INTOLLERANZE ALIMENTARI: VERITA` O PREGIUDIZIO?

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INTOLLERANZE ALIMENTARI: VERITA’ O PREGIUDIZIO?
L’importanza che ha assunto negli ultimi anni la cura dell’alimentazione ha generato
nuove tendenze a correlare stati patologici più o meno gravi con l’assunzione di cibo.
Se, da un lato, l’attenzione rivolta a questo argomento ha portato a nuovi studi e
ricerche in merito, dall’altro si è venuta a creare una sorta di pregiudizio sulla
veridicità del problema: possibile che ciò che si assume con una dieta equilibrata può
fare male?
Lucrezio sentenziò che “ciò che per qualcuno è nutrimento per altri è veleno..”. La
questione, dunque, è più antica di quanto si possa pensare.
In realtà parlare oggi di intolleranza significa scontrarsi con un argomento ancora
non del tutto chiaro scientificamente. L’esperienza degli ultimi trent’anni ha però
condotto ormai alla certezza che alcune sostanze contenute nei cibi di uso quotidiano
possono generare disturbi fisici a chi le assume. Non si tratta di vere e proprie
reazioni allergiche, le cui peculiarità sono note e ben riconoscibili: liberazione di
istamina con conseguenti reazioni sistemiche quali asma, eritema, orticaria,
angioedema fino allo shock anafilattico. L’intolleranza è un evento che prende
origine nelle pareti dell’intestino la cui reazione può verificarsi anche 72 ore dopo
l’assunzione della sostanza e non colpisce un solo organo, bensi può cambiare
bersaglio di volta in volta provocando disturbi diversi fra loro, spesso non correlabili.
E’ spesso “nascosta”, mascherata dal benessere provocato dall’assunzione del cibo
incriminato. Per queste ragioni è di difficile individuazione e a volte non bene accolta
da chi ne è colpito. Perché attribuire proprio a quel nutrimento di cui si è ghiotti la
causa di un “banale” mal di testa? Lo stesso vale per numerosi disturbi comuni che
spesso sono associati a momenti di stress psico-fisico: colon irritabile, reazioni
cutanee, attacchi di ansia, obesità, disbiosi e malassorbimento intestinale, carenze di
vitamine e minerali fino ad arrivare ai disturbi comportamentali quali epilessia,
schizofrenia, autismo, iperattività nei bambini, fotofobia o problemi di performance
fisica nello sport agonistico.
E’ doveroso precisare che quando si presentano i sintomi tipici di un malessere
cronico, prima di effettuare una diagnosi di intolleranza a determinati cibi è bene
escludere altre patologie con il proprio medico; soltanto dopo, accertate le buone
condizioni di salute, sarebbe opportuno indagare sul probabile contributo che gli
alimenti hanno sulle condizioni di salute. Colui che decida di intraprendere l’indagine
sulla propria tolleranza ad alcuni cibi si ritroverà a scegliere tra diversi metodi
diagnostici oggi molto discussi perché carenti di basi scientifiche. Pertanto, il metodo
più certo e affidabile rimane il test ematico, vista la reale visibilità della reazione
citotossica da parte del linfociti a contatto con le sostanze in esame. Inutile poi è
estendere la ricerca su nutrienti di raro consumo alimentare: meglio soffermare la
propria attenzione sui principali gruppi di alimenti che quotidianamente rientrano in
una dieta più o meno equilibrata. Il risultato di un indagine di questo tipo consentirà
al nutrizionista di proporre al paziente un trattamento nutrizionale personalizzato che
prevede la sostituzione di alcuni alimenti con quelli non tollerati: in questo modo,
senza squilibrare il fabbisogno settimanale dei nutrienti, si consentirà al fisico di
smaltire l’eccesso della sostanza incriminata. Superato un primo periodo di astinenza,
i sintomi dell’intolleranza scompariranno fino a quando il paziente sarà nuovamente
pronto ad assimilare l’alimento senza dover rinunciare all’assunzione di nutrienti
essenziali per l’organismo. Di certo questa strategia è molto accurata e richiede
tempo: è spesso più facile dare dei farmaci. Tuttavia il risultato è entusiasmante e
incita a proseguire sulla strada del benessere.
Dott.ssa Federica Mastronardo
Biologa Nutrizionista
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