pensare e conoscere
II
Collana di Studi e Testi sulla filosofia moderna e contemporanea
diretta da Giuseppe Giannetto
La Collana si propone di pubblicare testi, saggi e monografie sulla filosofia
moderna e contemporanea che, nell’ambito della più ampia distinzione tra
pensare intuitivo e pensare discorsivo, hanno approfondito sia i diversi significati assunti dal pensiero nella filosofia moderna e contemporanea, sia
il rapporto e la distinzione fra pensare e conoscere. Lo studio dei significati
del pensare, cioè rappresentativo, dialettico, storico, metafisico, inoggettivo
ed ermeneutico, limitandoci a indicarne alcuni, e del rapporto tra estensione
del pensare e determinazione del conoscere, possono dare un contributo
significativo alla comprensione dell’idea di filosofia nel pensiero occidentale.
Comitato di redazione
Luca Ferrara, Angela Meoli, Agostino Petrillo
Comitato scientifico
Giuseppe D’Anna, Marco Ivaldo, Christoph Jamme, Fabrizio Lomonaco,
Pierre Moreau, Rocco Ronchi, Manuela Sanna, Renata Viti Cavaliere.
Tutti i volumi di questa collana sono preventivamente sottoposti a una procedura di peer review
Intelletto e ragione
in Kant e Schopenhauer
a cura di Giuseppe Giannetto
La scuola di Pitagora editrice
2015
Questo volume è pubblicato con un contributo del PRIN 2012 del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli studi di Napoli Federico II
Proprietà letteraria riservata
Copyright © 2015 La scuola di Pitagora editrice
Via Monte di Dio, 54
80132 Napoli
[email protected]
www.scuoladipitagora.it
isbn 978-88-6542-452-0 (versione cartacea)
isbn 978-88-6542-453-7 (versione elettronica nel formato PDF)
Printed in Italy – Stampato in Italia nel mese di ottobre 2015.
INDICE
Prefazione di Giuseppe Giannetto
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giuseppe giannetto
L’intelletto fra l’unità analitica
e l’unità sintetica della coscienza in Kant
15
luca ferrara
Principio di ragione, giudizio
e intelletto negli scritti precritici di Kant
67
angela meoli
Libertà e necessità in Kant.
Dalla terza antinomia
all’autodeterminazione pratica della ragione
117
agostino petrillo
Il giovane Schopenhauer interprete del criticismo
e del principio di ragione sufficiente
Notizie sugli autori
157
199
Prefazione
In questa raccolta di Studi dedicati a Kant e Schopenhauer,
viene approfondito un tema fondamentale del pensiero filosofico che si riferisce ai concetti di intelletto e di ragione che,
tanto intesi nella loro rapporto, quanto nella loro distinzione,
danno un contributo rilevante al complesso nesso che, legando il pensiero intuitivo a quello discorsivo, manifesta due vie
diverse, anche se in relazione ed entrambe rilevanti, con cui
il soggetto finito è in grado di riflettere sul significato e sulla
funzione svolta dalla filosofia.
Ciò premesso, nel primo contributo, di cui sono autore,
L’intelletto fra l’unità analitica e l’unità sintetica della coscienza in
Kant, inizialmente ho considerato il significato della nozione
di funzione che viene interpretata sia come una determinata
operazione, sia come risultato di questa operazione, come appare chiaramente nella Sezione prima dell’Analitica dei concetti
della Critica della ragion pura. In quest’opera, infatti, il concetto
di funzione ha due significati diversi, da noi denominati come
dinamico, nel senso di operazione compiuta dall’intelletto e
strettamente collegata all’attività svolta dal Giudizio sussuntivo, e statico, nel senso di un determinato risultato cui arriva il
procedimento compiuto dall’intelletto che appare chiaramente
con l’attività svolta dal giudizio, visto che pensare in Kant
8
prefazione
significa unire rappresentazioni, cioè soggetto e predicato, in
una coscienza, vale a dire giudicare.
Il rilievo dato all’unità dell’operazione compiuta dall’agire
della nozione di funzione che, oltre al significato dinamico e a
quello statico, presenta un significato analitico e un significato
sintetico, prima, mi ha indotto a considerare il tema rilevante
riguardante l’unità qualitativa che sta a fondamento dei concetti puri dell’ intelletto, poi, il complesso problema volto a
interpretare l’appercezione trascendentale la quale ho inteso
secondo un duplice modo, cioè come attività in grado di operare
integrando rappresentazioni, o come consapevolezza di questa
attività, non sempre esplicitamente evidente nell’agire dell’
autocoscienza. In questo ambito, ho anche posto in rapporto
l’appercezione trascendentale alla intuizione intellettuale che,
in realtà, seppure considerata in relazione al soggetto finito,
è presente nella stessa deduzione trascendentale della Critica
della ragion pura.
Oltre a questi temi essenzialmente indicati, ho trattato
quello della percezione di un insieme di rappresentazioni e
quello del concetto di qualcosa che nelle lezioni di Logica di
Kant si rivela, seppure nella veste apparentemente limitativa
di un discorso logico-grammaticale, come un possibile accesso
al concetto del nulla; questo, infatti, non è solo da intendere
come nulla privativo o come nulla negativo, ma anche come
l’assolutamente diverso rispetto al concetto di qualcosa che,
quand’anche in questo modo in parte indeterminato, appare, riteniamo, come un ulteriore contributo dato dal filosofo tedesco
all’interpretazione del nulla che in questo senso non è l’opposto
logico dell’essere, ma l’assolutamente altro dal qualcosa.
Il saggio termina con il rilievo dato all’unità sintetica della
coscienza la quale, se viene intesa in relazione alla logica trascendentale, produce, diversamente dall’unità analitica della
coscienza concepita in rapporto alla logica formale e ai principi
di identità e di non contraddizione, gli oggetti della conoscenza.
prefazione
9
Nel saggio di Luca Ferrara, Principio di ragione, Giudizio e
intelletto negli Scritti precritici di Kant, l’autore, muovendo da
un’attenta analisi di alcuni Scritti precritici di Kant, ha studiato,
con interesse teoretico, alcuni temi del criticismo i quali sono
presenti, sia nella speculazione giovanile che in quella della
maturità. All’inizio del saggio, indagando la natura dell’intelletto nei Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive, viene
posto in rilievo come tale facoltà, poiché assume un significato gnoseologico, non riesce a venire incontro all’esigenza
metafisica del soggetto finito che cade nell’illusione di potere
raggiungere un sapere fondato; ciò porta, come opportunamente nota Ferrara, il pensatore tedesco a legare l’uso di questa
facoltà alla individuazione di un metodo adeguato in grado di
consentire all’intelletto di evitare l’illusione logico-speculativa.
Viene anche esaminata nel saggio la complessa teorizzazione
del principio di ragion sufficiente svolta da Kant nella Nova
dilucidatio, dove il filosofo tedesco, pur tenendo presente l’elaborazione di Leibniz e di Crusius, presenta un interessante
approfondimento della distinzione tra due aspetti del gran
principio; infatti, per un verso, questo si presenta come ratio
cognoscendi, cioè ragione conseguentemente determinante, per
un altro, si manifesta come ratio essendi vel fiendi, cioè ragione
antecedentemente determinante.
Ma, essendo il gran principio un criterio anche per la formulazione degli enunciati, Ferrara opportunamente approfondisce
la nozione del Giudizio nello scritto Sulla falsa sottigliezza delle
quattro figure sillogistiche, che è inteso dal filosofo come l’atto
mediante il quale il soggetto perviene ad un concetto distinto
di una nozione, oggetto di indagine. Inoltre, seguendo l’evoluzione del pensiero di Kant nel corso della fase precritica, è
anche approfondito il ruolo svolto dal metodo considerato in
rapporto alla conoscenza metafisica e a quella matematica,
per il tramite dello studio di due scritti precritici: Indagine
10
prefazione
sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della morale
e Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto di quantità
negative. Dallo studio di questi articoli kantiani, emerge la
rilevante distinzione, ripresa poi nella Dottrina trascendentale
del metodo della Critica della ragion pura, tra il metodo adoperato nell’ambito delle indagini speculative e il metodo seguito
nelle dimostrazioni matematiche mediante un collegamento
arbitrario di rappresentazioni, dove è interessante notare che
tale distinzione si basa sulla natura degli oggetti matematici,
i quali, a differenza degli enti della metafisica speciale, preannunciano il tema del costruttivismo kantiano, seppure ancora
limitato dalla non teorizzazione delle categorie di quantità e
dalla non esplicita teoria dei diversi tipi di molteplice, tema
questo che continuerà ulteriormente nella Critica della ragion
pura e nella Critica del Giudizio con la concezione del terzo
molteplice opportunamente individuato da Scaravelli.
Infine, è presa in esame la Dissertatio del ’70, nella quale
emerge la distinzione tra fenomeno e noumeno, dove il primo
termine è inteso come l’oggetto della facoltà sensitiva, mentre il
secondo viene considerato come l’oggetto della facoltà intellettiva, sebbene Kant, non avendo ancora teorizzato la distinzione
tra intelletto e ragione e non accettando realmente un intelletto
che coglie il mondo intelligibile, sposti il discorso su una conoscenza simbolica solo in parte tematizzata. Sono presenti,
come indicato, nelle analisi dell’autore, rivolte a diverse aspetti
degli scritti precritici, significativi spunti di indagine che, se
opportunamente tenuti presenti, permettono di considerare
in modo più compiuto l’apporto della speculazione precritica
alla formazione di idee e concetti propri del criticismo maturo.
Nel saggio di Angela Meoli, Libertà e necessità in Kant,
l’Autrice ha indagato, mossa da un evidente interesse teoretico, il rapporto tra libertà e necessità nella filosofia kantiana,
mettendo in luce la complessità delle implicazioni che questa
tematica comporta nella sfera teoretica e in quella pratica.
prefazione
11
Partendo da un’attenta riflessione sulla terza antinomia della
ragione, giunge a giustificare la possibilità logico-metafisica
dell’idea di libertà trascendentale, ma anche la sua compossibilità con la necessità della natura, sottolineando, in tal modo,
la duplice applicazione del concetto di causa che si manifesta,
appunto, o secondo natura o mediante libertà. In questa prospettiva vengono posti in evidenza, con sensibilità ermeneutica, il rapporto, ma anche le differenze che sussistono tra le
due specie di causalità, a partire dall’analisi del loro modus
agendi, – rinvenibile nella distinzione tra carattere empirico e
carattere intelligibile –, alla questione centrale del tempo che,
se entra in gioco per caratterizzare la causalità naturale che
agisce nel mondo fenomenico, appare completamente rimosso in rapporto al carattere metafisico e incondizionato della
causalità libera. L’ammissione, in ambito teoretico, dell’idea
di libertà trascendentale vale quale presupposto necessario a
fondare il concetto stesso di libertà in senso pratico. Va infatti
tenuta ben salda, come opportunamente rileva l’Autrice, con
uno studio ben argomentato, la distinzione fra il piano logicotrascendendentale della riflessione sulla libertà, che ha luogo
in sede cosmologica, e il piano pratico-esistenziale nel quale
quel concetto trova la sua effettiva applicazione come un fatto
della ragione, non certamente esperibile in un dato empirico,
ma solo nella coscienza della legge morale.
Viene, in tal modo, chiarito il passaggio dalla libertà trascendentale alla libertà pratica mediante uno spostamento del
problema dalla questione metafisica, riguardante l’origine di
una causalità incondizionata dell’azione libera, alla questione
morale concernente l’origine della legge e la sua problematica
applicazione sul piano concreto dell’esperienza. L’Autrice, a tal
proposito, mette in luce alcuni aspetti eticamente rilevanti e
convergenti che si riferiscono alla domanda radicale sull’essenza
dell’uomo, la cui “duplice natura” – fenomenica e noumenica
insieme – lo pone tragicamente sospeso tra l’universale e il
12
prefazione
particolare, tra la libertà, ratio essendi della moralità pura, e la
necessità propria del meccanicismo deterministico.
Il concetto di “limite”, in questo contesto, gioca un ruolo
fondamentale in quanto impiegato sia per descrivere la situazione-limite in cui si trova ad agire il soggetto razionale finito
che non può mai compiutamente attuare la legge morale nel
mondo sensibile, sia per sottolineare, in maniera ancora più
radicale, la natura stessa dell’uomo inteso quale limite che distingue, ma anche unisce due diversi ambiti di esistenza: in
lui e soltanto in lui, intelligibile e sensibile, possono unificarsi
senza contraddizione.
Con il saggio di Agostino Petrillo, Il giovane Schopenhauer
interprete del criticismo e del principio di ragione sufficiente, l’autore
ha trattato, con un’analisi orientata teoreticamente, alcuni temi
complessi e significativi del pensiero del giovane Schopenhauer, mettendo in luce l’importanza del criticismo kantiano
per l’evoluzione filosofica dell’autore del Mondo come volontà e
rappresentazione. All’inizio del saggio, infatti, viene considerato, attraverso un attento studio delle annotazioni giovanili
di Schopenhauer, il passaggio del pensatore di Danzica da un
iniziale atteggiamento di insofferenza nei confronti di Kant –
paragonato in un’annotazione ad un “incubo” – all’assimilazione
del criticismo, inteso come dottrina della netta distinzione
del sensibile dal sovrasensibile, come prospettiva filosofica
fondamentale nell’ambito della sua metafisica giovanile che si
caratterizza per un radicale dualismo tra una coscienza fenomenico-rappresentativa e una coscienza libera dai fenomeni.
Ciò ha condotto l’autore ad esaminare la Quadruplice radice
del principio di ragione sufficiente (1813), che pone in evidenza, ad una lucida interpretazione, l’importanza del criticismo
per l’elaborazione da parte di Schopenhauer di una metafisica negativa, nonostante diverse divergenze, considerate con
attenzione, tra la dottrina della Critica della ragion pura e il
discorso gnoseologico del filosofo del Mondo. In particolare,
prefazione
13
l’articolo dimostra, con un’indagine articolata ed accurata, che
Schopenhauer utilizza lo studio del principio di ragione, che
si distingue in quattro forme, come un filo conduttore per una
visione completa del mondo della rappresentazione nelle sue
componenti essenziali individuate dalle facoltà del soggetto
conoscente e dalle diverse classi di oggetti conosciuti; in tal
modo, il filosofo tedesco delinea, mediante il principium rationis
sufficientis, con precisione l’estensione e l’ambito di validità
della conoscenza fenomenica, facendo così emergere in modo
negativo, ossia per estraneità rispetto all’ambito fenomenico,
la dimensione noumenica.
Infine, alla luce di tale prospettiva, l’autore ha cercato di
porre in rilievo la presenza nella Dissertazione del 1813 di una
finalità filosofico-metafisica celata e non tematizzata, anche
se di fondamentale rilevanza per la speculazione giovanile del
pensatore tedesco, come testimoniano i suoi Manoscritti giovanili, incentrati sul concetto di “coscienza migliore”. A tal
fine, è stata anche opportunamente interpretata la figura di
Democrito che, apparendo inaspettatamente, in un passo della
Quadruplice, pone in risalto una dimensione estranea al mondo
fenomenico e alle sue forme.
Giuseppe Giannetto
Giuseppe Giannetto
L’INTELLETTO FRA L’UNITÀ ANALITICA
E L’UNITÀ SINTETICA DELLA COSCIENZA IN
KANT
1. Funzione, intelletto e Giudizio nella Critica della ragion
pura
Per interpretare la teoria kantiana della conoscenza e la
rivoluzione copernicana attuata da Kant nell’ambito del pensiero filosofico, è opportuno approfondire alcune concezioni
significative che rendono più chiaro il mutamento del modo di
pensare compiuto dal filosofo tedesco nella filosofia moderna.
Una di queste concezioni appare laddove, nella Critica della
ragion pura, il filosofo afferma:
Tutte le intuizioni, in quanto sensibili, riposano (beruhen) su
affezioni; i concetti, dunque, su funzioni (Funktionen). Ma
io intendo per funzione (Funktion) l’unità dell’atto (Handlung)
che ordina diverse rappresentazioni sotto (unter) una rappresentazione comune. I concetti dunque si fondano sulla spontaneità del pensiero, come le intuizioni sensibili sulla recettività delle impressioni. Ora di questi concetti l’intelletto non
può far altro uso se non in quanto per mezzo di essi giudica
(urteilt). Poiché nessuna rappresentazione, tranne la sola intuizione, si riferisce immediatamente all’oggetto (den Gegenstand) così un concetto non si riferisce mai immediatamente
ad un oggetto ma a qualche altra rappresentazione (Vorstel-
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l’intelletto fra l’unità analitica e l’unità sintetica
lung) di esso (sia essa intuizione o anche già concetto). Il
giudizio dunque (Das Urteil) è la conoscenza mediata di un
oggetto, e però la rappresentazione di una rappresentazione
del medesimo1.
Nell’intento di comprendere questa frase, è il caso di dividerla in alcuni nuclei significativi da interpretare, prima singolarmente, e poi complessivamente, per cercare di cogliere
ciò che il filosofo vuole comunicare ai suoi eventuali lettori e
interpreti. Da questo aspetto, consideriamo che nel definire il
concetto di funzione, questa è concepita come l’unità dell’attività o meglio dell’operazione, dove l’unità dell’operazione rinvia
all’agire della sintesi compiuta propria dal soggetto, mentre
l’unità dell’operazione, che ordina diverse rappresentazioni
sotto una rappresentazione comune, si riferisce al Giudizio e al
molteplice sensibile o al molteplice dei concetti puri o empirici
e, continuando, una rappresentazione comune che ha sotto di se
diverse rappresentazioni, si riferisce alla categoria. Gli elementi
che abbiamo posto in rilievo sono legati al concetto di funzione che richiede l’operazione compiuta dal giudizio che, nel
caso particolare, sussume il molteplice sensibile o il molteplice
dei concetti puri o empirici sotto una categoria dell’intelletto
discorsivo. In questa concezione riguardante il concetto di funzione, con l’espressione unità dell’operazione, Kant si riferisce
all’unità sintetica della coscienza e, con il resto della frase, alla
categoria che ha sotto di sé molteplici rappresentazioni. Il giudizio è poi rappresentazione di una rappresentazione perché sia
E. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. G. Gentile e G. Lombardo
Radice, ed. riv. V. Mathieu, Bari 2000, p. 89. A 68, B 93. (I. Kant, Kritik
der reinen Vernunft in Kant’s gesammelte Schriften, herausgegeben von der
preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin-Leipzig, 1902-1978,
voll. 29, Bd. III e Bd. IV. Le due prime edizioni della Critica della ragion pura
del 1781 e del 1787 saranno citate rispettivamente con A e con B secondo
l’impaginazione originaria).
1
giuseppe giannetto
17
il soggetto che il predicato sono rappresentazioni e il giudizio è
la loro unione. Il concetto, a sua volta, è una rappresentazione
comune in quanto è più esteso rispetto alle rappresentazioni
che lo possono riempire. Si pensi in questo caso all’esempio
kantiano “tutti i corpi sono divisibili”, dove il concetto di divisibile si riferisce a molte altre rappresentazioni che possono
rientrare nel concetto più esteso di divisibile; ciò significa che
nel giudizio, la rappresentazione, oltre al rinvio ai fenomeni che
individuano, nel caso particolare, l’estensione del concetto, c’è
anche un riferimento al possibile, cioè, a molteplici rappresentazioni che potrebbero rientrare nel concetto più esteso, proprio
del predicato. A quanto detto, aggiungiamo che gli stessi concetti sono funzioni, sicché abbiamo un duplice uso del termine
funzioni che va interpretato, vale a dire, la funzione, per un
verso, ha un significato più ampio, per un altro, si riferisce ai
diversi concetti. Se ora sostituiamo il concetto di funzione, cioè
il definito con la definizione di essa data da Kant e teniamo
presente che, nel significato ristretto di funzione, i concetti sono
funzioni, si ha una frase apparentemente contraddittoria nella
misura in cui, con la sostituzione compiuta, la frase diventa: si
intende per funzione l’unità dell’operazione che ordina diverse
rappresentazioni sotto una funzione.
Questa frase articolata, ottenuta dalla sostituzione del definito, cioè la nozione di funzione, con la definizione proposta
dal filosofo, ha un significato complesso che va interpretato.
La complessità della frase dipende dalla presenza nello stesso
periodo del concetto di funzione che ha due significati; per
superare la difficoltà, dobbiamo distinguere una funzione intesa
come operazione, dal risultato raggiunto da questa operazione
che usa sempre il termine funzione che va, in tal modo, inteso
all’interno del contesto in cui viene adoperato. Il vantaggio di
questa interpretazione sta nel far emergere il momento dinamico della categoria che non è staticamente data all’intelletto,
sicché la funzione è il risultato di una attività espressa da un
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l’intelletto fra l’unità analitica e l’unità sintetica
certo modo di operare o procedere del pensiero, dove non si
potrebbe separare, se non astrattamente, l’attività dal risultato
dell’attività. La possibilità di separare la funzione dal modo
di funzionare è, nondimeno, presente nella duplice veste della
frase citata, cioè sintetica e analitica, dove l’analisi richiede la
sintesi che, se viene considerata in modo statico, finisce col
perdere il significato profondo di modo di operare, laddove
questo è il momento originario che non separa il processo dal
risultato, vale a dire il funzionare dal relativo risultato che richiede il concetto di funzione concepito sia in modo dinamico,
come ciò cui porta l’agire sintetico espresso dall’unità dell’operazione indicata dalla frase riportata con il verbo funzionare,
sia in modo statico2.
Con quanto da noi sostenuto, non vogliamo affermare che
l’unico significato dato da Kant al concetto di funzione sia
quello da noi interpretato, perché è anche da considerare che
nella Critica della ragion pura Kant intende l’immaginazione e la
sintesi da essa compiuta come una funzione cieca dell’anima che
non segue necessariamente i concetti puri, visto che il filosofo,
in questo caso, contrappone cecità, come possibile procedere in
modo non sempre consapevole della immaginazione, a visività,
cioè alla consapevolezza, propria dei concetti dell’intelletto,
che procede in modo discorsivo3.
È interessante in questo ambito anche rilevare la dimensione
analitica della concezione ricordata, in quanto rivela che la
stessa unità sintetica, presentata dalle categorie e dal giudizio
che le formula, può, a sua volta, diventare, una volta fondata
la teoria della conoscenza, unità analitica dal momento che,
tenendo presente il pensiero critico, ogni fenomeno, indipendentemente dalla diversità propria di ogni rappresentazione
rispetto alle altre, rientra in uno o più giudizi fondamentali
2
3
Ibidem.
Ibidem, p. 95. A 79, B 105.
giuseppe giannetto
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dell’esperienza teorizzati nell’Analitica dei principi della Critica della ragion pura. Così, ad esempio, molteplici fenomeni
fra loro in rapporto sono ordinati dalla seconda analogia della
esperienza o anche dalle altre analogie; ma ciò vale anche per
gli assiomi dell’intuizione, le anticipazione della percezione e
i postulati del pensiero empirico che riguardano più fenomeni.
La struttura sintetica dei principi, che fondano la conoscibilità
della natura e che manifestano una dimensione universale e
oggettiva che consente la validità della conoscenza, considera,
nondimeno, ogni fenomeno, come ciò che rientra in uno o più
giudizi fondamentali individuati nell’ordinamento della natura,
vale a dire in senso analitico. Questo aspetto appare, ad esempio, pure nella Prima introduzione alla Critica del giudizio che,
come è noto, Kant modificò perché la ritenne troppo ampia e
la sostituì con la Seconda introduzione che, tuttavia, finisce col
mettere in minore risalto il concetto di tecnica della natura e di
tecnica del Giudizio che sono aspetti essenziali per interpretare
l’attività svolta dal Giudizio riflettente in questa opera.
Ripensando, comunque, al rapporto e alla distinzione tra
funzione come operazione e funzione come risultato dell’operazione svolta dal giudizio e che presenta la categoria in modo
dinamico come il risultato di una determinata operazione, si
supera tanto la priorità del concetto che fa pensare ad una presenza indiretta del pensiero platonico nel criticismo kantiano
– se teniamo presente che le idee sono metafisicamente esistenti
al di là della stessa funzione del giudicare attuata dal soggetto
finito –, quanto il parallelismo sostenuto dal filosofo a proposito
rispettivamente delle due tavole dei giudizi e delle categorie fra
loro relativamente corrispondenti che viene riconfermato, dopo
la prima edizione della Critica della ragion pura, nei Prolegomeni
ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza:
Per spiegare dunque la possibilità dell’esperienza in quanto
si fonda su concetti a priori dell’intelletto (Verstandesbegriffen)