Relazione - Università degli Studi dell`Insubria

/DXUHD6SHFLDOLVWLFDLQ
6FLHQ]H$PELHQWDOL
$QQRDFFDGHPLFR
8QLYHUVLWjGHOO·,QVXEULD
(6&856,21(
,17(5',6&,3/,1$5(
VHWWHPEUH
´'LQDPLFDGHOWHUULWRULRHGHYROX]LRQHUHFHQWHGHOSDHVDJJLRLQXQWUDQVHWWRDWWUDYHUVR
O·$SSHQQLQR&HQWURPHULGLRQDOH%DFLQRGL5LHWL6DUQR9HVXYLRH&DPSL)OHJUHLµ
Scheda Relazione Sopralluogo di 'DQLHOH$SH
Matricola 612244
Introduzione
Attraverso un percorso formativo svolto sul campo, è stato possibile, sfruttando la varietà degli
ambienti geologici e morfologici che il nostro Paese ci offre, verificare e mettere in pratica alcune
delle conoscenze acquisite durante gli studi, per quanto riguarda la valutazione e il controllo dello
stato fisico dell’ambiente.
Le tre diverse “tappe” in cui è stata articolata l’escursione (Bacino di Rieti, zona alluvionata di
Sarno, area vesuviana), e quindi lo studio di diversi aspetti e problematiche, hanno permesso un
esame e una quantificazione delle tendenza evolutive del territorio e soprattutto delle loro
interazioni con la componente antropica.
Grazie poi all’intervento di alcuni docenti e professionisti è stato possibile inoltre utlizzare come
base un modello di ciò che realmente accade nella pratica operativa degli Enti che agiscono sul
territorio per la protezione e la tutela dell’ambiente.
Bacino di Rieti
- 16 e 17 settembre 2002 –
Obiettivi
Studio dell’area occupata dal Bacino di Rieti con particolare attenzione all’assetto geologico e
idraulico, all’analisi dei caratteri podologico-agrario-forestali, alla sismicità e tettonica recente.
Si è cercato di comprendere come i diversi aspetti morfologici e climatici possano influenzare
un’area e come sia possibile interpretarne la naturale vocazione
Attraverso un sopralluogo che ha interessato buona parte dell’area in oggetto, accompagnati dal
prof. Serva (rappresentante dell’ex ANPA, oggi APAT) e dal Dr. Comerci, si è tentato di
comprendere e ricostruire l’evoluzione recente di questo territorio.
E’ stato possibile inoltre utilizzare informazioni storiche, paleoclimatiche, pedologiche e agroforestali forniteci dall’esperienza del Dr. Marcello Raglione e del Dr. Paolo Lorenzoni dell’Istituto
Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo e Generale Landi, Comandante della scuola del
Corpo Forestale di Cittàducale.
Il territorio e le sue caratteristiche
Il Bacino di Rieti è definibile come una depressione intermontana Plio-Quaternaria delimitata dai
Monti Sabini a Est e dal Massiccio del Terminillo a Ovest. La sua struttura è riconducibile a quella
di un semi-graben con al centro una potente successione continentale plio-quaternaria.
L’intera evoluzione geomorfologia dell’area è legata allo sviluppo di sbarramenti travertinosi lungo
la valle del fiume Velino, che percorre tutto il bacino e confluisce nel Torrente Nera presso le
cascate delle Marmore.
Proprio la soglia di queste ultime (posta a circa 375 metri s.l.m.), impostata su una piastra di
travertino, costituisce il livello base locale del Bacino.
Diverse indagini geomorfologiche (oltre che archeologiche) hanno permesso di concludere che
l’area è stata caratterizzata, durante tutto il Quaternario, da profonde e continue modificazioni
idrologiche e morfologiche dovute a diversi fattori sia naturali che, in parte, antropici.
1
)LJ: Schema geologico del Bacino di Rieti.
1) Depositi fluvio-lacustri e coperture detritiche (Pleistocene sup.-Olocene).
2) Depositi di travertino (Pleist. medio-sup.).
3) Depositi conglomeratici (Pleistocene inf.-medio).
4) Successione calcareo-marnosa (Meso-Cenozoico).
5) Sovrascorrimento.
6) Faglia distensiva.
7) Faglia indeterminata.
8) Piattaforma di abrasione.
9) Sedimenti lacustri in facies di spiaggia.
10) Località in cui è stata rilevata la posizione dell’ antica linea di costa.
2
Lo studio lito-stratigrafico dell’ area consente di suddividere schematicamente i termini affioranti
nell’ area in due grandi gruppi:
a) Substrato marino Meso-Cenozoico, composto da calcari silicei, marne argillose (alternanza
calcari-argilla) interessati da tettonica compressiva e costituenti diverse falde, dislocate in
seguito da faglie normali con direzione N-S e E-W;
b) conglomerati del Villafranchiano (Pleistocene-Pliocene), depositi fluviolacustri
(mediopleistocenici e olocenici) e copertura travertinosa: giacitura suborizzontale e
interessati da fratture e faglie distensive.
L’ assetto geomorfologico recente dell’ area risulta caratterizzato da un progressivo innalzamento del
livello di base locale che ha determinato condizioni di generale pensilità degli alvei per il continuo
sovralluvionamento dei diversi corsi d’ acqua, con conseguenti variazioni del reticolo idrografico.
Quest’ ultimo era infatti, in passato, molto diverso da come ci appare oggi. Il paleo-Velino (come
quasi tutti gli altri fiumi Tirrenici) scorreva con orientazione quasi perpendicolare rispetto alla
catena appenninica; fenomeni tettonici e di erosione regressiva del torrente Nera hanno portato alla
situazione attuale.
L’ innalzamento del livello di base, di cui sopra si è accennato, è in diretta connessione con
l’ accrescimento della soglia travertinosa delle Marmore, che ha tra l’ altro provocato una ingressione
lacustre estesa sino alla parte settentrionale del Bacino.
)LJ: La cascata delle
Marmore
Nell’ area sono stati osservati ben sei ordini di terrazzi di origine fluviale e fluviolacustre, la cui
origine è legata alle condizioni climatiche che influenzano direttamente la deposizione o l’ incisione
del travertino da parte del Velino.
Il travertino: roccia sedimentaria calcarea di deposito chimico subaereo, costituita principalmente
da carbonato di calcio. La deposizione di tale roccia è legata ad acque ricche di Ca(HCO3) e
dipende strettamente dalle condizioni climatiche. Nei periodi caldi il travertino viene infatti
deposto, provocando un accrescimento delle soglie e un alluvionamento della zona a monte; nei
periodi freddi prevale invece l’ incisione delle stesse soglie travertinosa e fenomeni di erosione
lineare e terrazzamento.
3
Alla dissoluzione del carbonato deposto è inoltre legata l’ esistenza di alcune forme sia epigee che
ipogee. Di particolare importanza sono le cavità che ospitano falde acquifere, alcune delle quali
possono collassare e venire riempite dall’ acqua.
Ne è un tipico esempio il lago Paterno. Questo, a causa dell’ alta pressione della falda, si trova a 2030 mt al di sopra del livello del fiume.
)LJ: Il lago Paterno.
Sullo sfondo sono
visibili i resti di una villa
romana in cui l’ acqua del
lago era utilizzata per
cascate e giochi d’ acqua
Funge da vero e proprio pozzo artesiano, con l’ acqua che sale al di sopra del livello della falda..
Tale struttura è legata anche alla presenza di livelli impermeabili.
L’Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo di Rieti
L’ Istituto, nato nel 1904 come Stazione Sperimentale di granicoltura, fa oggi parte del Ministero
dell’ agricoltura e si occupa di suolo in generale, ossia del suo studio, tutela e valorizzazione.
Personaggio cardine nella storia di questa istituzione fu Nazareno Strampelli. Quest’ ultimo,
attraverso un elaborato lavoro di incroci (partendo dal grano di Rieti, diffuso in tutta Italia grazie
alla sua resistenza), riuscì nell’ intento di ottenere una nuove qualità di grano che fosse resistente a
condizioni ambientali sfavorevoli, alla malattia fungina della Ruggine e che non si piegasse sotto il
peso della spiga.
)LJ: All’ interno
dell’ edificio che
ospita l’ Istituto sono
conservati, tra le
altre cose, le spighe
appartenenti alle
specie che furono
alla base della
ricerca di Strampelli
4
Presso la località Foresta è stato possibile analizzare un tipo di suolo oggetto di studi pedologici
presso il centro. Formatosi in condizioni climatiche diverse dalle attuali (clima più caldo e umido)
circa 400000 anni fa, era costituito in origine da ghiaie ben cementate.
Migliaia di anni di pedogenesi ne hanno profondamente alterato la struttura. In particolare è stato
portato via quasi tutto il carbonato di calcio (più mobile), sicchè il suolo appare oggi rosso a causa
degli alti contenuti di ferro (oltre che alluminio). Restano comunque alcuni ciotoli silicei sfatti.
Studiando un campione compatto di suolo di circa 90 cm, sono stati messi in evidenza i seguenti
orizzonti:
O – organico
A – minerale, ricco di sostanza organica
E – di eluviazione
B – in alterazione
C – vicino al substrato
Conclusioni
Appare evidente come all’ interno di un’ analisi esauriente di un’ area vadano presi in considerazione
molti fenomeni di diversa origine. La configurazione geomorfologica di un’ area come ci appare
oggi è il risultato di profonde trasformazioni ricostruibili soltanto integrando indagini
stratigrafiche, geomorfologiche, archeologiche, idrologiche e ambientali in genere.
La ricostruzione dettagliata di quanto è accaduto in un’ area in passato è la chiave per capire la
vocazione naturale del territorio stesso e provare a ricostruirne le tendenze evolutive in un’ ottica,
soprattutto, di interazione antropica.
Solo una completa conoscenza del territorio con cui una società deve necessariamente interagire,
può permettere di migliorare il rapporto uomo-ambiente, spesso difficile e controproducente per
entrambi .
5
Area di Sarno
- 18 settembre 2002 -
Obiettivi
Studio delle problematiche legate alla stabilità dei versanti in riferimento a eventi meteorici
eccezionali e a elementi quali pedogenesi, sviluppo di vegetazione e sfruttamento agricolo.
Effetti di PXG e GHEULVIORZ e interventi di protezione geologico-idraulica per quanto riguarda gli
eventi che hanno colpito l’ area nel biennio 1998-1999.
Il sopralluogo nell’ area occupata dal Comune di Sarno ha permesso di osservare e analizzare sul
campo le dinamiche, le caratteristiche e le possibili conseguenze di eventi calamitosi legati, tra
l’ altro, a colate di fango e detriti. Tutto ciò è stato messo poi in relazione con morfologia e geologia
dell’ area.
In particolare è stato possibile valutare gli interventi di protezione, di mitigazione e di prevenzione
adottati anche alla luce di quanto già osservato nel precedente sopralluogo (giugno 2001),
considerando quindi una eventuale evoluzione della situazione.
L’area e gli eventi
L’ assetto geomorfologico locale è dominato dalla piana del fiume Sarno, colmata da depositi
prevalentemente vulcanici. Da qui (circa livello del mare) si elevano ripidi versanti costituiti da
calcari stratificati con giaciture sia a franapoggio che a reggipoggio. Il substrato è ricoperto da una
coltre di materiale di natura vulcanica (piroclastico) debolmente coesivo che presenta spessori
variabili da qualche cm (parti alte dei versanti) a qualche decina di metri (pendici dei versanti).
)LJ: Schema geologico dell’ area
interessata dall’ evento alluvionale
ed ubicazione dei centri
maggiormente colpiti
Le intense precipitazioni verificatesi dl maggio 1998 hanno saturato la coltre di copertura dei
versanti, causando vari fenomeni di franamento del tipo ³FRODWDUDSLGDGLIDQJR´. Il materiale
6
piroclastico, appesantito e reso fluido dall’ acqua, si è scollato dal substrato scivolando a valle lungo
lo strato calcareo d’ appoggio, trascinando con se la copertura vegetale e detriti calcarei anche di
grosse dimensioni.
A causa della forte pendenza dei versanti, la massa ha raggiunto elevate velocità ed è stata in grado
di incidere profondamente gli impluvi fino allo sbocco delle piane, dove il carico trasportato è stato
depositato.
Tali eventi franosi hanno assunto aspetti catastrofici in varie parti della città, causando morti e
distruzione di molte strutture. Nonostante siano passati alcuni anni, i segni degli eventi sono tutt’ ora
ben visibili.
In seguito ad osservazioni fatte sia nel centro abitato che nelle zone limitrofe, verso le pendici dei
versanti da cui sono partite le colate, è stato possibile dedurre come il fenomeno non sia
assolutamente nuovo. Alcuni affioramenti dimostrano infatti come episodi eruttivi ed alluvioni si
siano alternati nel tempo; alcuni di essi furono probabilmente ben più forti di quelli degli ultimi
anni.
)LJ: nella zona sono presenti
vari affioramenti dai quali è
possibile trarre conclusioni
circa gli eventi passati
)LJ: sono ancora ben visibili le zone
in cui è avvenuto il distacco tra
coperture e substrato ed ha avuto
origine il fenomeno franoso
Le analisi e gli studi effettuati dagli addetti ai lavori hanno dimostrato come le cause del distacco
siano principalmente naturali (precipitazioni + ripidità dei versanti + presenza di salti e rotture di
pendio) anche se alcuni fattori antropici hanno certamente agevolato il compito delle acque
meteoriche (per esempio taglio dei boschi e piste sterrate; queste ultime in particolare possono
rappresentare zone di infiltrazione e concentrazione d’ acqua).
Ciò che ha cause strettamente antropiche è il risvolto catastrofico che l’ evento ha assunto in termini
di vite umane e distruzioni. Gli effetti tragici furono infatti dovuti essenzialmente a una non corretta
sistemazione idraulica e urbanistica del territorio.
7
Come già notato nel precedente sopralluogo, le estese opere di cementificazione hanno “strozzato”
il territorio rendendo inevitabile uno scenario come quello che effettivamente si è verificato.
Da notare inoltre come la parte in cui sorge il nucleo vecchio dell’ abitato non sia stata danneggiata
se non minimamente dagli eventi, sintomo di una più profonda conoscenza del territorio e un più
saggio utilizzo dello stesso che col tempo va dimenticata.
)LJ: un
esempio della
forza distruttiva
del fenomeno.
Conclusioni
Partendo dal concetto che va necessariamente tenuto conto della naturale vocazione di un territorio,
si capisce come sia impossibile, soprattutto in casi analoghi a questo, mettere in completa sicurezza
la totalità delle zone. Ciò nonostante il quadro geomorfologico e idrologico avrebbe potuto e dovuto
allarmare circa la possibilità di tali eventi.
In un’ ottica che mira alla riduzione della probabilità che tali effetti catastrofici si ripetano, è emerso
come sia necessario, in primo luogo, un controllo efficace del territorio, in termini di sistemazione
urbanistica e piani regolatori che tengano conto dei fenomeni naturali.
E’ inoltre fondamentale provvedere a interventi di manutenzione idrogeologica continuativi e
costanti: cura della vegetazione, ingegneria naturalistica e sistemazione idraulica. Il tutto deve poi
essere corredato da una rete di controllo e monitoraggio meteorologico oltre che da una campagna
di sensibilizzazione della popolazione.
8
Area Vesuviana
- 19 e 20 giugno 2002 -
Obiettivi
Analisi di diversi aspetti legati all’ attività vulcanica, tra cui sismicità e vulnerabilità dell’ ambiente
fisico, in generale e nel caso specifico dell’ area posta in prossimità dell’ apparato vesuviano.
Ricostruzione dei parametri fisici legati all’ eruzione del 79 d.C. attraverso evidenze archeologiche,
antropologiche e paleoambientali.
Attraverso un’ escursione che ha interessato, oltre all’ edificio vulcanico, l’ Osservatorio Vesuviano e
varie zone adiacenti al Vesuvio stesso (quindi ad esso strettamente legate), è stato possibile
analizzare i molti e vari aspetti legati all’ attività vulcanica vera e propria. Grazie anche all’ appoggio
fornitoci dal dott. Mastrolorenzo dell’ I.N.G.V., sono stati studiati i diversi sistemi di controllo e
monitoraggio, la struttura e le dinamiche legate a questo particolare tipo di vulcano, le morfologie
che esso crea e i problemi legati allo sviluppo urbano in un contesto ad alto rischio come quello del
napoletano.
L’attività vulcanica tirrenica
Una serie di vulcani di differenti età bordano il Tirreno dalla Toscana alla Campania. La formazione
di questi vulcani è collegata al movimento di rotazione verso Est dell'
Italia, iniziato circa 7 milioni
di anni fa e tutt'
ora in corso. Il movimento della penisola italiana provoca uno stiramento nella
crosta, cioé dello spessore superficiale di roccia che ricopre tutta la terra, fino ad assottigliarla e
lacerarla. Questo processo si ripercuote in profondità con una diminuzione di pressione che
favorisce la fusione di alcuni minerali che compongono il mantello terrestre. Il materiale allo stato
fuso, più leggero di quello solido circostante, tende a risalire verso l'
alto e, se raggiunge la
superficie, dà origine a attività vulcanica.
Nella zona di distensione creatasi alle spalle della penisola italiana si è formato il bacino tirrenico e
le tracce della lacerazione della crosta consistono in una serie di apparati vulcanici, alcuni dei quali
ormai estinti (i vulcani sommersi al centro del Tirreno e le Isole Pontine).
Il movimento delle placche litosferiche è riconosciuto come una delle cause principali che
determinano la formazione dei vulcani, mentre in altri casi, come ad esempio nelle Hawaii, il
vulcanismo è legato alla presenza di un punto caldo (KRWVSRW).
Il vulcanismo del Mar Tirreno è legato quindi alla placca in movimento, costituita dalla penisola
italiana (che rappresenta una parte della placca africana), che, lacerando la crosta e innescando la
risalita di porzioni del mantello sottostante (astenosfera), provoca essa stessa il vulcanismo.
)LJ
9
Nell'
area campana l'
attività vulcanica più antica riconosciuta in prodotti visibili in superficie, è
quella del vulcano di Roccamonfina, datato fra 700.000 e 300.000 anni fa. L'
attività iniziale di
questo vulcano è stata prevalentemente di tipo effusivo. All'
emissione di lave, di composizione
simile a quelle del Vesuvio, ha fatto seguito una violenta attività esplosiva che ha provocato la
formazione di una caldera al cui interno sono poi state emesse lave molto viscose che hanno
formato una serie di colline. Lungo il Garigliano si possono ancora osservare le imponenti colate di
lava del vulcano primordiale, mentre la parte orientale è ormai completamente smembrata. In tempi
più recenti, da 200.000 anni fa, l'
attività vulcanica si concentra ad Ischia, Procida, Monte di Procida,
Campi Flegrei e Vesuvio.
La Piana Campana
La morfologia della Piana Campana si è delineata dal Pliocene in poi, cioé negli ultimi 5 milioni di
anni. La vasta depressione formatasi in seguito al ribassamento di blocchi di roccia calcarea
(piattaforme carbonatiche), i cui resti emergono ancora ai suoi bordi (M. Massico a Nord e Penisola
Sorrentina a Sud), si è successivamente in parte riempita di prodotti sedimentari e vulcanici.
La parte centrale della Piana Campana è caratterizzata dalla depressione di Acerra, fiancheggiata da
faglie con direzione NE-SO che si estendono fino al mare e che passano da un lato attraverso la città
di Napoli e dall'
altro attraverso il Vesuvio.
)LJ: schema
geologico dell’ area
campana oggetto dei
nostri studi
La presenza delle faglie è riconosciuta attraverso studi gravimetrici sulla terraferma e profili sismici
in mare. La faglia passante per il Vesuvio taglia anche i depositi di eruzioni relativamente recenti e
lungo essa sono avvenute eruzioni vulcaniche laterali nel 1794 e 1861.
10
Generalmente si suddivide l'
attività vulcanica campana in sei periodi:
1 - Campano pre-ignimbritico. Più antico di 55.000 anni. Eruzioni vulcaniche di vario tipo
interessavano tutta la costa del Golfo di Napoli e Ischia.
2 - Fase delle ignimbriti. Compresa tra 55-27.000 anni. In questo periodo è avvenuta
l'
eruzione dell'
Ignimbrite Campana nella Piana Campana. probabilmente il risultato di più
attività eruttive. I centri eruttivi si collocano probabilmente su un ampio sistema di faglie di
direzione SO-NE la cui riattivazione ha favorito la risalita del magma. Anche l'
attività
successiva si localizza lungo questo sistema di faglie in vari punti.
3 - Ischitano. Compreso tra 33.000 anni e il presente. Le eruzioni di Citara e tutta l'
attività
successiva sono confinate prevalentemente nell'
area di Ischia.
4 - Napoletano. Compreso fra 27-12.000 anni. In questo periodo l'
attività vulcanica avviene
in diversi centri posti sul lato occidentale della depressione di Acerra, nonché in apparati
vulcanici oggi localizzati all'
interno della città di Napoli, a Procida e a Monte di Procida.
5 - Vesuviano. Compreso tra 25.000 anni e il presente. L'
attività incomincia al Vesuvio con
le eruzioni delle Pomici di Codola (25.000) e di Sarno (o basali) (17.000 anni). L'
edificio
vulcanico si accresce sul margine Sud-Est della depressione di Acerra.
6 - Flegreo. Compreso fra 12.000 anni e il presente. La caldera dei Campi Flegrei si forma al
margine Sud-Ovest della depressione di Acerra dopo l'
eruzione del Tufo Giallo Napoletano.
La caldera viene riempita dai prodotti di questa eruzione e, successivamente, viene
interessata da un'
ingressione marina. L'
attività posteriore all'
eruzione del Tufo Giallo
avviene prevalentemente lungo i bordi della caldera.
Il Vesuvio entra nella storia della vulcanologia con l'
eruzione del 79 d.C., anche se la sua natura
vulcanica era nota sia ai Greci che ai Romani. Diodoro Siculo (80-20 a.C.) riferisce che la piana
campana era chiamata "campo flegreo (ardente) per la montagna che un tempo emetteva fuoco,
come l'
Etna in Sicilia; attualmente la montagna è chiamata Vesuvio e reca molti segni del fuoco di
un tempo".
)LJ: Mappa del
Vesuvio in cui sono
evidenziate alcune
delle colate laviche
storiche
Il Vesuvio
11
Il Vesuvio, è un raro esempio di "vulcano a recinto": il cono è circondato da un cratere molto più
antico che aveva una circonferenza lunga circa 11 km.
E’ costituito da due monti: il Monte Somma, parte del cratere di un antico vulcano la cui attività è
terminata col collasso di una caldera, e il Vesuvio, a forma di tronco di cono innalzatosi all’ interno
del primo e sorto durante l’ eruzione del 79 d.C.
)LJ: veduta aerea
del complesso
Monte SommaVesuvio
Il Vesuvio appartiene a quella categoria di vulcani chiamati "vulcani grigi" per il tipo di materiale
che emettono quando entrano in attività; sono i gas e le ceneri ad uscire in abbondanza e con
violenza obbligando ad una fuga precipitosa e spesso senza speranza chi vive nel raggio di decine se
non centinaia di chilometri dal cono vulcanico.
Le lave, in questo tipo di eruzione, sono di secondaria importanza e di solito seguono dopo giorni o
settimane i gas ed i lapilli. Caratteristiche di queste eruzioni sono le nubi ardenti: si tratta di gas e
materiali vari tanto pesanti da non riuscire a salire verso il cielo e dunque costretti a percorrere i
fianchi del vulcano anche a 150 kmh, sfondando ed incenerendo qualunque ostacolo incontrino sul
loro percorso. Il materiale più leggero riesce a salire verso l'
alto rimanendo in sospensione
nell'
atmosfera così da creare una notte innaturale che può prolungarsi per giorni interi, il materiale
poi ricade sotto aspetto di pioggia infernale.
Attualmente l'
area vesuviana conta milioni di abitanti, una eruzione potrebbe causarne la morte di
centinaia di migliaia. Durante l'
eruzione del 1631, la barriera naturale del monte Somma, uno
ostacolo sulla via della nube ardente alto ben 250 metri, riuscì a malapena a salvare i centri abitati a
Nord del Vesuvio.
12
)LJ: pianta
dell’ area vesuviana;
l’ elevata
urbanizzazione delle
zone circostanti il
vulcano è motivo di
non poche
preoccupazioni in
termini di sicurezza
Nella storia dell’ attività del Vesuvio sono stati riconosciuti sei grandi cicli, iniziati ognuno con
un’ eruzione pliniana pomicea ad alta esplosività, seguita da messa in posto di depositi di caduta e
flussi piroclastici.
Eruzione Pliniana: tipo di eruzione particolarmente esplosiva, caratterizzata da un modo
particolare di liberazione dei gas e di compressione del magma. Durante una prima fase il gas è in
soluzione nella camera magmatica (monofase); durante la risalita la pressione esterna diminuisce
mentre sale quella parziale dell’ H2O. Il sistema diventa bifasico dando vita a una massa bollosa che
si espande in volume. Salendo il magma ed espandendosi il gas, aumenta la percentuale di gas
stesso nella composizione generale; avviene frammentazione del magma e fuoriuscita di
gas+frammenti di bolle (piroclastici) in quantità dell’ ordine di 107 kg/sec di materiale con velocità
di 200-400 m/sec.
Oggi il Gran Cono ( = Vesuvio) è separato dalla cinta craterica del Monte Somma dai solchi
dell’ Atrio del Cavallo, della Valle del Gigante e della Valle dell’ Inferno. Tocca i 1281 metri s.l.m.
Il versante che da sulla costa è occupato dalla foresta demaniale del Vesuvio, cuore della riserva
naturale e attraversata dalla colata dell’ ultima grande eruzione (1944).
)LJ: l’ ultima delle
grandi eruzioni vesuviane
risale al 1944
Le eruzioni del 1895-1899 hanno portato alla creazione del Colle Umberto, alto 886 metri e sul
quale è stato costruito l’ Osservatorio Vesuviano. Quest’ ultimo, inaugurato nel 1841 da Macedonio
13
Melloni, ha sede a Napoli ed è l’ Ente di Stato incaricato di tenere sotto controllo e continuo
monitoraggio l’ attività di tutti i vulcani italiani (oltre al Vesuvio e ai Campi Flegrei, anche Etna,
Stromboli e Vulcano).
L’eruzione del 79 d.C.
E’ l’eruzione pliniana più conosciuta, non solo del Vesuvio, ma di tutta la storia della vulcanologia .
Essa è stata descritta in due lettere di Plinio il Giovane (61-114 d.C.) allo storico Tacito. Tali lettere
costituiscono la prima descrizione di un'
eruzione e da qui deriva denominazione di ³HUX]LRQH
SOLQLDQD´ per questo tipo di fenomeno particolarmente violento e distruttivo.
Nell'
eruzione, Pompei ed Ercolano furono completamente distrutte e molte altre città furono
fortemente danneggiate fra cui Oplonti e Stabia.
Le lettere descrivono i danni subiti da Plinio il Giovane e la morte dello zio Plinio il Vecchio (anche
se è probabile però, che lo zio sia morto per cause cardiache e non come descrive Plinio il Giovane).
Descrivono, inoltre, il susseguirsi dei fenomeni eruttivi ed i loro effetti quali le scossesismiche che
preludono all'
eruzione, la grande colonna di cenere e gas a forma di pino, le ricadute di ceneri e di
pomici che seppelliscono gli edifici, gravando sui tetti e ostruendo le vie respiratorie degli abitanti e
la totale oscurità.
Secondo le lettere di Plinio il Giovane l'
eruzione sarebbe iniziata a mezzogiorno del 24 agosto e
terminata intorno alle 6 del pomeriggio del 25. E'da rilevare che a quell'
epoca il Vesuvio non era
considerato un attivo (nonostante fosse nota, come detto, la natura vulcanica dell’ area) e sulle sue
pendici sorgevano diverse floride città.
L'
eruzione fu preceduta da una serie di terremoti come testimoniato dalle tracce di lavori di
riparazione provvisori effettuati poco prima dell'
evento eruttivo e rinvenuti in molte case distrutte
dall'
eruzione e riportate alla luce dagli scavi archeologici. Il terremoto più grave avvenne nell'
anno
62 o 63 d.C. e fu avvertito anche a Napoli e a Nocera, dove si verificarono alcuni danni.
Dallo studio dei prodotti dell'
eruzione del 79 d.C. osservati a Pompei e nelle altre città distrutte è
stato possibile ricostruire la dinamica e la successione dei fenomeni eruttivi tipici di un'
eruzione
pliniana. Si possono così distinguere tre fasi:
‡ La SULPDIDVH, iniziata all'
incirca alle ore 13 del 24 agosto, fu caratterizzata dall'
interazione
magma-acqua (attività freatomagmatica) con apertura del condotto vulcanico ed accompagnata da
una serie di forti esplosioni.
‡ La VHFRQGDIDVH, durata fino alle ore 8 del 25 agosto, fu caratterizzata dalla formazione di una
colonna di gas, ceneri, frammenti litici e pomici bianche e grigie alta circa 15 km al di sopra del
vulcano accompagnata da frequenti terremoti. Secondo alcuni autori la nube raggiunse
probabilmente un'
altezza di 26 km durante la fase delle pomici bianche e successivamente di 32 km
durante quella delle pomici grigie. I volumi di magma emessi nelle due fasi delle pomici, che a
Pompei formano un deposito con spessore di circa 4 m, ammontarono rispettivamente a 1 e 2.6 km3.
Durante la notte molte persone, approfittando di una stasi dell'
attività eruttiva, fecero ritorno alle
proprie case, ma nella mattinata del 25 soffrirono della ripresa dell'
attività. Si verificò, infatti, il
collasso completo della colonna eruttiva con conseguente formazione di flussi piroclastici che si
distribuirono radialmente rispetto al centro eruttivo e causarono la distruzione totale dell'
area di
Ercolano, Pompei e Stabia.
In seguito si formò una nuova grande nube eruttiva il cui collasso diede origine ad una serie di
surges piroclastici che riversandosi verso valle ad altissima velocità seppellirono tutto quanto
incontrarono lungo il loro cammino. Ercolano soffrì particolarmente durante questa fase.
‡ Nella WHU]DIDVH, durata fino alla tarda mattinata del 25 agosto, continuarono a formarsi i flussi
piroclastici mentre la grande nube raggiunse Capo Miseno.
14
Durante questa eruzione furono emessi circa 3-4 km3 di magma con una portata di circa 40 mila m3
al secondo.
Pompei ed Ercolano
3RPSHL sorge su un altopiano di formazione vulcanica, sul versante meridionale del Vesuvio, a
circa 30 metri sul livello del mare ed a breve distanza dalla foce del fiume Sarno. La popolazione
che fondò Pompei era sicuramente osca (VIII secolo a.C.), ma è dubbio se il nome stesso della città
derivi dal greco o dall'
osco.
Durante i secoli la città subì influenze e occupazioni da parte di Greci, Etruschi, Sunniti e, infine,
Romani.
Nel 62 d.C. un disastroso terremoto provocò gravissimi danni agli edifici della città; gli anni
successivi furono impiegati nell'
imponente opera di ristrutturazione,ancora in atto al momento della
fatale eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 d.C., quando Pompei fu seppellita completamente e
definitivamente da una fitta pioggia di lapilli. Una nube di letali vapori solforosi inondò la città,
penetrando ovunque e soffocando la popolazione.
Contemporaneamente, la vita fu cancellata anche nella vicina cittadina di (UFRODQR. Questa, posta
su un pianoro vulcanico che dava direttamente sul mare, fu sommersa da fango, lava, acqua e, in
genere, da flussi piroclastici che ricoprirono l’ abitato con uno strato di materiale di circa 16 metri.
)LJH: vedute delle aree archeologiche di
Pompei (sopra) ed Ercolano (sotto). Domina
minacciosa, su entrambe le città, la figura
imponente del Vesuvio.
15
Un sopralluogo presso i resti della città di Ercolano ci ha permesso di notare come ai tempi la costa
doveva essere molto più vicina di quanto non lo è ora. Nei Fornici, allora adibiti a magazzini
portuali, giacciono ancora i resti di diverse vittime umane uccisi dalle altissime temperature delle
nubi ardenti fuoriuscite dal vulcano.
I Campi Flegrei
Con il nome Campi Flegrei si indica attualmente l'
ampia zona vulcanica posta a Nord-Ovest della
città di Napoli. Quest'
area presenta la forma tipica delle strutture vulcaniche chiamate caldere e
consiste in una depressione quasi circolare punteggiata da numerosi coni vulcanici.
Non si conosce con esattezza l'
inizio dell'
attività vulcanica nei Campi Flegrei. I prodotti più antichi
sono datati fra 47.000 e 37.000 anni fa e consistono nei duomi di lava di Cuma e Punta della
Marmolite. Le perforazioni effettuate per lo scavo di pozzi geotermici hanno evidenziato in
profondità la presenza di altri prodotti derivanti da una precedente attività sub-aerea e sottomarina.
La morfologia dell'
area e lo sviluppo della sua attività eruttiva sono state condizionate da due grandi
eruzioni avvenute intorno a 34000 e 12000 anni fa. Queste eruzioni hanno lasciato vasti depositi
chiamati, rispettivamente, Ignimbrite Campana e Tufo Giallo Napoletano.
)LJ: veduta dal satellite dell’ area flegrea
L'
Ignimbrite Campana è formata dal deposito di uno o più flussi piroclastici di cenere, pomici e
scorie che hanno ricoperto un'
area di 7.000 km2. Il volume di magma emesso è stato stimato
dell'
ordine di 80 km3.
Questa affiora lungo i bordi di tutta la piana campana, con spessori variabili da 20 a 60 metri e si
trova fino in Appennino a quote di 1.000 m. Manca nella parte centrale della piana, sia per erosione,
sia perché ricoperta dai prodotti dell'
attività successiva di Campi Flegrei e Vesuvio e da terreni
alluvionali.
Il Tufo Giallo Napoletano consiste in un vasto deposito da flusso piroclastico che ha modellato la
morfologia della zona occidentale di Napoli (la collina di Posillipo, ad esempio, è formata da Tufo
Giallo Napoletano).
L'
eruzione del Tufo Giallo Napoletano è datata intorno a 12000 anni fa e i suoi prodotti sono
ampiamente distribuiti lungo il bordo della caldera e al suo interno, come rilevato dallo scavo di
16
pozzi e perforazioni per scopi geo-termici. Una stima del volume di magma emesso durante questa
eruzione è compresa fra 10 e 20 km3.
)LJ: parete di tufo nei
pressi di Posillipo
Alcuni autori ritengono che dopo l'
eruzione del Tufo Giallo Napoletano, la parte più bassa dei
Campi Flegrei sia stata invasa dal mare. L'
eruzione pone fine a ogni attività all'
esterno della caldera
(Procida, Monte di Procida, Napoli) e le eruzioni successive sono confinate all'
interno e,
frequentemente, lungo i margini della depressione calderica. Il lato a mare degli edifici vulcanici
formatisi durante questo periodo sarebbe stato eroso.
Le eruzioni avvenute fra 11.000 e 9.000 anni fa all'
interno della caldera formano una serie di
apparati monogenici, cioé formati da una sola eruzione.
Fra 10.000 e 5.000 anni fa il suolo della caldera si è sollevato. La traccia di questo evento è
costituita da un terrazzo marino, la Starza, alto circa 40 metri sopra il mare, il quale attualmente
borda la costa settentrionale del Golfo di Pozzuoli.
Il sollevamento è stato accompagnato e seguito da una rinnovata attività vulcanica i cui centri sono
leggermente spostati verso il centro della caldera.
L’ ultima eruzione che ha interessato la zona flegrea è datata 1538, e fu preceduta da un
sollevamento del suolo iniziato circa 30 anni prima e da molti considerato come fenomeno
precursore delle attività vulcaniche. Quest’ ultima fase attiva ha portato a una radicale modificazione
del luogo: dove prima vi era una vallata, si formò un monte (Monte Nuovo) che ricoprì il castello di
Trepergole e tutti gli edifici fino al lago di Averno.
Le conseguenze dell'
eruzione non furono gravissime, se non in una zona limitata. I danni sarebbero
di tutt'
altra entità con l'
attuale situazione edilizia.
Sin dal 1800, quando furono riportati alla luce una serie di resti archeologici importanti, i segni del
livello del mare lasciati sulle rovine di un mercato romano (Serapeo) a Pozzuoli, indicavano un
progressivo abbassamento dell'
area. Questi lenti movimenti del suolo sono stati chiamati
"EUDGLVLVPR", dal greco EUDGL (lento) e VLVPR (movimento). Due importanti episodi di innalzamento
che interessarono l'
area di Pozzuoli nei periodi 1970-72 e 1982-84 hanno prodotto un sollevamento
rispettivamente di 170 cm e di 182 cm nel punto di massima deformazione. Il movimento verso il
basso osservato fino al 1968 può essere connesso con la compattazione dei prodotti piroclastici che
riempiono il fondo della depressione calderica e, in questo senso, rappresentano una normale
dinamica dell'
area. Al contrario, gli improvvisi episodi di innalzamento devono essere considerati
come eventi anomali legati alla presenza di magma e ai suoi spostamenti sotto la caldera.
17
Scarsamente definibile appare l’ evoluzione futura dell’ area flegrea; i movimenti bradisismici degli
ultimi decenni potrebbero significare situazioni instabili e in modificazione per quanto riguarda le
dinamiche interne del sistema vulcanico.
Conclusioni
Dai sopralluoghi e dalle osservazioni effettuate emerge per l’ ennesima volta la difficoltà che l’ uomo
incontra nel rapportarsi con l’ ambiente. Specialmente in aree con elevato grado di instabilità e in
continua evoluzione, come appunto quello analizzato, l’ utilizzo e l’ occupazione del territorio
risultano spesso scriteriate e suscitano non pochi dubbi circa eventuali conseguenze catastrofiche in
seguito a eventi naturali probabili.
Per quanto riguarda la situazione del napoletano risulta necessaria una forte presa di conoscenza da
parte dei molti abitanti delle zone a rischio e un continuo e completo lavoro di controllo e
monitoraggio da parte delle autorità competenti.
L’ Osservatorio Vesuviano, che sorveglia costantemente 24 ore su 24 tutta l’ area vulcanica
napoletana, ha istituito una capillare rete di sorveglianza ed è oggi in grado di poter prevedere, con
buon anticipo, qualsiasi evoluzione dell’ attività del vulcano.
Nell'
area napoletana la Protezione Civile ha realizzato una mappa delle aree a maggior rischio,
divisa in tre zone principali:
D$UHD5RVVD di ~200 chilometri quadrati che potrebbero essere totalmente distrutta da colate di
fango costituite di cenere e altri materiali eruttivi (flussi piroclastici e "lahar").
E$UHD*LDOOD di ~1125 chilometri quadrati sui quali potrebbero depositarsi ceneri e lapilli in
quantità superiori al limite di sopportazione dei tetti degli edifici (i limite di rottura è compreso tra i
300 e i 500 chili per metro quadro).
F$UHD%OX di ~98 chilometri quadrati compresa all’ interno dell’ Area Gialla, la cui morfologia
rende possibili fenomeni di inondazioni e colate di fango.
)LJ: l’ area
circostante il
vulcano è stata
opportunamente
divisa in zone a
diverso grado di
rischio
Nell’ ambito del Piano di Emergenza per l’ area vesuviana sono stati definiti 8 livelli di allerta, dal
Livello 0 (background) al Livello 7.
A partire dal livello 4 scatta l’ evacuazione della Zona Rossa.
Al livello 6 (eruzione in corso) viene evacuata la Zona Gialla, infine, al livello 7 l’ eruzione viene
considerata terminata ed inizia la fase del rientro della popolazione.
18
L’ area soggetta ad alto rischio (Area Rossa) è abitata da più di 600.000 persone e comprende 18
comuni: S. Giorgio a Cremano, Boscotrecase, Portici, S. Sebastiano al Vesuvio, Pollena Trocchia,
Trecase, Terzigno, S. Anastasia, Boscoreale, Cercola, S. Giuseppe Vesuviano, Torre del Greco,
Torre Annunziata, Ercolano, Ottaviano, Pompei, Massa di Somma, Somma Vesuviana.
19