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LA RIVISTA DELLA SCUOLA
Anno XXXI, 1/31 maggio 2010, n.9
della filosofia occidentale
sa nell’al di là e da espiare appunto sulla terra.
Per questo motivo gli orfici aborrivano ogni
forma di violenza e ogni pratica materiale
(compresa quella del cibarsi di carni); suggerivano che all’uomo, in questo mondo, è data
l’occasione di espiare la propria colpa per
ritrovare, definitivamente, il sito originario di
provenienza dell’anima. La parte migliore dell’uomo è quindi costituita da quella invisibile
dell’anima, che sta dentro il corpo; l’una è
votata al bene, mentre l’altro al male; sicché
l’uomo si trova sempre dinanzi ad un bivio, tra
il bene e il male, trovandosi a scegliere la strada più ardua e meno effimera. Il suo compito,
sulla terra, sarebbe quello di preservare la
parte pura di sé, evitando ogni forma di contaminazione.
Evidentemente tale concezione della vita si
distingueva da quella suggerita dalla cultura e
dalla religione ufficiale, cantata da Omero e da
Esiodo, soprattutto se si tiene conto che gli dei
omerici sono molto simili agli uomini, soggetti
ad ogni sorta di amore e di odio. Nell’arte
omerica si esaltava una forma di educazione,
che Platone (nel decimo libro della Repubblica) avrebbe condannato soprattutto per il suo
contenuto antipedagogico.
Le colonie greche
dell’Asia Minore
La prima colonizzazione
dei Greci
Abbiamo già sottolineato che la prima filosofia, pur parlando la lingua greca, non trovò
origine in Grecia, ma nelle colonie dell’Asia
Minore, che, ancora nel VI-V secolo a.C.,
erano più evolute e più emancipate della
madrepatria sia dal punto di vista socio-economico che dal punto di vista culturale. I Greci
non fecero altro che imitare altri popoli, come i
Fenici, che, abitando una terra povera o insufficiente alle loro esigenze sociali ed economiche, reagivano cercando di guadagnare nuovi
lidi; dando così vita a nuove forme di civiltà, di
cui si ha testimonianza in tutti i paesi che si
affacciano sul bacino del Mediterraneo. Questa circostanza storica si deve al processo di
colonizzazione realizzato dai Greci intorno al
XIII secolo a.C. Sotto la spinta di altri popoli,
gli antichi Greci furono costretti ad emigrare
dalla zona nord-orientale dell’Europa, stanziandosi nella penisola greca, nelle isole del
mar Egeo e sulle coste dell’Asia Minore, dove
fondarono le tre colonie della Doria, della Ionia
e della Eolia. Per questo motivo i Greci delle
colonie si trovarono a vivere in territori più evoluti, perché a stretto contatto con la grande
civiltà dell’Asia Minore. Tra le tre colonie quella
che si distinse di più sul piano culturale fu la
Ionia con Mileto, che rappresentava una delle
dodici città più importanti della colonia; proprio
a Mileto nacquero e vissero i primi filosofi in
assoluto: Talete, Anassimandro e Anassimene;
Eraclito visse ad Efeso, rappresentando già
una fase più avanzata di quella costituita dai
tre di Mileto.
La Ionia
La Ionia (come la Doria e la Eolia), nel
tempo, era divenuta una satrapia, cioè una
provincia dell’impero persiano, ma godeva di
benefici, di cui non potevano godere i Greci
che erano rimasti a vivere nella madrepatria,
che tra l’altro comprendeva un territorio, molto
meno esteso di quello dell’odierna Grecia, e
pur sempre montuoso e arido. In una parola, i
Greci delle colonie dell’Asia Minore e della
Magna Graecia erano più ricchi e più colti dei
Greci della madrepatria; infatti la civiltà greca,
di cui si parla alle origini, cioè nei secoli VII, VI
e l’inizio del V a.C., è la grande civiltà dei presocratici che furono contemporanei dei tragici;
per parlare di grande civiltà, prodotta in Grecia, bisogna aspettare il V secolo con i Sofisti
e Socrate, che vissero ad Atene, la città più
importante dell’Attica.
Dalla monarchia
all’aristocrazia
La prima forma politica dell’antica Grecia fu
quella della monarchia, cantata da Omero nell’Odissea (Agamennone, re di Micene, e Ulisse, re di Itaca ne sono un esempio); nell’Iliade
lo stesso Omero ci dà un’idea del trapasso
dalla forma politica della monarchia a quella
della polis per via del sopravvento dell’aristocrazia. Il secondo poema omerico prelude alla
fase della seconda colonizzazione, svolta fra i
secoli VIII e VII a.C., e nel corso della quale i
Greci consolidarono la loro presenza, oltre che
ad oriente, in Asia Minore, ad occidente, nella
Magna Graecia e persino in Africa settentrionale. I coloni con i connazionali della madrepatria mantenevano saldi i vincoli religiosi, culturali e linguistici; per questo motivo possiamo
parlare di civiltà e di filosofia greca, pur essendo state prodotte nelle colonie dell’Asia Minore. Le tre colonie della Eolia, della Ionia e della
Doria erano organizzate sotto forma di federazione di più città; tra quelle della Ionia vanno
ricordate, oltre Mileto, Efeso, Clazomene,
Colofone, Chio, Samo (in quest’ultima si riunivano, presso il tempio di Posidone, sito sul
promontorio di Micale, per le loro cerimonie
religiose e politiche). Non sembri dunque strano parlare di filosofi greci, vissuti e cresciuti
nelle colonie dell’Asia Minore ed, in particolare, nella Ionia, ancor prima di parlare di filosofi greci vissuti in Grecia.
La filosofia ellenica
Nell’ambito della filosofia greca,
dal punto di vista storico, bisogna
distinguere due momenti significativi, coincidenti con lo sviluppo
della letteratura e della civiltà
greca; si tratta del periodo ellenico
e del periodo ellenistico. Il primo
riguarda la fase che va dalle origini
alla morte di Alessandro Magno
(avvenuta nel 323 a.C.) o di Aristotele (avvenuta nel 322 a.C.); il
secondo riguarda la fase che va
da questi anni alla chiusura della
scuola di Atene (avvenuta nel 529
d.C. ad opera dell’imperatore Giustiniano). La distinzione tra ellenico ed ellenistico consiste nel fatto
che la civiltà greca, nella prima
fase (ellenica), fu prodotta dai
Greci all’interno della stessa Grecia; mentre, nella seconda fase
(ellenistica), fu prodotta anche
fuori della Grecia da quei popoli
che erano stati colonizzati da Alessandro Magno. All’interno della prima fase
bisogna sottolineare che, originariamente, la
filosofia fu prodotta non dai Greci che vivevano in Grecia, ma dai Greci che si erano stanziati nelle colonie fondate in Asia Minore e
nella Magna Graecia. Questo dato storico non
è da trascurare per avere presente un preciso
quadro culturale, completo, sull’origine e sullo
sviluppo sia della filosofia che dell’intera civiltà
greca. Altrimenti non comprenderemmo perché i primi filosofi greci vissero, anziché nella
madrepatria, nelle colonie che nel tempo
erano state costituite sia ad oriente che ad
occidente della penisola greca.
Talete
Il primo sapiente
Secondo la tradizione, Talete fu considerato
il primo dei sette sapienti, che stanno alle origini della civiltà greca; sapiente (σοφοϖ⌡) nel
senso pieno della parola, perché investigò
sulla natura pure da uomo di scienza. Visse tra
la fine del VII e la metà del VI secolo; probabilmente tra il 640 ed il 550 a.C.; forse non fu
proprio nativo di Mileto, dove visse e morì, perché alcuni biografi (Erodoto, Clemente Alessandrino, Diogene Laerzio) lo considerano originario della Fenicia.
L’uomo di scienza (matematico e astronomo)
Coltivò la matematica e l’astronomia e, nella
sua qualità di astronomo, predisse un’eclisse
solare (probabilmente quella del 585 a.C.).
Non a caso Diogene Laerzio ricorda che, sulla
sua statua eretta a Mileto, si poteva leggere:
“Mileto di Ionia nutrì e rivelò questo Talete,
astrologo fra tutti il più antico per sapienza”.
Ancora Diogene Laerzio ricorda che sulla sua
tomba era stato inciso un epitaffio che collegava la fama di sapiente a quella di astronomo:
“Ecco questo piccolo tumulo che vedi è del
sapientissimo Talete, la cui gloria altissima si
leva nel cielo” (Vite dei filosofi, I, 39). Talete fu
pure matematico, così come si evince dai
quattro teoremi che gli vengono attribuiti nella
tradizione della geometria euclidea; così si
spiegherebbe il viaggio compiuto in Egitto,
dove si sarebbe recato per avere conferma
delle sue teorie elaborate nell’ambito di tali
discipline; in ogni caso la matematica e l’astronomia sono discipline apprese dalla civiltà
orientale e praticate in Grecia ancora prima
della filosofia. In un certo senso Talete si
distinse pure come fisico, se si tiene presente
la sua teoria sul magnetismo e la sua teoria
sui terremoti che sarebbero causati dal fatto
che la terra galleggia sull’acqua. Seneca ricorda che, secondo Talete, “la terra è mantenuta
in sospensione su questa onda, come un
grande vascello pesante sulle acque che lo
portano” (Questioni naturali, VI, 1, 1).
Il filosofo e le sue opere
(presunte)
Sembra che non abbia scritto nulla, ma non
pochi dossografi gli attribuiscono una serie di
opere, che in ogni caso testimoniano la fama
di cui godeva. Si parla di un’opera genericamente rivolta all’Astronomia, altrimenti intitolata Astrologia nautica; di altre opere dedicate a
problemi specifici di astronomia (Del solstizio,
Dell’equinozio) e Dei principi della natura. In
ogni caso di Talete non ci è rimasto nulla. Infatti del suo pensiero e della
sua
vita
abbiamo solo
testimonianze
indirette. Aristotele
ne
parla soprattutto
nella
Metafisica,
dove non a
caso lo annovera tra i filosofi
della
natura: “La
maggior parte
di coloro che
primi filosofarono pensarono che princìpi di tutte le
cose fossero
solo
quelli
materiali (...).
Talete, iniziatore di questo
tipo di filosofia, dice che
quel principio
è l’acqua (per
questo afferma anche che
la terra galleggia sull’acqua), desumendo
indubbiamente questa sua convinzione dalla
constatazione che il nutrimento di tutte le cose
è umido, e che perfino il caldo si genera dall’umido e vive nell’umido” (Metafisica, I, 3 983b984a). Ciò significa che, osservando la natura
e forse le inondazioni del Nilo durante il suo
viaggio in Egitto, Talete si convinse del fatto
che dove c’è l’acqua c’è la vita e dove non c’è
l’acqua c’è la morte. Da qui l’ipotesi teorica e
pratica, secondo la quale l’acqua (υ{δωρ) è il
principio (αϕρχηϖ) di tutte le cose, cioè quell’elemento particolare che consente la nascita
e lo sviluppo della vita in tutta la materia. Si
tratta di un’ipotesi suggestiva, che va considerata per lo sforzo prodotto nel ritenere che da
una massa primordiale caotica si sarebbe originata la vita, a causa o grazie alla presenza
di un elemento particolare (appunto l’acqua)
che ha consentito il divenire nella natura. È
senz’altro un’ipotesi, molto fantasiosa, che
però trova riscontro nell’evoluzione della
scienza moderna.
Gli aneddoti
Di Talete vengono tramandati alcuni aneddoti che fanno tuttora discutere; il più curioso è
quello riportato da Platone nel Teeteto, dove
(ma solo apparentemente) viene ricordato
come l’emblema del filosofo distratto: “Come
successe anche a Talete, che mentre osservava le stelle e guardava in alto, cadde in un
pozzo, e si racconta che una servetta tracia,
intelligente e spiritosa, l’abbia preso in giro
dicendogli che si preoccupava di conoscere le
cose del cielo e non s’accorgeva di quelle che
aveva davanti a sé tra i piedi” (Teeteto, 174a).
Evidentemente tale aneddoto non deve essere
preso alla lettera; lo stesso Platone vuol sottolineare che la filosofia e la scienza non si
occupano delle cose, di cui si occupano gli
uomini comuni, con il rischio di apparire
incomprensibili, come nel caso della servetta
tracia che deride il saggio Talete. Compito
della filosofia è quello di ricercare la verità, a
costo della derisione e dell’incomprensione da
parte degli altri uomini.
Anche Aristotele, nel suo trattato sulla Politica, riferisce un aneddoto sulla vita di Talete:
“Siccome, povero com’era, gli rinfacciavano l’inutilità della filosofia, dicono che, avendo previsto in base a computi astronomici un abbondante raccolto di olive, ancora nel cuore dell’inverno, disponendo di una piccola somma di
denaro, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di
Chio, dando una cifra irrisoria perché non
c’era richiesta alcuna: ma quando giunse il
tempo della raccolta, poiché molti cercavano i
frantoi, tutt’insieme e d’urgenza, li dette a nolo
al prezzo che volle e così, raccolte molte ricchezze, dimostrò che per i filosofi è davvero
facile arricchirsi, se lo vogliono” (Politica, A 11
1259a). In tal caso Aristotele sottolinea che
l’interesse della filosofia non è di tipo pratico,
ma solo di tipo teorico, perché mira alla verità,
che è esente da interessi materiali.
Vita contemplativa
o vita pratica?
Con ciò si va delineando la distinzione tra
attività teorica e attività pratica, ovvero tra vita
contemplativa (βιϖο⌡ θεωρητικοϖ⌡) e vita
pratica (βιϖο⌡ πρακτικοϖ⌡), che sta alla base
del dibattito sviluppatosi nell’ambito della cultura occidentale. L’insistenza sulla vita e sul
pensiero di Talete consente di comprendere le
problematiche che la filosofia pone già alle
sue origini, senza che però questo significhi
astrattezza e distacco dalla realtà. Tra l’altro, in
questa fase storica, sia la filosofia che la
scienza dimostrano quanto e come sia stato
difficile per l’uomo procedere sul terreno della
ricerca della verità, soprattutto in una fase in
cui non si aveva la possibilità di dimostrare
con prove ciò che si coglieva con l’intuizione e,
a volte, con la fantasia. In ogni caso Talete è il
primo rappresentante di una lunga serie di
pensatori, che vogliono confrontarsi con una
realtà senza distrazioni e senza astrattezze. A
tal proposito è da ricordare che questi primi
pensatori furono pure attenti alle vicende politiche della loro città, come nel caso dello stesso Talete che, secondo la testimonianza di
Erodoto (Storie, I, 75), consigliò alle città della
Ionia di costituirsi in federazione politica, ancor
prima di essere assoggettate al regno di Persia.
Anassimandro
La vita e le opere
Anassimandro dalla storiografia ufficiale è
presentato sia come discepolo di Talete sia
come prosecutore della scuola di Mileto. Della
sua vita si hanno poche notizie; sarebbe vissuto tra la fine del VII sec. e la metà del VI sec.
a.C. (per la precisione tra il 610/609 ed il
547/546). Probabilmente fu maestro di Senofane e di Pitagora, che incontreremo come iniziatori, rispettivamente, delle scuole di Elea e
di Crotone fondate nella Magna Graecia. Sembra che avesse scritto un’opera in prosa Sulla
natura (περι∧ φυϖσεω⌡), in linea con l’indirizzo della scienza e della filosofia del tempo. Di
quest’opera ci rimane un solo frammento,
dove l’autore mette in risalto la sua teoria di
fondo, secondo la quale da una massa primordiale si sarebbe originata ogni forma di vita
esistente in natura. L’autore vi sostiene che
“principio degli esseri è l’infinito (...) da dove
infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno
anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del
tempo” (Simplicio, Physica, 24, 13).
L’infinito
Anassimandro non ritenne quindi che l’evoluzione e la trasformazione della materia avvenisse per l’intervento di una sua parte; non
presuppose un elemento particolare, come nel
caso dell’acqua di Talete, bensì il tutto nella
sua esistenza primigenia; da questa massa, a
causa dell’eterno movimento esistente nell’infinito, si sarebbero staccati i contrari (il caldo e il
freddo, il secco e l’umido). Egli considerò la
sua materia originaria, come ciò che è indeterminato, indefinito, illimitato e, più esattamente,
infinito (α[πειρον); infatti l’in-finito è ciò che
non ha limite, confine o fine (πεϖρα⌡); nella
concezione antica della scienza l’in-finito rappresenta un concetto negativo rispetto al finito;
per l’appunto una materia dalla natura indeterminata (αϕοϖριστο⌡ φυϖσι⌡), la cui elaborazione però rappresenta già una fase più avanzata di quella di Talete.
I contrari materiali
(caldo-freddo,secco-umido)
Per spiegare la vita della natura, Anassimandro non pensa ad un elemento particolare, ossia ad una parte del tutto; considera la
realtà nella sua totalità, concependola come
una massa che originariamente doveva risultare del tutto amorfa, all’interno della quale ad
un certo momento si separano i primi contrari,
cioè il caldo e il freddo, il secco e l’umido. Da
questa prima coppia di contrari derivò ogni
forma di vita esistente sulla terra, che veniva
considerata il nucleo centrale della realtà, ricoperto di acqua, di aria e di fuoco. Questa rappresentazione della terra presupponeva l’esistenza di involucri d’aria dalla forma di ruote;
dall’apertura di questa specie di mantici sarebbe uscito fuoco, per spiegare l’esistenza dei
vari corpi celesti (il sole, la luna, le stelle) circostanti la terra. Anche in questo caso si tratta
di una scienza primitiva, che però cerca di
spiegare il modo di essere di una realtà che
non si può osservare, se non ad occhio nudo;
l’intuizione e la fantasia suppliscono soprattut-