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Il re sotto il parcheggio. Storia dolceamara del ritrovamento di Riccardo III
venerdì 02 agosto 2013
Il re sotto il parcheggio. Storia dolceamara del ritrovamento di
Riccardo III
di Raffaele
Pinto*
Perché la storia è bella? La
domanda è di quelle che fanno tremare le vene e i polsi e non va proprio bene
per un quiz preserale.
La risposta, per quanto mi riguarda,
è un po' complessa.
Per me, laureato con una tesi in
storia, appassionato di storia, frequentatore di biblioteche e di archivi, dire
che attraverso la storia io riesco a sentirmi più vivo e più consapevole di ciò
che c'è intorno a me (di bello e di brutto), potrebbe essere una bella
risposta. Bella e completa, sì: ma forse non basta.
La storia è il mezzo attraverso
il quale è possibile ridare voce, spessore morale, vita e carisma a persone e
luoghi trasformati, dal passare dei secoli, in polvere, in ombre, in echi di
esistenze lontane.
Ma più di ogni altra cosa, la
storia è la nemesi dell'ignoranza, della nebulosità dell'approssimazione, della
comodità della leggenda e della fiaba.
Per questa ragione non bisogna
aver paura, mai, di sostenere ed incoraggiare ricerche, anche sui temi più
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scottanti del recente e del lontano passato, anche sulle personalità collocate
dalla retorica in una nicchia di intoccabilità (nel bene e nel male) dalla
quale ai più pigri fa comodo non spostarli più.
Ancora una volta, tra il 2012 ed
i 2013, la storia, quella bella, entusiasmante, che ha il sapore della
sceneggiatura di un film ma viaggia invece sulle certezze dei documenti, degli
scavi e delle repertazioni di resti ed oggetti antichi o antichissimi, ebbene,
quella storia ha reso omaggio, ha reso giustizia a due grandi intellettuali del
passato tacciati di essere dei calunniatori, dei meschini partigiani di una
casata, dei mascalzoni ‘in penna, carta e
calamaio'.
Per secoli, infatti, prima
Tommaso Moro, poi William Shakespeare sono stati tacciati di partigianeria
avendo descritto re Riccardo III come un mostro morale e fisico, come un essere
psicologicamente e fisicamente repellente, come la ‘summa' quattrocentesca della mostruosità etica e politica.
E giù tutti a pensare: ma che gli
avrà fatto mai a quei due quel povero disgraziato? Ma era poi così diverso da
tanti re o aspiranti re o ‘usurpanti il potere regale' in circolazione per
l'Europa tra il 1000 ed il 1800?
Si pensava, insomma, che la
visione di quel lontano sovrano fornitaci dai due intellettuali inglesi fosse
gratuitamente cattiva.
Ma se il tempo è galantuomo e la
storia è la più bella e la più nobile gentildonna, anche Moro e Shakespeare,
alla fine, si sono presi la loro bella rivincita.
E si. Perché tra l'estate e
l'autunno del 2012, l'università di Leicester si è convinta ad iniziare una
campagna di scavo che portasse alla luce due cose: l'antico convento di
Greyfriars Church e le ossa dello sventurato Riccardo III.
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Armati di santa pazienza ed una
pila di carte antiche, gli archeologi inglesi hanno individuato il loro sito
(adesso un parcheggio sotterraneo), hanno iniziato a scavare e puntualmente
hanno trovato, forti della Storia (quella dei documenti, delle mappe, delle
lettere e di quell'oro culturale conservato
negli archivi) prima l'antico centro religioso e, all'interno del suo
perimetro, uno scheletro di un metro e settantatre centimetri di lunghezza, con
una spina dorsale deformata e numerosi segni di ferite da battaglia.
Mentre i suoi colleghi si sporcavano
le mani scavando e catalogando, il prof. Ashdown-Hill ricostruiva fino ai
giorni nostri la genealogia riccardiana, riuscendo a trovare (in Canada,
pensate un po') il figlio della 16^ pronipote del re shakespeariano.
Controllato il DNA dello
scheletro e quello dell'anziano signore canadese (di progenitori inglesi), i
ricercatori sono stati sicuri che quello ritrovato sotto un parcheggio
sotterraneo fosse davvero il corpo (o meglio lo scheletro abbastanza ben
conservato) di Riccardo III.
Così si è scoperto che davvero
Riccardo III camminava curvo per una gravissima scoliosi (che non gli impediva
tuttavia di cavalcare e di combattere); che davvero egli aveva un braccio meno
sviluppato dell'altro; e che davvero, come la leggenda narrava, egli fosse
morto ‘perché un nugolo di soldati di
Enrico (VII Tudor, futuro re d'Inghilterra alla morte di Riccardo) lo aveva bloccato nel fango col suo cavallo,
assalito con picche, colpito a morte sull'elmo e massacrato a fendenti sulla
testa quando egli era a terra'.
La storia, ancora una volta, è
stata una gentildonna. Ha dimostrato che Moro e Shakespeare non mentivano ed
ha, a suo modo, con la pietà che ogni morto merita, anche in parte rivalutato
la persona di questo re che, malgrado tutti i difetti, fisici e morali, adesso
si è certi che sia morto eroicamente, anche se perseguendo un fine non proprio
santo: quello di conquistare un trono che avrebbe dovuto andare al nipote
Edoardo V.
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Con buona pace di tutti.
* Questo articolo segna l'inizio della collaborazione del prof. Raffaele Pinto, con assoluto sprito amichevole. Il livello
dell'autore è sicura garanzia di qualità . Per Tursitani.it è un onore e un piacere. Lo ringraziamo moltissimo, anche a
nome dei tanti lettori/naviganti.
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