Donne, Mass Media, Disturbi dell’Alimentazione:
una prospettiva socio-culturale
Martina Contin*, Barbara Segatto** e Maurizio Barbagallo*
I Disturbi Alimentari rappresentano un importante e diffuso problema all’interno della società occidentale
contemporanea. Essi affliggono in particolare le giovani donne. Nel presente articolo gli autori hanno inteso
studiare i Disturbi Alimentari attraverso un approccio sistemico. Nella prima parte vengono presentati i diversi approcci teorici al tema dei Disturbi Alimentari: approccio medico, psicologico, filosofico (studi di genere)
e sociologico (sistemi di comunicazione e mass media). Nella seconda parte vengono presentati i risultati di
una ricerca empirica tesa ad indagare l’influenza dei mass-media nella costruzione del senso di identità delle
giovani, attraverso la comparazione di due campioni: un campione di donne con diagnosi di Disturbo Alimentare con un campione di donne senza diagnosi.
Parole Chiave: Disturbo Alimentare, Donne, Comunicazione, Mass-Media, Identità.
Women, Mass Media and Eating Disorders: a socio-cultural perspective. Eating disorders represent a real,
widespread problem in our contemporary western countries. They strike, for the most part, young women. In
this research the authors try to understand Eating Disorders thanks to a systemic approach. First they focus
their attention on different theories: medical, psychological, philosophical (gender studies) and sociological
(communication and mass media) theories. At the second they investigate, by an empirical approach (survey
and data analysis), the influence of mass media on the construction of young women identity. Two sample are
compared: women strike by diagnosed eating disorders and young women not strike by diagnosed eating disorders.
Key Word: Eating Disorders, Women, Communication, Family Relationship, Mass-Media, Identity. L’attuale diffusione dei Disturbi del Comportamento Alimentare ha portato a considerare il
problema nei termini di “Epidemia Sociale” (Gordon, 1990): essi rappresentano la manifestazione di
una profonda sofferenza che, lungi dall’essere imputabile esclusivamente a cause di natura organica
e/o cognitiva, rimanda ad una complessa rete di fattori scatenanti, precipitanti e perpetuanti che s’intrecciano e si alimentano vicendevolmente (Garner e Garfinkel, 1982). Oggigiorno esperti e ricercatori, nell’elaborazione di nuove teorie eziologiche, tendono a cogliere in una visione sistemica l’interazione di molteplici fattori, superando una visione prettamente medicalista che considera il rapporto
di causalità lineare “agente patogeno-malattia” (Bocchia e Tridenti, 1993). Maggiore importanza è
stata rivolta dunque al contesto socio-culturale d’appartenenza, soprattutto alla famiglia e alle dinamiche caratterizzanti la complessa società occidentale contemporanea (Montecchi, 1998).
Utilizzando un approccio sociologico alla realtà odierna, non è possibile dimenticare il ruolo
delle comunicazioni di massa: ogni pubblicazione inerente ai Disturbi Alimentari tende a responsabilizzarne il ruolo, senza approfondire tuttavia la relazione tra le variabili implicate e le dinamiche d’influenzamento. La presente ricerca intende indagare il ruolo del contesto socio-culturale sull’insorgenza del Disturbo Alimentare, attraverso un’indagine pilota denominata “Donne, Mass Media, Disturbi
dell’Alimentazione”; nello specifico verranno rilevate la tipologia di consumo dei mass media e le
modalità comunicative intrafamiliari.
* Dipartimento di Sociologia, via S. Canziano 8, Padova
** Dipartimento di Psicologia Generale, via Venezia 8, Padova
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I Disturbi del Comportamento Alimentare (CDA)
L’approccio culturalista
Susan Bordo (1997), analizzando il potere che la cultura dominante esercita sul nostro corpo,
evidenzia i paradossi insiti nella società contemporanea che influenza, inconsapevolmente ma inevitabilmente, il nostro “modus vivendi”: le azioni quotidiane, le concezioni che abbiamo di noi stessi e
degli altri, i parametri sui quali elaboriamo le nostre valutazioni. L’autrice, studiando il problema dei
Disturbi Alimentari secondo un’ottica culturalista, ha contribuito a riconsiderare le distorsioni corporee e l’insoddisfazione per la propria immagine non come “bizzarrie” individuali ma come percezioni
peculiari alle donne appartenenti alla nostra cultura.
I disturbi alimentari, infatti, sono caratterizzati da una grande insoddisfazione per le proprie
fattezze corporee e uno degli elementi patologici risiede nell’eccessiva ansia innescata dai giudizi
altrui; la propria autostima ed il proprio valore si misurano attraverso l’avvenenza estetica e le conferme-disconferme sociali.
L’identità personale è strettamente legata al vissuto corporeo e si struttura sulla base di due
componenti: lo schema corporeo e l’immagine corporea (Bauer e Ventura, 1996). Il concetto di immagine corporea è piuttosto complesso: implica un vissuto intimo e personale in cui aspetti individuali, cognitivi, affettivi ed emozionali si rapportano e si confrontano durante la relazione intra ed
interpersonale. Mentre lo “schema” semplicemente direziona movimenti e azioni, l’immagine è fonte
di rappresentazioni che “pesano sull’economia” della nostra psiche. Essa è legata all’identità di genere: vi è l’attenzione infatti a tipizzare la propria immagine (ed i propri comportamenti) conformemente alla propria sessualità (Bauer e Ventura, 1996). L’identità sessuale si costituisce a livello sia sociale che individuale. La cultura alla quale apparteniamo stabilisce dei criteri in base ai quali adattare
l’immagine ed i comportamenti considerati patrimonio di un determinato genere sessuale. L’individuo media queste “informazioni” sulla base delle proprie caratteristiche biologiche, cognitive e psicologiche. Egli perciò deve condividere buona parte delle definizioni sociali prescritte e confrontarsi
con esse (Bauer e Ventura, 1996).
La donna, a partire soprattutto dagli anni Sessanta, ha dovuto adattarsi a repentini cambiamenti
nei modelli estetici in voga, “modelli” che rivestono un’importanza non sottovalutabile in quanto
influenzanti la rappresentazione di Sé e degli altri. Probabilmente, le rapide evoluzioni normative non
sono state seguite da un’elaborazione individuale altrettanto rapida; comportando una confusione in
seno all’identità femminile contemporanea.
L’approccio psicologico
L’approccio psicologico sottolinea in particolare il ruolo della famiglia nella strutturazione
dell’identità che evolve “in primis” in seno all’ambiente domestico, dove il bambino, attraverso le
risposte dei genitori, impara a discriminare gli stimoli fisici dai bisogni affettivi, i segnali esterni da
quelli interni, procedendo ad una progressiva conoscenza di sé. Molti studiosi della patologia alimentare hanno prestato attenzione all’incapacità, ricorrente nei soggetti anoressici ed obesi, ad individuare e differenziare gli stati d’animo dalle esigenze fisiologiche.
Bruch (1977) nel suo modello dispercettivo analizza come inadeguate risposte genitoriali possano precludere nell’individuo una padronanza dei limiti, manifestando così un “difetto di apprendimento primario”. Selvini-Palazzoli (1963) descrive come onerosa l’adeguata definizione della propria corporeità, l’indagine di stimoli corporei e di stati d’ansietà. Ambedue le ricercatrici considerano
la famiglia come il luogo in cui particolari modalità interattive e comunicative, regole prefissate e
ruoli stabiliti possono creare i presupposti, se non addirittura le cause, della malattia. Selvini-Palazzoli e altri (1998), in una recente riformulazione delle sue teorie, ha integrato una visione olistica della famiglia con una rivalutazione dei vissuti soggettivi implicati nelle relazioni, soprattutto ridefinendo il ruolo della madre. Bruch (1962) ha evidenziato la presenza nei soggetti malati di un atteggia-
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mento volto a soddisfare le richieste altrui ma sempre valutando in modo ipercritico e insoddisfacente
il proprio operato. Esistono individui imprigionati dai familiari in un ruolo rigido, rappresentato dalla
persona docile, buona e obbediente che asseconda sempre le aspettative. Attraverso di essi i genitori
possono mettersi in comunicazione senza angoscia non consapevoli che, a lungo andare, questa dinamica relazionale può comportare la sofferenza del soggetto implicato.
Selvini-Palazzoli (1963) condivide la presenza di questa caratteristica che considera conseguenza sia della precarietà delle risposte genitoriali verso i bisogni del bambino, sia dei ruoli attribuiti all’interno della famiglia.
Faccio (1999), in una ricerca condotta al fine di rilevare le correlazioni tra le forme subcliniche
del disturbo alimentare e i significati, i vissuti relativi al corpo e al cibo, ha verificato che:
1) L’auto-percezione e l’etero-percezione sono spesso speculari.
2) Il proprio giudizio coincide sovente con quello sociale.
3) Il desiderio, soprattutto delle studentesse tra i 18 e i 22 anni, è di avere un corpo perfetto con conseguenti colpevolizzazioni nel caso di strappi alla regola o di falliti tentativi.
4) Un’eccessiva preoccupazione risiede anche nella fascia d’età compresa tra i 13 e i 15 anni, malgrado queste ragazze tendano a colpevolizzarsi e a biasimarsi meno.
5) Una certa tendenza alla perdita di controllo è stata riscontrata altresì nella categoria delle casalinghe le quali, come le studentesse, si trovano più spesso sole in casa, di fronte ad una “difficile autogestione del tempo e dove le sollecitazioni da parte degli stimoli alimentari sono continue”.
6) Tutti i soggetti con un disordinato rapporto alimentare hanno evidenziato bassa autostima, insicurezza, eccessiva importanza attribuita al proprio aspetto, sentimento di inadeguatezza, paura del giudizio altrui.
7) Le persone molto soddisfatte del proprio corpo non sembrano esenti da rischi. In virtù della forma
fisica invidiabile, sarebbero estremamente scrupolose nel mantenere il peso attraverso un continuo
automonitoraggio, coscienti della precarietà della situazione. Questo dato avvalora ancora una volta
le affermazioni di Gordon (1990): “una delle caratteristiche che contraddistingue il Disturbo Etnico è
una sorta di comportamento paradossale che provoca ammirazione ma nel contempo riprovazione e
che si staglia su un continuum quantitativo piuttosto che qualitativo”.
L’influenza della comunicazione: il rapporto tra mass media, individuo, società
Nella società occidentale, caratterizzata dalla capillare diffusione e dalla grossa influenza delle
comunicazioni di massa sulla vita dell’uomo, è forse possibile attribuire ai media una certa responsabilità nel promuovere il disagio verso il proprio corpo e la propria identità femminile.
La questione del “disagio alimentare” potrebbe apparire come un tentativo di adattamento ad
una realtà sempre più contraddittoria e minacciosa, nella quale è compito arduo trovare la propria
dimensione di persone e soprattutto di donne: i mass media, che rappresentano un punto di riferimento per la risoluzione di problemi, nella maggior parte dei casi forniscono un’ulteriore “illusione risolutiva”. Alla richiesta di soddisfazione di un bisogno, i media rispondono con un bene di consumo
che promette il raggiungimento della sospirata serenità. Tuttavia, connessa alla ricerca attiva di soluzioni individuali, si pone la questione dei mass media come strumenti in grado di promuovere e incentivare “la creazione di bisogni”: assistiamo infatti all’attività di una “macchina” che confeziona
continuamente necessità da soddisfare, invitando successivamente ad accedere ad immediate e gratificanti risoluzioni.
La teoria della dipendenza dai media (DeFleur e Ball-Rockeach, 1995), attraverso un approccio ecologico, delinea una reale evoluzione nello studio delle comunicazioni di massa. Essa non spiega solo l’influenza dei media, ma anche le motivazioni della loro presenza massiccia nella società
odierna e, ancora, la possibilità alquanto remota di venire espropriati, seppure minimamente, del loro
potere.
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Il rapporto di dipendenza poc’anzi accennato non è a senso unico bensì bilaterale. Non sono
solo i diversi sistemi in seno alla società ad aver bisogno delle comunicazioni di massa, ma gli stessi
media cercano “sostegni” dal sistema economico, politico, culturale, ecc.
DeFleur e Ball-Rockeach (1995) individuano tre motivazioni fondamentali in base alle quali il
pubblico si rivolge ai mass media: la comprensione – che risponde al bisogno di nuove conoscenze
che permettono di confrontare, rielaborare e aumentare il bagaglio cognitivo – l’orientamento – che
riguarda la ricerca delle indicazioni utili a regolare il comportamento – e lo svago. Gli autori ritengono che il soddisfacimento di questi bisogni sia parte integrante della vita di tutti gli esseri umani. I
paradigmi cognitivo, interazionista, funzionalista, evoluzionista e del conflitto sociale hanno contribuito insieme, nella teoria della dipendenza, a comprendere la definizione della natura e dell’influenza delle comunicazioni di massa. L’utilizzo del paradigma cognitivo permette di capire che le motivazioni inducenti un soggetto all’esposizione dei media e gli effetti da questi provocati dipendono
anche dalla modalità con cui le persone utilizzano le risorse offerte dalle comunicazioni per soddisfare i loro bisogni. In virtù delle tre ragioni, poc’anzi analizzate, di orientamento, comprensione e svago, è lecito affermare che i risultati dell’esposizione saranno ben diversi in un individuo dipendente
dai media perché solitamente spinto dal desiderio di comprensione sociale, rispetto all’utente interessato solo a beneficiare di un occasione di svago e di rilassamento. DeFleur e Ball-Rockeach (1995)
riportano delle prove a sostegno di questa chiave di lettura: essi confermano dunque il principio di
selettività sia nella scelta dei programmi che nell’influenza, in quanto legata al tipo di motivazione e
ad altri aspetti cognitivi caratterizzanti l’atteggiamento del soggetto. Il grado di dipendenza inoltre è
correlato a fattori individuali che, a loro volta, vengono influenzati dall’ambiente di appartenenza. Se
l’ambiente presenta elementi di ambiguità, minaccia e cambiamento, la dipendenza del singolo ai
media dovrebbe essere maggiore, poiché essi agevolano la cognizione di informazioni utili a mitigare
i sentimenti di incertezza e di incomprensione, nati in seno ai problemi della vita sociale; in questo
senso l’interazionismo simbolico offre un notevole contributo nell’ambito della teoria della dipendenza. L’ambiguità caratterizza la società attuale, complessa e in costante cambiamento. In conseguenza a ciò, l’interpretazione della realtà diventa problematica, in quanto le persone non riescono ad
attribuire agli eventi dei significati stabili. I mass media si configurano come un punto di riferimento,
in quanto promulgatori “instancabili” di modelli e significati. Da ciò è possibile desumere che la crescente dipendenza dell’individuo al sistema mediatico comporta indubbiamente il potere di influenzare le sue credenze e i suoi comportamenti con il rischio che le venga attribuita una competenza che
non gli appartiene, vale a dire la facoltà di “educare”.
“In questo caso il potere dei media è simile a quello, anch’esso basato sull’informazione, dei
genitori sui figli o degli insegnanti sugli studenti. In ultima analisi, si tratta della questione della creazione e del controllo della conoscenza” (DeFleur e Ball-Rockeach, 1995, p.338 ). Gli autori della teoria della dipendenza accolgono anche l’assunto del paradigma evoluzionista poiché, al fine della sopravvivenza, il sistema dei media non può permanere immutato: i cambiamenti adattativi sono necessari ma essendo lenti e raramente pianificati, sono difficili da percepire nel momento in cui si verificano.
La ricerca
Gli obiettivi
Lo scopo di questa ricerca è quello di rilevare la tipologia di consumo di giornali, riviste e programmi televisivi da parte di giovani donne affette da Disturbi del Comportamento Alimentare. Inoltre si è inteso sondare le modalità di comunicazione intrafamiliare e l’immagine di donna che, secondo le interpellate, sembra emergere dai mass media.
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Il campione
Il campione è composto da 40 soggetti dei quali:
(a) 20 soggetti, affetti da disturbi del comportamento alimentare e ricoverati nella clinica per i Disturbi Alimentari “Villa Margherita” (Vicenza), costituiscono il gruppo clinico.
(b) 20 soggetti, giovani studentesse abitanti in Friuli Venezia Giulia e residenti nella provincia udinese afferenti ad un Centro di Assistenza Scolastica, costituiscono il gruppo di controllo.
Il campione clinico ha un’età compresa tra i 16 ed i 30 anni. L’età media delle pazienti è di 22
anni, con una deviazione standard di 4,06. Gran parte dei soggetti è nubile, con genitori regolarmente
sposati nell’85% dei casi. Il 75% delle pazienti vive con entrambi i genitori, il 15% solo con la madre, il 5% vive con amici e un altro 5% dichiara di condividere l’abitazione sia con i genitori che con
gli amici, molto probabilmente per evidenziare la temporanea presenza in clinica.
Per quanto riguarda il livello di scolarizzazione dei padri, il 31% di essi possiede una licenza
media inferiore ed il 21% è istruito appena a livello elementare. Solo il 15% ha frequentato scuole
superiori mentre un esiguo 21% indica coloro che sono in possesso di una laurea, dato equivalente a
4 soggetti su 20. Il 30% delle madri possiede la licenza elementare, solo il 25% ha terminato gli studi
superiori ed appena un 10% ha conseguito un diploma di laurea.
Considerando l’occupazione, il 65% dei padri è occupato ed il 30% è pensionato. Le professioni evidenziate sono al 40% riconducibili ad attività manuali più o meno specializzate, comunque riguardanti il mestiere di operaio o di artigiano. Il 15% dei padri è attivo nel commercio, appena un
10% riveste la professione di dirigente ed è presente un solo caso di libero professionista. Nel caso
delle madri, il 50% di esse lavora, il 20% è in pensione ed il 25% sono casalinghe. Tra le professioni
il mestiere di operaia, 20%, è secondo solo a quello di casalinga mentre equamente distribuito risulta
l’impiego in ufficio e l’insegnamento, specie nella scuola elementare. Fra il 10% di coloro che hanno
conseguito una laurea, anche in questo caso emerge un’unica libera professionista. Considerando invece il livello di istruzione delle pazienti, il 50% di esse possiede la licenza media ma è necessario
ricordare che la maggior parte sono studentesse, nel 50% dei casi, soprattutto delle scuole mediesuperiori. La tipologia di diplomi conseguiti è estremamente eterogenea. Il 25% dei soggetti è occupato e le professioni svolte si suddividono tra il lavoro d’impiegata, di operaia e d’insegnante nella
scuola elementare; il restante 25% è disoccupato. Analizzando infine il clima educativo della famiglia il più indicato sembra essere, ex-equo con uno stile classico, uno stile caotico, entrambi segnalati
nel 25% dei casi. Il 20% sottolinea invece una modalità autorevole, mentre il 15% evidenzia uno stile
permissivo: solamente un soggetto ha espresso la presenza di un clima autoritario.
Il campione non clinico ha un’età media di 19,6 anni, con una deviazione standard di 3,39. Anche in questo caso le ragazze sono nubili, conviventi con i genitori, regolarmente sposati tranne in
due casi, nei quali il padre è deceduto. I padri possiedono la licenza media nel 40% dei casi mentre
un 30% ha terminato gli studi medio superiori ed un 15% ha conseguito una laurea. Risultati analoghi
per quanto riguarda il titolo di studio delle madri: un 45% ha la licenza media, il 25% il diploma di
istituto superiore anche se solo una madre risulta essere laureata.
Spiccano altresì i dati riguardanti il tipo di occupazione, sempre delle madri, che nel 45% dei
casi è la casalinga. Il 15% è operaia, il 10% insegnante e sempre con la stessa percentuale troviamo la
professione di infermiera. I padri nel 35% dei casi svolgono l’attività di operaio o di artigiano mentre
un 15% di essi è imprenditore o amministratore. I soggetti interpellati sono studentesse per l’85% e le
professioni esercitate da coloro che sono invece occupate risultano essere l’impiegata e la commessa.
Il 50% delle giovani donne possiedono la licenza media in quanto la maggior parte frequenta ancora
le classi medie superiori. Per quanto riguarda il clima educativo segnalato in ambito familiare, il 50%
dichiara la presenza di modalità “classiche” di educazione ed il valore successivo, pari al 15% delle
risposte, indica uno stile permissivo.
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Gli strumenti
Allo scopo di verificare gli obiettivi della ricerca, alle 40 ragazze costituenti il campione, sono
stati somministrati due questionari auto-compilativi ed un differenziale semantico.
Il primo questionario, costruito ex-novo per la realizzazione di questa indagine pilota, è composto da 32 item attraverso i quali si è inteso rilevare: la situazione socio-anagrafica, il consumo di
quotidiani e riviste femminili, il consumo di programmi televisivi, le motivazioni personali che inducono al consumo, la valutazione dei sopraccitati prodotti mass mediali. Inoltre un’attenzione particolare è stata rivolta a quelli che sono i beni di consumo preferiti dai soggetti e per i quali essi spendono
una maggiore quantità di denaro. Un’ultima area tematica indagata è costituita dal modello di donna
reiterato dai mass media secondo le interpellate, dalla descrizione di se stessa e del proprio ideale di
donna. Le domande del questionario utilizzano differenti modalità di risposta: chiusa, aperta, a scelta
multipla, su scala Likert e con scale a somma 100.
Per individuare la presenza di modalità funzionali e disfunzionali di comunicazione presenti
all’interno delle famiglie si è scelto di utilizzare il “Questionario sulla Comunicazione Familiare” (Cusinato, 1996): lo strumento indaga i modi, i tempi e gli spazi dedicati dai componenti della
famiglia alla comunicazione, attraverso 40 item da valutare utilizzando una scala likert a 5 punti. Gli
item vengono raggruppati in 4 scale denominate: Efficacy, Avoidance, Dismissal, Manipulation. Il
fattore Efficacy, ovvero “Efficacia Comunicativa”, è caratterizzata dalla possibilità di trovare tempi e
modi per dialogare con calma; dalla capacità di esprimere efficacemente opinioni e sentimenti, sia a
livello prossemico che verbale e dalla manifestazione di empatia e attenzione durante l’ascolto (Boyd
e Roach, 1977; Feeney, Noller e Callan, 1994; Noller e Fitzpatrick, 1990). Il fattore Avoidance invece si riferisce, con Dismissing e Manipulation, a modalità disfunzionali di comunicazione. Nello specifico, Avoidance si riferisce nella fattispecie ad atteggiamenti di evitamento verso le discussioni,
soprattutto in riferimento a determinati temi o in determinati momenti. Questa sorta di “fuga” dal
confronto interpersonale può essere coadiuvata da sdrammatizzazioni o giustificazioni che celano in
realtà la presenza di una difficoltà. (Buunk e Kerkstra, 1985; Gottman, 1979). Il termine Dismissing
descrive un’aperta aggressività e ostilità, caratterizzata da ira e da atteggiamenti di non ascolto
(Bartholomew, 1990). Infine Manipulation rappresenta una modalità comunicativa volta a manipolare la comunicazione attraverso colpevolizzazioni, recriminazioni, minacce ed ultimatum. (BakerMiller,1977; Hawkins, Weisberg e Ray, 1980; White 1989). Inoltre, allo scopo di indagare l’immagine che le ragazze dei due campioni hanno di se stesse ed il loro ideale di donna, è stato creato un differenziale semantico, esso risulta composto da 22 coppie di aggettivi, quali “bella-brutta”, “magragrassa”, “forte-debole”, ecc..
I risultati
L’area tematica riguardante il consumo di giornali, riviste e programmi televisivi si apre con il
quesito sulla lettura di periodici e quotidiani. In riferimento ai risultati del campione clinico, il 60%
delle ragazze legge i giornali, ma, alla domanda “Con quale frequenza”, solo il 15% dichiara di leggerli ogni giorno, mentre la consultazione per il 25% di esse avviene “almeno una volta a settimana”;
con una percentuale identica emerge una lettura prettamente saltuaria. Il 35% acquista per lo più quotidiani locali mentre nel panorama della stampa nazionale solo il 15% legge il “Corriere della Sera”
ed il 10% la “Repubblica” ed il “Giornale”.
Molto diversi i dati riguardanti la lettura delle riviste femminili: la percentuale arriva a 95 ed
anche la frequenza di consumo evidenzia un rilevante interesse. Il 40% dichiara di leggerli ogni settimana, il 15% almeno 1 volta al mese ed il 20% saltuariamente. Tra gli argomenti di maggior interesse spiccano la moda, scelta dal 70% delle interpellate, la salute e la forma fisica nel 65% dei casi e la
bellezza, con una percentuale altrettanto alta pari al 55%. La cultura e l’attualità vengono scelte da un
numero piuttosto esiguo di soggetti: solo 5 persone su 20, in entrambi i casi, dichiarano di interessarsi
ad esse. Tra le riviste più lette “Donna Moderna” ottiene un 65%, seguito dal settimanale “Tu”. È
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possibile osservare che “Donna Moderna” viene letto molto anche dal campione non clinico, al contrario della rivista “Tu”, citato in un solo caso ed invece presente al 55% tra le ragazze del gruppo
clinico. Discreta anche la percentuale di lettrici della rivista “Viver Sani e Belli” (30%); seguono
“Grazia” e “Pratica” con il 25%, “Gioia”, “Gente” e “Silhouette Donna” con il 20%. All’opzione
“Altro” ha risposto il 40% delle interpellate in modo molto eterogeneo, tranne nel caso della rivista
“Glamour”, segnalata da 3 soggetti, tra cui 2 abbonate. In generale, il 40% dei soggetti clinici dichiara di essere abbonata ad una rivista, ma non si evidenzia una particolare omogeneità nella scelta. É
interessante notare che, sebbene dai risultati poc’anzi esposti sull’alta percentuale di lettrici di riviste
femminili e sulla frequenza con cui le leggono, il giudizio sulla loro validità si ferma prevalentemente (47.1% dei casi), all’opzione “mi soddisfano poco” ed il 35.3% sostiene che la soddisfazione è parziale. Le ragioni esposte dai soggetti interpellati sono contraddittorie: coloro che apprezzano meno le
riviste che leggono, tendono a considerare l’eccessiva presenza di articoli riguardanti le diete, la forma fisica ecc., tanto che una ragazza scrive: “sono false e favorevoli ai Disturbi del Comportamento
Alimentare”
Le persone che muovono questo genere di critiche però consultano comunque diversi tipi di
riviste. Sembra quasi delinearsi una situazione conflittuale: una presa di coscienza sulla futilità dei
giornali patinati da un lato, l’impulso a migliorare la propria immagine dall’altro. Infatti alcuni soggetti, dichiaratisi “soddisfatti in parte” dalle riviste, hanno motivato la loro scelta sostenendo di desiderare con maggior assiduità articoli su fitness e forma fisica. Per quanto concerne il tempo dedicato
quotidianamente alla televisione, la media calcolata per il campione clinico è di 2,1 ore con estremi
che vanno da 0 a 5 ore. Tra i programmi più seguiti troviamo i film, segnalati nell’85% dei casi, i
telegiornali (70%) ed i telefilm (45%). L’attualità ed i documentari interessano al 35% dei soggetti,
mentre le Soap Opera non sembrano riscuotere troppi consensi, visti i risultati. Il 20% segue le Soap
internazionali, mentre solo il 10% afferma di interessarsi a quelle italiane. D’altra parte alla richiesta
di una puntualizzazione sul livello di soddisfazione arrecata dal mezzo televisivo, il 45% si dichiara
“poco soddisfatto” e le motivazioni espresse vertono soprattutto sulla ripetitività, la superficialità e lo
scarsissimo livello culturale della maggior parte dei programmi. Lo svago è indubbiamente la ragione
principale che spinge queste ragazze ad accendere la TV: la rilevanza infatti si aggira intorno al 76%.
Come per la televisione, la motivazione a consultare la stampa femminile è “lo svago” (40%). La
veridicità di questa affermazione è tutta da verificare: emerge infatti una contraddizione nei dati, che
verranno meglio analizzati nei prossimi paragrafi, per cui sembra emergere un atteggiamento di scrupolosa ricerca nei confronti di determinati argomenti. La deduzione che se ne può trarre è quella di
una scarsa consapevolezza delle ragioni effettive che inducono queste pazienti ad interessarsi così
tanto alle riviste femminili.
Le ragazze del campione non clinico risultano essere più interessate alla lettura dei quotidiani
(il 90% di esse) di quanto non lo siano i soggetti del gruppo clinico. Il 70% legge il “Messaggero del
Friuli”, il quotidiano locale, mentre la consultazione della stampa nazionale è sempre piuttosto esigua: il 25% dichiara di acquistare “La Repubblica” ed il 20% il “Corriere della Sera”. La frequenza
della lettura appare più assidua visto che il 35% afferma di leggere almeno una volta alla settimana
ed il 30% assicura che sia un impegno quotidiano. Ancora molto alta la percentuale di lettrici di riviste femminili: il 90%. “Donna Moderna” riscuote il 60% dei consensi, seguito da “Viver Sani e Belli” al 35%, da “Top Girl” al 25% e da “Gioia” e “Grazia” al 20%. Anche in questo caso però emerge
una percentuale maggiore di tempo dedicato alla consultazione delle riviste: il 35% dichiara una frequenza settimanale, ma per il 30% è un’abitudine quotidiana. L’interesse per le rubriche di moda è
preminente anche tra i soggetti non clinici, in particolare per il 75%; seguono “la bellezza” al 50%,
“l’attualità” al 45% e la “salute/forma fisica” nel 40% dei casi. Gli abbonamenti invece interessano
soltanto il 20% delle intervistate, le cui scelte appaiono eterogenee. Ancora una volta, le ragioni che
spingono all’acquisto dipendono dal desiderio di svago (72,2%) e la soddisfazione incontrata è parziale (52,9%). Le motivazioni però sono più omogenee, riguardanti superficialità ed eccessiva presenza di pubblicità e pettegolezzi.
Analizzando la media delle ore trascorse davanti alla TV, essa risulta pressoché identica a
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quella del gruppo clinico: 2,3 ore con un minimo che va dallo 0 ad un massimo di 6 ore. I programmi
preferiti sono, ancora una volta, i film (80%), i telefilm (45%), anche se una piccola differenza si delinea con il risultato ottenuto dalle Soap Opera italiane, indicate dal 35% dei soggetti. Poca soddisfazione nel consumo televisivo viene denunciata anche dalle ragazze del gruppo non clinico, con motivazioni analoghe a quelle riportate dal campione clinico. Ugualmente giustificata la scelta di passare
un po’ di tempo davanti alla televisione: per svago nell’82,4% dei casi.
Molta similitudine con il gruppo clinico anche sull’idea della figura femminile ostentata dai
mass media (item 30): la donna affascinante e sensuale sembra essere il modello per eccellenza, con
il 70% di scelte, seguito da una donna bella (60%), vincente (55%) e indipendente (50%). Emerge
dunque l’unanimità di qualità estremamente positive attribuite da entrambi i gruppi: l’idea di un modello di donna intelligente è stata espressa dal 40% delle ragazze non cliniche (segnalata più frequentemente rispetto ai soggetti clinici). Per il campione clinico i beni di consumo più importanti sono
l’abbigliamento, l’alimentazione e la bellezza mentre meno importanti appaiono le apparecchiature
tecnologiche, le assicurazioni, l’arredamento e la beneficenza. Il campione non clinico valuta ancora
una volta come preminenti l’abbigliamento, seguito dai prodotti di bellezza, mentre meno importanti
sembrano essere assicurazioni, arredamento e beneficenza.
I due campioni evidenziano differenze significative nei riguardi delle apparecchiature tecnologiche e dei regali a parenti ed amici (Tabella 1): le ragazze del campione clinico ritengono più importanti l’investimento del proprio denaro nelle apparecchiature tecnologiche e meno in regali.
Tabella 1: Differenze tra campione clinico e non clinico nell’ambito del consumo di beni materiali
Consumo di beni materiali
Medie
T
sign.
2.088 .044
-2.795
.088
Apparecchiature
Clinico
9.24
tecnologiche
Non Clinico
7.25
Regali ad amici
Clinico
5.10
e parenti
Non Clinico
7.75
Osservando i valori medi di spesa emergono però per il campione clinico alcune importanti contraddizioni: esse, pur dichiarando di preferire successivamente all’alimentazione, la bellezza, spendono
mensilmente, per questi prodotti, una limitata somma di denaro, mentre più alto appare il consumo
per acquistare regali dedicati a parenti e amici. Le ragazze del campione non clinico invece, anche se
inseriscono la bellezza al secondo posto nella graduatoria delle preferenze, spendono decisamente di
più per il divertimento. Confrontando le risposte dei due campioni, si evince che bellezza, beneficenza, divertimento e musica, presentano punteggi medi significativamente differenti (Tabella 2): le raTabella 2: Differenze tra campione clinico e non clinico nell’ambito dell’ammontare del denaro speso
mensilmente per i beni materiali
Prodotti di bellezza Beneficenza
Divertimento
Musica
MEDIE
T
sign.
Clinico
6.65
-2.086
.044
Non Clinico
10.85
Clinico
0.90
-2.138
.043
Non Clinico
3.45
Clinico
5.75
-4.316
.001
Non Clinico
19.40
Clinico
2.55
-2.773
.10
Non Clinico
7.15
Volume 8, Numero 1, 2003, pag. 30
gazze del campione clinico spendono significativamente di meno per prodotti di bellezza, beneficenza, divertimento e musica.
I dati relativi alla descrizione di se stesse e del proprio ideale di donna, rilevati attraverso il
differenziale semantico, hanno evidenziato la presenza di modelli differenti per i due campioni indagati. Facendo riferimento ai punteggi medi, nella descrizione di se stesse le ragazze che soffrono di
Disturbi Alimentari si definiscono meno forti, meno sensuali, meno intraprendenti, più passive, meno
allegre, meno accettanti, più chiuse, meno indipendenti e meno vivaci (Grafico 1) rispetto al campione non clinico. Mentre rispetto al modello di donna ideale non sembrano emergere differenze
(Grafico 2).
differenziale semantico per la descrizione di se stessa come donna
8
7
6
5
clinico
4
non clinico
3
2
1
21
19
17
15
13
11
9
7
5
3
1
0
Grafico 1: Medie del campione clinico e non clinico
nella descrizione di se stessa come donna
differenziale semantico per la descrizione della
figura di donna che stima di più
9
8
7
6
5
clinico
non clinico
4
3
2
1
21
19
17
15
13
11
9
7
5
3
1
0
Grafico 2: Medie del campione clinico e non clinico
nella descrizione della figura di donna che stima di più
L’analisi fattoriale, condotta sui dati relativi all’ideale di donna perseguito, ha però evidenziato
l’esistenza, solo per il campione clinico, di un fattore raggruppante solo aggettivi negativi, quali, tra
Volume 8, Numero 1, 2003, pag. 31
gli altri, “grassa”, “formosa”, “brutta”. Si può ipotizzare che queste ragazze abbiano un tale timore e
disagio verso l’idea a cui questi termini rimandano da doverli separare in modo netto e definito. L’analisi fattoriale ha inoltre rilevato che, sempre per il campione clinico, su 22 aggettivi, 17 sono stati
utilizzati per descrivere se stessi in modo contrapposto all’ideale di donna; un dato molto significativo per quanto concerne l’accettazione di sé ed il livello di autostima. Diverso il risultato del campione non clinico, seppure anche in questo caso, quasi la metà degli aggettivi (9 su 22) siano in contrapposizione a quelli inerenti le caratteristiche ideali; è possibile perciò ipotizzare la presenza di una certa conflittualità tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere.
Relativamente alle modalità comunicative intrafamiliari, attraverso il Test t di Student, si sono
rilevate nel campione clinico la presenza in media significativamente superiore che nel campione non
Tabella 3: Differenze nell’ambito delle modalità comunicative intrafamiliari tra campione clinico e non
clinico
Avoidance
Dismissing
Manipulation
MEDIE
t
sign.
Clinico
13.40
2.370
.023
Non Clinico
10.10
Clinico
15.65
2.416
.021
Non Clinico
12.25
Clinico
12.95
2.955
.005 Non Clinico
9.50
clinico, di tutte e tre le modalità di comunicazione disfunzionale (Tabella 3): le ragazze del campione
clinico evidenziano la tendenza all’interno delle loro famiglie ad evitare le discussioni, ad ostacolarla
criticando o accusando, e utilizzando comportamenti coercitivi e di manipolazione.
Conclusioni
Le ragazze del gruppo clinico sembrano aver vissuto un insieme di situazioni problematiche
che, forse, hanno agito da deterrente nell’insorgenza dei disturbi alimentari: gran parte di esse si vede
contrapposta al suo ideale di donna; in generale si sentono più passive, meno intraprendenti, meno
sensuali, meno forti, meno allegre, meno accettanti, più chiuse e meno vivaci. La comunicazione familiare è inficiata da modalità disfunzionali; il consumo di riviste è vissuto in maniera quasi conflittuale, una sorta di amore ed odio verso un mezzo mass mediale che ai loro occhi sembra apparire a
volte come un aiuto, altre volte come un danno.
L’indagine “Donne, Mass Media e Disturbi dell’Alimentazione” sottolinea la presenza di alcune analogie tra i due gruppi, soprattutto per quanto concerne il consumo delle riviste femminili. La
percentuale di lettrici raggiunge la quasi totalità in ambedue i campioni e la frequenza di consultazione è in buona parte settimanale. Vengono apprezzate molto le rubriche di moda, tant’è che risultano
preferenziali per entrambi i gruppi, seguite dalle rubriche di bellezza, salute e fitness. Uno spunto alla
riflessione è offerto dalle risposte segnalate dal gruppo clinico alle motivazioni che inducono all’acquisto e al livello di soddisfazione arrecata dai periodici femminili. “Lo svago” risulta la giustificazione principale ma la soddisfazione è “poca” o “parziale” per la maggior parte delle interpellate.
Emerge dunque una contraddizione tra la numerosità delle lettrici, l’assiduità della lettura, l’esplicita
volontà di svagarsi e l’insoddisfazione generale per la superficialità dei contenuti. Allo stesso modo
appare ambigua la motivazione all’acquisto. La ricerca frequente di argomenti strettamente connessi
al loro disturbo sembra riconducibile più ad un desiderio di comprensione e controllo, ad un bisogno
di capire, capirsi e migliorarsi, che ad una necessità di svago.
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Un’analogia tra il campione clinico ed il campione non clinico riguarda anche l’immagine di
donna che sembra emergere dai mass media. In entrambi i casi vi è unanimità a considerarla affascinante e sensuale, indipendente e ancora bella, intelligente, vincente. Una visione a tutto tondo di un’icona di perfezione che sembra avere però ricadute solo sul gruppo clinico come segnalato dai risultati
delle analisi condotte sul modello ideale di donna; in esse emerge per le ragazze del campione clinico
la necessità di porre assolutamente al di fuori del modello ideale di donna termini quali “grassa” e
“formosa”
L’interpretazione di tali risultati invita a considerare non solo il problema del potere mass mediale rispetto ai disturbi alimentari, ma soprattutto la loro capacità di veicolare significati e valori
recepiti da un pubblico femminile particolarmente attento.
La pervasività della comunicazione di massa e la diffusione dei modelli da questa proposti
sembrano colpire la sensibilità di donne più fragili e suscettibili. Pur non essendo i mass media un
fattore causale dei disturbi alimentari, dai dati della nostra ricerca emerge comunque il loro ruolo di
variabile interveniente. Da questa premessa sarebbe interessante sviluppare ulteriori ricerche volte ad
approfondire la relazione tra consumo di beni “mass mediali” e il vissuto identitario della donna nella
società occidentale contemporanea.
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