La scuola pitagorica

annuncio pubblicitario
PITAGORA
Mileto e tutte le polis dell’Asia Minore sono ormai sotto attacco dell’Impero persiano. Tutta la Grecia dovrebbe correre in
loro aiuto, ma alla fine è soprattutto Atene a sobbarcarsi l’onere dell’impresa. Assediata da un nemico decisamente più
potente, le città greche della Lydia decadono rapidamente. In un paese in guerra è difficile fare filosofia: a parlare sono le
armi, non la ragione. E così la filosofia si trasferisce in luoghi più sicuri, nelle vicine isole dell’Egeo, dove nasce Pitagora,
nella penisola greca e nella Magna Grecia, vale a dire l’Italia Meridionale, dove ritroviamo Pitagora.
Pitagora è una figura davvero singolare, al punto che taluni studiosi sono convinti che non sia mai esistito. Una posizione
tutt’altro che assurda, dato che anche coloro che lo ritengono un personaggio realmente esistito, affermano che non si è
mai mostrato in pubblico e che anche durante le lezioni amava nascondersi dietro una tenda. È dunque molto difficile
ricostruirne la biografia, sempre se si vuole credere alla sua esistenza. Sarebbe di conseguenza più giusto parlare di
“pitagorismo” e tralasciare gli elementi biografici del presunto fondatore. E tuttavia sono numerose le fonti che parlano di
Pitagora e sarebbe ingiusto non farne menzione. Tali fonti ci dicono che Pitagora nasce intorno al 570 a.C. nell’isola di
Samo, non lontano dalle coste lidie. Come Talete, Anassimandro e Anassimene, decide anche lui di partire alla volta
dell’Egitto. Qui studia soprattutto matematica e apprende l’antica sapienza egiziana. Dopodiché lo si ritrova quasi
contemporaneamente – stando a numerose fonti – tra i Caldei per studiare astronomia, in terra Fenicia per apprendere la
geometria, dai Magi per apprendere i riti mistici. Non volendo credere al dono dell’ubiquità – sebbene i suoi discepoli lo
venerino come un dio – si deve ritenere che abbia visitato tutti questi luoghi in tempi diversi. Intorno ai quarant’anni – e
qui le fonti finalmente concordano – lo ritroviamo in Italia, a Crotone per la precisione. A partire da questo momento le
testimonianze sono più precise e descrivono un Pitagora già molto conosciuto se è vero che può vantare un numero
considerevole di seguaci. Spuntano come funghi numerose scuole pitagoriche, scuole molto particolari e assai differenti
da quelle lidie. Si tratta infatti di vere e proprie sette, politiche e religiose al tempo stesso, con riti iniziatici e regole tanto
rigide quanto assurde, come il divieto di mangiare le fave, di spezzare il pane, di non attizzare il fuoco con il ferro e di
non toccare il gallo bianco. Trattandosi di scuole in cui si insegna l’eliocentrismo (vale a dire che è la Terra e non il Sole
che gira intorno al Sole, cosa di cui gli europei si convinceranno solamente duemila anni dopo!) e dove si creano teoremi
matematici ancora oggi validi, è difficile ritenere che si tratti di una combriccola di disturbati mentali o di paranoici.
Dietro a quelle regole apparentemente così assurde si devono celare messaggi comprensibili solo agli iniziati. Ma una di
quelle regole, il divieto di mangiare fave, doveva essere davvero molto importante se è vero – come si vedrà in seguito –
che probabilmente costerà la vita anche allo stesso Pitagora. Al di là del significato da attribuire a tali divieti, rimane il
fatto che la Scuola pitagorica si presenta come una sorta di caserma, dove i discepoli passano tutto il loro tempo a studiare
e ad ascoltare le lezioni di un maestro che ama nascondersi dietro una tenda. Tutto il contrario di quanto accadeva in Asia
Minore. La cosiddetta Scuola di Mileto, infatti, era itinerante, amava mostrarsi in pubblico e discutere con loro delle
ricerche, delle scoperte, delle problematiche quotidiane. E lo siamo anche dal punto di vista politico, in quanto i filosofi di
Mileto erano tutti partigiani della democrazia, mentre quelli pitagorici sono tutti di provata fede aristocratica. Ma che cosa
insegna Pitagora? Qui le differenze con Mileto si stemperano. Anche lui, infatti, ritiene che la doxa non fornisca una
immagine reale della realtà, che occorra pervenire all’arché delle cose, che ritiene di riscontrare nel numero, come
vedremo. Ma da buon aristocratico è convinto che la verità sia preclusa ai più. Da questo punto di vista, la scuola
pitagorica è più simile a quelle orientali o dell’antichità, vere e proprie sette politico-militari che custodivano gelosamente
tutti i propri segreti. Il segreto che Pitagora conserva è che il vero sapere risiede nella mathémata, la matematica. “Tutto è
numero”, ama ripetere.
Custodi di segreti destinati comunque a cambiare il mondo, i pitagorici sono tuttavia fortemente impegnati in politica.
Essi mettono il loro sapere al servizio della destra più reazionaria, dei dittatori più autoritari e talvolta sono loro stessi a
prendere il potere, instaurando un regime liberticida che provoca vere e proprie insurrezioni in Italia meridionale. E sarà
proprio durante una di queste insurrezioni a costare carissimo a Pitagora, il quale, inseguito da una folla inferocita –
racconta il filosofo di epoca romana Porfirio – preferisce farsi catturare e uccidere piuttosto che … attraversare un campo
di fave!
E tuttavia è a Pitagora che dobbiamo il termine di philosophia, la cui traduzione letteraria è “amore del sapere”.
Naturalmente l’amore greco pre-socratico non ha nulla a che vedere con quello attuale e si vedrà in seguito quanto più
complessa e affascinante sia tale traduzione. Pitagora, se mai è esistito, muore nel 490, forse a Metamponto, forse
scannato dagli avversari politici, forse di morte naturale. Chissà.
L’unità
Pitagora non lascia nulla di scritto. Non così i suoi discepoli. Ma non sappiamo se questi ultimi abbiano fedelmente
riportato il pensiero del maestro. Di conseguenza, una volta descritta la vita del maestro, d’ora in poi sarà meglio parlare
di filosofia pitagorica. Si diceva come i pitagorici credessero nell’esistenza di una realtà più profonda, di un arché
universale. Ebbene, tale principio primo è il numero, o meglio l’unità, rappresentata graficamente come un punto. Più
punti creano una successione di numeri e di figure geometriche, come il 10 (il numero perfetto per i pitagorici) che dà vita
ad un triangolo, come nella figura che segue:
Ma se tutto è numero e i numeri si possono combinare tra loro dando vita ad altri numeri, allora la stessa cosa si può fare
con la natura. Qui sta la svolta, decisiva, nella storia del pensiero occidentale: la matematica è il linguaggio della natura e
l’uomo, possedendo tale conoscenza, può non solo penetrarla a fondo ma anche manipolarla. Anche la più semplice
espressione matematica, poniamo “a+b=c”, può essere tradotta in termini naturali, per esempio:
“arancio+mandarino=mandarancio”. Insomma, la matematica è uno strumento straordinario nelle mani dell’uomo, grazie
alla quale d’ora in poi potrà sottomettere la natura. Fino a Pitagora l’uomo greco viveva con un misto di terrore e fascino
di fronte alle soverchianti potenze naturali, al punto che persino il tempo doveva adattarsi ai suoi cicli. Lo stesso
Anassimandro affermava che l’uomo doveva pagare il fio dell’ingiustizia commessa, quella di avere rotto l’unità
primordiale. Ebbene, Pitagora elogia proprio tale rottura e invita l’uomo a spezzare i nessi naturali tra le cose, fino al
punto di reinventarne di nuovi, del tutto artificiali. L’uomo può “sommare” il cavallo ad un asino per avere un animale
completamente al suo servizio: il mulo. Esseri che non esistono in natura, pure creature dell’uomo, vero legislatore
dell’universo. E se la matematica è il linguaggio della natura, allora basteranno pochi semplici calcoli per prevedere
quanto la stessa natura ha in serbo. E tuttavia, a differenza di quanto accadrà in seguito, i Pitagorici hanno un estremo
rispetto nella natura. La descrivono come animata, in grado di emettere dei suoni: una vera e propria sinfonia, che è
possibile tradurre in termini matematici. Esiste, per esempio, un rapporto costante tra la lunghezza delle corde di una lira
e gli accordi fondamentali della musica: 1/2 per l'ottava, 3/2 per la quinta e 4/3 per la quarta. Pentagramma, tempo, linee,
note, pause: la musica è matematica allo stato puro. Un’altra straordinaria scoperta dei Pitagorici tutt’ora valida.
La matematica è un linguaggio universale. Laddove l’uomo semplice vede una montagna, il Pitagorico vi scorge un
triangolo. Da allora poco o nulla è cambiato e infatti gli uomini semplici parlano una babele di lingue sena capirsi mentre
gli scienziati si intendono alla grande attraverso numeri, punti e linee. Non è un caso che quando si è trattato di mandare
in orbita una navicella spaziale nella speranza che venisse intercettata da qualche intelligenza extraterrestre, la si è
riempita di espressioni matematiche, geometriche ed algebriche, non certo di frasi del tipo “salve, siamo terrestri. Venite a
trovarci!” Perché se la matematica è il linguaggio universale, allora è in grado di essere compreso da qualunque essere
intelligente. Anche coloro che stanno scandagliando con potentissimi radar ogni anfratto del cielo alla ricerca di segnai
sonori di vita extraterrestre non si aspettano certo un messaggio in chissà quale lingua. Piuttosto sperano di intercettare
tutta una serie di impulsi regolari, che dimostrino l'esistenza di una qualche forma di vita.
La Scuola/Setta di Pitagora è dura, anzi durissima per chi la frequenta. Ed è forse per alleviare le fatiche che si creano veri
e propri giochi matematici, come quello che segue:
Apparentemente (vale a dire per la doxa) tale figura non ha alcun senso. Ci sono sedici numeri messi senza alcun rapporto
tra loro. Ma se si sommano le cifre di ogni rigo, di ogni colonna o di ogni diagonale, si ottiene sempre un totale di 34! E
questo è uno dei più semplici giochetti pitagorici.
Ma la matematica pitagorica ha un grosso limite, quello rappresentato dai numeri razionali. Anche il noto teorema che
porta il nome del maestro fondatore non può spingersi oltre. E tuttavia l’esistenza di altri numeri, quelli irrazionali, non
doveva essere sconosciuta a Pitagora e ai suoi discepoli se era vietato anche solamente citarli, pena la morte. Alcune fonti
narrano che un giorno un certo Ippaso, ostinandosi a volere calcolare la diagonale di un quadrato, si è trovato di fronte ad
uno strano numero: la radice quadrata di due. Una scoperta che rischia di fare crollare tutto l’edificio del sapere
pitagorico. E così Ippaso, conscio dei pericoli che sta correndo, decide di abbandonare la scuola di nascosto. Ma viene
sorpreso e inseguito. Ad un certo punto si trova di fronte il mare, preferendo la morte per annegamento piuttosto che le
violenze dei suoi ex compagni di studio.
Il pitagorismo ottiene incredibili successi anche in campo astronomico. Pitagora e compagni descrivono in maniera quasi
del tutto corretta la struttura del sistema solare con duemila anni di anticipo: l’eliocetrismo (la Terra gira intorno al Sole),
la sfericità dei pianeti, l’esistenza di altri pianeti oltre a quelli visibili ad occhio nudo e della possibilità che siano
anch’essi abitati da esseri intelligenti. Copernico, nel XVII secolo, ammetterà di essersi rifatto ad antichi testi pitagorici
per la sua rivoluzione eliocentrica ed è probabile che lo stesso Cristoforo Colombo, pochi anni prima, abbia avuto tra le
mani qualche antica carta pitagorica prima di convincersi di potere raggiungere le “Indie” da Occidente.
Scarica