UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA
“La Sapienza”
FACOLTA‟ DI INGEGNERIA
CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA BIOMEDICA
Tesi di laurea Magistrale
in
Radioprotezione e Complementi di Fisica
Ottimizzazione di una "facility" di irraggiamento
sperimentale con protoni
Relatore:
Prof. Vincenzo Patera
Correlatore:
Dott.ssa Concetta Ronsivalle (ENEA)
Dott. Andrea Mostacci
Candidato:
Fabrizio Ambrosini
1093203
Anno Accademico 2012/2013
Introduzione
4
Capitolo 1- La protonterapia
8
1.1 Vantaggi dell‟uso di protoni e ioni in radioterapia.
8
1.2 Centri di adroterapia nel mondo.
11
1.3 Le principali caratteristiche radiobiologiche degli adroni.
16
Capitolo 2- Il progetto TOP-IMPLART
19
2.1 Descrizione del Progetto TOP-IMPLART.
19
2.2 Descrizione dell‟acceleratore lineare.
21
2.2.1 L‟iniettore PL -7.
22
2.2.1.1 La sorgente di protoni duoplasmatron.
24
2.2.1.2 Radio Frequency Quadrupole: RFQ.
25
2.2.1.3 Drift Tube Linac: DTL.
27
2.2.2 Il linac SCDTL.
28
2.2.3 Side Coupled Linac (SCL).
30
2.3 Linea di trasporto orizzontale: focheggiamento del fascio attraverso i quadrupoli.
31
2.4 Linea di trasporto verticale: il magnete di deflessione.
33
2.4.1 Il magnete di deflessione
33
2.4.2 Test di sperimentazione radiobiologica con fascio verticale
35
Capitolo 3- Modellizzazione del fascio nelle linee di trasporto
38
3.1 Trasporto del fascio negli elementi magnetici: codice TRACE 3D. Modello fisico
ed utilizzo del codice.
38
3.1.1 Matrici di trasferimento.
38
3.1.2 Emittanza e parametri di Twiss.
43
3.1.3 Funzionamento del software.
45
3.2 Trasporto del fascio nella materia: codice SRIM. Modello fisico e utilizzo del codice.
49
3.2.1 Interazione dei fasci di ioni con la materia.
49
3.2.2 Descrizione del codice SRIM.
53
3.3.3 Descrizione ed esempi applicativi del “tool” di supporto SSSM.
56
1
Capitolo 4- Trasporto del fascio: simulazioni e test sperimentali.
63
4.1 Simulazione del fascio orizzontale.
63
4.2 Simulazione del fascio verticale.
68
4.3 Test sperimentali.
70
Capitolo 5- Caratterizzazione dosimetrica
71
5.1 I rivelatori tipo CR39.
71
5.2 Sistema di misura del fascio in regime di bassa carica.
78
5.3 Misure di dose e analisi dei risultati.
82
Capitolo 6- Irraggiamento di rivelatori LiF
86
6.1 Caratteristiche dei rivelatori basati su Film o cristalli di LiF.
86
6.2 Condizioni sperimentali degli irraggiamenti.
88
6.3 Analisi dei risultati.
97
Capitolo 7- Trasporto nella linea a PMQ
104
7.1 Caratterizzazione dei PMQ del primo modulo della linea di accelerazione
ad alta frequenza.
104
7.1.1 Descrizione del sistema di misura.
106
7.1.2 Analisi dei risultati.
107
7.2 “Matching” con linea tipo “FODO lattice” a quadrupoli a magneti permanenti (PMQ).
109
Conclusioni
111
Appendice
115
A.1: Codice Matlab utilizzato per l‟analisi dei cristalli di LiF.
115
A.2: File di input a Trace3D nel simulare il trasporto attraverso i quadrupoli ed i PMQs.
123
A.3: Programma utilizzato per lo studio delle componenti armoniche del campo magnetico
dei PMQ.
125
A.4: Principio e metodo di misura delle armoniche del campo magnetico.
131
A.5: Trasporto nel drift in Matlab.
132
A.6: Collimazione del fascio in Matlab.
132
Bibliografia
134
2
3
Introduzione
Sino al 2011, ben 96537 pazienti in tutto il mondo sono stati trattati ricorrendo a metodi di
irradiamento dei tumori detti, collettivamente, di adroterapia. Differentemente dalla radioterapia
tradizionale, le particelle impiegate non sono i fotoni ma adroni, particelle nucleari fatte di quark.
Gli adroni più utilizzati sono i protoni, nuclei dell‟atomo di idrogeno, e gli ioni carbonio, nuclei
dell‟atomo di carbonio privati dei loro 6 elettroni.
Il grande vantaggio clinico dell‟adroteapia rispetto alla radioterapia tradizionale, risiede nel
particolare andamento del profilo di dose rilasciata nel tessuto, in funzione della profondità. Gli
adroni infatti emettono la maggior parte della loro energia negli ultimi centimetri del percorso, in
corrispondenza del così detto “picco di Bragg”, permettendo così di danneggiare preferenzialmente
il tessuto malato.
Fig. 1: Andamento della dose da un fascio di protoni rilasciata in funzione dello spessore attraversato in acqua (curva di Bragg)
Il lavoro di tesi si inquadra nel progetto TOP (Terapia Oncologica con Protoni)-IMPLART
(Intensity Modulated Proton Linear Accelerator), condotto da ENEA in collaborazione con l‟Istituto
Superiore di Sanità (ISS) e gli Istituti Fisioterapici Ospedalieri (IFO), che differentemente dalla
maggior parte dei centri di protonterapia, usualmente orientati verso l‟impiego di macchine circolari
(ciclotroni o sincrotroni), ha scelto [1-2] un acceleratore lineare. L‟obiettivo del progetto è la
realizzazione di un centro di protonterapia a Roma, presso l‟IFO, basato su un acceleratore lineare
composto da una sequenza di moduli in grado di accelerare i protoni fino a 230 MeV, al fine di
trattare anche le lesioni profonde.
La parte iniziale dell‟acceleratore, denominata iniettore, è un acceleratore per protoni prodotto dalla
ditta statunitense ACCSYS, attualmente installato presso il centro ENEA di Frascati. L‟iniettore che
opera a una frequenza di 425 MHz è composto principalmente da tre elementi: la sorgente di
4
protoni duoplasmatron, il radiofrequency quadrupole (RFQ) da 3 MeV ed il drift tube linac (DTL),
all‟uscita del quale il fascio di protoni possiede un‟energia di 7 MeV.
Fig. 2: L’iniettore (sinistra) è seguito da una linea di trasporto (destra) composta da: quattro quadrupoli magnetici, necessari per
la focalizzazione del fascio di protoni e per l’ adattamento trasversale alla sezione accelerante successiva, e da un magnete di
deflessione verticale, utilizzato per effettuare esperimenti di radiobiologia sia con fascio orizzontale (magnete “off”) sia con
fascio verticale (magnete “on”) a energia variabile fino a 7 MeV.
Esso verrà seguito da una serie di moduli di accelerazione operanti a piu‟ alta frequenza (3GHz) e
quindi di dimensioni notevolmente ridotte rispetto all‟iniettore di tipo SCDTL (Side Coupled Linac,
brevetto ENEA) fino a 30 MeV e di tipo CCL (coupled Cavity Linac) fino a 230 MeV.
La scelta di un acceleratore di tipo lineare ha numerosi vantaggi tra cui la possibilità di realizzare
una macchina modulare, progettabile in dimensioni tali da diminuire i costi di impianto, e con
perdite concentrate a bassa energia il che consente la diminuzione dei costi legati allo schermaggio.
L‟impianto sarà dedicato oltre che alla radioterapia clinica anche alla radiobiologia con protoni. In
questo secondo ambito è previsto, oltre al fascio orizzontale, anche un fascio verticale diretto dal
basso verso l‟alto per studi su campioni di cellule che non crescano aderenti ad un supporto. Ciò
conferisce al centro TOP-IMPLART caratteristiche sperimentali attualmente non disponibili presso
alcun altro centro al mondo. Infatti, allo stato attuale, solo l‟acceleratore di ricerca presso
l‟Università di Monaco di Baviera dispone di un fascio verticale per Radiobiologia. Tra gli obiettivi
scientifici dell‟attività di radiobiologia ci saranno lo sviluppo di modelli “in vivo” e “in vitro” per lo
studio di meccanismi cellulari e molecolari coinvolti nei processi di cancerogenesi e di risposta
all‟irraggiamento con protoni ed esperimenti per la caratterizzazione biologica del fascio in termini
di RBE, sopravvivenza cellulare, tempi di riparo, attività proliferativa e riassorbimento cellulare
dopo il trattamento.
I valori di corrente media richiesti all‟acceleratore, che opera in maniera impulsata, sono dell‟ordine
di 1-10 nA per la protonterapia e di 0,1pA fino a qualche pA per la sperimentazione radiobiologica.
5
Il presente lavoro di Tesi, svolto interamente presso i laboratori del Centro ENEA di Frascati, dove
è istallato ed in funzione l‟iniettore PL-7, ha come obiettivo l‟ottimizzazione dei parametri
dell‟iniettore e degli elementi che compongono la linea di trasporto verticale e orizzontale ai fini
della sperimentazione radiobiologica. Il lavoro in parte numerico e in parte sperimentale è così
strutturato:
-
Calcoli numerici relativi al trasporto del fascio dall‟uscita dell‟iniettore nella linea di
trasferimento verticale e orizzontale e caratterizzazione sperimentale del fascio orizzontale e
verticale in diverse condizioni di operazione.
-
Irraggiamento (e relativa analisi dei dati sperimentali) di:
1- dosimetri basati su rivelatori tipo CR39 forniti dall‟Istituto Superiore di Sanità. Tali
irraggiamenti sono preliminari all‟impiego del fascio di bassa energia per
l‟irraggiamento di campioni cellulari (cellule V79)
2- rivelatori di tipo innovativo basati su film o cristalli di LiF sviluppati all‟interno del
laboratorio di fotonica e micro-nano strutture (UTAPRAD-MNF) del centro ENEA di
Frascati. L‟obiettivo è quello di investigare la possibilità del loro impiego per la
rivelazione e la dosimetria di fasci di protoni, paragonandone anche le “performances”
rispetto ad altri tipi di rivelatori. Sono perciò state effettuate misure di linearità in
funzione della carica e sono stati utilizzati per la rivelazione della distribuzione trasversa
del fascio di protoni.
-
Messa a punto e operazione di un sistema di caratterizzazione dei quadrupoli a magneti
permanenti (PMQ) di piccola dimensione e alto gradiente (7 mm di diametro interno,
lunghezza 30 mm, gradiente ~ 200 T/m) che verranno montati come dispositivi dedicati alla
focalizzazione del fascio all‟interno del primo modulo di accelerazione di tipo SCDTL che,
innalzando l‟energia del fascio fino a 18 MeV (in uscita dal secondo modulo SCDTL),
consentiranno anche l‟irraggiamento di piccoli animali.
I primi 2 capitoli contengono una breve introduzione alla protonterapia e la descrizione del Progetto
TOP-IMPLART. Il Capitolo 3 descrive il funzionamento dei codici di trasporto delle particelle
utilizzati: TRACE3D per le linee di trasporto e SRIM/SSSM per l‟interazione del fascio con la
materia. Il Capitolo 4 contiene i risultati delle simulazioni numeriche e i relativi test sperimentali di
trasporto del fascio. I Capitoli 5 e 6 sono dedicati alle sessioni di irraggiamento (messa a punto di
un sistema di lettura delle basse cariche, ottimizzazione dei parametri operativi, misure e analisi dei
dati). Infine il capitolo 7 contiene le misure di caratterizzazione di 11 PMQ in termini di qualità del
6
campo prodotto inclusa l‟analisi delle varie componenti armoniche che, se diverse da quella
quadrupolare, possono distorcere il fascio. E‟ stata inoltre condotta una simulazione con Trace3D
(paragrafo 7.2), per valutare la dinamica del fascio nella linea “FODO lattice” costituita dai PMQ
posti alle stesse distanze che occuperanno all‟interno della struttura accelerante.
7
Capitolo 1- La protonterapia
1.1 Vantaggi dell’uso di protoni e ioni in radioterapia
Con il termine Adroterapia [3] si indica la tecnica radioterapica basata sull‟uso di protoni, neutroni
e nuclei leggeri per il trattamento delle lesioni neoplastiche. Oltre ai protoni, gli adroni più
utilizzati, ad oggi, sono gli ioni carbonio; questi depositano in ogni cellula una quantità di energia
che è venti volte maggiore di quella rilasciata dal protone e sono quindi particolarmente adatti a
distruggere i tumori “radio resistenti”, cioè quelli poco sensibili ai raggi X e ai protoni.
La terapia “convenzionale” dei tumori permette ogni anno in Italia l‟irradiazione di circa 120.000
pazienti, attraverso circa 250 linac per elettroni installati nei nostri ospedali e nelle università.
L‟adroterapia, tecnica meno invasiva della radioterapia convenzionale, risulta indicata, secondo il
rapporto del 2004 dell‟AIRO (Associazione Italiana di Radioterapia Oncologica), per una frazione
dell‟ordine del 15% dei tumori trattati ad oggi con i raggi X. In particolare l‟ 1% dei pazienti
dovrebbero essere trattati con protoni, l‟11% trarrebbero vantaggio dalla terapia con protoni e i
portatori di tumori radioresistenti (3%) avrebbero tassi di cura maggiori accedendo alla terapia con
ioni carbonio.
I vantaggi dell‟uso di fasci di adroni carichi si evidenziano nella possibilità di irradiare in circa un
minuto i tumori profondi, cioè quelli che si trovano anche a 25 cm sotto la pelle, seguendo il
contorno con precisione millimetrica. Infatti i protoni e gli ioni sono particelle pesanti, che
penetrano nei tessuti senza deviare molto dalla direzione iniziale, e con la loro carica elettrica
strappano elettroni alle molecole dei tessuti, depositando la gran parte della loro energia negli ultimi
centimetri di percorso in quello che si chiama “picco di Bragg”. Questa circostanza permette di
conservare al meglio i tessuti sani attraversati, in quanto, spesa tutta la propria energia, gli adroni
carichi si fermano. La cessione di dose all‟interno del corpo bersaglio avviene senza produrre
radiazione di bremmstrahlung e quindi senza irraggiare tessuti o organi più profondi del loro range
(differentemente da elettroni o raggi gamma), rendendo questa radioterapia particolarmente adatta
al trattamento di tumori vicini ad organi detti “critici”[4].
8
Fig. 1.1: Curve dose profondità per protoni da 200 MeV o ioni carbonio da 4500 MeV, elettroni da 20 MeV e raggi X da 8 MV [5]
La dose, cioè l‟energia depositata per unità di massa da un fascio di raggi X, invece diminuisce
all‟incirca esponenzialmente con la profondità, tanto che circa un terzo dell‟energia del fascio esce
dalla parte opposta al punto di ingresso nel corpo del paziente. Per realizzare una sessione di
irraggiamento, essendo il “picco di Bragg” troppo stretto per coprire un tumore spesso anche pochi
centrimetri, è necessario variare l‟energia del fascio di particelle, riducendola in piccoli passi, in
modo da sommare molti picchi stretti ed ottenere l‟effetto voluto [5] (fig. 2.2).
Fig 1.2: Variando per piccoli step l’energia del fascio è possibile sommare molteplici “picchi di Bragg” così da coprire l’intera
“Target Region”
9
1
Fig 1.3: Confronto tra le distribuzioni di dose ottenute con nove fasci di IMRT (a sinistra) e quattro fasci di protoni (a destra)
distribuiti con la tecnica dello “spot scanning” sviluppata dal laboratorio svizzero PSI [3].
I protoni hanno sulle cellule lo stesso effetto dei raggi X ma, avendo una distribuzione spaziale più
favorevole, impartiscono in tutte le circostanze ai tessuti sani una quantità di energia minore di
quella della radioterapia convenzionale (fig. 1.3). I protoni, risparmiando i tessuti sani, andrebbero
quindi sempre preferiti anche alle tecniche radioterapiche più sofisticate con i raggi X; il limite
attuale dei trattamenti con i protoni è l‟importante costo, doppio o triplo rispetto alle IMRT
(Intensity Modulated Radiation Therapy) più sofisticate. Infatti per consentire agli adroni il
raggiungimento delle alte energie necessarie a penetrare i tessuti, 230 MeV per i protoni e 400
MeV/u per gli ioni carbonio (rispetto ai 25 MeV per gli elettroni o raggi X), sono indispensabili
strutture costose.
Gli ioni, dal punto di vista radiobiologico, si comportano differentemente dai protoni:
nell‟attraversamento della cellula, lo ione carbonio rilascia un‟energia ventiquattro volte maggiore
di quella del protone di uguale percorso, infatti le distribuzioni energetiche sono simili e le energie
iniziali stanno nel rapporto 4800/200. Le ionizzazioni delle molecole della cellula prodotte da
protoni e raggi X causano principalmente rotture singole della doppia elica del DNA, nella maggior
parte dei casi riparate dai meccanismi cellulari preposti alla sopravvivenza delle cellule.
Nell‟intorno del picco di Bragg gli ioni carbonio riescono invece a definire rotture multiple e vicine
di entrambe le eliche, quasi mai riparabili. Questa caratteristica rende gli ioni carbonio efficaci nel
1
Con lo scopo di diminuire al massimo la dose depositata nei tessuti sani, sono state sviluppate negli anni una serie di
tecniche terapiche come la IMRT (Intensity Modulated Radiation Therapy), che consiste nel trattare il volume bersaglio
con più fasci, disposti ad angolazioni differenti rispetto al paziente, o la IGRT (Image Guided Radiation Therapy), nella
quale prima di ogni trattamento viene controllata la posizione precisa del volume tumorale (GTV), tramite esami di
imaging.
10
trattamento di quei tumori radioresistenti a protoni o ai raggi X. La terapia con ioni carbonio si pone
quindi come la nuova frontiera in ambito oncologico ed, a causa dei complessi e indispensabili
modelli radiobiologici connessi, è oggetto di numerosi studi di ricerca.
1.2 Centri di adroterapia nel mondo
L‟uso di adroni in terapia oncologica si è sviluppato a partire dagli acceleratori costruiti per ricerca
nucleare. In Italia è stato realizzato, sfruttando un ciclotrone superconduttore dedicato alla fisica
nucleare, il centro di terapia, per melanomi oculari (65MeV), Càtana. Per il trattamento dei tumori
profondi, per cui sono necessari protoni di almeno 200MeV, dobbiamo aspettare la fine degli anni
80. A tal fine venne costruito presso il Loma Linda University Medical Center (California) un
sincrotone di sette metri di diametro (costo 80M$). Questo centro dispone ad oggi di tre sale e
riesce a trattare oltre 1200 pazienti l‟anno. In Giappone, presso il Centro Ospedaliero dello Heavy
Ion Medical Accelerator (costo 350M$), venne eseguito nel giugno del 1994 il primo trattamento su
paziente. Nel 2001 è stato aperto a Boston il Northeast Proton Therapy Centre, dove è installato un
ciclotrone da 235 MeV della ditta IBA (costo 55M$). Alla ditta belga, leader del mercato, è stato
commissionato nel 2008 un centro di protonterapia profonda dall‟Agenzia ATREP. Gli importanti
risultati ottenuti dalla protonterapia hanno permesso un crescente sviluppo di centri specializzati: le
tabelle 1 e 2, mostrano rispettivamente i centri adroterapici funzionanti e quelli in fase di
costruzione o progetto all‟inizio del 2013 [6]. Nell‟ambito del Programma Adroterapia vengono
distinte in due gruppi le patologie che trarrebbero beneficio se trattate con i protoni:

La categoria A: include le lesioni prossime ad organi critici, per cui quindi l‟impiego di
protoni è la modalità più conveniente di recapitare una dose curativa.

La categoria B: inquadra tutte le patologie che possono trarre un vantaggio dalla
protonterapia
I potenziali pazienti italiani sono stimati intorno agli 825 per la categoria A e 10720 per la B [7].
Centri di grandi dimensioni quali il Loma Linda o il CNAO, possono trattare fino a 1000 pazienti
l‟anno, il TOP potrà trattare circa 300 pazienti.
11
S/C*,
TOTAL DATE
MAX.
BEAM
START OF
COUNTRY PARTICLE
PATIENTS OF
ENERGY DIRECTIONS TREATMENT
TREATED TOTAL
(MeV)
ITEP, Moscow Russia
p
S 250
1 horiz.
1969
4246
Dec-10
St.Petersburg Russia
p
S 1000
1 horiz.
1975
1386
Dec-12
PSI, Villigen Switzerland
p
C 250
1 gantry**, 1 horiz.
1996
1409
Dec-12
C
Dubna
Russia
p
1 horiz.
1999
922
Dec-12
200****
Uppsala
Sweden
p
C 200
1 horiz.
1989
1185
Dec-11
Clatterbridge England
p
C 62
1 horiz.
1989
2297
Dec-12
Loma Linda
CA.,USA
p
S 250
3 gantry, 1 horiz.
1990
15000
Jan-11
Nice
France
p
C 65
1 horiz.
1991
4692
Dec-12
Orsay
France
p
C 230
1 gantry,2 horiz.
1991
5634
Dec-11
NRF South
p
C 200
1 horiz.
1993
521
Dec-11
iThemba Labs Africa
IU Health
PTC,
IN.,USA
p
C 200 2 gantry***, 1 horiz.
2004
1688
Dec-12
Bloomington
UCSF
CA.,USA
p
C 60
1 horiz.
1994
1515
Dec-12
HIMAC, Chiba Japan
C-ion
S 800/u horiz.***,vertical***
1994
7331
Jan-13
TRIUMF,
Canada
p
C 72
1 horiz.
1995
170
Dec-12
Vancouver
HZB (HMI),
Germany
p
C 72
1 horiz.
1998
2084
Dec-12
Berlin
NCC, Kashiwa Japan
p
C 235
2 gantry***
1998
772
Dec-10
HIBMC,Hyogo Japan
p
S 230
1 gantry
2001
3198
Dec-11
HIBMC,Hyogo Japan
C-ion
S 320/u
horiz.,vertical
2002
788
Dec-11
PMRC(2),
Japan
p
S 250
2 gantry
2001
2516
Dec-12
Tsukuba
NPTC, MGH
MA.,USA
p
C 235 2 gantry***, 1 horiz.
2001
5562
Oct-11
Boston
INFN-LNS,
Italy
p
C 60
1 horiz.
2002
293
Nov-12
Catania
Shizuoka
Japan
p
S 235
3 gantry, 1 horiz.
2003
1175
Dec-11
Cancer Center
STPTC,
Japan
p
S 235
2 gantry, 1 horiz.
2008
1378
Dec-11
Koriyama-City
WPTC, Zibo China
p
C 230
2 gantry, 1 horiz.
2004
1078
Dec-12
MD Anderson
Cancer Center, TX.,USA
p
S 250 3 gantry***, 1 horiz.
2006
3400
Feb-12
Houston
UFPTI,
FL.,USA
p
C 230
3 gantry, 1 horiz.
2006
3461
Dec-11
Jacksonville
NCC, IIsan
South Korea
p
C 230
2 gantry, 1 horiz.
2007
1041
Dec-12
RPTC, Munich Germany
p
C 250
4 gantry**, 1 horiz.
2009
1377
Dec-12
ProCure PTC,
1 gantry, 1 horiz, 2
OK.,USA
p
C 230
2009
623
Dec-11
Oklahoma City
horiz/60 deg.
HIT,
Germany
p
S 250
2 horiz.**
2009
252
Dec-12
Heidelberg
HIT,
Germany
C-ion
S 430/u
2 horiz.**
2009
980
Dec-12
Heidelberg
UPenn,
PA.,USA
p
C 230
4 gantry, 1 horiz.
2010
1100
Dec-12
Philadelphia
GHMC,
Japan
C-ion
S 400/u
3 horiz., vertical
2010
271
Dec-11
Gunma
WHO,
WHERE
12
IMP-CAS,
Lanzhou
CDH Proton
Center,
Warrenville
HUPTI,
Hampton
IFJ PAN,
Krakow
Medipolis
Medical
Research
Institute,
Ibusuki
CNAO, Pavia
CNAO, Pavia
ProCure Proton
Therapy
Center, New
Jersey
PTC Czech
r.s.o., Prague
China
C-ion
S 400/u
1 horiz.
2006
159
Dec-11
IL.,USA
p
C 230
1 gantry, 1 horiz, 2
horiz/60 deg.
2010
367
Dec-11
VA., USA
p
C 230
4 gantry, 1 horiz.
2010
no data
start
Aug-10
Poland
p
C 60
1 horiz.
2011
11
Dec-11
Japan
p
S 250
3 gantry
2011
180
Dec-11
Italy
Italy
p
C-Ion
S 250
S 430/u
3 horiz./1 vertical
3 horiz./1 vertical
2011
2011
53
0
Nov-12
Nov-12
NY., USA
p
C 230
4 gantry
2012
15
Apr-12
Czech
Republic
p
C 230
3 gantry,1 horiz.
2012
1
Dec-12
* S/C = Synchrotron (S) or Cyclotron (C), ** with beam scanning, *** with spread beam and beam
scanning, **** degraded beam
Tab.1.1: centri adroterapici funzionanti al 31/01/2013
WHO,
WHERE
MAX.
CLINICAL
COUNTRY PARTICLE
ENERGY
(MeV)
BEAM DIRECTION
NO. OF
START OF
TREATMENT TREATMENT
ROOMS
PLANNED
MedAUSTRON,
Wiener
Neustadt*
Austria
p, C-ion
430/u
synchrotron
1 gantry (only for protons)
1 fixed beam,
1 fixed 0 + 90 deg
3
2015
ATreP, Trento
*
Italy
p
230
cyclotron
2 gantries
1 horiz fixed beam
3
2013
Fudan
University
Shanghai CC*
China
p, C-ion
430/u
synchrotron
3 fixed beams
3
2014
McLaren
PTC, Flint,
Michigan*
USA
p
250/330
synchrotron
3 gantries
3
2012
WPE, Essen*
Germany
p
230
cyclotron
3 gantries,
1 horiz fixed beam
4
2013
HITFil,
Lanzhou*
China
C-ion
400/u
4 horiz, vertical, oblique, fixed beams
synchrotron
4
2013
PTC,
Marburg*
Germany
p, C-ion
430/u
synchrotron
3 horiz fixed beams
1 fixed beam 0 + 45 deg
4
2012?
Northern
Illinois PT
Res.Institute,
W. Chicago,
IL*
USA
p
250
SC
cyclotron
2 gantries,
2 horiz fixed beams
4
2012?
Chang Gung
Memorial
Hospital,
Taipei*
Taiwan
p
235
cyclotron
4 gantries,
1 experimental room
4
2012?
PMHPTC,
Protvino*
Russia
p
250
synchrotron
1 horiz fixed beam
1
2012?
CCSR,
Slovak Rep.
p
72
1 horiz fixed beam
1
?
13
Bratislava
cyclotron
CMHPTC,
Slovak Rep.
Ruzomberok*
p
250
synchrotron
1 horiz fixed beam
1
?
SJFH, Beijing
China
p
230
cyclotron
1 gantry,
1 horiz fixed beam
2
?
Skandion
Clinic,
Uppsala*
Sweden
p
230
cyclotron
2 gantries
2
2013
Barnes Jewish
St. Louis,
MO*
USA
p
250
SC synchrocyclotron
1 gantry
1
2013
Scripps Proton
Therapy
Center, San
Diego, CA*
USA
p
250
SC
cyclotron
3 gantries, 2 horiz fixed beams
5
2013
SCCA Proton
Therapy, a
ProCure
Center,
Seattle, WA*
USA
p
230
cyclotron
4 gantries
4
2013
Samsung
Proton Center, South Korea
Seoul*
p
230
cyclotron
2 gantries
2
2014
Robert Wood
Johnson, New
Brunswick*
USA
p
250
SC synchrocyclotron
1 gantry
1
2013
Oklahoma
University,
Oklahoma
City, OK*
USA
p
250
SC synchrocyclotron
1 gantry
1
2013
MD
Anderson,
Orlando, FL*
USA
p
250
SC synchrocyclotron
1 gantry
1
2013
First Coast
Oncology,
Jacksonville,
FLl*
USA
p
250
SC synchrocyclotron
1 gantry
1
2013
Centre
Antoine
Lacassagne,
Nice*
France
p
230
SC synchrocyclotron
1 gantry
1
2014
IFJ PAN,
Krakow*
Poland
p
235
cyclotron
1 gantry
1
2014?
p
230
cyclotron
4 gantries, 1 horiz fixed beam
5
2016
PTC
Zürichobersee, Switzerland
Galgenen
Tab.1.2: centri adroterapici in fase di costruzione* o progetto al 18/01/2013
14
In Asia, i centri radioterpaici operanti con ioni Carbonio, sono HIMAC, HIBMC (Hyogo Ion Beam
Medical Center), GHMC (Gunma University Heavy-ion Medical Center) e l‟IMP (Institute of
Modern Physics in Cina). HIBMC è stata costruita come una versione più piccola di HIMAC, e
riesce a trattare, usando sia protoni che ioni carbonio, più di 600 pazienti l‟anno [8]. Con gli ioni
carbonio sono stati trattati circa 4500 pazienti di cui 400 al GSI di Darmstadt [9] e 4000 al centro
giapponese HIMAC [10].
Fig 1.4: Layout di HIMAC (sinistra) e di HIT (destra)
Nell‟Istituto IMP sono stati sviluppati anche trattamenti per i tumori superficiali. In Europa, sulla
base degli studi del GSI, è stata sviluppato in Germania il centro HIT. In Italia e in particolare a
Pavia è stato costruito il centro CNAO, facility che utilizza sia protoni che ioni carbonio. Sono stati
sviluppati numerosi progetti: ETOILE in Francia, il sincrotone del progetto Med-Austron, basato
sulla struttura modificata del PIMMS, il progetto ARCHADE, sviluppato in cooperazion con IBA,
che consta di un ciclotrone superconduttore. In Italia ricordiamo inoltre la proposta del progetto
CABOTO (Carbon Booster fo therapy Oncology), in cui gli ioni carbonio estratti da un ciclotrone
potrebbero essere accelerati fino a 435 MeV/u da un acceleratore lineare operante a 3GHz, con una
frequenza di ripetizione di 400 Hz.
I centri operanti nel mondo, nell‟ambito radioterpico, che sfruttano i protoni sono numerosi. Ad
esempio, MGH e PSI hanno impiegato rispettivamente un ciclotrone AVF prodotto da IBA e un
ciclotrone superconduttore AVF prodotto dalla ACCEL; mentre Hitachi ha costruito un sincrotone
compatto per MDACC.
15
1.3 Le principali caratteristiche radiobiologiche degli adroni
Descriviamo in questo paragrafo le principali grandezze utilizzate per valutare gli effetti biologici
prodotti da un campo radiante.
L‟efficacia biologica della radiazione viene quantificata dal parametro Relative biological
effectiveness (RBE). Per poter comprendere come è definito questo parametro, dobbiamo dapprima
introdurre il concetto di curva di sopravvivenza. Questa rappresenta la percentuale di particelle
sopravvissute in funzione della dose assorbita ed è funzione sia del tipo di cellule esposte che del
tipo di radiazione utilizzata. L‟andamento della curva di sopravvivenza può essere approssimato da
un andamento lineare- quadratico, descritto dalla relazione seguente:
2
𝑆 = 𝑆0 𝑒 −(𝛼𝐷+𝛽 𝐷 ) , dove
(1.1)

S/S0 indica la sopravvivenza,

D è la dose assorbita,

α e β sono parametri che caratterizzano la risposta alla dose assorbita dalla particolare
coltura cellulare.
L‟RBE è definito come rapporto tra dose assorbita nell‟irradiazione con un campo di riferimento
(raggi X a 220 keV) e la dose assorbita nell‟irradiazione, con il fascio di interesse, quando la curva
di sopravvivenza delle cellule irradiate scende sotto al 10%:
𝑅𝐵𝐸 =
𝐷𝑟𝑒𝑓
𝐷
(1.2)
1.5 Fig. 1.13 Curve di sopravvivenza per il fascio di riferimento (X-ray) e il fascio di interesse
16
Nel caso in cui il valore di RBE risulti maggiore di uno, allora la radiazione in oggetto risulta più
efficiente di quella di riferimento, infatti per avere lo stesso effetto è stata necessaria una dose
minore [11-12].
Analizzando la dipendenza dell‟RBE, possiamo distinguere tra:
1. la dipendenza dalle caratteristiche del fascio: LET e numero atomico,
2. la dipendenza dalle caratteristiche delle cellule irradiate: capacità di riparazione e quantità di
ossigeno.
L‟RBE è dipendente dal Linear Energy Transfer (LET), cioè dall‟energia che la particella cede al
mezzo attraversato per unità di lunghezza della traiettoria percorsa dalla particella. Nel caso in cui i
valori di LET siano bassi infatti avremo un numero minore di eventi di ionizzazione e quindi un
valore basso dell‟RBE. Nel caso di LET elevato invece avremo un danno elevato ma concentrato,
infatti le ionizzazioni risultano concentrate in una regione di spazio limitata, per questo, raggiunto
un massimo, il valore dell‟RBE decresce per valori di LET crescenti [12].
Fig.1.6: Andamento del LET in funzione dell’RBE, per valori di sopravvivenza pari all’ 80%, 10%, 1%
L‟RBE, oltre al LET, è funzione del numero atomico delle particelle che compongono il fascio
radiante. In particolare, al crescere del numero atomico l‟RBE diminuisce e trasla verso valori di
LET più elevati.
Infine la dipendenza principale della grandezza in esame dalle caratteristiche delle cellule irradiate
si ricava nella capacità di riparazione delle cellule stesse. La curva di sopravvivenza relativa a
cellule con buona capacità riparatoria presenta una spalla pronunciata, mentre la curva di
sopravvivenza relativa a cellule che non possiedono questa capacità ha un andamento lineare.
17
Fig 1.7 RBE in funzione del LET (destra) per cellule con capacità di riparazione e non
Questa dipendenza comporta una differenza notevole in termini di efficacia del trattamento
somministrato. Altra dipendenza è quella dalla concentrazione di ossigeno nel tessuto in esame:
tessuti ossigenati presentano maggiore sensibilità alla radiazione a differenza di quelli meno
ossigenati. La curva di sopravvivenza dei tessuti ossigenati ha una maggiore pendenza rispetto a
quelli non ossigenati. La grandezza Oxigen Enhancement Ratio (OER), definita come il rapporto tra
la dose necessaria a produrre un determinato effetto biologico (D) e la dose che produrrebbe lo
stesso effetto se il tessuto fosse completamente ossigenato in aria a pressione atmosferica (D0), tiene
conto di questa dipendenza. In particolare un valore unitario di OER evidenzia un indipendenza
dell‟irradiazione dall‟ossigenazione del tessuto.
Nel caso dei protoni è possibile considerare un valore di RBE genericamente compreso tra 1.0 ed
1.1, senza dipendenza dal LET o dalle modalità di somministrazione della dose. Per gli ioni
carbonio il valore dell‟RBE varia in funzione del LET della particella: nel canale d‟ingresso, dove il
LET è basso, l‟RBE assume valore unitario, mentre nel picco di Bragg, dove il LET è massimo,
l‟RBE triplica. Lo ione carbonio, concentrando la sua efficacia biologica al termine del range, si
candida quindi come migliore particella per i trattamenti di adroterapia [8].
18
Capitolo 2- Il progetto TOP-IMPLART
2.1 Descrizione del progetto TOP-IMPLART
Il progetto TOP-IMPLART, sviluppato attraverso la collaborazione di ENEA, ISS e IFO, prevede la
realizzazione di un nuovo centro di protonterapia a Roma. La prima parte dell‟acronimo (TOP)
richiama il progetto sviluppato da ENEA ed ISS nel 1998-2005 (Terapia Oncologica con Protoni),
mentre la seconda parte (IMPLART) significa “Intensity Modulated Proton Linear Accelerator for
RadioTerapy”. Il progetto si basa su un acceleratore di protoni lineare a media energia compatto
realizzato in due fasi distinte: la prima caratterizzata da un‟energia del fascio fino a 150 MeV e la
seconda fino a 230 MeV [13].
La scelta dell‟energia del fascio non è casuale, infatti un fascio di 150 MeV percorre all‟interno
dell‟organismo circa 15 cm, mentre a 230 MeV la profondità di penetrazione supera i 30 cm.
Dall‟istogramma di figura 2.1 emerge che, con un energia di 150 MeV possono essere affrontate
oltre il 50% delle lesioni idonee al trattamento con i protoni.
Fig. 2.1 Numero di pazienti in funzione della profondità della lesione
La parte del fascio a bassa energia è costituita dal Linac per protoni a 7MeV prodotto dalla AccSysHitachi, installato presso il centro ENEA di Frascati dove è stato svolto il presente lavoro di Tesi. A
questo verranno aggiunti moduli che permetteranno ai protoni di raggiungere, nelle diverse fasi,
19
energie di 30, 70, 150 e 230 MeV. L‟utilizzo di una macchina lineare, anzichè circolare (sincrotrone
o ciclotrone), permette infatti di procedere in step nella costruzione, nella misurazione dei parametri
di interesse e nelle verifiche di ogni modulo aggiunto all‟acceleratore. Nella figura 2.2 viene
mostrata la pianta del centro di protonterapia che secondo progetto dovrebbe realizzarsi presso
l‟IFO [13].
Fig. 2.2 Pianta del centro di protonterapia da realizzare presso l’IFO
Il linac da 230 MeV verrà realizzato in due fasi distinte: la prima prevede la costruzione completa
dell‟acceleratore fino a 150 MeV presso il centro di ricerca ENEA di Frascati e il suo trasferimento
presso l‟IFO, dove, nella seconda fase, verrà completato lo sviluppo della struttura.
Nel 2009 venne inoltre finanziato, dalla Regione Lazio, il progetto ISPAN2 per la sperimentazione
radiobiologica finalizzato alla caratterizzazione biologica del fascio e allo sviluppo di modelli in
vivo e vitro per lo studio dei meccanismi cellulari implicati nei processi di carcinogenesi. In
particolare tale progetto prevede la realizzazione di una facility da 7MeV per irradiare cellule sia
con fascio verticale che orizzontale e una da 17.5MeV, orizzontale, per irradiare piccoli animali. In
questo lavoro di tesi (cfr. Cap. 5) saranno presentati dei test sperimentali effettuati anche
nell‟ambito del progetto ISPAN.
2
L‟acronimo ISPAN sta per “Irraggiamento Sperimentale con Protoni per Modelli Cellulari ed Animali”. Il progetto in
esame vuole sia indagare l‟efficacia terapica della sorgente (in termini di RBE, sopravvivenza cellulare e tempi di
riparo), sia standardizzare, dopo un confronto con i protocolli clinici convenzionali, protocolli di trattamento nel caso
dei protoni [14].
20
2.2 Descrizione dell’acceleratore lineare
Il TOP LINAC si presenta come un acceleratore lineare di protoni largamente innovativo: vuole
sperimentare per la prima volta l‟operazione a 3 GHz e l‟impiego di strutture acceleratrici (SCDTL)
brevettate ma mai “testate” con fasci di particelle. Inoltre è un acceleratore di tipo lineare totalmente
costruito in Italia, che risulta, rispetto alle macchine circolari di tipo ciclotrone e sincrotrone
usualmente utilizzate nel campo della protonterapia, largamente innovativa. La scelta del linac per
protonterapia si inserisce nell‟ambito delle proposte di Nightingale (1992) ad 1 GHz, di Hamm
(1991) e Tronc (1993) a 3 GHz e nel progetto PACO della Fondazione TERA [1].
Il TOP Linac si compone di tre sezioni acceleranti [2-5]: l‟iniettore, il linac SCDTL e il linac SCL
(fig.2.3)
Fig. 2.3 Gli acceleratori lineari che costituiscono il TOP Linac
L‟iniettore è seguito da una linea di trasporto del fascio (fig. 2.4) composta da quattro quadrupoli
magnetici, per la focalizzazione del fascio di protoni e di adattamento trasversale alla sezione
accelerante successiva. Tra la prima e la seconda coppia di quadrupoli è stato inserito un magnete
di deflessione verticale, in modo da poter effettuare esperimenti di radiobiologia sia con fascio
orizzontale (magnete “off”) sia con fascio verticale (magnete “on”) a energia variabile fino a 7MeV.
Fig. 2.4 Linea di trasporto del fascio di protoni a bassa energia (LEBT, “Low Energy Beam Transport line”)
21
2.2.1 L’iniettore PL -7
L‟iniettore, in funzione nel bunker dell‟edificio 30 del centro ENEA di Frascati, è l‟acceleratore
lineare di protoni PL-7. Questo è composto da (fig. 2.5): una sorgente di protoni di tipo
duoplasmatron (A), due acceleratori, un RFQ (B) e un linac DTL (C), operanti alla frequenza di 425
MHz, tre racks contenenti l‟alimentazione a RF (D) e l‟elettronica di controllo. I due alimentatori a
RF sono costituiti, da quindici triodi planari (tubi EIMAC, CPI-YU176A) ciascuno, ed in
particolare 1 per il preamplificatore, 2 per il secondo pre-amplificatore e 12 per l‟amplificatore
finale.
Fig. 2.5 Il PL-7 presente nel bunker dell’edificio Sincrotrone del centro ENEA di Frascati
Prodotto, nel rispetto delle specifiche richieste da IMPLART, dalla ditta Accsys-Hitachi, l‟iniettore
può essere impiegato per tre scopi differenti: produrre Fluoro 18, produrre un fascio di protoni e per
eseguire esperimenti di radiobiologia. Un diaframma, montato all‟ingresso dell‟RFQ, permette
infatti il passaggio dalla modalità in cui si produce Fluoro 18 a quella in cui si producono protoni.
Il fascio di protoni in uscita dall‟iniettore dipende da diversi parametri (tab.2.1)
Parametro
Tensione sulla lente unipolare
Tensione di estrazione
Unità di misura
kV
kV
22
Corrente di filamento
Corrente sul magnete stabilizzatore
Pressione del gas
Tensione sull‟anodo di Pierce
Tensione d‟arco
Fattore di accelerazione
(segnale dal “pick up” proporzionale
al campo accelerante)
A
A
mTorr
V
V
adimensionale
Tab.2.1 Principali parametri operativi dell’iniettore PL-7
La fig. 2.6 riporta, in un‟operazione tipica, l‟andamento della tensione d‟arco (traccia gialla) la
corrente del fascio (traccia verde) e l‟andamento del campo elettrico nella cavità accelerante (traccia
viola). Affinché il fascio di protoni sia presente deve esserci sovrapposizione temporale tra il campo
elettrico accelerante e la tensione d‟arco, ovvero devono essere contemporaneamente presenti sia
campo accelerante che particelle da accelerare. L‟intensità del fascio in uscita è proporzionale
all‟intervallo di sovrapposizione delle tracce gialle e viola, e quest‟intervallo temporale rappresenta
la durata dell‟impulso.
La corrente viene misurata portando le cariche, in uscita dall‟acceleratore, su di un resistore e
misurando la tensione ai capi del resistore, tramite un voltmetro. Adoperando un resistore da 1 kΩ,
la tensione letta sull‟oscilloscopio risulta di 6 mV, (2mV/div in fig. 2.6). La durata dell‟impulso è
invece di circa 25 μs. La traccia relativa alla corrente del fascio presenta un andamento a
saturazione a causa della presenza della capacità parassita del cavo che porta le cariche verso il
resistore, rendendo il circuito di misura un circuito integratore.
Fig.2.6 Screenshot dall’oscilloscopio durante il funzionamento dell’iniettore
23
2.2.1.1 La sorgente di protoni duoplasmatron
Fig. 2.7 La sorgente di protoni duoplasmatron
La sorgente di protoni duoplasmatron (fig. 2.7) [15], ideata nella sua configurazione classica da
Manfred Von Ardenne, prevede la produzione di un arco tra catodo ed anodo. Per avere una buona
efficienza all‟interno della sorgente viene fatto il vuoto. Il filamento di tungsteno che costituisce il
catodo, percorso da corrente, produce, per emissione termoionica elettroni. Attraverso una valvola
viene regolato il flusso di gas che viene inviato a livello del catodo. La tensione d‟arco (Varc)
permette la rottura del dielettrico e la creazione, in una zona confinata (regione A) dall‟elettrodo
intermedio di forma conica, del plasma. Il gas ionizzato, globalmente neutro, è costituito da
particelle cariche che, dando origine all‟effetto di carica spaziale, tendono a far espandere il plasma;
per confinare il plasma nello spazio desiderato viene esercitata, attraverso un campo magnetico, una
pressione sullo stesso. Il plasma, dopo aver attraversato l‟elettrodo intermedio, viene addensato
dall‟anodo di Pierce, elettrodo posto a potenziale positivo che inoltre cattura gli elettroni. I protoni
24
presenti nel plasma sono attratti dall‟elettrodo di estrazione, posto ad un potenziale negativo,
dell‟ordine dei kV, imposto dalla tensione di estrazione (Vextr); dunque a valle dell‟anodo di Pierce
si forma il fascio di protoni, in rosso nella fig. 2.7 [16]. L‟energia del fascio in uscita dall‟elettrodo
di estrazione è molto bassa (decine di kV) e questo favorisce l‟aumento delle dimensioni del fascio
a causa dell‟effetto repulsivo prodotto dalla carica spaziale. L‟accoppiamento tra sorgente ed RFQ è
garantito da una linea di trasporto a bassa energia composta da:
- Elettrodo posto a potenziale negativo: evita che gli elettroni tornino alla sorgente.
- Lente unipolare: focalizza il fascio di particelle cariche mantenendo inalterata l‟energia del
fascio. Gli elementi della lente, almeno tre elettrodi cilindrici disposti in serie ed in asse (fig. 2.8),
sono simmetrici, ciò che il fascio perde (acquista) in energia nel raggiungere l‟elettrodo centrale lo
recupera (perde) nell‟uscire dalla lente [17].
Fig. 2.8 Lente unipolare
- Diaframma: dopo essere stato focalizzato il fascio è pronto per entrare, con un energia di 30 keV,
nell‟RFQ attraverso il diaframma. Questo elemento limita l‟intensità del fascio al valore richiesto
ed elimina le aberrazioni prodotte dalla lente unipolare.
2.2.1.2 Radio Frequency Quadrupole: RFQ
L‟RFQ permette, tramite la presenza del campo a radiofrequenza, di accelerare, focheggiare ed
impacchettare un fascio di particelle cariche. Impostosi rapidamente come iniettore della maggior
parte degli acceleratori di protoni per la sua efficienza di trasmissione (ordine del 90%), la
robustezza e la relativa semplicità costruttiva, l‟RFQ è costituito da una struttura a quattro vani, cioè
da una cavità a RF occupata da quattro elettrodi [18].
25
Fig.2.9 Struttura interna dell’RFQ
Applicando ai quattro elettrodi una tensione alternata con polarità opposta tra un elettrodo e
l‟adiacente, in una configurazione che prende il nome di simmetria quadrupolare, si ottiene il
focheggiamento del fascio di particelle. Infatti le particelle poste su una traiettoria diversa da quella
dell‟asse centrale dell‟RFQ saranno sottoposte ad un campo elettrico trasverso variabile nel tempo
[20].
Fig.2.10 Andamento del campo elettrico trasverso nel tempo e relativo effetto sul fascio
In figura 2.10 è mostrato l‟andamento del campo a RF in funzione del tempo, e il relativo effetto sul
fascio: se il campo è positivo (negativo) il fascio è focalizzato nel piano verticale (orizzontale), se il
campo è nullo allora non avviene focalizzazione del fascio.
26
Per accelerare le particelle è invece necessario modulare longitudinalmente gli elettrodi con periodo
pari a βλ, dove β è il termine relativistico e λ la lunghezza d‟onda del campo a RF, così da
sviluppare una componente longitudinale del campo elettrico che accelera i protoni3.
Per accelerare più facilmente il fascio di particelle continuo è necessario dividerlo in bunch, cioè in
pacchetti stabili, così che il campo elettrico a RF deceleri le particelle più avanzate rispetto al punto
che idealmente rappresenta il baricentro del bunch, e acceleri quelle più arretrate. Avviato il
processo di raggruppamento viene incrementato gradualmente il valore della fase sincrona (Φ)
verso il valore massimo del campo accelerante, dove l‟accelerazione è più efficiente. Man mano che
il fascio viene accelerato a velocità superiori, i baricentri dei vari bunch si allontanano
reciprocamente ed il ΔΦ tra le particelle di uno stesso pacchetto si riduce: il fascio è stato
impacchettato [18].
2.2.1.3 Drift Tube Linac: DTL
Il fasci di protoni in uscita dall‟RFQ entra, accelerato ( con energia di 3MeV) e focheggiato, nel
DTL. Questa struttura, alla base dell‟acceleratore di Alvarez, è composta da una cavità risonante
cilindrica all‟interno della quale viene inviato il campo a RF necessario ad accelerare le particelle.
3
Scelto l‟istante t=0 in corrispondenza del massimo del campo elettrico ( Ez(r=0,z,t)= E(0,z)cos(ωt+ϕ)), la fase Φ
relativa al picco di campo vale zero e in questa condizione viene ceduta la massima energia alla particella. Supponendo
che il campo elettrico sia confinato alla lunghezza L del gap di accelerazione, l‟energia guadagnata da una particella di
carica q che viaggia sull‟asse del gap di accelerazione è: ∆W=qV 0Tcosϕ. Dalla relazione precedente osserviamo la
dipendenza dalla fase.
Il fascio è composto da un numero elevato di particelle, tuttavia non tutte le particelle possiedono la medesima energia,
quindi la stessa fase. Infatti avremo particelle che avranno fase uguale, minore o maggiore di zero e quindi non tutte le
particelle attraverseranno il gap quando il campo accelerante si trova al suo valore massimo e quindi non riceveranno
tutte la massima energia. Il fascio quindi non sarà monoenergetico, ma sarà caratterizzato da un certo Energy spread,
che tiene conto dello scarto di energia tra le diverse particelle, ed è dato dal rapporto tra lo scarto quadratico medio delle
energie di tutte le particelle che costituiscono il fascio e il valor medio dell‟energia del fascio. Ovviamente più è basso
l‟energy spread e maggiore sarà la qualità del fascio.
27
Dato che la componente di campo elettrico che si sviluppa nella cavità sarà composta da una
semionda positiva e da una negativa il DTL presenta delle celle. Con il termine cella si indica la
porzione di DTL compresa tra il centro di una gap ed il successivo, comprendente un drift. Tali
celle fanno si che il campo a RF risulti massimo ed uniforme nella gap di accelerazione e nullo
negli spazi di propagazione libera (drift), così da evitare la decelerazione del fascio quando il campo
è invertito. Il DTL è lungo 153.7 cm e possiede 22 celle.
Fig. 2.11: Struttura del DTL e distribuzione del campo elettrico [20]
Avanzando nel DTL i protoni aumentano la loro velocità ed, essendo la frequenza del campo a RF
uguale in tutta la cavità, per avere la massima sincronia tra protoni e campo accelerante le celle
devono avere lunghezza variabile pari a βλ. In fig.2.11 viene anche messa in evidenza la presenza di
steli che sorreggono gli spazi di drift e di piccoli quadrupoli magnetici, posti all‟interno di ciascun
drift al fine di focalizzare nel piano trasverso il fascio. Inoltre vengono fissati sulla superficie
interna della cavità dei post-accoppiatori, aventi lunghezza λ/4, garantiscono l‟accoppiamento tra le
celle che compongono il DTL, rendendo la distribuzione meno sensibile ad errori. Infine sono
presenti degli stantuffi di sintonizzazione che permettono il controllo della frequenza e
dell‟ampiezza del campo a RF dentro la cavità [20].
2.2.2 Il linac SCDTL
Il linac SCDTL è una struttura accelerante molto compatta brevettata dall‟ENEA [21] ed operante,
nel caso del TOP Linac, ad una frequenza pari a 2.998 GHz. L‟SCDTL è adatto ad accelerare fasci
di protoni nel range 5-100 MeV, per cui la velocità (β) varia tra 0.1 e 0.46.
28
L‟adozione di una struttura di tipo SCL in questo range energetico, dovendo rispettare la relazione
di sincronismo che fissa la lunghezza della cavità a βλ/2, implicherebbe la costruzione di cavità
risonanti di dimensioni troppo ridotte che determinerebbero un‟efficienza troppo bassa a causa della
dissipazione di potenza sulle pareti della singola cavità. Viceversa la struttura DTL, essendo
costituita da una sola cavità contenente un gran numero di piccole celle prive di pareti di divisione,
resta efficiente anche ad una frequenza elevata. Tuttavia a frequenze elevate si riducono le
dimensioni dei tubi di drift, che divengono piccoli cilindri aventi diametro di circa 1 cm, e non è più
possibile quindi alloggiarvi i quadrupoli focalizzanti. La struttura SCDTL (fig. 2.12) è, invece,
composta da un insieme di cavità DTL (tanks) che oscillano a una frequenza RF di 2997.9 MHz
accoppiate (“side coupled”) da cavità rientranti poste fuori dell‟asse di propagazione del fascio, così
da poter alloggiare dei piccoli quadrupoli a magneti permanenti (PMQ – Permanent Magnet
Quadrupole) lunghi circa 3 cm negli spazi tra le tanks risolvendo in tal modo il problema del
focheggia mento. Ogni tank è costituita da tre parti: un corpo accelerante (un cilindro con i tubi di
drift all‟interno) e due flange terminali, ciascuna contenente metà tubo di drift e metà cavità
accoppiante con il suo foro di accoppiamento. Ogni PMQ (Permanent Magnet Quadrupole) trova
posto in un alloggiamento cilindrico che si forma sull‟asse quando vengono congiunte le flange
delle cavità. In particolare, le tanks hanno un diametro interno (6 cm) in tutti i moduli. I tubi di drift
sono ricavati da cilindri di diametro pari a 12 mm a cui sono brasati gli stem (uno per ogni tubo)
come nei DTL classici [23].
Fig. 2.12 Esploso della struttura SCDTL.
Ogni tank DTL è dotata di „n‟ tubi di drift e „n+1‟ (da 5 a 7) gap di accelerazione (celle) di
lunghezza βλ, dove β = v/c è la velocità media del protone nella cavità e la lunghezza d‟onda λ,
29
definita dalla frequenza della struttura accelerante, è pari a 10 cm. Le tanks SCDTL sono state
raggruppate in 4 moduli di lunghezza simile (~1.1 m) che accelerano il fascio fino a 30 MeV.
L‟accettanza trasversa della struttura SCDTL risulta un po‟ più grande dell‟emittanza trasversa del
fascio in ingresso proveniente dall‟iniettore (il che significa per un fascio perfettamente adattato nel
piano trasverso una cattura del 100%) ma, a causa dell‟allungamento longitudinale del “bunch” nel
tratto tra l‟uscita dell‟iniettore e l‟ingresso nell‟SCDTL prodotto dalla dispersione di velocità
(l‟”energy spread” è circa ±90 keV) la trasmissione complessiva del fascio all‟uscita
dell‟acceleratore si riduce al 10%. Questo valore è comunque considerato accettabile dati i bassi
valori di corrente richiesti dalla protonterapia (qualche nA di corrente media).
Il primo modulo della struttura accelerante, per energie comprese fra 7 e 11,63 MeV, è già stato
costruito e provato su un banco a radiofrequenza (fig.2.13). Esso è costituito da 9 cavità DTL,
ognuna contenente 4 celle acceleranti, per una lunghezza complessiva pari a 1.1 m e da 10
quadrupoli PMQ focalizzanti (incluso quello di ingresso e quello di uscita)
Fig.2.13 Il primo modulo della struttura accelerante SCDTL durante la fase di sintonia
2.2.3 Side Coupled Linac (SCL)
Sviluppata circa trent‟anni fa a Los Alamos (USA), questa struttura accelerante lineare si fonda sul
principio di avere sull‟asse celle acceleranti che operano nel modo π (il campo elettromagnetico si
trova in opposizione di fase in celle adiacenti) accoppiate da celle disposte fuori asse in linea di
principio non eccitate (per cui il modo di operazione dell‟intera struttura è il modo π/2) ma che sono
necessarie per la trasmissione della potenza e rendono la struttura molto stabile rispetto ad errori
meccanici e di tuning. Il Linac SCL studiato per il progetto TOP-IMPLART accelera il fascio di
30
protoni da 30 a 230 MeV.Tra le tanks, accoppiate mediante dei bridge couplers che permettono il
flusso dell‟energia elettromagnetica, sono collocati dei quadrupoli a magneti permanenti (PMQ).
Fig. 2.14 Struttura SCL
In figura 2.14 sono evidenziati i diversi tipi di accoppiamento: uno tra le cavità acceleranti (AC),
uno tra le cavità d‟accoppiamento (CC: coupled cavity), e uno tra cavità acceleranti e quelle
spostate lateralmente rispetto al fascio. Le cavità CC, insieme alle acceleranti, formano così due
catene alternate a frequenze leggermente diverse che conferiscono alla struttura una doppia
periodicità.
2.3 Linea di trasporto orizzontale: focheggiamento del fascio attraverso i quadrupoli
Fig.2.15 Uno dei quattro quadrupoli DANFYSIK presente nella linea di trasporto del fascio
31
Per ottenere il massimo trasferimento di carica tra il PL7 e l‟SCDTL è necessario introdurre un
canale di trasporto magnetico che adatti nel piano trasverso il fascio prodotto dall‟ iniettore di modo
che la sua emittanza copra interamente l‟accettanza dell‟ SCDTL (“matching”). A tal fine vengono
utilizzati, nell‟ambito del progetto TOP-IMPLART, quattro quadrupoli DANFYSIK (fig. 2.15)
[14]. Il loro impiego consente di effettuare un trasporto senza perdite lungo la linea e di controllare
la dimensione finale del fascio sul target (es: campione da irraggiare) o adattare lo spazio fasi
trasverso, definito come sarà poi spiegato nel seguito, dai 4 parametri di Twiss αx, βx, αy, βy (di qui
la necessità di impiegare 4 quadrupoli ). Alimentando con una corrente costante il quadrupolo viene
a sperimentarsi, tra due bobine adiacenti, un campo magnetico. Non essendo presente alcun campo
elettrico, le particelle che attraversano il quadrupolo sperimentano una forza pari a:
𝑭=𝑞·𝒗×𝑩
(2.1)
L‟andamento nel piano trasverso delle componenti del campo magnetico e della forza che agiscono
sulle particelle che attraversano i quadrupoli sono riportate in fig. 2.16. Per avere coincidenza tra gli
assi del sistema di riferimento e gli assi su cui avviene la focalizzazione, il quadrupolo è posizionato
ruotato di 45°.
Fig.2.16 L’andamento nel piano trasverso delle componenti del campo magnetico e della forza
Le componenti di campo magnetico all‟interno del quadrupolo possono essere descritte a partire dal
valore del gradiente di campo magnetico (T/m) presente nel quadrupolo:
𝑩𝑥 = −𝒈 × 𝒚
(2.2)
32
𝑩𝑦 = −𝒈 × 𝒙
(2.3)
Dal valore delle componenti di campo magnetico sull‟asse x ed y ricaviamo, sostituendo
nell‟equazione 2.1:
𝐹𝑥 = −𝑞 · 𝒗 × 𝑩𝑦 = −𝑞𝑣𝑔𝑥
(2.4)
𝐹𝑦 = −𝑞 · 𝒗 × 𝑩𝑥 = −𝑞𝑣𝑔𝑦
(2.5)
Dall‟equazione 2.4 - 2.5, ricaviamo una proporzionalità lineare tra la forza di focalizzazione e il
gradiente magnetico, la carica, la velocità e la posizione della particella che attraversa il
quadrupolo. Nel caso in cui le particelle si trovino sull‟asse del quadrupolo non verranno
focalizzate, mentre quelle, che attraversano l‟elettromagnete, in una posizione tanto più distante
dall‟asse verranno tanto più focalizzate. Questi magneti vengono spesso utilizzati in coppia, infatti
un unico quadrupolo focheggia in un piano ma defocheggia nell‟altro; per ottenere quindi una
focalizzazione in entrambi i piani si usa un FODO: un quadrupolo focheggiante in un piano ed un
secondo quadrupolo focheggiante nell‟altro [23-24].
Fig.2.17 Sequenza FODO con due quadrupoli. Nel caso in cui la lunghezza del quadrupolo sia inferiore rispetto alla lunghezza
focale [24] è possibile rappresentare il quadrupolo come una lente sottile posizionata nel suo centro. La figura mostra che il
doppietto ha un effetto complessivo focheggiante in entrambi i piani.
2.4 Linea di trasporto verticale
2.4.1 Il magnete di deflessione
Il magnete di deflessione verticale, mostrato in figura 2.18, è collocato, all‟uscita dell‟iniettore, tra
la prima e la seconda coppia di quadrupoli.
33
Fig.2.18: Linea di trasporto verticale: (sinistra): disegno degli elementi magnetici all’uscita dell’iniettore, (destra) foto del
magnete di deflessione verticale.
I parametri principali del magnete di deflessione sono riportati in tabella 2.2 [13]
Distanza tra le espansioni polari
50 mm
Raggio di curvatura
480,91 mm
Larghezza del polo
140 mm
Campo Massimo (B)
0,733 T
Corrente nominale
262 A
Tab. 2.2 Caratteristiche del magnete di deflessione
Esso è stato ricavato da un magnete ENEA preesistente impiegato in precedenza per un microtrone
a sezioni dritte, riprogettando le espansioni polari e la camera da vuoto [25]. I dettagli del polo e
della geometria del magnete sono visibili nella figura 2.19 che riporta gli output grafici del
programma tridimensionale utilizzato in fase di progetto.
Fig.2.19 Geometria del magnete di deflessione verticale: output grafico del programma 3D CST EMS. Lo spaccato di destra
mostra la forma del polo.
34
Alimentando il magnete si viene a definire, tra le due espansioni su cui sono alloggiare le bobine,
un campo magnetico che esercita una forza curvante sulle particelle.
Fig.2.20 Schematizzazione del magnete di deflessione
Essendo il campo elettrico nullo, risulta valida l‟equazione 2.1 ed applicando la regola della mano
destra, essendo il campo magnetico uscente dal foglio (fig.2.20), ricaviamo una forza diretta verso il
centro della circonferenza, che permette quindi alla particella di curvare. Esplicitando la forza in
termini di quantità di moto, e tenendo conto che la massa della particella è costante, otteniamo:
𝛾𝑚
𝑑𝒗
𝑑𝑡
=𝑞·𝒗×𝑩
(2.6)
Da cui, ricordando che l‟accelerazione angolare è pari al rapporto tra il quadrato della velocità
angolare e il raggio di curvatura, si ricava:
𝑅=
𝛾𝑚𝑣
𝑞𝐵
(2.7)
Le particelle vengono quindi curvate secondo un raggio che risulta funzione del campo magnetico
che agisce su di esse, della loro massa, velocità e carica [26].
2.4.2 Test di sperimentazione radiobiologica con fascio verticale
Il magnete di deflessione verticale riesce a definire un fascio diretto dal basso verso l‟alto,
condizione indispensabile per l‟effettuazione di alcuni test di sperimentazione radiobiologica:
1) Studi su Linfociti:
Queste sono cellule non adese ma flottanti nel terreno di coltura. In questo studio non
sarebbe possibile l‟impiego del fascio orizzontale, infatti le cellule tenderebbero, soggette
alla forza di gravità, ad accumularsi tutte nella parte bassa della piastra petri.
35
2) Studi relativi agli effetti indiretti delle radiazioni sulle cellule:
Essi possono essere condotti in accordo con lo schema di figura 2.21: si accresce uno strato
di cellule (A) sulla piastra, si pone uno strato di terreno di coltura e sopra quest‟ultimo si
posiziona un altro strato di cellule (B); la sperimentazione consiste nello studiare gli effetti
indotti dai segnali generati dalle cellule sottostanti (A), le uniche direttamente irradiate, su
quelle sovrastanti (B), nel caso in cui la radiazione si fermi a livello del terreno di coltura.
Strato di cellule (B)
Terreno di coltura
Strato di cellule (A)
Protoni deflessi verticalmente
Fig.2.21 Schema di irraggiamento con fascio verticale per lo studio degli effetti indiretti delle radiazioni sulle cellule
Questo studio non sarebbe possibile con l‟impiego del fascio orizzontale perché, al fine di
evitare che le cellule si accumulino sul fondo, tutta la provetta andrebbe riempita con il
terreno di coltura.
3) Studi su sferoidi tumorali multicellulari:
Per molti anni i biologi cellulari hanno studiato i tumori utilizzando principalmente linee
cellulari tumorali stabilizzate cresciute in monostrati bidimensionali. Questo modello ha
prodotto risultati indiscutibili al fine della comprensione dei meccanismi di base della
radiobiologia dei tumori, ma non è idoneo a rappresentare tutti gli aspetti dei tumori in vivo.
I tumori solidi crescono in un‟organizzazione spaziale tridimensionale e le cellule che li
compongono sono esposte ad una distribuzione di ossigeno e nutrienti non uniforme. Da
questo ne può conseguire un‟eterogeneità cellulare associata a variazioni micro ambientali
significative presenti in diverse regioni dei tumori. Ad esempio in zone dove la
concentrazione di ossigeno e sostanze nutritive è bassa, si può manifestare un danno
cellulare che può portare fino alla necrosi. Inoltre si può ipotizzare che la diversa risposta
alla radioterapia di cellule cresciute in monostrato e quelle organizzate nei tumori solidi, sia
36
direttamente connessa alla diversa organizzazione spaziale e quindi al contatto cellulacellula nei due sistemi. Da queste considerazioni appare evidente quindi che la crescita
bidimensionale delle cellule tumorali, in cui queste sono esposte in modo uniforme
all‟apporto di ossigeno e nutrienti, non può essere totalmente esaustiva della biologia dei
tumori. Al fine quindi di superare questo limite sono stati messi a punto gli sferoidi tumorali
multicellulari (aggregati rotondeggianti contenenti molte cellule) che rappresentano in modo
più realistico la crescita e l‟organizzazione dei tumori solidi. Questi sferoidi sono flottanti
nel terreno di coltura, quindi un loro studio con fascio orizzontale non sarebbe possibile.
La possibilità di un fascio verticale conferisce alla “facility” di Frascati caratteristiche sperimentali
attualmente disponibili presso pochissimi Centri nel mondo.
37
Capitolo 3- Modellizzazione del fascio nelle linee di trasporto
In questo lavoro di Tesi si è seguita, attraverso specifici programmi di simulazione, l‟evoluzione del
fascio di protoni sia nel vuoto, sia nell‟interazione con la materia. In questo capitolo vengono
presentati, oltre al principio su cui si fondano, sia le potenzialità che le modalità d‟utilizzo dei
programmi impiegati (Srim, SSSM e Trace3D).
3.1 Trasporto del fascio negli elementi magnetici: codice TRACE 3D. Modello fisico ed
utilizzo del codice.
In questo paragrafo viene introdotto il formalismo della matrice di trasferimento, che permette di
descrivere il movimento delle particelle lungo la linea del fascio in un modo semplice.
3.1.1 Matrici di Trasferimento
In corrispondenza del piano y = 0 (fig.3.1), è possibile scegliere una traiettoria di riferimento che
rappresenti il centro del fascio. Per descrivere la traiettoria della singola particella del fascio nella
vicinanze della traiettoria di riferimento [27], possiamo introdurre una terna ortogonale che abbia
l‟asse s orientata tangente alla traiettoria di riferimento, nella direzione in cui procede la particella
del fascio. La posizione nel piano trasverso viene individuata attraverso l‟asse x ed y. In
corrispondenza di un esiguo range per s, questo sistema può essere visto come un sistema di
coordinate cilindriche {y, r, ζ}, con r = ρ+x e ζ = s/ρ.
Fig.3.1Andamento della traiettoria di riferimento (in rosso), della particella in esame (blu) e terna ortogonale
Oltre all‟informazione relativa alle coordinate spaziali, risulta importante caratterizzare la particella
anche in termini di quantità di moto: p= (px, py, pz,). L‟insieme dei vettori che descrivono le
particelle del fascio individuano il cosiddetto spazio delle fasi canonico 𝑋 = (x,y,s,p). Nel campo
38
della fisica degli acceleratori è comune riferirsi, piuttosto che allo spazio delle fasi canonico, al
vettore spazio delle fasi geometrico:
𝐗 s =
𝑥
𝑥′
𝑦
𝑦′
𝑙
𝛿
(3.1)
Dove x, y, l rappresentano lo scostamento della generica particella rispetto a quella di riferimento,
x‟= dx/ds ed y‟= dy/ds rappresentano la pendenza orizzontale e verticale rispetto alla traiettoria di
riferimento. Infine δ è lo scostamento di quantità di moto normalizzato (δ = ∆p/p).
Al fine di guidare il fascio di particelle cariche attraverso la struttura accelerante, si sfrutta la forza
di Lorenz:
F=q(E+vxB)
(3.2)
Il campo elettrico (E) è impiegato per accelerare le particelle, mentre quello magnetico (B) è
utilizzato per deflettere (dipolo) o focheggiare (quadrupolo) il fascio di particelle.
Dato che, per particelle relativistiche, un campo magnetico di un Tesla conferisce una forza
curvante corrispondente ad un campo elettrico di 300 milioni di Volt per metro, concentriamo la
trattazione esclusivamente sul campo magnetico trasverso [24, pag. 25].
Nel sistema di coordinate curvilinee presentato, le equazioni della traiettoria lineare sono:
y” + k y =0
(3.3)
x”- (k-1/ρ2) x = ∆p/( ρ·p0)
(3.4)
Nel caso in cui la linea del fascio sia costituita esclusivamente da spazi di drift, dipoli e quadrupoli
magnetici, e quindi il campo magnetico dipenda linearmente dalla deviazione della particella dalla
traiettoria di riferimento, allora le equazioni 3.3 e 3.4 assumono la forma di equazioni di Hill e
descrivono un moto oscillatorio con la forza di richiamo variabile:
u”(s)+ Ku(s) u(s) = ∆p/( ρu·p0)
(3.5)
dove: u(s) tiene conto sia di x(s) che y(s) e ρu rappresenta il raggio di curvatura della traiettoria di
riferimento alla posizione s. Inoltre Ku(s) è definito così:
39
Kx(s) = - k(s) + 1/𝜌𝑥2 (𝑠) (3.6)
Ky(s) = k(s) + 1/𝜌𝑦2 (𝑠)
, dove 𝑘 𝑠 =
𝑞 ·𝑔 𝑠
(3.8)
𝑝
(3.7)
Il termine g(s), che figura nell‟equazioni 3.8, è il gradiente di campo magnetico. Nel caso dei
magneti è impiegato il modello “hard- edge”, in cui si assume che il campo magnetico inizi e finisca
bruscamente all‟inizio e alla fine del magnete, e che il gradiente di campo sia costante all‟interno
del magnete.
Fig. 3.2 Campo magnetico in un quadrupolo: confronto tra l’andamento reale e il suo modello “hard edge”
La fig.3.2 confronta l‟andamento reale del gradiente magnetico del quadrupolo e quello relativo al
modello hard edge; notiamo che l‟area sottesa dai due andamenti deve comunque essere identica. Il
modello hard edge prevede per il campo magnetico un andamento che può essere ben descritto
dalla rect, infatti o il valore del campo è nullo o è massimo.
In Trace 3D utilizzeremo quindi per descrivere i magneti una lunghezza maggiore di quella reale,
proprio per tenere conto dell‟effetto di bordo.
Le equazioni 3.3 e 3.4 hanno come soluzione:
𝑢 𝑠 = 𝑢0 𝐶𝑢 𝑠 + 𝑢′ 0 𝑆𝑢 𝑠 + 𝛿𝜂𝑢 𝑠
(3.9)
, dove 𝜂𝑢 (𝑠) =
′
𝑢′ 𝑠 = 𝑢0 𝐶′𝑢 𝑠 + 𝑢 0 𝑆′𝑢 𝑠 + 𝛿𝜂′𝑢 (𝑠) (3.10)
𝑢𝑖
𝛿
(3.11)
I termini u0 ed u0‟ rappresentano i parametri iniziali della traiettoria della particella, mentre δƞu(s) e
δƞ‟u(s) tengono in conto la parte del moto dipendente dal momento e la funzione ƞu(s) è chiamata
funzione di dispersione. La dipendenza della funzione ƞu(s) da Cu(s) e Su(s) ha la seguente forma:
𝜂𝑢 𝑠 = 𝜂𝑢 0 𝐶𝑢 𝑠 + 𝜂′𝑢 0 𝑆𝑢 𝑠 + 𝑆𝑢 𝑠
𝑠 1
𝑠0 𝜌(𝜏)
𝐶𝑢 𝜏 𝑑𝜏 − 𝐶𝑢 𝑠
𝑠 1
𝑠0 𝜌(𝜏)
𝑆𝑢 𝜏 𝑑𝜏
(3.12)
40
I termini ƞuo e ƞ‟uo rappresentano la condizione iniziale della funzione di dispersione. L‟equazione
3.12 mostra che fuori dal magnete curvante è possibile confondere il movimento causato dalla
dispersione dal “normale” moto della particella. Lo scostamento longitudinale “l” della particella
generica, rispetto a quella di riferimento, può essere espressa come segue:
𝑙 = 𝑥0
𝑠 𝐶𝑥 (𝜏)
𝑑𝜏
𝑠0 𝜌 𝑥 (𝜏)
+ 𝑥′0
𝑠 𝑆𝑥 (𝜏)
𝑑𝜏
𝑠0 𝜌 𝑥 (𝜏)
+ 𝑦0
𝑠 𝐶𝑦 (𝜏)
𝑑𝜏
𝑠0 𝜌 𝑦 (𝜏)
𝑠 𝑆𝑦 (𝜏)
𝑑𝜏
𝑠0 𝜌 𝑦 (𝜏)
+ 𝑦′0
+ 𝛿𝑅56 + 𝑙0
(3.13)
Il termine l0 denota la differenza longitudinale iniziale dalla particella di riferimento. Il termine R 56
è definito come il rapporto tra la variazione di lunghezza dell‟orbita (∆L) e la deviazione del
momento della particella:
𝑅56 =
∆𝐿
𝛿
=
𝑠 ƞ𝑥 (𝜏)
𝑑𝜏
𝑠0 𝜌 𝑥 (𝜏)
+
𝑠
𝑠0
ƞ𝑦 (𝜏)
𝜌 𝑦 (𝜏)
𝑑𝜏
(3.14)
Combinando tra loro la soluzione dell‟equazione del moto e l‟equazione relativa allo scostamento
longitudinale di una particella rispetto a quella di riferimento, è possibile ottenere la seguente
equazione matriciale:
𝑥
𝑥′
𝑦
𝑦′
𝑙
𝛿
=
𝑅11
𝑅21
𝑅31
𝑅41
𝑅51
𝑅61
𝑅12
𝑅22
𝑅11
𝑅42
𝑅52
𝑅62
𝑅13
𝑅23
𝑅33
𝑅43
𝑅53
𝑅63
𝑅14
𝑅24
𝑅34
𝑅44
𝑅54
𝑅64
𝑅15
𝑅25
𝑅35
𝑅45
𝑅55
𝑅65
𝑅16
𝑅26
𝑅36
𝑅46
𝑅56
𝑅66
𝑥0
𝑥′0
𝑦0
· 𝑦′
0
𝑙0
𝛿0
(3.15)
La matrice R (6x6) a secondo membro prende il nome di matrice di trasferimento:
𝑅=
𝐶𝑥 𝑆𝑥
𝐶′𝑥 𝑆′𝑥
0
0
0
0
𝑅51 𝑅52
0
0
0
0
𝐶𝑦
𝐶′𝑦
𝑅53
0
0
0
𝑆𝑦
𝑆′𝑦
𝑅54
0
0
0
0
0
𝑅55
0
𝑅16
𝑅26
𝑅36
𝑅46
𝑅56
1
(3.16)
Gli elementi della matrice R16 ed R36 caratterizzano la dispersione, mentre gli elementi R26 ed R46
rappresentano la dispersione angolare generata dal magnete descritto dalla matrice di
trasformazione R nel piano xy.
41
Questa matrice permette di calcolare le trasformazioni del vettore X lungo l‟intera linea di trasporto
del fascio, a partire da una semplice moltiplicazione delle matrici di trasferimento relative ai vari
elementi incontrati nella linea stessa:
Xf = Rn· Rn-1 ·….· R1·Xi
(3.17)
dove, con i pedici “i” ed “f” si tiene conto rispettivamente della posizione iniziale e finale.
Riportiamo nel seguito le matrici di trasferimento relative ai principali elementi incontrati nella
linea di trasporto del fascio [24]:
Spazio di Drift:
𝑅𝐷𝑟𝑖𝑓𝑡 𝑙 =
1
0
0
0
0
0
𝑙
1
0
0
0
0
0
0
𝑙
1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
1
(3.18)
Lo spazio di drift è l‟elemento più semplice che può essere descritto dalla matrice di trasferimento.
Notiamo che la lunghezza dello spazio di drift è indicata con “l”, e che nel drift non viene creata
dispersione (ηu(s)), infatti gli elementi di R, dato che 1/ρ=0, sono nulli.
Quadrupolo magnetico:
A seconda che il termine k sia positivo o negativo, la matrice di trasferimento dell‟elemento in
esame sarà rispettivamente:
𝑐𝑜𝑠𝑕𝜙
𝑘 𝑠𝑒𝑛𝑕𝜙
𝑅𝑄 (𝑘, 𝑙) =
𝑠𝑒𝑛 𝑕𝜙
0
0
𝑘
𝑐𝑜𝑠𝑕𝜙
0
0
0
0
0
0
0
0
𝑐𝑜𝑠𝜙
−
𝑘 𝑠𝑒𝑛𝜙
0
0
0
0
𝑠𝑒𝑛𝜙
𝑘
𝑐𝑜𝑠𝜙
0
0
0
0
0
0
0
0
0 ,k>0
0
1
0
0
1
(3.19)
42
−
𝑅𝑄 𝑘, 𝑙 =
𝑐𝑜𝑠𝜙
𝑠𝑒𝑛𝜙
𝑘 𝑠𝑒𝑛𝑕𝜙
𝑐𝑜𝑠𝜙
𝑘
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
𝑠𝑒𝑛 𝑕𝜙
𝑐𝑜𝑠𝑕𝜙
𝑘 𝑠𝑒𝑛𝑕𝜙
0
0
0 0
0 0
𝑘
𝑐𝑜𝑠𝑕𝜙
0
0
0 0 , k< 0
0 0
(3.20)
1 0
0 1
In entrambe le equazioni (3.19 e 3.20) ϕ = l ∙ k , dove l è la lunghezza magnetica del quadrupolo.
Nel caso in cui k > 0, il quadrupolo è focheggiante nel piano verticale e de focheggiante
nell‟orizzontale, mentre per k < 0 accadrà la circostanza opposta. Nel quadrupolo, come nel drift e
differentemente da un dipolo, non viene creata dispersione (1/ρ=0).
3.1.2 Emittanza e parametri di Twiss
Per seguire la traiettoria di ogni particella all‟interno della linea del fascio è possibile utilizzare
l‟equazione 3.17. Dato che il fascio è costituito da un numero elevato di particelle è conveniente
utilizzare lo spazio delle fasi per descriverne il moto. Il Teorema di Liouville, utile strumento per
descrivere il fascio nello spazio delle fasi, afferma che in un sistema di forze conservative il volume
occupato da un fascio nello spazio delle fasi non varia nel tempo. Il volume iniziale e finale del
fascio di particelle nello spazio delle fasi sono quindi legati dalla seguente relazione:
𝑉𝑓 = 𝑑𝑒𝑡 𝑅 𝑉𝑖 , in cui det 𝑅 = 1
(3.21)
Grazie al Teorema di Liouville, la conoscenza dell‟area occupata dalle particelle nello spazio delle
fasi ad una certa posizione è sufficiente a determinare l‟area occupata dalle particelle in qualsiasi
altra posizione lungo la traiettoria del fascio.
Ogni particella è rappresentata da un singolo punto nello spazio delle fasi a sei dimensioni, tuttavia
quello che praticamente si misura sono le proiezioni bidimensionali del fascio. Nel caso in cui le
particelle presentino una deviazione nulla dal momento della quantità di moto (δ=0) e analizzando
per semplicità solo il moto orizzontale (x), considerando che tutte le equazioni sono comunque
valide anche nel piano verticale (y), le equazioni del moto orizzontale si semplifica nella forma:
𝑥"(𝑠) + 𝐾𝑥 (𝑠)𝑥(𝑠) = 0
(3.22)
Combinando la generica soluzione dell‟equazione 3.5 e la derivata prima della soluzione è possibile
scrivere [27]:
43
2
𝛾𝑥 𝑠 𝑥 2 𝑠 + 2𝛼𝑥 𝑠 𝑥 𝑠 𝑥 ′ 𝑠 + 𝛽𝑥 𝑠 𝑥 ′ 𝑠 = 𝑎2
(3.23)
Che è l‟equazione di un‟ellisse centrata nell‟origine dello spazio delle fasi xx‟ la cui area può essere
indicata con A. E‟ stata quindi definita una grandezza, la cui unità di misura è il mm mrad, chiamata
emittanza (ε): ε𝑥 =
𝐴
π
.
I termini γx (mrad/mm), βx (mm/mrad) e αx (adimensionale) presenti nell‟equazione 3.23, sono
indicati come parametri di Twiss o di Courant-Snyder, e definiscono la forma e l‟orientazione
dell‟ellisse.
Avendo considerato il solo moto orizzontale (3.22), la matrice di trasferimento, che mette in
relazione il vettore (x x‟) con il vettore (x0 x0‟), si semplifica ad una matrice 2x2; nella situazione
bidimensionale comunque è possibile esprimere la matrice di trasferimento come moltiplicazione
delle matrici di trasferimento relative ai vari elementi presenti sulla linea di trasporto del fascio.
La trasformazione dell‟ellisse nello spazio della fasi lungo l‟intera linea di trasporto (da s 0 ad s),è
data da [27]:
Conoscendo quindi la matrice di trasferimento tra i due punti considerati, è possibile trasformare i
parametri di Twiss lungo il percorso del fascio.
2
𝛽𝑥 (𝑠)
𝑅11
𝛼𝑥 (𝑠) = −𝑅11 𝑅21
2
𝛾𝑥 (𝑠)
𝑅21
−2𝑅11 𝑅12
𝑅12 𝑅21 + 𝑅11 𝑅22
−𝑅21 𝑅22
2
𝑅12
−𝑅12 𝑅22
2
𝑅22
𝛽𝑥 (𝑠0 )
𝛼𝑥 (𝑠0 )
𝛾𝑥 (𝑠0 )
(3.24)
Di seguito è rappresentata (fig. 3.3) l‟ellisse nello spazio delle fasi xx‟:
Fig 3.3 Ellisse nello spazio delle fasi xx’
44
Forma ed orientazione dell‟ellisse dipendono dai parametri di Twiss:
 αx: determina l‟inclinazione dell‟ellisse. Per valori negativi l‟ellisse presenta un‟inclinazione
come quella in figura 3.3 ed il fascio è divergente. Infatti le particelle che si trovano nella
zona delle x positive, presentano valori di divergenza positivi e quindi tendono ad
allontanarsi dall‟origine del sistema di riferimento xys. Invece, nel caso in cui αx fosse
maggiore di zero, l‟ellisse risulterebbe ribaltata rispetto all‟asse x‟ ed il fascio risulterebbe
convergente, definendo per le particelle un comportamento opposto al caso precedente.
 βx: definisce l‟estensione spaziale dell‟ellisse. Le dimensioni spaziali del fascio nella
direzione x sono pari a α𝑥 β𝑥 .
 γx: è un termine che fornisce indicazioni circa la divergenza del fascio; infatti l‟intersezione
tra l‟asse x‟ e il punto più alto dell‟ellisse, è dato da ε𝑥 γ𝑥 .
Nello spazio delle fasi, introducendo la matrice del fascio (ζ), è possibile scrivere l‟equazione
dell‟ellisse anche in una forma diversa:
𝑥
𝜍11
𝑥′ = 𝜍
21
𝜍12
𝜍22
−1
𝑥
=1
𝑥′
(3.25)
Dato che ζ21= ζ12 possiamo scrivere:
𝜍22 𝑥 2 − 2𝜍12 𝑥𝑥′ + 𝜍11 𝑥′2 = 𝑑𝑒𝑡𝜍
(3.26)
Dal confronto tra le due forme in cui è possibile scrivere l‟equazione dell‟ellisse nello spazio delle
fasi, è possibile ricavare la relazione tra parametri di Twiss, emittanza e matrice del fascio:
𝜍11
𝜍= 𝜍
21
𝜍12
𝛽𝑥
𝜍22 = 𝜀𝑥 𝛼𝑥
𝜀𝑥 = 𝑑𝑒𝑡𝜍 =
−𝛼𝑥
𝛾𝑥
2
𝜍11 𝜍22 − 𝜍12
(3.27)
(3.28)
Indicando con R la matrice di trasferimento dal punto iniziale s0 al punto finale s e con RT la sua
trasposta, la matrice del fascio nella posizione s è legata alla matrice del fascio in s0 dalla relazione
seguente:
𝜍 = 𝑅𝜍0 𝑅 𝑇
(3.29)
3.1.3 Funzionamento del software
Trace 3-D è un programma interattivo che permette di calcolare l‟inviluppo di un fascio a pacchetti,
attraverso un sistema di trasporto definito dall‟utente. Il sistema di trasporto può essere costituito
45
dai seguenti elementi: drift, lente sottile, quadrupolo elettromagnetico (EMQ), quadrupolo a
magneti permanenti (PMQ), solenoide, doppietto, tripletto, magnete curvante, bordo angolato di
ingresso al magnete curvante, gap a RF, quadrupolo a radiofrequenza e cella RFQ, cavità a RF,
wiggler di rotazione/traslazione e ripetizione.
In accordo con la modellizzazione presentata nel paragrafo 3.1.1 e 3.1.2 il fascio è rappresentato da
una matrice 6x6 che definisce un iper-ellissoide nello spazio delle fasi in sei dimensioni. Le
proiezioni di questo iper-ellissoide su ogni piano bidimensionale è un‟ellisse che definisce il
confine del fascio in quel piano. I piani più utilizzati sono il trasverso e il longitudinale, in cui le
ellissi sono caratterizzate dai parametri di Twiss (o Courant-Snyder) e l‟emittanza. L‟assunzione
basilare in Trace 3-D è quella di considerare tutte le forze come lineari o linearizzabili. Come già
analizzato con maggiore dettaglio nei paragrafi precedenti, se le sei coordinate di una particella
sono note nella posizione s1, lungo il sistema di trasporto, allora è possibile calcolare, attraverso una
moltiplicazione delle singole matrici, le coordinate della particella nella posizione s2:
𝒙 𝑠2 = 𝑅𝒙 𝑠1
(3.30)
Dove:

x(s) è un vettore colonna (6x1) che rappresenta le coordinate alla locazione s

R è la matrice di trasferimento (6x6), i cui elementi dipendono dall‟elemento che si
interpone tra s1 ed s2
Nota la matrice di trasferimento R e la matrice del fascio in s1 (ζ), si ricava la matrice ζ nel punto s2
tramite l‟equazione sottostante:
𝜍 𝑠2 = 𝑅𝜍 𝑠1 𝑅 𝑇
(3.31)
Trace3D esegue questi calcoli tramite una sequenza di trasformazioni: parte da una matrice σ
iniziale e, ricavata la matrice di trasferimento per un breve tratto della linea di trasporto, calcola la
matrice del fascio σ nel punto finale del tratto considerato; le dimensioni del fascio vengono
ricavate dagli elementi della matrice σ. Questo processo viene iterato fino al punto terminale della
linea di trasporto prevista dal progetto [28].
Riportiamo la struttura tipica di un file in ingresso a Trace per capire i parametri che possono essere
impostati:
46
Fig.3.4 Struttura di un tipico file in ingresso a Trace3D
 Nella prima riga sono presenti: l‟energia a riposo dei protoni (938,28 MeV), la carica dei
protoni (1), l‟energia cinetica del fascio espressa in MeV (3MeV);
 Nella seconda riga vengono inseriti i valori iniziali di emittanza nel piano delle fasi x-x‟,y-y‟
(misurate in ·mm-mrad) e nel piano longitudinale (·deg-keV): εx, εy, εϕ
 Nella terza esplicitiamo i parametri di Twiss (α e β ) per l‟ellisse iniziale nei tre spazi delle
fasi ( le α sono adimensionali, mentre per βx,y e βϕ le unità sono rispettivamente mm/rad e
deg/KeV).
 Nella quarta riga inseriamo i valori voluti per i parametri dell‟ellisse alla fine della linea di
trasporto
 Nella quinta abbiamo: la frequenza della RF espressa in MHz, e il parametro (pqext) che
rappresenta di quanto si estendono i campi da ciascun bordo dei quadrupoli a magneti
permanenti (PMQs). Inoltre ICHROM tiene in conto le aberrazioni cromatiche, che tendono
ad aumentare l‟emittanza trasversale, quando un fascio non monocromatico attraversa una
lente.
 Nella sesta riga vengono inseriti dei parametri relativi alle scale dei grafici prodotti dal
software
 Nella settima riga i termini n1 ed n2 rappresentano gli elementi iniziale e finale della linea di
trasporto, mentre smax e pqsmax rappresentano l‟intervallo spaziale relativo all‟iterazione del
calcolo della matrice del fascio ζ rispettivamente negli spazi di propagazione libera e nei
quadrupoli.
 Le righe nove, dieci e undici contengono i parametri relativi al “matching”. Il software
permette infatti di progettare la linea di trasporto del fascio modificando manualmente tutti i
parametri degli elementi presenti, ad esempio per il drift la sua lunghezza, per il quadrupolo
47
lunghezza e gradiente di campo magnetico. Il matching consente all‟utente di impostare dei
vincoli, relativamente ad un certo numero di parametri, rispetto ai quali trace3d cerca la
soluzione che coincide, o si avvicina maggiormente, alle richieste dell‟utente. Trace3d
prevede diverse modalità di matching. Nel caso specifico, come è possibile osservare nella
riga nove, alla voce “mt”, è stata utilizzata la modalità 11 ossia il software esegue il
matching in relazione alle richieste fatte dall‟utente circa le dimensioni trasversali del fascio.
Il termine “nc” indica il numero di condizioni da soddisfare,e dato che le dimensioni fisiche
della linea di trasporto non possono essere modificate in maniera agevole, gli unici
parametri modificabili per eseguire il matching sono i gradienti dei quadrupoli, fatto che
deve essere evidenziato dai valori presenti alla voce “mp”. Nella riga dieci, alla voce “ijm”
vengono selezionati gli indici degli elementi della matrice ζ, l‟elemento 1-1 ed il 3-3, cioè i
raggi del fascio nel piano orizzontale e verticale. Nella riga successiva, alla voce “val”
vengono impostati i valori dei raggi del fascio nei due piani.
 Dalla riga 12 in poi vengono descritti gli elementi presenti sulla linea di trasporto del fascio.
Nel caso in esame, privo di una corrispondenza reale ma utile al solo fine di comprendere
come in Trace3D vengano caratterizzati i vari elementi, incontriamo un drift (1), questo è
descritto dalla lunghezza (eventualmente ridotta per tenere in conto l‟effetto di bordo).
Proseguendo è mostrata la caratterizzazione di un quadrupolo: il primo valore rappresenta il
gradiente di campo magnetico, mentre il secondo la lunghezza. Infine per inserire il magnete
di deflessione è necessario scrivere tre righe: due (14 e 16) rappresentano i bordi, mentre la
terza (15) la parte centrale del magnete. I bordi del magnete vengono trattati dal software
come delle lenti sottili, il primo parametro indica l‟angolo formato dal fascio con il bordo
del magnete, il secondo parametro il raggio di curvatura del magnete, mentre il terzo termine
indica la distanza tra i poli del magnete, il segno meno è una convenzione che manifesta il
cambiamento di configurazione da orizzontale a verticale. La riga relativa al magnete di
deflessione invece richiede in ordine i seguenti parametri: l‟angolo imposto dal magnete alle
particelle, il raggio di curvatura del magnete, ed un quarto termine, chiamato vertical flag,
uguale a zero nel caso in cui il fascio rimane nel piano orizzontale, ad uno se il fascio, come
nel nostro caso, passa dal piano orizzontale a quello verticale.
48
Nel nostro caso gli elementi presenti nelle linee di trasporto del fascio di protoni sono: quadrupoli
elettromagnetici (EMQ), quadrupoli a magneti permanenti (PMQ), il magnete di deflessione
verticale e naturalmente gli spazi di drift interposti.
3.2 Trasporto del fascio nella materia: codice SRIM. Modello fisico ed utilizzo del codice.
3.2.1 Interazione dei fasci di ioni con la materia
I fasci di ioni sono utilizzati in radioterapia principalmente in due modi [29-30]: come uno
strumento per produrre radioisotopi e come radiazione per uccidere cellule cancerogene nei tumori.
In entrambi i casi il fascio di ioni interagisce con la materia. Questa interazione comprende molti
processi fisici e biologici che alterano i parametri del fascio incidente e quelli del target. Alcune di
queste interazioni risultano particolarmente importanti per applicazioni mediche:
Alterazione dello stato della carica
La velocità della particella è il principale elemento che influenza il suo stato di carica. Se infatti la
velocità della particella è maggiore della velocità con cui orbitano gli elettroni della particella
stessa, gli elettroni verranno persi. In particolare, alle basse (alte) velocità si perdono gli e - degli
strati più esterni (interni). La carica effettiva (Zeff) può essere approssimata attraverso delle formule
semi-empiriche:
2
𝑍𝑒𝑓𝑓 = 𝑍 1 − 𝑒
−125𝛽𝑍 3
(3.32)
Dove Z è il numero di protoni del proiettile, e β è la velocità del proiettile in termini di c (velocità
della luce nel vuoto). La variazione della carica del proiettile influenza il processo di perdita
d‟energia (infatti nella Bethe- Bloch compare la dipendenza dal numero atomico del materiale).
Emissione di elettroni
La frazione principale di energia depositata dal “proiettile” nel materiale è convertita in energia
cinetica degli elettroni liberati; questo contributo alla perdita di energia è noto come “the electronic
stopping”.
Scattering nucleare elastico
Se il “proiettile” e i nuclei del target sono sufficientemente vicini, avviene un urto elastico tra i
nuclei. La situazione può essere analizzata, seguendo la meccanica classica, applicando la
conservazione del momento e dell‟energia, che conduce alla relazione:
49
E1=KE0, l‟energia cinetica della particella immediatamente dopo la collisione (E1) e quella prima
della collisione (E0), sono legate attraverso il fattore cinematico K:
2
𝐾=
𝑀22 −𝑀12 𝑠𝑒𝑛 2 𝜃+𝑀1 𝑐𝑜𝑠𝜃
𝑀1 +𝑀2
(3.33)
M1 ed M2 sono rispettivamente la massa del proiettile e del nucleo (target), mentre sigma è l‟angolo
di diffusione del proiettile. Questo contributo alla perdita di energia è chiamata “the nuclear
stopping”.
Perdita di energia
Ricordate le principali componenti della perdita di energia, introdotte per tener conto
dell‟interazione tra proiettile- elettroni e nuclei del mezzo, proseguiamo presentando lo “Stopping
Power”.
Nel momento in cui una particella carica attraversa un mezzo provoca una sequenza di collisioni, se
invece si analizza l‟attraversamento da parte di un fascio di particelle la sequenza di collisioni segue
una variabilità stocastica. Lo “stopping power” (S(E)) è utile per quantificare in termini
macroscopici (valori medi) la perdita di energia della particella per unità di percorso nel mezzo:
𝑑𝐸
∆𝐸
𝑆 𝐸 = − 𝑑𝑥 = lim∆𝑥→0 ∆𝑥 = 𝑆𝑒 𝐸 + 𝑆𝑛 𝐸
(3.34)
∆E rappresenta la media di energia persa per unità di percorso della particella che attraversa il
mezzo assorbente. Entrambe le componenti dello “stopping power”, riportate nella relazione 3.34,
sono funzione dell‟energia iniziale del “proiettile”. Ad esempio possiamo osservare nella figura
sottostante l‟andamento dello stopping power dei protoni in acqua in funzione della loro energia
cinetica:
Fig.3.5 Andamento dello “stopping power” in funzione dell’energia del protone
50
Distinguiamo diverse zone:

B-B: quando la particella proiettile ha una velocità elevata, se comparata a quella degli
elettroni del target, essa perderà la maggior parte della sua energia cinetica per “electronic
stopping”. La zona che si viene ad evidenziare è chiamata regione di Bethe- Bloch.

LSS: se la particella incidente ha una bassa velocità la principale causa di perdita è il
“nuclear stopping”, e ci troviamo nella regione di Lindhard-Scharf-Schiott (LSS).

Il massimo dello “stopping power” è localizzato tra la regione di Bethe- Bloch e quella di
Lindhard-Scharf-Schiott, mentre il minimo (MIP: “the minimum ionizing particle”) è posto
oltre la porzione ad alta energia della regione di Bethe-Bloch. Da questo punto in poi
abbiamo un incremento nell‟andamento dello stopping power dovuto agli effetti relativistici.
Per la radioterapia con gli ioni, la regione di Bethe- Bloch è quella in cui, scegliendo appositamente
l‟energia del fascio, si sceglie di lavorare. Come già affermato, in questa zona lo “stopping power”
è dominato dall‟ “electronic stopping”:
1
𝑆𝑒 𝐸 = 4𝜋𝜀 2 𝑚
0
𝑍12 𝑒 4
𝑒𝑙 𝛽
2𝑐2
𝑁𝑍2 𝐵
(3.35)
Picco di Bragg:
A causa dei processi di perdita d‟energia, la particella decresce la sua energia aumentando la
profondità di penetrazione nel target. L‟andamento dello “stopping power” in funzione della
profondità di penetrazione è chiamata curva di Bragg. Inizialmente l‟energia decresce con una
pendenza costante, questo corrisponde al plateau iniziale della curva di Bragg. Avvicinandosi al
range, l‟energia decresce in maniera sempre più evidente; questo corrisponde al picco di Bragg.
Esiste comunque una differenza (causata dallo straggling) tra la curva di Bragg corrispondente ad
una singola particella o ad un fascio di particelle.
Fig.3.6 Andamento dell’ Energia in funzione della profondità (traccia continua) e dello Stopping power (traccia tratteggiata)
51
Range
La particella carica si muove nel mezzo finchè essa perde tutta la sua energia cinetica; la distanza
percorsa è chiamata range (R). Il range può essere valutato direttamente dalla definizione dello
“stopping power”:
𝑑𝐸
𝑑𝐸
𝑆 𝐸 = − 𝑑𝑥 ; 𝑑𝑥 = − 𝑆(𝐸) ; 𝑅 =
𝑅
𝑑𝑥
0
=
𝐸0 1
𝑑𝐸
0 𝑆(𝐸)
(3.36)
Range e stopping power possono essere valutati tramite il codice SRIM (cfr. paragrafo 3.2.2).
La figura successiva mostra come, in funzione dell‟energia cinetica di diversi tipi di ioni, varia il
range in acqua.
Fig.3.7 Andamento del Range in acqua per diversi tipi di ioni
Come anticipato, ogni particella del fascio definisce una sequenza specifica di collisioni, che rende
l‟interazione un processo stocastico. Lo stopping power ed il range definiti nelle equazioni 3.34 e
3.36 si riferiscono ad una particella fittizia rappresentativa della media di quelle del fascio. Nel caso
di un fascio di ioni, ogni particella ha la propria “storia” in termini di perdita di energia e range.
Nel caso in cui si valuti attraverso SRIM Monte Carlo l‟interazione del fascio con il mezzo, il range
R viene considerato attraverso il “projected range”:
1
𝑅=𝑁
𝑁
𝑖=1 𝑆𝑖
(3.37)
dove si è la profondità a cui l‟i-esima delle N particelle viene arrestata.
Lo straggling ( ζR) è definite come la radice quadrata della dispersione della distribuzione dal range:
52
𝜍𝑅 =
1
𝑁
𝑁
𝑖=1(𝑆𝑖
− 𝑅)2
(3.38)
A causa dello straggling relativo al range, ogni particella non deposita la sua energia in un'unica
posizione, ma in un intorno di essa. Questo fa si che il picco di Bragg corrispondente all‟intero
fascio di particelle sia una sovrapposizione dei picchi di Bragg corrispondenti alle singole particelle.
3.2.2 Descrizione del codice SRIM
Il software scritto da J.F. Ziegler, J.P. Biersack e M.D. Ziegler, il cui nome è l‟ acronimo di
Stopping and Range of Ions in Matter [32], è basato su un metodo di calcolo Monte Carlo,
nell‟approssimazione della collisione binaria (binary collision approximation, BCA).
Fig.3.8 Modello fisico BCA
Il modello fisico dell‟approssimazione della collisione binaria è raffigurato in fig. 3.8. Secondo il
modello BCA, la traiettoria di uno ione incidente nel mezzo è approssimata da un percorso
poligonale, per tenere conto delle collisioni cui lo ione va incontro. Lo ione, dopo l‟urto si può
muovere lungo un percorso libero λ definito dalla distanza atomica media del mezzo attraversato. Il
parametro d‟urto è inteso come la distanza tra la retta individuata dalla velocità della particella
incidente ed il centro della particella bersaglio della successiva (i+1) collisione nucleare. Il software
sceglie questo parametro casualmente mediante la relazione:
𝑝 = 𝑝𝑚𝑎𝑥 𝑟
(3.39)
53
dove p rappresenta il parametro d‟ urto della collisione i+1-esima, pmax è il parametro caratteristico
dell‟urto centrale (la retta associata alla velocità della particella incidente passa per il centro del
bersaglio) ed r è un numero casuale scelto nell‟intervallo [0,1].
La simulazione permette di calcolare la distribuzione degli ioni all‟interno del mezzo scelto ed in
particolare l‟andamento delle traiettorie degli ioni nella materia. In fig. 3.8, si possono osservare le
traiettorie compiute dai protoni nel mezzo, nel piano xy, dove x rappresenta la coordinata lungo la
quale avanzano gli ioni. Si noti come ciascuna particella subisca delle deviazioni nell‟avanzare nel
mezzo e le dimensioni del fascio aumentino.
SRIM consta di due moduli principali:
Fig.3.9 La schermata iniziale di SRIM permette di scegliere se accedere al modulo “Stopping/Range table” oppure al
“Trim Calculation”.
1) “Stopping/Range table”: mostra una tabella con i valori dello stopping e del range per i
singoli ioni che attraversano il volume del target monostrato;
2) “TRIM Calculation”: simula il trasporto degli ioni nella materia
impiegando una
trattazione di meccanica quantistica per le collisioni che avvengono tra ioni e atomi, mentre
prevede la possibilità di target composti da più strati di materiali diversi.
Prima di lanciare la simulazione, Monte Carlo “Trim Calculation”, permette all‟utente di specificare
tra i parametri:
- il numero e il tipo di ioni
- l‟ energia iniziale e l‟angolo di incidenza con il target
- la struttura e lo spessore del target
54
E‟ anche possibile selezionare il file di uscita che si richiede di generare a SRIM:
- la struttura e lo spessore del target
- la distribuzione degli ioni e di tutti gli atomi che si muovono dalle loro posizioni originali
(detti recoil atoms)
- la concentrazione di vacanze
- l‟energia persa attraverso ionizzazione o produzione di fononi
- informazioni relative al fenomeno di sputtering
- ioni trasmessi e retro diffusi
Se lo spessore del target è maggiore del range degli ioni, gli ioni vengono fermati nel volume del
target e SRIM procede al calcolo dello stopping e la distribuzione del range. La figura successiva
mostra un esempio di simulazione effettuata con SRIM sia nel caso in cui la lunghezza del target
risulti maggiore del range degli ioni, che in quello opposto (target sottile) in cui gli ioni possono
attraversarlo: ioni trasmessi.
Fig.3.10 Output fornito da SRIM “Trim Calculation” nel caso in cui la lunghezza del target sia maggiore (sinistra) o minore (destra)
rispetto al range del fascio di protoni.
Il software, anche grazie alla sua facile interfaccia grafica e della sua rapidità di calcolo rispetto a
codici Montecarlo piu‟ completi e complessi (FLUKA [33], GEANT4 [34] ) , è particolarmente
usato nel suo ambito. Tuttavia sono presenti importanti limitazioni, infatti non si tiene conto:
- della struttura cristallina dei materiali (il bersaglio viene quindi considerato amorfo)
- dei cambiamenti della struttura in seguito al bombardamento, infatti, nella simulazione ogni ione
va ad interagire sempre con una struttura identica a quella di partenza
- della ricombinazione di vacanze ed atomi interstiziali
- generazione di particelle secondarie (neutroni,etc…)
55
3.3.3 Descrizione ed esempi applicativi del “tool” di supporto SSSM.
SSSM supera alcune limitazioni del codice SRIM standard e collega SRIM ai convenzionali
formalismi dell‟ottica per gli ioni. Quindi SSSM combina la simulazione Monte Carlo di SRIM, di
un fascio che attraversa la materia, con il trasporto convenzionale del fascio attraverso elementi
ottici, mediante i due concetti base, definiti nei paragrafi 3.1.1 e 3.1.2, di matrice di trasferimento e
matrice “sigma” del fascio.
A differenza di TRACE3D che descrive il trasporto del fascio nel suo insieme tramite l‟evoluzione
della matrice sigma, SSSM simula il fascio come un insieme di singole macroparticelle,descrivendo l‟evoluzione della distribuzione delle particelle stesse
e
rilevando le
eventuali perdite durante il trasporto. Le particelle sono generate in maniera “random” all‟interno
dello spazio delle fasi tramite la definizione statistica degli elementi della matrice sigma che
descrive il fascio nel suo insieme e vengono poi trasportate nel vuoto applicando alle coordinate di
ciascuna particella la matrice di trasferimento dell‟elemento ottico attraversato (quadrupoli,spazi di
drift,collimatori…) e nella materia tramite i moduli di SRIM. Tale approccio è riassunto
schematicamente nel riquadro seguente.
Trasporto del fascio tramite SSSM e SRIM
1. Generazione delle particelle (definizione delle coordinate delle macro-particelle
attraverso la definizione della matrice sigma, secondo una particolare distribuzione
assegnata)
(3.40)
2. Evoluzione delle coordinate delle particelle nel vuoto: matrici di trasferimento
(3.41)
dove x,y,z, sono le posizioni assunte dalla particella longitudinalmente, orizzontalmente
e verticalmente.
3. Evoluzione del fascio nella materia: codice Montecarlo TRIM
56
SSSM contiene dunque i seguenti moduli: valutazione statistica (1), trasporto del fascio (2) e
generazione del fascio (3).
1) Moduli statistici:
Dato che i parametri dello stopping ed il range non sono ben definiti per la trasmissione attraverso
lo strato sottile anziché valutare i loro valori SRIM crea un file di output TRANSMIT.TXT per
scrivere e conservare gli altri parametri degli ioni riguardanti le posizioni e vettori velocità degli
ioni che hanno appena attraversato il volume del target.
I moduli in esame permettono una valutazione statistica dei parametri del fascio dopo il passaggio
attraverso un target sottile (dove sottile significa minore del range della particella). Le
caratteristiche delle particelle trasmesse vengono registrate da SRIM in TRASMIT.TXT file
(fig.3.11)
Fig.3.11 TRASMIT.TXT file
SSSM legge il file TRASMIT.TXT e crea un‟analisi statistica dell‟energia, dei momenti, delle
posizioni e degli angoli. Notiamo inoltre che sarebbe possibile anche convertire il file TRASMIT.TXT
in un file TRIM.DAT che diventerebbe così importabile in SRIM.
Un‟altra opzione permette il filtraggio di particelle superiori ad una certa soglia di un parametro
scelto tra energia (fig.3.12), posizione ed angolo. La soglia è specificata rispetto alla deviazione
standard della distribuzione statistica di quei parametri. Un collimatore può essere rappresentato
utilizzando questo strumento, filtrando le particelle che superano la sua apertura.
57
Fig. 3.12: mostra la distribuzione delle particelle in funzione dell’energia prima (sinistra) e dopo (destra) il filtraggio. Nel caso
mostrato in esame vengono filtrate 21013 particelle su un totale di 60000.
2) Modulo di trasporto del fascio:
Questo modulo calcola e mostra, dalle coordinate delle singole particelle, l‟emittanza del fascio e la
matrice sigma. Inoltre permette, in accordo con l‟equazione 3.41, il calcolo della matrice di
trasferimento. Il modulo è tipicamente utilizzato per simulare il passaggio del fascio attraverso fogli
diversi separati da elementi ottici [35].
Fig.3.13 In ordine: lo spazio delle fasi orizzontale, verticale e lo spazio reale.
Fig.3.14 Mostra la matrice σ (sinistra) e la matrice di trasformazione del fascio (destra)
58
3) Modulo per la generazione del fascio:
Per impostazione predefinita SRIM Monte Carlo utilizza un fascio puntiforme, ad emittanza zero,
mono energetico, senza dispersione. In alcuni casi questo può non essere un modello
sufficientemente accurato. Il modulo per la generazione del fascio supera questa approssimazione
consentendo all‟utente di specificare le dimensioni del fascio nello spazio delle fasi, lo spread di
energia, l‟emittanza del fascio, le dispersioni e le distribuzioni statistiche. I parametri del fascio,
inclusa l‟emittanza, possono differire nel piano verticale ed orizzontale, cioè possono essere gestiti
fasci asimmetrici e questo è di interesse per fasci medicali [36]. Il modulo calcola il confine del
fascio nello spazio delle fasi e lo riempie in modo casuale da particelle che seguono una specifica
distribuzione statistica (Gaussiana o uniforme). Inoltre alle particelle viene fornita un energia che
segue una distribuzione caratterizzata dal valore medio dell‟energia e dallo “spread” di energia;
infatti l‟energia della particella è traslata nella sua deviazione relativa rispetto al momento di
riferimento po (che corrisponde all‟energia media) e la posizione della particella nello spazio delle
fasi è modificata in accordo con la funzione di dispersione D. Lo shift D(∆p/po) è aggiunto alla
posizione iniziale della particella e l‟angolo (dD(∆p/po)/dx) è aggiunto alla divergenza iniziale. Le
coordinate modificate della particella sono registrate nel file TRIM.DAT.
In figura 3.15 è mostrata la sezione di SSSM in cui è possibile generare il fascio di protoni con le
caratteristiche volute. I valori inseriti si riferiscono al caso in cui si voglia simulare un fascio che
abbia le stesse caratteristiche, in termini di parametri di Twiss ed emittanza, rispetto a quello in
uscita dal magnete di deflessione verticale (cfr. paragrafo 4.2). Oltre a specificare il numero, il tipo
e l‟energia delle particelle che si intende simulare sono richiesti anche: lo spostamento orizzontale
(x) e verticale (y) delle varie particelle rispetto all‟asse centrale di propagazione, le massime
divergenze rispetto agli assi orizzontale (x‟max) e verticale (y‟max) e la larghezza della distribuzione
di energia (∆E). Come nel caso dello spostamento si è scelto per divergenza ed energia delle
particelle una distribuzione di tipo Gaussiana (anziché uniforme), con deviazione standard
corrispondente a: x‟max/2, y‟max/2 e ∆E/2.
59
Fig.3.15 Screenshot della sezione utilizzata per la generazione del fascio di protoni da 3 MeV. Nella tabella in figura sono
riportate le caratteristiche del fascio in uscita dal magnete di deflessione verticale.
Nella schermata utilizzata in SSSM per generare il fascio, differentemente da Trace3D in cui sono
indicate con x ed y, le direzioni nel piano trasverso sono y e z.
Una volta generato il fascio, al fine di verificarne la correttezza, ne è stato confrontato lo spazio
delle fasi, orizzontale e verticale, con quello del fascio in uscita da Trace (fig. numero sotto).
Fig. 3.16 Confronto tra spazio delle fasi orizzontale e verticale, relativo al fascio in uscita dal magnete a 90°, simulato con
Trace3D o generato con SSSM.
60
Inoltre si è verificato il corretto trasporto attraverso il drift da parte di SSSM. A tal fine è stata
confrontata l‟uscita di SSSM, ottenuta dopo aver impostato la matrice di trasferimento, con quella
di un programma implementato in MATLAB (Appendice A.5.).
Fig. 3.17 Il programma implementato in MatLab permette di ricavare in uscita la posizione trasversa delle varie particelle dopo
aver attraversato il drift di prefissata lunghezza. Questo sfrutta in ingresso una matrice, ricavata da SSSM, che tiene conto delle
informazioni relative a dY/dX e dZ/dX.
Infine si è proceduto, al fine di simulare la presenza di un collimatore, ad esempio circolare, ad
operare con SSSM un filtraggio rispetto alla posizione delle particelle che costituiscono il fascio. In
SSSM è infatti possibile filtrare le particelle, rispetto alla loro distanza dal centro, scegliendo un
valore compreso tra 0.001 e 1000 volte la deviazione standard della loro distribuzione. Questo
filtraggio risulta tuttavia poco adatto per simulare un collimatore circolare, infatti così facendo,
verranno escluse, oltre alle particelle più lontane del raggio del collimatore, anche quelle che si
trovano ad una distanza inferiore. Questa circostanza è stata confermata andando ad implementare
in MATLAB un programma (Appendice A.6) che mostri la distribuzione ed il numero di particelle
rimanenti dopo il passaggio attraverso il collimatore (fig.3.18).
61
Fig.3.18 Nella parte sinistra della figura sono mostrate le posizioni trasverse delle particelle prima che attraversino un
collimatore di 2mm di diametro (figure superiori) ed 1 mm di diametro (figura inferiore) rispettivamente. Nella porzione di
destra invece sono rappresentate le posizioni delle particelle dopo la collimazione. Si passa da 60000 a 857 protoni nella prima
collimazione e da 857 a 90 protoni nella seconda collimazione.
62
Capitolo 4- Trasporto del fascio: simulazioni e test sperimentali.
4.1 Simulazione del fascio orizzontale
In questo paragrafo vengono presentati i risultati di uno studio effettuato attraverso l‟ausilio di
diverse simulazioni condotte con Trace3D, finalizzato a stabilire i limiti in cui, intervenendo sui
gradienti dei quadrupoli, è possibile variare la forma della spot del fascio in condizioni di magnete
di deflessione verticale spento (ossia sulla linea orizzontale).
Nella tabella seguente viene evidenziata, nel caso di diversi valori desiderati (matching 11) per le
dimensioni trasverse della spot, l‟esistenza o meno di valori dei gradienti della prima coppia di
quadrupoli, tali da restituire proprio le dimensioni volute.
Fig. 4.1 Input di TRACE3D nel caso di simulazione del fascio orizzontale a 3MeV
Dimensioni cercate Dimensioni ottenibili
G1(T/m)
G2(T/m)
I1(s.u.) I2(s.u.)
rx(mm)
ry(mm)
rx(mm)
ry(mm)
6.5
6.5
6.5
6.5
- 4.52461
2.50230
19.385
10.72
5
5
5
5
- 6.73880
5.92743
28.871
25.39
3
3
3
3
- 10.4921 10.12874
44.95
43.39
2
2
2.401
2.403
- 9.86006 10.68334
42.24
45.77
1
1
2.401
2.403
- 9.79840 10.66725
41.98
45.70
Tab.4.1 Valori dei gradienti e delle correnti dei due quadrupoli necessari ad ottenere le dimensioni della spot più vicine a quelle
cercate
63
In merito alle grandezze che compaiono nella tabella notiamo che:
-
le dimensioni trasverse volute per il fascio (prima e seconda colonna di tab. 4.1), dimostrano
la ricerca di una spot priva di eccentricità e, concordemente con le dimensioni previste dai
campioni biologici da irradiare [37], il primo valore per eseguire il matching è di 6.5mm;
-
per passare da correnti in parti per milioni (“supply units”, unità che vengono impostate
sugli alimentatori dei quadrupoli in sala controllo) ai valori dei gradienti, caratterizzanti il
primo e il secondo quadrupolo, in T/m occorre moltiplicare per il fattore 0.233413;
-
si riesce ad ottenere un fascio con eccentricità unitaria fino ad un raggio di 2.401mm. Al di
sotto di questa dimensione si riscontrano difficoltà ad ottenere un fascio di forma circolare e
risulta indispensabile favorire la focalizzazione in una direzione del piano trasverso piuttosto
che nell‟altra.
Eseguita la simulazione il software restituisce tre tipologie di grafici:
1. i grafici in alto a sinistra rappresentano l‟emittanza orizzontale (blu), verticale (rosso) e
longitudinale (verde) del fascio nella posizione iniziale della linea di trasporto,
2. i grafici in alto a destra rappresentano l‟emittanza orizzontale, verticale e, in basso,
longitudinale del fascio nella posizione finale della linea di trasporto,
3. il grafico in basso rappresenta lo sviluppo del fascio lungo l‟intera linea di trasporto, dove le
linee rappresentano gli spazi di propagazione libera, i due rettangoli più piccoli i quadrupoli,
il rettangolo grande il magnete di deflessione verticale e le linee blu e rosse le dimensioni,
rispettivamente orizzontale e verticale, assunte dal fascio lungo la linea.
Nella figura 4.2 si può in particolare osservare l‟evoluzione del fascio nel caso di fascio tondo di
raggio 2,401 mm con eccentricità unitaria.
64
Fig.4.2 Simulazione eseguita con Trace, relativa all’evoluzione del fascio nel caso di fascio tondo (raggio 2,401 mm) ed
eccentricità unitaria
Riportiamo infine, in fig.4.3, la simulazione relativa all‟evoluzione del fascio nel caso in cui non si
intervenga con i quadrupoli, cioè mantenedo i gradienti dei due quadrupoli nulli (fascio “nature”).
In questa circostanza infatti è stata ricavata sperimentalmente (par. 4.3) la forma della spot del
fascio.
Fig.4.3 Simulazione relativa all’evoluzione del fascio “nature”, cioè mantenendo nulli i valori dei gradienti per i due quadrupoli
65
Avvalendosi di Trace3D si sono condotte inoltre delle simulazioni, sempre nel caso di fascio
orizzontale a 3MeV, al fine di valutare, rispetto alle dimensioni della spot ottenibili intervenendo
solo su due quadrupoli, il vantaggio nell‟uso di quattro quadrupoli.
Fig.4.4Input di Trace3D nel caso di quattro quadrupoli.
Ricercando per la spot le stesse dimensioni richieste nel caso in cui si disponeva di soli due gradi di
libertà, si ricava:
Dimensioni cercate
Dimensioni ottenibili
rx(mm)
ry(mm)
rx(mm)
ry(mm)
6.5
6.5
6.4671
5
5
3
G1(T/m)
G2(T/m)
G3(T/m)
G4(T/m)
6.4761
-8.65444
8.97658
-8.60855
11.81060
5.0364
4.9381
-8.19326
8.25198
-8.08239
11.71591
3
3.0486
3.0259
-8.08564
5.71968
-7.67415
10.52547
2
2
1.9943
2.0238
-9.45659
8.75161
-7.59178
10.43724
1
1
0.9792
0.9764
-10.5827
6.66002
-7.22170
8.97050
Tab.4.2
La tabella 4.2 mostra che, disponendo di quattro gradi di libertà, è possibile ottenere un diametro
minimo della spot, privo di eccentricità, di 0.98 mm, largamente inferiore a quello (2.401mm)
ricavabile da due soli quadrupoli. Questo dimostra, rispetto al caso con due quadrupoli, la maggiore
possibilità nel controllo del fascio all‟interno della linea di trasporto.
66
Fig.4.5 relativa alla simulazione a cui corrisponde la minima dimensione della spot circolare.
Se tentassimo di focalizzare il fascio per ottenere una spot di raggio inferiore al valore di 0.98 mm,
osserveremmo (fig. 4.6) che questo, in direzione verticale, supererebbe i 20 mm di raggio del canale
di propagazione libera e quindi parte del fascio andrebbe ad urtare le pareti della linea di trasporto.
Fig.4.6 La simulazione mostra che in direzione verticale (traccia rossa) il fascio supererebbe le dimensioni del canale, e quindi
urterebbe le pareti della linea di trasporto
67
4.2 Simulazione del fascio verticale:
Il calcolo parte dall‟uscita dell‟iniettore, le cui condizioni sono quelle misurate sperimentalmente in
[38]; il fascio viene guidato dai due quadrupoli iniziali, entra nel magnete e viene curvato in
verticale.
Fig.4.7Input di Trace3D nel caso del magnete di deflessione verticale
Dall‟andamento relativo allo sviluppo del fascio lungo la linea di trasporto (fig.4.8), osserviamo che
la presenza del magnete di deflessione comporta un aumento di emittanza nel piano di curvatura di
circa un fattore 4. Mentre la linea rossa tende ad allontanarsi dall‟origine, dimostrando un
incremento delle dimensioni verticali del fascio, quella blu mostra invece una diminuzione delle
dimensioni orizzontali. Questa circostanza trova giustificazione nel fatto che il magnete di
deflessione verticale contribuisce alla focalizzazione orizzontale producendo quindi nel verticale
una defocalizzazione. La causa di questo comportamento, dei magneti di deflessione in generale,
risiede nel fatto che non tutte le particelle possiedono la medesima energia nel momento in cui si
affacciano all‟ingresso del magnete; essendo la curvatura imposta dal magnete proporzionale
all‟energia della singola particella, particelle di energia diversa compiranno traiettorie con raggi
diversi.
68
Fig.4.8 Simulazione del trasporto del fascio in presenza dei due quadrupoli e del magnete di deflessione verticale
Eseguendo diverse simulazioni volte a mettere in evidenza l‟effetto del magnete dipolare
sull‟evoluzione del fascio, si evince una notevole difficoltà nel controllo delle dimensioni lungo la
direzione y del piano trasverso. La minima dimensione che può essere garantita risulta infatti essere
26.6181mm. Nella direzione x invece il software mostra la possibilità di variare le dimensioni fino
ad un minimo di 1.008 mm, sacrificando tuttavia le dimensioni in y, che incrementeranno sino a
34.7023mm.
Fissando il minimo valore per le dimensioni del fascio in y è stato anche ricavata la minima
dimensione ottenibile in x. Per valori superiori o uguali a rx a 1.5mm le simulazioni mostrano un
matching perfetto, matching che non è altrettanto soddisfatto nel caso si scelga rx di 1mm (tab.4.3).
Dimensioni cercate
Dimensioni ottenibili
rx(mm)
ry(mm)
rx(mm)
ry(mm)
2
26.6181
2
1.5
26.6181
1
26.6181
G1(T/m)
G2(T/m)
I1(s.u.)
I2(s.u.)
26.6181
-4.26724
-0.03196
18.28
0.1369
1.5
26.6181
-3.72457
-1.14705
16
4.914
1.1398
30.3337
-6.35209
-1.47688
27.21
6.327
Tab.4.3
69
4.3 Test sperimentali
In questo paragrafo vengono trattati diversi test sperimentali condotti al fine di ottimizzare
l‟efficienza nel trasporto del fascio sia all‟interno della linea di trasporto orizzontale che verticale
prima e dopo l‟installazione del secondo doppietto di quadrupoli.
Linea con quadrupoli Q1 e Q2
Inizialmente è stato eseguito un confronto tra il segnale di corrente ricavato in uscita dalla linea
orizzontale caratterizzata dalla presenza della sola coppia iniziale di quadrupoli e in uscita dalla
linea verticale (primi due quadrupoli e magnete di deflessione verticale on) (1).
1) Al fine di ottimizzare il trasporto del fascio sino all‟uscita della linea verticale, sono stati
confrontati i segnali di corrente raccolti da due bandierine posizionate rispettivamente in
corrispondenza dell‟uscita del fascio orizzontale (dopo i primi 2 quadrupoli) e del verticale. La fig.
4.9 mostra l‟andamento sull‟oscilloscopio nel caso venga intercettato il fascio orizzontale, segnale
di colore bianco, e il verticale, segnale giallo. Notiamo che i due valori di tensione variano nel
tempo evidenziando a regime una differenza di circa 1 mV. Mantenendo lo stesso valore per la
tensione di estrazione (27KV), si è proceduto a variare le supply unit per i due quadrupoli e la
corrente di alimentazione del magnete verticale al fine di ottenere due segnali coincidenti (nessuna
perdita nella deflessione verticale). Questa condizione, mostrata in fig.4.10, si è ottenuta per i
seguenti valori:
Q1 [ supply unit ]
Q2 [ supply unit ]
I magnete 90° [A]
Linea orizzontale
20
6
0
Linea verticale
30
17
190
Tab.4.4 Condizioni che soddisfano la coincidenza tra segnale in uscita dalla linea orizzontale e verticale
70
Fig. 4.9 Segnali proporzionali alla carica del fascio di protoni. Traccia bianca (fascio orizzontale), traccia gialla (fascio verticale)
Fig.4.10 Segnali proporzionali alla carica del fascio di protoni. Traccia bianca (fascio orizzontale), traccia gialla (fascio verticale)
utilizzando i valori di tabella 4.4
Sperimentalmente è stato possibile rilevare il valore di corrente di alimentazione del magnete per
ottenere la deflessione del fascio di 90°. A tal fine il magnete viene alimentato con 192 A per una
energia del fascio prodotto dall‟iniettore di 3 MeV (DTL off). Il generatore di corrente è un HP
9350, controllabile sia in tensione che in corrente, remotizzabile con un segnale in tensione 0-10 V,
raffreddato ad aria forzata; nel nostro caso ci siamo avvalsi di un alimentatore in c.c. La corrente
che infatti circola nelle spire del magnete provoca riscaldamento per effetto Joule, e quindi un
incremento di temperatura a cui corrisponde un incremento della resistenza. Associata alla
variazione di resistenza si ha il decremento di corrente. Quindi è necessario utilizzare un generatore
71
a corrente costante e non in tensione [39], altrimenti si dovrebbero monitorare anche eventuali
variazioni di corrente. Attraverso una telecamera, posta all‟uscita della bocca dell‟iniettore, si
visualizza la spot del fascio che si propaga, in condizioni di corrente d‟alimentazione nulla, nel
piano orizzontale. In fig.4.11 viene evidenziata la variazione della spot del fascio orizzontale al
variare delle supply unit dei due quadrupoli; nella situazione “a” la spot è ottenuta senza l‟utilizzo
dei quadrupoli, nella “b” si tende a focalizzare il fascio nel piano orizzontale, mentre nella “c” si
interviene sia con una focalizzazione nel piano verticale che nell‟orizzontale.
Fig.4.11Forma della spot osservata in uscita dalla linea di trasporto orizzontale (cioè con magnete 90° spento ) al variare delle
supply unit dei due quadrupoli.
Variando la corrente di alimentazione del magnete di deflessione, la spot del fascio scompare dalla
telecamera e viene registrata, in corrispondenza di circa 190 A, da una seconda telecamera posta in
corrispondenza dell‟uscita verticale del magnete (fig.4.12).
Fig.4.12 Il quadrupolo Q1 (Q2) permette una focalizzazione verticale (orizzontale) del fascio, con conseguente defocalizzazione
nel piano orizzontale (verticale). Tutte le spot sono ricavate per un valore della corrente di alimentazione di circa 190 A. I valori
dei quadrupoli impostati nei primi due casi in figura sono rispettivamente: 25-15 e 33-19 (supply unit).
Linea con quadrupoli Q1,Q2,Q3,Q4
Sono stati eseguiti dei test sulla linea orizzontale per:
1) controllare la corretta polarità dei quattro quadrupoli
2) minimizzare le dimensioni finali del fascio ed ottenere contemporaneamente un fascio tondo
72
3) misurare la corrente alla fine della linea LEBT in funzione della tensione sulla einzel lens
senza diaframma in uscita
4) massimizzare la corrente all‟interno di un diaframma di 4mm di diametro (5).
1) Il controllo della polarità dei quattro quadrupoli è stato effettuato andando ad osservare l‟effetto
sul fascio di protoni di ogni singolo magnete. In accordo con le simulazioni condotte nel paragrafo
4.1 i quattro quadrupoli permettono rispettivamente una focalizzazione nel piano: verticale (-),
orizzontale (+), verticale (-), orizzontale (+).
2) Nella ricerca della spot di dimensioni più piccole possibili e di forma circolare, si sono potuti
ricavare due setting per i quattro quadrupoli (tab.4.5):
Setting
Q1
(Supply
units %)
Q2
(Supply
units %)
Q3
(Supply
units ,%)
Q4
(Supply
units ,%)
G1 (T/m)
G2 (T/m)
G3 (T/m)
G4 (T/m)
1
2
-44
-45
30
30
-33
-33
40
39
-10.2702
-10.5036
7.002392
7.002392
-7.70263
-7.70263
9.336523
9.10311
Tab.4.5 Setting ottimali per i quattro quadrupoli per ottenere una spot di dimensioni più piccole possibili e di forma circolare
Questi valori, prossimi a quelli individuati nella simulazione effettuata con Trace3D (par.4.1), sono
ottenuti in corrispondenza di un valore per la tensione di estrazione e per la tensione sulla lente
unipolare di 26 kilovolt.
Fig.4.13 Immagini della spot ottenuta con Vextr =26kV, setting 2 dei quadrupoli e Vlente=26kV.
3) Per poter misurare anche bassi livelli di corrente non leggibili direttamente dall‟oscilloscopio su
50 ohm come rapporto tra tensione e resistenza si è proceduto effettuando una calibrazione. A tal
fine, per avere un valore di corrente trasportata più elevato, tale da definire un segnale leggibile
direttamente dall‟oscilloscopio, si è proceduto impostando i valori della tensione sulla lente
73
monopolare e della tensione di estrazione a 29 kV. Dall‟oscilloscopio si ricava un valore di tensione
𝑉
pari a 320 μV e quindi un valore di corrente 𝐼 = 𝑅 =
320 10 −6
50
= 6.4 𝜇𝐴 .
Andando quindi a misurare (fig. 4.14) la larghezza a mezza altezza otteniamo la durata dell‟impulso
(η = 37 μs) da cui è possibile ricavare la carica:
Fig.4.14 Screenshot dell’oscilloscopio
𝑄 = 𝐼 𝜏 = 6,4 ∙ 10−6 ∙ 37 ∙ 10−6 = 0.24 𝑛𝐶
Quindi è stato tolto il carico dei 50 ohm, leggendo dall‟oscilloscopio una tensione di 75mV (fig.
𝑄
4.15). Da V=Q/C ricaviamo la capacità del cavo: 𝐶 = 𝑉 =
0,24 ∙10 −9
75 ∙10 −3
= 0.0032 𝜇𝐹 = 3.2 𝑛𝐹.
Fig.4.15 Screenshot dell’oscilloscopio
Abbiamo così ottenuto una calibrazione, infatti per qualsiasi valore di tensione ricavato è possibile,
sfruttando il valore della capacità, risalire al valore della carica e quindi (attraverso la η) della
corrente.
Si è proceduto, dopo aver fissato il valore della tensione di estrazione a 26 kV, a variare la tensione
sulla lente di einzel e a registrare le letture da oscilloscopio ( tabella 4.6 ). Questo studio è utile per
offrire una caratterizzazione preliminare all‟impiego della lente elettrostatica come elemento con
74
cui, cambiandone la tensione di alimentazione, sarà possibile variare impulso per impulso la
corrente fornita in uscita dall‟iniettore e quindi la dose rilasciata nel target.
Veinzel
(kV)
29
V (mV)
28
39
27
22
26
12.7
25
8.7
24
6.1
23
4.7
22
3.9
21
3.3
20
2.9
19
2.6
18
2.33
17
2.22
16
2.03
15
1.92
14
1.8
13
1.78
77
Tab.4.6 Lettura della corrente in uscita dalla LEBT in funzione della variazione della tensione
sulla lente di Einzel.
4) In uscita dalla LEBT è stato aggiunto un diaframma con foro di 4mm di diametro e sono state
ricavate per tre valori della tensione sulla lente (tab.4.7), e con il setting 2 ricavato precedentemente
per i quattro quadrupoli (tab.4.5), la tensione di output dall‟oscilloscopio in questa nuova
condizione, cioè in presenza del diaframma.
Veinzel (kV)
26
25
24
V (mV)
12.05
8.1
5.6
Tab.4.7
Successivamente è stato possibile ottimizzare i valori dei gradienti sui quadrupoli (tab.4.8) per
massimizzare la trasmissione attraverso il diaframma.
Setting
Q1
(Supply
units %)
Q2
(Supply
units %)
Q3
(Supply
units ,%)
Q4
(Supply
units ,%)
G1 (T/m)
G2 (T/m)
G3 (T/m)
G4 (T/m)
3
-40
30
-34
37
-9.33652
7.002392
-7.93604
8.636284
4
-42
30
-33
38
-9.80335
7.002392
-7.70263
8.869697
Tab.4.8
Impostato il setting 3 per i quadrupoli abbiamo ricavato un valore in uscita dall‟oscilloscopio di
23,8 mV, a testimoniare un aumento della trasmissione, presumibilmente dovuto ad una perdita del
75
fascio rispetto al caso in cui questo setting non fosse impiegato. In questa condizione la spot è
ellittica (fig.4.16). Inoltre, mantenendo la Veinzel al valore di 26 kilovolt, con il setting 4 è stata
investigata la dipendenza da altri parametri: tensione d‟arco (VArc) e pressione del gas (Pgas)
(tab.4.9).
VArc (V)
160
190
160
Pgas
7,4
7,8
7,8
V (mV)
17,8
21,25
19,3
Tab.4.9
Fig.4.16
76
Capitolo 5- Caratterizzazione dosimetrica
Gli esperimenti di radiobiologia prevedono protocolli stringenti in termini di dose assorbita dal
campione, di tempo di esposizione e di caratteristiche del fascio. Risultano quindi indispensabili
misure preliminari su dosimetri che permettano di evidenziare il raggiungimento delle direttive
qualitative e quantitative richieste4. Sono state effettuate misure dosimetriche preliminari
all‟irraggiamento di campioni cellulari (V79) irraggiando col fascio di protoni dei rivelatori di tipo
CR39 dell‟Istituto Superiore di Sanità.
Sono state eseguite due fasi di irraggiamento: prima del montaggio del magnete di curvatura a 90°
[38], quindi solo orizzontale, e dopo il montaggio del magnete, sia con fascio orizzontale (magnete
90° “off”, e maggiore distanza dalla prima coppia di quadrupoli rispetto alla sessione precedente)
che con fascio verticale (magnete 90° “on”).
5.1 I rivelatori tipo CR39
I CR39 appartengono ai rivelatori a tracce nucleari; il loro funzionamento è basato sul fatto che
particelle cariche pesanti, attraversando un mezzo, ne causano la ionizzazione. Il processo di
ionizzazione innesca una serie di nuovi processi chimici che portano alla produzione di radicali
liberi ed altre specie chimiche. Tutte le nuove specie chimiche formate si troveranno a ridosso del
percorso che la particella ha compiuto, e questa zona danneggiata prende il nome di “traccia
latente”.
Fig.5.1 Traccia prodotta da una particella [42]
4
In particolare, mentre i tempi di esposizione possono essere variabili, con lo scopo di verificare come il
comportamento delle cellule si diversifichi in funzione del tempo di irraggiamento, è necessario che la dose sia
contenuta nell‟intervallo 0,1÷6 Gy [41].
77
La larghezza della traccia varia a seconda del mezzo e dell‟intensità della ionizzazione e risulta più
marcata in prossimità della parte finale della traccia in corrispondenza del picco di Bragg.
Se il rilevatore contenente delle tracce latenti viene immerso in una soluzione chimica basica
altamente aggressiva, la reazione renderà la traccia più marcata, ossia la traccia si allargherà
risultando visibile tramite un comune microscopio ottico. Il procedimento di sviluppo descritto
viene chiamato etching. Le soluzioni più comunemente utilizzate sono quelle di idrossido di sodio
(NaOH) o di idrossido di potassio (KOH) [43].
Il rilevatore in esame è formato da una resina termoindurente, ottenuta mediante processo di
polimerizzazione, e possiede molte proprietà che difficilmente si riscontrano tutte assieme in altri
materiali plastici trasparenti:
1) i rivelatori CR39 sono incolori e trasparenti alla luce visibile, viceversa sono opachi alle
frequenze dell‟infrarosso e dell‟ultravioletto;
2) resistono molto bene alle abrasioni e possiedono ottime proprietà ottiche;
3) mantengono inalterate le loro proprietà ottiche anche se esposte per un lungo periodo di
tempo in agenti chimici come solventi e soluzioni acide e basiche;
4) resistono molto bene alle alte temperature [44].
La condizione ideale per la misura di dose con questo rivelatore si ottiene quando il fascio è
composto da 105-106 protoni,ossia per livelli di carica molto bassi.
L‟analisi al microscopio rende possibile il conteggio delle tracce, ciascuna relativa al passaggio di
un protone, per unità di superficie (fluenza dei protoni) e, noto il LET del fascio all‟energia alla
quale questo arriva sul rivelatore, si ricava la dose assorbita:
𝐷 = 1,6 ∙ 10−19 ∙ 𝐿𝐸𝑇 ∙ 𝜙
(5.1)
dove: - Ф rappresenta la fluenza dei protoni ottenuta contando le tracce in un
area nota sui CR39
- il LET è espresso in KeV/μm
5.2 Sistema di misura del fascio in regime di bassa carica
Prima ancora di esporre i rivelatori CR39, si sono eseguite delle misure preliminari di dose.
La dose assorbita da un campione biologico si può ricavare, seguendo la sua definizione, come
rapporto tra l‟energia depositata per unità di massa:
𝐸 ∙𝑁𝑝
𝐷 = 𝜌∙𝑅∙𝐴𝑓
𝑡𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡
(5.2)
78
dove: - Ef è l‟energia associata al fascio di protoni,
- Np è il numero di protoni per impulso che colpiscono il bersaglio,
- Atarget è la superficie del bersaglio,
- R il range del fascio in acqua a quell‟energia.
- ρ è la densità dell‟acqua (1g/cm3),infatti si assume che la densità della coltura cellulare sia
pari alla densità dell‟acqua.
Il numero di protoni per impulso che colpiscono il bersaglio viene ricavato in questa fase
preliminare, andando a posizionare in corrispondenza della finestra di uscita dei protoni un
bersaglio metallico, collegato con un cavo coassiale all‟oscilloscopio. La corrente rivelata è quella
che arriva sul bersaglio per ogni pacchetto di protoni. Dividendo per la durata temporale di ogni
impulso ricaviamo la carica contenuta in ogni singolo pacchetto.
𝑄 = 𝐼 ∙ ∆𝑇
(5.3)
Dividendo quindi Q per la carica del singolo protone (1,6 ∙10-19C) si ricava il numero di protoni per
impulso che colpiscono il bersaglio.
Nella fase preliminare in primis si è voluto visualizzare sull‟oscilloscopio l‟andamento del segnale
di tensione corrispondente alla corrente intercettata all‟uscita dell‟iniettore per i seguenti valori:
Primo quadrupolo Q1
(focheggiamento verticale)
26(supply unit)
Secondo quadrupolo Q2
(focheggiamento orizzontale)
7 (supply unit)
Tensione di estrazione dell’iniettore
27KV
Tab.5.1 Valori impostati nella fase preliminare per i primi due quadrupoli
Quello che si ottiene in questo caso sull‟oscilloscopio è un segnale ampio e quindi ben distinguibile
dal rumore. Tuttavia la condizione ideale per la misura di dose con questo rivelatore si ottiene
quando il fascio è composto da 105, 106 protoni. Questa esigenza ha imposto l‟adozione di un
sistema che permettesse di inviare al rivelatore un numero di protoni incluso in quest‟intervallo.
A tal fine si è pensato, per focalizzare meno cariche e quindi diminuire il numero di protoni che
incidono sul target, di spegnere i quadrupoli, e così facendo si ha:
1. un valore di tensione sull‟oscilloscopio che non può essere facilmente gestito in quanto,
essendo di entità molto piccola è sommerso dal rumore;
79
2. con un impulso il fascio colpisce tutto il bersaglio.
Quindi si è introdotta la seguente catena di misura che permettesse di valutare il numero di protoni
che arrivano sul target in funzione della tensione misurata sull‟oscilloscopio in un certo numero di
impulsi prestabilito:
Target
I
Interruttore
Fig.5.2La logica della catena di misura impiegata
Il fascio di protoni può essere considerato come un generatore di corrente; questa colpisce il target e
si va ad accumulare, secondo un certo numero di impulsi programmabile da un programma in
LabView, nel cavo coassiale che la collega ad un interruttore aperto. Finiti gli impulsi, l‟interruttore
viene chiuso e si ha la scarica del condensatore sulla resistenza di ingresso dell‟oscilloscopio. A
questo punto è possibile rilevare un segnale utile dall‟oscilloscopio, che fornisce, noto il valore
dell‟impedenza capacitiva del cavo coassiale, il valore della carica accumulata per il numero di
impulsi selezionati:
𝑄 =𝑉∙𝐶
(5.3)
La capacità è stata ricavata sfruttando la costante di tempo η con cui si va a scaricare il condensatore
precedentemente caricato con un numero elevato di impulsi (200), al fine di visualizzare un segnale
ben distinguibile dal rumore.
80
Fig.5.3 Screenshot dall’oscilloscopio relativa alla scarica del condensatore
Inoltre, per aumentare la fiducia nella misura, è stato sottratto al segnale in tensione visualizzato
sull‟oscilloscopio, testimone della carica ricevuta con i prefissati impulsi arrivati al target, il segnale
di fondo.
Dal fitting esponenziale, ricavato con Origin considerando la sola parte di scarica del condensatore,
otteniamo la costante di tempo caratteristica per questo sistema del primo ordine: η = 3.3 ms
(fig.5.4).
Fig.5.4 Fitting esponenziale eseguito con Origin [45]
Dato che η è data dal prodotto della resistenza per la capacità e la resistenza è pari ad un megaohm,
ricaviamo una capacità di 3.3 nanofarad.
Notiamo che per diminuire la dose inviata al target (cfr. eq.5.2) dobbiamo intervenire andando a
diminuire la carica accumulata dal condensatore e quindi la corrente associata al fascio. Questo può
81
essere ottenuto aumentando la distanza tra finestra di uscita del fascio e bersaglio, diminuendo la
durata dell‟impulso, la frequenza di ripetizione o la tensione di estrazione. I parametri utilizzati
durante l‟irraggiamento sono riportati nella tabella seguente:
Frequenza di ripetizione
50Hz
Durata dell’impulso
21us
Tensione d’estrazione
26,7kV
Tensione d’arco
169V
Tab.5.2 Valori Parametri impiegati durante l’irraggiamento
5.3 Misure di dose e analisi dei risultati
Presentiamo ora le immagini dei dosimetri irradiati, lette dopo l‟etching al microscopio ottico. Ad
ogni punto nero, visibile sulla superficie del rivelatore (fig.5.5), corrisponde una traccia relativa al
passaggio di un protone, il che consente di ricavare la fluenza di protoni sulla superficie del
rivelatore e, noto il LET del fascio all‟energia alla quale questo arriva sul rivelatore, la dose
assorbita (cfr.5.1).
Prima sessione di
misura
Carica per
impulso
Numero di impulsi con cui si è
irraggiato ogni rivelatore
Supply unit impostate
per i due quadrupoli
Fascio orizzontale
0,2 pC
20, 50
Quadrupoli spenti
Tab.5.3 Condizioni in cui è stato eseguita la prima sessione di misura
Fig.5.5 Sessione di misura n°1: rivelatori CR39 letti al microscopio ottico; (sinistra) 20 impulsi, (destra) 50 impulsi
La prima sessione di misure ha messo in evidenza la necessità di una riduzione di dose; infatti una
corretta misura della fluenza può essere garantita solo da una densità di tracce non troppo elevata.
82
La seconda sessione di misura prevede in prima istanza, sulla base di quanto affermato nel
precedente paragrafo, di ricavare la carica depositata per il singolo impulso. Utilizzando 200
impulsi si ricavano dall‟oscilloscopio: nel caso di fascio orizzontale 3 mV, nel caso del verticale
1mV; valori che definiscono rispettivamente una carica per impulso di 4,95 10-2 pC e 1,65 10 -2 pC
(molto inferiore quindi agli 0,2 pC per impulso impiegati nella prima sessione di irraggiamenti). Al
fine di ridurre al minimo la carica incidente sul rilevatore nel caso di fascio orizzontale i due
quadrupoli sono mantenuti spenti, nel caso del fascio deflesso verticalmente (con un valore per la
corrente di alimentazione del magnete di 190A) invece i due quadrupoli vengono impiegati per
defocalizzare nel piano orizzontale e focalizzare nel verticale ( Q1 = 39, Q2 = 0 ).
Seconda sessione di
misura
Carica per
impulso
Numero di impulsi con cui si è
irraggiato ogni rivelatore
Supply unit impostate
per i due quadrupoli
Fascio orizzontale
4,95·10-2 pC
20, 10, 5
Quadrupoli spenti
Fascio verticale
1,65 10 -2 pC
20, 10, 5
Q1 = 39; Q2 = 0
Tab.5.4 Condizioni in cui è stato eseguita la prima sessione di misura
Fig.5.6 Sessione di misura n°2: Irraggiamento di CR39 con fascio orizzontale: da sinistra a destra 5,10,20 impulsi. Lettura al
microscopio ottico.
Fig.5.7 Sessione di misura n°2: Irraggiamento di CR39 con fascio verticale: da sinistra a destra 5,10,20 impulsi. Lettura al
microscopio ottico.
Nel caso del fascio orizzontale i rivelatori non sono leggibili, data la presenza di troppe
sovrapposizioni delle tracce, soprattutto con 10 e 20 impulsi. Inoltre nel caso in esame (fascio
83
orizzontale) si riscontrano sui rivelatori varie tracce di grosso diametro che potrebbero essere
indotte da particelle con Z maggiore di 1 (fig.5.8).
Fig.5.8 Dimensioni diverse per le tracce rivelate
Il basso valore di carica ottenuto nella sessione di misura con fascio verticale (un ordine di
grandezza più basso rispetto alle misure effettuate con fascio orizzontale) ha consentito di effettuare
il conteggio delle tracce per la misura quantitativa della dose e la verifica della linearità dei
rivelatori. Inoltre in questo caso, grazie al magnete, non sono più presenti tracce di grosso diametro,
a dimostrazione di un il fascio molto più pulito; questa circostanza evidenzia una migliore
predisposizione del fascio verticale per l'irraggiamento delle cellule.
In queste misure l‟energia di operazione della macchina è 3 MeV (DTL off). Essa è poi ridotta
nell‟attraversamento di alcuni spessori posti prima dei rivelatori. Il calcolo della energia effettiva
del fascio che incide sui rivelatori necessaria per la determinazione del LET è stato effettuato con il
Codice Montecarlo SRIM. I principali parametri sono riportati nelle due tabelle che seguono
(tab.5.5 e tab.5.6) e si riferiscono alle misure con fascio verticale.
Strati attraversati
spessore
(mm)
densita'
(g/cm3)
Energia in uscita
dal mezzo (MeV)
Finestra di uscita in
Kapton
0.05
1.43
2.135
Aria
5
0.001205
2.057
LET in H2O
(keV/µm)
Range in H2O
(mm)
16.1
80.5
Tab.5.5 Caratteristiche energetiche del fascio di protoni incidente sul CR39 ottenute con SRIM
Nome del CR39
Energia
LET in H2O
Numero
Dose (Gy)
(keV)
(keV/µm)
impulsi
CR39 V
2057
16.1
5
0.036
CR39 IV
2057
16.1
10
0.082
Tab.5.6 Calcolo delle dosi
84
Dall'analisi delle tracce lasciate dai protoni su tali rivelatori si evince che il numero di impulsi dato
e la dose sono abbastanza proporzionali ossia se raddoppio il numero di impulsi la dose all'incirca
raddoppia. Notiamo inoltre che i valori di dose richiesti da questi dosimetri sono di gran lunga
inferiori a quelli necessari per irradiare campioni biologici (0.1Gy < dose assorbita < 6Gy).
E‟ stata inoltre valutata l‟uniformità trasversa del fascio, caratteristica molto importante ai fini della
irradiazione delle cellule:
𝑈 𝑥 =
𝐹𝑙𝑢𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑖𝑚𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑥
𝐹𝑙𝑢𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑥
= 60%
(5.4)
𝑈(𝑦) =
𝐹𝑙𝑢𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑖𝑚𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑦
𝐹𝑙𝑢𝑒 𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑦
= 80% (5.5)
Da questa valutazione ricaviamo che il fascio non è ben centrato e non è uniforme su tutto il
rivelatore, soprattutto in una delle due direzioni ortogonali alla direzioni del fascio (eq.5.4).
L'uniformità è una caratteristica molto importante nel caso dell'irradiazione delle cellule e quindi
bisogna garantire che sia soddisfatta prima del loro irraggiamento.
85
Capitolo 6- Irraggiamento di rivelatori LiF
Sono stati effettuati dei test di impiego di rivelatori basati su film di LiF, forniti dal laboratorio di
fotonica e micro -nano strutture (UTAPRAD-MNF) del centro ENEA di Frascati. Questi test sono
importanti perché permettono di caratterizzare la distribuzione del fascio e valutare l‟impiego di
questi rivelatori come dosimetri.
6.1 Caratteristiche dei rivelatori basati su Film o cristalli LiF
Presso il Laboratorio Laser a Stato Solido e Spettroscopia dell‟ENEA di Frascati, sono stati
cresciuti film di Floruro di Litio (LiF) per evaporazione termica su differenti tipi di substrati,
amorfi e cristallini (vetro, silice, ITO, Silicio, Alluminio, cristalli di LiF, etc), in un ampio intervallo
di spessori che varia da pochi nanometri ad alcuni micron. Le proprietà strutturali, morfologiche, ed
ottiche dei film di LiF sono fortemente dipendenti dai principali parametri di deposizione:
temperatura del substrato durante la crescita, lo spessore totale e la velocità di deposizione [46]. I
rivelatori di immagini a raggi-X basati sulla luminescenza dei difetti di LiF, sono tra i più noti
dosimetri a termoluminescenza (TLD). Dal punto di vista ottico, il LiF è trasparente in un vasto
intervallo spettrale, esteso dal vicino ultravioletto al vicino infrarosso (NIR), ed ospita difetti
elettronici primari ed aggregati, conosciuti come centri di colore (CC), stabili a temperatura
ambiente. I CC sono dei difetti elettronici puntiformi del reticolo cristallino, costituiti da vacanze
anioniche, singole o aggregate, occupate da uno o più elettroni. Nei film di LiF in particolare
coesistono diverse tipologie di centri colore: i centri isolati di tipo F, dal tedesco Farbzentrum, sono
i più semplici tipi di centri colore e sono costituiti da un elettrone situato in una vacanza anionica,
mentre i centri di tipo M sono definiti da due centri F adiacenti. Tali centri possono essere creati nel
LiF tramite bombardamento con radiazioni ionizzanti (RI) di varia natura. I CC possiedono bande
di assorbimento anche nello spettro visibile e per questo provocano una colorazione del materiale.
In particolare, tra i vari tipi di CC nel LiF, alcuni centri aggregati (F2 ed 𝐹3+), rivestono particolare
importanza, in quanto, se pompati otticamente con radiazione di lunghezza d‟onda vicina a 450 nm,
luminescono, con larghe bande di emissione, nel rosso e nel verde (rispettivamente: 670 nm e 530
nm).
La logica di impiego del rivelatore basato su LiF è mostrato in fig.6.1. Nella fase di esposizione, la
radiazione ionizzante che incide sul rivelatore di LiF, genera localmente i CC. L‟immagine rimane
immagazzinata nel rivelatore che viene poi letto attraverso la spettroscopia di fotoluminescenza. La
fotoluminescenza è il processo che determina l‟eccitazione della materia; questo fa sì che gli
86
elettroni assumano prima lo stato eccitato e rilascino, tornando al loro stato di equilibrio, l‟energia
accumulata. Nel fluoruro di litio la fotoluminescenza è definita principalmente dai difetti che sono
stati introdotti, quindi eccitando con luce blu (lampada o laser) i CC aggregati, si determina un‟
emissione nel verde e nel rosso; questa, filtrata opportunamente, viene raccolta da un microscopio
ottico. Il segnale luminoso, localmente proporzionale alla densità di CC, può inoltre essere
convertito in segnale elettrico da un sistema di fotorivelazione ed, eventualmente, digitalizzato.
Fig.6.1 Logica di impiego del rivelatore basato su film di LiF
Elenchiamo alcune delle caratteristiche che rendono il LiF ideale per essere utilizzato quale
rivelatore di immagini:
-
i CC hanno una dimensione spaziale tipica inferiore al nm, che permette di ottenere
immagini ad altissima risoluzione spaziale su largo campo di vista, limitata praticamente dal
sistema di lettura adoperato;
-
i CC nel LiF sono stabili a temperatura ambiente;
-
i CC non possono essere generati dalla luce ambientale, per cui il rivelatore può essere
maneggiato più facilmente, senza il rischio di esposizioni accidentali, come invece avviene
per le pellicole radio cromiche (GafCromiche);
-
nel caso di cristalli, i CC possono essere distrutti con riscaldamento a temperatura T > 400
°C, permettendo l‟eventuale riutilizzo del rivelatore;
87
-
il LiF può essere cresciuto per evaporazione termica sotto forma di film policristallino su
diversi substrati (ad es. vetro, Si o plastica), rendendolo compatibile con differenti
configurazioni sperimentali;
-
la semplicità del processo di lettura attraverso microscopi ottici, convenzionali o confocali a
fluorescenza (fig.6.2);
Fig.6.2 Microscopio ottico confocale a scansione laser NIKON ECLIPSE 80-i C1 in modalità fluorescente e in riflessione,
presente presso il laboratorio di fotonica e micro -nano strutture del centro ENEA di Frascati, equipaggiato con un laser
continuo ad Argon Coherent-INNOVA90. Il sistema permette di sezionare otticamente i campioni sul piano a fuoco,
eliminando il contributo della luce proveniente dai piani adiacenti. Il segnale di fluorescenza è rivelato da due diversi
fotomoltiplicatori. Il microscopio è equipaggiato anche con una fotocamera a 12 bit per l'acquisizione delle immagini
wide-field in fluorescenza (lampada al mercurio) ed in luce bianca in trasmissione (anche in contrasto di fase).
6.2 Condizioni sperimentali degli irraggiamenti
Dobbiamo distinguere due diverse sessioni di irraggiamento dei film di LiF:
1) La prima sessione è stata effettuata prima dell‟istallazione della seconda coppia di
quadrupoli. La corrente relativa al singolo impulso, ricavata in una fase preliminare
all‟irraggiamento come rapporto tra la carica associata all‟impulso (5.94 pC) sulla sua durata
(58 µs), è pari a 0.1 µA. Il fascio di protoni è focalizzato con la prima coppia di quadrupoli
(35 e 30 in supply unit), l‟unica presente durante la prima sessione di irraggiamento, ed è
estratto a valle del magnete di deflessione verticale, ovviamente non alimentato.
2) Dopo l‟istallazione della seconda coppia di quadrupoli e della lente unipolare, è stata
condotta, sulla base dei risultati della seduta precedente, una seconda sessione
d‟irraggiamento. La seconda coppia di quadrupoli permette, come mostrato nel capitolo 4,
88
una maggiore flessibilità nella manipolazione delle dimensioni trasverse del fascio, che
potranno così essere ancor più ridotte (la spot potrà avere dimensioni fino ad 1mm). I
risultati della prima sessione di irraggiamento hanno messo in luce la possibilità di impiego
di questo tipo di rivelatori nell‟ambito della diagnostica di fasci di protoni per applicazioni
di protonterapia e radiobiologia, ma non hanno permesso di valutare la saturazione del
dosimetro. In tale seduta è stato deciso di incrementare di un fattore dieci il valore della
corrente relativa al singolo impulso. Mantenendo la durata dell‟impulso a 60 µs sono stati
impostati i parametri dell‟iniettore (tab.6.1) al fine di garantire una carica per impulso di 60
pC e quindi una corrente di 1µA.
26
25,4
170
29
7,6
45;30;33;40
Tensione di estrazione (Vextr)
Tensione sulla lente unipolare (VEint)
Tensione d‟arco
Filamento
Pressione del gas
Setting dei quattro quadrupoli
Tab.6.1
Le condizioni sperimentali in cui sono state condotte entrambe le sedute di irraggiamento possono
essere così schematizzate:
LiF (Densità 2.635 g/cm3)
Collimatore (3mm)
)
Kapton (50 µm)
Fig. 6.2 Schema relativo alla condizione in cui è stato effettuato l’irraggiamento
Tra la finestra d‟uscita in Kapton e il dosimetro è stato collocato un collimatore con foro circolare
di diametro pari a 3 mm. La presenza del collimatore è indispensabile al fine di limitare le
dimensioni della zona di LiF irraggiata, rendendo così possibile la lettura al microscopio ottico
confocale, con
ingrandimento 4x (minimo ingrandimento disponibile), presente presso il
laboratorio UTAPRAD-MNF. Inoltre la presenza della maschera permette di evitare effetti di
“penombra”.
89
L‟impiego di un apposito programma in LabView (fig.6.3) ha permesso, comandando l‟iniettore
attraverso un trigger esterno, di impostare il numero di impulsi con cui irraggiare i dosimetri e la
frequenza di ripetizione (50Hz).
Fig.6.3 Screenshot del control panel.
Il fascio di protoni con cui è stato condotto l‟irraggiamento è caratterizzato da un‟ energia di 3MeV.
Attraverso SRIM (fig.6.4) è stata calcolata l‟energia dei protoni dopo l‟attraversamento dello strato
di Kapton, con spessore 50 µm, ottenendo un valore di circa 2.23 MeV. Inoltre con lo stesso
software è stato possibile seguire il fascio di protoni nell‟attraversamento del film di LiF.
Fig.6.4 Nella porzione sinistra la figura mostra la schermata in cui inserire i parametri e il risultato fornito da SRIM (“Stopping
and Range tables”) per il calcolo dell’energia dei protoni dopo l’attraversamento dello strato di Kapton. Sulla destra viene
mostrato, risultante dalla simulazione con SRIM (“TRIM Calculation”), l’andamento e la perdita di energia del fascio di protoni
nel LiF, dopo aver attraversato 50 µm di Kapton.
90
Nella prima sessione sono stati irraggiati:
a) un cristallo di LiF Macrooptica, (5x5x0.5 mm3), per cui sono stati previsti 1000 impulsi;
b) un film di LiF su substrato di Si, di diametro pari a 10 mm, per cui sono stati previsti 1000
impulsi;
c) due film di LiF su vetro, con diametro 18 mm e spessore 1 µm. Su ciascuno di questi film di LiF
(diametro di 18 mm) sono stati eseguiti 4 irraggiamenti differenti su 4 zone, spostando il
campione rispetto alla maschera fissa. Nel primo film di LiF si è scelto rispettivamente per le
quattro zone un valore di impulsi pari a 1000, 500, 100, 10; nel secondo film invece si è deciso
di inviare 1500, 1300, 670, 300 impulsi.
Lo studio della luminescenza dei centri colore nelle aree irraggiate tramite imaging in fluorescenza
(con l‟uso del confocale), ha prodotto le immagini in figura 6.5 e 6.6. Notiamo che non per tutti gli
irraggiamenti effettuati si è potuta ricavare la relativa immagine; rientrano in questa situazione le
zone 3 e 4 del film di LiF su vetro per cui sono stati previsti 100 e 10 impulsi, numero
evidentemente insufficiente. Questa circostanza rimane comunque utile al fine di individuare la
soglia minima a cui è sensibile il dosimetro in esame, nel caso di irraggiamento eseguito con
protoni.
Fig.6.5 Procedendo da sinistra verso destra incontriamo le immagini in fluorescenza relative al cristallo di LiF (a), al film di LiF su
Si (b) e alle zone irradiate con 1000 e 500 impulsi di uno dei due film di LiF su vetro. Le immagini sono ottenute, dati i bassi valori
di carica impiegati, utilizzando il microscopio confocale (laser), considerando, nel caso dei cristalli, il massimo segnale ricavato.
Fig.6.6 Procedendo da sinistra verso destra incontriamo le immagini in fluorescenza relative alle quattro zone del film di LiF su
vetro irraggiate rispettivamente con 1500, 1300, 670, 300 impulsi. Le immagini sono ottenute, dati i bassi valori di carica
impiegati, utilizzando il microscopio confocale (laser), considerando, nel caso dei cristalli, il massimo segnale ricavato.
91
Nella seconda sessione di irraggiamenti si è deciso, sulla base dei primi risultati, di esaminare:
a) Quattro cristalli Macrooptica di dimensioni 10x10x1 mm3, su ognuno dei quali sono state
irraggiate quattro zone con un numero di impulsi rispettivamente pari a: 5,50,150,300 –
450,600,750,1000 – 1000,2000,4000,8000 – 16000,32000,64000,128000 impulsi;
b) Cinque film di LiF su vetro, di diametro 18mm e spessore 1μm, su ognuno dei quali sono
state irraggiate 4 zone con: 100, 150, 300, 450 – 500 – 600, 750, 900, 1000 – 1000, 2000,
4000, 8000 – 16000, 32000, 64000, 128000 impulsi;
c) Un film di LiF su vetro, di diametro 10mm e spessore di 1μm su cui sono state irraggiate
due zone con 50,30 impulsi;
d) Tre film di LiF cresciuti su vetro, di diametro 4mm e spessore 1μm, su ciascuno dei quali è
stata irraggiata una singola zona: 10 impulsi, 10 impulsi a 2Hz, 5 impulsi a 2Hz;
e) Due film di LiF cresciuti su silicio, di diametro 10mm e spessore 1μm, su ciascuno dei quali
sono state irraggiate due zone con: 300, 150 impulsi e 50, 5 impulsi.
f) Inoltre per confronto sono stati utilizzati anche i rivelatori gafcromici, ma in questo caso è
stata anteposta una maschera di diametro 2 mm. Sono stati eseguiti 12 irraggiamenti con il
seguente numero di impulsi: 1000, 900, 750, 600, 450, 300, 150, 100, 50, 30, 10, 10 (2 Hz),
5 (2 Hz).
Questa sessione si presenta come uno studio sistematico in un ampio range di carica, effettuato a
partire dai risultati ottenuti nella prima seduta di irraggiamento. In particolare, rispetto alla sessione
precedente:
-
Il numero massimo di impulsi è stato incrementato da 1000 a 128000 al fine di esplorare il
comportamento del rivelatore in un range di carica più ampio e individuarne la saturazione.
-
Il minimo numero di impulsi impiegato nella prima sessione porta a definire una carica di
59pC (per 10 impulsi). Tuttavia in questa circostanza non è stato possibile ricavare la
relativa immagine in fluorescenza, ed è stato quindi associato a questo valore di carica il
limite inferiore rivelabile dal film. Nella seconda sessione di irraggiamento il
comportamento del rivelatore alle basse cariche è stato investigato per valori, superiori allo
studio preliminare, di 295pC (59pC per 5 impulsi). Nel caso dei cristalli di LiF al contrario,
è stato possibile spingersi verso cariche inferiori rispetto a quelle sperimentate nella prima
sessione di irraggiamenti; infatti questo rivelatore permette di riflettere tutto il segnale di
fotoluminescenza, senza che, come avviene per i film di LiF su vetro, parte di questo venga
dissipato.
92
Al fine di misurare l‟andamento del segnale di fotoluminescenza dei centri colore in funzione del
numero di impulsi ricevuti da ciascuna area del rivelatore a LiF irraggiata con protoni, riportiamo in
figura 6.7 e 6.8 rispettivamente le immagini relative ai cristalli di LiF e ai film di LiF su vetro (b).
Impulsi= 1000
Exp= 1/6 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 750
Exp= 1/6 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 600
Exp= 1/6 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 450
Exp= 1/6 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 300
Exp= 1/6 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 150
Exp= 1/3 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 50
Exp= 1 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 5
Exp= 6 s
Gain= 1.7x
Impulsi= 1000
Exp= 1/6 s
Gain= 1.2x
Impulsi= 2000
Exp= 1/15 s
Gain= 1.2x
Impulsi= 4000
Exp= 1/20 s
Gain= 1.2x
Impulsi= 8000
Exp= 1/30 s
Gain= 1.2x
93
Impulsi= 16000
Exp= 1/40 s
Gain= 1.2x
Impulsi= 32000
Exp= 1/40 s
Gain= 1.2x
Impulsi= 64000
Exp= 1/40 s
Gain= 1.2x
Impulsi= 128000
Exp= 1/40 s
Gain= 1.2x
Fig.6.7 Le immagini delle spot ottenute sui cristalli di LiF. Per ciascuna è specificato il valore del numero di impulsi e della coppia
di parametri tempo di esposizione-guadagno.
Impulsi= 16000
Exp= 1/2 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 32000
Exp= 1/4 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 64000
Exp= 1/4 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 128000
Exp= 1/4 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 1000
Exp= 6 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 2000
Exp= 3 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 4000
Exp= 1.5 s
Gain= 1.4x
Impulsi= 8000
Exp= 1 s
Gain= 1.4x
94
Impulsi= 1000
Exp= 8 s
Gain= 1x
Impulsi= 900
Exp= 8 s
Gain= 1x
Impulsi= 750
Exp= 12 s
Gain= 1x
Impulsi= 600
Exp= 12 s
Gain= 1x
Impulsi= 500
Exp= 12 s
Gain= 1x
Impulsi= 450
Exp= 12 s
Gain= 1x
Impulsi= 300
Exp= 12 s
Gain= 1x
Impulsi= 150
Exp= 12 s
Gain= 1x
Impulsi= 100
Exp= 12 s
Gain= 1x
Fig.6.8 Le immagini di 9 spot ottenuti sui film di LiF con i valori corrispondenti degli impulsi e della coppia di parametri tempo di
esposizione-guadagno.
Dall‟analisi delle immagini si nota che a partire da 8000 impulsi la colorazione degli spot inizia a
tendere verso il colore rosso, mentre diminuisce la componente verde, questo potrebbe essere
associato ad un aumento della concentrazione dei centri F2 (che hanno il picco della banda di
emissione nel rosso a 670 nm) rispetto a quella dei centri F3+ (che hanno il picco della banda di
emissione nel verde a 535 nm).
95
Per ottenere queste immagini è stato utilizzato il microscopio confocale Nikon D-Eclipse C1 con
l‟obiettivo in dotazione 4x in modalità fluorescenza, in cui la sorgente utilizzata è la lampada Hg di
cui è stata selezionata la riga di emissione nel blu (centrata attorno alla banda di assorbimento M dei
centri F2 ed F3+). Una CCD acquisisce l‟immagine degli spot irraggiati nel range verde-rosso
(corrispondente all‟emissione dei centri F2 ed F3+) dopo aver rimosso con un filtro opportuno la luce
blu della sorgente. In questa configurazione con il software “Lucia” in dotazione è possibile acquisire
immagini di 1280x960 pixel a 8-bit degli spot luminescenti; tuttavia l‟area coperta dalla CCD non
consente di acquisire l‟immagine completa degli spot (di 3 mm di diametro). Posizionandoci al centro
dello spot, l‟area inquadrata corrisponde approssimativamente a quella di un rettangolo inscritto nel
cerchio dello spot luminescente, come si può vedere dalla figura 6.9(a), in cui agli angoli
dell‟immagine è visibile il bordo circolare dello spot. Nell‟acquisizione delle immagini di
fotoluminescenza è particolarmente critica la scelta di due parametri di acquisizione della CCD,
ovvero il tempo di esposizione e il guadagno. Per l‟acquisizione delle immagini dello spot più
luminoso bisogna porre attenzione al fatto che la CCD utilizzi tutta la possibile gamma tonale che ha
a disposizione e non venga saturata; questo si realizza variando la coppia “tempo di esposizioneguadagno”. Una volta definiti i parametri per l‟acquisizione dello spot più luminoso, si può procedere
all‟acquisizione di quelli meno luminosi senza cambiare i parametri, fino a quando però l‟immagine
non diventi troppo debole, cioè d‟intensità paragonabile con il rumore di fondo; quando ciò avviene
si può aumentare il tempo di esposizione per avere un miglior rapporto segnale-rumore, evitando di
aumentare il guadagno, che comporterebbe anche un aumento del rumore.
a)
b)
Fig.6.9 Immagine 1280x960 pixel a 8-bit della spot luminescente ottenuta con 1000 impulsi su cristallo di LiF (a); immagine
ridotta a 960x960 al fine di tener conto al meglio della luminescenza (b).
Una volta acquisite tutte le immagini, esse sono state ridotte alla dimensione di 960x960 pixel.
Questa scelta ha permesso di eliminare gli “angoli neri”, dove non è presente la luminescenza e, allo
stesso tempo, di inquadrare la regione centrale dello spot di dimensione massima possibile in modo
96
da poter tenere conto al meglio di tutta la dose d‟irraggiamento trasferita al campione che si traduce
in luminescenza (fig.6.9 (b)).
6.3 Analisi dei risultati
Prima sessione di irraggiamenti:
Le immagini in fluorescenza ricavate nel caso dei film di LiF su vetro, sono state analizzate al fine
di comprendere la linearità di questi dosimetri. A tal scopo si è ricavato, attraverso apposito
programma implementato in MatLab (Appendice A.1), l‟andamento del segnale medio di
luminescenza proveniente da ogni zona dei film di LiF in funzione della carica associata ai diversi
impulsi ricevuti, evidenziando, nel range di cariche impiegato, la linearità di questo tipo di rivelatori
(fig.6.10).
Fig.6.10 Andamento dell’intensità del segnale medio di luminescenza in funzione della carica per le diverse zone del film di LiF su
vetro (rosso) e del film di LiF su vetro blu)
97
Fig.6.11 Immagine 2-D e 3-D non filtrate (sinistra) e filtrate (destra)
L‟analisi con MATLAB, che prevede inizialmente il filtraggio delle immagini ricavate
originariamente (fig.6.11), permette la determinazione della distribuzione trasversa del fascio di
protoni sul film di LiF irraggiato con 300, 670, 1300 e 1500 impulsi (fig.6.12).
1500
300
670
1300
Fig.6.12 Distribuzione orizzontale e verticale della spot del fascio dal film LiF irraggiato con 300, 670, 1300, 1500 impulsi:
x = 0.545 mm y = 0.717 mm ; x = 0.562 mm y = 0.58 mm ; x=0.66 mm y=0.614 mm; x = 0.563 mm y = 0.698 mm
98
Seconda sessione di irraggiamenti
Le immagini, riportate in formato 960x960 sono state analizzate con il software ImageJ che, con la
funzione “Analyze”, ha calcolato, al pari del programma in MATLAB riportato nell‟appendice A.1,
la “Integrated density”, definibile come il valore della luminescenza registrato nell‟immagine,
integrato su tutta l‟area di interesse. I valori numerici così ottenuti sono stati graficati in funzione
del numero di impulsi (fig.6.13 e fig.6.14). Nel riportare sul grafico i valori numerici della
luminescenza integrata, bisogna che questi vengano normalizzati rispetto a un set fissato dei
parametri tempo di esposizione-guadagno che sia uguale per tutti; è stato preso come valore di
riferimento su cui normalizzare un tempo di esposizione di un secondo ed un guadagno unitario.
Fig.6.13 Cristalli di LiF: “Integrated density” in funzione del numero di impulsi (5-1000 impulsi nella figura di sinistra e 1000128000 in quella a destra).
Fig.6.14 Film di LiF su vetro: “Integrated density” in funzione del numero di impulsi (100-1000 impulsi nella figura di sinistra e
1000-128000 in quella a destra).
Dai dati raccolti con questa metodica si trova che il rapporto tra la luminescenza integrata del
cristallo e quella del film (normalizzate tra loro), irraggiati entrambi con 1000 impulsi, è pari a 23
(Icr/Ifilm=23), mentre diminuisce a 14 nel caso di 64000 impulsi (Icr/Ifilm=14). Questa circostanza è
99
legata al fatto che il cristallo impiegato ha uno spessore molto maggiore di quello del film di LiF, e
questo fa si che l‟energia rilasciata all‟interno del rivelatore sia maggiore e quindi il numero di CC
sia superiore. Nel film su vetro inoltre non tutto il segnale di luminescenza viene riflesso sul
detector, a differenza del film su silicio o del cristallo, con conseguente diminuzione della risposta
del rivelatore.
Fig.6.15 Andamento dell’intensità integrata in funzione del numero di impulsi per gli spot irraggiati su film e cristalli di LiF
In figura 6.15 sono riportati, su scala logaritmica, i dati raccolti nella seconda sessione di
irraggiamenti, che coprono un range da 150-128000 impulsi per i cristalli e 100-128000 per i film.
Questa figura permette di determinare il range di linearità della risposta per il cristallo tra 300-4000
impulsi, mentre per il film su vetro tra 450-32000 impulsi. Il film di LiF su vetro risulta essere
lineare in un range di carica più esteso, inoltre la possibilità di produrne con diverse dimensioni su
diversi substrati, permette di ottimizzarne le caratteristiche: un maggiore spessore e l‟impiego di un
substrato di silicio garantisce di leggere meglio le basse cariche, mentre un film più sottile permette
di leggere meglio basse cariche.
Poiché la carica del singolo impulso è di 58 pC (a cui corrispondono 3.625*108 protoni), il range
totale di carica coperto (corrispondente a 5 – 128000 impulsi) è: 0.29 nC – 7.42 μC; rispetto ai
100
Cr39, che lavorano in un basso range di carica, i film di LiF potrebbero essere impiegati in un range
di carica molto più ampio.
Poiché le immagini sono acquisite in tricromia (RGB), è possibile estrarre da ognuna di esse tre
immagini corrispondenti ai tre canali (R= rosso, G= verde, B= blu) di cui sono composte. Sviluppi
futuri prevedono di applicare la tecnica di acquisizione del segnale integrato su tutta l‟immagine ai
singoli canali R e G, che possiamo in prima approssimazione associare all‟emissione dei centri F2 ed
F3+, rispettivamente. È possibile che l‟andamento dell‟intensità integrata rispetto al numero di
impulsi sia lineare in due diversi range del numero di impulsi, a seconda che si consideri il canale R
oppure il canale G, e che parte di tali range corrisponda a quelli in cui l‟intensità integrata calcolata
dall‟immagine in tricromia ha un andamento non lineare.
L‟analisi dei rivelatori gafcromici, impiegati come elementi di confronto rispetto ai rivelatori di
LiF, è stata condotta attraverso uno strumento fotometrico chiamato “FWT-60 Radiachromic
Reader”. Il fotometro a doppia lunghezza d‟onda ( 510 nm e 600 nm) ha permesso la lettura della
densità ottica di ciascun rivelatore. Confrontando questi risultati con una curva di calibrazione
(fig.6.16), che fornisce una corrispondenza tra densità ottica e dose assorbita dal singolo rivelatore,
si è ricavato l‟andamento di figura 6.17 (1 Rad = 0,01 gray).
Fig.6.16 Curve di calibrazione del FWT-60 Radiachromic Reader per le due lunghezze d’onda di esercizio
101
Dose assorbita (Gray)
60000
50000
40000
30000
20000
10000
0
0
200
400
600
800
1000
1200
Numero di impulsi
Figura 6.17 Andamento della dose assorbita dai rivelatori gafcromici in funzione dello stesso numero di
impulsi impiegato per i film di LiF.
L‟andamento ottenuto in figura 6.17, non propriamente lineare, suggerisce l‟impiego, nei futuri
irraggiamenti, di un collimatore di diametro maggiore, tale da incrementare la dimensione della spot
sul rivelatore e quindi migliorare le condizioni di lettura con l‟FWT-60.
Inoltre presso il laboratorio Stato Solido di UTAPRAD-MNF, utilizzando lo spettrofotometro
Perkin-Elmer 950 (fig.6.17), sono state eseguite misure in trasmissione (sulle aree irraggiate con
1000, 750, 600, 300, 50, 5 impulsi) nel range spettrale 190-1400 nm. La figura 6.18 riporta gli
spettri di assorbimento delle aree in esame insieme allo spettro del cristallo prima
dell‟irraggiamento; in tutte le aree irraggiate è possibile identificare la presenza della banda di
assorbimento dei centri di colore F, mentre per le due dosi più basse l‟intensità della banda M non è
univocamente identificabile a causa del rumore di fondo del segnale (fig.6.19).
Fig.6.17 Spettrofotometro Lambda 950, PERKIN ELMER, intervallo UV/VIS/NIR (190-3200nm). Il sistema misura
quantitativamente la frazione di luce che attraversa una determinato campione solido o liquido. In uno spettrofotometro, una
luce proveniente da una lampada nella regione vicino-IR/VIS/UV (tipicamente una lampada a scarica in gas deuterio per l'UV/VIS
e particolari lampade ad incandescenzaper l'IR) viene guidata attraverso un monocromatore che separa dallo spettro
complessivo la radiazione di una particolare lunghezza d'onda. Questa luce passa attraverso il campione che deve essere
sottoposto alla misurazione. Attraversato il campione, l’intensità rimanente della radiazione viene misurata mediante un
102
rivelatore costituito da un fotodiodo o da un altro sensore luminoso; questo consente di calcolare la trasmittanza della
lunghezza d'onda in esame.
-
1000 impulsi
750 impulsi
600 impulsi
300 impulsi
50 impulsi
5 impulsi
prima dell’irraggiamento
Fig.6.18 Assorbimento dei centri colore F ed M al variare del numero di impulsi.
-
1000 impulsi
750 impulsi
600 impulsi
300 impulsi
50 impulsi
5 impulsi
prima dell’irraggiamento
Fig.6.19 Assorbimento dei centri colore M al variare del numero di impulsi.
Dagli andamenti sopra mostrati è possibile associare intensità maggiori di assorbimento in
corrispondenza di un numero elevato di impulsi.
103
Capitolo 7- Trasporto nella linea a quadrupoli a magneti permanenti (PMQ)
La funzione principale della linea di trasporto orizzontale composta dai 4 quadrupoli
elettromagnetici sopra descritta è quella di adattare lo spazio-fasi trasverso del fascio prodotto
dall‟acceleratore alla struttura accelerante successiva. I primi moduli di accelerazione sono di tipo
SCDTL (Side Coupled Drift tube Linac) descritti nel paragrafo 2.2.2, nei quali la focalizzazione
trasversa del fascio è assicurata da una serie di piccoli quadrupoli a magneti permanenti (PMQ)
inseriti negli spazi liberi fra le tanks in cui avviene l‟accelerazione e disposti in uno schema del tipo
FODO. Prima del montaggio dei PMQ si prevede di effettuare un test di trasporto nella linea dei
PMQ stessi, collocandoli nelle medesime posizioni che avranno una volta montati sull‟SCDTL.
Questo capitolo concerne la caratterizzazione magnetica dei PMQ (in particolare la misura del
gradiente e delle componenti armoniche) e l‟ottimizzazione (tramite l‟utilizzo del codice
TRACE3D) del trasporto del fascio all‟interno del canale.
7.1 Caratterizzazione dei PMQ del primo modulo della linea di accelerazione ad alta
frequenza.
Il contributo delle componenti armoniche del campo diverse da quelle quadrupolari può distorcere il
fascio, producendo un incremento di emittanza, o una diminuzione della trasmissione del fascio
nella struttura accelerante; il controllo della qualità del campo è pertanto molto importante. La
componente dipolare è quella meno desiderata, poiché la propagazione del fascio di protoni nella
piccola apertura della struttura SCDTL (4 mm di diametro) richiede una coincidenza di ±50 µm
degli assi magnetici e meccanici. Per raggiungere questo scopo, i campi armonici dei PMQ, devono
essere misurati, nelle posizioni centrali, con grande accuratezza.
Nell‟ambito del Progetto TOP-IMPLART il primo dei quattro moduli SCDTL, capace di accelerare
protoni da 7 a 12 MeV, è in costruzione. Tale modulo è composto da 9 strutture acceleranti
denominate TANKS costituite da corti DTL (Drift Tubes Linac, con 3 tubi di drift) accoppiati da
cavità poste fuori asse. Come già trattato nel paragrafo 2.2.2, date le alte frequenze operanti, i tubi
di drift sono troppo piccoli per collocare i quadrupoli necessari a focalizzare le particelle. La
focalizzazione trasversa del fascio viene eseguita quindi grazie ad un insieme di quadrupoli a
magneti permanenti (PMQ) lunghi 3 cm, con un diametro interno di 7 mm, posizionati negli spazi
tra le inter-tank, presenti nello schema di FODO lattice (ossia i quadrupoli focheggiano
alternativamente nel piano orizzontale e verticale).
104
Per il primo modulo SCDTL sono stati costruiti, dalla BJA, in accordo con il disegno ENEA, undici
PMQ di tipo Halbach ad otto segmenti, utilizzando magneti al Samario-Cobalto (SmCo5). Per la
progettazione multipolare possono essere considerati [48-49] tre diversi materiali anisotropi:
Samario- Cobalto, Neodimio- Ferro- Boro, ceramica (Ferrite dura). La tabella sottostante mostra la
gamma delle proprietà disponibili con questi materiali.
Tab.7.1Proprietà di diversi possibili materiali da impiegare nella realizzazione dei PMQ
A causa della natura strategica del cobalto, il cui prezzo subisce consistenti variazioni, e del costo
iniziale del samario, lo sviluppo di questi materiali è tutt‟ oggi ridotto e il loro impiego è limitato a
quelle applicazioni, come quella in esame, dove sia richiesto un certo livello di miniaturizzazione
dei componenti. Inoltre i magneti in Samario e Cobalto sono caratterizzati da un elevata resistenza
magnetica alla temperatura (fino a 350°C) e un‟ottima resistenza alla corrosione.
La possibilità di smontare ogni quadrupolo in due parti, semplifica il suo montaggio e il suo
allineamento nella struttura.
Fig. 7.1: a) uno degli undici PMQ smontato per evidenziare, su una delle sue due metà, i quattro blocchi di materiale
permanente; dettagli del progetto proposto per la realizzazione dei PMQs [49].
105
Fig.7.2 Dettagli di uno dei PMQ
7.1.1 Descrizione del sistema di misura
L‟approccio comune utilizza spire rotanti (Appendice A.2), a cui tuttavia sono associate una serie di
problematiche: nelle misure con piccole aperture ad esempio è necessaria la fabbricazione di
piccole spire e la soppressione delle vibrazioni durante le misure stesse.
Il metodo che si è invece sfruttato per misurare le ampiezze delle varie armoniche del campo
magnetico, tanto semplice quanto veloce e a basso costo, consiste nel mantenere fissa la spira e nel
ruotare attorno ad essa il piccolo PMQ sotto misura, montato su un tornio. In questo modo
l‟accuratezza nella determinazione del centro del campo di armoniche è di pochi micrometri.
Fig 7.3 Catena di misura impiegata
La figura 7.3 mostra in dettaglio la catena di misura: in cui il PMQ è posizionato sul mandrino del
tornio, mentre la bobina, ampia 1.4 mm e lunga 40 mm, è collocata su un tavolo movimentabile
nelle due dimensioni trasverse, consentendo così un allineamento preciso.
La procedura di misura è la seguente: il PMQ è ruotato e la tensione indotta sulla bobina è misurata
e registrata. I dati sono analizzati con la FFT per ottenere l‟ampiezza delle armoniche del campo.
Un disco nero, imbullonato al mandrino rotante, presenta un foro che permette di rilevare, con un
106
diodo ottico, la luce emessa da una lampada, così che venga reso disponibile un segnale (spike) di
sincronismo (encoder).
Durante la misura, la bobina viene posizionata leggermente all‟interno del PMQ e apparentemente
lungo il suo asse magnetico, con lo scopo di annullarne l‟errore nella rotazione; inoltre viene testata
la costanza del segnale mentre la bobina è fatta muovere longitudinalmente.
Il centro magnetico della bobina viene definito, sfruttando un oscilloscopio ad alta sensibilità
(1mV/div), in corrispondenza di un segnale quadrupolare nullo (un segnale dipolare può essere
presente).
Quanto esposto trova conferma nelle figure sottostanti, che mostrano l‟uscita dell‟oscilloscopio
rispettivamente nel caso di una misura ad una distanza di 1mm dall‟asse del quadrupolo e sull‟asse.
Fig.7.4 Uscita dell’oscilloscopio nel caso di una misura ad una distanza di 1mm e sull’asse del PMQ

la traccia celeste: rappresenta la tensione sulla bobina,

la traccia gialla è il segnale di trigger,

il segnale rosso è la FFT.

L‟intervallo tra due spikes di trigger segna l‟inizio e la fine della rivoluzione di un PMQ e
corrisponde:
 ad 1mm dall‟asse quadrupolare (R=1mm): a due oscillazioni complete, tipiche del
comportamento quadrupolare,
 sull‟asse quadrupolare (R=0): ad una oscillazione completa, corrispondente al dipolo
residuo.
Questo set-up permette quindi di valutare il centro di rotazione con precisione micrometrica.
7.1.2 Analisi dei risultati
Le misure condotte sui quadrupoli sono state analizzate attraverso lo sviluppo in serie di Fourier ed
il contributo armonico è stato recuperato dalla relazione:
107
𝑉 = 𝑎0 +
∞
(𝑛𝜔𝑡)
𝑛=1 𝑎𝑛 cos⁡
+
∞
(𝑛𝜔𝑡)
𝑛 =1 𝑏𝑛 sin⁡
(7.1)
Per ciascuno degli undici quadrupoli, uno in più rispetto a quelli realmente impiegati nella struttura
SCDTL, si sono ottenuti: i valori dei gradienti (fig.7.5) e le ampiezze delle componenti armoniche,
rappresentate dal rapporto rispetto alle ampiezze delle componenti quadrupolari (fig.7.6).
Il valore del gradiente è dato dalla relazione 𝐺 = 𝑐2 𝑇/(𝑁4𝜋𝐿𝑒𝑓𝑓 𝑑𝑅𝑟𝑖𝑓 ), in cui compaiono:
𝑐2 =
𝑎22 + 𝑏22 , il periodo (T), la lunghezza efficace (Leff =3 cm), il numero di avvolgimenti della
spira (N=9), lo spessore della spira (d=1.4 mm).
Fig.7.5 Valore del gradiente misurato per i PMQ (Rrif=1 mm).
Fig.7.6 Misure delle componenti multipolari dei PMQ (Rrif=1 mm).
Il segnale di tensione ricavato da ognuno degli undici quadrupoli è stato analizzato con la
Trasformata di Fourier (FFT) al fine di definire il contributo armonico (Appendice A.3).
La figura 7.7 mostra infine la differenza tra il centro meccanico e quello magnetico (δr) per ogni
quadrupolo: i valori sono tutti più inferiori a quello tollerato di 50 μm.
108
Fig.7.7 Differenze misurate tra l’asse magnetico e quello geometrico dei PMQ (Rrif=1 mm).
Lo spostamento tra l‟asse spostamento tra l‟asse magnetico e geometrico del quadrupolo è dato da:
𝛿𝑟 = 0.5𝑅𝑟𝑖𝑓 𝑐1 /𝑐2 , con 𝑐1 =
𝑎12 + 𝑏12 .
I risultati riportati sin ora sono riferiti ad una distanza, dall‟asse del PMQ, di 1mm (Rrif=1 mm);
tuttavia al fine di valutare la precisione dei valori ricavati, le misure sono state ripetute a differenti
distanze. Riportiamo nella tabella seguente i risultati riguardanti il sesto PMQ:
Rrif (mm)
0.25
0.5
0.75
1
1.25
R (µm)
6.1133
6.1245
6.0975
6.0355
5.8737
G(T/m)
198.7111
197.7191
198.2328
197.6443
198.2449
Tab.7.2
Dalla tabella 7.2 è possibile notare che le misure sono poco dipendenti dalle posizioni della bobina.
7.2 “Matching” con linea tipo “FODO lattice” a quadrupoli a magneti permanenti (PMQ)
Utilizzando Trace3D si è proceduto a simulare il trasporto del fascio di protoni all‟interno della
linea dei PMQ. Le posizioni dei PMQ nella linea a 7 MeV sono le stesse che andranno ad occupare
all‟interno della struttura accelerante SCDTL, quindi non sono equidistanziati. Questo test risulta
quindi preliminare alla fase di costruzione del primo modulo SCDTL. Il matching tra l‟uscita
dell‟iniettore e l‟ingresso della linea di trasporto è assicurato dai quadrupoli elettromagnetici
interposti tra essi; in particolare il loro numero deve essere pari al numero delle caratteristiche che si
vogliono garantite al fascio (αx; βx; αy; βy), così da avere un‟equivalenza tra il numero delle
incognite e quello delle variabili. Nel seguito del paragrafo analizzeremo sia la configurazione con
il primo PMQ focalizzante in orizzontale (caso A) e sia quella con il primo PMQ focalizzante in
verticale (caso B).
109
Fig.7.8 PMQ focheggiante rispettivamente nel piano orizzontale (caso A) e nel piano verticale (caso B). Il file di input a Trace3D è
riportato in Appendice A.4.
Le due uscite di Trace in fig.7.8 mostrano che il più favorevole tra i due casi risulta il B; infatti alla
fine dell‟elemento 5, cioè prima del terzo quadrupolo, la massima ampiezza legata all‟inviluppo
verticale del fascio risulta inferiore rispetto al caso A (yAmax=14.8433 mm > yBmax=13.472 mm).
Inoltre, dato che il fascio dall‟iniettore esce defocalizzato in verticale e focalizzato in orizzontale,
per cui è richiesta un‟alternanza dei quattro quadrupoli del tipo -,+,-,+, risulta naturale partire con la
sequenza dei PMQ con un elemento focalizzante nel piano verticale.
110
Conclusioni
Il presente lavoro di tesi si inserisce nell‟ambito del Progetto TOP (Terapia Oncologica con
Protoni)-IMPLART (Intensity Modulated Proton Linear Accelerator), che prevede la realizzazione
di un centro per terapia oncologica basato su un acceleratore lineare di protoni da 230 MeV. Esso,
nato dalla collaborazione tra ENEA, Istituto Superiore di Sanità (ISS) ed Istituti Fisioterapici
Ospedalieri (IFO), si articola in due fasi. La prima fase prevede la realizzazione e la validazione,
presso il laboratorio acceleratori dell‟ENEA di Frascati, del segmento della macchina fino a 150
MeV, mentre la seconda prevede il trasferimento e il completamento dell‟acceleratore nel sito di
utilizzo clinico presso l‟IFO di Roma.
Satellite al TOP-IMPLART si è sviluppato il sottoprogetto ISPAN (Irraggiamento Sperimentale con
Protoni per Modelli Cellulari ed Animali), che si propone di realizzare un impianto di riferimento
per la radiobiologia. Il progetto ISPAN prevede l‟irraggiamento con fascio orizzontale di piccoli
animali (a 17.5MeV) e di colture cellulari V79 (per energie fino a 7MeV), con fascio orizzontale
(prima del montaggio dei successivi moduli di accelerazione) e verticale. Il magnete di deflessione
verticale, presente nella LEBT (Low energy Beam Transport), riesce a definire un fascio diretto dal
basso verso l‟alto, condizione indispensabile per effettuare ad esempio studi su cellule flottanti nel
terreno di coltura, o valutare gli effetti indiretti della radiazione sulle cellule (in condizioni di
irraggiamento su un doppio strato).
L‟attività sperimentale è stata svolta interamente presso i laboratori del Centro ENEA di Frascati,
dove è istallato ed in funzione l‟iniettore (modello PL-7 dell‟ACCSYS-HITACHI), costituito da un
RFQ (Radiofrequency Quadrupole) ed un DTL (Drift Tube Linac), e la LEBT, composta da quattro
quadrupoli e dal magnete di deflessione verticale posto tra i due doppietti.
L‟obiettivo principale è l‟ottimizzazione dei parametri dell‟iniettore e degli elementi che
compongono la linea di trasporto verticale e orizzontale al fine della sperimentazione
radiobiologica.
I principali risultati conseguiti sono stati:
1) L’ottimizzazione dei parametri di macchina e del trasporto del fascio sia in direzione
verticale che orizzontale per varie dimensioni di fascio nel punto di irraggiamento. Sono
stati combinati calcoli numerici basati sul codice di trasporto TRACE3D che, partendo dalle
condizioni misurate all‟uscita dell‟iniettore consente di definire i valori dei gradienti dei
111
quadrupoli, e test sperimentali. L‟attività è stata condotta prima e dopo l‟istallazione della
seconda coppia di quadrupoli.
2) La caratterizzazione dell’impiego della lente unipolare (“einzel lens”) tramite la misura
della corrente in uscita alla linea completa orizzontale al variare della tensione sulla lente.
Avendo fissato il valore della tensione di estrazione a 26 kV, per variazioni della tensione
sulla lente tra 13 e 29 kV, la corrente è stata variata di un fattore 40 in un intervallo fino a 7
µA con un fascio rotondo alla fine della linea e tollerando alcune perdite nella trasmissione.
Ottimizzando successivamente il trasporto e altri parametri di macchina tale valore massimo
è stato poi circa raddoppiato.
3) La messa a punto di un sistema di lettura di basse cariche (la condizione ideale per la
misura di dose con questo rivelatore si ottiene quando il fascio è composto da 105-106
protoni) per l‟impiego di dosimetri a tracce nucleari tipo CR39 irraggiati con fascio
orizzontale e verticale. I risultati delle misure hanno messo in evidenza una migliore
operazione con fascio verticale trasversalmente piu‟ uniforme e piu‟ “pulito” rispetto al
fascio orizzontale. In queste condizioni e‟ stato possibile leggere dosi inferiori a 0,1 Gy e
effettuare test preliminari di linearità dei rivelatori.
4) Test sperimentali su rivelatori di tipo innovativo basati su film di LiF sviluppati nel
laboratorio di fotonica e micro-nano strutture del centro ENEA di Frascati. Per questo tipo
di rivelatori, già consolidati nel campo dei raggi X, è stata studiata la possibilità d‟impiego
su fasci di protoni a bassa energia tramite una serie sistematica di misure sperimentali su
film dello spessore di 1 µm depositati su vetro in un ampio range di carica (0.29 nC – 7.42
μC) individuando l‟intervallo in cui la risposta risulta lineare. E‟ stata verificata anche la
possibilità del loro utilizzo per l‟ “imaging” trasversa del fascio. Per questo è stato scritto
un programma in MATLAB
che dalle immagini acquisite col microscopio confocale
consente di ricavare la distribuzione trasversa del fascio di protoni. Le misure sui film sono
state confrontate nelle stesse condizioni sperimentali con misure effettuate su cristalli di LiF
dallo spessore di 1 mm e su rivelatori Gafcromici.
5) Impiego del software SRIM per la valutazione della perdita di energia dei protoni nei vari
strati di materia attraversati (finestra di uscita in Kapton dallo spessore di 50µm, aria,
rivelatore) .
6) Studio tramite TRACE3D del “matching” tra l’uscita dell’iniettore e la linea di
focalizzazione di tipo FODO a quadrupoli a magneti permanenti (PMQ) che verrà in
seguito utilizzata all‟interno del primo modulo di accelerazione di tipo SCDTL e messa a
112
punto di un sistema innovativo per la misura delle componenti armoniche del campo
magnetico dei PMQ stessi. Le misure hanno evidenziato un livello delle componenti
armoniche ben all‟interno delle tolleranze richieste.
Il lavoro svolto ha vari sviluppi. Uno di questi sarà il disegno di una linea dedicata con camera di
“scattering” per migliorare uniformità e controllo del fascio per l‟irraggiamento di cellule di tipo
V79 in direzione verticale; nella progettazione verrà impiegato anche il modulo di supporto a SRIM
denominato SSSM, con il quale sono state fatte alcune prove di utilizzo presentate nel capitolo 3.
Un altro sviluppo concerne la possibilità di impiego dei rivelatori a film di LiF per dosimetria su
protoni. Per quanto concerne infine la parte di lavoro svolta sulla linea a PMQ essa risulta
preliminare all‟effettuazione del trasporto del fascio di protoni da 7 MeV all‟interno della linea
“FODO-like” a PMQ, prima del loro definitivo montaggio all‟interno del primo modulo di
accelerazione (da 7 a 11.6 MeV).
113
Ringraziamenti
La realizzazione di questa Tesi di laurea non sarebbe stata possibile se non avessi avuto
l‟opportunità di fare riferimento contemporaneamente a docenti dell‟Università “La Sapienza di
Roma” e ai ricercatori dell‟ENEA di Frascati.
Pertanto voglio ringraziare il mio relatore Prof. Vincenzo Patera ed il correlatore Dott. Mostacci,
per avermi incoraggiato ad intraprendere questo lavoro e a frequentare il laboratorio
dell‟UTAPRAD-SOR.
Mi è estremamente gradito, in questa occasione, ringraziare tutto il personale dell‟Unità ed in
particolare il Dott. Luigi Picardi, il Dott. Mariano Carpanese ed il Sig. Alessandro Ampollini.
L‟ambiente che ho trovato è sempre stato stimolante e mi ha arricchito molto, dal punto di vista
scientifico ed umano.
Infine desidero esprimere la più sincera gratitudine alla Dott.ssa Ronsivalle, la persona alla quale
debbo più riconoscenza perché, con la sua profonda conoscenza della tematica, il suo entusiasmo e
la sua incommensurabile pazienza, mi ha seguito fino al termine di questo lavoro.
114
Appendice
Appendice A.1: Codice MATLAB utilizzato per l’analisi dei cristalli di LiF.
Il codice riportato di seguito è stato utilizzato per analizzare con MatLab, le immagini relative ai
rivelatori di Fluoruro di Litio.
close all
clear
%spot_file='Cristallomacro3.jpg';
%spot_file='Macro3.bmp';
%spot_file='Nlif54_n14.jpg';
%spot_file='cristallo_CLSM4x_faccia2.tif'
%spot_file='NLiF54n1Si_CLSM4x_a_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n1Si_CLSM4x_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n2_zona1_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n2_zona3_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona1_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona2_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona4_CLSM4x_b_CHR.tif'
%%---CARICA LE IMMAG. E LE FILTRA inizio
%%chiama l'immag: si occupa dei film su vetro
spot_file1='NLiF54n3_zona1_CLSM4x_CHR.tif'
spot_file2='NLiF54n3_zona2_CLSM4x_CHR.tif'
spot_file3='NLiF54n3_zona3_CLSM4x_CHR.tif'
spot_file4='NLiF54n3_zona4_CLSM4x_CHR.tif'
spot_file_n2_1='NLiF54n2_zona1_CLSM4x_b_CHR.tif'
spot_file_n2_3='NLiF54n2_zona3_CLSM4x_b_CHR.tif'
e1=imread(char(spot_file1));
e2=imread(char(spot_file2));
e3=imread(char(spot_file3));
e4=imread(char(spot_file4));
e1n2=imread(char(spot_file_n2_1));
e3n2=imread(char(spot_file_n2_3));
[ni,nj]=size(e1)
min_e1=min(min(e1));
%---- apply averaging filter
%h = ones(8,8) / 64;
%h = ones(4,4) / 16;
h = ones(6,6) / 36;
t1=imfilter(e1,h);
t2=imfilter(e2,h);
%%effettua il filtraggio delle varie immagini
115
t3=imfilter(e3,h);
t4=imfilter(e4,h);
t1n2=imfilter(e1n2,h);
t3n2=imfilter(e3n2,h);
%---CARICA LE IMMAG. E LE FILTRA fine
%%--- ROIFILL inizio
figure(1)
subplot(121)
colormap(gray)
imagesc(e4)
title('zona4naturale')
subplot(122)
colormap(gray)
R=[240;240;210;210]
C=[377;311;311;377]
E4=roifill(e4,C,R)
imagesc(E4)
title('zona4eliminataROI')
T4=imfilter(E4,h);
%--- ROIFILL fine
%%---IMMAG COMPLETA inizio
%%con il subplot prendi la figure e lo dividi in diversi plot:
figure(2)
%%il primo e secondo numero dicono in quante parti (righe e
colonne rispettivamente)
subplot(221)
%%dividi la figurel'ultimo numero rappresenta la zona di
figure dove è inserito il subplot
colormap(gray)
%%imposta la mappa dei colori alla scala dei grigi
imagesc(e1)
%%mostra l'immagine e in più scala i dati al fine di
utilizzare l'intera mappa dei colori
title('zona1')
subplot(222)
%%fa itera per le altre 3 immagini
colormap(gray)
imagesc(e2)
title('zona2')
subplot(223)
colormap(gray)
imagesc(e3)
title('zona3')
subplot(224)
colormap(gray)
imagesc(E4)
%%se vuoi usare roifill modifica e4 in E4 e pure t4 in T4!!
title('zona4')
figure(3)%rappresenta le immagini filtrate del LiF 1 su vetro (zona 1,2,3,4)
subplot(221)
colormap(gray)
imagesc(t1)
title('zona1')
subplot(222)
colormap(gray)
imagesc(t2)
title('zona2')
subplot(223)
colormap(gray)
imagesc(t3)
title('zona3')
116
subplot(224)
colormap(gray)
imagesc(T4)
title('zona4')
figure(31)%rappresenta le immagini di LiF 2 su vetro (zona 1 e 3) filtrate e non
subplot(221)
colormap(gray)
imagesc(e1n2)
title('zona1nonfiltrata')
subplot(222)
colormap(gray)
imagesc(e3n2)
title('zona3nonfiltrata')
subplot(223)
colormap(gray)
imagesc(t1n2)
title('zona1filtrata')
subplot(224)
colormap(gray)
imagesc(t3n2)
title('zona3filtrata')
colpi=[300 670 1300 1500];
colpi=[1300 300 1500 670];
colpin2=[500 1000];
%---IMMAG COMPLETA continua dopo
%%---PORZIONE inizio
porzione=ones(343,334);
porzione=uint16(porzione);
%%rendi la matrice ones con i dati dell'immagine
%porzioni del primo LiF su vetro
for m=92:435
for n=100:434
porzione(m-91,n-99)=e1(m,n);
end;
end;
imwrite(porzione,'porzione_e1.tif','tif');
figure(4)
subplot(221)
colormap(gray)
imagesc(porzione)
title('porzionee1')
for m=92:435
for n=100:434
porzione(m-91,n-99)=e2(m,n);
end;
end;
imwrite(porzione,'porzione_e2.tif','tif');
figure(4)
subplot(222)
colormap(gray)
imagesc(porzione)
title('porzionee2')
for m=92:435
117
for n=100:434
porzione(m-91,n-99)=e3(m,n);
end;
end;
imwrite(porzione,'porzione_e3.tif','tif');
figure(4)
subplot(223)
colormap(gray)
imagesc(porzione)
title('porzionee3')
for m=92:435
for n=100:434
porzione(m-91,n-99)=E4(m,n);
end;
end;
imwrite(porzione,'porzione_e4.tif','tif');
figure(4)
subplot(224)
colormap(gray)
imagesc(porzione)
title('porzionee4')
e1_porzione=imread(char('porzione_e1.tif'));
e2_porzione=imread(char('porzione_e2.tif'));
e3_porzione=imread(char('porzione_e3.tif'));
E4_porzione=imread(char('porzione_E4.tif'));
h = ones(6,6) / 36;
%%dichiara una matrice unità 6x6 e la divide per 36
t1_porzione=imfilter(e1_porzione,h);%effettua il filtraggio delle varie immagini
t2_porzione=imfilter(e2_porzione,h);
t3_porzione=imfilter(e3_porzione,h);
T4_porzione=imfilter(E4_porzione,h);
figure(5)
%%rappresenta le immagini porzione filtrate del film n1 su
vetro e quindi t1,2,3,4
subplot(221)
colormap(gray)
imagesc(t1_porzione)
title('zona1')
subplot(222)
colormap(gray)
imagesc(t2_porzione)
title('zona2')
subplot(223)
colormap(gray)
imagesc(t3_porzione)
title('zona3')
subplot(224)
colormap(gray)
imagesc(T4_porzione)
title('zona4')
%porzioni del secondo LiF su vetro
for m=92:435
for n=100:434
porzione(m-91,n-99)=e1n2(m,n);
end;
end;
118
imwrite(porzione,'porzione_e1n2.tif','tif');
for m=92:435
for n=100:434
porzione(m-91,n-99)=e3n2(m,n);
end;
end;
imwrite(porzione,'porzione_e3n2.tif','tif');
e1n2_porzione=imread(char('porzione_e1n2.tif'));
e3n2_porzione=imread(char('porzione_e3n2.tif'));
t1n2_porzione=imfilter(e1n2_porzione,h);
t3n2_porzione=imfilter(e3n2_porzione,h);
figure(6)
%%rappresenta le immagini porzioni filtrate e non del
film n2 su vetro...quindi delle zone 1 e 3
title('LiF2 porzione non filtrata e filtrata')
subplot(221)
colormap(gray)
imagesc(e1n2_porzione)
title('zona1nonfiltrata')
subplot(222)
colormap(gray)
imagesc(e3n2_porzione)
title('zona3nonfiltrata')
subplot(223)
colormap(gray)
imagesc(t1n2_porzione)
title('zona1filtrata')
subplot(224)
colormap(gray)
imagesc(t3n2_porzione)
title('zona3filtrata')
%calcola mean2 sulla porzionede dell'immag per LiF1
t_amp_porzione(1)=mean2(t1_porzione);
%%calcola con mean2 il valore medio
delle varie matrici_porzione filtrate (t) e non (e)..esce un vettore riga fatto
di 1 elemento
t_amp_porzione(2)=mean2(t2_porzione);
%...2elementi
t_amp_porzione(3)=mean2(t3_porzione);
%...3elementi
t_amp_porzione(4)=mean2(T4_porzione);
%...4elementi
e_amp_porzione(1)=mean2(e1_porzione);
e_amp_porzione(2)=mean2(e2_porzione);
e_amp_porzione(3)=mean2(e3_porzione);
e_amp_porzione(4)=mean2(E4_porzione);
%calcola mean2 sulla porzione dell'immag per LiF2
t_ampn2_porzione(1)=mean2(t1n2_porzione);
t_ampn2_porzione(2)=mean2(t3n2_porzione);
e_ampn2(1)=mean2(e1n2_porzione);
e_ampn2(2)=mean2(e3n2_porzione);
119
%rappresenta i valori ottenuti per la porzione di immag e filtrata del:
figure(7)
%LiF1 espresso con il numero di impulsi
plot(colpi,t_amp_porzione,'.','Markersize',24)
xlabel('number of pulses')
ylabel('Intensity (a.u.)')
title('valore medio su una porzione di immag filtrata per LiF1 (numero di
impulsi)')
grid
figure(8)
%LiF1 espresso con la carica (nC)
plot(colpi*5.94/1000,t_amp_porzione,'.','Markersize',24)
%fa i colpi per la carica per impulso così che sull'asse ha i Coulomb
xlabel('nC')
ylabel('Intensity (a.u.)')
%unità arbitrarie
title('valore medio su una porzione di immag filtrata per LiF1 (carica)')
grid
%%mette la griglia
figure(9)
%LiF2
plot(colpi*5.94/1000,t_amp_porzione,'b.',colpin2*5.94/1000,t_ampn2_porzione,'r.'
,'Markersize',24)
xlabel('nC')
ylabel('Intensity (a.u.)')
title('valore medio su una porzione di immag filtrata per LiF1 e LiF2')
legend('NLiF54 n3','NLiF54 n2')
grid
%---PORZIONE fine
%%---IMMAG COMPLETA riprende
%calcola mean2 su tutta l'immag per LiF1
t_amp(1)=mean2(t1);
%%calcola con mean2 il valore medio delle varie
matrici filtrate (t) e non (e)..esce un vettore riga
t_amp(2)=mean2(t2);
t_amp(3)=mean2(t3);
t_amp(4)=mean2(T4);
e_amp(1)=mean2(e1);
e_amp(2)=mean2(e2);
e_amp(3)=mean2(e3);
e_amp(4)=mean2(E4);
%calcola mean2 su tutta l'immag per LiF2
t_ampn2(1)=mean2(t1n2);
t_ampn2(2)=mean2(t3n2);
e_ampn2(1)=mean2(e1n2);
e_ampn2(2)=mean2(e3n2);
figure(10)
plot(colpi,t_amp,'.','Markersize',24)
xlabel('number of pulses')
ylabel('Intensity (a.u.)')
title('valore medio su immag completa e filtrata per LiF1 (numero di impulsi)')
grid
figure(11)
%LiF1 espresso con la carica (nC)
plot(colpi*5.94/1000,t_amp,'.','Markersize',24)
xlabel('nC')
120
ylabel('Intensity (a.u.)')
title('valore medio su immag completa e filtrata per LiF1 (carica)')
grid
figure(12)
%LiF2
plot(colpi*5.94/1000,t_amp,'b.',colpin2*5.94/1000,t_ampn2,'r.','Markersize',24)
xlabel('nC')
ylabel('Intensity (a.u.)')
title('valore medio su immag completa e filtrata per LiF1 e LiF2')
legend('NLiF54 n3','NLiF54 n2')
grid
-------------------------------------------------------------------------------close all
clear
%spot_file='Cristallomacro3.jpg';
%spot_file='Macro3.bmp';
%spot_file='Nlif54_n14.jpg';
spot_file='cristallo_CLSM4x_faccia2.tif'
%chiama l'immag del cristallo
%spot_file='NLiF54n1Si_CLSM4x_a_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n1Si_CLSM4x_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n2_zona1_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n2_zona3_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona1_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona2_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona4_CLSM4x_b_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona1_CLSM4x_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona2_CLSM4x_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona3_CLSM4x_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona4_CLSM4x_CHR.tif'
%spot_file='NLiF54n3_zona1_CLSM4x_CHR_blur.tif'
e=imread(char(spot_file));
[ni,nj]=size(e)
min_e=min(min(e));
figure(1)
colormap(gray)
imagesc(e)
title('cristallo__CLSM4x_faccia2')
%---- apply averaging filter
h = ones(8,8) / 64;
%applica il filtro di media...quindi dichiara la matrice di uno di dimensioni
8x8, e la divide per 64;h = ones(4,4) / 16;
t=imfilter(e,h);
%con t chiama l'immag. di partenza (e), filtrata.
%--------------- initial plots ------------------figure(2)
subplot(221)
imagesc(e)
title('INPUT IMAGE')
subplot(222)
mesh(double(e))
title('INPUT IMAGE')
subplot(223)
imagesc(t)
title('FILTERED IMAGE')
121
subplot(224)
mesh(double(t))
title('FILTERED IMAGE')
%---- threshold subtraction ---tsoglia=func_threshold(t)
tmin=min(min(t));
[nic njc]=size(t);
for i=1:nic
for j=1:njc
if t(i,j)<=tsoglia
t(i,j)=0;
end
end
end
%----------- find centroid position inside the cropped image ---for i=1:nic
rowf(1,i)=i;
end
for j=1:njc
columnf(j,1)=j;
end
a=sum(t,1);
%row vector:sum of all matrix rows
b=sum(t,2);
%column vector:sum of all columns of matrix
S=sum(sum(t)); %matrix elements sum
centy=((rowf*b)/S)
%centroid y (pixel)
centx=((a*columnf)/S) %centroid x (pixel)
ibfinal=round(centy)
jbfinal=round(centx)
%--- find sigmax and sigmay and their ratio ----------rowsq=rowf.^2;
columnsq=columnf.^2;
centysq=(rowsq*b)/S; %mean x^2
centxsq=(a*columnsq)/S; %mean y^2
sigmay_pixel=sqrt(centysq-(centy)^2);
%sigma y (pix)
sigmax_pixel=sqrt(centxsq-(centx)^2);
%sigma x (pix)
ratiox_y=sigmax_pixel/sigmay_pixel
%-------------- final plots
figure(3)
plot(((1:length(b))-centy),b,((1:length(a))-centx),a','Linewidth',2)
xlabel('pixel')
grid on
legend('y- distribution','x-distribution','Location','NorthOutside' )
%---- SPOT ANALYSIS ---pix_to_mm=3.18/512; %pixel calibration
sigmax_mm=sigmax_pixel*pix_to_mm
sigmay_mm=sigmay_pixel*pix_to_mm
figure(4)
plot(((1:length(b))-centy)*pix_to_mm,b,((1:length(a))centx)*pix_to_mm,a','Linewidth',2)
xlabel('mm')
grid on
legend('y- distribution','x-distribution' )
122
Appendice A.2: File di input a Trace3D.
I file riportati di seguito sono stati impiegati per simulare, attraverso Trace3D, il trasporto del fascio
lungo la linea costituita da quadrupoli e PMQs.
CASO A TRACE3D input file:
&data er= 938.28, q= 1., w= 7, xi= 0.000,
emiti(1)=
6.6, 7.2, 5411,
beami(1)= 0.297, 0.096, -2.769, 0.498, 0.182, 0.642
beamf(1)= 0.0, 0.505, 0.0, 0.081, 0.0, 0.642
freq= 2998, pqext= 2.50, ichrom= 0,
xm= 5.00, xpm= 20.0, ym= 20.0, dpm= 600.0, dwm= 600.0, dpp= 600.0,
n1=1, n2=55, smax= 40.0, pqsmax= 2.0
nprin=5, ijprin(1,1)=1,7,1,2,1,4,1,6,1,7
mt=8,nc=4,mp(1,1)=1,2,1,4,1,6,1,8
nt( 1)= 1, a(1, 1)= 400
nt( 2)= 3, a(1, 2)=-8.16873 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 3)= 1, a(1, 3)= 67
nt( 4)= 3, a(1, 4)=8.67658 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 5)= 1, a(1, 5)= 1068
nt( 6)= 3, a(1, 6)=-10.1648 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 7)= 1, a(1, 7)= 67
nt( 8)= 3, a(1, 8)=14.8009 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 9)= 1, a(1, 9)= 340.45
nt( 10)= 3, a(1, 10)=195.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 11)= 3, a(1, 11)=195.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 12)= 1, a(1, 12)= 19.01
nt( 13)= 1, a(1, 13)= 49.33
nt( 14)= 1, a(1, 14)= 19.43
nt( 15)= 3, a(1, 15)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 16)= 3, a(1, 16)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 17)= 1, a(1, 17)= 19.43
nt( 18)= 1, a(1, 18)= 50.83
nt( 19)= 1, a(1, 19)= 20.47
nt( 20)= 3, a(1, 20)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 21)= 3, a(1, 21)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 22)= 1, a(1, 22)= 20.47
nt( 23)= 1, a(1, 23)= 52.35
nt( 24)= 1, a(1, 24)= 21.51
nt( 25)= 3, a(1, 25)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 26)= 3, a(1, 26)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 27)= 1, a(1, 27)= 21.51
nt( 28)= 1, a(1, 28)= 53.87
nt( 29)= 1, a(1, 29)= 22.56
nt( 30)= 3, a(1, 30)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 31)= 3, a(1, 31)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 32)= 1, a(1, 32)= 22.56
nt( 33)= 1, a(1, 33)= 55.41
nt( 34)= 1, a(1, 34)= 23.62
nt( 35)= 3, a(1, 35)=-196.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 36)= 3, a(1, 36)=-196.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 37)= 1, a(1, 37)= 23.62
nt( 38)= 1, a(1, 38)= 56.95
nt( 39)= 1, a(1, 39)= 24.69
nt( 40)= 3, a(1, 40)=196.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 41)= 3, a(1, 41)=196.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 42)= 1, a(1, 42)= 24.69
123
nt( 43)=
nt( 44)=
nt( 45)=
nt( 46)=
nt( 47)=
nt( 48)=
nt( 49)=
nt( 50)=
nt( 51)=
nt( 52)=
nt( 53)=
nt( 54)=
nt( 55)=
&end
1, a(1,
1, a(1,
3, a(1,
3, a(1,
1, a(1,
1, a(1,
1, a(1,
3, a(1,
3, a(1,
1, a(1,
1, a(1,
1, a(1,
3, a(1,
43)= 58.5
44)= 25.76
45)=-196.0
46)=-196.0
47)= 25.76
48)= 60.06
49)= 26.83
50)=196.0
51)=196.0
52)= 26.83
53)= 61.63
54)= 20.08
55)=-195.0
, 15.0
, 15.0
, 15.0
, 15.0
, 15.0
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
CASO B TRACE3D input file:
&data er= 938.28, q= 1., w= 7, xi=
0.000,
emiti(1)=
6.6, 7.2, 5411,
beami(1)= 0.297, 0.096, -2.769, 0.498, 0.182, 0.642
beamf(1)= 0.0, 0.081, 0.0, 0.505, 0.0, 0.642
freq= 2998, pqext= 2.50, ichrom= 0,
xm= 5.00, xpm= 20.0, ym= 20.0, dpm= 600.0, dwm= 600.0, dpp= 600.0,
n1=1, n2=55, smax= 40.0, pqsmax= 2.0
nprin=5, ijprin(1,1)=1,7,1,2,1,4,1,6,1,7
mt=8,nc=4,mp(1,1)=1,2,1,4,1,6,1,8
nt( 1)= 1, a(1, 1)= 400
nt( 2)= 3, a(1, 2)=-9.05992 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 3)= 1, a(1, 3)= 67
nt( 4)= 3, a(1, 4)=10.0606 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 5)= 1, a(1, 5)= 1068
nt( 6)= 3, a(1, 6)=-10.6988 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 7)= 1, a(1, 7)= 67
nt( 8)= 3, a(1, 8)=15.518 , 150.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 9)= 1, a(1, 9)= 340.45
nt( 10)= 3, a(1, 10)=-195.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 11)= 3, a(1, 11)=-195.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 12)= 1, a(1, 12)= 19.01
nt( 13)= 1, a(1, 13)= 49.33
nt( 14)= 1, a(1, 14)= 19.43
nt( 15)= 3, a(1, 15)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 16)= 3, a(1, 16)=197.0 , 15.0 ,0.0000
,0.0000
,0.0000
nt( 17)= 1, a(1, 17)= 19.43
nt( 18)= 1, a(1, 18)= 50.83
nt( 19)= 1, a(1, 19)= 20.47
nt( 20)= 3, a(1, 20)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 21)= 3, a(1, 21)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 22)= 1, a(1, 22)= 20.47
nt( 23)= 1, a(1, 23)= 52.35
nt( 24)= 1, a(1, 24)= 21.51
nt( 25)= 3, a(1, 25)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 26)= 3, a(1, 26)=197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 27)= 1, a(1, 27)= 21.51
nt( 28)= 1, a(1, 28)= 53.87
nt( 29)= 1, a(1, 29)= 22.56
nt( 30)= 3, a(1, 30)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 31)= 3, a(1, 31)=-197.0 , 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
nt( 32)= 1, a(1, 32)= 22.56
124
nt( 33)= 1, a(1, 33)= 55.41
nt( 34)= 1, a(1, 34)= 23.62
nt( 35)= 3, a(1, 35)=196.0
nt( 36)= 3, a(1, 36)=196.0
nt( 37)= 1, a(1, 37)= 23.62
nt( 38)= 1, a(1, 38)= 56.95
nt( 39)= 1, a(1, 39)= 24.69
nt( 40)= 3, a(1, 40)=-196.0
nt( 41)= 3, a(1, 41)=-196.0
nt( 42)= 1, a(1, 42)= 24.69
nt( 43)= 1, a(1, 43)= 58.5
nt( 44)= 1, a(1, 44)= 25.76
nt( 45)= 3, a(1, 45)=196.0
nt( 46)= 3, a(1, 46)=196.0
nt( 47)= 1, a(1, 47)= 25.76
nt( 48)= 1, a(1, 48)= 60.06
nt( 49)= 1, a(1, 49)= 26.83
nt( 50)= 3, a(1, 50)=-196.0
nt( 51)= 3, a(1, 51)=-196.0
nt( 52)= 1, a(1, 52)= 26.83
nt( 53)= 1, a(1, 53)= 61.63
nt( 54)= 1, a(1, 54)= 20.08
nt( 55)= 3, a(1, 55)=195.0
&end
, 15.0 ,0.0000 ,0.0000
, 15.0 ,0.0000 ,0.0000
, 15.0
, 15.0
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
, 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
, 15.0 ,0.0000 ,0.0000 ,0.0000
, 15.0
, 15.0
, 15.0
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
,0.0000
Appendice A.3: Programma in MATLAB utilizzato per ricavare le componenti armoniche del
campo magnetico dei PMQs del primo modulo SCDTL.
close all
clear
disp '------------------------------'
%load 'pmq1_kyma_mis1.txt'
%a=pmq1_kyma_mis1;
%Rrif=0.8 % mm
%load 'pmq1_kyma_mis2.txt'
%a=pmq1_kyma_mis2;
%Rrif=0.4 % mm
%load 'PMQ_BJA_006_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_006_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_006_R125mm.txt'
%a=PMQ_BJA_006_R125mm;
%Rrif=1.25 % mm
%load 'PMQ_BJA_006_R075mm.txt'
%a=PMQ_BJA_006_R075mm;
%Rrif=0.75 % mm
%load 'PMQ_BJA_006_R05mm.txt'
%a=PMQ_BJA_006_R05mm;
%Rrif=0.5 % mm
%load 'PMQ_BJA_006_R025mm.txt'
%a=PMQ_BJA_006_R025mm;
125
%Rrif=0.25
% mm
%load 'PMQ_BJA_006_R0mm.txt'
%a=PMQ_BJA_006_R0mm;
%Rrif=0.0 % mm
%load 'PMQ_BJA_007_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_007_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_008_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_008_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_001_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_001_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_005_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_005_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_010_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_010_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_011_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_011_R1mm;
%Rrif=1 % mm
%load 'PMQ_BJA_009_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_009_R1mm;
%Rrif=1.0 % mm
%load 'PMQ_BJA_004_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_004_R1mm;
%Rrif=1.0 % mm
%load 'PMQ_BJA_003_R1mm.txt'
%a=PMQ_BJA_003_R1mm;
%Rrif=1.0 % mm
load 'PMQ_BJA_002_R1mm.txt'
a=PMQ_BJA_002_R1mm;
Rrif=1.0 % mm
%---- parametri bobina
N=9 % number of turns
d=0.0014 % coil width
%---------------------Leff=0.03 % q-pole effective length
x=a(:,1);
y=a(:,2);
ave_signal=mean(y)
126
%y=y-ave_signal;
rms_signal_mV=std(y)*1000
Vpeak_mV=rms_signal_mV*sqrt(2)
%-------------------------% Set up figure to receive datasets and fits
f_ = clf;
figure(f_);
set(f_,'Units','Pixels','Position',[658 269 688 488]);
legh_ = []; legt_ = {};
% handles and text for legend
xlim_ = [Inf -Inf];
% limits of x axis
ax_ = axes;
set(ax_,'Units','normalized','OuterPosition',[0 0 1 1]);
set(ax_,'Box','on');
axes(ax_); hold on;
% --- Plot data originally in dataset "y vs. x"
x = x(:);
y = y(:);
h_ = line(x,y,'Parent',ax_,'Color',[0.333333 0 0.666667],...
'LineStyle','none', 'LineWidth',1,...
'Marker','.', 'MarkerSize',12);
xlim_(1) = min(xlim_(1),min(x));
xlim_(2) = max(xlim_(2),max(x));
legh_(end+1) = h_;
legt_{end+1} = 'y vs. x';
% Nudge axis limits beyond data limits
if all(isfinite(xlim_))
xlim_ = xlim_ + [-1 1] * 0.01 * diff(xlim_);
set(ax_,'XLim',xlim_)
else
set(ax_, 'XLim',[-0.124999, 0.078898999999999997]);
end
% --- Create fit "fit 1"
ok_ = isfinite(x) & isfinite(y);
if ~all( ok_ )
warning( 'GenerateMFile:IgnoringNansAndInfs', ...
'Ignoring NaNs and Infs in data' );
end
st_ = [0 0 0 0 0 0 0 0 0 125.72656942830588 ];
ft_ = fittype('fourier4');
% Fit this model using new data
cf_ = fit(x(ok_),y(ok_),ft_,'Startpoint',st_);
% Or use coefficients from the original fit:
if 0
cv_ = { 0.0020590373638817057, -0.00017977077985028577, 0.00020873547047671446, -0.01307795173479223, -0.014892723408497528, 9.9939296560912498e-005, -1.1857075164380478e-005, 1.1916966395512912e-005, 1.9795473319864317e-005, 132.4270710095949};
cf_ = cfit(ft_,cv_{:});
end
127
% Plot this fit
h_ = plot(cf_,'fit',0.95);
legend off; % turn off legend from plot method call
set(h_(1),'Color',[1 0 0],...
'LineStyle','-', 'LineWidth',2,...
'Marker','none', 'MarkerSize',6);
legh_(end+1) = h_(1);
legt_{end+1} = 'fit 1';
% Done plotting data and fits. Now finish up loose ends.
hold off;
leginfo_ = {'Orientation', 'vertical', 'Location', 'NorthEast'};
h_ = legend(ax_,legh_,legt_,leginfo_{:}); % create legend
set(h_,'Interpreter','none');
xlabel(ax_,'');
% remove x label
ylabel(ax_,'');
% remove y label
%-------------------------------------
cf_
dip_component_norm=cf_.a1;
qpole_component_norm=cf_.a2;
dip_component_skew=cf_.b1;
qpole_component_skew=cf_.b2;
frequency=cf_.w/(2*pi)
T=1/frequency
T_msec=T*1000
w=cf_.w;
Acoeff=[cf_.a0 cf_.a1 cf_.a2 cf_.a3 cf_.a4]
Bcoeff=[cf_.b1 cf_.b2 cf_.b3 cf_.b4]
%------------------- analisi finale ------------diptot_coeff=sqrt(cf_.a1^2+cf_.b1^2);
qptot_coeff=sqrt(cf_.a2^2+cf_.b2^2);
sextptot_coeff=sqrt(cf_.a3^2+cf_.b3^2);
octtot_coeff=sqrt(cf_.a4^2+cf_.b4^2);
harm_coeff=[cf_.a0,diptot_coeff,qptot_coeff,sextptot_coeff,octtot_coeff];
harm_coeff_other=[cf_.a0,diptot_coeff,sextptot_coeff,octtot_coeff];
ncoeff_other=[0 1 3 4];
figure
plot(ncoeff_other,harm_coeff_other/qptot_coeff,'.','Markersize',18)
title('fourier components except q-pole')
xlabel('Harmonic order')
ylabel('Fourier component/qpole component')
grid
for i=1:length(x)
curve_fit(i)=cf_.a0+diptot_coeff*cos(w*x(i))+qptot_coeff*cos(2*x(i)*w)+sextptot_
coeff*cos(3*x(i)*w)+octtot_coeff*cos(4*x(i)*w);
128
end
figure
plot(x,curve_fit*1000,x,y*1000,'.')
xlabel('t(sec)')
ylabel('V(mV)')
%--- displacement in mm: 1/2Rrif*(dip/quad) with Rrif in mm
%displacement_mm=0.5*Rrif*dip_component/qpole_component
displacement_micron=0.5*Rrif*diptot_coeff/qptot_coeff*1000
% Br,picco = Vpicco T/(N 4pi Leff d)
Vpicco_volt_qpolo=qptot_coeff
Vpicco_mvolt_qpolo=qptot_coeff*1000
Br_Tesla=Vpicco_volt_qpolo*T/(N*4*pi*Leff*d)
if Rrif>0
G=Br_Tesla/(Rrif*0.001)
GL=G*Leff
end
harm_coeff_mV=harm_coeff*1000
Funzione richiamata:
function foupmq(x,y)
%FOUPMQ
Create plot of datasets and fits
%
FOUPMQ(X,Y)
%
Creates a plot, similar to the plot in the main curve fitting
%
window, using the data that you provide as input. You can
%
apply this function to the same data you used with cftool
%
or with different data. You may want to edit the function to
%
customize the code and this help message.
%
%
Number of datasets: 1
%
Number of fits: 1
% Data from dataset "y vs. x":
%
X = x:
%
Y = y:
%
Unweighted
%
% This function was automatically generated on 24-Jul-2012 10:37:23
% Set up figure to receive datasets and fits
f_ = clf;
figure(f_);
set(f_,'Units','Pixels','Position',[658 269 688 488]);
legh_ = []; legt_ = {};
% handles and text for legend
xlim_ = [Inf -Inf];
% limits of x axis
ax_ = axes;
set(ax_,'Units','normalized','OuterPosition',[0 0 1 1]);
set(ax_,'Box','on');
axes(ax_); hold on;
% --- Plot data originally in dataset "y vs. x"
x = x(:);
y = y(:);
129
h_ = line(x,y,'Parent',ax_,'Color',[0.333333 0 0.666667],...
'LineStyle','none', 'LineWidth',1,...
'Marker','.', 'MarkerSize',12);
xlim_(1) = min(xlim_(1),min(x));
xlim_(2) = max(xlim_(2),max(x));
legh_(end+1) = h_;
legt_{end+1} = 'y vs. x';
% Nudge axis limits beyond data limits
if all(isfinite(xlim_))
xlim_ = xlim_ + [-1 1] * 0.01 * diff(xlim_);
set(ax_,'XLim',xlim_)
else
set(ax_, 'XLim',[-0.124999, 0.078898999999999997]);
end
% --- Create fit "fit 1"
ok_ = isfinite(x) & isfinite(y);
if ~all( ok_ )
warning( 'GenerateMFile:IgnoringNansAndInfs', ...
'Ignoring NaNs and Infs in data' );
end
st_ = [0 0 0 0 0 0 0 0 0 125.72656942830588 ];
ft_ = fittype('fourier4');
% Fit this model using new data
cf_ = fit(x(ok_),y(ok_),ft_,'Startpoint',st_);
% Or use coefficients from the original fit:
if 0
cv_ = { 0.0020590373638817057, -0.00017977077985028577, 0.00020873547047671446, -0.01307795173479223, -0.014892723408497528, 9.9939296560912498e-005, -1.1857075164380478e-005, 1.1916966395512912e-005, 1.9795473319864317e-005, 132.4270710095949};
cf_ = cfit(ft_,cv_{:});
end
% Plot this fit
h_ = plot(cf_,'fit',0.95);
legend off; % turn off legend from plot method call
set(h_(1),'Color',[1 0 0],...
'LineStyle','-', 'LineWidth',2,...
'Marker','none', 'MarkerSize',6);
legh_(end+1) = h_(1);
legt_{end+1} = 'fit 1';
% Done plotting data and fits. Now finish up loose ends.
hold off;
leginfo_ = {'Orientation', 'vertical', 'Location', 'NorthEast'};
h_ = legend(ax_,legh_,legt_,leginfo_{:}); % create legend
set(h_,'Interpreter','none');
xlabel(ax_,'');
% remove x label
ylabel(ax_,'');
% remove y label
130
Appendice A.4: Principio e metodo di misura delle armoniche del campo magnetico.
Il campo magnetico è principalmente misurato sfruttando la legge dell‟induzione elettromagnetica
(legge di Faraday). Quest‟ultima lega la forza elettromotrice indotta (e.m.f.) in una spira al tasso di
variazione del flusso attraverso la spira stessa:
𝑒. 𝑚. 𝑓. = −
𝜕
𝜕𝑡
𝐵 𝑑𝑆
𝐶𝑜𝑖𝑙
Su questo principio si fondano numerose tecniche di misura in cui si ricerca la variazione del flusso
nella spira, attraverso il movimento della spira stessa (ruotandola, mettendola in vibrazione, etc..).
Solo i campi dinamici possono essere misurati mantenendo la spira fissa. La problematica
fondamentale connessa con questo principio di misura è quella della forte non omogeneità del
campo, dovuta alla limitazione pratica nella realizzazione e nell‟impiego di una spira abbastanza
piccola da rappresentare un punto di misura. Questo problema ha indotto, fino agli anni ‟60, ad
impiegare spire di forme diverse e in configurazioni particolari, al fine di compensare
automaticamente le armoniche non volute e di estrarre l‟armonica di interesse in un dato punto. Ad
oggi, anziché cercare di far emergere una sola armonica sopprimendo le altre, si utilizzano spire
rotanti con larghe aperture, chiamate ”spire armoniche”, che permettono di estrarre tutte le
componenti armoniche.
Per comprendere il metodo di misura, consideriamo un filo di lunghezza l, posto parallelamente
all‟asse del magnete, che viene ruotato con velocità angolare ω ad una distanza r dall‟asse.
Nella rotazione il filo taglia le linee di flusso magnetico radiali, e quindi una e.m.f. verrà indotta su
di esso:
𝑒. 𝑚. 𝑓. 𝑎𝑐𝑟𝑜𝑠𝑠 𝑤𝑖𝑟𝑒 = −𝜔𝑟𝐵𝑟 𝑙
Esplicitando l‟espressione del campo magnetico, sviluppato attraverso lo sviluppo in serie di
Fourier, possiamo riscrivere l‟equazione precedente nella seguente forma:
∞
𝑒. 𝑚. 𝑓. = −𝜔𝑙
𝐵𝑟𝑒𝑓 𝑟𝑟𝑒𝑓
𝑚 =1
𝑟
𝑟𝑟𝑒𝑓
𝑚
−𝑎𝑚 cos⁡
(𝑚𝜃) + 𝑏𝑚 sin⁡
(𝑚𝜃)
Partendo dall‟analisi di Fourier della forza elettromotrice indotta, è possibile ricavare i coefficienti
multipolari legati ai vari contributi armonici (m=1: definisce il contributo legato alla componente
dipolare; m=2: definisce il contributo connesso alla componente quadrupolare; m=3: definisce il
131
contributo connesso alla componente sestupolare; m=4: definisce il contributo legato alla
componente ottupolare, etc..).
Appendice A.5: Trasporto nel drift in MATLAB.
l=0.2
%definire la lunghezza del drift in metri
y=posizione(:,2);
%posizione ha y e z in metri
z=posizione(:,3);
dy_dx=angoli(:,2); %angoli ha dy/dx e dz/dx espressi in rad
dz_dx=angoli(:,3);
Y=l*dy_dx;
y_finale=y+Y;
Z=l*dz_dx;
z_finale=z+Z;
inizio(:,5)=y_finale;
inizio(:,6)=z_finale;
%importa inizio.dat e non inizio.txt xchè quest'ultimo
ha 8 e non 9 colonne
figure
plot(y_finale,z_finale,'.')
xlabel('posizione_y');
ylabel('posizione_z');
fid=fopen('drift.dat','wt')
for i=1:length(inizio)
fprintf(fid,'%1.0f %8.0f %11.6e %11.6e %11.10e %11.10e %11.10g %11.10g %11.10g
\n',inizio(i,1:9));
end
fclose(fid);
type drift.dat
Appendice A.6: Collimazione del fascio in MATLAB.
y=a(:,5);
z=a(:,6);
figure
plot(y,z,'.')
Y=y.^2;
Z=z.^2;
N=length(a)
R=sqrt(Y+Z);
igood=0
for i=1:N
if R(i)<1E+07
igood=igood+1;
agood(igood,:)=a(i,:);%dichiari una matrice a good che ha come primo
elemento il valore della riga della matrice a t.c. R è < del valore stabilito
agood(igood,1)=igood;
end
end
igood
ygood=agood(:,5);
zgood=agood(:,6);
figure
plot(ygood,zgood,'.')
fid=fopen('collimatore2.dat','wt')
for i=1:length(agood)
fprintf(fid,'%1.0f %8.0f %11.6e %11.6e %11.10e %11.10e %11.10g %11.10g %11.10g
\n',agood(i,1:9));
132
end
fclose(fid);
type collimatore2.dat
133
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