I danni del clima che cambia e l'estenuante ecodiplomazia
I danni del clima che cambia e l'estenuante
ecodiplomazia
Mentre oggi parte a Cancun, in Messico, la Conferenza mondiale sul clima (Cop16), alla ricerca di un
difficilissimo accordo, i dati climatici sembrano confermare i rapidi cambiamenti in atto: il 2010 si
confermerà l'anno più caldo di sempre dal 1880 e continua ad accelerare il processo di
sbiancamento dei coralli, un segnale inequivocabie del global warming.
Leonardo Berlen
Oggi parte a Cancun, in Messico, la Conferenza mondiale sul clima (Cop16), chiamata a fare il
punto della situazione e definire politiche di lotta al cambiamento climatico. Dopo i risultati deludenti
di Copenhagen (Cop15) ora si cerca quell'accordo vincolante che possa segnare un passo importante
per la definizione del protocollo post-Kyoto, il trattato internazionale in materia ambientale
riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nel 1997 e in vigore nel 2005. Fino al 10 dicembre
negoziatori e rappresentanti di 194 paesi si riuniranno per cercare di definire strategia comuni e
accordi vincolanti per una crescita sostenibile. Christiana Figueres è il nuovo segretario esecutivo
della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework
Convention on Climate Change) che coordinerà i negoziati, che potranno essere seguiti dal sito
ufficiale dell'UNFCCC.
Tra le questioni più complesse nel negoziato c'è il meccanismo di misurazione, rendicontazione
e verifica (Mrv) delle azioni poste in atto dai paesi nella riduzione delle emissioni. In pratica
vengono assegnati dei fondi a uno Stato per azioni che puntano a tagliare la produzione di CO2. Una
volta erogati i fondi i paesi beneficiari dovranno sottostare a controlli periodici volti a verificare che
tali fondi siano effettivamente spesi in quella direzione. Purtroppo diverse nazioni poco gradiscono
vincoli o controlli internazionali.
La questione poi assume aspetti di maggiore complessità se si pensa che in ballo c'è anche il
fattore competitività con i paesi industrializzati. Conviene destinare risorse ad un paese
povero o a un'economia emergente? I paesi industrializzati avrebbe più interesse a non rendere
troppo competitivi le potenze emergenti, come Cina, India e Brasile. Tuttavia non rendere sostenibile
la crescita di questi paesi rischia di vanificare gli sforzi internazionali e fornire l'alibi a chi non intende
modificare il proprio sistema produttivo e il proprio modello di sviluppo.
Come nella precedente Cop15 lo scontro tra nord e sud del mondo sarà uno dei principali nodi
da sciogliere. Accanto a questa questione va considerato che la leadership dell'amministrazione
Obama è indebolita dopo i risultati delle elezioni di mid-term; gli Usa potrebbero anche firmare un
eventuale accordo, senza però che si abbia la garanzia di una ratifica da parte del diviso Congresso.
Dal canto sua l'Unione Europea è nell'occhio del ciclone per la forte crisi economica, ma
soprattutto finanziaria legata alla instabilità dell'euro, e da queste vicende potrebbe essere distratta
o trovare una scusa per non puntare ad un accordo forte e vincolante. Alcuni osservatori credono
che la Cina possa approfittare della situazione per assumere una posizione di guida del vertice.
L'obiettivo dovrebbe comunque essere ormai chiaro: fermare il riscaldamento globale entro la soglia
in cui i danni sarebbero accettabili, cioè sotto i 2°C (Qualenergia.it, Emissioni, il baratro tra scienza e
obiettivi sulla carta). E mentre l'ecodiplomazia si mette al lavoro, purtroppo con scarse prospettive di
successo, gli effetti dei cambiamenti climatici corrono veloci su altri binari. I recenti dati del NOAA
sulle temperature mondiali sono piuttosto sconfortanti.
La temperatura media globale dei primi 10 mesi del 2010 (periodo gennaio-ottobre - vedi
grafico), con un'anomalia di 0,63°C, è stata la più alta temperatura media globale degli stessi
periodi gennaio-ottobre di tutti gli anni precedenti a partire dal 1880. Se prendiamo l'emisfero nord
la sua temperatura media sempre nel periodo gennaio-ottobre 2010 è stata parimenti la più alta
temperatura media emisferica a partire dal 1880; quella dell'emisfero sud è stata la seconda.
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Altro aspetto inquietante è riportato nell'ultimo numero della prestigiosa rivista Nature dove si mette
in evidenza che con il record di riscaldamento climatico del 2010, coralli e barriere coralline sono
a rischio di danni irreversibili. Lo sbiancamento dei coralli va infatti di male in peggio e questa
è una vera e propria cartina di tornasole del global warming. Si temono danni irreparabili ai coralli
del mar dei Caraibi. La maggior parte del 80% dei coralli e delle barriere coralline sopravvissuti ai
precedenti sbiancamenti del 2005 (l'anno più caldo dal 1880, escluso quest'anno), è giù in fase di
sbiancamento e il 40% del totale dei coralli è già morto.
Ma la situazione per i coralli e le barriere coralline non è migliore negli altri Oceani, specialmente nel
Golfo Persico e nell'Oceano Pacifico centrale dove i danni più rilevanti erano accaduti nel 1998
(secondo anno di caldo record dal 1880, escluso quest'anno). Il prossimo anno si potrebbe appurare,
infatti, che i danni ai coralli di queste aree oceaniche potrebbero essere i peggiori mai osservati, non
solo e non tanto per il riscaldamento record del 2010 (ormai quasi confermato), quanto per
lo "shock" termico che si è avuto nel passaggio dalla situazione di El Nino tra il 2009 e il 2010, cioè
con l'attuale situazione di La Nina a cavallo tra il 2010 e il 2011.
Con El Nino si era determinato un riscaldamento nella zona equatoriale dell'oceano Pacifico orientale
(a ridosso del sud America) e un raffreddamento del Pacifico occidentale (a ridosso dell'Indonesia).
Con la attuale situazione di La Nina, il Pacifico orientale si è raffreddato fortemente, mentre il
Pacifico occidentale si è riscaldato.
La Nina di quest'anno ha già prodotto due disastrosi effetti: con il riscaldamento del Pacifico
occidentale intertropicale ha amplificato le conseguenze negative del monsone indiano
(alluvioni in Pakistan) e con il raffreddamento del Pacifico orientale ha prodotto una forte siccità
che non ha precedenti negli ultimi 40 anni in Perù, Brasile e nella regione amazzonica.
Leonardo Berlen
URL di origine (Salvata il 09/06/2017 - 18:01):
http://www.qualenergia.it/articoli/20101201-i-danni-del-clima-che-cambia-e-l-estenuanteecodiplomazia
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