1 STRUTTURA ATOMICA DELLA MATERIA LA TEORIA ATOMICA DI DALTON L’ipotesi che la materia sia costituita da particelle distinte ed indivisibili, detti ATOMI, ha origine nell’antichità grazie ai filosofi Democrito e Leucippo. Questa è stata ripresa all’inizio del secolo XIX da J. DALTON (1805) che ne ha dato una formulazione non più puramente speculativa, ma quantitativa: ciascun elemento è formato da particelle indivisibili, detti ATOMI, ognuna con una massa ben definita e con precise proprietà chimiche; la massa e le altre proprietà atomiche variano da elemento ad elemento, perciò esistono tante specie di atomi quanti sono gli elementi. Dalton suggerì che, in qualunque reazione chimica, gli atomi di ciascun elemento non possono essere né creati né distrutti per cui, nel corso di una reazione, la massa del sistema deve essere costante (da questa idea prese origine la Legge della conservazione della massa ideata nel 1789 da LAVOISIER secondo la quale “la somma delle masse delle sostanze reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti di reazione”). Dalton ammise inoltre che, mentre gli elementi sono formati da atomi tutti uguali, un composto (sostanza non elementare) è formato dalla combinazione di atomi di elementi diversi secondo rapporti fissi (da questa intuizione si origina la Legge delle proporzioni semplici di PROUST secondo la quale “un dato composto contiene sempre gli stessi elementi e nello stesso rapporto ponderale, indipendentemente dal metodo di preparazione”). Infine, la teoria atomica di Dalton spiega anche la Legge delle proporzioni multiple ricavata dallo stesso Dalton, secondo la quale “quando due elementi si combinano per formare diversi composti, le masse di un elemento che si combinano con una data massa dell’altro stanno tra loro in rapporti esprimibili con numeri interi e semplici”. A.L. de Lavoisier I COSTITUENTI ESSENZIALI DELLA MATERIA Nel 1897, J.J. THOMSON scoprì, con una serie di esperimenti sul passaggio della corrente elettrica nei gas, l’esistenza dei raggi catodici, che esperienze successive dimostrarono formati di particelle elementari dette ELETTRONI aventi massa molto inferiore a quella degli atomi e dotate di una carica elettrica negativa (misurata da R.A. MILLIKAN nel 1909). 2 In tal modo, l’elettrone risultava essere una particella fondamentale dell’atomo per cui non aveva più senso parlare della indivisibilità dell’atomo postulata da Dalton. Riconoscendo la discontinuità della materia, si giunse ad individuare tre particelle fondamentali come costituenti della materia: l’ELETTRONE (carica negativa), il PROTONE (carica positiva) ed il NEUTRONE (carica elettrica nulla). L’insieme di queste particelle fondamentali opportunamente raggruppate dà luogo ai vari atomi, cioè a tutti i corpuscoli che formano gli oltre 100 elementi chimici conosciuti. In ogni atomo si distingue un nucleo formato da un insieme di protoni e di neutroni (NUCLEONI), nel quale è localizzata la massa, intorno al quale si muovono gli elettroni in numero uguale a quello dei protoni (per cui l’atomo è elettricamente neutro). Le proprietà chimiche di un atomo sono determinate esclusivamente dal numero di elettroni, quindi dal numero dei protoni contenuti nel nucleo; ne deriva che tutti gli atomi aventi lo stesso numero di protoni e che differiscono solo per il numero di neutroni che contengono, costituiscono un solo elemento dal punto di vista chimico, e si dicono ISOTOPI. Ogni elemento chimico è univocamente indicato dal NUMERO ATOMICO Z che esprime il numero di protoni presenti nel suo nucleo e dal NUMERO DI MASSA A che esprime il numero di nucleoni presenti nel nucleo. Ne segue che i diversi isotopi di uno stesso elemento differiscono nella massa, cioè nel numero di neutroni contenuti nel nucleo. Rappresentazione simbolica di un atomo di un elemento: Esempio: Il 63 29 Il 65 29 63 29 Cu e A Z X 65 29 Cu (isotopi del rame presenti in natura) Cu possiede Z = 29 protoni ed A = 63 nucleoni, da cui N = 63 – 29 = 34 neutroni. Cu possiede Z = 29 protoni ed A = 65 nucleoni, da cui N = 65 – 29 = 36 neutroni. N.B. L’ elemento “rame” è determinato dal numero atomico Z (fornito dalla tavola periodica degli elementi) ed i suoi isotopi sono specificati dal numero di massa A dal quale è possibile risalire al numero di neutroni presenti nell’atomo, quindi alla sua massa. STRUTTURA DELL’ATOMO I PRIMI MODELLI Come già detto, alla fine del diciannovesimo secolo J.J. Thomson dimostrò che gli atomi contengono particelle, dette elettroni, aventi una massa più piccola di quella degli atomi e carica elettrica negativa. Nel 1910, Thomson propose un suo modello secondo il quale l’atomo è una sfera dotata di una carica positiva uniforme nella quale gli elettroni, molto più piccoli, occupano posizioni stabili all’interno di questa sfera (come i semi all’interno di un frutto). Inoltre, Thomson ipotizza che la carica totale negativa degli elettroni sia equivalente alla carica positiva della sfera di modo che l’atomo risulta elettricamente neutro. Nel 1911, però, Rutherford effettuò un’esperienza fondamentale sulla interazione tra atomi e particelle alfa (nuclei di atomi di elio 24 He 2 ) emessi spontaneamente da alcuni atomi radioattivi che mise in discussione il modello a goccia di Thomson. 3 Un fascio di particelle fu fatto collidere con una sottilissima lamina d’oro e Rutherford osservò le deviazioni subite da queste particelle quando venivano in collisione con gli atomi della lamina: alcune delle particelle venivano deviate e addirittura riflesse, mentre la maggior parte attraversava la lamina. Tali risultati erano spiegabili solo ammettendo che tutta la carica positiva dell’atomo e che quasi tutta la sua massa fossero concentrate in un volume piccolissimo (nucleo) e che il resto dell’atomo fosse vuoto. In base a tale esperienza Rutherford propose un modello a sistema planetario in cui il nucleo, carico positivamente e contenente quasi l’intera massa dell’atomo, è collocato al centro, mentre gli elettroni si muovono su orbite circolari intorno ad esso di modo che l’attrazione elettrostatica tra nucleo ed elettroni controbilanci esattamente la forza centrifuga che tende ad allontanare gli elettroni dal nucleo. Tale modello, però, presentava due inconvenienti: a) l’elettrone, essendo una carica elettrica che nel suo moto circolare perde energia per irraggiamento, dovrebbe cadere velocemente nel nucleo rendendo instabile l’atomo, ma la materia è stabile; b) non spiega i vari fenomeni ottici relativi alla spettroscopia che studia l’assorbimento e l’emissione di radiazioni elettromagnetiche di sostanze. NATURA ED ENERGIA DELLA LUCE Nel corso del XIX secolo si cominciò ad analizzare le radiazioni luminose mediante lo spettroscopio, uno strumento in cui la luce entra attraverso una stretta fenditura ed è fatta cadere su un prisma che la “disperde”, cioè devia in modo diverso le radiazioni che compongono la luce. I diversi raggi che escono dal prisma possono essere impressi su una lastra fotografica sulla quale si riproducono tante diverse immagini della fenditura (“righe”) per quante sono le radiazioni di diversa energia che costituiscono la luce esaminata (spettro della luce bianca). Le fondamentali ricerche di Plank (1900) e di Einstein (1905) hanno chiarito che la luce e costituita da particelle elementari, dette FOTONI, che rappresentano ciascuna un quanto discreto di energia dato dalla relazione: E h 4 ove h = costante di Plank (6,625610-34 Js) e = frequenza della radiazione. La frequenza, quindi, può essere impiegata come una misura dell’energia. Dalla relazione tra lunghezza d’onda e frequenza della luce c = = 3 10-8 m/s, si può esprimere la lunghezza d’onda come = hc/E, cioè essa è inversamente proporzionale all’energia del fotone. Il prisma dello spettroscopio ha proprio la proprietà di separare i fotoni a seconda della loro energia; quelle aventi la stessa energia vengono registrati come una singola riga sulla lastra fotografica dello spettroscopio. SPETTRI ATOMICI Se una sostanza allo stato gassoso o di vapore viene introdotta in una fiamma o viene attraversata da una scarica elettrica, gli atomi che la costituiscono emettono radiazioni che sono costituite da fotoni aventi solo alcune ben definite, corrispondenti ad energie altrettanto definite e separate. Ciò fu interpretato correttamente come un indicazione sperimentale che gli atomi non possono emettere (ed anche assorbire) fotoni aventi una qualsiasi energia, ma solo fotoni aventi energie definite. Poiché l’energia di ciascun fotone deve corrispondere ad una differenza tra due possibili stati energetici dell’atomo, risultava dagli spettri atomici che l’energia dell’atomo non può variare in modo continuo, ma solo in modo discontinuo. È chiaro, quindi, che un modello atomico deve spiegare in modo soddisfacente i risultati sperimentali delle osservazioni spettroscopiche, in particolare l’esistenza di livelli energetici dell’atomo ognuno caratterizzato da energie esattamente definite. MODELLO DI BOHR dell’atomo di Idrogeno: L’ATOMO QUANTICO Nel 1913, Bohr propose un modello atomico secondo cui, tra le infinite possibili orbite degli elettroni attorno al nucleo, ne esistono alcune (orbite stazionarie) caratterizzate dal fatto che gli elettroni che su di esse si muovono non emettono radiazioni elettromagnetiche. Quando gli elettroni circolano su queste orbite privilegiate, la loro energia cinetica e la loro distanza dal nucleo non diminuiscono e l’atomo si trova in uno stato energetico stabile in cui può rimanere indefinitamente. Perché un’orbita sia stabile, la sua circonferenza deve contenere esattamente un numero intero di (altrimenti le onde si sovrappongono quando non sono in fase, scomparendo analogia con le bande nere che si osservano nel fenomeno della diffrazione). Per un orbita di raggio r la condizione di quantizzazione è 2r = n ove n = 1,2,3… è un numero intero detto numero quantico principale. Le energie degli elettroni in queste orbite dipendono sempre da n, quindi si può affermare che l’energia è quantizzata, cioè En può assumere solo alcuni valori. Nella teoria quantistica, i livelli energetici permessi sono anche detti stati stazionari; lo stato stazionario ad energia più bassa (n = 1) è detto stato fondamentale e gli stati ad energia più elevata si dicono stati eccitati (n = 2 primo stato eccitato; n = 3 secondo stato eccitato…). 5 Secondo Bohr, lo spettro atomico dell’idrogeno, caratterizzato dall’emissione di fotoni aventi energie definite rivelabili su una lastra fotografica come righe, si spiega assumendo che, nel passaggio da un’orbita all’altra, l’elettrone perde un’energia corrispondente alla differenza tra i livelli energetici delle due orbite la quale viene emessa dall’atomo sottoforma di un fotone di appropriata lunghezza d’onda . n=5 n=4 n=3 E N E R G I A IR n=2 BALMER (Vis) n=1 LYMAN (UV) 6 MODIFICHE DEL MODELLO DI BOHR Alcuni spettri atomici di emissione di elementi diversi dall’idrogeno mostravano dettagli non spiegabili con il modello di Bohr. Ad esempio, si notava l’emissione di fotoni aventi due o più energie definite molto vicine, rilevabili dalla lastra come due o più righe vicinissime tra loro (doppietti o multipletti). Nel 1916 Sommerfield ed altri superarono la difficoltà ipotizzando che gli elettroni potessero percorrere intorno al nucleo, in aggiunta a quelle circolari, orbite stazionarie ellittiche la cui energia era quantizzata e dipendeva da un numero quantico secondario che può assumere i valori 0,1,2…. n – 1. Successivamente furono introdotti altri due numeri: il numero quantico magnetico ml (spiegava lo sdoppiamento di alcune righe che si verificava quando l’emissione dei fotoni avviene in un forte campo magnetico) ed il numero quantico di spin ms (associato alla rotazione dell’elettrone su se stesso). 7 LIMITAZIONE DEL MODELLO DI BOHR Il modello di Bohr non può essere esteso in modo soddisfacente ad atomi con più di un elettrone anche perché l’ipotesi arbitraria che esistano orbite stazionarie sulle quali l’elettrone non irraggia energia era contraria alle leggi della fisica classica. Allora, può la fisica classica, le cui leggi sono valide per gli oggetti macroscopici, essere estesa a corpuscoli piccoli come l’elettrone? Nel 1926, Heisenberg stabilì con il suo Principio di indeterminazione che, al contrario di quanto avviene per gli oggetti macroscopici, è impossibile determinare esattamente e contemporaneamente in un dato istante la posizione di una particella atomica e la sua velocità. Infatti, detta x l’indeterminazione della posizione e v quella della velocità, per una particella di massa 10-27 grammi in moto ad una certa velocità, l’incertezza della posizione diviene così grande che non si può esattamente stabilire dove si trovi la particella e si può solo dire che essa si trova in un certo volume (ad esempio, in un cubo di lato x). Quindi, non ha senso parlare di una posizione precisa dell’elettrone, ma esso va pensato come disperso in una regione di spazio (interpretazione probabilistica del moto degli elettroni). Nel 1924, il fisico danese De Broglie dimostrò che ad ogni particella di massa m in movimento a velocità v è associata un’onda la cui lunghezza d’onda è data dalla relazione: h mv Tale teoria fu confermata negli anni successivi quando ricerche sperimentali dimostrarono che un fascio di elettroni mostra proprietà ondulatorie (ad esempio, da origine a fenomeni di diffrazione quando attraversa particolari reticoli cristallini).Questo “dualismo onda – particella” (l’elettrone si comporterebbe a volte come una particella ed altre volte come un’onda) prevede che le onde associate con l’elettrone, e con qualsiasi altra particella in movimento, siano onde di materia che si muovono con velocità diverse (al contrario delle onde elettromagnetiche che si muovono alla velocità della luce). Queste nuove teorie erano, evidentemente, in completo disaccordo con il modello di Bohr secondo il quale gli elettroni sono solamente corpuscoli materiali che percorrono precise orbite circolari intorno al nucleo. 8 L’EQUAZIONE DI SCHROEDINGER ed il MODELLO AD ORBITALI DELL’ATOMO Il principio di Heisenberg afferma che la descrizione del moto di un elettrone intorno al nucleo può essere fatta solo in modo probabilistico; in altre parole, fissato un sistema di riferimento cartesiano con origine nel nucleo, qual è la probabilità che l’elettrone si trovi in ogni volume infinitesimo intorno ad generico punto di coordinate (x,y,z)? Nel 1926, Schroedinger ricavò un’equazione che introduce la cosiddetta funzione d’onda (psi) priva di per sé di significato fisico, ma il cui quadrato 2 rappresenta la probabilità che un elettrone si trovi nel volume intorno al generico punto (x,y,z). Quindi, 2 è una densità di probabilità e poiché l’elettrone deve trovarsi in un qualche punto dello spazio, la probabilità totale (cioè estesa a tutto lo spazio) di trovare l’elettrone è del 100%. La funzione d’onda dipende da quattro numeri quantici: n, numero quantico principale: numero intero che può variare da 1 a infinito energia degli orbitali , numero quantico secondario (o angolare): numero intero che assume tutti i valori da 0 a (n -1) forma degli orbitali m, numero quantico magnetico: numero intero che assume tutti i valori 0, 1, 2… numero di orbitali s, numero quantico di spin: associato alla rotazione dell’elettrone su se stesso, può assumere solo i valori 1/2. Una particolare funziona d’onda che soddisfa i valori consentiti dai numeri quantici descrive il cosiddetto ORBITALE ovvero la regione dello spazio in cui è massima la probabilità di trovare l’elettrone. Gli orbitali corrispondono alle orbite stazionarie del modello di Bohr e, come esse, possono essere o non essere occupate dall’elettrone. Tutti gli orbitali che hanno lo stesso numero quantico principale appartengono allo stesso guscio o strato e sono indicati con un numero che indica il valore di n e da una lettera minuscola che indica il valore di : = 0 1 2 3 4 ……. Lettera s p d f g 9 Rappresentazione degli orbitali dei primi quattro gusci n 1 2 0 0 0 0 Simbolo dell’orbitale 1s 2s 1 -1 0 +1 2p 2p 2p 0 0 3s 1 -1 0 +1 3p 3p 3p 2 -2 -1 0 +1 +2 3d 3d 3d 3d 3d 0 0 4s 1 -1 0 +1 4p 4p 4p 2 -2 -1 0 +1 +2 4d 4d 4d 4d 4d 3 -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 4f 4f 4f 4f 4f 4f 4f 3 4 m ORBITALI DELL’ATOMO DI IDROGENO Gli orbitali sono estesi a tutto lo spazio attorno al nucleo che viene posto all’origine del sistema di riferimento. La più semplice descrizione geometrica consiste nell’unire tutti i punti in cui la probabilità 2 assume lo stesso valore; in tal modo, si ottengono delle superfici di uguale densità elettronica che delimitano la forma dell’orbitale cioè un volume all’interno del quale la probabilità di trovare l’elettrone è molto alta (ad esempio, il 90%). o Orbitali s ( = 0): hanno forma sferica con il nucleo posto al centro; ne deriva che, a parità di distanza dal nucleo, la densità di probabilità assume lo stesso valore in tutte le direzioni, cioè la probabilità di trovare l’elettrone dipende solo dalla distanza dal nucleo (essa è massima in prossimità del nucleo). o Orbitali p ( = 1): sono sempre tre ed hanno forma lobata (ogni orbitale p è diretto lungo un asse cartesiano); la probabilità di trovare l’elettrone dipende, oltre che dalla distanza dal nucleo, anche dalla direzione (massima lungo i tre assi cartesiani e nulla nel cosiddetto piano nodale, cioè ad un asse perpendicolare all’asse scelto). o Orbitali d ( = 2): sono sempre cinque ed hanno forme particolari. o Orbitali f ( = 3): sono sempre sette ed hanno forma ancora più complesse dei precedenti. Il sistema costituito dal nucleo e dall’elettrone dell’atomo di idrogeno ha un contenuto di energia che dipende dal particolare orbitale in cui si trova l’elettrone, energia dettata esclusivamente dal numero quantico principale n per cui tutti gli orbitali dello stesso guscio hanno la stessa energia. Il modello quantistico dell’atomo di idrogeno fornisce, seppur con concetti basilari notevolmente diversi, gli stessi risultati; infatti, lo spettro atomico dell’idrogeno si spiega con il passaggio dell’elettrone da un orbitale ad energia maggiore ad un orbitale con energia minore, con emissione di un fotone di energia corrispondente alla differenza di energia tra i due orbitali (analogamente a quanto proposto da Bohr che ipotizzò, però, l’esistenza di orbite circolari e non di orbitali). 10 LA CONFIGURAZIONE ELETTRONICA DEGLI ATOMI In tutti gli atomi polielettronici, ogni elettrone risente, oltre che dell’attrazione del nucleo, anche della repulsione elettrostatica esercitata da tutti gli altri elettroni. Ne segue che la relativa equazione d’onda risulta essere molto più complicata e di difficile soluzione. Nonostante questo, è possibile conoscere come sono distribuiti gli elettroni nei vari orbitali di ogni atomo, ovvero la cosiddetta configurazione elettronica, rispondendo ai seguenti quesiti: a) b) c) d) e) quali sono gli orbitali presenti in tali atomi? qual è la loro forma? qual è la loro energia? quanti elettroni possono occupare un qualsiasi orbitale? come si distribuiscono li elettroni tra i diversi orbitali disponibili? La risposta alle prime tre domande è fornita da un semplice principio di costruzione (“Aufbau”) secondo il quale gli orbitali degli atomi polielettronici sono simili a quelli dell’atomo di idrogeno per tipo, forma e dimensioni, ma non per l’energia associata ad orbitali appartenenti allo stesso livello ( a causa delle interazioni tra i diversi elettroni); infatti, sperimentalmente, è stato dimostrato che l’ordine di energia degli orbitali negli atomi con più di un elettrone segue il seguente ordine (crescente da sinistra verso destra): 1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s…. Gli orbitali aventi la stessa energia (orbitali p, d e f) si dicono orbitale degeneri. Alla domanda d) risponde il PRINCIPIO DI PAULI (1925) secondo il quale gli elettroni di un atomo non possono essere caratterizzati dagli stessi numeri quantici, ovvero ogni orbitale può essere occupato al massimo da due elettroni con spin opposti. 11 Infine, nel caso di orbitali degeneri (aventi la stessa energia), gli elettroni si dispongono seguendo la REGOLA DI HUND (o principio della massima molteplicità, 1925): gli elettroni tendono a disporsi con spin paralleli nel massimo di orbitali disponibili, poi li completano. Entrambi questi principi trovano spiegazione nella naturale tendenza alla repulsione elettrostatica tra gli elettroni. E’ possibile, quindi, scrivere la configurazione elettronica dei vari elementi chimici seguendo l’ordine di energia degli orbitali (“Aufbau”) ed andando a riempire i vari orbitali tenendo presente che: - gli orbitali s contengono al massimo due elettroni; - i tre orbitali p contengono al massimo sei elettroni; - i cinque orbitali d contengono al massimo dieci elettroni; - i sette orbitali f contengono al massimo quattordici elettroni.