AGENDA TEATRALE 23>29 GENNAIO 2017
Teatro Eduardo De Filippo di Agropoli
Info 0974282362, 3383096807
Martedì 24 e mercoledì 25 gennaio, ore 20.45
Teatro Umberto di Nola
info 0818231622
Giovedì 26 gennaio, ore 20.45
Teatro Comunale Costantino Parravano di Caserta
info 0823444051
Da venerdì 27 a domenica 29 gennaio
(feriali ore 20.45, domenica ore 18.00)
Compagnia gli Ipocriti
presenta
Massimo Ranieri
in
Teatro del Porto
versi, prosa e musica di Raffaele Viviani
con
Ernesto Lama, Angela De Matteo , Gaia Bassi, Roberto Bani,
Mario Zinno, Ivano Schiavi, Antonio Speranza, Francesca Ciardiello
l’orchestra
pianoforte Ciro Cascino, contrabbasso Luigi Sigillo, fiati Donato Sensini,
violino Sandro Tumolillo, tromba Giuseppe Fiscale, batteria Mario Zinno
elaborazioni e ricerche musicali Pasquale Scialò
scena e costumi Lorenzo Cutuli, disegno luci Maurizio Fabretti,
coreografie Giorgio De Bortoli
regia Maurizio Scaparro
Esiste in alcuni di noi la memoria storica o il lontano ricordo di una Napoli vissuta mentre
già stava cambiando. Questa preziosa memoria è stata, per Massimo Ranieri e per me, il
primo filtro ma anche lo stimolo, dopo la felice esperienza di Viviani Varietà, per
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continuare a lavorare su un nuovo spettacolo che potesse avere come testimonianza di
questo mondo, così ricco, la figura stessa di Raffaele Viviani.
Attraverso il suo teatro (particolarmente quello degli atti unici), le sue parole, il suo canto
scenico, si privilegia, così, quel vitalissimo giacimento culturale e musicale che era la
Napoli dei quartieri, quella parallela urbana (aperta all’influenza e alle commistioni con il
teatro e il Varietà europeo) e di un altro sud che premeva sulla città.
Maurizio Scaparro
Teatro Comunale Costantino Parravano di Caserta
info 0823444051
Martedì 24 gennaio, ore 20,45
Teatro Franco Parenti
presenta
Il lavoro di vivere
di Hanoch Levin
traduzione dall’ebraico e adattamento Claudia Della Seta e Andrée Ruth Shammah
uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah
ripreso da Carlo Cecchi
con
Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto
con la collaborazione
per l’allestimento scenico di Gianmaurizio Fercioni
per le luci di Gigi Saccomandi
per i costumi di Simona Dondoni
musiche di Michele Tadini
Andrée Shammah, con la complicità di Carlo Cecchi, uno degli ultimi grandi maestri del
teatro italiano, qui protagonista insieme a Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto, confeziona
con la consueta eleganza e raffinatezza, la regia de Il lavoro di vivere di Hanoch Levin, il
più importante autore e drammaturgo israeliano.
Il teatro di Levin è irriverente: la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti, i
suoi testi sono una commistione di spiritualità nobile e cruda realtà; dalla critica alla
cultura borghese ai contrasti tra carne e spirito, “arte e culo”, perché il meschino sogna di
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stare sotto il riflesso della luce della felicità altrui. Così avviene anche per Il lavoro di
vivere, una storia d’amore fra due persone di mezza età, in cui l’amore appare a barlumi
folgoranti, in mezzo a un mare di insulti, parole durissime e rimpianti. Lo spettatore ride di
gusto, senza accorgersi che sta ridendo di se stesso.
Cinema Teatro Italia di Eboli
Info 0828365333
Mercoledì 25 gennaio, ore 20.30
Teatro Verdi di Salerno
info 089662141
Da giovedì 26 a domenica 29 gennaio
(feriali ore 21,00 - festivi ore 18,30)
I Due della Città del Sole
presenta
Luigi De Filippo
in
Natale in casa Cupiello
di Eduardo De Filippo
regia Luigi De Filippo
Il 21 dicembre 1931 va in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli questa bella
commedia di Eduardo, una delle più note e più riuscite.
All’inizio è un atto unico, il secondo, poi Eduardo con gli anni aggiungerà gli altri due, il
primo e il terzo, sentendo il bisogno di far conoscere meglio i suoi personaggi. E l’opera
ora è davvero completa.
La Compagnia dei fratelli De Filippo si chiamerà del “teatro umoristico” perché attraverso
l’umorismo racconta sulla scena la commedia umana, divertendo, ma facendo anche
riflettere: E questo vale anche per questa commedia.
Natale in casa Cupiello è la vicenda di un povero uomo considerato quasi un bambino
soprattutto quando si avvicina il Natale e si riaccende la sua grande passione per il
Presepe. In quella occasione si svela anche l’eterno dissidio fra anziani e giovani, con la
continua ripetuta domanda di Luca Cupiello al figlio “Nennì, te piace ò Presebbio?” e la
risposta ostinata e dispettosa del figlio “non mi piace, non mi piace”: eterno contrasto in
famiglia che si cela dietro un pranzo natalizio.
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In questa edizione protagonista e regista dello spettacolo è Luigi De Filippo, figlio di
Peppino e nipote di Eduardo, degno erede di una famiglia che fa Teatro con grande
successo da tre generazioni.
Breve sinossi
Luca Cupiello, come ogni Natale, prepara il presepe, fra il disinteresse della moglie
Concetta e del figlio Tommasino. Ci sono poi i continui litigi tra il fratello Pasqualino e
Tommasino, entrambi con il tic del furto. Ninuccia, l’altra figlia, ha deciso di lasciare il
marito Nicolino per l’amante Vittorio, e di scrivere una lettera d’addio; Concetta, disperata,
riesce a farsela consegnare. La missiva capita però nelle mani di Luca che, ignaro di tutto,
la consegna al genero, che viene così a sapere del tradimento della moglie. Durante il
pranzo della vigilia di Natale, i due rivali, trovatisi di fronte per la sbadataggine di Luca, si
scontrano violentemente. Nicolino abbandona Ninuccia e Luca, resosi improvvisamente
conto della situazione, cade in uno stato d’incoscienza. Nel delirio finale, Luca scambia
Vittorio per Nicolino e fa riconciliare involontariamente i due amanti; e Tommasino gli dirà
finalmente che il presepe gli piace.
Teatro Roma di Portici
info 081472662
Mercoledì 25 gennaio, ore 20.45
Teatro Ricciardi di Capua
Info 0823963874
Giovedì 26 gennaio, ore 21.00
Teatro Di Costanzo Mattiello di Pompei
Info 0818577725 – 3337361628
Da venerdì 27 a domenica 29 gennaio
(feriali ore 20.30, festivi ore 18.15)
Albertina Production
presenta
Gino Rivieccio in
Io e Napoli
recital scritto da Gino Rivieccio
con la partecipazione
della cantante Fiorenza Calogero e il maestro Antonello Cascone
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regia Giancarlo Drillo
Gino Rivieccio ripercorre, in questo personalissimo recital, la sua storia umana e artistica,
attraverso quel legame viscerale e particolare, che ha sempre contraddistinto il suo
rapporto con la città di Napoli.
E’ considerato fra i personaggi storici della comicità partenopea degli ultimi decenni, che
ha saputo caratterizzare il suo percorso artistico sia in teatro sia in televisione. Capace di
creare una comicità elegante e mai volgare, è definito come un vero e proprio gentleman
della risata.
Io e Napoli rappresenta un grande abbraccio, che dalla città arriva alle isole e alle solfatare
del sorriso, rendendo unica e preziosa la celebrazione, ma, spesso, anche la denuncia.
L’ironia e la riflessione si fondono in un percorso originale, lasciando spazio, talvolta, alla
poesia, in un succedersi dialettico e incalzante, con quel tono caldo e sferzante tipici del
comico partenopeo.
In questo spettacolo Rivieccio racconta Napoli, a suo modo, con i suoi pregi e i suoi difetti,
ma con gli occhi un innamorato, per cui sono, quasi sempre, i pregi a prevalere. In primo
piano ci sono le attese dei napoletani, abituati ad aspettare qualcuno o qualcosa,
mostrando una pazienza enorme. La pazienza, grande pregio, può diventare, alla lunga,
un difetto. Per questa ragione lo spettacolo esorta i partenopei a reagire, a ribellarsi alle
ingiustizie, ai soprusi, alle discriminazioni di cui spesso sono vittime.
“La novità di questo spettacolo - spiega Gino Rivieccio - è rappresentata dalla presenza in
scena di Antonello Cascone, al piano, e Fiorenza Calogero, una delle voci più interessanti
del panorama musicale. Con Fiorenza mi alternerò in alcuni momenti canori, in particolare
con un brano scritto per me da Bruno Lanza e Leonardo Barbareschi, Questa Napoli.”.
Io e Napoli vuole essere un piacevole viaggio tra monologhi, personaggi, tradizioni,
aneddoti e canzoni, per decantare la grande pazienza dei napoletani, destinati sempre ad
aspettare qualcosa o qualcuno, per migliorare la propria condizione. Alla fine il messaggio
apparirà molto chiaro: provare a cambiare una realtà che offusca lo splendore di una delle
città e delle regioni più belle del mondo.
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Teatro Magic Vision di Casalnuovo
Info 0818030270, 3292180679
Venerdì 27 gennaio, ore 20.45
Teatro Comunale di Lacedonia
info 3346632836 - 3337448095
Sabato 28 gennaio, ore 20.45
Modus Art
diretta da Nunzio Areni
presenta
Peppe Barra
in
La Cantata dei Pastori
Opera in due atti di Peppe Barra e Paolo Memoli.
liberamente ispirata all’Opera Teatrale Sacra di Andrea Perrucci
personaggi e interpreti
Razzullo, Peppe Barra
Sarchiapone, Salvatore Misticone
Demonio, Giacinto Palmarini
Diavolo Oste/Cidonio, Patrizio Trampetti
Zingara/Gabriello, Maria Letizia Gorga
Ruscellio, Fabio Fiorillo
Armenzio, Francesco Viglietti
Giuseppe, Andrea Carotenuto
Maria Vergine, Chiara Di Girolamo
Diavolo mangiafuoco, Ciro Di Matteo
e
Benino, il piccolo Giuseppe De Rosa
musiche Carmelo Columbro, Lino Cannavacciuolo
La Canzone di Razzullo è di Roberto de Simone
Orchestra Modus Art
direttore Carmelo Columbro
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scene Tonino di Ronza, costumi Annalisa Giacci, coreografie Erminia Sticchi
Il Balletto della Cantata, Le furie
8 danzatori
assistenti alla regia Francesco Esposito, Gennaro Monti
regia Peppe Barra
Non c’è Natale senza La Cantata dei Pastori e da quarant’anni a questa parte non
c’è Cantata senza Peppe Barra. La Cantata dei Pastori ha un titolo lunghissimo e barocco,
ma è universalmente nota con l’abbreviazione d’uso. Fu scritta alla fine del Seicento
(1698) da Andrea Perrucci e da allora, da più di tre secoli, è continuamente rappresentata,
rimaneggiata, riscritta.
Ultimo e più illustre di tutti è Peppe Barra, che aveva già interpretato l’opera a fianco della
madre Concetta, nel ruolo di un irresistibile Sarchiapone, dopo essere stata l’Angelo nella
versione di Roberto De Simone alla fine degli anni Settanta.
La Cantata dei Pastori è la storia delle traversie di Giuseppe e Maria per giungere al
censimento di Betlemme. Nel difficile viaggio vengono accompagnati da due figure
popolari napoletane, Razzullo, scrivano napoletano assoldato per il censimento, e
Sarchiapone, ‘barbiere pazzo e omicida’, maschera ispirata quasi direttamente dalla
tradizione popolare dei Pulcinella e antesignano di Felice Sciosciammocca.
Sarchiapone è la dimostrazione delle varie sovrapposizioni e aggiunte delle tradizioni delle
Cantate. Il personaggio di Sarchiapone non esisteva infatti nella versione originale di
Perrucci, fu introdotto per rendere meno paludata la rappresentazione, per adattarla al
gusto del pubblico e via, via, si è andato ritagliando un ruolo sempre più importante.
Anche nella tradizione iconografica del presepe i personaggi hanno un nome e un ruolo sia
perché Andrea Perrucci lo ha scritto e sia perché tre secoli di rappresentazioni lo hanno
trascritto e rappresentato.
Il presepe popolare napoletano è direttamente influenzato dalla Cantata dei pastori che
mescola il suo narrare con quello dei vangeli apocrifi e con altre tradizioni popolari del sud,
a metà strada tra il cristiano, il pagano, il magico. Molti sono gli ostacoli che Giuseppe e
Maria dovranno superare prima di trovare rifugio nella grotta della Natività. Ed è
naturalmente conseguente il lieto fine, la salvazione dell’umanità dal peccato e il ritorno di
Belfegor, sconfitto, nel suo mondo infero di fiamme e zolfo.
Fino all’anno prossimo, quando anche lui, vecchio diavolaccio impunito, potrà tornare a
raccontarci la storia infinita della lotta millenaria tra bene e male Insomma, un grande
archetipo.
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La cantata dei pastori
Nel racconto del Natale, secondo il Vangelo di Luca, si narra che i primi a ricevere la lieta
novella e ad accorrere alla mangiatoia, per adorare il Bambino, furono i pastori. Questa
grande visione fu l'inizio di una trasformazione senza precedenti nel rapporto tra il divino e
l'umano, giacché Dio si era fatto uomo, presentandosi, tra l'altro, umile fra gli umili; ciò ha
creato un sentimento di felice ed intensa condivisione nell'ambito del Cristianesimo, e la
ricerca per i fedeli di un'attiva partecipazione che, spesso, specie nell'ambito popolare, ha
lasciato ampie tracce.
Vista la sacralità del tema, la nascita del Bambino ha prodotto numerose visioni diffuse in
tutto il mondo cristiano, attraverso rituali sacri, forme liturgiche e paraliturgiche,
alimentando infine anche una vasta produzione letteraria, artistica e musicale, connessa al
tema del Natale.
A Napoli, e nel territorio campano, in generale, tale tematica ha visto uno sviluppo ed un
approfondimento singolare nonché continuativo, che si é sedimentato nel corso dei secoli
mostrando una vocazione fortemente teatrale che, percorrendo un cammino trasversale,
ha infine accomunato le diverse classi sociali.
Ricordiamo come anche il culto del presepe abbia goduto di molta popolarità nella città
partenopea, qui le istituzioni francescane, che per volontà del loro fondatore per prime lo
avevano praticato, trovarono terreno fertile grazie anche alla fattiva propaganda che, nel
corso dei successivi secoli, ne fecero illustri personaggi quali Gaetano Tiene, Ludovico da
Casoria, Padre Gregorio Rocco.
I migliori artisti vennero impegnati per dar vita alle celebri statuine, realizzate con grandi
minuzie e particolari. Il 18° sec., oltre a veder crescere quest'arte fino ai massimi livelli,
vede anche sostenere questo tema dai cultori di musica e di poesia: nacquero infatti i
primi sermoni natalizi e molto si diffusero le musiche di Novene e Pastorali.
L'importanza della musica in questa festività viene ad essere per altro sottolineata dalle
immagini musicali inserite proprio nei presepi. Non solo zampognari, figure indispensabili
per la ricostruzione ambientale di questa scena sacra, ma ecco apparire particolari
tipicizzazioni locali: concerti di chitarre e mandolini, la banda militare turca, o musici in
atteggiamenti più mondani posti d'avanti alla taverna a rappresentare simboli pagani e vizi
terreni.
Tutto ciò a ragione del peso che la musica aveva nella società e nella cultura napoletana,
ma anche del realismo presepiale, eco di quella partecipazione di fede concreta che
richiedeva una totale immedesimazione ed una partecipazione immediata, fino ad inserire
realistiche scene di vita quotidiane, simboli del proprio tempo.
In questo variegato panorama dal sentire fortemente rappresentativo, prende corpo,
cresce e si attesta la tradizione della così detta "Cantata dei Pastori". Testo teatrale di fine
Seicento (1698) di Andrea Perrucci (firmato in realtà con lo pseudomino di Casimiro
Ruggiero Ogone) intitolato "Il Vero Lume tra l'Ombre", vera e propria sacra
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rappresentazione capace di unificare la visione colta e popolare del Natale secondo un
modello ideale comune e collettivo.
La storia è imperniata sulle vicende di Giuseppe e Maria che affrontano un viaggio lungo e
pieno di traversie, per poter giungere al censimento di Betlemme, voluto per ordine
dell'imperatore. i diavoli cospirano contro la santa coppia, le forze del bene e del male si
contrastano capeggiate l'una dall'Arcangelo Gabriele e l'altra dal demonio Belfegor ma alla
fine il bene trionferà, con la nascita del Bambino, e la luce si imporrà sulle tenebre.
Coinvolti e partecipi in questi eventi lo scrivano napoletano Razzullo, cui si affianca, in una
versione più tardiva rispetto all'originale, il barbiere omicida Sarchiapone. Anime popolari,
testimoni e protagonisti di notevole peso drammaturgico, necessari, con la loro carica di
umanità e di comicità, ad avvicinare ancor più il pubblico alla sacra vicenda.
Il Perrucci, figlio del suo tempo, muove i passi dal teatro devozionale morale Gesuitico;
del resto, nell'età barocca assistiamo ad una vasta produzione di questi drammi, promossi
e composti per conto dei vari ordini religiosi e degli stessi conservatori napoletani.
Drammi di argomento sacro, dai soggetti diversi, ma spesso costruiti con i medesimi
ingredienti, mescolando il sacro al profano, in maniera perorativa e talvolta didascalica, al
fine di promuovere la fede, di giungere al cuore del popolo utilizzando il suo stesso
linguaggio, nonché personaggi popolari tratti dalle maschere della Commedia dell'Arte o
del Carnevale napoletano.
Ma a differenza dei tanti episodi del genere il dato interessante resta nel perdurare nel
corso dei secoli della sola Cantata dei Pastori. Drammi e Commedie sacre avevano trovato
il loro ideale spazio cronologico nell'età barocca, e perfino quelli scritti in onore del grande
Patrono San Gennaro, ad un certo punto scompaiono dalla scena, secondando il mutato
sentire dei tempi, ma non la nostra Cantata!
Lecito ipotizzare, a questo punto, che le ragioni di un così duraturo successo siano
ascrivibili certo al tema natalizio, ma anche e soprattutto alla validità dell'opera ed alla sua
intrinseca capacità di potersi adattare a diversi e continui aggiornamenti.
Infatti non trascurabile appare l'impostazione drammaturgica data dal Perrucci che nella
sua ideale commistione, tra sacro e profano, colto e popolare ben si presta ad aprirsi a
continue riletture. La Cantata presenta una struttura, potremmo dire, poco libresca, con
una narrazione atta a dar spazio alla creatività teatrale e musicale, e dunque già
predisposta per aggiungere, estrapolare o cambiare parti, sino a divenire un magnifico
canovaccio arricchito con i mezzi del presente.
In tal modo la sua funzione teatrale raggiunge le vette più alte, divenendo specchio della
società che in essa, di volta in volta, si contempla.
Parimenti accade con la musica, ingrediente saliente per questa rappresentazione, ben
prevista sin dalla sua origine, dapprima solo per il Prologo, ma via via sempre più presente
con brani assegnati ai vari personaggi.
Rimanendo su questo dettato già previsto dall'antica tradizione, la cantata dei pastori che
oggi riproponiamo si arricchisce con nuove visioni musicali assumendo l'originale struttura
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di un'opera lirica, sostenuta da un ampio organico che prevede solisti (gli stessi attori),
orchestra e coro.
Lasciando inalterato l'impianto testuale con le forme prosodiche utili all'avanzamento della
narrazione, le parti musicali: Arie, Duetti, Terzetti, brani corali e Concertati verranno
predisposti al fine di enfatizzare e sottolineare le drammatizzazioni sceniche e letterarie. In
tal modo le suggestioni di una vicenda sacra, che tanta influenza e ispirazione ha sortito
sulla storia della musica, verranno evidenziate, riannodando i fili della nostra memoria
musicale, con un racconto sonoro che si dipana presentando brani, colti e popolari, antichi
e contemporanei con musiche originali, visti secondo il nostro sentire odierno in una
lettura che ancor oggi consacra la bellezza di una storia intramontabile.
Teatro Carlo Gesualdo di Avellino
info 0825771620
Sabato 28, ore 21.00, e domenica 29 gennaio, ore 18.30
Teatro Cilea Napoli Srl
in collaborazione con Pragma Srl
presentano
Biagio Izzo
in
BELLO DI PAPÀ
di Vincenzo Salemme
con
Mario Porfito, Domenico Aria, Adele Pandolfi, Yuliya Mayarchuck,
Rosa Miranda, Arduino Speranza, Luana Pantaleo
scene Alessandro Chiti, costumi Francesca Romana Scudiero
disegno luci Gigi Ascione, musiche Antonio Boccia
aiuto Regia Antonio Guerriero
regia Vincenzo Salemme
Supervisione Artistica Teatro Cilea Napoli Srl
Bello di papà è una commedia del 2006. Credo che l’idea mi sia venuta quando in tutto il
mondo occidentale arrivavano i primi segnali della crisi economica, che ancora oggi
fatichiamo a superare.
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Dico forse perché, col senno di poi, mi sembra che Antonio Mecca, il dentista protagonista
della commedia, possa rappresentare, ovviamente in versione decisamente comica, il
travaglio sociale, economico e psicologico di una gran parte della cosidetta generazione
dei cinquantenni, che dall’inizio di questo millennio viene messa in discussione ogni volta
che la politica si deve occupare delle programmazioni finanziarie.
Antonio Mecca è il classico uomo che ha raggiunto una posizione sociale, ma che allo
stesso tempo la sente, questa posizione, vacillare sotto i colpi del cosidetto “Nuovo che
avanza”.
E il “nuovo che avanza” per quella generazione cui facevo riferimento poco più sopra, sono
appunto i giovani che vogliono prendere i posti di comando.
Antonio ha paura di ogni novità, è un vero conservatore, conservatore di danaro, ma
soprattutto conservatore di affetti. Profondamente sarebbe un buono, ma costantemente
ha paura di essere fregato, è forse per questo che non si è mai sposato.
E’ forse per questo che adesso sta con una bellissima ragazza ucraina, che gli piace da
morire, ma, allo stesso tempo, teme come un ingombrante invasore.
Invasore della casa e soprattutto del conto corrente perché Marina, l’ucraina, vorrebbe
costruire una famiglia con Antonio, e vorrebbe, soprattutto, (questa la cosa più terrificante
e spaventevole per il nostro dentista) dei figli.
Antonio teme i figli più di ogni altra cosa, perché i bambini sono di un egoismo assoluto e
lui, egoista per paura, questo proprio non può accettarlo.
E’ così che nasce l’idea di questa commedia, da questo paradosso: un uomo che non vuole
avere figli, costretto a ricevere in casa un suo coetaneo che ha bisogno di ritornare ad
essere un figlio.
Nel paradosso di questo scontro generazionale tra due uomini della stessa età, forse, si
nasconde quello che io credo sia un finto problema. Penso che l’età ci distingua gli uni
dagli altri, ma altrettanto fermamente credo che dal punto di vista sociale l’età sia soltanto
una convenzione.
Credo che dividere i cittadini tra giovani ed anziani sia un vecchio modo di intendere la
politica. Penso che esistano, piuttosto, le persone e che ogni persona abbia il diritto e il
dovere di salvaguardare il proprio benessere sociale e spirituale.
Vincenzo Salemme
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