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Il peso del fiscalismo francese
Come prototipo dello stato assoluto, la Francia possedeva un’organizzazione amministrativa e
fiscale assai più efficiente di ogni altro stato rivale.
È possibile farsi un’idea di quanto il fiscalismo regio pesasse sulla società francese?
Nei primi anni del XVII secolo il totale delle entrate statale raramente superò i 30 milioni di lire
tornesi. La lira tornese, antenata del franco, la moneta nella quale si esprimevano allora i prezzi
francesi, era pari a circa 10 grammi d’argento, ma fu poi progressivamente svalutata, scendendo a
circa 7 grammi verso il 1700. Ciò va tenuto presente esaminando le cifre che seguono, perché un
milione di lire del 1700 equivalgono a 700000 lire del 1600.
Guerra e fiscalismo
Il “buon re” Enrico IV di Borbone ridusse il peso della taglia (pagata in pratica solo dai contadini),
che venne a rappresentare circa la metà dei 30 milioni di entrata, e aumentò invece il complesso
delle imposte indirette. Dopo il 1620 cominciò l’era di Luigi XIII e di Richelieu, caratterizzata da
un netto e continuo aumento del carico fiscale. Ai 51 milioni del 1632 seguì tre anni dopo
l’impennata ancora maggiore dovuta all’ingresso della Francia nella guerra dei Trent’anni e, dopo i
trattati di Westfalia, al proseguimento del confronto armato con la Spagna, fino al raggiungimento
dei 100 milioni; il costo della guerra fece crescere ancora di più il totale delle spese e il deficit
dovette essere coperto ricorrendo ai prestiti.
Una soglia era, ormai, stata sorpassata e il ritorno pieno alla pace (ristabilita nel 1659 anche con la
Spagna) non comportò il ritorno alla pressione fiscale di mezzo secolo prima. Assumendo il potere
nel 1661, Luigi XIV trovò che negli ultimi anni del governo di Mazzarino la finanza pubblica era
stata molto deteriorata dalla corruzione e dagli sprechi; la spesa totale ammontava a 112 milioni (52
dei quali erano destinati a pagare gli interessi sul debito pubblico), coperta solo in parte da 84
milioni di entrate. Colbert costrinse gli appaltatori a versare le tasse di cui si erano appropriati
indebitamente e riuscì a ridurre il debito pubblico e la taglia.
Nel 1666, anno di pace, le entrate fiscali furono di 67,5 milioni di lire tornesi e il bilancio chiuse
con un leggero attivo. Ma dal 1667 e ancor più dal 1672 la Francia fu quasi costantemente in guerra
e le spese ripresero a salire, toccando la media di 150 milioni nel 1687-97 e superando i 220 milioni
nel 1705-15. In corrispondenza le entrate fiscali si avvicinarono ai 200 milioni.
Fiscalismo e prodotto nazionale
In che misura il peso del fisco incideva sull’economia francese? Per rispondere a questa domanda
occorre calcolare il valore del prodotto interno, cosa molto difficile se non praticamente
impossibile. Ciò nonostante molti economisti e statistici (detti allora “aritmetici politici”) proposero
nei decenni intorno al 1700 varie stime, perfezionate ma sostanzialmente accolte nei metodi dagli
storici del XX secolo.
Uno di questi metodi consiste nel partire dal valore della produzione agricola. Verso il 1680 la
Francia aveva circa 20 milioni di abitanti, i quali avevano bisogno di 50 milioni di quintali di
cereali l’anno, supponendo un consumo di 2,5 quintali pro capite. In quel periodo il prezzo medio
dei cereali era in un anno normale di 9 lire al quintale. L’economia cerealicola francese valeva
quindi 450 milioni di lire. Aggiungendo attraverso varie congetture il resto dell’economia agricola
(vino, olio, vegetali vari e prodotti dell’allevamento) e quella manifatturiera si può arrivare a un
totale globale che oscilla fra i 1200 e i 1500 milioni.
Lo stato si impadroniva di un 10-12% del prodotto globale, cifra che poteva arrivare al 15% quando
i costi delle guerre regie si facevano più pesanti.
La reazione del mondo contadino
Il gioco delle esenzioni, non solo a favore del clero e della nobiltà ma anche di molte delle città,
faceva sì che il peso del fisco ricadesse per la massima parte sui contadini, che dovevano inoltre
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pagare le decime ai parroci e diversi diritti in natura e in denaro ai signori, vedendosi ridurre a un
po’ più della metà i loro redditi, seppure con larghi margini di oscillazione.
Il periodo 1620-60, quello della svolta decisiva nel peso fiscale dello stato, con un aumento
irreversibile pari a oltre il doppio. Prevedibilmente questo stesso periodo vide una serie continua di
rivolte contadine antifiscali. Inoltre, poiché il prelievo statale entrò in concorrenza con quello
signorile, la crescita del peso dello stato e dell’assolutismo fiscale fu in qualche modo connessa con
le agitazioni della fronda signorile.
Alla fine fu l’assolutismo ad averla vinta e il nuovo equilibrio che si venne a realizzare fra lo stato e
il mondo contadino (nonché quello dell’aristocrazia terriera) non poté essere rimesso in questione.
Dopo il 1660-70 le rivolte contadine non scomparvero, ma presero la forma della resistenza passiva
e dei piccoli tumulti locali (nel 1660-1705 se ne contano 106 nella sola Provenza), che potevano
essere repressi dalla polizia senza più far tremare lo stato.
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