La guerra dei brevetti: sfida a Big Pharma

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DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE
La guerra dei
brevetti: sfida
a Big Pharma
Scontro tra grandi aziende farmaceutiche e
tribunali indiani per i brevetti. L’India si è
conformata alla normativa internazionale, e
difende la sua industria, produttrice di ottimi
generici diffusi in molti paesi in via di sviluppo.
di Marina Forti
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L
a Corte Suprema indiana ha respinto in
modo definitivo la richiesta della svizzera Novartis AG per il riconoscimento
del brevetto sul suo Glivec, un farmaco ampiamente usato nel trattamento della leucemia.
Ora le aziende farmaceutiche indiane sono
libere di produrre e distribuire legalmente versioni “generiche”, con un impatto immediato sul
costo delle cure per i circa 300 mila pazienti leucemici del paese. Un mese di trattamento con il
Glivec infatti costa 1.900 dollari per paziente,
contro l’equivalente di 175 dollari con il farmaco
generico prodotto in India. Non è una differenza
da poco, e tanto più in un paese dove due terzi
della popolazione vive con meno di 2 dollari al
giorno. Si capisce l’entusiasmo della Cancer Patients Aid Association, l’associazione indiana
che aveva fatto ricorso contro il brevetto Novartis: “È un giorno felice per i pazienti indiani”, ha
commentato il portavoce Kiran Hukku.
Ma la sentenza Novartis ha implicazioni che
vanno ben oltre il Glivec e i pazienti leucemici,
e ben oltre i confini dell’India stessa. Quella sentenza farà giurisprudenza nei futuri casi di richieste di brevetto. Le ricadute sono enormi. È
in gioco la possibilità per l’industria farmaceutica indiana di continuare a produrre legalmente
farmaci generici, e anche il ruolo dell’India come
fornitore di medicinali “low cost” ai paesi in via
di sviluppo. Ed è in gioco la capacità della grande
industria farmaceutica mondiale di entrare in
un mercato emergente come quello indiano.
La vicenda del Glivec illustra bene questo
conflitto. La vicenda è esplosa nel 2005, quando
in India è entrata in vigore una nuova legge sui
brevetti. New Delhi, che non aveva mai riconosciuto brevetti sui farmaci (né sui prodotti alimentari), si adeguava così ai trattati mondiali
sugli “Aspetti commerciali dei diritti di proprietà
intellettuale” firmati nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, a cui aderisce. Una clausola stabiliva però che non fosse
riconosciuto il brevetto per nuove forme di una
sostanza già nota, a meno che non avessero caratteristiche sostanzialmente diverse: ad esempio
un farmaco con aumentata efficacia. Una norma
contro i “sempreverdi”: si dice così quando, per
prolungare un brevetto vicino a scadenza,
l’azienda produttrice introduce qualche modifica
minore (ad esempio nel dosaggio o nella formulazione) e poi ripresenta il vecchio farmaco
come una novità. Ed è in base a questa clausola
che nel 2006 l’Ufficio dei brevetti (Patent Board)
east european crossroads
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MARTA NASCIMENTO/REA/CONTRASTO
INDIA
\ Una farmacia che
vende medicinali
generici a Mumbai.
L’India esporta ogni
anno farmaci generici
per un valore attorno
ai 10 miliardi di dollari.
a Chennai (Madras) ha respinto la richiesta di
Novartis e negato la protezione del brevetto al
suo farmaco antileucemia.
Al cuore della vicenda Novartis dunque è
la definizione di cosa sia “innovazione” in un
farmaco. Il Glivec, brevetto già riconosciuto in
una quarantina di paesi tra cui Cina e Russia,
per l’Ufficio dei brevetti indiano non è una
vera innovazione. L’azienda farmaceutica svizzera ha fatto ricorso. La cosa ha fatto notizia
sui media indiani, numerose associazioni della
società civile si sono espresse contro il brevetto.
La controversia è passata da un grado di appello all’altro. Finché la Corte Suprema ha sentenziato che il farmaco non soddisfa “i test dell’invenzione innovativa e della brevettabilità”.
Dal punto di vista legale, la questione è chiusa.
La sentenza Novartis è un colpo sonoro per
l’industria farmaceutica occidentale, un piccolo
numero di grandi aziende multinazionali spesso indicate con il nomignolo “Big Pharma”. L’industria farmaceutica indiana ha una tradizione
consolidata nella produzione di generici di qua-
numero 48 luglio/agosto 2013
DOSSIER
lità. Dagli antiretrovirali ai farmaci per cardiopatie, quelli per la cura dei tumori, antibiotici o
antimalarici, le aziende farmaceutiche indiane
producono ottime versioni generiche di centinaia di medicinali, e un recente articolo di Foreign Policy stima che meno del 10% dei farmaci
venduti in India siano coperti da brevetto. Non
solo, l’India esporta ogni anno farmaci generici
per un valore attorno ai 10 miliardi di dollari.
Una delle aziende più antiche, la Cipla con sede
a Mumbai, ebbe grande notorietà nel 2001
quando mise sul mercato le versioni generiche
dei tre farmaci anti-retrovirali usati per i pazienti positivi al virus Hiv/Aids, combinandole
in un’unica pastiglia. Così il costo di un anno
di terapia-tipo passava dai 7.000-11mila dollari
per paziente con i farmaci sotto brevetto, a 350
dollari con il Triomune Cipla. È chiaro che i sistemi sanitari di paesi in via di sviluppo non
potrebbero garantire farmaci ai propri pazienti
senza ricorrere ai generici. E l’India non ha
intenzione di rinunciare alla sua capacità di
fornire medicinali a prezzi accessibili ai propri
cittadini, o a decine di milioni di persone in
altri paesi in via di sviluppo.
Le case farmaceutiche occidentali ribattono
che la ricerca per sviluppare nuovi farmaci costa decine di miliardi di dollari per ogni singola
formulazione: senza il brevetto che garantisca
una remunerazione nessuno più investirà in ricerca. Tuttavia, la sentenza nel caso Novartis
non mette in questione il principio, ma la sua
applicazione: una azienda non può rivendicare
royalties su un farmaco non innovativo. C’è da
chiedersi se Novartis darà corso alla sua minaccia di ritirarsi dall’India. In fondo, con o senza
la concorrenza dei generici il Subcontinente resta promettente: l’agenzia di analisi finanziaria
PricewaterhouseCoopers valuta che il settore
farmaceutico indiano, attestato a 19 miliardi di
dollari di vendite nel 2009, salirà a 50 miliardi
nel 2020. E le grandi compagnie farmaceutiche
sperano di occupare quel mercato.
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