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DA SAPERE
I TEST PER LA DIAGNOSI
● Dopo un colloquio con il
paziente, destinato a individuare gli alimenti “sospetti”,
si procede generalmente a
test cutanei, applicando sulla
pelle dell’avambraccio piccole quantità dell’alimento stesso e osservando la reazione
nei 20 minuti successivi. In
caso di positività si verificherà la comparsa di pomfi.
Per una diagnosi certa occorre però somministrare un
singolo alimento ogni 6 ore,
fino a quando si manifesta la
reazione: la prova dev’essere
effettuata in ambiente ospedaliero specializzato, per poter intervenire prontamente
in caso di reazioni gravi.
Altre prove, che danno tuttavia risultati meno certi, sono
basate sulle modificazioni del
tono muscolare indotte dall’assunzione del cibo non tollerato (test DRIA, test chinesiologico) o sulle variazioni
del potenziale elettrico della
cute al contatto con l’alimento (test VEGA, Sarm test, Bio
Strenght test), o sui cambiamenti del grado di acidità
della saliva quando l’alimento
stesso viene ingerito.
S
in alute
Il nemico nascosto
nel piatto
L
e allergie alimentari sono state conosciute e curate fin
dalla più remota
antichità: ne abbiamo testimonianza da Ippocrate, il padre della Medicina, che addirittura 500 anni
L’uso sempre maggiore di alimenti di produzione industriale ha notevolmente
accresciuto il pericolo di reazioni avverse ai cibi. I meccanismi che stanno
alla base di queste reazioni sono oggi abbastanza ben conosciuti, ma
purtroppo non disponiamo ancora di terapie efficaci né per le allergie né
per le intolleranze alimentari.
LE ALLERGIE A TAVOLA
avanti Cristo ne descriveva
i sintomi e ne prescriveva
la terapia. Ma per la medicina moderna questi disturbi sono divenuti d’attualità
soltanto nei primi decenni
del 1900, quando vennero
esaminate in modo scientifico le reazioni allergiche
presentate da alcuni soggetti alle proteine del latte e a
quelle dell’uovo. Più tardi,
intorno agli anni ‘50, un
gruppo di studiosi americani pubblicò una ricerca su
un gran numero di pazienti
che presentavano reazioni
negative ad alcuni alimenti,
pur non potendosi definire
allergici ad essi in senso
stretto. Oggi siamo in grado
di catalogare e distinguere
con precisione le due categorie di disturbi legati
all’ingestione di determinati cibi: da un lato vi sono le
allergie propriamente dette,
dall’altro le intolleranze alimentari. Le prime sono scatenate da un meccanismo
immunitario in senso stretto: le sostanze, generalmente di tipo proteico, contenute in alcuni cibi si comportano come antigeni e, anche
quando vengono assunte in
piccola quantità, scatenano
in breve tempo (da un minimo di 2 minuti a un massimo di 2 ore) la risposta
degli anticorpi, responsabile di sintomi che possono
essere anche molto gravi.
Le seconde consistono invece in una reazione avversa a sostanze che risultano
tossiche solo per alcuni
soggetti, i quali mancano
degli enzimi necessari per
metabolizzarle (intolleranze
enzimatiche). In altri soggetti l’intolleranza può essere invece scatenata da sostanze come conservanti,
coloranti, ecc. aggiunte ai
cibi stessi nel corso della
loro lavorazione industriale
(intolleranze farmacologiche). Nei casi di intolleranza la comparsa dei sintomi
è sempre legata alla quantità di alimento che viene
assunta.
Ma in che modo si manifestano le allergie e le intolleranze alimentari? Per l’allergia non vi sono dubbi in
presenza dei sintomi più
acuti, che possono andare
da disturbi respiratori (rinite, asma) successivi all’ingestione dell’alimento “in-
criminato” al vero e proprio
shock anafilattico, fortunatamente molto più raro, che
a volte può essere addirittura letale. Sintomi fortemente sospetti sono: nausea o
vomito postprandiale, meteorismo, steatorrea (feci
chiare) o diarrea, manifestazioni cutanee, presenza di
sangue occulto nelle feci,
perdita di peso (nell’adulto)
o ritardo di crescita (nel
bambino). Molti di questi
sintomi compaiono anche
nel caso dell’intolleranza,
in cui però è spesso presente una sintomatologia più
subdola e difficile da collegare con l’assunzione di un
determinato alimento: ad
esempio alterazioni croniche dell’apparato gastrointestinale, cefalea, emicrania, stati di tensione emotiva, stanchezza e debolezza,
malessere vago ma persistente, depressione. Il soggetto che presenta un’intolleranza alimentare, pur non
risultando affetto da specifiche malattie, è però spesso una persona che riesce
raramente a trovarsi in uno
stato di vero benessere fisico-psichico.
Gli alimenti che più facilmente possono produrre
reazioni allergiche sono il
latte di mucca (che spesso
viene addizionato a cibi apparentemente “innocenti”
come le salsicce e gli hotdog), le uova, le arachidi e
le noci, il pesce e i crostacei, la soia, alcuni tipi di
frutta. Per le intolleranze
sono invece più spesso
chiamati in causa i cibi ricchi di istamina o tiramina,
come i formaggi fermentati
o stagionati, gli insaccati, le
aringhe, le acciughe e le
sardine, i pomodori, il tonno, le fragole e il cioccolato.
La presenza di additivi
estende però enormemente
la lista dei cibi che possono
provocare fenomeni di intolleranza.
Quando è stata fatta la diagnosi di allergia o intolleranza alimentare, l’unico
provvedimento risolutivo è
l’esclusione dell’alimento
allergizzante o non tollerato
dalla dieta. I sintomi si
combattono invece con la
somministrazione di farmaci ad azione antiistaminica.
Ada Moretti