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Società di capitali
Il “trust” socio di società
di persone?
di Daniele Muritano
Traendo spunto da una fattispecie concreta, si esaminano brevemente i problemi pratici scaturenti dalla partecipazione di un “trust” a una società di persone, con particolare riguardo alle ricadute sul piano della pubblicità e della responsabilità per le obbligazioni sociali.
Il presente contributo trae spunto da un caso pratico, avente a oggetto la compravendita di un bene
immobile di proprietà di una società in accomandita semplice della quale socio accomandatario è un
“trust” (interno) regolato dalla legge inglese.
Il problema, concernente la compatibilità con l’ordinamento italiano di un trust (interno) che - in
quanto tale - riveste la qualifica di socio di società di
persone, appare di semplice soluzione e deve ricevere risposta negativa, alla luce dell’esame delle fonti
(dottrinali e giurisprudenziali) che orientano pacificamente verso la negazione della soggettività (civilistica) al trust (1).
Il trust, si ritiene, è una semplice “obbligazione” che
il trustee deve adempiere a beneficio di terzi (i beneficiari) (2). I beni in trust appartengono al trustee
e pertanto un ipotetico trasferimento di beni al
“Trust XY” dovrebbe essere, dal punto di vista dello
stretto diritto, considerato radicalmente nullo. Si
tratterebbe di un trasferimento effettuato in favore
di ... nessuno (3).
Tale richiamo parrebbe sufficiente a escludere che il
“trust” possa rivestire la qualifica di socio di società
di persone.
Socio sarà, invece, il trustee. E, salve eventuali limitazioni risultanti dall’atto istitutivo di trust, non si
vedono ostacoli a che egli divenga socio accomandatario o accomandante di una società in accomandita semplice ovvero di una società in nome collettivo o, ancora, di una società semplice, acquisendo
la relativa quota (4).
Occorre tuttavia interrogarsi in merito alla sorte
dell’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese
dell’acquisto della quota effettuata in favore del
“trust”, che, va notato subito, si pone in controtendenza rispetto alla più diffusa prassi professionale.
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Da anni, infatti, la pubblicità, sia nel registro delle
imprese sia nei registri immobiliari, viene sempre
eseguita “a favore” del trustee, essendo costui il proprietario dei beni in trust (5).
È pur vero, però, che dall’art. 12 della Convenzione
de L’Aja sembrerebbe potersi ricavare la facoltà di
eseguire la pubblicità a favore del trust, in quanto
detta norma stabilisce che il trustee può richiedere
Note:
(1) Com’è noto, invece, l’ordinamento italiano prevede la soggettività tributaria del trust nell’art. 73 del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi). Ma si tratta,
come riconosciuto da tutta la dottrina tributaristica, di una semplificazione volta a risolvere esigenze pratiche, senza ricadute di
alcun genere sul piano civilistico (cfr. Tassani, Osservazioni sulla
disciplina fiscale del trust nell’imposizione diretta (alla luce della
Finanziaria 2007), in Trusts, 2008, 434; Lupoi, L’Agenzia delle
Entrate e i principi sulla fiscalità dei trust, in Trusts, 2007, 497.
(2) Ex multis, Underhill-Hayton, Law relating to Trusts and Trustees, Londra-Dublino-Edimburgo, 2003, 36. Per la dottrina italiana cfr. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti
fiduciari, Padova, 2011, 10.
(3) Underhill-Hayton, cit., 36, chiariscono che un siffatto trasferimento potrebbe essere interpretato dal giudice come effettuato in favore del trustee, citando a tal proposito il caso Choitram
International SA v. Pagarani (2001), 1 WLR, la cui lettura conferma, appunto, che il trust non è qualificabile come soggetto giuridico. Per la giurisprudenza italiana cfr. Trib. Voghera 23 febbraio 2010, in Trusts, 2010, 278, che ha dichiarato nullo un atto di
precetto che individuava quale debitore “il trust V. in persona del
suo trustee”.
(4) Sul delicato e complesso profilo della responsabilità per le
obbligazioni sociali vedi oltre nel testo.
(5) Numerosi esempi di note di trascrizione nei registri immobiliari e di iscrizioni nel registro delle imprese sono reperibili nella rivista Trust e attività fiduciarie, edita da Ipsoa. Si ha notizia, tuttavia, del recente diffondersi di una diversa prassi, per cui la trascrizione nei registri immobiliari viene eseguita a favore del trust
e non a favore del trustee. Tale soluzione desta perplessità, per
le ragioni sinteticamente esposte oltre nel testo. In giurisprudenza, favorevole a detta modalità pubblicitaria è Trib. Torino 10 febbraio 2011, decr., in Notariato, 2011, 408, con nota di Stefani.
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la “registrazione”, oltre che “as trustee” cioè “nella
sua qualità di trustee”, anche “in such other way that
the existence of trust is disclosed”, cioè “in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust”.
Da qui la conclusione secondo cui poiché la pubblicità a favore del trust è uno degli “altri modi” che ne
rivela l’esistenza, essa dovrebbe ritenersi ammissibile (6).
Lo stesso art. 12 Conv., tuttavia, fa salve le norme
dell’ordinamento interno, ed esclude la possibilità
di “registrare” il trust qualora ciò sia da tale ordinamento vietato o sia con esso incompatibile (“inconsistent”, recita il testo inglese della Convenzione,
cioè non conforme ai principi).
Il problema è allora capire se, visto che non esistono
norme interne che espressamente vietano la pubblicità a favore del trust, detta modalità pubblicitaria
sia incompatibile con l’ordinamento interno per
violazione di più generali principi (7).
Negare l’esecuzione della pubblicità a favore del
trust argomentando dalla considerazione che il trustee (e non il trust) è proprietario potrebbe sembrare semplicistico e non tenere conto delle particolari
caratteristiche dell’istituto.
Nel trust, infatti, il collegamento tra patrimonio affidato e soggetto titolare di esso (il trustee) assume
caratteristiche peculiari. Ciò che rileva è infatti
l’elemento dinamico della gestione e il rapporto di
titolarità con il soggetto gestore assume un rilievo
meramente strumentale, tanto è vero che anche da
parte dei giuristi inglesi il trustee è visto come titolare di un “ufficio” (8).
Si potrebbe quindi ipotizzare un’iscrizione in cui il
“nome del trust” svolga esclusivamente una funzione “identificativa” del patrimonio affidato, senza
con ciò voler giungere a costruire una soggettività
che è estranea alla ricostruzione civilistica dell’istituto (9).
Serie obiezioni a tale ricostruzione emergono dall’analisi della recente giurisprudenza di legittimità
(10), secondo cui in caso di acquisto immobiliare da
parte di un fondo comune d’investimento, l’immobile deve essere intestato alla società di gestione del
fondo e non al fondo “soggettivizzato”.
Questa sentenza sembra porsi quale punto fermo anche con riferimento al trust.
Non può negarsi, infatti, che in materia di fondi comuni di investimento il retroterra culturale che
condusse all’emanazione della prima legge di disciplina (11) nonché di quelle successive, è quello anglosassone, in cui il fondo comune di investimento
assume la forma del contractual investment trust.
Il nostro ordinamento è invece tradizionalmente le-
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gato al soggetto come punto di riferimento delle situazioni giuridiche proprietarie e all’idea di proprietà come diritto di utilizzare i beni nell’interesse proNote:
(6) Favorevole all’esecuzione della pubblicità immobiliare in favore del “trust” e non del “trustee”, ma sulla base di un diverso
percorso interpretativo, Parisi, Un caso di “manutenzione” del
trust: la sostituzione del trustee, in Trusts, 2010, 438.
(7) È opportuno segnalare che, in materia di fondi immobiliari costituiti ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 662, anche dopo l’entrata in vigore del testo Unico della Finanza (D.Lgs. 24
febbraio 1998, n. 58) il Consiglio di Stato, nel noto parere dell’11
maggio 1999 (in Foro amm., 2000, 2225 ss.), ha affermato la
soggettività di diritto del fondo, ritenendo che la titolarità dei beni facenti parte dei fondi spetti agli stessi quali centri autonomi
d’interessi, in base ai peculiari caratteri ad essi espressamente
attribuiti dalle norme di legge, salve le necessarie “annotazioni”
riguardanti il vincolo gestorio esistente, anch’esso fissato in modo espresso dalla normativa vigente in materia. Ciò dovrebbe
condurre a trascrivere, nell’ipotesi di costituzione di fondi immobiliari da parte di società di gestione del risparmio, direttamente
“a favore del fondo” e non a favore della società, cui in realtà i
beni appartengono, sebbene affetti da un vincolo di destinazione
che li rende “separati” dal suo residuo patrimonio. Laddove invece si dovesse accedere alla tesi, che pare più corretta, della
trascrizione a favore della società di gestione del risparmio cui
appartengono i beni, si riproporrebbe il problema, trattato nel testo, della necessità o meno, ai fini dell’opponibilità ai terzi del
vincolo gestorio, dell’ulteriore trascrizione “contro” la società
stessa.
(8) Underhill-Hayton, cit., 37. In giurisprudenza cfr. Cass. 13 giugno 2008, n. 16022, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 81, con
nota di Martone (Il trust nella crisi coniugale come ufficio privato) e in Corr. giur., 2009, 216, con nota di Galluzzo (Destinazione
negoziale e sostituzione dell’attuatore dello scopo: il destino del
trust fund in caso di rimozione del trustee infedele). Sulla sentenza, da diversa prospettiva d’indagine, cfr. anche Penasa, Giurisdizione volontaria o contenziosa per una domanda di rimozione dall’incarico di trustee retta dalla legge inglese?, in Int’Lis,
2009, 143.
(9) Occorre rilevare, tuttavia, che il ragionamento svolto nel testo
ha come termine di riferimento il modello inglese di trust, che
non è considerato una legal entity alla stessa stregua delle companies. Ed è per tale ragione che, in diritto inglese, il trustee è
personalmente responsabile delle obbligazioni contratte in tale
qualità (ma con il diritto a rivalersi sul trust fund), anche se abbia
dichiarato di agire in tale qualità. Diversamente dal diritto inglese, invece, il modello c.d. internazionale di trust limita la responsabilità del trustee al trust fund quando egli abbia dichiarato di
agire in tale qualità [v. ad esempio l’art. 32 della Trusts (Jersey)
Law 1984] e quindi parrebbe orientare maggiormente verso una
sorta di soggettivizzazione del trust stesso, del quale il trustee
sarebbe una sorta di “legale rappresentante”.
(10) Cass. 15 luglio 2010, n. 16.605 (est. Rordorf), in Società,
2011, 46, con nota di Brutti; in Contratti, 2011, 27, con nota di
Lamorgese; in Banca, borsa, tit. cred., 2011, II, 417, con note di
Lemma e di Silveri; in Giur. it., 2011, 7, 1550, con nota di Rizzuti. A tale sentenza può aggiungersi, nell’ambito della giurisprudenza di merito, Trib. Rovigo, sez. dist. di Adria, 21 ottobre 2010,
ord., in Società, 2011, 1057, con nota di Sansone. L’ordinanza afferma che «Le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione della società di gestione di un fondo comune di investimento immobiliare hanno quale foro territorialmente e funzionalmente competente il tribunale del luogo dove la società di gestione ha la sede legale.».
(11) L. 23 marzo 1983, n. 77 (poi abrogata dall’art. 214, lett. x) del
D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).
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prio e non nell’interesse altrui, e ciò ha condotto al
diffondersi, almeno all’inizio, di teoriche volte ad
individuare, in materia di fondi comuni di investimento, alternativamente, di comproprietà tra gli investitori in proporzione alle somme versate (12), di
proprietà collettiva (13), di mandato a gestire in favore della società di gestione (14), di comunione
(15), di proprietà fiduciaria dei beni da parte della
società di gestione (16), di associazione atipica con
scopo di lucro (17), di fondazione (18), di associazione in partecipazione con attribuzione alla società
di gestione della qualifica di associante (19) ovvero
- sia pure dubitativamente - di nuovo soggetto (20)
titolare di un patrimonio di destinazione composto
dalle somme versate dagli investitori e che li gestisce
sulla base del regolamento.
Queste tesi erano probabilmente condizionate dalla
visione dell’art. 2740 c.c. come norma derogabile
solo in virtù di un’espressa disposizione legislativa e
quindi la più fondata tesi, fatta propria oggi dalla
Corte di Cassazione, che ricostruiva la titolarità del
fondo in capo alla società di gestione, sebbene affetto da un vincolo di destinazione e separato dal rimanente patrimonio della società (cioè in modo analogo alla proprietà del trustee del trust), veniva considerata quasi eversiva rispetto ai principi generali
dell’ordinamento, nonostante già nel codice civile
vi fossero ipotesi di proprietà affette da un vincolo di
destinazione, molto simili alla proprietà del trustee,
quali il fondo patrimoniale e la proprietà del mandatario senza rappresentanza.
Giustamente la sentenza richiama anche altre ipotesi in cui parte del patrimonio di un soggetto è destinato a un particolare scopo e che, proprio per tale
ragione, viene sottratta al regime generale dell’art.
2740 c.c., segnatamente le fattispecie di cui agli art.
2447-bis ss., c.c. e all’art. 3, comma 2 della L. 30
aprile 1999, n. 130 in materia di cartolarizzazione
dei crediti (21) e precisa che in tutte tali situazioni
non si dubita che il patrimonio separato (o destinato) è pur sempre da ricondurre alla titolarità del soggetto (persona fisica o giuridica che sia) dal quale esso promana, ancorché occorra tenerlo distinto dal
resto del patrimonio di quel medesimo soggetto o da
eventuali altri segmenti patrimoniali ugualmente
sottoposti ad analogo regime di separazione (22). E
aggiunge che ogni attività negoziale o processuale
posta in essere nell’interesse del patrimonio separato non può che essere espletata in nome del soggetto che di esso è titolare, pur se con l’obbligo di imputarne gli effetti a quello specifico ben distinto patrimonio.
La conclusione della sentenza è molto netta (par.
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2.1): il fondo comune di investimento non costituisce soggetto di diritto a sé stante.
Conclusione quest’ultima che si fonda, a tacer d’altro (23), anche sulla circostanza, comune al trust,
dell’assenza di una struttura organizzativa minima,
avente rilevanza esterna quale ad esempio si riscontra nelle associazioni e nelle società di persone.
Il rapporto tra società di gestione e fondo comune di
investimento, così come ricostruito dalla sentenza,
viene quindi a coincidere con quello esistente tra
trustee e trust fund (24).
Note:
(12) Corrado, L’investment trust nell’ordinamento italiano, in
Banca, borsa, tit. cred., 1963, I, 383.
(13) Ferrara jr.-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1992.
(14) Ascarelli, I fondi comuni di investimento, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 16, Torino, 1985, 742.
(15) Visentini, Riflessioni in tema di fondi comuni di investimento con riferimento al disegno di legge governativo, in Riv. soc.,
1969, 1197.
(16) Castellano, Qualificazione giuridica dei fondi, in Aa.Vv., L’istituzione dei fondi comuni di investimento, Milano, 1970, 95.
(17) Nigro, I fondi comuni di investimento mobiliare, struttura e
natura giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1617.
(18) Costi, La struttura dei fondi comuni di investimento mobiliare nell’ordinamento giuridico italiano e nello schema di riforma
delle società commerciali, in Riv. soc., 1968, 319.
(19) Perletti, in Aa.Vv., L’investment trust nelle esperienze e nei
progetti europei, Padova, 1967, 120.
(20) Costi, cit., 242
(21) Cui può aggiungersi, direi, anche l’atto di destinazione di cui
all’art. 2645-ter, c.c.
(22) E il caso, ad esempio, di un soggetto (persona fisica o giuridica), che si trovi a essere trustee di più trust, o di una società
per azioni che abbia istituito più patrimoni destinati.
(23) La sentenza, oltre a ritenere infondate le varie ricostruzioni
proposte in dottrina nel corso del tempo, e di cui si è già dato
conto, critica anche il parere del Consiglio di Stato (Cons. Stato
11 maggio 1999, in Foro amm., 2000, 2225 ss.), emanato in relazione alle operazioni di dismissione dei beni immobili pubblici
ai sensi della L. n. 662/1996, secondo cui la titolarità dei beni facenti parte dei fondi spetta agli stessi fondi quali centri autonomi d’interessi, affermando che non esistono nel tessuto normativo - con riferimento ai fondi comuni di investimento - elementi
significativi in tal senso.
(24) Ulteriore argomento che testimonia l’affinità tra le due figure risiede nella qualificazione della posizione giuridica dei
partecipanti al fondo, che secondo la sentenza è riconducibile,
al diritto di credito, richiamando sul punto, Cass. 14 luglio
2003, n. 10990, in Mass. Giur. it., 2003, secondo cui «La partecipazione ad un fondo comune di investimento, in mancanza
di un certificato individuale, autonomo e separato, costituisce
un credito e non un titolo di credito nei confronti del fondo
stesso, giacché il certificato cumulativo non incorpora il diritto
alla prestazione, né può circolare limitatamente ad uno dei soggetti partecipanti al fondo, e l’investitore acquisisce soltanto
un diritto di credito, rappresentato dall’obbligo della società di
investimento di gestire il fondo e di restituirgli il valore delle
quote di partecipazione; pertanto, deve ritenersi legittimo il pegno costituito sulla quota di partecipazione al fondo secondo la
(segue)
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Non può farsi a meno di rilevare, peraltro, che ammettendo la pubblicità a favore del trust, emergerebbero altri e delicati problemi, primo fra tutti quello
della verifica della legittimazione a disporre, data
l’assenza di un regime pubblicitario dell’atto istitutivo di trust idoneo a dare certezza della titolarità dell’ufficio di trustee (25).
Dal punto di vista pratico non v’è quindi dubbio che
la pubblicità a nome del trustee risolve tale problema,
perché tutte le volte in cui si ha un mutamento dell’ufficio occorre procedere a una nuova “registrazione” in favore del trustee subentrante, per cui la circolazione giuridica diviene maggiormente sicura (26).
Ammesso, quindi, che il trustee possa divenire socio
di una società di persone, occorre brevemente esaminare il problema della responsabilità per le obbligazioni sociali, nel caso in cui egli sia socio accomandatario di una s.a.s. o socio di una società in nome collettivo o di una società semplice, atteso che
l’art. 2313, comma 1, c.c. per la società in accomandita semplice, l’art. 2291 c.c. per la società in nome
collettivo e - con norma però derogabile -, l’art.
2267 c.c. per la società semplice, stabiliscono che i
soci rispondono solidalmente e illimitatamente per
le obbligazioni sociali.
È noto che, secondo il diritto inglese il trustee risponde delle obbligazioni inerenti al trust anche con
il proprio patrimonio personale, indipendentemente
dalla circostanza che egli abbia o meno informato il
terzo in merito alla propria qualità di trustee (27).
La ragione di tale principio risiede proprio nel fatto
che il trust non è un soggetto di diritto, per cui l’attività del trustee non può essere equiparata a quella
di un organo di un ente.
Il trustee che abbia adempiuto l’obbligazione, tuttavia, avrà diritto di rivalsa nei confronti dei beni in
trust e tale diritto è assistito da una sorta di privilegio (“lien” o “charge”) su detti beni, nel senso che
esso dev’esser soddisfatto con precedenza rispetto ai
diritti dei beneficiari (28).
Secondo la giurisprudenza inglese la responsabilità
illimitata del trustee sussiste, come già detto sopra,
anche se egli ha informato il terzo contraente che
egli sta agendo nella qualità di trustee (29).
Esistono, però, numerosi leggi diverse da quella inglese secondo le quali, invece, qualora il trustee abbia informato il terzo che egli sta agendo in tale qualità, risponderà dei relativi debiti solo con i beni in
trust (30).
Note:
(continua nota 24)
disciplina prevista per il pegno di crediti dall‘art. 2800 c.c.».
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Con riferimento al trust è noto che, secondo la tesi preferibile,
il beneficiario è titolare di un diritto di credito nei confronti del
trustee. Occorre rilevare, tuttavia che la sentenza al punto
1.2.5, afferma che i partecipanti al fondo sono proprietari “sostanziali” de beni di pertinenza del fondo, lasciando però la titolarità “formale” di tali beni in capo alla società di gestione
che lo ha istituito, così contraddicendo l’affermazione precedente e riecheggiando l’idea di una sorta di proprietà fiduciaria
in capo alla società di gestione.
(25) In alcuni ordinamenti (ad esempio San Marino, Malta) è invece previsto un registro dei trusts, nel quale vanno pubblicizzati i mutamenti del titolare dell’ufficio di trustee.
(26) La sicurezza, evidentemente non è assoluta, perché il trustee uscente, nelle more tra la stipulazione dell’atto di trasferimento dei beni al nuovo trustee e la sua trascrizione nei registri
immobiliari o la sua iscrizione nel registro delle imprese potrebbe disporre dei beni. A tal fine, quale cautela aggiuntiva, nella
prassi si usa istituire il c.d. “libro degli eventi del trust”, vidimato dal notaio, nel quale riportare tutte le vicende relative alla gestione del trust, ivi inclusi, ovviamente, i casi di mutamento del
trustee. La verifica della legittimazione a disporre, pertanto, andrà condotta non solo tramite i registri immobiliari ma anche tramite tale libro, che il trustee subentrante dovrà avere cura di farsi immediatamente consegnare dal trustee uscente al fine di evitare “sorprese”. È utile osservare che nel diritto inglese dei
trust, invece, è vietato dare pubblicità al trust stesso. Rispetto al
trust fund, in diritto inglese, non è replicabile il rapporto esistente tra principal e agent, perché il trustee non è una legal entity e
chi riveste l’ufficio di trustee ha la stessa capacità propria delle
persone fisiche (ciò spiega la responsabilità illimitata del trustee
di un trust regolato dalla legge inglese per le obbligazioni contratte in tale qualità). L’assenza di pubblicità determina problemi
per i terzi che contrattano con il trustee, la cui analisi esorbita dai
confini propri del presente lavoro (tali problemi ed alcune possibili soluzioni sono analizzate nel rapporto del Trust Law Committee istituito presso il King’s College di Londra, reperibile al seguente
link:
www.kcl.ac.uk/schools/law/research/tlc/
otherpapers.html).
(27) Cfr. Lupoi, cit., 196-197; Graziadei, Diritti nell’interesse altrui. Undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Trento, 1995, 385 ss.; Underhill-Hayton, cit., 812 ss.; Bartoli,
Il trust, Milano, 2001, 223 ss.
(28) Cfr. sect. 31(1) del Trustee Act 2000, nonché Underhill-Hayton, cit., 810 ss.
(29) Cfr. Watling v. Lewis [1911], 1 Ch. 414, 424). La giurisprudenza inglese ha comunque precisato (cfr. Miur v.City of Glasgow Bank [1879] 4 App Cas, 337 at 355, 362; Perring v.Draper
[1997] EGCS 109; Marston Thompson & Evershed Plc v. Benn
[1998] CL 613; Watling v. Lewis [1911] 1 Ch 414 at 424; Re Robinson’s Settlement [1912] 1 Ch 717 at 729) che il trustee potrebbe limitare la sua responsabilità ai soli beni in trust (ovvero,
a seconda del tenore della pattuizione intervenuta, anche al valore dei beni in trust o a parte di detto valore: si avrà così, a seconda del contenuto della clausola in questione, una responsabilità intra vires e cum viribus ovvero meramente intra vires) ove
il contratto da egli stipulato con il terzo contenga una clausola
che lo preveda espressamente.
Con riguardo al diritto italiano, cfr., di recente, Sicchiero, I patti
sulla responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), in Contr. Impr.,
2012, 91 ss., il quale conclude affermando che “[S]e i patti in
esame dimostrino l’esistenza di un concreto interesse economico, denotino cioè la razionalità della limitazione di responsabilità
in quanto controbilanciata da altra risorsa economica che giunga
al creditore e che egli altrimenti non riceverebbe, saranno allora
meritevoli di tutela e non si potranno ritenere vietati dall’art.
2740 c.c.”.
(30) Cfr. sect. 32 della Trust (Jersey) Law 1984, come modificata nel 2006 e all’art. 47, comma 1, della legge di San Marino n.
42/2010.
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Tanto premesso, occorre chiedersi se è possibile affermare che il trustee socio illimitatamente responsabile di società di persone risponda delle obbligazioni sociali solo con i beni in trust, qualora, ad
esempio, il trust sia regolato da una legge che prevede tale limitazione di responsabilità.
Va osservato, anzitutto, che le leggi sopra indicate
consentono la limitazione di responsabilità in capo
al trustee solo nell’ambito di rapporti contrattuali
stipulati tra, da una parte, per così dire, il trust (31),
e, dall’altra, i terzi, mentre nel caso al vaglio i rapporti contrattuali sono stipulati tra, da una parte, la
società (e non il trust), in ipotesi amministrata dal
trustee stesso e, dall’altra, i terzi.
È sufficiente tale rilievo per escludere l’operatività
della responsabilità limitata ai beni in trust?
Argomenti a sostegno della soluzione negativa possono trarsi dalle norme che consentono la partecipazione di società di capitali a società di persone,
fattispecie che presenta profili di affinità con quella
al vaglio.
Si pensi al caso della società di capitali unico socio
accomandatario di una s.a.s., chiamata a esercitare
poteri di amministrazione. Analogamente, qualora
il trustee di un trust divenga socio accomandatario
di una s.a.s. egli, ai sensi di legge, sarà chiamato a
esercitare poteri di amministrazione.
Ulteriore affinità è costituita dal fatto che l’amministratore di società è titolare di un ufficio di diritto
privato, inteso come complesso di poteri-doveri finalizzato al soddisfacimento di interessi privati da
esercitarsi nei modi prescritti dalla legge (32) e, allo
stesso modo, il trustee è anch’egli titolare di un ufficio di diritto privato, finalizzato al soddisfacimento
degli interessi dei beneficiari del trust (33).
La differenza tra le due fattispecie parrebbe invece
da individuarsi in ciò, che mentre alla persona giuridica amministratore è imputabile un unico patrimonio, per cui è con tale intero patrimonio che essa risponderà delle obbligazioni sociali, il trustee di un
trust può essere titolare di una pluralità di patrimoni, distinti dal proprio patrimonio personale (si pensi al caso di chi è trustee di più trust).
Peraltro vi è un caso in cui tale differenza si annulla.
È il caso della società per azioni che istituisce un patrimonio destinato a uno specifico affare e, successivamente, assume una partecipazione in una società
di persone, divenendone amministratore. La fattispecie sembra del tutto similare, in quanto poiché ai
sensi dell’art. 2447-quinquies c.c. i creditori della
società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare, ciò significa
che, nell’ipotesi al vaglio, i creditori della società di
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persone amministrata da una società per azioni che
abbia previamente costituito un patrimonio destinato a uno specifico affare non potranno far valere i
propri diritti su di esso. Analogamente, allora, quando amministratore della società di persone è il trustee di un trust, i creditori sociali non potranno fare
valere i loro diritti né sui beni costituenti il patrimonio personale del trustee né, se del caso, sui beni
oggetto di altri trust dei quali costui rivesta l’ufficio
di trustee.
Quanto sopra pare quindi dimostrare che la fattispecie al vaglio non si pone fuori dal sistema.
Per quanto riguarda la disciplina applicabile, la fattispecie della s.p.a. che ha costituito un patrimonio
destinato e che diviene socio di una società di persone fornisce spunti applicativi.
Qui di seguito si propone uno schema di sintesi.
1) Nel caso di s.p.a. socia di società di persone, sul
patrimonio della s.p.a. concorrono i creditori della
s.p.a. stessa e i creditori della società di persone che
non hanno trovato soddisfazione nel patrimonio di
questa.
2) Nel caso di s.p.a. socia di società di persone, che
ha previamente costituito un patrimonio destinato, sul
patrimonio generale della s.p.a. concorrono i creditori generali della s.p.a. stessa e i creditori della società di persone che non hanno trovato soddisfazione nel patrimonio di questa, mentre sul patrimonio
destinato possono agire solo “i creditori dell’affare”.
3) Nel caso di trustee socio illimitatamente responsabile di società di persone sui beni in trust concorrono “i creditori del trust” e i creditori della società
di persone che non hanno trovato soddisfazione nel
patrimonio di questa, mentre sul patrimonio personale del trustee possono soddisfarsi solo i suoi creditori personali.
4) Per le obbligazioni derivanti da fatti illeciti, invece, la s.p.a. risponde con il patrimonio generale, e
ciò per espressa disposizione di legge; analoga regola
sembra applicabile anche al trustee.
Ulteriore problema è verificare come si applicano al
trust tutte quelle norme che presuppongono la qualifica di imprenditore.
Infatti, delle due l’una: o si nega in radice che il trustee possa essere socio illimitatamente responsabile
Note:
(31) Uso tale termine solo per semplificare il ragionamento, restando fermo che il trust non è soggetto di diritto.
(32) Cfr. Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano,
1984, 48; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, 2, Milano,
1986, 4.
(33) Cfr. Cass. 13 giugno 2008, n. 16022, cit. alla nt. 8.
Notariato 6/2012
Argomenti
Società
di società di persone, e allora occorre individuare ragioni “di sistema” a supporto di tale affermazione;
oppure si ammette tale partecipazione, come si è
cercato di ipotizzare, nel qual caso occorrerà, appunto, verificare se e come si applicano le norme interne che attribuiscono al socio illimitatamente responsabile di società di persone (commerciale) la
qualità di imprenditore al trustee socio.
Uno dei problemi più rilevanti, in tale prospettiva, è
l’ipotesi del fallimento della società, cui consegue
automaticamente, ai sensi dell’art. 147 l. fall., il fallimento dei soci illimitatamente responsabili e,
quindi, del trustee.
Tale problema ancor più si aggrava nell’ipotesi in cui
il trustee socio non abbia rispettato la separazione
patrimoniale (cioè abbia confuso i beni in trust con
il proprio patrimonio personale) ovvero sia un trustee che “amministri” più trust e non abbia rispettato la separazione patrimoniale (cioè abbia confuso i
beni oggetto dei diversi trust tra loro e/o con il proprio patrimonio personale). Il discorso ci porterebbe
molto lontano rispetto all’ambito del presente studio, ma si farà un breve cenno a un possibile percorso interpretativo.
Certamente, ai sensi dell’art. 11, comma 2, lett. b),
Conv., qualora il trustee fallisca, per così dire, personalmente, i beni in trust non potranno essere appresi
alla massa fallimentare, operando, appunto, la separazione patrimoniale. Dovrebbe valere, però, anche
la regola inversa, per cui, fallito il trustee in quanto
socio illimitatamente responsabile di una società di
persone, i creditori della società non potranno aggredire il suo patrimonio personale.
Quanto all’ipotesi del trustee che fallisca quale socio
illimitatamente responsabile e non abbia rispettato
la separazione patrimoniale, l’ipotesi non sembra
molto diversa da quella disciplinata dall’art. 91 del
D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia), applicabile
anche alle sim, alle sgr, e alle sicav, che prospetta
proprio l’ipotesi del mancato rispetto della separazione del patrimonio dell’ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa rispetto a quelli dei
clienti nonché l’ipotesi del mancato rispetto della
separazione patrimoniale dei patrimoni dei clienti
tra loro, stabilendo specifiche regole per la restituzione (34).
La fattispecie al vaglio sembra del tutto simile, laddove si proceda a sostituire l’espressione “patrimonio dell’ente” con “patrimonio personale del trustee”, “patrimonio dei clienti” con “beni in trust” e
“patrimoni dei clienti tra loro” con “beni oggetto dei
diversi trust”.
Notariato 6/2012
Nota:
(34) Art. 91. Restituzioni e riparti. - 1. I commissari procedono alle restituzioni dei beni nonché degli strumenti finanziari relativi ai
servizi di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e, secondo l’ordine stabilito dall’articolo 111 della legge fallimentare,
alla ripartizione dell’attivo liquidato. Le indennità e i rimborsi
spettanti agli organi della procedura di amministrazione straordinaria e ai commissari della gestione provvisoria che abbiano preceduto la liquidazione coatta amministrativa sono equiparate alle spese indicate nell’articolo 111, comma primo, numero 1) della legge fallimentare.
2. Se risulta rispettata, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la separazione del patrimonio
della banca da quelli dei clienti iscritti nell’apposita sezione separata dello stato passivo, ma non sia rispettata la separazione
dei patrimoni dei detti clienti tra di loro ovvero gli strumenti finanziari non risultino sufficienti per l’effettuazione di tutte le restituzioni, i commissari procedono, ove possibile, alle restituzioni ai sensi del comma 1 in proporzione dei diritti per i quali ciascuno dei clienti è stato ammesso alla sezione separata dello
stato passivo, ovvero alla liquidazione degli strumenti finanziari
di pertinenza della clientela e alla ripartizione del ricavato secondo la medesima proporzione.
3. I clienti iscritti nell’apposita sezione separata dello stato passivo concorrono con i creditori chirografari ai sensi dell’articolo
111, comma 1, numero 3) della legge fallimentare, per l’intero,
nell’ipotesi in cui non risulti rispettata la separazione del patrimonio della banca da quelli dei clienti ovvero per la parte del diritto rimasto insoddisfatto, nei casi previsti dal comma 2.
4. I commissari, sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, possono eseguire riparti e restituzioni parziali, sia a favore di tutti gli aventi diritto sia a favore di talune categorie di essi, anche prima che siano realizzate tutte le
attività e accertate tutte le passività.
5. Fatto salvo quanto previsto dai commi 8, 9 e 10, i riparti e le
restituzioni non devono pregiudicare la possibilità della definitiva
assegnazione delle quote e dei beni spettanti a tutti gli aventi diritto.
6. Nell’effettuare i riparti e le restituzioni, i commissari, in presenza di pretese di creditori o di altri interessati per le quali non
sia stata definita l’ammissione allo stato passivo, accantonano le
somme e gli strumenti finanziari corrispondenti ai riparti e alle restituzioni non effettuati a favore di ciascuno di detti soggetti, al
fine della distribuzione o della restituzione agli stessi nel caso di
riconoscimento dei diritti o, in caso contrario, della loro liberazione a favore degli altri aventi diritto.
7. Nei casi previsti dal comma 6, i commissari, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, possono acquisire idonee garanzie in sostituzione degli accantonamenti.
8. La presentazione oltre i termini dei reclami e delle domande
previsti dall’articolo 86, commi 4 e 5, fa concorrere solo agli
eventuali riparti e restituzioni successivi, nei limiti in cui le pretese sono accolte dal commissario o, dopo il deposito dello stato
passivo, dal giudice in sede di opposizione proposta ai sensi dell’articolo 87, comma 1.
9. Coloro che hanno proposto insinuazione tardiva ai sensi dell’articolo 89, concorrono solo ai riparti e alle restituzioni che venissero eseguiti dopo la presentazione del ricorso.
10. Nei casi previsti dai commi 8 e 9, i diritti reali e i diritti di prelazione sono salvi quando i beni ai quali si riferiscono non siano
stati ancora alienati.
11. Fino alla restituzione o alla liquidazione degli strumenti finanziari gestiti dalla banca, i commissari provvedono affinché gli
stessi siano amministrati in un’ottica di minimizzazione del rischio.
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