa è caratterizzata da epatomegalia; l’ecostruttura del
parenchima può essere da normale ad alterata, con pattern più sgranato o
disomogeneo, e la sua ecogenicità variare da ipo- ad iperecogena,
riduzione del letto vascolare venoso portale ed epatico e arrotondamento
dei bordi epatici come conseguenza dell’epatomegalia.
71

le forme focali sono caratterizzate da lesioni nodulari, di dimensioni,
ecogenicità ed ecostruttura variabile; le forme più frequenti sono quelle
con noduli ipoecogeni ed omogenei, ma, altrettanto frequenti sono le
forme con noduli iperecogeni, anecogeni similcistici o con centro
iperecogeno (aspetto “a bersaglio”).
I linfonodi portali, in corso di linfoma, risultano particolarmente ingranditi,
rotondeggianti, ipoecogeni, a volte con rinforzo di parete posteriore, e molto
vascolarizzati.
Figura 18 - Linfoma epatico: nel parenchima sono presenti multiple nodulazioni ipoecogene (frecce).
72
Figura 19- Metastasi mastocitoma: sono presenti multiple piccole nodulazioni ipoecogene con ―core‖
iperecogeno (―aspetto a bersaglio‖) (frecce).
Per quanto riguarda le neoplasie secondarie, il fegato è frequentemente
interessato da metastasi di tumori originati da altri organi. L’aspetto ecografico
è quanto mai vario, sia per la forma sia per il pattern. La forma dipende
soprattutto dalle dimensioni: più le lesioni sono piccole, più sono
rotondeggianti. Le metastasi epatiche possono presentarsi sotto forma di lesioni
nodulari multiple, sebbene, occasionalmente, possano presentarsi come massa
unica o come un’alterazione epatica diffusa ad ecostruttura eterogenea. Uno dei
pattern più caratteristici di malignità è quello di lesione “a bersaglio”, centro
iperecogeno con alone ipoecogeno periferico. Questo alone dipende dalla
velocità di crescita della lesione: a maggiore velocità, corrisponde alone più
marcato (Cuccovillo, Lambs, 2002).
73
L’ecogenicità delle lesioni metastatiche può essere la più varia: l’ipoecogenicità
è la più frequente, seguita dall’iperecogenicità, dall’isoecogenicità e dal pattern
complesso, dove, cioè, si alternano in maniera irregolare i pattern
precedentemente descritti. Le lesioni nodulari possono o meno essere dotate di
capsula (Nyman et al., 2004). A volte le lesioni metastatiche hanno
un’ecogenicità poco diversa da quella del parenchima normale oppure si
presentano sotto forma di un tessuto eterogeneo infiltrante, invadente la quasi
totalità del parenchima. In questi casi, l’uso di sonde ad alta frequenza, del
color Doppler o, più di recente, dei mezzi di contrasto e delle armoniche,
accrescono notevolmente la sensibilità dell’esame.
Figura 20- Metastasi adenocarcinoma mammario: lesione ―a massa‖ ipoecogena (frecce).
74
Figura 21- Metastasi carcinoma prostatico: lesioni nodulari iperecogene (frecce).
75
Parte Sperimentale
76
Introduzione alla parte sperimentale
Come abbiamo detto nel capitolo relativo alla descrizione dell’esame ecografico,
esso rappresenta l’esame di primo livello quando si sospetta una patologia epatica: è
estremamente sensibile, non è dannoso, quasi sempre può essere eseguito sul
paziente sveglio e, infine, è utile per l’esecuzione di manovre interventistiche per la
caratterizzazione delle lesioni stesse.
Tuttavia, il limite maggiore dell’ecografia è dato dal suo essere strettamente
operatore-dipendente. Perciò, tutte le informazioni in grado di ridurre le valutazioni
di tipo soggettivo, inevitabilmente presenti nell’ecografia, rappresentano uno
strumento utile per semplificare e rendere più oggettiva l’interpretazione delle
immagini. Le misure quantitative sono un esempio di valutazioni oggettive affidabili
e riproducibili. Purtroppo, nello studio del fegato sono pochi gli indici morfometrici
quantitativi per i quali è stato definito un range di valori normali e quasi tutti relativi
alle valutazioni flussimetriche vascolari (Lamb, 2003). L’ecografia con mezzo di
contrasto (CEUS = Contrast Enhancement UltraSonography) rappresenta un
promettente campo di sviluppo che, però, è ancora poco diffuso in campo veterinario
a causa della costosità dei mezzi di contrasto e della necessità di attrezzature
specifiche. Le dimensioni totali dell’organo o il grado di distensione della colecisti si
basano tuttora su valutazioni soggettive, la cui affidabilità è direttamente
proporzionale al grado di esperienza dell’operatore.
Quindi, ogni qualvolta si mettono a disposizione degli ecografisti parametri di
valutazione comparativa ben codificati, si rende più facile e più oggettiva l’indagine
ecografica. Purtroppo, pur affidandosi ad un protocollo d’esame preciso e
77
sistematico, l’esame ecografico del fegato, a causa della complessità e delle
dimensioni dell’organo, rimane un’indagine difficile.
Pertanto, principale scopo della tesi è stato quello di cercare di evidenziare dei
caratteri ecografici comuni ai vari tipi di lesioni neoplastiche e non neoplastiche che
potessero aiutare ad identificare, almeno come sospetto diagnostico, le varie
patologie. In secondo luogo, si è proceduto ad un confronto tra i dati riportati in
letteratura e quelli del nostro campione. A tal fine, è stata effettuata una revisione
analitica di tutte le immagini ecografiche relative a soggetti con patologie epatiche di
cui si era ottenuta una diagnosi di certezza.
78
Materiali e Metodi
E’
stato
effettuato
uno
studio
retrospettivo
sul
database
del
Centro
Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria
di Napoli “ Federico II” relativo al periodo compreso dal gennaio 2001 a gennaio del
2010. Tutti le immagini dell’ecografie di cani che comprendevano l’esame del fegato
sono state sottoposte a revisione analitica.
Tutti gli esami sono stati eseguiti utilizzando un apparecchio GE Logiq MD400,
equipaggiato con sonda microconvex multifrequenza (range 5,5 – 8.5 MHz;
frequenza centrale 7 MHz) e sonda lineare multifrequenza (range 8.5 – 13 MHz;
frequenza centrale 11 MHz) e provvisto di scheda Doppler (Doppler Pulsato, Color
Doppler e Power Doppler) o un apparecchio portatile B/N Mindray 6600
equipaggiato con sonda microconvex multifrequenza (5,5 – 7 – 8.5 MHz) ed una
sonda lineare multifrequenza (7,5 – 8,5 – 10 MHz).
Di tutti i cani, il cui esame evidenziava la presenza di lesioni epatiche compatibili
con neoplasia, sono stati inclusi nel campione solo i soggetti nei quali,
successivamente, la diagnosi di neoplasia veniva confermata o esclusa da esami
citologici o istologici eseguiti su materiale prelevato con tecnica interventistica ecoassistita, o in corso di chirurgia o, infine, in corso di necroscopia. Tutti gli esami citoistopatologici sono stati effettuati presso il Dipartimento di Anatomia Patologica
della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli.
Di ogni soggetto incluso nello studio sono stati registrati il sesso, l’età (media,
minima e massima) e la razza.
Di tutti gli esami sono state riviste le registrazioni e riconsiderate analiticamente le
immagini relative alle lesioni epatiche. Di queste si considerava la sede, la
79
distribuzione (focali o diffuse), le dimensioni, l’ecogenicità, l’ecostruttura, la
presenza o meno di capsula o di alone ipoecogeno periferico e la vascolarizzazione.
In tutti i casi, le lesioni epatiche venivano correlate con eventuali altre lesioni
localizzate ad altri organi o tessuti.
Nella valutazione delle dimensioni delle lesioni focali epatiche si è utilizzata la
classificazione proposta da Suter per le lesioni polmonari:
 miliare fino a 3 mm
 nodulare da 3 mm a 4 cm
 massa oltre i 4 cm.
80
Risultati
Nel periodo considerato, si sono riscontrati 115 cani con quadri ecografici
compatibili con neoplasia epatica. Da questi, sono stati successivamente
selezionati 44 soggetti che, incrociando i dati del Centro di Radiologia con
quelli della sezione di Anatomia Patologica, avevano una diagnosi di certezza
cito-istopatologica.
Il campione è risultato composto da 24 maschi e 20 femmine. L’età media dei
soggetti era di 10,7 anni (range 2-16 anni). Le razze più colpite sono risultate i
Meticci (18), gli Yorkshire Terrier (8), i Siberian Husky (4), i Cocker Spaniel
(3), i Boxer (2), i Pitt Bull (2), i Setter Inglesi (2), e 5 razze (Barboncino nano,
Collie, Golden Retriever, Maltese e Pinscher nano) rappresentate da un solo
soggetto.
Il campione è stato, quindi, suddiviso in sottogruppi in considerazione di vari
fattori: lesione neoplastica e non neoplastica; lesione neoplastica benigna e
maligna; lesione neoplastica primaria e secondaria.
Dagli esami cito-istopatologici sono risultate 9 lesioni non neoplastiche e 36
lesioni neoplastiche (un soggetto presentava sia una lesione non neoplastica
infiammatoria, una colangite, sia una lesione neoplastica benigna, un
epatoma2).
Le lesioni non neoplastiche comprendevano: 3 steatosi, 2 epatiti croniche, 2
cirrosi, una colangite e una lesione cistica benigna. I soggetti di questo gruppo
erano rappresentati da 5 maschi e 4 femmine, di età media 9,5 anni (range 6-12
2
In considerazione della difficoltà di caratterizzare cito-istologicamente in maniera univoca
l’adenoma epatocellulare (epatoma) e l’iperplasia nodulare benigna, i due termini verranno utilizzati
come sinonimi.
81
anni), 4 Meticci e 2 Cocker spaniel, un Pittbull, un Setter inglese e uno
Yorkshire Terrier (all’interno di questo gruppo, il Cocker affetto da colangite, è
stato considerato anche nel gruppo delle lesioni neoplastiche perché presentava
anche un epatoma).
Il gruppo riferito alle neoplasie, 7 benigne e 29 maligne, comprendeva 20
maschi e 16 femmine. L’età media era di 11 anni (range 2-16 anni). Le razze
interessate erano i Meticci (14), gli Yorhshire Terrier (7), i Siberian Husky (4), i
Boxer (2), i Cocker Spaniel (2), e 7 razze rappresentate da un solo soggetto
ciascuna (Barboncino, Collie, Golden Retriever, Maltese, Pinscher nano,
Pittbull e Setter Inglese).
Il gruppo delle neoplasie benigne era rappresentato da 6 maschi e 1 femmina.
L’età media dei soggetti di questo gruppo era di 11,3 anni (range 8-14 anni)
mentre, per quanto riguarda la razza, vi erano 2 Meticci, 2 Cocker Spaniel, 2
Yorkshire Terrier e 1 Pinscher nano. Tutte le lesioni benigne erano primarie: 1
angioma e 6 epatomi (o noduli di iperplasia benigna).
82
Figura 22- Prevalenza delle neoplasie benigne e maligne (n=36).
Le neoplasie maligne erano 29: 4 epatocarcinomi, 3 linfomi epatici, 2
colangiocarcinomi, 5 metastasi di carcinoma mammario, 3 metastasi di
carcinoma prostatico, 2 metastasi di carcinoma ovarico, 2 metastasi di
emangiosarcoma splenico, 2 linfomi intestinali, 1 metastasi di fibrosarcoma
della milza, 1 metastasi di carcinoma dei surreni, 1 metastasi di sarcoma dei
tessuti molli della coscia, 1 metastasi di Sertolioma, 1 metastasi di mastocitoma
e 1 metastasi di carcinoma delle ghiandole salivari (Figura 21).
83
Figura 23- Prevalenza delle neoplasie epatiche maligne primarie e secondarie (n = 29).
Figura 24- Frequenza e tipologia delle neoplasie maligne primarie e secondarie (n = 29).
84
Il sottogruppo delle neoplasie maligne primarie comprendeva 9 soggetti, 6
maschi e 3 femmine, con età media di 10,1 anni (range 2-14 anni). Le razze
coinvolte erano i Meticci (4), il Boxer (2), il Collie (1), il Siberian Husky (1), lo
Yorkshire Terrier (1).
I soggetti affetti da neoplasia maligna secondaria erano 20, 8 maschi e 12
femmine con età media di 11,2 anni (range 3-16 anni). Le razze interessate
erano i Meticci (8), gli Yorkshire Terrier (4), i Siberian Husky (3), i Barboncini
(1), i Golden Retriever (1), i Maltese (1), i Pittbull (1), i Setter Inglese (1).
Dall’esame dei caratteri ecografici, le lesioni non neoplastiche si presentavano
come lesione focale singola (una cisti anecogena, un nodulo iso-ipoecogeno),
come noduli multipli (in un caso come noduli ipo- o iperecogeni ed in un altro
come noduli iperecogeni con centro ipoecogeno, senza alone periferico) o, le
restanti, come lesioni diffuse. Le lesioni diffuse interessavano tutto il
parenchima epatico ed erano quasi tutte iperecogene, ad esclusione di una che
risultava iso-iperecogena, avevano un’ecostruttura disomogenea, profili
irregolari o bozzoluti senza alone periferico (Tabella 1).
85
Tabella 1– Caratteri ecografici delle lesioni non neoplastiche (n = 9).
Ecogenicità
Ecostruttura
Sede
Alone
Disomogenea (5)
Tutto il fegato (5)
No
Irregolari (4)
Iperecogeno (4)
Lesioni diffuse (n = 5)
Profili
Iso-iperecogeno (1)
Bozzoluti (1)
Iso-ipoecogeno (1)
Regolari (1)
Nodulo singolo (n = 2)
Omogenea (2)
Sinistra (2)
No
Anecogeno (1)
Irregolari (1)
Iperecogeno con
centro ipoecogeno (1)
Noduli multipli (n = 2)
Disomogenea (2)
Iperecogeno ed
ipoecogeno (1)
86
Irregolari (1)
Tutto il fegato (2)
No
Bozzoluti (1)
Le lesioni neoplastiche benigne erano 7: 4 a nodulo singolo; 2 a noduli multipli;
1 come massa singola. I noduli singoli (1 iperecogeno, 1 isoecogeno e 2 isoipoecogeni), avevano ecostruttura prevalentemente omogenea, tranne in un
caso, profili regolari, presenza o assenza di alone ipoecogeno periferico ed
erano localizzati principalmente al lobo epatico di sinistra. Nei due casi con
noduli multipli, questi erano iperecogeni o ipoecogeni, con aspetto omogeneo,
profili regolari, alone presente o assente e localizzati al lobo di sinistra. L’unica
lesione a massa, singola, era iso-ipoecogena, con ecostruttura omogenea, profili
regolari, presenza di alone o di capsula e localizzata al lobo epatico di sinistra
(Tabella 2).
87
Tabella 2– Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche benigne (n = 7).
Ecogenicità
Lesioni a massa (n = 1)
Iso-ipoecogeno (1)
Ecostruttura
Sede
Alone
Profili
Sinistra (1)
Si (1)
Regolari (1)
Si (2)
Regolari (3)
No (2)
Irregolari (1)
Omogenea (1)
Iperecogeno (1)
Omogenea (3)
Nodulo singolo (n = 4)
Sinistra (3)
Isoecogeno (1)
Disomogenea (1)
Destra (1)
Iso-ipoecogeno (2)
Iperecogeno (1)
Noduli multipli (n = 2)
Omogenea (2)
Ipoecogeno (1)
88
Si (1)
Sinistra (2)
Regolari (2)
No (1)
Il gruppo dei tumori maligni primari era costituito da: una lesione diffusa
iperecogena (carcinoma epatocellulare) che coinvolgeva tutto il fegato; 5
lesioni a massa (in un caso multiple), ad ecostruttura disomogena, profili
bozzoluti, in genere, con apprezzabile alone periferico e localizzazione nei lobi
di sinistra; 3 neoplasie a noduli multipli (una iperecogena, una isoecogena, ed
una ipoecogena), ad ecostruttura disomogenea e profili bozzoluti, in genere
senza apprezzabile alone periferico e localizzate principalmente al lobo sinistro
del fegato (Tabella 3).
89
Tabella 3- Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne primarie (n = 9)
Ecogenicità
Lesioni diffuse (n = 1)
Iperecogeno (1)
Ecostruttura
Sede
Tutto il fegato (1)
Disomogenea (1)
Alone
No (1)
Profili
Non distinguibili (1)
Iperecogeno (2)
Sinistra (5)
Lesioni a massa (n =5)
Iso-iperecogeno (2)
Si (3)
Irregolari (2)
No (2)
Bozzoluti (3)
Disomogenea (5)
Ipoecogeno (1)
Iperecogeno (1)
Noduli multipli (n = 3)
Isoecogeno (1)
Ipoecogeno (1)
90
Omogenea (1)
Tutto il fegato (2)
Si (1)
Regolari (1)
Disomogenea (2)
Sinistra (1)
No (2)
Bozzoluti (2)
Le lesioni maligne secondarie erano 20, 2 come lesioni diffuse, 4 a massa unica,
e 14 a noduli multipli. Le lesioni diffuse (una iperecogena, e una a “complex
mass”) erano disomogenee ed irregolari e interessavano tutto il parenchima
epatico. Le masse (due iso-iperecogene, una iperecogena, ed una a “complex
mass”) avevano ecostruttura disomogenea, in genere profili irregolari e
presenza di alone, e localizzazione principalmente al lobo epatico di sinistra.
Infine, le lesioni nodulari multiple, in 3 casi noduli iperecogeni, in 4 isoipoecogeni, in 4 casi noduli ipoecogeni, 1 risultava essere a “complex mass”, 1
era iso-iperecogeno ed 1 ipoecogeno e a bersaglio, avevano ecostruttura
disomogenea, profili irregolari, presenza o assenza di alone periferico e
localizzazione prevalentemente al lobo di sinistra (Tabella 4).
91
Tabella 4- Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne secondarie (n = 20).
Ecogenicità
Lesioni diffuse (n = 2)
Ecostruttura
Alone
Iperecogeno (1)
Complex-mass (1)
Disomogenea (2)
Iso-iperecogeno (2)
Tutto il fegato (2)
Profili
Si (1)
No (1)
Irregolari (2)
Irregolari (3)
Iperecogeno (1)
Lesione a massa (4)
Sede
Sinistra (3)
Disomogenea (4)
Complex-mass (1)
Si (3)
No (1)
Bozzoluti (1)
Si (7)
Regolari (2)
No (7)
Irregolari (8)
Destra (1)
Iperecogeno (3)
Iso-iperecogeno (1)
Iso-ipoecogeno (4)
Noduli multipli (n = 14)
Ipoecogeno (4)
Ipoecogeno e a
bersaglio (1)
Complex Mass (1)
92
Omogenea (1)
Disomogenea (13) (in
due casi anche “a nido
d’ape” o “a bersaglio”
Lobi sinistra e destra
(4)
Sinistra (10)
Bozzoluti (4)
Considerando le lesioni sulla base della loro diagnosi cito-istopatologica, nel
caso delle patologie non neoplastiche si può affermare che le infiammazioni
(epatiti e colangiti) interessavano tutto l’organo e avevano un pattern
moderatamente disomogeneo iperecogeno. Le steatosi e le cirrosi hanno
presentato quadri più complessi (Tabella 5).
Per quanto riguarda le lesioni neoplastiche benigne, gli epatomi, che
rappresentavano la quasi totalità dei casi (6 su 7), sebbene variando di
dimensioni e di numero, avevano sempre una distribuzione focale, da lesione
singola “a massa” a lesione nodulare, prevalentemente nei lobi di sinistra,
spesso con presenza di alone ipoecogeno periferico ed ecostruttura solitamente
omogenea, iso-ipoecogena. L’unico caso di emangioma mostrava caratteri
ecostrutturali compatibili con quelli descritti in letteratura, soprattutto umana,
cioè di lesione nodulare iperecogena singola perivascolare senza alone
periferico (Tabella 6).
93
Tabella 5- Caratteri ecografici delle lesioni non neoplastiche in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 9).
Distribuzione
Ecogenicità
Ecostruttura
Sede
Alone
Profili
Lesioni diffuse
Iperecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Irregolari
Lesioni diffuse
Iperecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Irregolari
Lesioni diffuse
Iperecogeno
Tutto il fegato
No
Irregolari
Omogenea
Sinistra
No
Regolari
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Irregolari
75/2005 Epatite cronica
427/2007 Epatite cronica
Reticolare
1169/ 2005 Colangite
Disomogenea
144/2010 Cisti
Nodulo singolo
104/2008 Steatosi
Noduli multipli
Anecogeno
Iperecogeno con centro
ipoecogeno
834/2008 Nodulo
Nodulo singolo
Iso-ipoecogeno
Omogenea
Sinistra
No
Irregolari
1171/2008 Steatosi
Lesioni diffuse
Iperecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Irregolari
56/2008 Cirrosi
Lesioni diffuse
Iso-iperecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Bozzoluti
19/2010 Cirrosi
Noduli multipli
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Bozzoluti
staetosico
Iperecogeno ed
ipoecogeno
94
Tabella 6 – Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche benigne in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 7).
Distribuzione
Ecogenicità
Ecostruttura
Sede
Alone
Profili
879/2006 Angioma
Nodulo singolo
Iperecogeno
Omogenea
Sinistra
No
Regolari
136/2002 Epatoma
Noduli multipli
Iperecogeno
Omogenea
Sinistra
Si
Regolari
1169/2005 Epatoma
Noduli multipli
Ipoecogeno
Omogenea
Sinistra
No
Regolari
398/2007 Epatoma
Lesioni a massa
Iso-ipoecogeno
Omogenea
Sinistra
Si
Regolari
1032/2009 Epatoma
Nodulo singolo
Iso-ipoecogeno
Omogenea
Sinistra
Si
Regolari
193/2010 Epatoma
Nodulo singolo
Iso-ipoecogeno
Disomogenea
Destra
Si
Irregolari
518/210 Epatoma
Nodulo singolo
Isoecogeno
Omogenea
Sinistra
No
Regolari
95
Le lesioni maligne primarie, nella nostra casistica, erano rappresentate
essenzialmente da carcinomi (4 epatocarcinomi e 2 colangiocarcinomi) e da
linfomi (3 casi). I primi tendevano ad avere un comportamento variabile per
quanto riguarda la distribuzione, sebbene erano prevalenti le lesioni a massa (4
su 6), con ecostruttura disomogenea ma in nessun caso “a complex mass”,
profili bozzoluti e con o senza alone periferico. I linfomi primari epatici,
invece,
sebbene
presentassero,
come
i
carcinomi,
localizzazione
prevalentemente a sinistra, mostravano caratteri ecografici più variabili:
distribuzione “a massa” o a noduli multipli, ecogenicità da ipo a iperecogena,
pattern omogeneo o disomogeneo, alone periferico presente o non presente
(Tabella 7).
Nel caso delle lesioni maligne secondarie si sono avuti quadri diversi a seconda
del tipo di tumore di partenza ma, come ovvio, una netta prevalenza della
distribuzione nodulare multipla.
Le metastasi da sarcomi (2 emangiosarcomi della milza, 1 fibrosarcoma della
milza e 1 sarcoma dei tessuti molli della coscia) avevano un pattern
disomogeneo, a volte complesso, con o senza alone periferico e prevalente
localizzazione a sinistra (Tabella 8).
I due linfomi secondari hanno avuto un comportamento simile per alcuni
caratteri, quali ad esempio l’ecogenicità, in ambedue i casi aumentata,
l’ecotessitura disomogena e la localizzazione sempre coinvolgente la parte
sinistra dell’organo. Tuttavia, la distribuzione poteva essere infiltrante/diffusa o
“a massa” e l’alone poteva o non poteva esserci (Tabella 8).
96
L’unico caso di metastasi di mastocitoma si presentava come noduli ipoecogeni
con centro iperecogeno, aspetto “a bersaglio” tipicamente descritto in letteratura
per le lesioni epatiche dei tumori a cellule tonde, quali linfomi e, appunto,
mastocitomi (Tabella 8).
I carcinomi derivanti dagli organi della sfera sessuale sono stati considerati
separatamente nei due generi: nei maschi prevalevano (3 su 4) le metastasi da
adenocarcinoma prostatico, tutte distribuite nei lobi di sinistra, solitamente a
noduli multipli, più spesso iperecogeni, in un solo caso iso-ipoecogeni, con o
senza alone periferico; nelle femmine, i 2 casi di metastasi da carcinomi ovarici
davano lesioni multiple, “a massa”, con alone ipoecogeno periferico,
iperecogene o di tipo complesso, localizzate o a sinistra o nel lobo caudato,
mentre, le metastasi da adenocarcinoma mammario (5 casi, ovvero il gruppo
più consistente del campione) avevano una distribuzione a noduli multipli,
solitamente ipoecogeni o isoecogeni, più di frequente localizzati a sinistra, con
o senza alone periferico (Tabella 8).
I rimanenti due casi di metastasi da carcinoma, uno secondario a carcinoma del
surrene sinistro e l’altro a carcinoma delle ghiandole salivari, avevano ambedue
una distribuzione nodulare multipla, sia ai lobi di sinistra sia a quelli di destra,
in un caso iperecogeni e nell’altro, quello del carcinoma del surrene,
ipoecogeni, a volte con aspetto “a bersaglio”, e con presenza o meno di alone
(Tabella 8).
97
Tabella 7- Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne primarie in funzione della diagnosi cito-istopatologica (n = 9).
Distribuzione
Ecogenicità
Ecostruttura
Sede
Alone
Profili
Lesioni diffuse
Iperecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Non distinguibili
547/2005 Epatocarcinoma
Noduli multipli
Isoecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Bozzoluti
1224/2006 Epatocarcinoma
Lesioni a massa
Iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Bozzoluti
136/2009 Epatocarcinoma
Lesioni a massa
Iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Bozzoluti
Lesioni a massa
Iso-iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Bozzoluti
Lesioni a massa
Iso-iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
No
Irregolari
275/2006 Linfoma
Noduli multipli
Ipoecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Bozzoluti
293/2009 Linfoma
Noduli multipli
Iperecogeno
Omogenea
Sinistra
Si
Regolari
294/2009 Linfoma
Lesioni a massa
Ipoecogeno
Disomogenea
Sinistra
No
Irregolari
216/2002 Epatocarcinoma
310/2008
Colangiocarcinoma
1204/2009
Colangiocarcinoma
98
Tabella 8– Caratteri ecografici delle lesioni neoplastiche maligne secondarie in funzione della
diagnosi cito-istopatologica (n = 20).
Distribuzione
Ecogenicita’
Ecostruttura
Sede
Alone
Profili
113/2002 mets
fibrosarcoma milza
Lesioni diffuse
Complex mass
Disomogenea
Tutto il fegato
Si
Irregolari
682/2008 mets
emangiosarcoma
milza
Noduli multipli
Ipoecogeno
Disomogenea
Sinistra
No
Irregolari
Noduli multipli
Complex mass
Disomogenea
Sinistra
No
Irregolari
Noduli multipli
Ipoecogeno
Disomogenea e a
nido d’ape
Sinistra
Si
Irregolari
Lesioni diffuse
Iperecogeno
Disomogenea
Tutto il fegato
No
Irregolari
Lesioni a
massa
Iso-iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Non
distinguibili
Noduli multipli
Ipoecogeno e a
bersaglio
Disomogenea
Sinistra
No
Irregolari
Lesioni a
massa
Iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
No
Bozzoluti
Noduli multipli
Iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
No
Irregolari
Disomogenea
Sinistra
Si
Irregolari
Iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Bozzoluti
Complex mass
Disomogenea
Destra
Si
Irregolari
Iso-iperecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Irregolari
Noduli multipli
Ipoecogeno
Disomogenea
Sinistra
Si
Bozzoluti
Noduli multipli
Ipoecogeno
Disomogenea
Lobi sinistra e
destra
No
Regolari
Noduli multipli
Iso-iperecogeno
Disomogenea
Lobi sinistra e
destra
Si
Irregolari
Noduli multipli
Iso-ipoecogeno
Omogenea
Sinistra
Si
Regolari
Noduli multipli
Iso-ipoecogeno
Disomogenea
Sinistra
No
Bozzoluti
Noduli multipli
Iso-ipoecogeno
Disomogenea e a
bersaglio
Lobi sinistra e
destra
Si
Bozzoluti
Noduli multipli
Iperecogeno
Disomogenea
Lobi sinistra e
destra
No
Irregolari
1068/2008 mets
emangiosarcoma
milza
430/2007 mets
sarcoma tessuti molli
(coscia)
684/2008 mets
linfoma
883/2009 mets
linfoma
831/2008 mets
mastocitoma
1046/2005 mets
carcinoma prostatico
884/2001 mets
carcinoma prostatico
198/2009 mets
adenocarcinoma
prostatico
980/2007 mets
sertolioma
1113/2006 mets
carcinoma ovarico
1178/2009 mets
carcinoma ovarico
48/2001 mets
adenocarcinoma
mammario
231/2001 mets
adenocarcinoma
mammario
1024/2008 mets
adenocarcinoma
mammario
9/10 mets
adenocarcinoma
mammario
29/2010 mets
adenocarcinoma
mammario
521/2006 mets
carcinoma surrene
634/2009 mets
carcinoma ghiandole
salivari
Noduli multipli
Noduli multipli
Lesioni a
massa
Lesioni a
massa
Isoipoecogeno
99
Discussioni
Nel nostro campione sono presenti soggetti che, in seguito al prelievo di
materiale bioptico epatico, sono risultati affetti da patologie non neoplastiche.
La scelta di includere anche questi casi è giustificata da due motivi: il primo è
che, come abbiamo visto nel capitolo della descrizione ecografica delle varie
patologie, i quadri ecografici delle lesioni non neoplastiche non sono specifici e
possono avere tratti in comune con le neoplasie; il secondo è che, come per
altre casistiche presenti in letteratura (Patnaik et al., 1980; Hager et al., 1985;
Whiteley et al., 1989), non sempre all’esame ecografico segue la manovra di
prelievo di materiale bioptico. Infatti, come è possibile evincere dai nostri
risultati, su un campione di 115 cani con quadri ecografici epatici compatibili
con lesioni neoplastiche, solo in 44 casi (38%) si è proceduto alla
caratterizzazione cito-istopatologica.
Sebbene il numero dei casi di lesioni non neoplastiche incluso non sia elevato e
sebbene i loro aspetti ecografici si confermino non univoci rispetto a quelli di
alcune neoplasie, è possibile ricavare alcune indicazioni utili ad indirizzare la
diagnosi di sospetto verso una lesione benigna piuttosto che maligna: ad
esempio, quasi tutte le lesioni non neoplastiche, in particolare le flogosi,
coinvolgono l’intero organo (nel nostro campione le lesioni neoplastiche sia
benigne che maligne, sono prevalentemente localizzate nei lobi epatici di
sinistra, 80%). Fanno eccezione solo la cisti epatica e un nodulo steatosico.
Anche le cirrosi, che presentano dei pattern ecografici estremamente complessi
e tali da simulare lesioni maligne, hanno presentato un coinvolgimento
generalizzato dell’organo, associato sempre a microepatia. Le steatosi si
100
caratterizzavano, come già ampiamente descritto in letteratura (Biller, 1992;
Armstrong, 1994; Nyland, 1995; Poulsen Nautrup, 2001), per la diffusa
iperecogenicità del parenchima associata di solito a epatomegalia. Questi
caratteri ecografici permettono di fare diagnosi, almeno di sospetto, di steatosi,
sebbene la presenza nel nostro campione di un soggetto con lesione nodulare
singola, nonché la descrizione in letteratura di lesioni focali analoghe, rende più
complicato il processo interpretativo. Quindi, le steatosi, se focali o, comunque,
non diffuse a tutto il parenchima, possono porre dei problemi di diagnosi
differenziale con le neoplasie in cui vi sia iperecogenicità del parenchima
(Armstrong, 1994). Un discorso simile si pone per le infiammazioni epatiche,
epatiti e colangiti, in particolare quando croniche. Infatti, come abbiamo detto
nel capitolo della descrizione dei quadri patologici e come emerge dai nostri tre
casi, le epato-colangiti si caratterizzano per una iperecogenicità diffusa del
parenchima, anche in questo caso, spesso associata a epatomegalia. A
differenza delle steatosi e di quanto riportato da Thornburg (1988), nel nostro
campione sono assenti le infiammazioni localizzate ad un solo lobo.
Per quanto riguarda sesso, età e razza, dalla casistica in nostro possesso, a parte
una prevalenza dei maschi nel gruppo delle lesioni maligne primarie e delle
femmine in quello delle metastasi, non sono risultate particolari predisposizioni
o distribuzioni. Questo dato è in accordo con quanto riportato in letteratura (
Rooney ,1959; Patnaik et al., 1980 e 1981; Jagielski et al., 2002).
Fra le lesioni neoplastiche benigne, è interessante notare come nel nostro
campione vi sia un solo caso di angioma e come anche in letteratura le
segnalazioni certe di questo tipo di tumore siano estremamente rare nel cane
101
(Patnaik et al., 1980). Nonostante che i caratteri ecografici dell’angioma nel
cane siano sovrapponibili a quelli descritti nell’uomo (lesione più spesso
nodulare, iperecogena, perivascolare, a lenta crescita e senza alone periferico)
la sua rarità è in contrasto con quanto succede nell’uomo, dove l’angioma è la
neoplasia più frequente del fegato (Gandolfi et al., 1991). Tuttavia,
nell’esperienza di molti ecografisti veterinari, è frequente che anche nel cane
nel corso di ecografie del fegato si evidenzino lesioni con caratteri ecografici e
con comportamento biologico compatibili con angioma. Purtroppo, come
abbiamo già detto, il ricorso a manovre interventistiche e, quindi, a esami diretti
di tali lesioni, è meno frequente che in umana e, perciò, non è possibile avere
delle indicazioni sia sulla reale prevalenza dell’angioma sia sull’eventuale
importanza del sesso come riferito per la specie umana, dove è più frequente
nelle donne adulte (Gandolfi et al., 1991).
Gli epatomi e i noduli di iperplasia benigna, nella nostra e in altre casistiche,
sono stati trattati come un’unica lesione a causa della difficoltà di differenziarli
da un punto di vista cito-istologico. Il comportamento biologico dei casi
presenti nella nostra casistica, lesione spesso unica che colpisce cani anziani
senza una particolare predisposizione di sesso o di razza, concorda con quanto
già riportato in letteratura (Patnaik et al., 1980; Bergman, 1985).
Ecograficamente, uno degli aspetti più frequenti dell’epatoma è la sua
ecogenicità spesso omogenea ed isoecogena al parenchima sano circostante. In
questi casi, nella nostra esperienza, il ricorso al color o al power Doppler o,
come descritto in letteratura, ai mezzi di contrasto, migliora la caratterizzazione
di tali lesioni. I casi presenti nel nostro campione, sebbene mostrino una certa
102
variabilità per quanto concerne le dimensioni delle lesioni, comunque sempre
focali, quasi sempre singole e più spesso localizzate nei lobi di sinistra,
ricalcano quanto riportato in letteratura (Patnaik et al., 1980; Bergman, 1985;
Penninck, 1995).
Per quanto riguarda le neoplasie epatiche maligne primarie, la composizione
della nostra casistica sembra concordare con quanto riportato in letteratura: il
carcinoma epatocellulare è il tumore maligno primario di più frequente
riscontro nel cane; l’età media dei cani colpiti da questo tumore maligno è di
10-11 anni (Rooney, 1959); è descritta una prevalenza dei cani maschi rispetto
alle femmine (Patnaik et al., 1980) ma senza particolari predisposizioni di
razza (Patnaik et al., 1981). L’aspetto ecografico può essere vario sia dal punto
di vista dell’ecogenicità sia dell’ecostruttura sia del numero e della forma delle
lesioni. La forma più frequente è quella di una massa unica iperecogena
(Whiteley et al., 1989). L’ecogenicità dei noduli, rispetto al parenchima
circostante, può avere pattern ipoecogeno, isoecogeno, iperecogeno o ad
ecostruttura mista, aspetto omogeneo e profili regolari, mancanza di alone e
localizzazione al lobo epatico sinistro (Patnaik et al., 1981). Nel nostro
campione, le lesioni avevano una distribuzione prevalentemente focale, di
lesione “a massa” o di noduli multipli, ma anche di lesione diffusa lobare, in
genere iperecogene ma disomogenee e con profili irregolari o bozzoluti, con o
senza alone periferico. La sede delle lesioni, come riportato in letteratura
(Patnaik et al., 1981) era quasi sempre nei lobi di sinistra, ma, in un caso la
sede era nei lobi di destra.
103
I colangiocarcinomi descritti in letteratura (Patnaik et al., 1981) interessano
più frequentemente i cani di sesso femminile, anziani con età media superiore ai
10 anni e con predisposizione più frequente per la razza Labrador Retriever. Il
loro aspetto può essere di noduli miliari subcapsulari, solitamente ipoecogeni,
oppure di massa ipo-anecogena che, nelle forme ilari e duttali, è capsulata
(Long, 2002). I due casi presenti nel nostro campione colpivano sì soggetti
anziani ma, a differenza di quanto riportato sopra, ambedue erano maschi e di
razze differenti dal Labrador (un meticcio e un boxer); inoltre, le lesioni
apparivano solo come masse iso-iperecogene, disomogenee con profili
irregolari o bozzoluti e con o senza alone, in ambedue i casi localizzate ai lobi
sinistri. In effetti, l’aspetto ecografico dei colangiocarcinomi occorsi alla nostra
attenzione è praticamente sovrapponibile a quello della maggior parte degli
epatocarcinomi.
Per quanto riguarda i linfomi, dobbiamo subito sottolineare che, sebbene la
forma epatica primaria sia riportata come rara nel cane (Dobson, 2004), nel
nostro campione è più frequente rispetto alla forma metastatica (3 casi contro
2). A parte questa particolarità, gli aspetti ecografici da noi riscontrati, noduli
multipli ad ecogenicità variabile da ipo- ad iperecogena, a volte con alone
periferico o con aspetto “a bersaglio”, in prevalenza localizzati ai lobi epatici di
sinistra, concorda con quanto riportato in letteratura (Jagielski, et al., 2002;
Edwards et al., 2003). Manca nella nostra casistica, almeno dei linfomi primari
epatici, la forma diffusa.
Le lesioni maligne secondarie del nostro campione sono in numero maggiore
rispetto a quelle maligne primarie ovvero il 69% e quindi il dato concorda con
104
quanto riportato in letteratura (Cullen e Popp, 2002). Anche l’aspetto o, per
meglio dire, gli aspetti ecografici da noi riscontrati sono quanto mai vari, per
distribuzione, forma ed ecostruttura, perché dipendenti dalla lesione originaria e
dallo stadio di avanzamento: nodulo singolo, noduli multipli o lesioni diffuse a
tutto il fegato, ipoecogeni, isoecogeni, iperecogeni o “a complex mass”,
omogenei o disomogenei o “a bersaglio”, con profili regolari, bozzoluti o non
distinguibili e con presenza o assenza di sottile alone ipoecogeno periferico.
Tuttavia, volendo cercare qualche indicazione utile per la caratterizzazione
ecografica, nel nostro campione possiamo rilevare che: quasi tutte le forme
metastatiche presentavano una distribuzione di tipo nodulare multiplo; la
localizzazione coinvolgeva sempre i lobi sinistri e, a volte, anche i destri; le
metastasi di sarcomi tendevano ad avere aspetto complesso; le metastasi dei
carcinomi originanti dagli organi sessuali maschili erano più spesso
iperecogene mentre quelle degli organi sessuali femminili ipo-isoecogene. La
forma dipende soprattutto dalle dimensioni: più le lesioni sono piccole, più sono
rotondeggianti; l’aspetto di lesione “a massa” per le forme metastatiche è,
verosimilmente, dovuto alla confluenza di più noduli perché accanto alla
lesione di dimensioni maggiori sono state sempre riscontrate delle lesioni
nodulari satelliti. Uno degli aspetti più caratteristici ed allarmanti delle lesioni
metastatiche è quello “a bersaglio” con piccolo centro iperecogeno e spesso
alone ipoecogeno periferico. Questo alone dipende dalla velocità di crescita
della lesione: a maggiore velocità, corrisponde alone più marcato (Cuccovillo,
Lambs, 2002).
105
Conclusioni
La Diagnostica per Immagini riveste un ruolo cruciale per giungere ad una diagnosi o
ad un sospetto diagnostico, ma anche per monitorare l’evoluzione della malattia nel
follow-up, cioè nei controlli a distanza. Da quanto riportato, si può concludere che
l’ecografia si conferma la tecnica di elezione, in campo veterinario, perché associa ad
una grande sensibilità diagnostica l’assenza di invasività, l’economicità, la possibilità
di essere effettuata senza ricorrere a contenimenti farmacologici. Inoltre, quando
necessario, è possibile accrescere la specificità dell’esame, grazie al ricorso a
manovre di tipo interventistico mini-invasive, perché eco-guidate, o, ai mezzi di
contrasto che, si spera, in un prossimo futuro entrino nella routine diagnostica.
Comunque, sebbene, come abbiamo più volte ripetuto, l’ecografia non presenti una
grande specificità, perché molte patologie, sia neoplastiche che non neoplastiche,
presentano quadri ecografici sovrapponibili, e che solo dagli esami diretti di
materiale prelevato dalle lesioni sia possibile arrivare ad una diagnosi di certezza, dai
nostri risultati e dalla revisione della letteratura si possono estrapolare alcune linee
guida: le lesioni diffuse a tutto l’organo è molto probabile che siano lesioni benigne
di tipo infiammatorio o degenerativo; le lesioni localizzate nei lobi di sinistra è molto
probabile che siano neoplasie, benigne o maligne, primarie o secondarie; le lesioni
nodulari o anche “a massa” singole, ipo-isoecogene, con profili regolari è molto
probabile siano lesioni neoplastiche benigne primarie; le lesioni “a massa” con
pattern disomogeneo e profili irregolari è molto probabile che siano lesioni
neoplastiche maligne primarie; le lesioni nodulari multiple, di qualsiasi tipo di
pattern, prevalentemente localizzate a sinistra è molto probabile che siano metastasi.
106
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