Aziende industriali e aziende bancarie: analisi dei costi tipici

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Aziende industriali e aziende bancarie:
analisi dei costi tipici
ESERCIZIO
9
INDIRIZZO
di ORIETTA STRONATI
Amministrativi
Programmatori
Igea Mercurio
L’equilibrio economico della gestione, definito come una relazione conveniente fra i costi e i rica- Professionali
vi della gestione, presuppone, ai fini dello sviluppo di un programma di controllo dei costi, la
conoscenza dei costi e dei ricavi tipici sia nelle aziende produttrici di beni sia in quelle produttrici di servizi.
Dopo aver individuato i principali costi tipici di un’azienda industriale e di un’azienda che svolge attività bancaria, si conduca l’analisi in relazione alla possibilità:
• di calcolarli a preventivo;
• che gli stessi hanno di variare al mutare dei volumi di produzione o dei ricavi;
• che i responsabili hanno di controllare questi costi;
• di misurare oggettivamente le quantità di fattore impiegato;
• e alla convenienza di imputarli direttamente o indirettamente.
Successivamente si svolga uno dei seguenti punti.
1) Analizzare i principi del bilancio riferendoli sia alle aziende di produzione sia a quelle di erogazione e proponendo almeno due esemplificazioni in applicazione dei principi enunciati.
2) Dopo aver individuato le fonti del reddito economico e del reddito fiscale e le loro diverse finalità,
si analizzino almeno tre fenomeni aziendali che originano differenze nella determinazione dei
valori e si presenti, per ognuna, una esemplificazione pratica, con dati opportunamente scelti.
3) Nel prospetto seguente vengono forniti dati (in milioni), relativi a due esercizi, della Aloris
S.p.A., azienda di produzione diretta. Dopo aver completato lo schema inserendo i dati mancanti, procedere all’analisi sulla redditività della società, spiegando l’andamento crescente o
decrescente del ROE e del ROI.
Aggregato
01 - Liquiditˆ immediate
Esercizio n –1
Esercizio n
160
198
02 - Liquiditˆ differite
..........
4.547
03 - Disponibilitˆ non liquide
3.470
4.125
04 - Attivo corrente
7.574
..........
05 - Immobilizzazioni
..........
..........
06 - Capitale investito
18.492
21.496
07 - Passivitˆ correnti
6.115
..........
08 - Passivitˆ consolidate
..........
2.840
09 - Capitale di terzi
7.783
9.587
10 - Capitale proprio
..........
..........
11 - Totale finanziamenti
18.492
21.496
12 - Valore della produzione ottenuta
37.525
41.722
13 - Costo dei consumi di materie prime
24.997
..........
14 - Costo dei servizi
..........
2.532
15 - Valore aggiunto caratteristico
10.274
12.192
16 - Margine lordo operativo
3.524
4.442
17 - Saldo della gestione finanziaria
Ð 213
..........
18 - Saldo gestione patrimoniale
..........
28
30
10
20 - Saldo gestione corrente
2.202
2.780
21 - Imposte sul reddito
1.032
1.090
22 - Ammortamenti e altri accantonamenti operativi
1.172
1.407
37.383
41.222
660
767
19 - Saldo della gestione straordinaria
23 - Ricavi delle vendite
24 - Oneri finanziari
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Soluzione del punto obbligatorio
Nelle imprese industriali i costi possono essere distinti in costi industriali e costi commerciali che
comprendono tutti quei costi che non si riferiscono al processo tecnico di trasformazione.
I principali costi industriali sono:
• i costi relativi all’acquisto di materie e di servizi produttivi vari;
• i costi relativi al personale tecnico;
• i costi per lavorazioni esterne;
• gli ammortamenti industriali.
I costi commerciali sono suddivisi in:
• costi amministrativi:
➾ costi del personale amministrativo;
➾ spese di cancelleria - postali - telefoniche;
➾ spese legali e professionali;
➾ spese per servizi amministrativi;
➾ ammortamenti amministrativi;
• costi di vendita:
➾ costi del personale di vendita;
➾ costi di pubblicità e propaganda;
➾ costi per studi e ricerche di mercato;
➾ costi per servizi di vendita;
➾ ammortamenti commerciali;
• costi generali aziendali:
➾ spese per segreteria generale;
➾ spese per servizi socio-aziendali;
➾ spese per il funzionamento degli organi sociali;
➾ oneri finanziari;
➾ oneri tributari.
Nelle imprese bancarie i costi possono essere raggruppati classificandoli con riguardo al settore di
attività aziendale nel quale si manifestano, per cui si hanno:
1) i costi della funzione creditizia:
• interessi passivi verso la clientela ordinaria;
• interessi e altri oneri verso istituzioni creditizie;
• perdite su crediti;
2) i costi della funzione di investimento:
• costi dei titoli e delle valute acquistate;
3) i costi della funzione di servizi:
• commissioni, provvigioni e rimborsi spese a banche corrispondenti per servizio incassi e servizi
diversi;
• ammortamento cassette di sicurezza;
4) i costi delle funzioni amministrative e commerciali:
• costi del personale;
• fitti passivi - canoni di leasing - assicurazioni;
• costi di manutenzioni e riparazioni;
• costi legali e professionali;
• costi per pubblicità e promozione;
• spese per servizi diversi;
• oneri fiscali;
• ammortamenti;
5) i costi della gestione patrimoniale:
• manutenzione e riparazione di immobili non strumentali;
• ammortamento di immobili non strumentali.
Premesso che risulta abbastanza complesso far rientrare una voce di costo in un’unica classificazione
in quanto essa serve solo per determinati scopi, per cui se mutano gli scopi occorre mutare il criterio
di classificazione dei costi, si può sicuramente affermare che tutti i costi delle aziende industriali e
bancarie possono essere calcolati preventivamente rispetto alla realizzazione della produzione tipica
cui si riferiscono e lo scopo di tale calcolo è quello di stabilire obiettivi da raggiungere attraverso una
gestione basata su criteri di efficienza ed economicità.
La classificazione che raggruppa i costi in relazione alla possibilità e alla convenienza di misurarli
oggettivamente assume particolare rilievo in quanto l’azienda deve, prima di tutto, individuare l’oggetto di costo, cioè l’entità o il fenomeno produttivo cui si riferisce il calcolo di costo, che può essere
rappresentato dalla produzione complessiva attuata in un certo periodo di tempo, da una fase del processo di lavorazione, da una commessa, da un servizio reso, da una filiale, da un’area ecc.; se, per esempio, l’oggetto di costo è il prodotto finito del processo di trasformazione, due costi tipici diretti sono
rappresentati dalla materia prima, perché è possibile misurare attentamente la quantità impiegata per
fabbricare una unità di prodotto e dal costo del personale addetto alle varie fasi di produzione perché
è possibile misurare il tempo di lavoro e, quindi, il costo. Anche per l’azienda bancaria, individuato
come oggetto di costo un prodotto offerto alla propria clientela, l’interesse maturato su di esso è sicuramente un costo diretto speciale.
Il criterio di identificabilità che distingue i costi speciali da quelli comuni va applicato insieme a quello della convenienza che distingue i costi diretti e indiretti. In generale, quindi, tale distinzione cambia
esercizi
in relazione all’oggetto, alla misurabilità e alla convenienza, ma anche se la classificazione fa riferimento allo spazio o al tempo. Un esempio ci viene offerto, per entrambe le tipologie di aziende, dall’ammortamento che potrebbe essere un costo diretto “nello spazio” ma un costo comune “nel tempo”;
infatti, se una particolare immobilizzazione serve esclusivamente per la fabbricazione o la fornitura di
un determinato prodotto o servizio, l’ammortamento è, nello spazio, un costo diretto di quel prodotto, ma, nel tempo, poiché implica la ripartizione del costo pluriennale del bene in più esercizi, esso è
un costo indiretto.
Sempre riferendoci al prodotto quale oggetto di costo, si può sicuramente sostenere che, in massima
parte, i costi commerciali in senso ampio sono costi comuni.
Tale terminologia non è, però, sinonimo di costo fisso; infatti si possono avere sia costi comuni fissi sia
costi comuni variabili, così come costi speciali fissi e costi speciali variabili. I costi rappresentati dalle
materie prime, dalla manodopera diretta e dalle lavorazioni esterne sono costi speciali variabili del
prodotto finito, mentre il costo relativo alla pubblicità dello stesso è costo comune fisso.
Attraverso le esemplificazioni effettuate si è introdotto un altro criterio di classificazione che è quello
della variabilità del costo al mutare dei volumi di produzione o dei ricavi.
La distinzione dei costi secondo la variabilità è molto importante per:
• la programmazione aziendale e la stesura del budget;
• il controllo dei risultati, che viene realizzato con tecniche diverse a seconda che si tratti di costi fissi
o di costi variabili;
• prendere decisioni correnti, per le quali i costi variabili assumono rilevanza notevole.
Ai fini del controllo, nella fase di reporting, è importante per l’accertamento delle responsabilità individuare quali costi possono essere controllati; per fare ciò bisogna suddividere l’azienda in unità organizzative o centri di responsabilità, a capo dei quali c’è un responsabile che, con le sue azioni, può
influenzare alcuni di essi. Si può sostenere, con riferimento alla generalità dei costi, che tutti i costi
diretti di centro, in un determinato periodo di tempo, sono controllabili dal responsabile, ma, nel
lungo periodo e a livelli più alti della struttura organizzativa, tutti i costi sono controllabili.
Soluzione del punto n° 1
I principi, o regole fondamentali, di redazione del bilancio delle aziende di produzione sono dettati
dal legislatore all’articolo 2423 bis del Codice Civile, successivamente alla clausola generale, per permettere la corretta determinazione sia del reddito di esercizio sia del patrimonio di funzionamento.
Essi sono:
• principio della prudenza: con la sua applicazione, che tende a evitare la distribuzione di utili che
l’azienda non ha conseguito effettivamente, non devono essere imputati all’esercizio eventuali utili
sperati, cioè non ancora realizzati, ma sicuramente devono partecipare alla formazione del reddito
di periodo tutti i costi, gli oneri e le perdite non ancora verificatesi, quindi anche se incerti o probabili;
• principio della continuità aziendale (going concern): secondo tale principio le valutazioni degli
elementi del patrimonio devono essere effettuate con criteri di funzionamento, cioè escludendo
ipotesi di cessione o di liquidazione, ma prefigurando la continuazione dell’attività dell’impresa,
senza, quindi, soluzione di continuità, dove tutte le operazioni svolte negli esercizi precedenti sono
collegate a quelle che verranno compiute negli esercizi successivi. Su questo principio si fondano
tutti i criteri di valutazione delle poste di bilancio che il legislatore ha esposto all’articolo 2426 del
Codice Civile;
• principio dell’iscrizione dei soli utili realmente conseguiti alla data di chiusura dell’esercizio: esso rafforza il principio della prudenza perché riafferma che gli utili di bilancio sono solo ed
esclusivamente quelli realizzati e non quelli il cui realizzo è ancora incerto;
• principio della competenza economica: con l’applicazione di questo principio il risultato d’esercizio viene determinato attribuendo a esso costi e ricavi correlati fra loro sulla base della competenza economica e non sulla base della loro manifestazione finanziaria;
• principio della considerazione dei rischi e delle perdite di competenza: questo principio,
che richiama sia quello della competenza sia quello della prudenza tende a far concorrere alla formazione del reddito d’esercizio i rischi in corso e le perdite di competenza non conosciuti alla fine
dell’esercizio, ma dei quali, tuttavia, si venga a conoscenza entro il periodo necessario alla redazione
dei conti annuali;
• principio della separatezza, mediante il quale elementi eterogenei compresi nelle singole voci
devono essere valutati separatamente adottando criteri di valutazione differenti e vietando la compensazione tra perdite presunte e utili sperati; il tutto per l’informazione corretta e veritiera che il
bilancio deve fornire a terzi;
• principio della costanza dei criteri di valutazione: i criteri di valutazione delle singole poste
del bilancio non possono essere modificati da un esercizio all’altro.Tale principio tende a limitare la
possibilità di manovra dei redattori di bilancio, cioè di attuare politiche di bilancio mediante l’applicazione di regole di valutazione variabili da un esercizio all’altro; inoltre, l’applicazione costante dei
criteri di valutazione permette di comparare i bilanci nel tempo e fornire informazioni sulla situazione aziendale il più possibile in modo oggettivo.
Per le aziende di erogazione, in particolare le pubbliche, si è sempre fatto riferimento a principi e
regole tecnico-giuridici in base ai quali devono essere redatti i loro strumenti gestionali fra cui bilancio e rendiconto.
I principi ai quali si deve attenere il redattore del bilancio di una azienda di erogazione sono:
• principio dell’universalità: nel bilancio devono essere iscritte tutte le entrate e le uscite e sono
vietate le contabilità separate e le gestioni fuori bilancio;
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esercizi
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• principio dell’integrità: le entrate e le uscite devono figurare nel bilancio al lordo, senza compensazioni; le entrate vanno iscritte senza le eventuali spese sostenute per la riscossione, le quali figurano fra le uscite;
• principio della unità, in base al quale il complesso delle entrate si contrappone al complesso
delle uscite, infatti non è possibile evidenziare specifiche correlazioni tra entrate ed uscite, per cui,
per esempio, nel bilancio dello Stato a un’unica previsione delle entrate si contrappone distinte
previsioni delle spese dei vari ministeri;
• principio dell’annualità, secondo cui il bilancio è relativo a entrate e uscite di un solo anno;
• principio della pubblicità: il bilancio deve essere divulgato e portato a conoscenza dei cittadini,
per esempio, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale;
• principio della specializzazione o specificazione: in base a esso le entrate e le uscite vanno
raggruppate in modo sufficientemente analitico per poter consentire la massima trasparenza del
bilancio e dare la possibilità di interpretare i fenomeni che vuole rappresentare (per quanto riguarda quello dello Stato, esso consente al Parlamento un controllo efficace sulla azione amministrativa
del Governo);
• principio del pareggio, riferito ai tre aspetti essenziali del bilancio:
1) ci deve essere un equilibrio perfetto tra le previsioni di entrata di competenza e le previsioni di
spesa di competenza, cioè si deve realizzare il pareggio economico;
2) le previsioni relative ai pagamenti non possono essere maggiori a quelle degli incassi aumentate
del presunto fondo iniziale di cassa, operando l’aggiornamento sulle previsioni nel momento in
cui si conosce la consistenza di cassa dopo l’approvazione del conto consuntivo;
3) deve essere inoltre realizzato l’equilibrio economico, «la somma delle previsioni di competenza
relative alle spese correnti e alle quote di capitale delle rate di ammortamento dei mutui non
può essere superiore a quella delle previsioni di competenza relative ai primi tre Titoli delle
entrate»;
• principio della veridicità e della chiarezza: pur se si tratta di bilancio di previsione, esso deve
riportare le condizioni effettive nelle quali si presume si svolgerà la gestione; la chiarezza fa si che,
almeno nelle linee generali, esso sia comprensibile.
Attraverso una attenta analisi si può facilmente rilevare che i principi di redazione del bilancio di una
azienda di erogazione si fondano su una “cultura per adempimenti”, attenta esclusivamente agli aspetti formali, mentre sono lontani i criteri di economicità e di funzionalità tipici di una cultura tesa al
conseguimento di determinati obiettivi, quale è quella delle aziende di produzione.
È pur vero, tuttavia, che questo tipo di impostazione, da qualche tempo, tende a modificarsi e lo stesso
legislatore ha iniziato a emanare leggi che allineano il settore pubblico a quello privato e, di conseguenza, le aziende di erogazione a quelle di produzione. Le prime, come le seconde, hanno “clienti” ai
quali offrire i propri prodotti e la loro gestione deve effettuarsi nell’ottica economico-aziendalistica,
dove efficienza, produttività ed economicità sono obiettivi primari della gestione di impresa e possono, quindi, essere conseguiti anche nelle aziende di erogazione la cui attività è e deve essere, senza
ombra di dubbio, più rivolta al sociale.
Esemplificazione n° 1
L’azienda Alfa ha acquistato nel corso dell’esercizio, attraverso varie operazioni, lire 320.000.000
nominali di titoli a reddito predeterminato sostenendo un costo complessivo pari a lire
313.920.000; nello stesso esercizio lire 200.000.000 nominali degli stessi titoli sono stati venduti a
un prezzo complessivo pari a lire 197.800.000. A fine esercizio gli stessi titoli hanno un valore di
realizzazione desumibile dall’andamento del mercato pari a 99,20.
Per il principio della prudenza i titoli in rimanenza pari a lire 120.000.000 nominali (320.000.000 –
200.000.000) vengono valutati al costo medio ponderato pari a 98,10 (320.000.000 : 313.920.000 =
100 : x) perché minore del valore di mercato, in quanto la maggior valutazione dei titoli per effetto
delle quotazioni di mercato costituirebbe un componente positivo presunto e non effettivamente realizzato; all’atto della vendita dei titoli il prezzo di mercato potrebbe essere sceso e consentire un risultato minore rispetto a quello presunto iscritto in bilancio. Invece l’utile derivante dalla vendita di lire
200.000.000 nominali degli stessi titoli pari a lire 1.600.000 (200.000.000 : 197.800.000 = 100 : x;
98,90 – 98,10 = 0,80 x 200.000.000 / 100) viene iscritto a bilancio perché effettivamente realizzato e
quindi certo.
Esemplificazione n° 2
Al punto 8 dell’articolo 2426 del Codice civile il legislatore ha stabilito che i crediti devono essere
iscritti secondo il presumibile valore di realizzazione. Ciò significa che la loro valutazione deve
scaturire da un attento esame delle varie partite creditorie per poterne attentamente valutare il
grado di esigibilità; ne consegue che i crediti giudicati sicuramente inesigibili vanno annullati e
quindi stralciati, i crediti di dubbia esigibilità vengono svalutati totalmente o in parte e tali svalutazioni specifiche vengono effettuate tenendo presenti dati di fatto certi o molto probabili di cui
si ha conoscenza; i crediti di normale esigibilità, per i quali non si hanno informazioni su una
eventuale mancata riscossione, sono valutati sulla base di un rischio generico di possibili perdite
di realizzo la cui misura si fonda sull’esperienza storica dell’azienda.
A tale proposito si ipotizzi che la stessa azienda Alfa abbia iscritti in bilancio crediti verso clienti
per lire 420.000.000 (di cui lire 50.000.000 verso un cliente nei cui confronti è in corso una procedura fallimentare in seguito alla quale si presume di riscuotere soltanto il 25% del credito) e
crediti insoluti per lire 74.000.000 (di cui lire 14.000.000 di certa inesigibilità), i restanti crediti
vengono valutati considerando un generico rischio di insolvenza.
esercizi
Sulla base dei dati forniti l’azienda procederà allo stralcio del credito di lire 14.000.000 valutato di
indubbia inesigibilità, alla svalutazione del 75% del credito vantato nei confronti del cliente fallito,
imputando all’esercizio una perdita presunta pari a lire 37.500.000, all’accantonamento di una perdita
presunta dovuta alla stima di un generico rischio di insolvenza sui restanti crediti (420.000.000 +
74.000.000 – 50.000.000 – 14.000.000) valutabile nella misura del 3% e quindi pari a lire 12.900.000.
Soluzione del punto n° 2
La normativa attualmente in vigore, sulla quale fonda il bilancio d’esercizio della società per azioni e
delle altre società di capitali, è contenuta negli articoli 2423 e seguenti del Codice civile; in particolare, è mediante il decreto legislativo 9 aprile 1991 n. 127, che ha recepito e dato attuazione alla IV
Direttiva Cee in materia societaria, che la normativa civilistica sul bilancio d’esercizio, espressione sintetica dell’andamento finanziario, patrimoniale ed economico dell’azienda, tende essenzialmente a
tutelare gli interessi dei terzi attraverso un insieme di disposizioni, le quali mirano ad assicurare la correttezza della determinazione del reddito e del patrimonio d’esercizio ed anche un sufficiente livello
di informazione.
Accanto alla clausola generale, di cui all’articolo 2423 del Codice civile, il legislatore ha stabilito principi di redazione del bilancio che devono essere osservati nella formazione dei conti annuali. Fra questi assumono particolare rilevanza quello della prudenza e quello della continuità aziendale. Secondo
il primo principio gli utili sperati sono esclusi dalla formazione del reddito di periodo mentre vi partecipano tutti i costi, gli oneri e le perdite anche se incerte o soltanto probabili; il secondo principio fa
eseguire le valutazioni applicando il criterio di funzionamento, tenendo presente le possibili evoluzioni della gestione alla quale parteciperanno i beni che sono oggetto di valutazione.
Per la determinazione del reddito fiscale la fonte è il Testo unico delle imposte sui redditi, DPR 2
dicembre 1986 n. 917 e successive modificazioni, nonché numerose disposizioni complementari. Il
reddito fiscale d’impresa è determinato sulla base del risultato d’esercizio evidenziato dal Conto economico redatto secondo la normativa civile e sul quale sono operate alcune variazioni aumentative e
diminutive che sono imposte dalla normativa fiscale, la quale ha finalità sicuramente diverse da quelle
della normativa civile.
Nel dettare le norme per la determinazione del reddito fiscale il legislatore non ha tenuto in considerazione i legami che uniscono fra loro i vari esercizi nei quali si suddivide la gestione aziendale, né la
difesa della integrità del patrimonio, ma si è ispirato invece a principi diversi che tendono a limitare i
margini di manovra e quindi l’incertezza del reddito di impresa. Fra essi ricordiamo:
• il principio della certezza e della determinabilità, mediante il quale si escludono dalla formazione del reddito tassabile i costi e i ricavi incerti cioè quei componenti del reddito che derivano
da fatti ancora non verificatesi;
• il principio della imputazione a Conto economico, per cui i costi e gli oneri non sono ammessi in deduzione se non risultano imputati al Conto economico, invece i ricavi e gli altri proventi di
ogni genere, nonché le rimanenze finali, concorrono a formare il reddito imponibile anche se non
risultano imputati a Conto economico.
Dovendo procedere per variazione del reddito civile ne consegue che esiste l’obbligo di allegare il
bilancio di esercizio alla dichiarazione dei redditi.
Da quanto sopra esposto si comprende come numerosi siano i fenomeni aziendali che possono originare differenze fra il reddito di periodo determinato secondo criteri civilistici e quello determinato
applicando norme fiscali.
Esempi possono essere offerti:
1) dall’ammortamento dei beni materiali,
2) dalle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di beni strumentali,
3) dalla valutazione delle rimanenze di magazzino.
1) In materia di ammortamento la normativa civilistica e la normativa fiscale corrono su due piani
diversi. Infatti per il legislatore civile il costo delle immobilizzazioni materiali la cui utilizzazione è
limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla
loro residua possibilità di utilizzazione; ciò significa che l’ammortamento va operato con un preciso piano tecnico economico che predefinisca la ripartizione del costo del bene strumentale tra
tutti gli esercizi della sua vita economica utile, sulla quale sicuramente influiscono il deperimento
fisico, l’obsolescenza sia degli impianti sia dei prodotti, l’inadeguatezza rispetto alle esigenze di
produzione. Quindi particolare attenzione nella stesura del piano di ammortamento va posta alla
residua possibilità di utilizzazione del bene, cioè si deve attentamente valutare l’ammontare dei
ricavi che si potranno conseguire nel periodo di vita utile del cespite e che dovranno coprire il
costo da ammortizzare.
Il legislatore fiscale ha invece stabilito i coefficienti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi, prevedendo la possibilità di
adottare oltre all’ammortamento ordinario anche, per esempio, l’ammortamento accelerato (quando i beni sono utilizzati più intensamente rispetto alle condizioni normali) e l’ammortamento anticipato, il quale non è applicato per un diverso grado di utilizzo o deperibilità del bene, ma al solo
scopo di favorire il rinnovo delle strutture produttive dell’azienda.
Da quanto esposto si può chiaramente capire che l’ammortamento fiscale non tiene in alcun conto
il superamento tecnologico e l’usura fisica del bene il cui costo è da recuperare o le minori possibilità di vendita del prodotto ottenuto con il bene stesso. Ne consegue che ogni volta che il bilancio
d’esercizio presenta quote di ammortamento superiori a quelle ammesse fiscalmente, in sede di
determinazione del reddito fiscale dovranno essere operate opportune variazioni in aumento del
reddito economico.
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Esemplificazione
L’azienda industriale SHAT S.p.A. ha acquistato nell’esercizio n1 un impianto il cui costo comprensivo
degli oneri accessori di diretta imputazione ammonta a lire 480.000.000; il coefficiente tabellare dell’ammortamento fiscale ordinario è pari al 12%. Nella tavola che segue vengono presentati il piano di
ammortamento redatto con criteri civili, le quote di costo pluriennale imputate a ciascun esercizio
applicando le norme fiscali e le variazioni originate.
Esercizio
Ammortamenti
iscritti nel C.e.
Ammortamento
deducibile
Ammortamento fiscale
Variazioni in
aumento
Variazioni in
diminuz ione
Importo
Importo
%
Importi
%
Ordinario
%
Anticipato
%
Importo
1
12
57.600.000
6
28.800.000
6
28.800.000
12
57.600.000
-
-
2
24
115.200.000
12
57.600.000
12
57.600.000
24
115.200.000
-
-
3
24
115.200.000
12
57.600.000
12
57.600.000
24
115.200.000
-
-
4
15
72.000.000
12
57.600.000
-
12
57.600.000
14.400.000
-
5
15
72.000.000
12
57.600.000
-
12
57.600.000
14.400.000
-
6
10
48.000.000
12
57.600.000
-
10
48.000.000
-
-
7
-
4
19.200.000
-
6
28.800.000
-
28.800.000
70
336.000.000
30
100
480.000.000
28.800.000
28.800.000
100
480.000.000
144.000.000
2) Quando i beni strumentali non più funzionali all’attività dell’impresa vengono ceduti a titolo oneroso con un valore di realizzo maggiore del loro valore contabile, l’impresa consegue una plusvalenza
da alienazione che, a seconda del carattere ordinario o straordinario, confluirà nel Conto economico o nell’area del valore della produzione, fra altri ricavi e proventi, o nell’area della gestione straordinaria fra i proventi straordinari, partecipando in entrambi i casi al reddito dell’esercizio in cui si è
manifestata.A norma dell’articolo 54 del TUIR tale plusvalenza, purché realizzata su beni posseduti
da almeno tre anni, può concorrere alla formazione del reddito con imputazione integrale, ma può
anche essere rateizzata suddividendola in quote costanti in un massimo di cinque anni. Nel caso di
imputazione integrale non si verificheranno differenze fra il reddito economico e quello fiscale,
mentre nel caso di imputazione rateizzata al risultato di bilancio bisognerà apportare due variazioni: una di segno negativo per l’intero importo della plusvalenza realizzata, una di segno positivo per
la quota costante imputata all’esercizio.
Esemplificazione
L’azienda industriale SHAT S.p.A. nel corso dell’esercizio n realizza plusvalenze, relative a beni posseduti da oltre tre anni, per lire 18.000.000; ai fini fiscali, l’amministratore decide di rateizzarla in quote
costanti nell’esercizio n e nei tre successivi. Le variazioni da apportare al reddito di bilancio sono evidenziate nel prospetto che segue.
Periodo d’imposta
Variazioni in aumento
Variazioni in diminuzione
n
4.500.000
18.000.000
n+1
4.500.000
ÐÐÐÐÐ
n+2
4.500.000
ÐÐÐÐÐ
n+3
4.500.000
ÐÐÐÐÐ
3) Il principio della prudenza ispira anche la norma n. 9 dell’articolo 2426 del Codice Civile relativa
alla valutazione delle rimanenze di magazzino, il cui criterio base è il costo confrontato, però, con il
valore di realizzazione desumibile dal mercato, che, se minore rispetto al primo, dovrà assumersi
come criterio per la valutazione delle scorte. I metodi con i quali può essere calcolato il costo dei
beni fungibili, oltre a quello dell’identificazione del costo effettivo, sono:
• il metodo del costo medio ponderato,
• il metodo FIFO,
• il metodo LIFO.
La valutazione fiscale delle rimanenze di magazzino va effettuata a un valore non inferiore a quello
determinato con il metodo LIFO a scatti su base annuale, per cui se il contribuente, che è libero di
valutare le rimanenze con criteri diversi da quello fiscale, iscrive in bilancio le scorte con una valutazione inferiore a quella che risulterebbe applicando i criteri dell’articolo 59, tale valore deve essere rettificato, in sede di dichiarazione dei redditi, operando una variazione in aumento del reddito
economico. Se invece il contribuente iscrive in bilancio le rimanenze a un valore uguale o maggiore di quello determinabile con i criteri fiscali, nessuna variazione deve essere apportata perché
quello è il valore che il fisco assume.
La norma fiscale, che tuttavia ammette la valutazione delle scorte al valore normale medio se minore di quello determinato con i metodi sopra enunciati, tende a regolamentare la valutazione delle
rimanenze adeguandola a valori che non possono scendere al di sotto di un valore fiscale minimo
perché altrimenti si avrebbe una eccessiva svalutazione delle stesse che andrebbe a incidere negativamente sul reddito tassabile, decurtandolo. Tuttavia bisogna sottolineare che la valutazione delle
rimanenze può non essere considerata un buon fenomeno aziendale per dimostrare le differenze
originate dall’applicazione delle norme civili e fiscali; infatti il comma 3 bis dell’articolo 59 del
esercizi
99
TUIR prevede che «per le imprese che in bilancio valutano le rimanenze finali con uno dei metodi
sopra indicati o con varianti del LIFO a scatti annuale, i valori iscritti in bilancio sono anche valori
fiscalmente riconosciuti».
Esemplificazione
L’azienda industriale SHAT S.p.A., al termine dell’esercizio n, ha in rimanenza quintali 250 di materia
prima valutata complessivamente, con il metodo del costo standard, lire 46.000.000; il valore normale
della materia prima, nell’ultimo mese dell’esercizio, è pari a lire 186.500 il quintale.
All’inizio dello stesso esercizio le rimanenze erano quintali 228 valutate lire 186.000 il quintale e il
costo medio dell’anno è di lire 190.000 il quintale.
La società, nella dichiarazione dei redditi, dovrà rilevare una variazione in aumento del reddito d’impresa di lire 588.000 perché la valutazione di bilancio non è stata effettuata con uno dei metodi
ammessi dalla normativa tributaria ed è inferiore al valore ammesso fiscalmente; infatti:
Valore delle esistenze iniziali (186.000 x 228)
+ Valore dell’incremento delle rimanenze (250 – 228 = 22 x 190.000)
lire 42.408.000
lire 4.180.000
Valore delle rimanenze finali della materia prima
(LIFO a scatti su base annuale)
lire 46.588.000
Valore normale della materia prima (186.500 x 250)
lire 46.625.000
Valore delle rimanenze finali fiscalmente ammesso (46.588.000 < 46.625.000)
lire 46.588.000
Valore di bilancio delle rimanenze finali
Valore delle rimanenze finali fiscalmente ammesso
lire 46.000.000
lire 46.588.000
Variazione in aumento del reddito d’impresa
lire
588.000
Soluzione del punto n° 3
Aggregato
Procedimento
di calcolo
01 - Liquiditˆ immediate
Esercizio
n –1
Esercizio
n
160
198
02 - Liquiditˆ differite
3.944
4.547
03 - Disponibilitˆ non liquide
3.470
4.125
04 - Attivo corrente
(01 + 02 + 03)
05 - Immobilizzazioni
06 - Capitale investito
(04 + 05)
07 - Passivitˆ correnti
08 - Passivitˆ consolidate
09 - Capitale di terzi
(07 + 08)
10 - Capitale proprio
11 - Totale finanziamenti
(09 + 10)
7.574
8.870
10.918
12.626
18.492
21.496
6.115
6.747
1.668
2.840
7.783
9.587
10.709
11.909
18.492
21.496
12 - Valore della produzione ottenuta
37.525
41.722
13 - Costo dei consumi di materie prime
24.997
26.998
14 - Costo dei servizi
15 - Valore aggiunto caratteristico
(12 Ð 13 Ð 14)
2.254
2.532
10.274
12.192
16 - Margine lordo operativo
3.524
4.442
17 - Saldo della gestione finanziaria
Ð 213
Ð 283
18 - Saldo gestione patrimoniale
63
28
19 - Saldo della gestione straordinaria
30
10
2.202
2.780
20 - Saldo gestione corrente
(25 Ð 17 + 18)
21 - Imposte sul reddito
1.032
1.090
22 - Ammortamenti e altri accantonamenti operativi
1.172
1.407
37.383
41.222
23 - Ricavi delle vendite
24 - Oneri finanziari
660
767
25 - Reddito operativo
(16 Ð 22)
2.352
3.035
26 - Reddito al lordo delle imposte
27 - Reddito dÕesercizio
(20 + 19)
(26 Ð 21)
2.232
1.200
2.790
1.700
esercizi
100
Condurre l’analisi sulla redditività aziendale significa analizzare i fattori che la determinano attraverso
la determinazione degli indici di redditività più significativi, quali per esempio:
Indice
Formula
Esercizio n –1
Esercizio n
1 ROE
Reddito netto dÕesercizio
Capitale proprio
1.200
10.709
11,20%
1.700
11.909
14,27%
2 ROD
Oneri finanziari
Capitale di terzi
660
7.783
8,48%
767
9.587
8%
3 ROI
Reddito operativo
Capitale investito
2.352
18.492
12,72%
3.035
21.496
14,12%
4 ROS
Reddito operativo
Ricavi netti di vendita
2.352
37.383
6,29%
3.035
41.222
736%
Reddito netto dÕesercizio
Reddito operativo
1.200
2.352
0,51
1.700
3.035
0,56
Capitale investito
Capitale proprio
18.492
10.709
1,72
21.496
11.909
1,8
Ricavi netti di vendita
Capitale investito
37.383
18.492
2,02
41.222
21.496
1,917
5 Tasso di incidenza della
gestione non caratteristica
6 Indice di indebitamento
(leverage)
7 Tasso di rotazione del
capitale investito
La maggior parte degli indici esaminati hanno un andamento crescente, in particolare il ROE e il ROI.
La redditività del capitale proprio è sicuramente buona, ma ciò che la fa maggiormente apprezzare è
la misura significativa con cui è aumentata dall’esercizio n–1 all’esercizio n.
Il ROE, da un periodo all’altro, assume un valore maggiore perché è aumentato l’indebitamento, come
segnala il leverage che da 1,72 passa a 1,8 e il ROI è maggiore del tasso di interesse sui finanziamenti.
All’effetto moltiplicativo del leverage sul ROE, non si aggiunge, però, quello del tasso di incidenza
della gestione non caratteristica che risulta essere minore di 1, se pur con tendenza all’aumento.
Anche il ROI ha andamento crescente e segnala un miglioramento nel rendimento lordo del capitale
investito; ciò significa che i processi della gestione economica caratteristica si svolgono con maggiore
efficienza e questo incide, in modo determinante, sulla redditività complessiva dell’azienda. La variazione del ROI dipende essenzialmente da due variabili:
• la redditività delle vendite,
• la rotazione del capitale investito.
Infatti, il ROS aumenta in modo significativo per effetto dell’andamento positivo della redditività lorda
delle vendite, ma l’aumento è, in parte, ridotto dalla diminuzione del tasso di rotazione del capitale
investito che, per altro, è minima.
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