INTRODUZIONE - Etica e Scienza

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INTRODUZIONE
Finalità
Poiché la "cultura scientifica" costituisce un fenomeno di vastità mondiale e uno dei
problemi più rilevanti per l'umanità, per la chiesa e per la nuova evangelizzazione, ci
proponiamo di approfondirne la comprensione, per verificare le possibilità di un nuovo
rapporto, sereno e dialogico, fra la fede cristiana e gli aspetti più significativi della
cultura scientifica.
Per realizzare ciò dovremo superare alcuni vecchi schemi che hanno orientato il
rapporto fede-scienza, centrandolo su presunti contrasti o concordismi. A tal fine
dovremo valorizzare il ricchissimo patrimonio di idee originali e di nuove opportunità
elaborato dalla "riflessione della scienza" e, ancor più, dalla "riflessione sulla scienza"
negli ultimi centocinquant'anni.
Perciò analizzeremo, dapprima, i contesti storico concettuali e le tematiche più
generali della cultura scientifica, per passare, poi, ad alcuni suoi aspetti più specifici e,
infine, alle implicazioni fondamentali del rapporto fra fede cristiana e cultura
scientifica.
Contenuti
Il primo capitolo esamina le radici storiche, concettuali e ideologiche del rapido
sviluppo della scienza e della mentalità scientifica, nella moderna cultura occidentale.
Una particolare attenzione è riservata ai temi del "progresso" e della "razionalità".
Nel capitolo secondo, consideriamo alcuni problemi dell'ambito scientifico,
nell'attuale transizione dal paradigma "moderno" a quello nuovo "post-moderno".
Il terzo capitolo analizza alcuni risultati di una recente indagine sulle idee e gli
atteggiamenti degli uomini di scienza, con particolare riguardo ai rapporti fra ricerca,
sapere scientifico, applicazioni, valori etici e trascendenza.
Nel quarto capitolo seguiamo le fluttuazioni storiche dell'impresa scientifica e
l'intreccio della grande varietà di posizioni e intepretazioni che hanno reso la tematica
scientifica così articolata e complessa.
Il capitolo quinto segue il sofferto itinerario epistemologico e filosofico che, fra
critiche e autocritiche, ha condotto il mondo scientifico contemporaneo a convincersi
che le sue conoscenze pur essendo limitate, parziali, provvisorie, congetturali e fallibili
non sono, per ciò stesso, né false né meno scientifiche.
Nel capitolo sesto vengono analizzati i due pilastri della scienza moderna: le teorie e
i metodi, di cui la critica storica ed epistemologica, negli ultimi cinquant'anni, ha
analizzato l'attendibilità e il significato, nel contesto di una scienza congetturale,
fallibile, inverificabile, parziale e provvisoria.
Il settimo capitolo studia le sfide poste alla ragione scientifica contemporanea da
una serie di nuovi problemi emergenti, quali la complessità, il disordine, il caos, il
fortuito, i sistemi dinamici complessi e dissipativi, ecc. che, evidenziando i nuovi
aspetti dell'episteme, preludono a un nuovo paradigma epistemologico e scientifico.
Nel capitolo ottavo consideriamo le scienze umane con il loro "specifico
irriducibile": l'uomo, che esige un modello di scientificità più ampio e duttile, dotato di
rigore e di oggettività appropriati, in cui le strutture simboliche e immaginarie trovino
pieno rispetto e adeguato statuto epistemologico.
Il nono capitolo studia le potenzialità culturali della scienza, che emergono dalle sue
acquisizioni e dai suoi stessi plessi problematici. La molteplicità dei linguaggi, i
rapporti fra formalismi e realtà, l'uso sintetico della ragione e altri temi, per quanto
difficili e discussi, costituiscono altrettante aperture di notevole spessore culturale.
Il decimo capitolo analizza le proposte dell'umanesimo scientifico, volte a mettere in
luce il significato umano della scienza e il profondo valore umanistico di un autentico
impegno scientifico. Ne emerge una scienza essenziale, come fattore di sviluppo
personale e culturale e come evento altamente significativo in ogni ambito: religioso,
filosofico, etico e sociale.
Nel capitolo undicesimo viene approfondito il paragone fra gli atteggiamenti
fondamentali del credente, dell'uomo religioso e dell'uomo scientifico, valorizzando le
acquisizioni fenomenologiche e antropologiche, che collegano l'esperienza e gli
atteggiamenti della ricerca scientifica, della religiosità e della fede. Questi
atteggiamenti, con le loro analogie, peculiarità e diversità, si rivelano essenziali per lo
spirito dell'uomo e per una crescente tutela della dignità delle persone, dell'autenticità
delle culture e della libertà delle società.
I capitoli dodici e tredici, compendiano e completano i risultati della ricerca,
sviluppandone le ulteriori implicazioni per il nuovo rapporto dialogico da sviluppare fra
fede e cultura scientifica.
Ogni capitolo si apre con un'introduzione ai problemi e si chiude con una
conclusione che sottolinea gli aspetti salienti e i risultati di maggior rilievo emersi
sull'intero tema. I termini specialistici e tecnici sono spiegati in nota e riproposti pure in
un breve lessico finale.
2
1. LE RADICI CULTURALI DELL'IMPRESA SCIENTIFICA MODERNA
1.
Cenni introduttivi
La scienza moderna esordì in un contesto storico e culturale di grandi aspettative, che essa
contribuì ad accentuare. Qui ne esamineremo le radici, nei temi del "progresso" e della "razionalità",
considerati i caposaldi della società moderna. Infatti, tali premesse, all'apparenza positive,
appesantirono la scienza di significati, compiti e ruoli che non le appartenevano, che non poteva
soddisfare e che la posero progressivamente in conflitto con le altre grandi espressioni dello spirito
umano: metafisica, etica, religione e teologia.
In più, le attese deluse fecero sospettare la scienza di aver tradito le grandi speranze riposte in essa.
Oggi, la svolta epistemologica del XX secolo e il nuovo spirito scientifico consentono di superare le
vecchie difficoltà e di ripercorrere un cammino in cui conflitti e incomprensioni possono cedere il
passo a un confronto più sereno e costruttivo.
2.
Progresso: concetto e ideologia
L'idea di "progresso", riferita a oggetti e situazioni, normalmente designa un generale processo di
miglioramento della realtà. Applicata alla storia umana, indica manifestazioni specifiche di
intelligenza, volontà e capacità, nell'ambito personale, sociale e culturale. Essa non era ignota agli
antichi, ma rimase compressa dalle grandi concezioni dei "cicli alterni" e dell'"eterno ritorno", che
dominavano il pensiero e le culture pre-cristiane.
Alla metà del secolo XVIII, l'idea di un progresso continuo, totale e senza limiti, trovò in Europa
le condizioni per un grande sviluppo e ispirò numerose correnti di pensiero. Essa, poi, cadde in crisi
alla metà del secolo XX. Per capire la sua ascesa, culminata in Hegel, Marx e Comte, occorre risalire
all'illuminismo e ai grandi propugnatori del progresso, quali Voltaire, Diderot, Turgot, Condorcet ecc.1
Quest'ultimo, nel suo "Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano", (17921793), rifiutava l'alternarsi ciclico del progresso e della decadenza, propugnando la tesi del progresso
continuo.2 Le nuove scienze, forti della sola ragione, dovevano assicurare un progresso illimitato a
tutta l'umanità. Avrebbero cancellato le superstizioni e assicurato a tutti una continua ascesa.
Avrebbero sconfitto definitivamente le cause di decadenza della ragione: metafisica, religione, fede e
teologia. Avrebbero cancellato dalla storia, drammi rischi e incertezze e fatto regnare incontrasta la
verità, certa, definitiva e indubitabile.
Anche Kant sosteneva, in termini più equilibrati, il progresso continuo e Hegel lo inserì in un
processo d'incomparabile grandezza.3 I positivisti fecero, delle idee comtiane di evoluzione e di
progresso, la religione laica degli intellettuali e delle classi dominanti.4 Spencer teorizzò la
convergenza di progresso ed evoluzione cosmica.
Pertanto, fra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX, l'idea di progresso impregnò talmente la
coscienza europea, da renderla impenetrabile a dubbi e critiche e da condizionare teorie filosoficopolitiche come il marxismo, e scientifiche come l'evoluzione naturale. La ragione scientifica
s'identificò sempre più nel progresso, per cui ogni critica a questo costituiva un'eresia scientifica. Oggi
si parla del progresso come di una "fede ideologica laica" che nulla e nessuno, fino alla metà del XX
secolo, riuscì a mettere in discussione. Ci vollero le conseguenze di ben due guerre mondiali in soli
trent'anni.
3.
Scienza e fede nel progresso
L'idea di progresso, per sé, non comportava quella di conflitto con le altre forze culturali. Perciò,
per capirne il carattere conflittuale, occorre risalire ad altre premesse. Il Rinascimento aveva impresso
un forte impulso allo studio della natura e alla critica del principio di autorità. Descartes aveva diffuso
l'istanza razionalista delle idee chiare e distinte. Le guerre di religione del secolo XVII avevano
traumatizzato la coscienza religiosa e laica dell'Europa, soprattuto dopo che la guerra dei trent'anni
(1618-1648), con le sue stragi e devastazioni in numerosi Stati, aveva infranto definitivamente l'unità
dell'occidente.5
Fede e religione cristiana, invece di portare al genere umano pace, comunione e civiltà, avevano
provocato guerre, violenze, fanatismo e discriminazioni. Pure i filosofi erano divisi e dividevano le
menti. Le élites europee cercavano urgentemente una nuova base di pace, di civiltà e di consenso
universale per tutta l'umanità. Solo le scienze, con le loro dimostrazioni controllabili, sembravano
capaci di creare quel consenso comune, che svaniva ogni giorno di più. La nuova cultura, perciò,
tendeva a divenire sempre più scientifica e sempre meno metafisica o teologica.
Galileo, con il suo metodo scientifico, offrì lo strumento più adatto ed efficace alle esigenze
naturalistiche del Rinascimento. Newton lo portò al più alto livello, dando al mondo l'inebriante
sensazione che la scienza potesse rendere la realtà intellegibile a tutti. I suoi segreti erano svelati dalla
ragione: non vi sarebbero stati più "misteri". Le leggi scientifiche s'imponevano a tutti e interpretavano
fatti e fenomeni misteriosi mediante un unico principio. La ragione scientifica trasformava l'universo
in un'immensa macchina (meccanicismo) retta da leggi inesorabili (determinismo) che ne regolavano
tutte le parti.6
Tuttavia, nell'immaginario del tempo, la scienza offriva ancora di più. Essa dava un metodo nuovo,
generale e definitivo applicabile a tutta la realtà, per spiegarne i fenomeni più diversi e risolvere tutti i
problemi naturali, umani e sociali. La nuova chiave di comprensione universale era il ferreo sistema
del "determinismo meccanicista". Sul suo modello sarebbero sorte chimica, embriologia, istologia,
anatomia comparata, paleontologia ecc. Scienze antiche rinnovate e nuove scienze si diffondevano. I
filosofi-letterati, divenuti ricercatori scientifici, si prodigavano in divulgazioni erudite, entusiaste e
brillanti. La Francia era in testa a questo complesso movimento.
Progressi scientifici così straordinari suscitavano reazioni quasi religiose. Montesquieu, nelle
"Lettres persanes", per bocca di Usbeck, esprimeva la massima venerazione per la ragione umana che
aveva "sbrogliato il caos" e "spiegato, mediante una meccanica semplice, l'ordine dell'architettura
divina" e concludeva, in polemica verso la religione: "la conoscenza di cinque o sei verità ha reso la
filosofia di costoro piena di miracoli e ha dato loro il modo di compiere più prodigi e meraviglie che
tutto quanto si racconta dei nostri santi profeti".7
4.
La scienza fra tendenze e correnti filosofiche
Il sensismo,8 che più tardi avrebbe condotto al materialismo, per il momento non era molto seguito
dagli operatori scientifici, che preferivano il fenomenismo,9 rinunciando alle essenze delle cose per
concentrarsi sui fenomeni e sulle leggi che li regolano. Locke, grande veneratore della scienza e
perfezionatore del cartesianesimo, veniva ammirato per la sua opposizione a ogni dogma, tradizione e
autorità e per la consapevolezza dei limiti della ragione. Fedele al dubbio metodico e sistematico,
convinto del valore dell'esperienza, propugnava il libero esame per tutta la conoscenza umana.
Il pensiero scientifico acquisiva, dalla filosofia, due caposaldi fondamentali: il dubbio metodico che
rifiutava ogni autorità e tradizione e la certezza dei fatti interni o di coscienza. Il pensiero filosofico
acquisiva, dalle scienze, caratteri quali l'enorme fiducia nel metodo, un forte empirismo, l'esclusione
dell'attività creatrice dello spirito e l'agnosticismo antimetafisico. A cementare tutto ciò provvedeva un
razionalismo, che proclamava la capacità della ragione umana di scoprire e garantire tutta la verità,
con le sue sole forze.
Il disprezzo della tradizione e del passato, considerati espressioni di ignoranza, inciviltà e
oscurantismo, non provenivano dal mondo scientifico, ma vi furono introdotti da atteggiamenti esterni,
filosofico-culturali, sempre più diffusi. Lo stesso avverrà, come vedremo, anche per il naturalismo, il
soggettivismo, l'utilitarismo e l'edonismo.10
4
Le scienze inserirono nella cultura e nella filosofia del tempo due acquisizioni fondamentali fra
loro correlate. Una era il dinamismo della natura, che diveniva un continuo processo dinamico, capace
di svilupparsi da cause perfettamente indagabili. L'altra era l'importanza che il tempo rivestiva per
quelle trasformazioni. In questo modo, l'idea del progresso inarrestabile e dell'evoluzione continua
trovavano una conferma scientifica. Se nel secolo XVIII il determinismo della fisica e l'interpretazione
puramente "causale" dei meccanismi avevano reso "inutile" l'ipotesi del Creatore, nel secolo XIX
l'interpretazione "casuale" dell'evoluzione rendeva "inutile" un piano provvidenziale riferito al
Creatore. Purtroppo, gli strumenti filosofici necessari per distinguere gli aspetti strettamente scientifici
della scoperta, dalle loro interpretazioni metafisico-filosofiche, non potevano essere forniti dalle
filosofie del tempo e quelli epistemologici erano ancora inesistenti. Sull'equivoco sarebbe divampata
la polemica fede-scienza, con la conseguente ricerca di concordismi per porvi rimedio.11
5.
Prime critiche al progresso
Nel corso del secolo XIX, tuttavia, la situazione culturale cominciò a mutare quasi
inavvertitamente. Sotto lo strato di fiducia nel progresso e nella razionalità della storia, si agitavano
inquiete istanze critiche verso l'illuminismo e il progressismo. Si elaboravano pure gli strumenti
essenziali per il loro superamento.12 Il malessere profondo dell'illuminismo sarebbe emerso più tardi
nelle critiche de "ll tramonto dell'Occidente"13 e nello sgomento o rifiuto violento che ne seguirono.
Le tesi provocatorie, e soprattutto la "profezia" della fine necessaria e irreversibile dell'Europa,
ferivano a morte l'inconcussa ideologia dell'Europa quale forma suprema di civiltà.14 Queste reazioni
emotive diedero forte risonanza a una tesi di modesto livello storico e filosofico.
Assai più pertinente, invece, fu la critica di Burckhardt alla cieca fiducia nel progresso scientifico e
alla storia intesa come crescente affermazione di libertà e di liberazione dell'uomo.15 Nelle
"Meditazioni sulla storia universale" egli sosteneva che: "la nostra presunzione di vivere nell'età del
progresso morale è estremamente ridicola, se la si confronta con quei tempi pericolosi in cui la libera
energia di volontà ideale si slanciava al cielo in centinaia di cattedrali dalle alte torri campanarie". 16
Criticava pure la cultura moderna, la crescita degli Stati e lo spaventoso aumento del loro debito
pubblico, che definiva: "la grande e miserevole burla del XIX secolo" perché: "tale modo di sperperare
in anticipo il patrimonio delle generazioni future prova che il tratto fondamentale di questo secolo è
una superbia spietata".17 L'autore tacciava di superbia e presunzione quanti giudicavano rozzo e
barbaro il passato: "Di fronte al medioevo dovremmo stare zitti, se non altro perché il suo tempo non
ha lasciato ai suoi successori nessun debito pubblico".18 Rispetto a Spengler, Burckhardt prese dalla
storia argomenti più critici e oggettivi, per confutare il concetto di progresso.
6.
Crisi e decadenza del progressismo ideologico
Le critiche più pertinenti, all'identificazione del progresso con la scienza, emersero tra la fine
dell'Ottocento e il primo Novecento.19 La fisica stava per sostituire la sua vecchia concezione
meccanicista-deterministica20 dell'universo, con una nuova visione relativistica-indeterministica, in
seguito alle innovazioni decisive di Einstein, Heisenberg, Planck e altri.21 Il rinnovamento della
scienza, tuttavia, procedeva in varie direzioni. Quella dei "fondamenti"22 coinvolgeva scienze
empiriche, formali, logiche e matematiche. Quella della "identità" coinvolgeva soprattutto le scienze
umane e sociali, che non accettavano di essere "copie" più o meno riuscite di quelle naturali. Per tutte
le scienze i requisiti di oggettività, sistematicità, rigore e uniformità si rivelavano ormai insufficienti,
arbitrari o inconsistenti.23
La caduta dell'ideologia scientista24 aveva forti contraccolpi sulle ideologie culturali e sociali e
anticipava il crollo dei regimi marxisti-comunisti. L'occidente, invece, vedeva allargarsi le crepe del
suo edificio economico-tecnologico, accusava un progressivo degrado e asfissia dei valori e soffriva
della crescente incapacità a comprendere l'uomo e a interpretare la storia.
Dopo meno di due secoli, la "profezia" filosofica di Condorcet sulla scienza, come "tempo in cui
sulla terra il sole splenderà solo su uomini liberi che non riconoscono sopra di sé altro signore che la
5
ragione" venne sostituita dalla constatazione del fisico M. Born che "scienze della natura e tecnica
hanno distrutto, forse per sempre, i fondamenti etici della civiltà".25 A sua volta M. Heidegger
completava questa diagnosi, denunciando lo scadimento della "evoluzione delle cose" nella
"involuzione dell'essenza", lo sfruttamento e le devastazioni della natura e, infine, la degenerazione
della ragione in prospettiva dell'oblio e del nichilismo.26
Di fronte a questi esiti, sembra giustificata la preoccupazione biblico-cristiana per le modalità e le
attese del progresso. Essa è resa ancor più viva dalla consapevolezza delle immense potenzialità
collegate all'impresa scientifica. La visione evangelica, infatti, ritiene che ogni impegno storico
decisivo, per risultare realisticamente attuabile e umanamente significativo, non può prescindere da
una prospettiva trascendente e da una concezione spirituale ed etica.27
7.
Scienza, filosofia e problemi irrisolti
Non va dimenticato, che lo sviluppo della scienza moderna coincise con la stagione della crescente
avversione antimetafisica. Ovviamente, ciò procurò serie conseguenze, poiché provocava la massiccia
irruzione di pseudo-metafisiche e di interpretazioni immanentistiche nella cultura generale e in quella
scientifica.28 Essa condusse pure a matematizzare sempre più le scienze, perché il crescente senso
d'immanenza accentuava l'interesse per il "regno terreno dell'uomo", che esigeva una manipolazione
tecno-scientifica della realtà, un sapere più tecnico che conoscitivo e una priorità dei problemi
metodologici.29 I maggiori scienziati (Einstein, Eddington, Heisenberg ecc.) ammonirono invano che
la scienza aspira a una comprensione più profonda di quella matematica, perché quest'ultima è soltanto
uno strumento utile per manipolare i dati, e il pensiero umano non può ridursi alla pura dimensione
quantitativa.30
L'ammonimento cadeva nel vuoto in una scienza resa, sempre più un "ripostiglio dei problemi
irrisolti" dalle filosofie che più l'avevano condizionata, quali il: sensismo e naturalismo (rapporto fra
uomo e natura), razionalismo metodologico e sistematico (rapporto fra spirito come pensiero e materia
come estensione),31 criticismo gnoseologico-morale (rapporto fra soggetto e oggetto),32 idealismo
romantico (rapporto con etica, mistica, estetica), logicismo (rapporto fra io e non io, fra spirito e
natura),33 positivismo e neopositivismo (unificazione generale dei risultati delle scienze).34 Il suo
cammino controcorrente, diveniva quanto mai difficile e tormentato.
8. Cenni conclusivi
Questo breve sguardo storico-culturale consente di vedere che alcuni caratteri, abitualmente
attribuiti alla scienza, non furono suoi originari, ma derivarono dal contesto socio-culturale in cui essa
nacque e si sviluppò.
Pertanto, l'impresa scientifica moderna non si trovò nelle migliori condizioni culturali, ma dovette
compiere un lungo e faticoso cammino per liberarsi dalle interpretazioni pseudo-metafisiche e
ideologiche che non le si addicevano. Furono proprio le qualità addossatele dalle filosofie e dalle
correnti culturali, che più la celebravano, a crearle le maggiori diffficoltà. Esse crearono una "utopia" e
una "ideologia", lo scientismo, di cui la scienza fu vittima e le cui conseguenze pesano tuttora su ampi
settori della cultura.
La scienza, attraverso difficoltà, conflitti e dispute, seppe liberarsene, conseguendo notevoli
risultati, ma disperdendo energie. Nei prossimi capitoli cercheremo di focalizzare le fasi e i risultati di
questo tormentato itinerario, per ricavarne i suggerimenti utili al dialogo fra la scienza e gli altri settori
della cultura e, in particolare, fra fede e cultura scientifica.
1
A.R.J. Turgot, Tableau philosophique des progrès successifs de l'esprit humain, Paris
1750; Id., Plan de deux discours sur l'histoire universelle, Paris 1751.
6
2
M.J.A.N. Condorcet, Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain,
Oeuvres, VI, Paris 1848, (tr. it., Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano,
Torino 1969).
3
K. Löwith, Von Hegel zu Nietzsche, Stuttgart 1964, (tr. it., Da Hegel a Nietzsche, Torino
1971); G. Sasso, "Progresso", in Enciclopedia del Novecento, V, 623.
4
Comte, tuttavia, non teorizzò il progresso lineare, conscio che il cammino della civiltà non
è rettilineo ma procede per oscillazioni asimmetriche e mutevoli, che l'uomo deve cercare di
mantenere attorno a un termine medio.
5
K. Brandi, Gegenreformation und Religionskrieg, Leipizig 1930; L. Tapié, Le XVII siècle,
Paris 1949; R. Palmarocchi, "Guerra dei trent'anni", in Enciclopedia cattolica, VI, 1240-1241.
6
I. Newton, Principia Philosophiae Naturalis Mathematica, Londra 1687.
7
Alla "Lettera novantasette".
8
Sensismo, teoria o filosofia per cui ogni conoscenza, anche intellettuale, proviene solo
dalle esperienze sensibili.
9
Fenomenismo, dottrina epistemologica e filosofica, che fa consistere la realtà nei fenomeni,
ossia in fatti o atti di coscienza, definiti nel duplice aspetto dell'esperienza interna ed esterna.
10
C. Capone Braga, "Illuminismo", in Dizionario delle idee, 517-519. Edonismo, filosofia o
atteggiamento che considera il piacere quale fine dell'azione umana. Naturalismo, teoria o
filosofia che considera come unica realtà i fenomeni e le leggi naturali. Soggettivismo, teoria o
filosofia che riduce tutta la realtà al soggetto pensante. Utilitarismo, teoria o filosofia che pone,
alla base delle scelte e decisioni umane, solo ciò che è utile.
11
L. Galleni, Scienza e teologia, Brescia 1992, 116-117, 133, 168, 172.
12
P. Hazard, La crisi della coscienza europea, Firenze 1974; G. Sasso, "Progresso", 633-
634.
13
O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, 2 voll., München 1918-1922, (tr. it., Il
tramonto dell'Occidente, 2 voll., Milano 21977).
14
Cf. T.W. Adorno, "Spengler nach dem Untergang" (1950), in Prismen. Kulturkritik und
Gesellschaft, Frankfurt 1955, (tr. it., "Spengler dopo il tramonto", in Prismi, Torino 1972, 3963); Sasso, "Progresso", 625-626.
15
E. Zilsel, "The Genesis of the Concept of Scientific Progress", in Journal of the History of
Ideas, 6 (1943), 325-349; Sasso, "Progresso", 627.
16
J. Burckhardt, Weltgeschichtliche Betrachtungen (1905), Tübingen 1949, (tr. it.,
Meditazioni sulla storia universale, Firenze 1959), 67.
17
Burckhardt, Meditazioni, 141.
18
Burckhardt, Meditazioni, 137; K. Löwith, Jakob Burckhardt. Der Mensch immitten der
Geschichte, Luzern 1936.
19
Vanno ricordati, tra gli altri, a livello filosofico, Windelband, Rickert, Dilthey, Boutroux,
Bergson, Husserl, Heidegger ecc. Nell'ambito scientifico ed epistemologico emersero Mach,
Avenarius, Poincaré, Duhem, Einstein, Planck, Bohr, Born, Heisenberg ecc.
20
Meccanicismo, teoria scientifica che interpretava la natura come un grande "meccanismo",
e spiegava ogni fenomeno solo col movimento di parti e di masse. Determinismo, dottrina che
attribuiva ogni fatto a cause necessarie, escludendo la libertà e il caso. Relativismo, teoria che
nega l'esistenza di principi e dati assoluti e osserva i fenomeni ponendoli in relazione con gli
altri. Relatività, in fisica, è la teoria per la quale nessun fenomeno ha un valore assoluto in sé ma
è relativo al sistema cui si riferisce, ivi compresa la condizione dell'osservatore. Galilei aveva
già enunciato il principio per la sola meccanica, Einstein lo estese a tutti i fenomeni fisici,
supponendo costante la velocità della luce, ma non considerando massa, tempo e spazio
grandezze assolute.
7
21
Troeltsch aveva già notato che le dottrine della relatività storica dei valori presentano
un'indubbia analogia con la dottrina della relatività in fisica. La stessa analogia si potrebbe
estendere al razionalismo, all'idealismo, al positivismo e al progressismo. Cf. E. Troeltsch, Der
Historismus und seine Probleme, Tübingen 1922. Su tali nessi cf. pure C. Antoni, Lo storicismo,
Roma 1957; Id., Il tempo e le idee, Napoli 1967.
22
Fondamenti, indica i principi e assiomi su cui è costruita una scienza e che ne stabiliscono
la validità. "Critica dei fondamenti" è il tentativo di rifondare le scienze su basi più ristrette e su
metodi che possano eliminarne le contraddizioni.
23
M. Teich, R.M. Young (Eds.), Changing Perspectives in the History of Science, London
1973; Sasso, "Progresso", 637; K. Löwith, "Das Verhängnis der Fortschritts", in H. Kuhn, F.
Wiedmann (hrs.), Die Philosophie und die Frage nach dem Fortschritt, München 1964, 28s; H.
Marcuse, L'uomo a una dimensione, Torino 1970, 68ss; cf. T.W. Adorno, "Diskussionbeitrag",
in Kuhn-Wiedmann, Die Philosophie und die Frage, 327.
24
Scientismo, complessa ideologia moderna per cui: a) solo le scienze possono risolvere i
problemi dell'uomo; b) solo la scienza può conoscere tutta la realtà e spiegarla mediante i suoi
principi e i suoi metodi; c) solo le conoscenze scientifiche sono credibili, oggettive,
incontrovertibili, ecc.; d) solo il metodo scientifico può scoprire la verità, ecc.
25
M. Born, "Erinnerungen und Gedanken eines Physikers", in Universitas, 23 (1968), 273.
26
Questa critica è rivolta a Heidegger. Cf. Sasso, "Progresso", 642. Degli scritti di
Heidegger sono indicati in particolare: M. Heidegger, Sein und Zeit, Halle 1927, (tr. it., Essere e
tempo, Torino 1969); Id., Holzwege, Frankfurt 1950, (tr. it., Sentieri interrotti, Firenze 1969);
Id., Nietzsche, 2 voll., Pfullingen 1961.
27
Cf. Gaudium et Spes, 4-10, 20, 37, 53-57, 64; "Progresso", in Dizionario delle idee, 925926; J.B. Bury, The Idea of Progress. An Inquiry into its Origin and Growth, New York 1955;
M. Ginsberg, The Idea of Progress. A Revaluation, London 1953.
28
Trasformata, sovente, in metafisica dell'immanenza.
29
G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica, Torino 1978.
30
A. Eddington, Filosofia della fisica, Bari 1984, 74.
31
Razionalismo, atteggiamento che assume come riferimento esclusivo ed assoluto la sola
ragione umana.
32
Criticismo, corrente filosofica volta a indagare criticamente la natura, le possibilità,
l'estensione e i limiti del pensiero e dell'agire umani.
33
Logicismo, per significati più specifici cf. il "Breve lessico" del volume. Qui: dottrina che,
nella filosofia, assegna un ruolo preponderante alla logica o ne fa addirittura il suo fondamento.
34
A.M. Moschetti, "Metafisica", in Dizionario delle idee, 688-689, 691-692.
8
2. SCIENZA E TRANSIZIONE AL POSTMODERNO
1.
Aspetti introduttivi
Nel capitolo precedente abbiamo esaminato alcune radici culturali dell'impresa
scientifica, tenendo lo sguardo rivolto maggiormente al passato. Qui lo spostiamo sul
presente, per considerarne gli sviluppi più promettenti. La loro analisi dovrebbe aiutarci
a capire le difficoltà e le possibilità insite nell'attuale transizione dal vecchio paradigma
scientifico a quello nuovo. Tuttavia, il paradigma "moderno" è ormai fatiscente e quello
"post-moderno" appare ancora incerto. Ricomporre un nuovo paradigma, che superi il
"già" del passato e diminuisca il divario che ci separa dal "non ancora" del futuro, è un
compiti urgente.
La scienza condivide, con gli altri settori della cultura e della società, l'urgenza di
questo compito e l'incertezza di questa transizione. Nel pensiero scientifico si aprono
nuove sensibilità verso i valori etico-morali e spiragli verso la trascendenza i cui
contorni sono ancora incerti e problematici. Tuttavia, incertezza e problematicità, dopo
secoli di dogmatismi, sono sintomi positivi che dovremo intepretare correttamente.
2.
Due "stereotipi" della scienza
Per affrontare questo problema, ritorniamo ai due "stereotipi" che dominarono la
cultura occidentale dal XVII al XX secolo.
Il primo, già accennato nel capitolo precedente, vedeva nella scienza la forma
definitiva del sapere, capace di spiegare tutta la realtà, fondare l'etica e rinnovare la
vita. Doveva sostituire gli oscurantismi religiosi e le astrusità metafisiche con principi
atti a unificare, in una sintesi progressiva, i lumi della ragione, eliminare le negatività e
creare un'umanità autonoma, libera e felice.
Il secondo stereotipo disegnava lo scienziato come capace di svelare i segreti della
natura con i suoi metodi conoscitivi "forti" e liberi da pregiudizi, da tradizioni e da
superstizioni. Egli doveva spiegare l'universo con la razionalità e le sperimentazioni
scientifiche e dominarlo con le sue previsioni sul futuro.1
Questi due stereotipi sono in netto declino, da quando la società postmoderna ha
cominciato ad attribuire alla scienza le difficoltà e i limiti di cui soffre. La scienza è
divenuta il capro espiatorio anche perché essa è sopravvisuta alle vecchie ideologie e
visioni del mondo razionaliste, materialiste e positiviste, che l'avevano rivestita o se
l'erano appropriata come un loro feudo.
Dalle analisi più recenti risulta che, attualmente, in Italia, circa la metà degli
operatori scientifici riscopre i fondamentali problemi etico-umani e riconosce
l'esistenza di una realtà trascendente, non riducibile all'evidenza empirica. La metà
degli odierni ricercatori respinge lo stereotipo scientista dello scienziato detentore della
verità e dominatore della realtà.2 Alla concezione moderna è subentrata quella
postmoderna, che invade pure la mentalità scientifica, mutandone i criteri di fondo.3
Tuttavia, le categorie di "moderno" e "postmoderno", sembrano inadeguate ad
esprimere ciò che avviene nel profondo dell'universo scientifico, per cui dovremo
utilizzare anche altri strumenti intepretativi.
3.
Svolte epistemologiche e nuovi modelli di pensiero
Tra questi riveste grande valore lo sviluppo delle ricerche epistemologiche e
metodologiche sulla fisica e le matematiche (secolo XIX-XX) e poi sulle altre
discipline (secolo XX). Altrettanto va detto delle filosofie fenomenologiche ed
ermeneutiche (Husserl, Heidegger, Gadamer ecc.). Questo insieme di acquisizioni
scientifiche, epistemologiche e filosofiche, riuscì a demolire uno dei pilastri dello
scientismo: la superiorità delle conoscenze fisiche e matematiche, elevate a modello
emblematico del pensiero. Vediamone alcuni esempi.
Una notevole acquisizione fu il "teorema di indecidibilità" (1931), con cui Gödel
dimostrava che i teoremi dedotti da un sistema di assiomi includono proposizioni
indecidibili, cioè di cui non si può dire se siano vere o false. Una seconda fu il
"principio d'indeterminazione" di Heisenberg, che dimostrava l'impossibilità di
formulare previsioni di tipo deterministico. Una terza fu il "teorema di Tarski" (1935),
che dimostrava la necessità di limitare la potenza interpretativa delle teorie
semanticamente chiuse.
Da questi esempi risulta, dunque, che determinate asserzioni scientifiche e
matematiche sono indecidibili oppure soffrono di limitata potenza interpretativa, per
cui non consentono attendibili previsioni. Oggi ciò è pacifico, ma in quegli anni
scuoteca inveterati pregiudizi. Pertanto, oggi, risulta sempre più evidente la necessità di
elaborare nuovi modelli di pensiero, assai più duttili e aperti, se si vogliono risolvere i
problemi sollevati dalle nuove problematiche della scienza dei sistemi,4 della
cibernetica,5 delle strutture, delle scienze umane, dell'informatica avanzata, della sociosistemica sociologica, della linguistica ermeneutica, ecc.
Altre breccie sono state aperte dalle critiche di Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend,
Laudan ecc., per favorire il passaggio, dalle rigide posizioni deterministiche della
scienza moderna, alle posizioni più aperte e relativistiche della scienza contemporanea.
Secondo Husserl, le maggiori difficoltà del pensiero scientifico sarebbero cominciate
allorché si pretese di dissociare l'oggettivismo fisicalista galileiano, dalla soggettività
dell'esistenza quotidiana.6
4.
Oltre il dilemma di Max Weber
Dopo Husserl, l'atteggiamento fenomenologico sembra favorire un'epistemologia di
riconciliazione fra le congetture del sapere scientifico e le certezze della vita
quotidiana, valorizzando la trascendentalità della coscienza personale. In mancanza di
questa riconciliazione, molti operatori scientifici, insoddisfatti dal relativismo e
costruttivismo7 epistemologico dei post-moderni, continuano ad abbarbicarsi alle
vecchie interpretazioni scientiste, ansiosi di maggiori certezze e sicurezze.8
Riguardo ai rapporti fra fede e cultura scientifica, la nuova scienza, sempre più
problematica e avviata a radicali mutamenti, non solleva più il dilemma, così
drammatico per Max Weber, fra una "scienza senza religione" o una "religione con
sacrificio dell'intelletto" (1918). Oggi, simile alternativa non esiste più. Pertanto, anche
l'apologetica, le controversie e i concordismi perdono valore e significato.
5.
Conseguenze della transizione
I mutamenti finora accennati apportano conseguenze interessanti e decisamente
positive. Le nuove epistemologie postmoderne non riconoscono più la priorità logicoassiomatica, né l'autosufficienza del sapere e dei metodi scientifici. Le epistemologie
costruttiviste disegnano una scienza postmoderna estranea alla pretesa di spiegare tutto.
12
Tale scienza, inoltre, non è in grado di
metafisica, etica, religione e teologia.
negare il valore conoscitivo di filosofia,
Di più difficile interpretazione, invece, è il crescente orientamento utilitaristico e
specialistico della scienza, favorevole ai dettagli e poco interessato alle grandi sintesi
unificanti. Esso diminuisce le occasioni di scontro, ma anche di incontro con le
problematiche trascendenti e religiose.9 L'indagine cui ci riferiamo ha messo in luce
che, attualmente, le vecchie posizioni scientiste sopravvivono solo in quei ricercatori
che non sopportano i vuoti di significato, le incongruenze e la netta separazione fra
conoscenza e vita, proposte da alcune epistemologie post-moderne.10
6.
Scienza e attese sociali, etica e trascendenza
L'indagine ha messo pure in luce l'esigenza di un rinnovato confronto, fra posizioni
scientifiche e valori religiosi, riguardo alle nuove acquisizioni sulla persona umana.
Essa riguarda, in particolare, la bioingegneria che solleva urgenti problemi etici che,
ponendo gli operatori scientifici fra opposte tensioni, inducono la comunità scientifica a
riflettere sui fondamenti trascendenti. L'idea di scienza come puro strumento di
conoscenza, esente da responsabilità morali e sociali, convince sempre meno.11
Aumenta, invece, la consapevolezza che la scienza non può provvedere criteri etici di
alcun tipo, poiché ciò esula totalmente dal suo campo.12
Pertanto, per questa via, la possibilità di un rapporto tra scienza, trascendenza
religiosa e fede, ritorna attuale. Non passa, perciò, per la via dei presunti conflitti
teorici fra "visioni del mondo" scientifiche e religiose, bensì per quella dei crescenti
problemi pratici, etico-morali, sollevati dalle nuove ricerche. Tali problemi richiedono
la formulazione di criteri etici e di limiti morali per gli interventi (o manipolazioni) che
potrebbero pregiudicare l'integrità delle persone o della specie.
Al riguardo, i biologi-genetisti ammettono che, se si considera l'uomo come un
semplice vivente tra gli altri, o come un puro soggetto immanente all'evoluzione della
materia, o se ne sopprime la trascendenza e il rapporto col mistero divino, si finisce col
giustificare le più azzardate manipolazioni e sperimentazioni scientifiche, escogitate da
un evoluzionismo materialista puramente ideologico.13 Di qui il disorientamento e
l'inquietudine.
Il problema è complicato dal fatto che la scienza causa effetti sia buoni che cattivi.
Pertanto non si possono negare i suoi reali benefici, per esempio, nella lotta contro
malattie e disagi. Questa, però, è soltanto una parte della realtà. L'altra è data dalle
catastrofi ecologiche ed industriali, dalle nuove malattie e sofferenze fisiche e
psicologiche, prodotte dall'impresa scientifica. Pertanto l'inarrestabile progresso
scientifico genera speranze (terapie per cancro, aids, ecc.) e angoscie (inquinamenti,
devastazioni ambientali, alterazioni biologiche e cosmiche, ecc.).
A ciò si aggiunge la percezione che le ricerche son sempre meno motivate da valori
e sempre più pilotate da interessi e poteri. Infatti l'attività scientifica è sempre più
vincolata a progetti e finanziamenti di organizzazioni e centri di potere finanziario,
economico, commerciale, politico e militare. Pertanto il discorso sulle sue finalità e
valori, un tempo respinto drasticamente come "pseudo-scientifico", è divenuto urgente
in tutti i campi della scienza. La pretesa di escludere da essa ogni risvolto finalistico ed
assiologico non è più considerato come un'esigenza di rigore, ma come una rinuncia e
uno scadimento qualitativo in tutti gli ambiti di ricerca, dalla biologia alle scienze
umane.
13
7.
Comunità scientifica fra secolarizzazione e trascendenza
Questi profondi mutamenti della situazione rendono l'atteggiamento della comunità
scientifica più aperto e tollerante verso la trascendenza, i valori etici, la religione e la
fede.14 Tuttavia la separazione, più o meno pacifica, fra secolarizzazione e
trascendenza, come aree distinte e non collegabili, rimane. Sotto questo aspetto la
collaborazione tra Chiesa e mondo scientifico, auspicata dalla Gaudium et Spes, non
esiste ancora.
L'indagine ha messo in luce il dato socio-culturale significativo, che il più basso
indice (e valore assoluto) di religiosità degli operatori scientifici riguarda gli excomunisti, benché provenienti tutti dai livelli più ricchi e benestanti della società
anziché dalle classi lavoratrici o i ceti popolari.15 Tra essi si ha la più elevata
percentuale di conservatorismo ideologico-scientista, di ateismo, agnosticismo e rifiuto
della trascendenza.
Tra i postmoderni, invece, si trova tutto l'opposto, ossia il maggior numero di
soggetti aperti alla trascendenza e maggiormente sensibili all'emergere di interrogativi e
di temi etici.16
8.
Trascendenza finalizzata e innovazione scientifica
La coscientizzazione etico-morale provocata dalla biogenetica umana stimola,
dunque, gli operatori scientifici più avanzati a superare i residui della cultura moderna,
ma non raggiunge ancora i rimanenti "positivisti", arroccati nel vecchio scientismo
immanentistico dell'Ottocento, che appaiono, comunque, in netto calo.17 Aumentano
invece i loro oppositori, "esistenziali", che preferiscono le concezioni costruttiviste
della scienza e gli obiettivi circoscritti e pratici, professano scetticismo verso il vecchio
scientismo, insistono per il recupero di autonomia e priorità delle questioni etico-morali
rispetto a quelle puramente cognitive e non respingono una maggior apertura alle
tematiche trascendenti e religiose. Tutto ciò ai fini di una positiva innovazione del
sapere scientifico.18
9.
Complessità del reale e nuovi interrogativi
Nonostante queste differenze, emergono pure comuni insoddisfazioni per
l'orientamento della scienza nelle società occidentali, che provocano nuove sensibilità
etico-morali.19
L'esigenza di difendere l'integrità della persona e della natura nasce pure dalla
maggior consapevolezza dell'irriducibile complessità del creato e dell'uomo. Di
conseguenza, la vecchia sicurezza di poter dominare, con le scienze, le imperfezioni
della natura si è molto attenuata. Anche la presunzione di ottenere facili ed efficaci
semplificazioni della realtà, mediante i modelli artificiali di simulazione,20 diminuisce
di fronte alla scoperta della complessità della natura. Tutto ciò rivaluta lo stupore e la
meraviglia davanti a un'immagine dell'universo, dell'essere umano e della mente, che si
allontana sempre più dal modello delle macchine e degli automi.21 L'esigenza di trovare
nuove teorie più adeguate, e punti di vista alternativi, riapre fondamentali interrogativi,
suscettibili di schiudersi ai temi dell'ultimità umana e al mistero del divino nell'umano.
10.
Impegno conoscitivo e responsabilità etico-sociale
È in questo orizzonte, profondamente mutato, che emerge l'esigenza di non
dissociare troppo facilmente l'impegno cognitivo dalle responsabilità morali e sociali,
14
di non limitarsi soltanto alla scienza come unica forma di conoscenza e di superare
l'eccessiva frammentazione delle conoscenze, favorendo le sintesi globali che
unifichino le identità soggettive.22
Tuttavia, queste esigenze non sembrano ancora trovare punti di aggregazione
nell'attività scientifica in quanto tale, né spingere i ricercatori verso posizioni comuni.
Queste posizioni eterogenee, le divisioni e le divergenze di giudizio sugli argomenti più
importanti, e soprattutto la questione dei rapporti tra etica e scienza, cominciano a fare
problema.23 A ciò si unisce la naggior coscienza di essere coinvolti in processi di
trasformazione delle persone e della specie, per i quali non si possono responsabilizzare
soltanto i singoli. Pertanto l'esigenza di una comune gestione etico-morale, sociale e
comunitaria della scienza, appare sempre più forte.
11.
Sintesi conclusiva
L'analisi del capitolo ha messo in luce il ritorno dei fondamentali problemi
esistenziali e delle preoccupazioni etiche nell'orizzonte dell'impegno scientifico. Esso
esige lo sviluppo di strumenti concettuali che facciano da tramite fra il sapere
congetturale e avalutativo della scienza e le esigenze di certezza e di eticità della vita
quotidiana. Tutto ciò valorizza la "trascendentalità" della coscienza personale dei
ricercatori e degli operatori scientifici. Infatti, pochi di loro rivendicano, ormai,
l'autosufficienza del sapere scientifico o la sua neutralità (irresponsabilità) etica e
sociale. Al contrario, emerge l'esigenza di non dissociare l'impegno cognitivo dalle
responsabilità morali e sociali, di non limitarsi alla scienza come unica forma di
conoscenza e di superare la frammentazione delle acquisizioni con la ricerca di un
senso globale che unifichi l'identità soggettiva.
Tuttavia, le risposte scarseggiano. Pertanto, di fronte a queste nuove sensibilità, il
dialogo fra fede e cultura scientifica deve assumere nuove dimensioni. I fermenti e le
inquietudini nella ricerca, come pure i disagi e le incertezze della società, sono un
segno dei tempi, che esige non tanto una difesa della fede, ma una difesa dell'uomo
(persona, cultura e società) minacciato dalla potenza dei mezzi e delle capacità
operative che egli stesso ha creato e che ora esigono valori, finalità e orientamenti
sempre più adeguati.
La salvezza dell'uomo coinvolge il mondo della scienza e quello della fede. Storia
delle scienze, epistemologia, metodologie e interpretazioni umanistiche consentono di
distinguere meglio i ruoli, l'identità e, soprattutto, le responsabilità dei diversi ambiti:
scienza, religione e fede. Su queste basi è possibile aprire quel dialogo costruttivo e
quella collaborazione positiva così auspicati e richiesti da Gaudium et Spes.
1
Garelli F., "Mentalità scientifica tra secolarizzazione e trascendenza: il caso dei fisici,
biologi-genetisti e studiosi di intelligenza artificiale", in A. Ardigò, F. Garelli, Valori, scienza e
trascendenza, Torino 1989, 182-183.
2
Garelli, "Mentalità scientifica", 185-187.
3
A. Ardigò, "Gli scienziati tra cultura moderna, post-moderna e oltre", in Ardigò, Garelli,
Valori, scienza e trascendenza, 221-222.
4
Scienza dei sistemi, sistemistica, sistemica, in senso generalissimo, riguardano ricerche e
metodi volti a riportare ad unità la molteplicità e frammentarietà dello scibile. Vi si accompagna
l'ingegneria dei sistemi che ne costituisce l'applicazione pratica e tecnologica, realizzata con
l'aiuto degli elaboratori.
5
Scienza che integra nozioni e modelli neurofisiologici e biologico-molecolari con la teoria
matematica dell'informazione, la teoria dei sistemi e la ricerca operativa, per progettare sistemi
di controllo volti a generare, conservare, elaborare e trasmettere informazione.
15
6
A. Ardigò, Per una sociologia oltre il postmoderno, Roma-Bari 1988;
scienziati", 223-224.
Ardigò, "Gli
7
Costruttivismo o costruzionismo: a) posizione epistemologica per la quale gli schemi
fissati per la dimostrazione scientifica sono una pura costruzione umana; b) dottrina filosofica
per cui la conoscenza non si fonda sulla corrispondenza con la realtà esterna, ma solo sulle
costruzioni del sistema osservante.
8
A. Rizzi, "Le sfide del pensiero debole", in Rassegna di Teologia, 27 (1986), 1, 1-14;
Ardigò, "Gli scienziati", 226.
9
Ardigò, "Gli scienziati", 227-229.
10
Ardigò, "Gli scienziati", 201-202.
11
M. Beaumont, A. Boulvin, Y. Chatelus, Abus de savoir. Des scientifiques chrétiens
s'interrogent, Paris-Bruxelles 1977.
12
Ardigò, "Gli scienziati ", 202-203.
13
Cf. G.H. Von Wright, Immagini della scienza e forme della razionalità, Roma 1987;
Ardigò, "Gli scienziati", 204.
14
Cf. F.T. Arecchi, I. Arecchi, I simboli e la realtà. Temi e metodi della scienza, Milano
1990, 30-31; Ardigò, "Gli scienziati", 205-207.
15
A. Ardigò, "Di fronte al postcomunismo", in J. Jacobelli, Scienza e etica. Quali limiti?,
Bari 1990, 10-14; Ardigò, "Gli scienziati", 214, 219.
16
Ardigò, "Gli scienziati", 241-246.
17
J. Van der Volet, "La fede di fronte alla sfida postmoderna", in Communio, 110 (1990), 815; Ardigò, "Gli scienziati", 248.
18
D. Antiseri, "Metamorfosi della razionalità: ragione forte o ragione debole?", in M. Fabris,
F. Casamassima, Cultura postmoderna e filosofia. Aspetti e confronti, Bari 1990, 83-108;
Ardigò, "Gli scienziati", 257, 259.
19
M. Cini, "Socializzare la scienza", in Jacobelli, Scienza e etica, 36-40; Ardigò, "Gli
scienziati", 260-262.
20
Modello: a) nelle scienze naturali schema teorico di un fenomeno o di un aspetto della
natura; b) nelle scienze umane classe di ipotesi e costruzioni complesse, ideali, intuitive e
creative con cui viene rappresentato l'oggetto di una ricerca. Simulazione, modello di
simulazione: in informatica, nuovo modo o metodo per affrontare i problemi scientifici, che
ricostruisce, con dati reali, un modello ideale di problemi o situazioni, che viene poi confrontato
con la realtà.
21
H.A. Simon, The Sciences of Artificial, New York 1969; Ardigò, "Gli scienziati", 265-267.
22
H. Atlan, Tra il cristallo e il fumo, Firenze 1986; Id., À tort et à raison. Intercritique de la
science et du mythe, Paris 1986; Ardigò, "Gli scienziati", 268-269.
23
U. Galimberti, "La scienza è il nostro mondo", in Jacobelli, Scienza e etica, 61- 67;
Ardigò, "Gli scienziati", 272-273.
16
3. OPERATORI SCIENTIFICI E TRANSIZIONE
1.
Cenni introduttivi
Nel capitolo precedente abbiamo analizzato alcune nuove esigenze epistemologiche,
etiche e sociali sollecitate dagli sviluppi della scienza, nell'attuale transizione dal
moderno al postmoderno. In questo capitolo esamineremo, invece, le convinzioni, gli
atteggiamenti e i problemi emergenti nei membri della comunità scientifica. Sono stati
messi in luce da una ricerca sui fisici, i biologi-genetisti e gli esperti di intelligenza
artificiale.1
Gli operatori scientifici esprimono segnali di novità, che potrebbero anticipare
significative trasformazioni culturali. Tuttavia sentono che il loro desiderio di maggiori
responsabilità etico-sociali rimane ostacolato dalla suddivisione delle ricerche, dalla
segretezza dei progetti e, soprattutto, dalla mancanza di chiari valori etici e sociali, di
orientamenti spirituali e di aperture trascendenti.2 Di qui la crescente istanza di nuovi
orientamenti, di forti riferimenti, di aperture trascendenti e di un maggior collegamento
transdisciplinare fra le discipline interessate all'uomo e all'umanità.3
2.
Ricercatori: identità, ruoli, responsabilità sociale
Un'esigenza oggi assai diffusa è la ridefinizione del ruolo sociale della scienza. I
recenti sviluppi di alcune scienze sollecitano interrogativi etici e domande di senso, che
superano gli ambiti del sapere scientifico. Pertanto, la "trascendenza", intesa come
riconoscimento di una realtà, che supera il dato empirico e si pone al di là di una
visione immanente del mondo, non appare più un tema estraneo al pensiero scientifico.4
Essa rientra nel mondo scientifico, in seguito al riemerge di una "necessità di senso"
e di una "sensibilità etica", conseguenti alle ricerche più avanzate di alcuni settori, quali
l'ingegneria genetica, l'intelligenza artificiale e alcune aree della fisica.5
I ricercatori sentono che i problemi essenziali dei valori e dei significati non
vengono approfonditi abbastanza nella comunità scientifica. La parcellizzazione e la
standardizzazione del lavoro li alienano da essi. Inoltre la scienza "normale" o
"ufficiale" limita l'autonomia di studio e l'originalità delle ricerche e la pressione
sociale distoglie dagli ambiti conoscitivi spingendo verso quelli più pratici e
applicativi. Tutto ciò li deresponsabilizza.
I modi di reagire a queste contraddizioni sono diversi.6 Alcuni si immergono nei
problemi puramente conoscitivi, altri fanno dell'impresa scientifica una sfida e una
verifica personale, altri ancora si concentrano sugli aspetti estetici e ludici della
professione, disinteressandosi delle ripercussioni pratiche e sociali.
Pertanto, sono in netto declino le motivazioni tradizionali della ricerca quali:
comprendere meglio l'universo, l'evoluzione e la vita; costruire visioni unitarie dei
fenomeni; raggiungere teorie generali di elevata capacità predittiva, ecc. La ragione
addotta è che esse esigono un impegno professionale molto diverso dall'attuale.7
3.
Problemi etici e trascendenza
Alcuni operatori scientifici imputano le loro difficoltà di aprirsi al trascendente, alla
formazione scientifica e agli impegni della ricerca, che li rendono troppo estranei a
tutto ciò che supera l'immediata evidenza empirica. Ritengono, perciò, che l'attenzione
alle implicazioni culturali, filosofiche, religiose e psicologiche delle ricerche e il
superamento della settorialità delle conoscenze scientifiche consentirebbero una
maggior apertura alle prospettive trascendenti e ai problemi dell'ultimità.
Questi ricercatori apprezzano la complessità delle ricerche di frontiera, avvertono il
senso del mistero, percepiscono l'esistenza di un ordine universale, non ritengono la
ragione l'unico strumento di comprensione della realtà e si pongono, senza troppe
inibizioni, le domande sul senso ultimo della vita.
Essi sono pure sensibili al crescente disagio sociale per l'accresciuto potere della
scienza, di modificare gli equilibri della vita e dell'ambiente naturale. Sanno che le
ricerche scientifiche contribuiscono a debellare gravi mali dell'uomo e a migliorare le
condizioni di vita. Avvertono, tuttavia, la necessità di contenere le ricerche (e relative
applicazioni), che rischiano di valicare le esigenze dell'uomo e della natura.
3.1.
Potere scientifico e responsabilità etico-sociali
Infatti, l'attuale livello delle conoscenze e delle capacità applicative della scienza
solleva problemi la cui soluzione supera le logiche e i criteri scientifici e impone una
riflessione comune, filosofica, etica e teologica, sul significato e il potere della
scienza.8 Più del 92,5% degli intervistati si preoccupa di salvaguardare l'integrità delle
persone e della specie dalle manipolazioni genetiche. Le motivazioni addotte, tuttavia,
sono assai varie: timore di violare l'integrità degli organismi umani; pericolo di minare
l'integrità della natura umana nella sua configurazione e nel suo divenire;
preoccupazione per l'integrità dell'uomo come soggetto simbolico; rottura dei
significati psicologici, spirituali e culturali delle diverse manifestazioni bio-vitali.
L'intangibilità e inviolabilità dell'uomo da possibili manipolazioni si appellano,
quindi, a motivazioni immanenti,9 mentre pochi si riferiscono alla dimensione
trascendente o al carattere divino della vita umana.10
3.2.
Libertà nella ricerca, cautele nelle applicazioni,
La vecchia distinzione scientista fra ricerca volta alla "pura conoscenza", e "scienza
applicata" volta alle utilizzazioni pratiche, ha ancora seguito. La grande maggioranza
(80%) chiede d'interdire solo le applicazioni, lasciando piena libertà alla ricerca. La
pregiudiziale "superiorità" della scienza "pura" motiva la "neutralità etica" della ricerca,
ma non delle applicazioni che, perciò possono essere cattive.
La permanenza di stereotipi quali: "attendibilità del sapere scientifico", "neutralità
delle ricerche" e "piena separazione fra ricerca teorica e applicata" indica una
coesistenza pacifica, tuttavia poco critica, fra nuovo pensiero scientifico e vecchi
coaguli ideologici. Rinviamo alla nota per maggiori dettagli. Rileviamo soltanto che,
finora, pochi ritengono forzata la distinzione generalizzata fra scienza pura e applicata.
Ancora meno sono quelli che, per le società industriali avanzate, la trovano ingenua e
semplicistica.11
3.3.
Interventi sulla vita e sensibilità etica
In senso generale, gli interventi sulla vita umana hanno contribuito al risveglio della
sensibilità etica e della responsabilità morale professionale.12 Il numero di scienziati,
che ritiene di non aver cambiato valutazione morale, risulta inferiore rispetto a quelli
che riconoscono di averla mutata. Il numero di soggetti, passati dall'assenza alla
presenza di preoccupazioni e riserve morali, è maggiore rispetto a quelli che hanno
fatto il cammino opposto. Il numero di operatori scientifici sensibili ai problemi morali
è aumentato, in seguito al dibattito e all'approfondimento delle rispettive ragioni. La
maggior mobilità delle posizioni morali riguarda gli interventi più discussi della
scienza.13
3.4.
Divergenti posizioni nei diversi ambiti disciplinari
Anche il confronto fra le diverse scienze offre spunti di riflessione. Nonostante i
grandi mutamenti della fisica, molti fisici intervistati appaiono vincolati alla vecchia
21
mentalità. Gli operatori delle scienze più giovani, come i biologi-genetisti, presentano il
minor numero di soggetti preoccupati per gli interventi irreparabili sulle persone o sulla
specie umana, ma raggiungono la percentuale più alta dei soggetti interessati agli
aspetti etici delle questioni. Il loro orientamento è pure il più restrittivo verso le
ricerche (sperimentazioni, tecniche ecc.) finalizzate agli interventi sui processi vitali
più profondi.14
4. Un diverso rapporto scienza-fede
Gli uomini di scienza, quindi, appaiono molto sensibili alle questioni etiche e poco
interessati ai temi teorici del rapporto fra fede e scienza. Essi ritengono che le ragioni
dei vecchi conflitti siano ormai cadute. I più aggiornati sono pure i più emancipati dai
dogmatismi scientisti. Gli operatori scientifici credenti avvertono sempre meno
l'esigenza di cercare le conferme alla loro fede nelle conoscenze scientifiche sulle
origini dell'universo e della vita, o sull'organizzazione della natura. Essi mostrano che
nella comunità dei ricercatori cominciano a sentirsi gli effetti delle nuove idee storicoscientifiche ed epistemologiche su temi importanti quali le osservazioni e rilevazioni, le
perturbazioni provocate dall'osservatore, i concetti fondamentali di evoluzione, spazio,
tempo, materia, energia, ecc., la necessità di correggere e riformulare concetti, termini e
teorie, ecc.
Le nuove acquisizioni epistemologiche risvegliano, negli uomini di scienza più
aggiornati, il bisogno di una maggiore elasticità mentale e concettuale, la necessità di
riconoscere il valore delle diverse forme di conoscenza della realtà, la convinzione che
le scienze non possono essere la sola fonte di conoscenza, il dubbio che esse possano
offrire risultati cumulativi e irreversibili. Tutto ciò contribuisce a rendere più equilibrati
i rapporti fra scienza e fede e ad attenuare le presunte difficoltà.
4.1.
Le mutate condizioni culturali
In effetti, l'idea dei contrasti fra scienza e fede, nacque in seguito alla lettura
inesatta dei dati scientifici e religiosi, attuata nei secoli XVIII e XIX, che dipendeva da
motivi strettamente contingenti. L'atteggiamento razionalista, ad esempio, che aveva
trasformato la scienza in scientismo, aveva pure estremamente ridotto la dimensione
personale della fede. Questa appariva sempre meno un'apertura totale e una piena
disponibilità dell'uomo a Dio, e sempre più un assenso intellettuale a immutabili
formule concettuali.15
Oggi la consapevolezza della diversità dei discorsi e dei linguaggi non consente più
un impatto diretto fra proposizioni di fede e asserzioni scientifiche, ma esige un loro
corretto inquadramento che tenga conto dei diversi giuochi linguistici, significati e
linguaggi e dei differenti contesti di significazione, regole linguistiche, ecc. Pertanto
locuzioni o concetti complessi e polivalenti come: creazione, origini, infinito, natura,
ordine, origine, vita, coscienza, spirito ecc., vengono ormai considerati in relazione ai
"giochi" linguistici vigenti nei diversi campi, senza confusioni o sovraimpressioni, così
come la loro interpretazione viene effettuata in riferimento ai differenti contesti.
4.2.
Varietà di concezioni
Queste acquisizioni vanno modificando gli atteggiamenti degli operatori scientifici
più aggiornati, che riscoprono la validità di un rinnovato rapporto fra scienza e fede
(70%) e, nella quasi totalità (90%), non vedono in tale mutamento un'abdicazione alle
esigenze della scienza. Al contrario, esso viene interpretato come maggior rispetto della
specificità del metodo scientifico e come indice della sua significatività per visioni
della realtà più ampie e globali di quella scientifica, quali la filosofia, la metafisica,
l'etica, la religione e la teologia. Ne deriva, pertanto, anche il riconoscimento della
validità e plausibilità di tutte le altre discipline.
22
La minoranza che contrappone ancora scienza e fede, "crede" nella relazione stretta
e diretta fra scienza e fede, nella loro irriducibile alternativa, nella necessità di risolvere
conflitti e opposizioni con la prevalenza assoluta dell'una sull'altra, nel declino della
fede in proporzione esatta al diffondersi della scienza. Si è detto: "crede", perchè tale
posizione non viene motivata con adeguati argomenti razionali. Inoltre si tratta di
"minoranza" perché la percentuale di quanti ritengono che fede e scienza si riferiscano
a contenuti, funzioni e ambiti di applicazione sostanzialmente diversi è già salita al
76,5%.
Inoltre, coloro che non riconoscono alla scienza il ruolo di "conferma della fede" o
della religiosità non negano affatto la realtà trascendente, bensì giudicano inadeguato la
conferma o dimostrazione scientifica dell'esistenza di Dio e dei suoi attributi, perché
Dio é, per definizione, l'Assoluto e il "totalmente altro". Pertanto, questa forte
maggioranza colloca la fede nell'ambito delle motivazioni fondamentali della vita,
lasciando alla scienza gli aspetti più limitati del conoscere. Essa ritiene che, fra campi
così diversi, una composizione valida e significativa possa darsi solo all'interno delle
persone. Si tratta, quindi, di una posizione sostanzialmente positiva. Forse, il suo punto
debole è il rischio di una certa astrattezza, inerente alla eccessiva separazione delle due
prospettive.16
Gli scienziati più sensibili ai rapporti scienza-fede, motivano il loro interesse con
l'attualità del problema e il riconoscimento che la fede religiosa, nel processo di
comprensione della realtà, è una prospettiva insostituibile e completa la scienza. Essi
dimostrano maggior capacità di considerarne gli influssi positivi e di leggere, nella
natura e nel mondo fisico, i segni di una realtà che trascende l'evidenza empirica.
Fra questi operatori dall'atteggiamento più aperto e cosciente, i biologi-genetisti
raggiugono un numero nettamente superiore alla media. A loro volta, gli scienziati
dell'intelligenza artificiale sono il gruppo più numeroso che considera prioritario un
rapporto fra scienza e fede, privilegiando la prospettiva religiosa nel caso di eventuali
conflitti.17
Sintetizzando: gli scienziati credenti considerano scienza e fede due modalità
diverse, ma egualmente valide e interagenti. La scienza può purificare la fede dalle
incrostazioni antropomorfiche. La fede può purificare le scienze dalle assolutizzazioni
metafisiche. I ricercatori "laici" sono i più disposti a riconoscere l'utilità di un
rapporto costruttivo, in cui scienza e fede non si escludano né sminuiscano a vicenda.18
5.
Scienza e mediazioni culturali della trascendenza
L'indagine ha valutato pure l'influsso della scienza su alcuni mediatori culturali della
trascendenza, quali: l'incidenza della mentalità scientifica su culture e società; i
mutamenti negli stili di vita; le conseguenze delle interpretazioni filosofiche e
ideologiche dei dati scientifici e i risultati delle divulgazioni fantasiose o inesatte.
Più dei due terzi degli uomini di scienza ritiene che la diffusione delle conoscenze
scientifiche non possa inficiare direttamente le condizioni culturali e sociali di un
riferimento alla trascendenza. Quindi il processo di secolarizzazione sarebbe causato e
condizionato da archetipi mentali e culturali diversi, quali: l'accresciuto senso di
potenza dell'uomo, la svalutazione di ciò che supera le verifiche empiriche, la
convinzione di poter spiegare scientificamente tutta la realtà, l'utilitarismo,
l'efficientismo materiale e la ricerca esasperata del benessere. Si tratterebbe, quindi, di
cause più pratiche che teoretiche.19
Ritengono, inoltre, che la conoscenza scientifica dia un senso di onnipotenza,
conseguente all'impressione di non aver vincoli di ordine etico, né confini di tipo
cognitivo. A sua volta, la verifica, limitata al senso empirico delle affermazioni e ai
23
consolidati parametri conoscitivi, non facilita prospettive "trascendenti".20 Quanto alle
divulgazioni e alle loro distorsioni "secolarizzanti" ritengono di non esserne
influenzati.21
5.1.
Conoscenza scientifica e divulgazione
Questa semplificazione della divulgazione, tuttavia, non appare molto fondata.
Infatti, l'estremo specialismo rinchiude ogni operatore scientifico in un campo sempre
più ristretto, al di fuori del quale dovrà attingere ogni altra conoscenza scientifica dalla
divulgazione. E questo è già un primo aspetto. Il secondo aspetto, più importante,
dipende dal fatto che, ogni operatore, per "comunicare" ai non specialisti ciò che fa
nella propria specializzazione, deve ricorrere alla divulgazione che, sostanzialmente, è
una traduzione e una intepretazione. Traducendo per gli altri, in linguaggi e termini
divulgativi ossia ordinari, ciò che si fa, si traduce e intepreta pure per se stessi. Quindi,
ogni comunicazione divulgativa di conoscenze scientifiche fra non specialisti, "traduce"
per gli altri e "ri-traduce" per sé. Tali "traduzioni-interpretazioni", però, non sono
neutre e condizionano la stessa "auto-comprensione" che gli operatori scientifici hanno
del proprio lavoro.22 Quindi, essi stessi ne sono condizionati.
5.2.
Fattori di apertura alla trascendenza
Esaminiamo ora le condizioni favorevoli alla trascendenza, tanto in campo
conoscitivo che pratico-applicativo. Gli operatori scientifici trovano che gli
interrogativi fondamentali sollevati dalle teorie cosmologiche e microfisiche sono,
oggi, estremamente limitati. L'interessato conoscitivo è assai più attratto dai nuovi
problemi della complessità e della iper-complessità dei sistemi sociali e del mondo
vivente. Quello pratico-applicativo è contrassegnato dall'urgente necessità di criteri
etici e di indicazioni morali per le applicazioni al mondo umano. Al riguardo, il mondo
scientifico avverte l'esigenza di riflessioni, che vadano oltre la pura evidenza empirica,
per cui molti scienziati trovano qui il maggior richiamo alla trascendenza.23
5.3.
Impegno sociale e fede
Rispetto al collegamento fra fede e responsabilità sociale, due terzi degli intervistati
approvano che fede e religione svolgano anche funzioni non specificamente religiose,
purché non si atteggino a "uniche" depositarie della verità. Alcuni non accettano che si
pronuncino su questioni puramente scientifiche o pongano vincoli morali alla ricerca. I
biologi-genetisti, al contrario, auspicano addirittura maggiori pronunciamenti delle
religioni sulle questioni scientifiche.24
5.4.
O peratori scientifici e religiosità
L'indagine ha pure tracciato un'immagine del "medio operatore scientifico
postmoderno", che è prevalentemente giovane, di sesso maschile, dedito alla ricerca
teorica, politicamente orientato a sinistra, ancora poco aperto alle prospettive
trascendenti e in parte legato alle vecchie impostazioni del rapporto scienza e fede.25 Ha
messo pure in luce la convivenza di significative incongruenze e incoerenze nella sua
coscienza, piuttosto sorprendenti in soggetti che dovrebbero ispirarsi a razionalità,
coerenza, rigore e autonomia di giudizio.26
Riguardo alla "coerenza", il gruppo degli scienziati cristiani raggiunge il valore più
elevato di "coerenza e congruenza tra le varie dimensioni dell'espressione religiosa" e
di "armonizzazione costruttiva fra una rigorosa attività scientifica e una convinta
adesione alla propria fede".27
A loro volta, gli studiosi di intelligenza artificiale sono i primi per atteggiamento
positivo verso le varie forme di religiosità. Li seguono i biologi-genetisti, gli
informatici e, buoni ultimi, i fisici.28
Le "donne-scienziato" si discostano notevolmente dalle medie maschili, per il
maggior riconoscimento dei valori religiosi, la più viva attenzione ai problemi di senso
24
e significato, il più spiccato interesse alle culture orientali e la minima propensione alla
secolarizzazione. Neppure esse sono del tutto esenti da tensioni e incongruenze.29
5.5.
Scienza, fede e appartenenza politica
L'indagine evidenzia il forte condizionamento esercitato dall'appartenenza politica
sugli uomini di scienza. Le denominazioni utilizzate, ovviamente, sono quelle vigenti
nel 1987, quindi anteriori alla fine del socialismo reale (1989) e ai mutamenti che ne
seguirono.
I comunisti (ancora si chiamavano così), indipendentemente dall'età o dalla
specializzazione scientifica, risultano i più chiusi verso ogni trascendenza e valore
religioso e i più contrari a qualsiasi modello di religiosità o riferimento di fede.
L'83,8% di essi si è allontanato dalla religione. Ciò significa che la loro formazione e
orientamento originari erano diversi. A differenza degli agnostici, degli indifferenti o
dei lontani, non dichiarano nessuna appartenenza religiosa. Per i conduttori
dell'indagine ciò indicherebbe che l'appartenenza "ideologica" funge da "surrogato" di
quella religiosa.30 Il dato più interessante, tuttavia, riguarda la loro provenienza.
Nessuno di loro appartiene a classi operaie, popolari o lavoratrici, né agli strati sociali
più poveri o al proletariato. Tutti appartengono, invece, agli strati economico-sociali
più ricchi, elevati e privilegiati.
6.
Sintesi conclusiva
L'inchiesta che abbiamo analizzato disegna uno scenario umano in cui l'incalzare
delle nuove acquisizioni ha reso gli operatori scientifici sempre più consapevoli
dell'inesauribile immensità del reale e dell'impossibilità di conoscerlo in modo
definitivo ed esaustivo mediante la scienza.
Il continuo allargamento dei confini della conoscenza non apre tramiti al
riconoscimento diretto o esplicito della trascendenza, tuttavia rende gli uomini di
scienza molto più attenti e sensibili alle conseguenze etico-morali, culturali e sociali
degli sviluppi scientifici. Inoltre li rende più cauti riguardo allo sviluppo delle ricerche
scientifiche sulle persone e alle loro conseguenze sulla specie umana.
In quest'ottica, e tenendo conto dello scenario socio-culturale postmoderno, gli
uomini di scienza sembrano più disposti ad aprirsi alle esigenze di un sapere che
trascenda la pura datità empirica.31 Molti di loro ritengono, infatti, che sforzi onesti,
responsabili, liberi e maturi, volti a trovare convincenti soluzioni scientifiche, non
vengono ostacolati né sminuiti da ricerche che tengano conto dei valori, dei significati,
delle finalità e degli orientamenti.
Questi atteggiamenti possono offrire l'occasione per una approfondita riflessione
comune a livello filosofico, etico, religioso e teologico.32 Un dialogo su questi punti
potrebbe favorire, negli uomini di scienza, stimoli significativi per ridefinire in modo
più soddisfacente il loro ruolo euristico, culturale e sociale nei confronti della scienza.
Negli operatori ecclesiali potrebbe aprire una concezione dei rapporti fra scienza e fede
assai più profonda e significativa di quella tradizionale. Essa sarebbe volta, in primo
luogo, ad elaborare i valori umanistici, etici, culturali e sociali dell'impresa scientifica.
In secondo luogo, a sensibilizzare la comunità scientifica, culturale e sociale sulle
comuni responsabilità verso le esigenze, gli orientamenti, le finalità e i caratteri della
ricerca.
Oggi, uomini di scienza e credenti sembrano più disponibili a percorrere insieme
tale cammino, condividendo le ragioni indicate da Paolo VI: "appare ormai evidente
che la scienza non basta a se stessa né puo essere fine a se stessa. La scienza non è che
da e per l'uomo, perciò deve uscire dal cerchio della sua ricerca e aprirsi sull'uomo e di
lì sulla società e sulla storia intera".33
25
1
M. Pacini, "Prefazione", in A. Ardigò, F. Garelli, Valori, scienza e trascendenza, I, Torino
1989, xiii-xiv.
2
J. Jacobelli, "La scienza per l'uomo", in J. Jacobelli (a cura di), Scienza e etica. Quali
limiti?, Bari 1990, vii; Ardigò, Garelli, "Introduzione", 1.
3
Transdisciplinare vien detto un approccio tra differenti discipline volto a mettere in comune
i principi-base di ogni scienza, per ritrovarne il fondamento unificante. Cf. Ardigò, Garelli,
"Introduzione", 2-3; G. Giorello, "Transdisciplinarità: motivi storici e problemi attuali", in P.
Alferi, A. Pilati (a cura di), Conoscenza e complessità. Strategie e prospettive della scienza
contemporanea, Roma-Napoli 1990, 57-87.
4
F. Garelli, "Mentalità scientifica tra secolarizzazione e trascendenza: il caso dei fisici,
biologi-genetisti e studiosi di intelligenza artificiale", in Ardigò-Garelli, Valori, scienza, 7.
5
R. Levi Montalcini, "Tra valori e conoscenza: il dibattito sull'etica della professione
scientifica", in E. Agazzi, S. Maffettone, G. Radnitzky, Valori, scienza e trascendenza II, Torino
1990, 47-49; Garelli, "Mentalità scientifica", 9.
6
S. Lombardini, "Liberare la scienza ingabbiata", in Jacobelli, Scienza e etica, 104; Garelli,
"Mentalità scientifica", 19-21.
7
A.M. Isoldi, "Evoluzione critica della scienza", in Jacobelli, Scienza e etica, 94; Garelli,
"Mentalità scientifica", 29-31.
8
Cf. M. Pera, "L'etica in laboratorio", in Jacobelli, Scienza e etica, 135-141; Garelli,
"Mentalità scientifica", 77-78.
9
R. Dulbecco, Ingegneri della vita. Medicina e morale nell'era del DNA, Milano 1988;
Garelli, "Mentalità scientifica", 78-80.
10
E. Sgreccia, "La risposta nella trascendenza", in Jacobelli, Scienza e etica, 163-167;
Garelli, "Mentalità scientifica", 81-82.
11
Va notato il fatto che, nonostante i progressi epistemologici e storico-scientifici, molti
intervistati risultano ancora vincolati alle idee del secolo XVIII, elaborate dalle istituzioni
scientifiche (società, accademie, ecc.), monarchiche o governative di Francia, Germania, Gran
Bretagna, Stati Uniti ecc., per legare le ricerche scientifiche alla "ragion di Stato" politica,
economica e militare. Storici e sociologi della scienza, hanno ben documentato questo aspetto.
Cf. J. Ben-David, Scienza e società, Bologna 1975, 281-286. G. Gismondi, Fede e ragione
scientifica, Rovigo 1978, 236-240. Quanto al passaggio dalle conoscenze pure alle applicazioni,
al tempo di Faraday occorrevano almeno cinquant'anni, mentre alla metà del secolo XX il
divario era già annullato. Oggi l'ordine è capovolto perché sono i risultati pratici voluti da
committenti e finanziatori che determinano le ricerche. Cf. B. Zimmermann, L., Radinski, "Una
scienza per il popolo", in A. Jaubert, J.M. Lévy-Leblond (a cura di), Autocritica della scienza,
Milano 1976, 39-40. Gli esempi sono numerosi. Ne indichiamo solo alcuni: Studio delle
abitudini di vita di piccoli molluschi (barnacal), per proteggere i sommergibili nucleari dagli
insediamenti delle conchiglie. Studio dei movimenti molecolari, per la lubrificazione degli
aviogetti militari in volo su rotte polari. Ricerche sulla struttura fine dei metalli, per i carrelli di
atterraggio degli aerei militari. Ricerche sulle emissioni atomiche, per la guida dei missili
intercontinentali. Ricerche geodetiche, per il funzionamento di razzi con centrale a inerzia.
Anomalie geomagnetiche, per il pilotaggio automatico dei sommergibili. Ricerche sul volo
notturno degli uccelli e delle falene, per la guida notturna di veicoli e velivoli militari. ecc. Cf. G
Gismondi., Critica ed etica nella ricerca scientifica, Torino 1978, 66-67; Id., "La proposizione
scientifica in funzione di un universo linguistico e culturale determinato", in Relata Technica, 5
(1973), 621-662; G. Ferrieri, "Addio scienza", in L'Europeo, 29 (1973), n. 1437, 62-67.
12
Circa i 2/3 si dicono favorevoli a un impiego selettivo, non indiscriminato della tecnica,
ossia a interventi: a) orientati a migliorare le condizioni di vita dei soggetti; b) che non
producono esiti sconvolgenti. Sono sfavorevoli, invece, quando: a) vi siano possibilità diverse
da quelle tecniche; b) l'intervento produca conseguenze radicali; c) l'intervento non abbia
speranza di efficacia. Cf. Garelli, "Mentalità scientifica", 83-85.
26
13
Cf. E. Chargaff, "Engineering a Molecular Nightmare", in Nature, 1987, 327; P.
Quattrocchi., Etica, Scienza, complessità, Milano 1988; Garelli, "Mentalità scientifica", 90.
14
G. Mattioli, "Chi decide sui limiti?", in Jacobelli, Scienza e etica, 130-134; Garelli,
"Mentalità scientifica", 92-93.
15
C.A. Coulson, "The Similarity of Science and Religion", in I.G. Barbour, Science and
Religion. New Perspectives in Dialogue, New York 1968, 57ss; Garelli, "Mentalità scientifica",
104-107.
16
Cf. H.K. Schilling, "The Threefold Nature of Science and Religion", in Barbour, Science
and Religion, 78-81; Garelli, "Mentalità scientifica", 109-114.
17
Garelli, "Mentalità scientifica", 114-118; cf. J.B. Lotz, "Esperienza religiosa", in
Dizionario delle idee, 353-356.
18
Garelli, "Mentalità scientifica", 118-124.
19
Cf. P. Poupard, Chiesa e culture. Orientamenti per una pastorale dell'intelligenza, Milano
1985, in particolare il capitolo VI "Culture d'oggi e speranza cristiana", 82-101; Garelli,
"Mentalità scientifica", 132-133.
20
Cf. I.G. Barbour, Issues in Science and Religion, London 1966, 452-463; Garelli,
"Mentalità scientifica", 133-136.
21
Garelli, "Mentalità scientifica", 137-138.
22
Gismondi, Critica ed etica, 23, 48, 59, 73, 78, 100, 245.
23
Per una lettura di questi problemi in chiave fortemente pessimista cf. G.O. Longo, "Il
demiurgo cieco", in Jacobelli, Scienza e etica, 113-118; Garelli, "Mentalità scientifica", 138140.
24
V. Cappelletti, Etica della scienza e bioetica, in Jacobelli, Scienza e etica, 25-30; Garelli,
"Mentalità scientifica", 141.
25
E. Poli, Homo sapiens. Metodologia dell'interpretazione naturalistica, Milano 1972, 268292; Garelli, "Mentalità scientifica", 162.
26
Cf. Garelli, "Mentalità scientifica", 159; Poli, Homo sapiens, 322ss.
27
Cf. N. Devolder, "Enquête sur la religion des intellectuels", in Bulletin de l'Institut de
Recherches Économiques et Sociales, 12 (1946), 649-671; Id., "Inquiry into the Religious Life
of Catholics Intellectuals", in Journ. Soc. Psychol., 28 (1948), 39-56; Garelli, "Mentalità
scientifica", 163.
28
Sull'intelligenza artificiale cf. E. Berti, "Ragione e intelligenza artificiale", in
L'elettrotecnica, (1986), 4, 327-334; su alcuni problemi della fisica cf. E. Agazzi, Temi e
problemi di filosofia della fisica, Roma 1974; Garelli, "Mentalità scientifica", 170-171.
29
Garelli, "Mentalità scientifica", 176.
30
Sui complessi problemi dell'appartenenza religiosa cf. H. Carrier, Psico-sociologia
dell'appartenenza religiosa, Leumannn-Torino 1988, con ricca e scelta bibliografia; Garelli,
"Mentalità scientifica", 177.
31
P. Koslowski, "Moderne oder Postmoderne? Zur Signatur des gegenwärtigen Zeitalters",
in Perspektiven. Zeitschrift für Wissenschaft, Kultur und Praxis, 2 (1986), 5, 59-67; Garelli,
"Mentalità scientifica", 182-183; Gismondi G., "La ricerca scientifica come equilibrio fra
specializzazione e specialismo", in Relata Technica, 4 (1972), 485-516, cf. Gismondi, Critica ed
etica, 93-124; Garelli, "Mentalità scientifica", 185-187.
32
F. Ardusso, "Fede (l'atto di)", in Dizionario Teologico Interdisciplinare, II, 184-185; K.
Rahner, "La teologia in dialogo con le scienze moderne", in J.B. Metz, T. Rendtorff (a cura di),
La teologia nella ricerca interdisciplinare, Brescia 1974, 47-61; Garelli, "Mentalità scientifica",
196-197.
27
33
"Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze 23 aprile 1966", in AAS, LVIII (1966),
n. 5, 377.
28
4. SCIENZA: MUTAMENTI E OSCILLAZIONI STORICHE
1.
Cenni introduttivi
In questo capitolo esaminiamo la storia e la storiografia delle scienze per rilevare le
variazioni intervenute nei concetti di scienza e di scientificità. Esse costituiscono una base
utile per la comprensione dell'impresa scientifica, consentendo di percepirne la relatività,
storicità e carattere "analogico".
Le numerose e notevoli variazioni della "comprensione" della scienza consentono di
rilevare uno dei maggiori limiti del pensiero scientifico moderno: l'aver considerato la
variabilità come un'anomalia e la mutevolezza come una deviazione. Storiografia e storia
della scienza hanno svolto un'importante funzione catartica e liberatrice da questo limite.
2.
Varietà e ampiezza del termine "scienza"
L'impresa scientifica non fu mai sottoposta a tanti studi e vagli critici, come a partire
dalla seconda metà del secolo XIX a oggi. Essi hanno arricchito il pensiero della scienza
con quello sulla scienza, elaborato da numerose discipline, guidate dalla storia della
scienza e dall'epistemologia. Entrambe hanno messo in luce la crescente polivalenza del
termine "scienza", che non indica un contenuto unico ma numerosi elementi quali:
a) l'insieme dei risultati ottenuti (ipotesi, problemi, teorie, paradigmi, predizioni,
spiegazioni, modelli, calcoli, misurazioni, esperimenti, ecc.); b) l'insieme delle attività che
producono tali risultati (insegnamento, addestramento, ricerca teorica ed empirica, ecc.); c)
l'insieme delle istituzioni e strutture (istituti, centri, laboratori, accademie, università,
pubblicazioni, collegi, ricercatori, ecc.) che producono i risultati scientifici.
I tre insiemi, e i loro elementi, possono essere studiati da numerosi punti di vista:
psicologico, sociologico, giuridico, economico, antropologico, storico, filosofico, etico,
politico, ecc. Pertanto le discipline che studiano i vari aspetti della scienza crescono
continuamente, aumentandone la nostra conoscenza globale di "fenomeno", di "universo"
e di "impresa".
La storia della scienza costituisce uno strumento prezioso, perché definisce questo
"universo" proprio attraverso le sue variazioni. A tal fine, gli storici dovettero faticare assai
per chiarire i concetti di scienza (gli eventi), di storia (il loro corso) e di storiografia (il
modo di narrare entrambi).1 Pertanto, oggi, la storia della scienza indica un vasto insieme
di indagini e di ricerche estese ai più diversi ambiti interni ed esterni dell'universo
scientifico.
L'ambito "concettuale" considera termini, idee, concetti, ipotesi, teorie, ecc. Quello
"oggettuale" studia strumenti, relazioni scritte, descrizioni di scoperte, ecc. Quello
"istituzionale-strutturale" indaga comunità e scuole di ricerca, circoli, accademie,
istituzioni accademiche, ecc. Quello "personale" si occupa di biografie, pensiero e
realizzazioni dei vari uomini di scienza, dai più famosi ai più dimenticati.2 Questo vasto
ambito di realtà storiche e culturali si è rivelato indispensabile per un'analisi dell'impresa
scientifica e per la comprensione della sua natura.
3.
Diverse immagini di storia della scienza
Una delle maggiori difficoltà affrontate dagli storici della scienza deriva dal continuo
processo di specializzazione, che genera sempre nuove discipline scientifiche e trasforma
profondamente quelle vecchie. Esso rende poco fruttuose le storie generali della scienza,
perché rende arduo stabilire gli oggetti delle varie discipline. Infatti gli "oggetti" della
scienza e della sua storia sono assai diversi dagli oggetti dell'esperienza quotidiana.
Innanzitutto gli oggetti delle scienze non si identificano affatto con le cose normali,
perché sono i "vari modi di leggere" tali cose e non le cose stesse.3 Quindi possono variare
secondo i più diversi punti di vista culturali, filosofici, ideologici o di moda. Lo stesso vale
per la storia: altro è l'oggetto di una storia positivista della scienza, altro quello di una storia
idealista, marxista o postmoderna, ecc. Di conseguenza, anche i criteri storiografici
variano da epoca a epoca.
Per spiegare meglio queste differenze della storia della scienza, gli storici usano due
immagini o "modelli". Il primo è la piramide, il secondo è la carta geografica.4
Nel "modello piramidale", gli enunciati scientifici sono disposti in ordine gerarchico, a
"piramide". Seguono tale modello le concezioni scientiste, fisiciste, positiviste ecc., che si
prefiggono di "spiegare le realtà complesse" in base alle loro componenti elementari e di
"ordinare gerarchicamente i dati, la ipotesi", le interpretazioni, le teorie ecc.
Seguono il "modello cartografico" le storie postmoderne5 che riconoscono gli oggetti
scientifici solo mediante i simboli che li esprimono e le relazioni che li collegano.
S'interessano, soprattutto, alle connessioni che strutturano, organizzano e "caricano di
teoria" ogni osservazione. Mentre i modelli piramidali mantengono sempre la stessa
struttura, le raffigurazioni dei modelli cartografici possono cambiare continuamente.6
Ciascuna immagine, piramidale o cartografica, presuppone differenti basi (storiche,
filosofiche, culturali, ideologiche, metafisiche, personali, sociali, politiche ecc.), che
producono comprensioni e interpretazioni della scienza assai diverse e storie della scienza
ancor più divergenti.
La concezione "piramidale" dell'Ottocento, ispirata alla visione positivista, materialista,
scientista ed evoluzionista, si basava su una immagine della scienza in crescita lineare,
coerente e in "costante accumulo organico".
La concezione "cartografica", della metà Novecento, più vicina alla visione
postmoderna, descrive la scienza come successione di interpretazioni diverse e contrastanti,
che costringono a "ridisegnare" continuamente nuove "carte".
4.
"Accumulo lineare" e "storicizzazione totale"
Le storie dell'Ottocento e del primo Novecento, cui si ispirano tuttora la divulgazione, la
grande informazione e i mass-media, perpetuano la vecchia immagine dell'accumulo
lineare delle scoperte, in cui la scienza si avvicinava sempre più alla "verità", accumulando
conoscenze coerenti e lineari. Gli storici, però, accertarono che questo metodo "a ritroso",
che risaliva dalle fasi finali fino a quelle iniziali, falsava la scienza e la sua storia.7 Ciò pose
in crisi la concezione piramidale e le "storie generali" scritte da équipes di specialisti.
La prima ragione è che questo metodo non afferrava il significato delle ristrutturazioni.
La seconda, più grave, è che esso pretendeva che gli scienziati agissero in base a dottrine
che al loro tempo non esistevano, perché sarebbbero emerse solo a distanza di anni. Ancor
34
più inverosimile era che gli operatori scientifici potessero scegliersi, in anticipo, le
discipline che avrebbero avuto successo solo assai più tardi. Infine, la terza ragione era
l'impossibilità di descrivere gli ambiti disciplinari intermedi, sovente molto importanti, che
furono soppiantati da discipline che, successivamente, dominarono il campo e imposero la
loro identità.8
Questi esempi dimostrano l'inattendibilità di una storia della scienza scritta in funzione
di concezioni attuali e improntata al criterio del "progressivo passaggio dagli errori alla
verità". Essa discriminava la realtà in base al pregiudizio illuminista-evoluzionista che i
predecessori sono sempre primitivi, arretrati e inferiori rispetto ai successori.
All'estremo opposto si collocò la "storicizzazione totale" che, negando ogni elemento
soprastorico, non poteva cogliere il valore conoscitivo soprastorico dei risultati scientifici.9
5.
Presupposti epistemologici e tendenze storiografiche
La storia della scienza, come disciplina autonoma consapevole dei suoi metodi e
contenuti, si sviluppò nel Novecento.10 Essa venne tenuta in tensione continua dalle
discussioni epistemologiche e filosofiche, dai nuovi apporti storici del pensiero e delle idee,
dagli influssi sociologici, ecc. che influirono sui suoi criteri e le sue ricerche.11 Ne
indichiamo alcuni esempi.
E. Mach sosteneva che le ricerche storiche sullo sviluppo di una scienza dovevano
impedirne i dogmatismi e consentire nuove aperture.12 P. Duhem intendeva mostrare che le
teorie scientifiche erano "convenzionali" ma non arbitrarie e dotate di "continuità"
(continuismo).13 Il suo "continuismo" fu respinto, più tardi, da Koyré, Kuhn, Lakatos,
Feyerabend, ecc. che contestarono gli "imperativi epistemologici" che lasciavano poco
spazio alle alternative e agli imprevisti della storia reale.14
La corrente husserliana presentava la fisica, l'astronomia e la matematica come i modelli
cui la storia delle scienze doveva ispirarsi.15 Poincaré, invece, dimostrò che la meccanica
classica era troppo approssimativa ed si applicava soltanto a velocità trascurabili di fronte a
quella della luce.16
Cassirer privilegiava la storia della scienza per rintracciarvi i fatti che la differenziavano
dalla filosofia e dal suo semplice "avvicendarsi di opinioni".17 Lo interessava, soprattutto,
la trasformazione dei dati sensibili in simboli numerici.18 Brunschvicg sottolineò la
sinuosità e instabilità della scienza e il continuo infrangersi di nozioni, teorie e metodi, che
esigeva un incessante lavoro di perfezionamento e riaggiustamento.19 Rivendicò
l'atteggiamento inventivo della mente che, nel processo scientifico, non si limita a una
passiva registrazione dei fatti. Bachelard evidenziò la complessità della scienza moderna, la
sua alternanza di cristallizzazioni e rotture, l'insuperabile varietà di significato dei suoi
termini e le lentezze e confusioni che ne costellano il cammino.20 Come sivede, questo
breve elenco costituisce un panorama di concezioni estremamente diversificate e
complesse.
6.
Storicità della scienza e storiografia
Fra gli strenui oppositori della storia delle scienze vanno ricordati i neopositivisti. L.
Wittgenstein, R. Carnap, O. Neurath ecc. sostennero l'irrilevanza della storia delle scienze
per la filosofia, la scienza e l'epistemologia, svalutandone le ricerche riugardo ai modi, ai
tempi e alle condizioni che presiedono al sorgere di ipotesi, teorie e scoperte. Essi, in
35
realtà, s'interessavano soltanto alla scienza come "prodotto finale" (risultati e scoperte) e
non alle ragioni per cui si era arrrivati ad esso.
Altri autori quali E.A. Burtt,21 A.O. Lovejoy,22 e A.N. Whitehead, 23 ritenevano, invece,
la storia della scienza inscindibile da quella della cultura, compresa la metafisica, che ne
determina le svolte e le rivoluzioni. Perciò misero in luce le basi metafisiche della scienza
di Copernico, Keplero, Galilei e Newton e sostennero che se gli empiristi di oggi fossero
vissuti nel XVI secolo, sarebbero stati i più accaniti dileggiatori e oppositori della nuova
visione dell'universo.
6.1.
Storia delle idee e storia della scienza
I membri del "Club per la storia delle idee" (History of Ideas Club) fissarono il criterio
che qualunque idea di cui si scriva la storia, deve essere indagata in tutte le forme assunte
nei più diversi ambiti. Lovejoy sosteneva che i vari "ismi": razionalismo, illuminismo,
positivismo ecc., non sono dottrine unitarie, ma combinazioni eterogenee di elementi
contraddittori. Il suo principio storiografico fondamentale era: "più vi spingete al cuore di
un problema storico, più vi troverete qualcosa che vi spinge fuori e oltre i suoi confini".24
Whitehead poneva due presupposti alla base di ogni ricerca storica. Il primo era che la
mentalità di un'epoca nasce dai punti di vista e dalla visione del mondo delle classi sociali
colte.25 Il secondo sosteneva il reciproco scambio tra le cosmologie e i vari settori culturali
della scienza, dell'arte, dell'etica, della filosofia, della religione ecc. Su queste basi giudicò
che le concezioni scientifiche sulla vita, gli organismi, i sistemi ecc., formulate nei secoli
XVII e XVIII, erano il tallone di Achille dell'intero sistema concettuale, ne denunciò le
idee "avventurose" e auspicò una maggiore apertura delle scienze a tutte le altre forme di
esperienza e di riflessione umana.26
6.2.
Conoscenza scientifica e mutamenti socio-culturali
Verso il 1930 vennero studiati i rapporti fra conoscenza scientifica e mutamenti sociali,
per chiarire il collegamento fra le origini della scienza moderna e le forme dello spirito
capitalistico. I concetti di "valore di verità" e di "avalutatività" della scienza vennero
considerati "credenze" prodotte da una cultura, che considerava il potere come unico
"valore dominante" e rendeva la scienza un "sapere rivolto al dominio".27 In quest'ambito
fu singolare la concezione di J. Needham, biochimico, embriologo, studioso di filosofia e
di poesia, anglo-cattolico praticante, socialista e marxista, storico della scienza e sinologo,
che scrisse una monumentale storia della scienza e della civiltà della Cina, basata su
presupposti fortemente criticati.28 Il primo era che l'evoluzione sociale ha fatto crescere la
conoscenza della natura e il controllo sul mondo. Il secondo era che la scienza è un valore
universale le cui applicazioni unificano i contributi delle diverse civiltà. Il terzo era che,
attraverso i due precedenti processi, l'umanità si muoveva verso una crescente unità,
complessità e organizzazione.29
6.3.
Storia della scienza e deformazioni ideologiche
Gli storici marxisti inglesi furono molto criticati per il loro ideologismo,30 tuttavia non
furono gli unici a "ideologizzare" la storia della scienza. Già i primi storiografi la
teorizzavano come storia "della perenne lotta contro gli errori, le superstizioni e i crimini
dello spirito" o storia "della crescita della tolleranza e della libertà di pensiero" o, ancora,
storia "della graduale rivelazione della verità e liberazione dall'oscurità", ecc. Tutti questi
"fideismi" scientisti e razionalisti, rivolti a identificare la scienza col progresso totale, non
hanno retto agli eventi.31 Pertanto W. Pagel, negando che la storia della scienza mostri il
"graduale rivelarsi della verità", propose delle monografie storico-scientifiche che
integrassero il pensiero scientifico con quello non scientifico.32
36
A. Koyré confutò la storiografia positivista, mostrando che scienza e storia procedono
per vie tortuose finendo, sovente, in vicoli ciechi da cui dovranno tornare indietro.
Sosteneva invece l'importanza delle idee metafisiche e religiose al fine di contestualizzare
le acquisizioni scientifiche nel loro tempo e cultura ed evitare di "tradurle"
immediatamente nel linguaggio moderno.
6.4.
Continuità e discontinuità nella scienza
Negli anni sessanta la discussione sulla conoscenza scientifica riprese i temi della
"continuità e discontinuità". I "continuisti" sostenevano lo sviluppo continuo, ordinato,
lineare e organico. I "discontinuisti" difendevano la discontinuità, i salti, le cesure, le
rivoluzioni, i punti di non ritorno e le alternative opposte. Vi parteciparono famosi uomini
di scienza e storici quali Hanson,33 Kuhn,34 Toulmin e altri.35
Il dibattito contribuì a far riconoscere che osservazioni, dati, termini e concetti
scientifici non sono mai neutri, ma immersi in un tessuto teorico che ne condiziona gli
apparati simbolici, concettuali, logici e strumentali usati per rilevarli ed esprimerli. Inoltre
dimostrò l'inesistenza di linguaggi osservativi, che consentano di esporre i dati in modo
neutrale, per poterli confrontare con i linguaggi teorici.
7.
Storia interna e storia esterna.
Le difficoltà interne al processo scientifico sollevarono un vivo dibattito sulla priorità
della storia "interna" o "esterna" della scienza. Privilegiavano la storia interna gli storici
che sostenevano l'accumulo lineare della conoscenza scientifica e il suo oggettivo impatto
con la realtà ed erano poco interessati ai soggettivismi umani e ai punti di vista parziali. Ad
essi si opponevano quanti preferivano la storia esterna, diluivano la specificità della scienza
e della sua funzione nella generalità della cultura e sopravalutavano l'influsso di
quest'ultima sulla storia.36 Questo dibattito fece spingere lo sguardo oltre gli stretti
contenuti disciplinari e indusse a superare l'illusione di un'unica della chiave di lettura della
realtà, riconoscendo l'importanza delle letture filosofiche, metafisiche, culturali e religiose
delle vicende della scienza.
Questa impostazione rivelò che la scienza moderna è solo una delle molte forme
storiche rivestite dalla scienza, dai suoi inizi ad oggi. Inoltre i problemi da noi chiamati
"scientifici" furono studiati, con logiche, strumenti e risultati diversi, anche da altre culture.
Le esigenze della certezza, del rigore e della giustificazione razionale erano note pure
nell'antichità.
Ciò che invece è diversa, è la modalità di accertamento dei requisiti razionali della
ricerca empirica, della scienza moderna. Essa esigeva specifiche condizioni cognitive,
storiche, culturali, tecnologiche, non realizzabili prima dei tempi di Galilei. Occorre tener
presente tutto ciò, per poter spiegare come validissimi elementi scientifici si ritrovino già
nelle antiche ricerche astronomiche, matematiche, fisiche, chimiche, biologiche, mediche
ecc., di epoche molto anteriori.37 D'altra parte, molti elementi tipici del paradigma
moderno, oggi vengono sempre più discussi e criticati.
Ciò dovrebbe renderci consapevoli della relatività dei contenuti e dei concetti di scienza
e di scientificità e dell'artificiosità di molte definizioni o dispute al riguardo.38
7.1.
Classificazione e unificazione dei dati
La storia della scienza sottolinea pure altri fatti rilevanti. Il primo è il succedersi di
tendenze contrastanti, nella scienza in generale e nelle varie discipline particolari. Il
37
secondo è lo sviluppo di imprevedibili effetti, positivi e negativi, conseguenti ai mutamenti
di tendenza.
Un esempio di tipo generale è offerto dalle grandi teorie unitarie dell'Ottocento, volte a
collegare organicamente le precedenti conoscenze, che sostituirono le raccolte e le
classificazioni dei dati prive di rielaborazione teorica, proprie del Settecento.
Per le discipline specifiche, ad esempio le matematiche, ricordiamo le ricerche per la
rifondazione dell'analisi del concetto formale di limite,39 che consentì di chiarire
maggiormente i concetti di infinito, infinitesimo, convergenza e divergenza di una serie,
continuità di una funzione, ecc.40 A sua volta, la "ricerca sui fondamenti"41 culminò, negli
ultimi decenni del secolo, nei tentativi di fondare logicamente l'aritmetica di Frege42 e
creare la teoria astratta degli insiemi di Cantor.43 Il tentativo di Frege non riuscì ma offrì
utili elementi per successivi sviluppi della logica.
In fisica si cercò di conferire a tutte le sue parti, la compattezza, il rigore matematico, la
generalità e la potenza esplicativa della meccanica newtoniana. Questo programma, da una
parte sfociò nella tendenza riduzionistica, dall'altra fallì, per difficoltà teoriche e
concettuali. Tuttavia fisica e chimica attuarono un proficuo scambio, che consentì migliori
sistemazioni teoriche in entrambe.
Anche la biologia, fino al Settecento, si limitava a raccogliere dati, classificarli e
formulare intuizioni interpretative sull'unità del mondo vivente. Nell'Ottocento, invece,
passò da questo atteggiamento "empirico" a quello "sperimentale", volto ad attuare
esperienze in condizioni osservative standardizzate e precostituite. In campo "teorico",
passò a creare teorie fondate sui campi d'indagine limitati alla raccolta di reperti
sperimentali esatti e alla verifica, conferma, previsione e spiegazione delle anomalie.
Abbinò sforzo di teorizzazione e potenziamento della sperimentazione. Le osservazioni
vennero generalizzate, controllate e attuate, mediante strumenti progettati a tal fine.44
Alcuni di questi passaggi furono possibili grazie a eventi culturali esterni, quali la
rivoluzione tecnologico-industriale, che consentì di costruire strumenti sempre più potenti
ed esatti per le ricerche. Si stabilì un rapporto sempre più stretto fra scienza e tecnologia.
La scienza potenziava lo sviluppo tecnologico con l'applicazione delle sue conoscenze. Lo
sviluppo tecnologico consentiva alla scienza esperimenti e ricerche sempre più difficili e
sofisticati. Tuttavia, questa simbiosi favorì pure lo sviluppo di uno "specialismo" con
risvolti negativi, quali l'eccessiva frantumazione delle discipline, la loro crescente difficoltà
di comunicazione, il progressivo isolamento culturale della scienza e la perdita di unità del
suo discorso.45
7.2.
Variabilità e fluttuazioni delle "teorie"
Un'altra acquisizione importante derivò dallo studio storico delle "teorie scientifiche". 46
Secondo L. Laudan se ne poterono individuare due tipi diversi: a) "dottrine specifiche",
collegate fra loro, controllabili, utilizzate per predizioni sperimentali o spiegazioni
dettagliate;47 b) "dottrine generali", meno controllabili, volte a unire le teorie del primo
tipo, sovente non conciliabili tra loro.48 Le seconde vennero interpretate in molti modi
diversi, dando luogo ai "paradigmi" o "matrici disciplinari" di Kuhn, ai "programmi di
ricerca" di Lakatos, alle "immagini di scienza" di Elkana e alle "tradizioni di ricerca" di
Laudan.49
Il problema epistemologico di fondo, al riguardo, era di capire i rapporti intercorrrenti
fra le prime teorie e le seconde e di chiarire i loro "elementi non rifiutabili". 50 La storia
della scienza ha accertato che gli "elementi non rifiutabili" in realtà erano soltanto opinioni
parziali, provvisorie, relative e mutevoli, imposte dalle comunità scientifiche ai loro
38
ricercatori. Un esempio classico al riguardo è offerto dai concetti di spazio e di tempo. Nel
sistema newtoniano essi erano degli "assoluti". Nel Settecento arretrarono a "elementi non
rifiutabili". Alla fine dell'Ottocento divennero "rifiutabili".
Pertanto storia ed epistemologia si sforzano di individuare come, quando e perché le
teorie specifiche del primo tipo si sgancino da quelle del secondo tipo, per agganciarsi ad
altre più nuove. Tuttavia non è chiaro se le teorie del primo tipo, "assorbibili" dalle
seconde, siano autonome o indipendenti da quelle con le quali sono "maturate" e se,
"maturare", significhi per loro essere generate o soltanto occasionate.
8.
Estrema variabilità e mobilità degli elementi scientifici
Questa rapida rassegna ci mostra l'estrema varietà, fluidità e mobilità della scienza, dei
suoi problemi e, quindi, della sua stessa fisionomia, dato che in essa i più diversi criteri,
presupposti e teorie nascono, tramontano e risorgono continuamente. In più, ogni elemento
si accompagna sempre al suo esatto contrario: la continuità alla discontinuità, il finalismo
all'a-finalismo o all'anti-finalismo, l'evoluzione all'involuzione, la storia interna alla storia
esterna, la linearità alla non-linearità, l'importanza all'irrilevanza, l'esistenza all'inesistenza,
la normatività all'anormatività, ecc. Questa lista è interminabile come quella delle
contraddizioni e delle opposizioni riguardanti presupposti, traguardi, condizionamenti,
successi e fallimenti. Esse si snodano lungo tutta la storia della scienza: accordo o
disaccordo fra ricostruzione razionale ed esperienza della scoperta; sviluppo personale o
impersonale del pensiero scientifico; processo d'accumulo organico o rivoluzioni
periodiche, ecc.
Mentre l'epistemologia si concentra su un solo elemento per volta, la storia della scienza
costringe a riflettere sulla molteplice e varia coesistenza di intrecci e di opposizioni, di
problemi irrisolti, di diverse tradizioni e programmi, di criteri e orientamenti eterogenei,
ecc. Questo marasma riapre senza sosta i problemi della "scientificità" ossia del rigore,
dell'oggettività e del valore di: logiche, linguaggi, metodologie, esperimenti, teorie, dottrine
ecc.
Gli storici, anziché disturbati, si dicono stimolati da tali ricerche che rivelano, ad ogni
svolta, la mobilità e le fluttuazioni che affliggono la scienza e la scientificità come ogni
altra realtà umana. Per loro, tradizioni, convinzioni, credenze, valutazioni personali, sociali
e culturali, tanto nella comunità umana che in quella scientifica, sono soltanto espressioni
storiche provvisorie, limitate, mutevoli e sempre perfettibili.
Agli occhi dello storico, i vari elementi "strutturali" della scienza, appaiono elementi
"storicamente variabili e costruiti di volta in volta", per risolvere problemi limitati e per
fronteggiare situazioni provvisorie. Pertanto gli storici invitano a cercare il "punto decisivo
dei problemi" nei "processi temporali" e non nei "loro sostituti logici", insegnando a
diffidare dei "seducenti esempi precostituiti" e delle impostazioni nette, chiare e
"semifalse" dei manuali scientifici e di certi trattati di epistemologia.51
9.
Riflessioni conclusive: il significato della scientificità
Questa rapida incursione panoramica nella storia della scienza ha fatto emergere
l'indomita e perenne volontà umana di costruire un sapere dotato di rigore, oggettività,
autonomia metodologica, sistematicità e organicità, finalizzato alla conoscenza e aperto ad
applicazioni pratiche. Ha fatto pure emergere l'impossibilità di realizzare tale programma
in senso assoluto e, soprattutto, l'impossibilità d'identificare l'essenza della scientifictà in
39
un solo elemento: presupposto, criterio, metodo, teoria, o nelle loro varie combinazioni.
Ciò che per un istante sembra capace di rispondere a tutte queste esigenze, poco dopo si
rivela insufficiente, aprendo nuovi problemi e maggiori difficoltà.
Queste acquisizioni sono importanti perché ci consentono di identificare il carattere
"analogico" della scientificità, quindi, la sua variabilità, secondo le diverse esigenze, tempi
ed ambiti. Pertanto la "scientificità" può essere una caratteristica di ogni area disciplinare
(scienza, filosofia, etica, teologia), essendo una realtà analoga da elaborare secondo
modalità e criteri concreti, adeguati alle proprie specifiche esigenze. In questo modo la
"scientificità" non isola più né oppone, ma accomuna, la scienza agli altri ambiti.
La storia della scienza ha reso un'immenso servizio alla cultura, restituendo alla
scientificità il suo carattere di ideale non astratto e immutabile, ma concreto e storico,
perennemente riplasmabile. Ciò consente a ogni disciplina: scientifica, filosofica e
teologica, di organizzare in modo "analogico" la scientificità del suo ambito, senza
rischiare né eteronomia nè equivocità.
La storia della scienza mostra, inoltre, che i criteri più rigorosi di scientificità non hanno
mai evitato errori e insuccessi, confermando il concetto espresso da Popper di una scienza
quale: "arte di imparare dai propri errori". Questo carattere l'accomuna alla saggezza
(filosofia) e alla sapienza (religione e teologia).
Ciò chiarito, la conclusione più significativa di questa rassegna storica è che storia della
scienza e scienza, attraverso le loro variazioni e contrasti, concordano nel dimostrare:
1) L'inesauribile capacità della persona umana di vedere e pensare la realtà in modi
sempre nuovi, originali e diversi e, seppur fallibili, tuttavia non arbitrari né anarchici, bensì
retti da forme, strutture di significazione, leggi e principi, corretti, ordinati, controllabili e
sempre perfettibili.
2) L'inesauribile ricchezza di forme, strutture, contenuti, sensi e significati della realtà
(natura, creazione), che superano infinitamente e sfidano incessantemente le capacità
umane di spiegare, di capire, di comprendere, di sistemare e d'intepretare.
3) L'inesauribile funzione problematizzante della ricerca che solleva problemi sempre
nuovi, appassionanti e decisivi, cui l'uomo non può sottrarsi, e che esigono approcci
complementari, meta-scientifici, di ordine filosofico, etico religioso e teologico.
1
E., Agazzi, "Introduzione", in E. Agazzi, Storia delle scienze, 2 voll., Roma 1984, I, 8.
2
Cf. J. Ben David, The Scientist's Role in Society, a Comparative Study, Englewood Cliffs, N.J.,
1972, (tr. it., Scienza e società, Bologna 1975); P. Rossi, "Storia della scienza", in Enciclopedia del
Novecento, VI, 386.
3
Questo argomento viene trattato nel capitolo ottavo.
4
N.R. Hanson, Patterns of Discovery, Cambridge 1958, (tr. it. I modelli della scoperta
scientifica, Milano 1978). Di questo e altri volumi diamo i dati dell'edizione originale e delle
traduzioni per poter valutare i ritardi della cultura italiana nell'accettare opere fondamentali alla
nuova comprensione della scienza e della sua storia.
5
M. Santambrogio, "Sulla logica delle teorie scientifiche", in Quaderni della fondazione G.G.
Feltrinelli, Milano 1978, 75-138.
6
Cf. G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Milano 1957; Rossi, "Storia della scienza", 387.
7
J. Agassi, Towards an Historiography of Science, Den Haag 1963, (tr. it. La filosofia dell'uomo
libero. Verso una storiografia della scienza, Roma 1978).
40
8
G. Preti, "Considerazioni di metodo sulla storia delle scienze", Rivista critica di storia della
filosofia, 13 (1958), 58-76.
9
Cf. Ch. Singer, Studies in the History and Method of Science, Oxford 1921; Agazzi,
"Introduzione", I, 9-10; Cf. É. Meyerson, Du cheminement de la pensée, 3 voll., Paris 1931.
10
Cf. M. Daumas, Histoire de la science, 5 voll., Paris 1957, (tr. it., Storia della scienza, Bari
1969); Rossi, "Storia della scienza", 388.
11
H. Butterfield, The Origins of Modern Science, London 1949, (tr. it., Le origini della scienza
moderna, Bologna 1962); Rossi, "Storia della scienza", 389.
12
E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung, historisch-kritisch dargestellt, Leipzig 1883,
(tr. it. La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Torino 1968), 32-40; Cf. M. Clagett
(Ed.), The Critical Problems in the History of Science, Madison 1962; Rossi, "Storia della scienza",
388.
81921,
13
P. Duhem, Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon a Copernic,
10 voll., Paris 1913-1959; Id., La théorie physique: son objet, sa structure, Paris 1906, (tr. it. La
teoria fisica, il suo oggetto e la sua struttura, Bologna 1978), 445.
14
G. Canguilhem, Études d'histoire et philosophie des sciences, Paris 1968, (tr.it. Studi di storia
e di filosofia della scienza, Verona 1980), 21.
15
E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, Halle 1891; Id., Logische Untersuchungen, 2 voll.,
Halle 1900-1901.
16
Contribuì fortemente al passaggio dalla fisica classica a quella attuale. H. Poincaré, Science et
méthode, Paris 1909, 272. Mise pure in luce il "convenzionalismo", cf. Id., La valeur de la science,
Paris 1905, (tr. it., Il valore della scienza, Firenze 1947, 276; studiò il linguaggio scientifico, Id., La
science et l'hypothèse, Paris 1902, (tr. it., La scienza e l'ipotesi, Firenze 1950).
17
E. Cassirer, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 3
voll., Berlin 1906-1920, (tr. it., Storia delle filosofia moderna, 4 voll., Milano 1968), I, 26-28.
18
"Cassirer", in Dizionario dei filosofi, 209.
19
L. Brunschvicg, L'idéalisme contemporain, Paris 1901, 10; Id., L'expérience humaine et la
causalité physique, Paris 1922, 569-570; Id., Les étapes de la philosophie mathématique, Paris 1912;
Id., Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale, 2 voll., Paris 1927; "Brunschvicg",
in Dizionario dei filosofi, 179.
20
G. Bachelard, Le nouvel esprit scientifique, Paris 1934, (tr. it. Il nuovo spirito scientifico, Bari
1951); Id., La formation de l'esprit scientifique, Paris 1938; Id., Le matérialisme rationnel, Paris
1953, (tr. it. Il materialismo razionale, Bari 1975).
21
E.A. Burtt, The Metaphysical Foundations of Modern Physical Science, London 21950.
A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being, Cambridge, Mass. 21957, (tr. it. La grande catena
dell'essere, Milano 1966).
22
23
A.N. Whitehead, Science and the Modern World, Cambridge 1926 (tr. it., La scienza e il
mondo moderno, Milano 1945).
24
A.O. Lovejoy, Essays in the History of Ideas, New York 21960, 6.
25
Cf. P. Mathias (Ed.), Science and Society: 1600-1900, Cambridge 1972; Rossi, "Storia della
scienza", 391.
26
Cf. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, 13, 64ss, 77, 229; M. H. Nicolson, Science
and Imagination, Ithaca 1962; Rossi, "Storia della scienza", 391; L. Actis-Perinetti, "Whitehead", in
Dizionario dei filosofi, 1260-1262.
41
27
G. Gurvitch, "Problèmes de sociologie de la connaissance", in Traitè de la sociologie, Paris
1950, 112.
28
J. Needham, Science and Civilisation in China, 7 voll., Cambridge 1954ss., (tr.it. Scienza e
civiltà in Cina, vol I, Lineamenti introduttivi, Torino 1981ss.
29
Rossi, "Storia della scienza", 392.
30
R. K. Merton, The Sociology of Science: an Episodic Memoir, London 1979, 15-19. Egli
s'interessò, soprattutto, alla struttura culturale e sociale della scienza.
31
G. Sarton, Horus: a Guide to the History of Science, Waltham. Mass. 1952, 11; Id., The
History of Science and the New Humanism, Bloomington 1962.
32
W. Pagel, William Harvey's Biological Ideas, Basel 1967, (tr. it. Le idee biologiche di William
Harvey, Milano 1979, 82).
33
N.R. Hanson, Patterns of Discovery, Cambridge 1958, (tr. it. I modelli della scoperta
scientifica, Milano 1978); Id. What I do not Believe and Other Essays, Dordrecht 1971.
34
T.S. Kuhn, The Copernican Revolution, Cambridge, Mass., 1957, (tr. it., La rivoluzione
copernicana, Torino 1972); Id., The Structure of Scientific Revolutions, Chicago 21969, (tr. it. La
struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino 1978).
35
S. Toulmin, The Philosophy of Science, London 1953; Id., "The Evolutionary Development of
Natural Science", in American Scientist, 55 (1967), 456-471.
36
J.T. Merz, A History of European Thought in the Nineteenth Century, 4 voll., Gloucester 19041912; Agazzi, "Introduzione", I, 11-12.
37
Cf. A. Rey, Les sciences dans l'antiquité, 4 voll., Paris 1933-1946; A.C. Crombie, Augustine
to Galileo. The History of Science a.d. 400-1650, London 1952, (tr. it., Da Agostino a Galileo.
Storia della scienza da V al XVII secolo, Milano 1970); Agazzi, "Introduzione", I, 13; J.L. Dreyer,
Storia dell'astronomia da Talete a Keplero, Milano 1970; A. Birkenmajer, Études d'histoire des
sciences et de philosophie au Moyen Age, Wroclaw 1970.
38
Cf. B. Nelson, "Sciences and Civilisations East and West: J. Needham and Max Weber", in
Boston Studies in the Philosophy of Science, 10 (1974); Agazzi, "Introduzione", I, 14; T.S. Kuhn,
The Essential Tension. Selected Studies in the Scientific Tradition and Change, Chicago 1977.
39
In matematica: limite, tendenza di una variabile ad assumere un determinato valore; infinito,
astrazione che indica una quantità illimitatamente grande; infinitesimo, quantità infinitamente
tendente allo zero; funzione, grandezza che varia in dipendenza da un'altra.
40
M. Kline, Mathematics in Western Culture, Oxford 1953, (tr. it. La matematica nella cultura
occidentale, Milano 1976); Agazzi, "Introduzione", II, 9.
41
Ricerca sui fondamenti, in matematica: a) in senso lato indica lo studio della basi
epistemologiche della logica e della matematica; b) in senso stretto indica un ramo della matematica
costituito da un gruppo di discipline (t. degli insiemi, t. delle funzioni ricorsive, t. dei modelli, ecc.)
che, in piena autonomia metodologica, originano dalle indagini critiche sui concetti basilari della
matematica, attuate fra l'800 e il '900.
42
Frege (1848-1925) tentò di dimostrare che le "verità" matematiche sono puramente logiche e
prescindono da ogni intuizione. Il tentativo risultò contraddittorio, ma gli strumenti logici da lui
creati servirono per successivi sviluppi della logica.
43
Insieme, in logica matematica, indica una classe di elementi distinti e chiaramente definiti,
ragggruppati o raggruppabili fra loro, in base a una caratteristica comune. Teoria degli insiemi,
studia non solo gli insiemi, ma tutte le loro possibili relazioni, per giungere a una razionalizzazione
42
matematica di tutte le evenienze possibili. Giunta a gravi contraddizioni pose in crisi la matematica
agli inizi del 1900.
44
A.R. Hall, "The Scholar and the Craftsman in the Scientific Revolution", in Clagett, The
Critical Problem, 3-23; Agazzi, "Introduzione", II, 10-11.
45
G. Gismondi, "La ricerca scientifica come equilibrio fra specializzazione e specialismo" in
Relata Technica, 4(1972), 485-516; Cf. Agazzi, "Introduzione", II, 12.
46
Cf. W. Stegmüller, The Structure and Dynamics of Theories, New York 1976; Rossi, "Storia
della scienza", 397.
47
Ad esempio: la teoria elettromagnetica di Maxwell, la teoria di Wegener sulla deriva dei
continenti, ecc.
48
Ad esempio: il sistema copernicano, la teoria dell'evoluzione, la biologia meccanicista, il
comportamentismo, ecc.
49
L. Laudan, Progress and its Problems: Toward a Theory of Scientific Growth, Los Angeles
1977, (tr.it., Il progresso scientifico. Prospettive per una teoria, Roma 1979).
50
Detti pure "non rigettabili" o "sacrosanti". Cf. I. Lakatos, A. Musgrave (Eds.), Criticism and
the Growth of Knowledge, London 1970, (tr. it., Critica e crescita della conoscenza, Milano 1976).
51
Cf. M.D. Grmek, "A Plea for Freeing the History of Scientific Discovery from the Myth", in
M.D. Grmek, R.S. Cohen, G. Cimino, On Scientific Discovery, Dordrecht 1981; Rossi, "Storia della
scienza", 397-398.
43
5.
EPISTEMOLOGIA: COSCIENZA CRITICA E AUTOCRITICA
DELLA SCIENZA
1.
Cenni introduttivi
Questo capitolo non è facile, perché sintetizza in poche pagine, le vicende storiche e
le coordinate culturali del grandioso sforzo teorico di stabilire i fondamenti della
scienza, chiarire il suo significato e dimostrarne le conoscenze come vere, certe e
definitive. Esso diede origine all'epistemologia,1 come disciplina che aiutò a
capovolgere molte prospettive e a rendere consapevoli dei complessi grovigli
problematici, che la scienza crea e deve incessantemente affrontare.
La difficoltà del capitolo risiede nel seguire un esile filo conduttore, smarrito in
un'enorme quantità di argomenti scientifici, epistemologici, storici e filosofici,
sviluppati nell'arco di più secoli, in nazioni e culture assai diverse. Perciò, per comodità
del lettore, abbiamo esposto chiaramente questo "filo" nelle "riflessioni conclusive",
che possono essere lette subito, omettendo il resto senza inconvenienti. Chi lo desidera,
potrà leggere il capitolo successivamente e con tutta calma. In questo caso troverà
spiegati in nota e nel "breve lessico" in fondo al volume, tutti i concetti più complessi e
i termini più tecnici. Invece il lettore interessato e stimolato dalle contraddittorie
vicende di un pensiero così tormentato e sovente oscuro, può tranquillamente
procedere.
2.
Epistemologia, una disciplina difficile e sofferta
Epistemologia, nel senso attuale, indica l'indagine critica intorno ai presupposti, alla
struttura e ai metodi della scienza2 e ai problemi delle singole discipline. Tuttavia, essa
non fu intesa sempre in questo modo. Fu un insieme di circostante a farne la coscienza
sempre più vigile, critica e autocritica della scienza, reinserendo la filosofia nel
discorso scientifico, dopo che ne era stata arbitrariamente estromessa.
Perciò, essa non ebbe mai un cammino facile, perché la sua nascita e sviluppo sono
legati ai fatti e alle ragioni che, a partire dal XIX secolo, resero molti problemi della
scienza sempre più complessi e talora insolubili. Nel capitolo precedente abbiamo visto
quanto gli storici diffidino di essa. Molti filosofi fanno altrettanto.
2.1.
Inizi incerti e contrastati
Ciò spiega perché il suo ruolo si sia rivelato subito ingrato e abbia subito giudizi
tutt'altro che benevoli. Musgrave la riconobbe afflitta da una "epidemia di problemi".
Canguilhem, facendone il bilancio, vi trovò più manifesti e programmi che risultati.3
Toulmin la giudicò una "disordinata velleità disciplinare".4 Skolimowski la trovò in
condizioni peggiori dell'astronomia tolemaica ai tempi di Copernico, il che è tutto dire.5
Pertanto furono numerose le proposte di sostituirla con altre discipline: storia,
psicologia, sociologia della scienza ecc.6 I tentativi di collaborazione fra epistemologi e
storici ne misero in luce la fragilità: se "descriveva" diveniva conformista, se
"prescriveva" era paternalista, se faceva tutt'e due peggiorava entrambi gli aspetti.7 Uno
dei giudizi meno negativi diceva che:
"L'epistemologia ha già imparato molte cose dalla storia delle scienze e
viceversa. Gli epistemologi, in particolare, hanno appreso a formulare regole
metodologiche più permissive e gli storici della scienza hanno usufruito di nuove e
interessanti ipotesi di lavoro storiografiche. Questa collaborazione, tuttavia, è
esposta a pericolosi rischi. Gli epistemologi tendono ad essere i monatti della
scienza, costringendo la prassi scientifica, attraverso ricerche storiche volutamente
non troppo precise, a coincidere con le loro ricette metodologiche".8
Il richiamo a ricerche storiche "volutamente non troppo precise" appare alquanto
polemico, ma non del tutto ingiustificato.
2.2.
La ricerca di una precisa identità
Le difficoltà si ritrovano pure nei nomi e definizioni che ne danno i dizionari.
Alcune semplificano troppo o sono troppo prolisse come: studio dei fondamenti, della
natura, dei limiti e delle condizioni di validità, del sapere scientifico che si estende alle
scienze esatte (logica e matematica), ed empiriche (fisica, chimica, biologia, psicologia,
sociologia, storiografia, ecc.).9 Altre sintetizzano troppo: "indagine critica intorno alle
scienze naturali e matematiche".10 Per gli Inglesi è "filosofia della scienza" , per i
Francesi è "filosofia delle scienze", per i Tedeschi "filosofia della natura" o "teoria
della scienza". Sono tutti termini più o meno ambigui. Alcuni vorrebbero limitare
l'epistemologia allo studio critico della "forma", lasciando i "contenuti" alla filosofia. In
tal caso, però, il termine "epistemologia" per alcuni diviene troppo vago e quello di
"filosofia-della-scienza" troppo confuso.11 Numerosi autori lamentano tale confusione
(Radnitzky, MacMullin, Agazzi, ecc.).12
2.3.
Un futuro incerto
Gli storici sorridono di questa situazione che "fa a pezzi" l'immagine di una
epistemologia "padrona della razionalità scientifica" e la costringe a interrogarsi più
profondamente sulla sua natura meta-teorica e a rinunciare ai prontuari di regole da
ammanire alle comunità scientifiche. Scrive Baldini: "La repubblica degli epistemologi
è scossa da inquietanti paradossi e da scandali teorici. Lo storico della scienza ha
mostrato come nell'armadio dell'epistemologo vi siano alcuni scheletri e come sia
ormai giunto il tempo di fare le dovute pulizie".13 Egli descrive l'epistemologo con
l'immagine tratta dal Barone di Münchausen, del lupo (lo storico) che salta in groppa al
cavallo (l'epistemologo) che tira la carrozza del barone (lo scienziato) e comincia a
divorarlo dall'interno, fino a consumarlo totalmente. A questo punto, però, si trova
legato al posto del cavallo per trascinare la carrozza, sotto le frustate del barone.
3.
Epistemologia e complessità della scienza
Tuttavia, gran parte delle ambiguità e difficoltà dell'epistemologia, derivano dalla
scienza, divenuta un fenomeno troppo vasto, complesso e multiforme, in cui è difficile
fare chiarezza. Pertanto gli epistemologi hanno dovuto procedere a una serie di
distinzioni, imperfette quanto si vuole, ma comunque indispensabili. La prima distingue
la scienza in "prodotto finale" e "produzione". Il "prodotto" è dato da tutte le
informazioni scritte che si trovano nei resoconti scientifici (il "terzo mondo" di
Popper). La "produzione", invece, è l'insieme delle attività logiche e sperimentali che
consentono di ottenere irisultati (o prodotto). Esse sono molteplici e attingono al di
fuori dell'ambito scientifico (filosofia, tecniche, ecc.) o dall'interno. Pertanto
l'epistemologia o "filosofia della scienza", a seconda dei suoi contenuti, si distingue in
"esterna" e "interna" alla scienza, più o meno come la storia della scienza.
L'epistemologia "interna" s'interessa ai "procedimenti razionali" (filosofia,
metafisica, logica), necessari per valutare gli aspetti generali della scienza o di suoi
ampi settori. Pertanto prescinde dai "procedimenti pratici" seguiti dagli scienziati.
L'epistemologia interna, al contrario, studia gli elementi interni alla scienza (metodi,
leggi, ipotesi, convalide, previsioni, ecc.) e le loro funzioni, riferendosi alla "pratica
degli operatori scientifici" più famosi. Tuttavia considera solo ciò che fanno, ma non
ciò che dicono o credono di fare.
47
Queste necessarie distinzioni non sono facili da applicare né dagli storici né dagli
epistemologi,14 per cui Popper ha concluso che "la storia della scienza, come quella di
tutte le idee umane, è storia di sogni irresponsabili, di ostinazioni e di errori".15
4.
Epistemologia e nuova immagine della scienza
Data la complessità della materia, il nostro esame si concentra soltanto su quei
mutamenti epistemologici verificatisi tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX, che
sconvolsero la mentalità scientista (positivista, neo-positivista e razionalista).
In quel lasso di tempo, Boutroux contestava il determinismo delle leggi scientifiche
e dimostrava la contingenza annidata al centro della scienza. Mach e Avenarius
mettevano in luce la sottostruttura metafisica della scienza positivistica e del
meccanicismo determinista. Le Roy dimostrava che i "fatti" e i "dati" scientifici sono
costruzioni puramente arbitrarie. Poincaré, in seguito all'emergere delle geometrie non
euclidee,16 negava a quella euclidea il carattere di verità, riconoscendole solo l'utilità e
la comodità. Duhem giudicava la scienza un simbolismo matematico convenzionale. I
filosofi angloamericani elevavano il concetto pragmatico della scienza a sistema
filosofico. Dewey riteneva che i concetti scientifici sono soltanto strumenti utili per
regolare gli eventi, senza alcuna pretese di verità.17
La fisica, regina delle scienze, scopriva la relatività delle determinazioni spaziotemporali,18 l'indeterminismo,19 la discontinuità dell'energia,20 il dualismo corpuscoloonda,21 la non intuibilità delle nozioni elementari,22 ecc.
Tutte queste acquisizioni filosofiche e scientifiche spezzavano il legame con la
precedente "ragione scientifica", facendo passare gli operatori scientifici da una
condizione di certezza ad una di grande problematicità, che esigeva modelli più duttili
di pensiero. Si sviluppava, così, una crescente riflessione critica e auto-critica.23
5.
Dal monolitismo alla frammentazione dell'impresa scientifica
L'epistemologia muoveva dal preteso ideale positivista del "massimo di datità", che
esigeva una scienza unificata, quantitativa, matematizzata e assiomatica.24 Tuttavia i
rivolgimenti causati dalla relatività e dalla meccanica quantistica, allontanando il
pensiero scientifico dall'esperienza comune, sollevavano il problema del rapporto fra la
forma logica della scienza e la sua verifica sperimentale. Gli "esperimenti decisivi"
(experimentum crucis) apparivano impossibili, dopo che Duhem aveva dimostrato la
possibilità di contrapporre ipotesi ausiliarie alle confutazioni sperimentali, al fine di
salvare i principi confutati.25 Questa tesi "convenzionalista"26 già sviluppata da
Poincaré27 sarebbe stata confermata anche da Lakatos, che più tardi avrebbe dimostrato
come ogni esperimento negativo possa essere "riassorbito" attraverso opportune
"convenzioni".28
Il programma hilbertiano dell'assiomatica,29 in base al quale qualsiasi sistema
teorico può essere ricavato deduttivamente dai termini primitivi e dagli assiomi30 venne
drasticamente ridimensionato, nel 1932, quando Gödel dimostrò che per ogni sistema
assiomatico esistono formule la cui verità o falsità è indimostrabile.31 I tentativi di
Frege32 Russell33 e Whitehead 34 per trasformare la matematica in logica formale, capace
di ricavare asserti da altri asserti, avrebbero incontrato insormontabili difficoltà.
In breve, l'enorme sforzo per collegare teorie scientifiche, osservazione ed
esperimento rivelò l'insormontabile complessità del rapporto fra protocolli
osservativi35 e teorie e fra i dati dell'esperienza e i sistemi concettuali che cercano
d'inquadrare in modo logico e unitario tali dati.
48
5.1.
La dimensione linguistica dei problemi scientifici
Lo sforzo della prima metà del 1900, volto a trovare un rapporto tra logica ed
esperienza, che fosse univoco e conciliabile con gli sviluppi delle scienze umane e
teoretiche fallì. Tuttavia, consentì importanti acquisizioni per la filosofia del discorso e
del linguaggio.36
Infatti Carnap, per superare le difficoltà di tale rapporto, proponeva una libera
costruzione di linguaggi atti a ricevere i contenuti empirici, riformulando gli elementi
dell'empirismo e positivismo in forma di "convenzionalismo".37 Mediante l'analisi
dell'espressione linguistica voleva dimostrare la tesi empiristica. Pertanto dichiarava
vuota o tautologica ogni proposizione che non riferise contenuti di esperienza.38
L'introduzione dell'interesse semantico e dei rapporti tra sintattica39 e semantica, 40
arricchì l'epistemologia, ma vi introdusse nuovi problemi di non facile soluzione, quali
l'integrazione dell'analisi formale del linguaggio con la sua funzione significante.
Perciò rendeva necessaria una teoria del significato e dell'intepretazione.
Tarski, per definire la verità delle proposizioni, in riferimento all'oggetto da loro
denotato, introduceva la nozione di modello41 per distinguere gli insiemi di proposizioni
vere o false rispetto al modello dato. Ne risultava, però, che l'insieme delle proposizioni
vere non è definibile all'interno di un dato modello. La semantica veniva a interferire
pure con gli sviluppi dell'assiomatica che, nella scienza del Novecento, costituiva uno
dei capitoli più ricchi di implicanze filosofiche.42
6.
Dal formalismo positivista alla creatività mentale
Anche il problema della mente o del "razionale" era un punto dolente del quadro
epistemologico. La mente era il "fantasma nella macchina" soggettiva e oggettiva.
Razionalisti e positivisti temevano che compromettesse il carattere "positivo" della
conoscenza, reintroducendo un elemento animistico nella natura. Perciò volevano
coordinare la mente con la natura o eliminarla. Poiché Wittgenstein, nel Tractatus
logico-philosophicus (1922), cercava di unificare quei due itinerari, sollevò un interesse
eccezionale.43
Però, nel 1930, passato da Vienna a Cambridge, cambiò impostazione. Vide il
linguaggio come espressione di una funzione significante più particolare, il cui fine non
era più di rappresentare soltanto, ma anche di comunicare. Inoltre, il "mentale" non
poteva scomparire, perché legato alle "origini delle assiomatiche" o, nei termini di
Wittgenstein, dei "giuochi linguistici". La mente continuava a inquietare, manifestando
ovunque la sua molteplice presenza.
Ipotesi e teorie scientifiche apparivano non più "derivate" dai fatti osservati, ma
"inventate" per spiegarli, per cui lo scienziato doveva sbrigliare la sua
immaginazione.44 La spiegazione scientifica veniva identificata con un modello
deduttivo. Un evento diveniva spiegabile, deducendone la descrizione da asserti di
leggi generali e di condizioni antecedenti. Il sistema di asserti costituiva l'unità di
significanza.45
Per Schlick il criterio di verifica era il "postulato di significanza empirica", vale a
dire che il metodo di verifica era dato dal significato stesso della proposizione, ma ciò
incontrò difficoltà insormontabili nella logica formale.46 L'"epistemologia genetica" di
Piaget offriva il tramite fra soggetto e oggetto.47 Il mentale, però, anziché scomparire, si
rifletteva sul reale, tanto che, alla fine, Piaget ammise di aver raggiunto una posizione
addirittura antitetica al neopositivismo. Pertanto, mutò il "gestaltismo"48 in
"strutturalismo", dando rilievo a una delle più significative espressioni teoriche della
scienza e sottolineando la consapevolezza creativa dello scienziato.49
49
Intanto, alcune scuole neurofisiologiche e cibernetiche50 "oggettivavano" il mentale.
Ossia i ricercatori riferivano i problemi logici e linguistici, emergenti dalla ricerca, alla
realtà fisica in sé, o a livelli meta-convenzionali della conoscenza e ritenevano che
quanto era segnalato dai loro apparati conoscitivi corrispondesse a qualcosa di reale.51
Mentre l'epistemologia filosofica stentava a superare il fisicalismo 52 al cui
programma, ormai, nessuno credeva più,53 le nuove scienze affrontavano problemi più
avanzati.
7.
I nuovi approcci scientifici ed epistemologici
Tali nuove scienze del secondo Novecento, cibernetica, etologia, ecologia, ecc.
richiamarono la necessità di nuove assiomatiche qualitative e strutturali. Volendo
recuperare l'esemplarità conoscitiva della scienza, misero in luce il fatto che finora
erano stati considerati soltanto gli aspetti più parziali e artefatti dell'impresa scientifica.
Perciò le epistemologie più recenti si sforzarono di colmare la lacuna ricorrendo alla
storiografia delle scienze.
Popper fu assai ascoltato, perché criticava l'oscurantismo specialistico e
l'atteggiamento antimetafisico del gruppo viennese. Egli intendeva superare entrambi,
riunendo insieme pensiero filosofico e scientifico. Sottolineò l'asimmetria fra la verifica
e la falsificazione scientifica. Dimostrò che gli asserti individuali non possono
"verificare" o "giustificare" (dimostrare veri) gli asserti universali, ma solo "falsificarli"
(dimostrarli falsi). Sostenne che le percezioni non giustificano le proposizioni, ma
permettono di falsificarle nell'ambito di "convenzioni intersoggettive".
Le risposte negative, confutando le conclusioni, scalzano l'edificio. Pertanto, la
scienza poggia solo sulla sicurezza negativa o sulla "logica dell'errore". Anche la storia
confermava che le nuove acquisizioni scientifiche non nascono dagli esperimenti, ma
dal pensiero, dalla riflessione, dalle congetture, dai problemi, dalle speculazioni e dalle
idee e anticipazioni più audaci.54
La svolta semantica del "secondo" Wittgenstein sottolineava che il rapporto fra
logica ed esperimento viene mediato dall'azione (operazione) prima che dalla
convenzione, per cui occorre un giusto equilibrio tra segno verbale ed evento. Kuhn
metteva in luce che il ruolo della comunità scientifica è più significativo di quello
dell'individuo.
Perciò Sherrington sottolineava che la scienza naturale può analizzare e descrivere
la vita ma non il pensiero, perché la mente non è una cosa e il modello energetico non
riesce a raffigurarne alcun aspetto né funzione. Eccles notava che l'autocoscienza e
l'unità dell'esperienza cosciente sono attributi della mente e non aree associative degli
emisferi cerebrali. Quindi il "terzo mondo"55 di Popper, o "mondo tre" di Eccles,
avrebbe connotati non solo culturali ma anche trascendenti, da cui la mente (mondo
due) attingerebbbe la struttura ordinatrice del proprio campo fisico d'azione (mondo
uno).
Nel frattempo gli studi sulla "logica della scoperta scientifica" esploravano i
retroterra delle congetture e delle ipotesi.
7.1.
Il ritorno inquietante della "mente"
La difficoltà maggiore consisteva, ora, nel trasformare i dati della percezione in
elementi teorici.56 Data l'importanza e il prestigio attribuiti alle "macchine" e la
difficoltà di collegarle alla mente, vennero sviluppandosi sempre più le ricerche
cibernetiche sui rapporti fra mente e macchina, mente e informazione. Tuttavia,
riguardo alla mente, Sayre ne ipotizzava l'immaterialità (a-spaziale e a-temporale).57 La
scuola di Bruxelles, con Prigogine e Glansdorff, studiava i sistemi aperti, in cui
50
l'aumento dell'entropia si concilia col divenire strutturale. Wiener aggiungeva alla
materia e all'energia l'"informazione", come terzo elemento della realtà fisica che, senza
di essa non potrebbe sopravvivere.58 Tuttavia, nell'epistemologia dei cibernetici, il
concetto d'informazione conteneva un'insuperabile ambiguità che ne faceva un
elemento ora soggettivo e ora oggettivo. Inoltre l'analogia mente-macchina rischiava di
vincolare il mentale più alla dinamica del segno che alla definizione del significato.59
A metà secolo XX, le analisi logiche e sociologiche della scienza si arricchivano di
nuovi strumenti. Alle analisi epistemologiche dei filosofi si aggiugevano quelle di
uomini di scienza, decisi a valorizzare la propria esperienza scientifica come vitale
fattore culturale nella scuola, nella programmazione sociale e nel dibattito delle idee.60
Snow aveva proposto di creare un tramite tra cultura umanistica e scientifica. Gli
obiettarono, però, che due "mezze culture" non fanno una cultura intera, come due
mezze verità non fanno una verità.61 Ormai il dibattito epistemologico coinvolgeva
operatori scientifici di ogni disciplina (in particolare biologi e psicologi) e aumentava le
richieste di "una scienza che dialettizzi l'epistemologia dei filosofi in nome
dell'autoconsapevolezza".62
8.
Soggettività e storicità della scienza
Ritorniamo ora al dibattito epistemologico sulla fisica e le scienze naturali. Qui la
disputa infuriava sulla validità del "falsificazionismo" proposto da Popper. Si dubitava
della possibilità di dimostrare definitivamente falsa un'affermazione scientifica perché,
con qualche "stratagemma" convenzionalista, si poteva salvare ogni teoria da qualsiasi
critica. Anche il falsificazionismo 63 veniva svalutato e si doveva spostare l'attenzione
dalla "oggettività" dei fatti alla "soggettività" e "storicità" del conoscere. Pertanto, nel
1965, Popper, Kuhn e Lakatos si confrontarono sulle loro opposte convinzioni.64
Kuhn insisté nel chiedere a Popper se la falsificazione era un confronto fra enunciati
e osservazioni o piuttosto un confronto fra enunciati.65 Popper non rispose, accusando
Kuhn di relativismo e negando l'esistenza delle sue "teorie dominanti" nella "scienza
normale". Lakatos sorvolò questi punti, proponendo la sua "metodologia dei
programmi scientifici" e tacciando il falsificazionismo di Popper d'insufficente
razionalità. Perciò, propose la scienza come una "dialettica" fra ragione dinamica e
ragione statica. Soprattutto chiese di eliminare ogni preclusione pregiudiziale contro la
metafisica e di favorire tutto ciò che aumenta l'estensione e l'ordine del conoscere.
Infine, reclamò maggiore unione tra filosofia e storia della scienza, giudicando che la
filosofia della scienza è vuota senza la storia e la storia della scienza è cieca senza la
filosofia.66
Aqvist, formulava la sua "teoria logica degli interrogativi" mettendo in luce che la
scienza, con le sue domande, determina in partenza sia le risposte che il loro
significato, ed esclude molte domande importanti col pretesto che non hanno senso.
Egli notò che tutte le domande e i problemi hanno senso solo in riferimento a un
contesto metafisico. Quindi i problemi migliori sono proprio quelli capaci di far
cambiare i punti di vista e aprire nuovi problemi metafisici o differenti modi di
guardare l'universo.67
Feyerabend, sostenendo che il "falsificazionismo" di Popper aveva gli stessi difetti
del "verificazionismo neopositivistico",68 propose di sostituire entrambi con una
"simmetria biunivoca fra enunciato e osservazione" o "controinduzione". Essa
consisteva nell'inventare teorie "volutamente" incompatibili con i fatti, per smascherare
i contenuti ideologici delle conoscenze e delle osservazioni scientifiche.69 Questo
ricorso alle conseguenze estreme, per "fare esplodere le contradddizioni del pensiero
scientifico" apparve molto datato, tipico del periodo della "contestazione", ma
teoricamente fragile e privo di sufficiente senso critico.70
51
Recentemente, per la sua quasi esclusiva attenzione alle scienze fisiche,
l'epistemologia è stata accusata di eludere i problemi più importanti della biologia e di
considerare quelli delle scienze umano-sociali solo di sfuggita. Perciò deve capovolgere
tale atteggiamento.71
Per concludere, ricordiamo che i problemi della scienza e dell'epistemologia, emersi
in questa rassegna, sono davvero innumerevoli ed estremamente complessi. Tuttavia, se
nella loro maggioranza sono ancora lontani da una soddisfacente soluzione, forniscono
un quadro generale che consente chiare e precise indicazioni che riassumiamo nelle
seguenti "riflessioni conclusive".
9.
Riflessioni conclusive
Il senso di smarrimento e di disagio, di fronte a espressioni di pensiero così diverse,
contraddittorie, conflittuali e ai limiti della comprensibilità, illumina l'enorme sforzo
compiuto dal pensiero epistemologico, filosofico e scientifico, dalla metà del secolo
scorso ad oggi, per dare un fondamento solido e definitivo alla scienza come sapere
unico, vero e certo, capace di sostituire ogni altra forma di pensiero: religioso,
filosofico, etico, metafisico e teologico. Lo sforzo, però, è fallito consentendo di
raggiungere conclusioni "epocali" per la scienza e per la cultura. Le principali sono le
seguenti:
1) La scienza è un insieme di congetture limitate, parziali, provvisorie, storicamente
e culturalmente condizionate, non dimostrabili né vere né false in via definitiva, ma
sempre riformabili e soggette a mutamenti anche radicali.
2) La scienza, per fondare e verficare i suoi presupposti fondamentali, i suoi principi
di base e la propria legittimità, identità, ruolo e significato, deve confrontarsi
criticamente con il pensiero meta-scientifico: epistemologico, filosofico, metafisico,
storico, etico e teologico.
3) Perciò: il prolungato dibattito epistemologico ha contribuito a definire la scienza
sempre meno come un "formalismo" e sempre più come una "strategia conoscitiva
connotata in senso realistico"; sempre meno come un "ostacolo metodologico" e
sempre più come una "capacità inventiva" dinamica e aperta al futuro; sempre meno
come un "sapere eidetico" dal "fondamento inattaccabile", stabilito una volta per tutte,
e sempre più come un "sapere dialettico" in perenne revisione e alla ricerca di
maggiore idoneità conoscitiva.72
Ciò significa che tutte le forme specifiche di conoscenza, scienze comprese, devono
rifuggire dai formalismi esasperati e tendere sempre più al "gusto del conoscere, alla
maturità dello spirito, all'anelito della libertà vera, all'esercizio del criterio e della
discrezione".
La conclusione finale, quindi, è che "un'interpretazione della scienza e della cultura
che volutamente ignori o mortifichi l'essenza spirituale dell'uomo, la sua aspirazione
alla pienezza dell'essere, la sua sete di verità e di assoluto, gli interrogativi che si pone
di fronte agli enigni del dolore e della morte, non può soddisfare le più profonde e
autentiche esigenze dell'uomo".73
Il faticoso e tormentato traguardo di queste consapevolezze dimostra che ulteriori
approdi costruttivi sul pensiero e sulla cultura scientifica sono possibili e indispensabili.
1
Episteme, indica l'insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche di una data
epoca.
2
Ossia: osservazione, sperimentazione e inferenza.
52
3
Cf. M. Baldini "Storia della scienza e storia della filosofia", in M. Fabris, F.Casamassima,
Cultura post-moderna e filosofia. Aspetti e confronti, Bari 1990, 45.
4
S. Toulmin, "The Structure of Scientific Theories", in F. Suppe (Ed.), The Structure of
Scientific Theories, Urbana, Ill. 1977, 600-614.
5
H. Skolimowski, "Evolutionary Rationality", in R.S. Cohen, C.A. Hooker (Eds.), in
Proceedings of the 1974 Biennial Meeting of Science Association, Dordrecht 1976, 205.
6
L. Briskman, "Historicist Relativism and Bootstrap Rationality", in The Monist, 60 (1977),
509.
7
Baldini, "Storia della scienza", 48; cf. Th. Nickles, "Rationality and Social Context", in Th.
Nickles (Ed.), Scientific Discovery: Cases Studies, Dordrecht, 1980.
8
Baldini, "Storia della scienza", 54; Cf. S. Tagliagambe, "Scene da un matrimonio: la
difficile convivenza di epistemologia e storia della scienza", in S. Tagliagambe, A. Di Meo (a
cura di.), Scienza e storia, Roma 1980, 27.
9
"Epistemologia", in Enciclopedia Garzanti di filosofia", 256.
10
F. Amerio, "Epistemologia", in Dizionario delle idee, 321.
11
J. Toussaint Desanti, La philosophie silencieuse ou critique des philosophies de la science,
Paris 1975, 7, 110, 211.
12
E. MacMullin, "Storia e filosofia della scienza. Una tassonomia", in N. Caramelli (a cura
di), Storiografia delle scienze e storia della psicologia, Bologna 1979, 32; E. Agazzi, Temi e
problemi di filosofia della fisica, Roma 1974.
13
Baldini, "Storia della scienza", 66.
14
Cf. MacMullin, "Storia e filosofia della scienza", 33-38, 40-45, 75-75.
15
K. Popper, Conoscenza oggettiva, Roma 1975, 233-234.
16
Le geometrie non euclidee partono dalla negazione del quinto postulato di Euclide, per il
quale per un punto esterno a una retta passa una sola parallela alla retta data.
17
J. Dewey, Experience and Nature, Chicago 1926, 149.
18
Teoria per cui nessun fenomeno ha un valore assoluto in sé, ma relativo al sistema cui si
riferisce, ivi compreso l'osservatore.
19
Teoria per cui gli eventi non sono legati da alcun rapporto di causa-effetto. Più
esattamente il principio d'indeterminazione, fondamentale nella meccanica quantistica, dice che
non è possibile determinare con esattezza una delle quantità osservabili, senza render
indeterminato il valore delle altre.
20
Teoria per cui l'energia viene emessa in forma di quantità "discrete" (discontinue o
separate).
21
Necessità di spiegare la luce ricorrendo ai simboli di "corpuscolo" e di "onda". Tuttavia le
due teorie: "corpuscolare" e "ondulatoria", causano gravi problemi interpretativi perché
incompatibili, a meno che si rinunci a dare ai loro concetti un significato troppo preciso.
22
Intuizionismo, nella filosofia della matematica, corrente di pensiero che concepisce gli
enti matematici come prodotti dall'intuizione ed esclude come illegittimi i concetti che non
corrispondono a contenuti intuitivi.
23
Amerio, "Epistemologia", 326.
24
L'assiomatica è il complesso degli assiomi che fungono da fondamenti o premesse di un
discorso deduttivo. Gli assiomi sono affermazioni convenzionali poste, in base a motivi di
opportunità, a fondamento o premessa di un discorso logico o matematico. Cf. N. Hartmann,
Grundzüge einer Metaphysik der Erkenntnis, Berlin 1921; A. Einstein, Geometrie und
Erfahrung, Berlin 1921; V. Cappelletti, "Epistemologia", in Enciclopedia del Novecento, II,
53
695; P.W. Bridgmann, The Nature of Physical Theory, Princeton 1936, (tr. it., La natura della
teoria fisica, Firenze 1965).
25
P. Duhem, La théorie physique: son objet et sa structure, Paris 1906.
26
Convenzionalismo, dottrina epistemologica e filosofica che considera le leggi, le
affermazioni e le procedure scientifiche ecc. come puri e semplici accordi (convenzioni) pratici
e soggettivi fra persone.
27
H. Poincaré, La science et l'hypothèse, Paris 1902, (tr. it., La scienza e l'ipotesi, Firenze
1949, Roma 21963); Id., La valeur de la science, Paris 1905, (tr. it., Il valore della scienza,
Firenze 1947).
28
I. Lakatos, Criticism and the Growth of Knowledge, London-New York 1970.
29
Assiomatica, in epistemologia, tendenza a concepire la scienza come un sistema ipotetico
deduttivo, basato esclusivamente su un insieme di assiomi scelti ad arbitrio, purché compatibili.
In matematica, ramo delle scienze matematiche (critica dei fondamenti) in cui si discute dei
principi della matematica.
30
Assioma, verità o principio certo, indiscutibile, evidente per sé, costituente la base per
l'ulteriore ricerca. D. Hilbert, "Über den Zahlbegriff", in Jahresbericht der deutschen
Mathematiker-Vereinigung, 1900, VIII, 180-194; Id., "Über die Grundlagen der Logik und der
Arithmetik", in Verhandlungen der dritten internationalen Mathematiker-Kongresses in
Heidelberg vom 8. bis 13. August 1904, Leipzig 1905; Id., Grundlagen der Geometrie, Leipzig
1899, (tr. it., Fondamenti della geometria, Milano 1970); D. Hilbert, P. Bernays, Grundlagen
der Mathematik, 2 voll., Berlin 1934-1939.
31
Cappelletti, "Epistemologia", 697.
32
G. Frege, Die Grundlagen der Arithmetik, Breslau 1884; Id., Grundgesetze der Arithmetik,
begriffsschriftlich abgeleitet, 2 voll., Jena 1893-1903.
33
B. Russell, The Principles of Mathematics, Cambridge 1903.
34
B. Russell, A.N. Whitehead, Principia Mathematica, 3 voll., Cambridge 1910-1913.
35
Protocolli o proposizioni protocollari, nel positivismo logico erano le enunciazioni
semplicissime, elementari, non scomponibili o riducibili, che si riferivano alle percezioni più
immediate e avrebbero dovuto costituire il punto di partenza e il fondamento della scienza.
36
Cassirer portò al vertice l'esigenza di passare, dai metodi conoscitivi positivi, ai principi
trascendentali, riannodando la scienza alla tradizione filosofica. Cf. E. Cassirer, Das
Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 3 voll., Berlin 19061920; Cappelletti, "Epistemologia", 696.
37
Convenzionalismo, dottrina epistemologica e filosofica che: a) nega all'esperienza la
possibilità di decidere la verità di un gruppo di assiomi; b) considera le leggi, affermazioni,
procedure, ecc. scientifiche, come semplici accordi (convenzioni) espressi o taciti. Cf. R.
Carnap, Logische Syntax der Sprache, Wien 1934.
38
Di qui la grande attualità delle discipline (semantica, pragmatica, sintattica) inquadrate
nella "semiotica", intesa come teoria generale dei segni e dei linguaggi. La "semantica" studia il
linguaggio, prescindendo dal soggetto che lo usa, ma in relazione agli oggetti che esso designa.
La "sintattica" prescinde anche da ciò. La "pragmatica", invece, reintroduce il rapporto fra
linguaggio e soggetto. R. Carnap, Introduction to Semantics Cambridge, Mass. 1942; Id.,
Formalization of Logic Cambridge, Mass. 1943; Id., Meaning and Necessity, Chicago 1947,
21956.
39
Sintattica, parte della semiologia che studia i rapporti fra i segni, astraendo dal loro
significato.
40
Semantica, studio delle relazioni fra i segni e ciò che essi significano.
41
Modello, in senso generale nelle scienze, indica un insieme di ipotesi e di costruzioni
complesse, ideali, intuitive e creative, con cui viene rappresentato l'oggetto di una ricerca.
54
Modello matematico, indica un insieme di relazioni quantitative, usate per formulare le teorie e
verificarle, che descrivono in modo semplificato un certo numero di fenomeni.
42
La teoria degli insiemi pose l'assiomatica di fronte ai problemi dell'infinito, provocando la
reazione intuizionistica.
43
Cappelletti, "Epistemologia", 698.
44
C.G. Hempel, Aspects of the Scientific Explanation, New York 1965; Id., Philosophy of
Natural Science, Englewood Cliffs N.J. 1966, (tr. it. Filosofia delle scienze naturali, Bologna
1968).
45
C.G. Hempel, "Fundamentals of Concept Formation in Empirical Science", in
International Encyclopedia of Unified Science", Chicago 1952 II, 7; (tr. it., La formazione dei
concetti e delle teorie della scienza empirica, Milano 1961).
46
M. Schlick, Gesammelte Aufsätze, Wien 1938.
47
J. Piaget, Introduction à l'épistémologie génétique, 3 voll. Paris 1950.
48
Gestalt, teoria psicologica sorta in Germania negli anni '20, secondo la quale i fenomeni
percettivi non si spiegano addizionando le singole unità elementari (sensazioni), ma globalmente
nel loro organizzarsi in strutture (Gestalten), secondo leggi ben determinate.
49
Cappelletti, "Epistemologia", 700.
50
Cibernetica, scienza che studia i parallelismi esistenti tra macchine, sistemi e organismi
viventi e, in particolare, le tecniche di regolazione e di controllo (artificiali e naturali) e le loro
applicazioni nella tecnologia, negli organismi viventi e nella società umana.
51
K. Lorenz, Die Rückseite des Spiegels, München 1973.
52
Fisicalismo o fisicismo, a) dottrina epistemologica e filosofica, derivata dal
neopositivismo, che riconosce dotati di senso solo gli enunciati relativi all'ordine spaziale e
temporale; b) tendenza scientista per cui il metodo della fisica costituirebbe il modello per ogni
disciplina scientifica.
53
A. Koestler, J.R. Smythies (Eds.), Beyond Reductionism, London 1969; F.J. Ayala, Th.
Dobzhansky, Studies in the Philosophy of Biology, London 1974.
54
K. Popper, Conjectures and Refutations, (London 1963).
55
Terzo mondo o mondo tre, nel linguaggio di Popper indica l'insieme degli scritti, rapporti,
resoconti e relazioni redatti dagli operatori e dalle istituzioni scientifiche.
56
N.R. Hanson, Patterns of Discovery, Cambridge 1958; Id., "Retroductive Inference", in
Philosophy of Science, The Delaware Seminar, I, Newark 1963; Id., "An Anatomy of
Discovery", in The Journal of Philosophy, 64 (1967), 321-352; P.B. Medawar, The Future of
Man, London 1959, (tr. it. in L'unicità dell'individuo e il futuro dell'uomo, Milano 1969); Id.,
Induction and Intuition in Scientific Thought, London 1969, (tr. it., Induzione e intuizione nel
pensiero scientifico, Roma 1974); P. Achinstein, "Inference to Scientific Laws", in N. Rescher
(Ed.), Studies in the Philosophy of Science, vol. V, Oxford 1969; Id., Law and Explanation. An
Essay in the Philosophy of Science, Oxford 1971.
57
K. Sayre, Cybernetics and the Philosophy of Mind, London 1976.
58
Cf. N. Wiener, Cybernetics, New York 1948, (tr. it., La cibernetica, Milano 1968).
59
Cappelletti, "Epistemologia", 702.
60
Ch. P. Snow, The two Cultures, London 1959, (tr. it. Le due culture, Milano 1964).
61
A. Koestler, The Ghost in the Machine, London 1967.
62
Ricordiamo qui solo alcun dei nomi più importanti, quali: H. Weil, M. Wertheimer, K.
Lorenz, S. Eddington, M. Polanyi, A. Portmann, F. Jacob, A. Lwoff, L. Bertalanffy; Cappelletti,
"Epistemologia", 702.
55
63
Falsificazionismo, dottrina epistemologica e filosofica per cui le affermazioni scientifiche
non possono essere mai provate "definitivamente" vere, ma soltanto false.
64
In un convegno promosso dalla "British Society for the Philosophy of Science" e dalla
"London School of Economics".
65
Criticism and the Growth of Knowledge, London 1972-1974.
66
I. Lakatos, "La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali", in I. Lakatos, A.
Musgrave (a cura di), Critica e crescita della conoscenza, Milano 1976, 336.
67
L. Aqvist, A New Approach to the Logical Theory of Interrogatives, Uppsala 1965.
68
Verificazionismo indica la pretesa eccessiva e indimostrabile dei neo-positivisti (o
positivisti-logici) di ritenere vero soltanto ciò che era scientificamente verificabile. Derivò
dall'assolutizzare il metodo seguito dalle scienze (verifica), per provare la verità o l'esattezza di
un affermazione. Popper la confutò dimostrando che, nella scienza, nessuna affermazione può
essere dimostrata vera (verificata-verificazionismo) ma solo falsa (falsificata-falsificazionismo).
69
P.K. Feyerabend, "Problems of Empiricism" I, in R. Colodny (Ed.), Beyond the Edge of
Certainty, Englewwod Cliffs N.J. 1965; Id., "Problems of Empiricism" II, in R. Colodny (Ed.),
The Nature and Function of Scientific Theory, Pittsburgh 1969; Id., "Against Method", in M.
Radner, S. Winokur, Studies in the Philosophy of Science, vol. IV, Oxford 1970.
70
Cappelletti, "Epistemologia", 704.
71
Cappelletti, "Epistemologia", 703.
72
Sapere eidetico è la conoscenza già raggiunta e stabile, sapere dialettico è la conoscenza
in perenne via di raggiungimento. Cf. G. Bachelard, La ragione scientifica, Verona 1974; F.
Gonseth, Les sciences et la philosophie, Neuchâtel 1950; Id., Études de la philosophie des
sciences, Paris 1950; Id., Philosophie néo-scolastique et philosophie ouverte, Paris 1954, Id., La
métaphisique et l'ouverture à l'expérience, Paris 1960.
73
Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 3.10.1981.
56
6. TEORIE E METODI NEL PROGETTO SCIENTIFICO
1.
Cenni introduttivi
Argomento specifico di questo capitolo sono le teorie e i metodi, a lungo ritenuti
strutture portanti o "pilastri" della scienza moderna.1 Essi pure sono stati coinvolti nel
grande passaggio dalla certezza alla probabilità, dalla logica della verità a quella dell'errore,
dalla presunzione di chiarezza alla problematizzazione. Anche teorie e metodi hanno
dovuto spostare la loro esigenza di perfezionamento, dai formalismi restrittivi e dalle
procedure riduttive, ai grandi contesti di riflessione e d'immaginazione, che accomunano
tutte le espressioni del nostro pensare umano.
2.
Ruolo delle teorie nella scienza
Quanto abbiamo visto nei precedenti capitoli ci ha abituati alla mutevolezza delle
componenti scientifiche. Quindi non ci stupiremo nel constatare che anche la realtà e il
concetto di "teoria" sono cambiati secondo i tempi e le diverse interpretazioni della scienza.
Per lo "scientismo" le teorie scientifiche costituivano l'unico modo di conoscere la realtà.2
Per il "realismo" la scienza conoscerebbe veramente la realtà esterna e le teorie
descriverebbero aspetti reali del mondo. Per lo "strumentalismo", all'opposto, la scienza
non raggiunge alcuna realtà esterna, per cui le teorie scientifiche sono soltanto strumenti
utili per le previsioni e le applicazioni.
2.1.
Teorie e progresso conoscitivo
Lo studio specifico delle teorie deriva dalle difficoltà insite nell'analisi globale della
scienza. Pertanto, si è pensato che lo studio dei singoli elementi che la compongono,
soprattutto quelli fondamentali come le teorie e i metodi consentisse di aggirare l'ostacolo.
La "prasseologia", come nuova specializzazione, avrebbe dovuto studiarli come mezzi più
adeguati per raggiungere il fine.3 Anche la metodologia si è dedicata a questo compito,
attirandosi rilievi critici. I suoi sostenitori ritengono che senza di essa la ricerca divenga
caotica e incapace di risolvere i problemi. I suoi oppositori la tacciano d'incapacità ad
offrire regole o algoritmi 4 utili, visto che la ricerca non è una routine.
Comunque anche la prasseologia e la metodologia si connettono al problema più
generale del "progresso conoscitivo" che riguarda il modo di avvicinarsi a uno scopo
prefissato e i criteri con i quali misurarne progressi, successi o fallimenti.5 Con questo
entriamo nel vivo del problema, affrontando una procedura che ritroveremo più volte.
La procedura è la seguente: per risolvere il problema del "progresso conoscitivo"
occorre costruire una "catena" di criteri e di esigenze da adempiere. Tali esigenze, però,
presentano crescenti difficoltà. Vediamole: dato che il progresso scientifico deve essere
definito con precisione, bisogna trovare tale definizione. Ottenuta la definizione bisogna
trovare gli "indicatori" che consentano di riconoscere un progresso.6 Per trovare tali
indicatori bisogna formulare un "modello ideale di scienza". Per ottenere tale modello
bisogna trovare dei "presupposti" di fondazione (sul mondo e sull'uomo), dimostrati e certi.
Tuttavia, la scienza non può creare i suoi presupposti certi perché: a) essendo presupposti la precedono; b) inoltre essendo le sue acquisizioni parziali, provvisorie e
falsificabili, esse sono pure incerte e inverificabili. Pertanto i presupposti debbono essere
forniti soltanto da altre forme di conoscenza: filosofia, metafisica, religione.
Ciò significa che, ogni volta che si costruisce una "catena problematica" si giunge
inevitabilmente al primo anello, che si deve "agganciare" a qualcosa e da qualche parte. La
metodologia, come ogni altra disciplina, deve trovare il suo punto di aggancio. Fuori
metafora, il problema decisivo della metodologia, rimane il "fondamento" del proprio
discorso. Poiché quello interno non esiste, deve cercarlo altrove, aprendosi agli altri
discorsi già indicati (filosofia, metafisica, etica, ecc.).
Tali discorsi, tuttavia, offrono una pluralità di concezioni sull'uomo e sul mondo che
impone delle scelte. Esse avvengono in un orizzonte pluralistico di "ideali di scienza", di
"metodologie" e di "concezioni di progresso". Ciò significa che una metodologia unica è
impensabile e si avranno più metodi concorrenti. Tuttavia, il progetto iniziale della
metodologia era volto proprio a evitare o eliminare questo pluralismo.
3.
"Ideale scientifico" ed "esigenze" scientifiche
Quanti non accettavano il pluralismo proposero un "ideale intuitivo di scienza" (o
scienza ideale) fondato sul consenso comune. A tal fine si accordarono su quattro esigenze
fondamentali, comunemente condivise. 7
La prima o "esigenza di profondità", esigeva che problemi e teorie avessero un
contenuto d'informazione empirica, scientificamente ricco e profondo. Vale a dire, le
"domande" dovevano essere oggettivamente importanti, capaci di far progredire la
disciplina interessata e perfezionare la raffigurazione del mondo e l'immagine dell'uomo.
Le "risposte" dovevano essere profonde ossia: pertinenti, dotate di grande potere
esplicativo, convincenti.8
La seconda o "esigenza di verità", esigeva che soluzioni e risposte, elaborate dalle
teorie, corrispondessero a tutti i requisiti indicati dalla prima esigenza. Dovevano costituire,
perciò, sistemi di enunciati, esprimenti definizioni pertinenti, importanti e, soprattutto,
vere.
La terza o "esigenza di coerenza formale", esigeva che gli aspetti formali e le procedure
dell'ideale di scienza, quali la selezione delle informazioni (metodi di inferenza) e la loro
condensazione (principi di assiomatizzazione) conducenti ai risultati (prodotti della
scienza), garantissero il trasferimento della verità, dalle prime premesse fino alle ultime
conclusioni (criteri di tutela del valore di verità).
L'esigenza decisiva era la seconda: "esigenza di verità", perché le altre due, senza di
essa, divenivano inutili. Inoltre essa generava una "quarta esigenza": i metodi per accertare
la verità di un asserto scientifico dovevano essere tali da garantirne la verità.
Pertanto, dalla seconda e quarta esigenza derivava un'altra catena di esigenze
inderogabili: "definire" quale problema scientifico era importante e profondo; "fissare" i
criteri per accertare se era tale; "stabilire" procedure e metodi per confrontare ogni
problema con tali criteri.
Quest'ultima esigenza, a sua volta, comportava un'altra catena di esigenze: "stabilire" il
concetto di descrizione "precisa e vera"; "fornire" i metodi per accertare se un enunciato
descrittivo è vero o meno; "definire" il concetto di deducibilità; "stabilire" quando un prova
poteva essere veramente tale, ecc.9
59
Tutto ciò dà l'impressione di trovarsi davanti a una "scatola cinese" o a una "bambola
russa": non si finisce mai di tirar fuori nuove esigenze.
Come abbiamo detto, la seconda e la quarta esigenza si dimostrarono la vera chiave di
volta di tutto l'edificio scientifico: discorso, metodologia e teorie. La loro difficoltà
insormontabile, tuttavia, era che i metodi richiesti dovevano risultare "assolutamente
infallibili". È la stessa esigenza che presiedeva al "progresso" scientifico e che, nei capitoli
precedenti, abbiamo già visto emergere in svariate forme.
3.1.
Rinuncia all'"ideale scientifico"
In realtà, la seconda e la quarta esigenza: raggiungere la verità mediante procedure
infallibili, esprimono la perenne esigenza inevasa della scienza moderna, che costituisce la
versione scientista del sogno rinascimentale di trovare "soluzioni sicure" a un numero
"finito" di problemi.
La storia della scienza e l'epistemologia hanno dimostrato, invece, che la scienza segue
la via esattamente opposta: aumenta all'infinito il numero dei problemi e non offre mai
soluzioni sicure. L'errore dello scientismo razionalista--positivista fu di tradurre il sogno
rinascimentale in termini di: "conoscere con certezza tutta la realtà empirica". Perciò questo
ideale di scienza è divenuto il "paradigma della conoscenza certa della realtà empirica". Il
suo programma è divenuto il "giustificazionismo"10 o "verificazionismo". Il suo metodo è
divenuto la "giustificazione" o verifica, ossia la prova sperimentale irrefutabile della verità
di un asserto scientifico. Purtroppo, tutto ciò si è dimostrato inattuabile, per cui l'intero
programma dovette essere abbandonato.11
Poiché anche qui era stata avviata la solita "catena problematica" delle esigenze
crescenti, si dovette progressivamente "ripiegare" su esigenze sempre più limitate. Si
ripiegò, pertanto, sull'induttivismo probabilistico che sostituiva l'irraggiungibile "certezza"
con una più modesta "probabilità sufficientemente alta". Neppure essa, però, è definibile in
senso logico o raggiungibile in senso pratico. Pertanto si ripiegò nuovamente su un'altra
soluzione: assegnare un "punteggio" agli enunciati da "assumere come veri". La proposta si
rivelò egualmente impraticabile. Non restava, perciò, che riconoscere il giudizio di Hume
che è impossibile giustificare un asserto generale mediante il principio d'induzione.12 Ciò
significava, però, "ripiegare" definitivamente sul "ridimensionamento" delle quattro
"esigenze" poste alla base di tutto il progetto o, in parole povere, abbandonarle.13
3.2.
Abbandono delle "esigenze scientifiche"
L'esigenza di "conoscenze più profonde" (prima) fu abbandonata. Oltretutto si era visto
che la "profondità" accresceva enormemente il rischio di falsità di ogni asserzione. Le
esigenze di "verità degli asserti" e di "assoluta garanzia dei metodi" (seconda e quarta)
furono abbandonate, perché è impossibile raggiungere verità empiriche certe e assolute.
L'esigenza di "coerenza formale" (terza) fu abbandonata, essendo impossibile suffragare le
affermazioni deduttive con quelle empirico-induttive. Queste rinuncie costrinsero, però,
anche alla drastica riduzione dell'ideale di scienza e delle pretese che lo avevano
originato.14
In realtà, la stessa esigenza di un metodo scientifico, capace di fornire certezze,
giustificazioni ultime, spiegazioni definitive e definizioni essenziali, aveva radici ancor più
lontane, nella pretesa del razionalismo classico: considerare "razionali" soltanto le
asserzioni provabili con certezza. I razionalisti-scientisti, facendola propria, si erano
costretti a sforzi immani per trovare i "punti archimedei" incrollabili, ossia le proposizioni
scientifiche capaci di sostenere e dimostrare tutte le altre. Vi rinunciarono perché non le
trovarono, non le trovarono perché non esistono.
60
Oggi possiamo ripercorrere, a ritroso e "col senno di poi", le varie avventure del
pensiero moderno. Il criterio del "razionalismo intellettualista": "unire intuizione e
deduzione", si rivelò troppo vago. Quello del "razionalismo empirista": "osservazione e
induzione", si dimostrò insufficiente e contraddittorio. La sintesi proposta da Kant
condusse alla perdita del realismo e della stessa idea di realtà intelligibile. Le altre proposte
finirono nell'una o l'altra aporia.15
Pertanto, l'approdo finale del giustificazionismo (rigido o dogmatico) era che non è
possibile "giustificare" o "verificare" una teoria e neppure dimostrarla preferibile a un'altra.
Quindi: le teorie sono "incommensurabili", le esigenze metodologiche inattuabili, la
conoscenza certa della realtà empirica è irraggiungibile e l'oggettività scientifica è una
chimera. Per chi partiva dai presupposti razionalisti, queste conclusioni non potevano
apparire altro che l'equivalente dello scetticismo o del nichilismo. Tuttavia, tale
conclusione non è necessaria. Da questo rompicapo, insolubile solo all'apparenza, si può
uscire facilmente, riconoscendo l'infondatezza della pretesa razionalista e, di conseguenza
ammettendo che i metodi e le teorie della scienza, sono parziali, provvisori, limitati,
congetturali e fallibili. Ciò, però, non toglie che esistano anche altre vie che consentano alla
ragione umana di superare questi ristretti limiti invalicabili per la scienza, oltre i quali si
aprono spazi enormi di conoscenza.16
4.
Il conflitto fra realisti e relativisti
Rimanendo all'interno del discorso su metodi e teorie, neppure i tentativi dei nuovi
epistemologi: Hanson, Toulmin, Kuhn, Feyerabend, Lakatos ecc., pervennero a una
soluzione. I "realisti" insistevano che gli asserti scientifici non sono totalmente arbitrari o
convenzionali, ma sono accettabili almeno in via provvisoria. I "relativisti", invece,
dichiaravano arbitraria tanto la teoria falsificata quanto la decisione che la dichiarava tale.
Ciò comportava che tutte le teorie scientifiche cadevano in un regime di totale arbitrarietà.
Le posizioni relativiste radicalizzavano il carattere congetturale della conoscenza
scientifica, trasformandone la relatività in un "relativismo assoluto", senza posizioni
intermedie. Ciò rendeva le teorie scientifiche dei puri strumenti, privi di ogni referente, che
non dicono assolutamente nulla e i cui mutamenti riguardano solo gli operatori scientifici.17
Per i relativisti: a) le teorie non descrivono nulla, ma servono solo a trasformare
un'informazione ricevuta in un'altra trasmessa; b) i risultati sperimentali non sono
ascrivibili al comportamento degli oggetti, ma a un sistema complesso d'interazione fra
oggetti, apparato logico-strumentale e osservatore; c) i termini teorici non hanno alcun
referente, ma designano entità puramente fittizie.
I realisti respinsero in blocco queste tesi, che banalizzano lo "status ontologico" di ogni
realtà, riducendola a un puro asserto teorico e rimarcarono che il ricorso a delle semplici
"buone ragioni", al fine di superare il dilemma fra relativismo assoluto ed empirismo
logico, di fatto impedisce ogni soluzione.18
Radnitzky, nel timore di uno scetticismo totale, insisteva nel dire che le ragioni per
preferire una teoria a un'altra, per quanto fallibili, non sono necessariamente arbitrarie.19 A
questo punto, tuttavia, la discussione aveva ripiegato sulla "maggiore o minore fallibilità"
di una teoria e non si parlava più né di certezza né d'infalllibilità.
Per comprendere meglio il lato pratico di questa disputa, seguiamo brevemente
l'itinerario abituale di una teoria. All'inizio essa deve dimostrare di poter risolvere tutti i
problemi non risolvibili dalle altre. Successivamente dovrà risolvere, meglio di ogni altra,
tutti i problemi nuovi che si presenteranno. Quando ciò diverrà impossibile, dovrà lasciare
61
il posto a una nuova teoria rivale, che ricomincerà esattamente lo stesso cammino, in un
processo che non ha mai fine.20
A questo punto il grande problema tuttora insoluto è perché una teoria, dopo aver risolto
i problemi insolubili dalle altre, ne crei di nuovi, che essa stessa non riesce più a risolvere e
che appaiono più complicati dei primi. A questo punto, perciò, ci ritroviamo di nuovo
rinivati all'insolubile problema dei "criteri" e delle "buone ragioni" per decidere quale
teoria sia da preferire a un'altra, che abbiamo esposto nei paragrafi precedenti.21
Infatti, il criterio del "potere predittivo", ossia la capacità di superare i controlli
empirici, è inapplicabile, essendo impossibile definire termini come "spiegazione",
"controllo empirico", "rendimento decrescente dei controlli empirici", ecc. Il criterio del
"potere esplicativo", ossia la capacità di risolvere i problemi di spiegazione, è impossibile
poiché introdurrebbe nella spiegazione realtà empiriche falsificabili (dimostrabili false). Gli
"indicatori obiettivi", capaci di dimostrare la superiorità di una teoria su un'altra, non son
mai stati trovati.
Esaurita la serie dei "criteri" non restavano che le "buone ragioni", ma esse, oltre a
essere estremamente opinabili, sono ancor più introvabili. Finora l'unica ragione
ampiamente condivisa è stata la convenienza economica che, dati i costi elevatissimi e
sempre crescenti della ricerca è molto realistica ma, purtroppo, non riveste alcun "valore di
verità" (euristico).22
5.
Wittgenstein e il "capovolgimento" del problema
Tutti questi insuccessi e fallimenti non costituivano ancora una dimostrazione, per la
quale mancava una spiegazione convincente. Essa fu trovata grazie all'enorme successo di
Wittgenstein che, tuttavia, non si era ma occupato di teorie scientifiche. Furono le sue idee
sul linguaggio a contribuire, in modo decisivo, all'abbandono del giustificazionismo.23
Infatti, Wittgenstein, dopo aver concepito il linguaggio idealizzato (o formalizzato)
come una raffigurazione logica, mutò parere e lo considerò un complesso di attività umane,
integrate con altre, mediante innumerevoli e diversi "usi delle parole". Spostando l'accento
dai fatti alle azioni, i giochi linguistici divenivano schemi di attività significative, in cui i
significati precedono i fatti.
Anche l'immagine dell'uomo mutava, spostando l'accento dal "conoscere" al "muoversi
in un mondo di relazioni di significato". Di conseguenza, il dato primario non risiedeva più
nel "conoscere" ma nello "scoprire fenomeni dotati di significato". Ne ricavò che le
situazioni di vita dotate di significato possiedono lo "status" di "a priori pratici", perché
forniscono il "contesto dei presupposti", in cui la scienza si trova immersa, alla pari di ogni
altra attività. Pertanto, la scienza non ha nessuno "status" privilegiato. Tale tesi venne poi
utilizzata anche da Feyerabend.
Altrettanto importante fu il passaggio dall'unica logica trascendentale, a una molteplicità
di giochi linguistici "incommensurabili". Il "gioco linguistico", elemento chiave del
secondo Wittgenstein, ha la funzione di fornire un "modo di agire" e non un "modo di
vedere" il mondo.24 Anche questa tesi fece superare la "pretesa della certezza" che, nei
giochi linguisticisi, rende prigionieri di un sistema di riferimento intellettuale.
I giochi linguistici, come "forme di vita", definiscono ciò che ha senso fare, non esigono
giustificazione e non sottostanno a criteri di valutazione. Di conseguenza, un gioco
linguistico non può giudicarne un altro. Di qui la non conflittualità fra asserzioni religiose e
62
scientifiche. La serrata critica delle epistemologie più recenti all'empirismo logico e alla
metodologia popperiana si avvalse molto del pensiero del secondo Wittgenstein.
6. Riflessioni conclusive
La riflessione specifica di questo capitolo riguardava le teorie e i metodi della scienza
moderna, considerati le sue strutture portanti o i suoi pilastri. Volevamo accertare il loro
ruolo nella nuova temperie epistemologica, che ha collocato la scienza e le sue componenti
in una nuova dimensione, nella quale alla certezza è subentrata la probabilità, alla logica
della verità quella dell'errore, alle chiarezze le problematizzazioni, ai formalismi riduttivi i
grandi contesti di pensiero riflessivo e immaginativo.
Anche per questa via abbiamo rivissuto la precedente esperienza. Bisogna superare la
pretesa iniziale di raggiungere conoscenze certe, vere e garantite da metodi infallibili. Tale
superamento, tuttavia, non conduce a nessun scetticismo o relativismo totale. Le
"verifiche" scientifiche, anche se ridimensionate a modesti "controllli", rimangono
indispensabili per migliorare, senza fine, gli elementi che fanno parte della ricerca
scientifica e del pensiero umano: problemi, ipotesi, tesi, criteri, logiche, strumenti,
soluzioni, ecc.25
Teorie e metodi non si sottraggono al loro carattere di parzialità, provvisorietà, storicità,
congetturalità, incertezza e fallibilità, tuttavia non divengono affatto inutili. Pertanto, tutte
le discipline devono sottomettersi alla fatica interminabile dei "controlli" propri e di quelli
reciproci o incrociati di scienze, epistemologia, storia, filosofia, metafisica, etica, religione,
teologia. Tutte, infatti, sono immerse in un contesto di saperi, reciprocamente
complementari e sussidiari, in cui i problemi e gli interrogativi che un sapere non può
risolvere al suo interno, possono trovare risposte adeguate negli altri.
La conclusione ultima è della massima importanza: non gli esasperati controlli
"interni", ma soltanto l'apertura alla solidarietà e complementarietà con l'intero contesto
di tutte le discipline e un sereno confronto critico con esse può evitare, a ogni sapere, i
regressi all'infinito e le cadute nello scetticismo.26
Pertanto nessuna disciplina o istanza culturale può reclamare priorità o pretese di
egemonia. Nessuna può esigere che un'altra le sia "ancilla", perché ciascuna è soltanto
"ancilla" della verità, cui tutte devono tendere, insieme e in un dialogo sereno e
approfondito.
1
F. Suppe (Ed.), The Structure of Scientific Theories, Urbana 1974.
2
G. Radnitzky, Contemporary Schools of Metascience, New York 1968; H. Feigl, G. Maxwell
(Eds.), Current Issues in the Philosophy of Science, New York 1961; G. Radnitzky, "Scienza", in
Enciclopedia del Novecento, VI, 371.
3
Altri preferivano: "tecnologia del progresso conoscitivo". Cf. R.G. Colodny (Ed.), The Nature
and Function of the Scientific Theory, Pittsburgh 1969; Radnitzky, "Scienza", 372; T. Kisiel, G.
Johnson, "New Philosophies of Science in the USA. A Selective Survey", in Zeitschrift für
allgemeine Wissenschaftstheorie, 1974, V, 138-191.
4
Algoritmo, schema o procedimento sistematico di calcolo che porta alla soluzione di un
problema, mediante un numero finito di operazioni elementari.
5
T. Kuhn, The Essential Tension: Selected Studies in Scientific Tradition and Change, Chicago
1977, 345.
63
6
Sul tema degli "indicatori" cf. C. Cipolla, "Sentieri metodologici di secondo livello", in A.
Ardigò, F. Garelli, Valori, scienza e trascendenza, I, Torino 1989, 309-315; Radnitzky, "Scienza",
372.
7
A. Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Milano 1990; J. Agassi,
R.S. Cohen (Eds.), Scientific Philosophy Today, Dordrecht 1981.
8
K. Popper, Conjectures and Refutations, London 1963, (tr. it. Congetture e confutazioni,
Bologna 1972, 380).
9
R. Egidi, Il linguaggio delle teorie scientifiche, Napoli 1979.
10
Giustificazionismo, dottrina epistemologica e filosofica per cui le affermazioni scientifiche
possono essere provate definitivamente vere.
11
F. Barone, "La contemporanea discussione metodologica e la storiografia delle scienze", in
Physis, 22 (1980), 191-209.
12
G. Radnitzky, "Justifying a Theory versus Giving Good Reasons for Preferring a Theory", in
G. Radnitzky, G. Andersson (Eds.), The Structure and Development of Science, Dordrecht 1979,
213-256.
13
K. Popper, Logik der Forschung, Wien 1935, (tr. it., Logica della scoperta scientifica, Torino
21974).
14
Questa significativa ed emblematica vicenda é stata definita un esempio impressionante del
fatto che gli assunti globali non possono andare immuni da critica. Cf. Radnitzky, "Scienza", 376.
15
Aporema, (aporia, aporetico) ragionamento logico che mostra l'uguale valore di due alternative
e non conduce ad alcuna conclusione. Radnitzky, "Justifying a Theory", 243.
16
D. Antiseri, "Fatti, teorie e spiegazioni in C. Menger e K. Popper", in Nuova civiltà delle
macchine, II, 1984, 1; Radnitzky, "Scienza", 373.
17
Queste posizioni sono pure dette: strumentalismo, idealismo relativistico, idealismo
epistemologico. Cf. Radnitzky, "Scienza", 379; G. Andersson, "Sind Falsifikationismus und
Fallibilismus vereinbar?", in G. Radnitzky, G. Andersson (Eds.), Progress and Rationality in
Science, Dordrecht 1978; L. Fleck, Genesi e sviluppo di un fatto scientifico, Bologna 1983.
18
Cf. W. Stegmüller, "A Combined Approach to the Dynamics of Theories. How to Improve
Historical Interpretations of Theory Change by Applying Set Theoretical Structure", in Radnitzky,
Andersson, The Structure and Development, 151-186; Secondo Barone, un bilancio sul
neopositivismo ne mette in luce ormai soltanto la sua appartenenza al passato, la sua eccessiva
polemica, il suo esclusivismo scientistico, il suo spirito negatore, antimetafisico e antifilosofico,
l'incapacità di capire il valore di problemi filosofici fondamentali e la pretesa di eliminarli. L'aspetto
positivo è dato dall'aver portato sul piano linguistico le indagini filosofiche sulla scienza, e
approfondito i temi epistemologici e logici. Paradossalmente, la sua negazione e polemica hanno
dato occasione a una rinnovata impostazione dei problemi filosofici; cf. F. Barone,
"Neopositivismo", in Enciclopedia del Novecento, IV, 619; Id., Il neopositivismo logico, 2 voll.,
Roma-Bari 21972; Id., "Neopositivismo e filosofia analitica", in Grande antologia filosofica. Il
pensiero contemporaneo, Milano 1978; D. Antiseri, Dal neopositivismo alla filosofia analitica,
Roma 1966.
19
Radnitzky, "Scienza", 380; P. K. Feyerabend, "Problems of Empiricism (Part I)", in R.
Colodny (Ed.), Beyond the Edge of Certainty, Englewood Cliffs 1965, 145-260; Radnitzky G.,
"Progress and Rationality in Research", in M. D. Grmek, R. S. Cohen, G. Cimino (Eds.), On
Scientific Discovery. The Erice Lectures 1977, Dordrecht 1981, 43-102.
20
B. D'Espagnat, À la recherche du réel, Paris 41980.
64
21
K. Popper, Unended Quest. An Intellectual Autobiography, London 1976, (tr. it., La ricerca
non ha fine. Autobiografia intellettuale, Roma 1976).
22
M. Baldini, Gli scienziati ipocriti sinceri. Metodologia e storia della scienza, Roma 1978.
23
L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Milano-Roma 1954; Id., Philosophische
Untersuchungen, Oxford 1953, (tr. it.,Torino 1967); Id., On Certainty, (a cura di G. Anscombe, G.V.
Wright,), Oxford 1969, (tr. it., Della certezza, Torino 1978); Radnitzky, "Scienza", 377.
24
T. Kuhn, "Logic of Discovery or Psychology of Research?", in I. Lakatos, A. Musgrave
(Eds.), Criticism and Growth of Knowledge, London 1970, 1-23, (tr. it., Critica e crescita della
conoscenza, Milano 1976, 313-356; Cf. "Convenzionalismo", in Dizionario delle idee, 182;
Radnitzky, Andersson, The Structure and Development, 221; Radnitzky, "Scienza", 378; M. Pera,
Popper e la scienza su palafitte, Roma-Bari 1981; A. Gargani, Il sapere senza fondamenti, Torino
1975, 101-110.
25
G. Radnitzky, "Analytic Philosophy as the Confrontation between Wittgesteinians and
Popper", in Agassi, Cohen, Scientific Philosophy, 239 ss.
26
T. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago 1962, (tr. it., La struttura delle
rivoluzioni scientifiche, Torino 1969, 207); Radnitzky, "Scienza", 382; Wittgenstein, Ricerche
filosofiche, 133.
65
7.
LE SFIDE DELLA COMPLESSITÀ
1.
Cenni introduttivi
In questo capitolo affrontiamo un tema fino a pochi decenni fa poco divulgato: la
complessità dell'universo e dei suoi elementi. Lo ha sollevato la scienza attuale,
insoddisfatta del progetto scientifico moderno e dei suoi tentativi di spiegazione
globale, unificatrice e semplificatrice della realtà. Infatti, a tutt'oggi, la spiegazione
globale è irraggiungibile, il principio unificatore non si è trovato e la semplificazione è
stata vanificata dalla crescente quantità di fenomeni complessi.
La presenza di tali fenomeni nell'intero universo, costituisce, ormai, un problema di
fondo e una sfida per la scienza e la cultura. Qui ne ricorderemo solo alcuni, a titolo di
esempio, per dimostrare che le richieste di un nuovo spirito scientifico, di nuovi
paradigmi e di una nuova epistemologia, fondata su ampie aperture trans-disciplinari, si
fondano su di un solida realtà. Nella conclusione sottolineamo pure l'importanza
filosofica e culturale di questa nuova fase della scienza.
2.
Verso un nuovo paradigma epistemologico
Il "sistema del mondo", con la sua complessità, ha rivelato l'insufficienza dei
modelli, dei concetti e delle immagini del paradigma scientifico moderno. Di qui
l'urgenza di nuovi paradigmi, capaci di analizzarne la complessità anziché negarla.1
Essa si palesa in molteplici problemi ed è complicata dal coinvolgimento
dell'osservatore scientifico nei processi indagati. Si riferisce quindi al cosmo
(complessità oggettiva), all'osservazione umana e alle interrelazioni tra oggetti
osservati e soggetti osservanti (complessità oggettiva e soggettiva).
2.1.
L'orientamento classico della scienza
Abbiamo visto che le scienze fisico-naturali "classiche" privilegiavano la
concezione quantitativa e matematica e interpretavano i fenomeni come fatti semplici,
retti da leggi deterministiche e immutabili. Le ricerche dovevano fissare la regolarità e
le loro leggi stabili. In questo paradigma non vi era posto per gli eventi, la storicità, il
tempo storico, la qualità, il disordine, gli squilibri. Molti fatti confortavano questa
impostazione, che consentiva previsioni controllabili (eclissi di sole e di luna).
Non si dubitava di poter prevedere e controllare, con rigorosa esattezza, le realtà e i
processi dell'universo. Si cercava, perciò, di raccogliere un numero sempre maggiore di
dati, da elaborare sempre più rapidamente, avvalendosi di elaboratori di dati sempre più
potenti e veloci.
2.2.
Nuovi orientamenti: il caos
Il progredire delle ricerche, però, ha sconvolto questo schema, rivelando che, anche
nei più semplici sistemi deterministici, composti di pochi elementi, si manifestano
comportamenti aleatori2 essenziali che non scompaiono, ma permangono, nonostante le
ulteriori informazioni raccolte.
Questo fenomeno, denominato "caos",3 si presenta all'interno del paradigma
"deterministico" che, con le sue presunte regole fisse e rigorose, non riesce a eliminare
le piccolissime indeterminazioni che, a lunga scadenza, acquistano un peso
grandissimo.
Questa constatazione si ripercuote su tutti i rami della scienza, sull'immagine
dell'universo e sulle nostre abitudini mentale e culturali. Perciò, oggi, si studia il caos
come generatore di un ordine descrivibile matematicamente (vedi frattali, attrattori
strani, ecc.).4 Ci si domanda se esso sia un frutto della natura o dei nostri paradigmi e
teorie scientifiche. Alcuni ritengono che sia nato proprio dall'incapacità della scienza
classica (semplificatrice e riduttiva) di leggere correttamente il creato e quindi di
descriverne e interpretarne esattamente i fenomeni altamente complessi, in cui gioca un
numero assai elevato di parametri.
2.3.
Nuovi problemi emergenti
In base al vecchio determinismo, Laplace aveva sostenuto che, conoscendo la
posizione e la velocità di tutte le parti dell'universo, avrebbe potuto prevederne
l'evoluzione futura per l'eternità. La scienza lo ha smentito anche in questo.
La speranza di un'assoluta prevedibilità è crollata dopo le scoperte del principio
d'indeterminazione di Heisenberg e dei comportamenti aleatori dei sistemi più semplici.
Tuttavia, Poincaré, già nel secolo scorso, studiando il "problema dei tre corpi", aveva
dimostrato che si potevano fare previsioni soltanto in un sistema formato da "due
corpi", mentre in ogni altro, formato da tre o più corpi, le previsioni divengono sempre
più approssimate e infine impossibili. Perciò in un sistema più complesso, la cui
evoluzione è sempre fonte di novità, non è possibile prevederne la stabilità.5
Allora, i tempi non erano maturi per affrontare la realtà del caos. Esso contrastava
troppo la mentalità e i dogmi scientisti di moda, che imponevano di analizzare i sistemi
complessi, scomponendoli nelle loro componenti. La chiave del mistero dell'universo
"doveva" risiedere solo nei suoi "costitutivi ultimi". Nessuno avrebbe potuto sostenere
pubblicamente che:
"la speranza che la fisica possa raggiungere la compiutezza grazie a una
comprensione sempre più particolareggiata delle forze fisiche e dei costituenti
fondamentali è infondata".6
2.3.1.
Geometrie infra-euclide e frattali
I casi nuovi e interessanti non si fermano qui. Anche la matematica e la geometria
classiche avevano abituato a ritenere bizzarri determinati problemi, che oggi sono
considerati normali, molto interessanti e degni di seria considerazione.
Si pensi, per esempio, alla misura della lunghezza di una costa o di una linea di
confine. Oggi il fatto che questi "fenomeni caotici" possano essere descritti in termini
matematici (frattali) induce a pensare a una geometria soggiacente a tutta la struttura
della materia. La natura sembra decostruire e ricostruire continuamente le sue forme,
come ricostruisce la vita dalla morte. Al riguardo Mandelbrot dice: "la geometria della
natura è caotica e mal si identifica nell'ordine perfetto delle forme abituali di Euclide o
del calcolo differenziale".7 Perciò ha messo in evidenza che, fra l'ordine eccessivo di
Euclide e il caos incontrollabile, vi è una zona intermedia, denominata dei "frattali".
Anche queste acquisizioni si rivelano fonte di interessanti conseguenze e di importanti
applicazioni per il pensiero scientifico e la cultura.
2.3.2.
Fisica dei sistemi dinamici o scienza del "disordine"
Un altro campo scientifico in cui le idee sulla complessità hanno trovato feconda
applicazione è rappresentato dalla "fisica dei sistemi dinamici", preannunciata dalle
illuminate intuizioni-riflessioni di Poincaré. Essa, fin dagli anni 1960, si è sviluppata
come "scienza del disordine" che consente di considerare il fortuito (caso), non più
come un effetto delle insufficienti capacità di previsione della mente umana, ma come
risultato delle fluttuazioni oggettive e continue dei fenomeni stessi.8
Lo studio dei sistemi dinamici o di particolari effetti di coerenza, quali le strutture
dissipative, sembra mostrare che non esiste una sostanziale differenza fra processi fisici
e biologici. In presenza di un flusso di energia si danno sistemi fisici in grado di
diminuire la loro entropia, di produrre ordine dal disordine e di aggregare sistemi più
2
vasti. Pertanto, in questa visione, le leggi della biologia potrebbero essere non
irriducibili a una fisica che, rivedendo auto-criticamente i propri assunti, non pretenda
più di forzare tutta la realtà entro l'angusto schema commisurato ai fenomeni idealizzati
di cui si occupa.
2.3.3.
Teoria delle catastrofi
Un'altra serie di ricerche affini viene dagli studi di R. Thom sulle catastrofi. Anche
qui si tratta di descrivere scientificamente fenomeni che la scienza moderna aveva
misconosciuto, in base ai suoi criteri epistemici, respingendoli come "qualitativi" e
"non scientifici". Le teorie di Thom riguardano la discontinuità e le modificazioni
improvvise, repentine e globali, che caratterizzano l'evoluzione dei sistemi organizzati.
2.3.4.
Sistemi sociali complessi
Riguardo ai "sistemi sociali complessi" si è sviluppata una convergenza d'interessi
da parte di discipline assai diverse, che vanno dalla biologia alla psicologia e alla
sociologia. Perciò se ne sono occupati, per le rispettive finalità ed esigenze, Von
Foerster, Piaget, Atlan e Morin.9 Le loro teorie hanno evidenziato, nei macrosistemi
storici e sociali, l'esistenza di un principio d'ordine e di una organizzazione che emerge
dal disordine e dalle fluttuazioni. I loro programmi di ricerca, perciò, sono rivolti a
verificare i fenomeni di auto-organizzazione che manifestano un aumento della
complessità funzionale e strutturale, risultante dal succedersi di disorganizzazioni
controllate, seguite da maggiore varietà (ipercomplessità).
2.3.5.
Scienza del fortuito fisico
Le attuali ricerche, smentendo le speranze iniziali della fisica, dimostrano che non è
possibile trovare soluzioni, "in forma chiusa", per svariati sistemi semplici. Infatti il
"comportamento imprevedibile dei sistemi dinamici caotici" non può essere espresso
mediante soluzioni in forma chiusa. Di conseguenza, non esistono scorciatoie per
prevedere tale comportamento.10
2.3.6.
Sistemi dissipativi: dall'essere al divenire
Prigogine, in particolare, si è interessato allo studio dei "sistemi dissipativi", ossia di
quegli stati d'equilibrio in cui la turbolenza aumenta anziché diminuire. In essi la
ricerca dell'equilibrio si svolge per "scelte" successive. Se si raffigurano come una
struttura ad albero, si constata l'impossibilità di prevedere quale ramo verrà scelto dal
sistema, volta per volta. Di conseguenza, Prigogine auspica una fisica che passi a
considerare il divenire anziché l'essere ed elabori un paradigma nel quale il flusso
temporale costituisca una variabile fondamentale.11
3.
I nuovi aspetti dell'episteme
Questi problemi significativi, accennati solo per sommi capi, sono solo alcuni fra
quelli che esigono una nuova impostazione scientifica sostenuta da un'adeguata
riflessione epistemologica e filosofica.12 La filosofia, soprattutto, può essere stimolata
da questa constatazione:
"la responsabilità di questa distonia tra discorso scientifico e discorso filosofico
riguarda, soprattutto, la filosofia, che ha uno stranissimo complesso di inferiorità
nei confronti delle scienze, ma delle scienze così come si potevano configurare un
secolo fa. La filosofia sta registrando con immenso ritardo una situazione
scientifica pre-einsteiniana".13
L'epistemologia, invece, è sollecitata da quattro settori problematici, densi di novità
significative: a) la storicità o tensione verso gli elementi generalizzanti e individuanti;
b) la neo-irreversibilità e le nuove forme di determinismo, aventi non più carattere
universale e meccanicista ma regionale e trasformazionale; c) lo studio dei risultati
3
delle complesse interazioni interne ed esterne ai sistemi (costruttivismo); d) la
circolarità fra istanze endogene ed esogene dei sistemi, indagata senza priorità
precostituite e a tutti i livelli.
Al momento, non sappiamo se lo sviluppo di queste problematiche condurrà a un
neo-razionalismo epistemologico più sofisticato di quello tradizionale o a espressioni di
razionalità più aperta, comprensiva, elastica e, tutto sommato, più razionale.14 Poiché la
questione è aperta e il suo esito è decisivo per la cultura, occorrerà che tutte le
componenti culturali: scienze, epistemologia, filosofia, etica e teologia, cooperino
consapevolmente al dibattito.
3.1.
Dalla semplificazione alla complessità
I problemi sollevati dalla complessità fanno già intravvedere la possibilità di
approcci inter- e trans- disciplinari utili per rivitalizzare il pensiero scientifico ed
epistemologico. Al riguardo emergono tre esigenze promettenti, ma ancora allo stato di
sfida: a) restaurare un punto di vista sintetico per analizzare le interazioni dinamiche tra
gli elementi di insiemi e di sistemi, rispettandone la totalità; b) sviluppare metodi per
organizzare la conoscenza scientifica d'insiemi vasti e complessi; c) promuovere un
linguaggio unitario come supporto all'articolazione e all'integrazione dei modelli teorici
e delle prescrizioni metodologoche, provenienti da discipline differenti.15
Queste esigenze riguardano problemi relativi a molti campi: cosmologia, teoria dei
campi,16 termodinamica, microfisica, microbiologia, psicologia, sociologia ecc., nei
quali è particolarmente sentita la necessità di passare dalla rigida concezione di ordine
immutabile, regolato da ferree leggi, a quella duttile di ordine "condizionato"
suscettibile di risultati sorprendenti.
I loro problemi, tuttavia, vanno ben al di là dell'ambito puramente scientifico,
coinvolgendo l'epistemologia, la gnoseologia e l'ontologia.
3.2.
L'applicazione critica dei paradigmi
Date le condizioni attuali della scienza, ogni mutamento dovrà coinvolgere tutti i
livelli. Torniamo un istante, come a esempio, al paradigma della fisica classica, che
impostava lo studio dei sistemi complessi, isolando i loro singoli elementi per misurarli
e quantificarli (fisicismo).
A livello scientifico, si dovrà trovare il modo di sostituirlo o trasformarlo
integralmente, non solo per la fisica ma anche per le scienze biologiche, umane e
sociali. Infatti, ha osservato J. Ladrière: "tutta la storia della fisica contemporanea
dimostra che l'idea di una risoluzione ultima di tutte le entità complesse, in entità
veramente elementari, è problematica e totalmente illusoria".17
A livello epistemologico si dovrà riflettere sulle difficoltà incontrate dalla ricerca
delle "particelle ultime" quali costituenti elementari della materia, che ha evidenziato:
a) l'impossibilità di isolare tali elementi nello spazio-tempo e b) la struttura
estremamente complessa (che nasconde altri livelli ulteriormente esplorabili), di ogni
elemento ritenuto elementare.
Per la scienza contemporanea la materia non è più un referente compatto e
impenetrabile, ma il sostrato che permette la vita, mediante l'instaurarsi di una
evoluzione e di una complessificazione, che salgono fino all'emergere della coscienza.
Da quando l'universo ha avuto origine, la materia è divenuta il mattone di ogni
crescente complessità, imparando a incorporare e trasmettere informazione. Se ciò che
chiamiamo materia è la matrice di un'informazione in continua crescita, ciò implica un
gigantesco aumento di significato nella storia del nostro universo.18
A livello specificamente filosofico la ricerca dei "costituenti ultimi della materia" è
stata così interpretata:
4
"La scienza, nel suo tendere verso l'idefinitamente piccolo, che è identico
all'infinitamente grande, e verso il livello costitutivo ultimo della materia, che
equivale al tendere verso l'inizio del tutto, è necessariamente trascinata al punto
del principio indefinito e indefiniendum, del principio che esclude la
partecipazione di ogni soggetto, dove il soggetto è a priori negato, a priori
impossibile e dove il tempo non può avere un osservatore e quindi non è neppure
un tempo, dove la cosa non può essere percepita, pensata, intuita e quindi non è
neppure una cosa. La scienza contemporanea sta capendo che non potrà mai
raggiungere quel punto verso il quale tende, perché ci sarà sempre un'ulteriore
fibra infinitesimale della materia, perché quel primo secondo di tempo sarà sempre
ulteriormente divisibile in micropercorsi. Ma questa consapevolezza può essere
discussa solo in termini filosofici".19
Quindi il pensiero dovrà muoversi verso lo studio delle relazioni tra le parti di un
insieme, assumendo come oggetti le proprietà dei sistemi naturali e artificiali: fisici,
biologici, antropologici e sociali. Si dovranno ripensare i problemi dell'organizzazione:
apertura, totalità, evoluzione, autoproduzione ecc., abbandonando i formalismi rigidi, in
favore di modelli più elastici, adeguati e coerenti.20
3.3.
L'oggettività
Queste prospettive consentono pure di ampliare notevolmente il concetto di
oggettività scientifica. Infatti se l'oggetto di una scienza dipende dal "punto di vista"
con cui si considerano le cose, l'oggetto scientifico si costituisce a partire da questa
visione. La ricerca scientifica, assumendo il punto di vista dell'insieme, ossia erigendo
a oggetto scientifico il sistema (relazioni), consentirebbe una "oggettività allargata".21
Essa non comporta confusioni né sovrapposizioni filosofiche, perché la scienza deve
fermarsi di fronte ai problemi scaturenti dalla sua ricerca, ma che superano i suoi limiti
(causa finale, significati, totalità, ultimi destini umani, ecc.). Ciò di cui la scienza non
può parlare, non costituisce un limite per i discorsi sensati o significativi dell'uomo e
della sua ragione (criterio di significazione del discorso umano), al contrario segna il
limite insuperabile del discorso scientifico, (criterio di demarcazione del discorso
scientifico) che deve cedere la parola ad altri discorsi (ordinario, filosofico, etico,
metafisico, religoso, teologico, ecc.). La ricerca scientifica, quindi, allargherà il suo
campo problematico, dall'oggettività ristretta (individualità definita di oggetti e
predicati) a quella allargata (insiemi di relazioni verso altri insiemi).
4.
Analitica della complessità
Nella complessità, la natura si presenta come una straordinaria solidarietà di sistemi
intersecati, che si costruiscono "su", "tramite", e "con" gli altri, in una crescente
organizzazione di unità complesse.22 Occorre, pertanto, un'analitica della complessità,
che renda ragione dell'ordine e del disordine del mondo fisico. Il mondo, non più
"deterministico" o ordinato in ogni sua parte, appare un processo continuo di eventi,
anche catastrofici e disordinati, eppure proprio perciò, creativi. Di ciò la ricerca
scientifica sta prendendo atto.
4.1.
Ordine e disordine nel mondo fisico
A tal fine, occorre ridefinire il rapporto fra natura e caos. E. Morin ritiene utile il
concetto di "struttura", che comporta le idee di organizzazione e di ordine, senza
tuttavia ridursi ad esse. Morin immagina un ordine dinamico, capace di arricchirsi e
complessificarsi, totalmente diverso da quello deterministico, perché include anche il
suo correlativo inscindibile: il disordine. Questo, a sua volta, va ben oltre l'idea di
"caso", essendo un "macroconcetto"23 che ingloba realtà molto diverse, includenti
sempre l'aleatorio. In questa visione non vi è settore dell'universo dove non esista
disordine.
5
Per Morin questi concetti sono decisivi per "spiegare" e "comprendere" quel mondo
del disordine, che sfida e mette in questione la nostra capacità di conoscere e per il
quale il vecchio paradigma scientifico (dell'ordine) ormai è superato.
4.2.
La nuova sfida epistemologica
Sorge, quindi, una nuova sfida epistemologica per descrivere e definire la realtà
"incerta", "complessa" e "sconosciuta". Il metodo della complessità, tuttavia, è da
inventare, per cui occorre prevedere rischi, insuccessi, errori, incidenti di percorso e
fallimenti. Non si presta, perciò, alle false certezze e alle eccessive sicurezze del
vecchio paradigma scientista.
Gli attuali concetti non lasciano dialogare le nozioni di ordine e disordine e le
concepiscono ancora come antagoniste, mentre le osservazioni le presentano
"inseparabili", in un universo da cui non sono eliminabili le perturbazioni causate dagli
osservatori, né il disordine.
La sfida richiede anche di conciliare algoritmi e stocastica,24 probabilità e
improbabilità, al fine di: a) elaborare una scienza dell'evento; b) trasformare in oggetto
scientifico realtà finora considerate "residui" della ricerca oggettiva; c) fare oggetto
delle scienze e dell'epistemologia non solo gli elementi singoli e isolati ma anche gli
insiemi complessi; d) accettare la complessificazione della scienza e preparare
un'epistemologia della complessità; e) superare definitivamente il "paradigma di
semplificazione" che eleva alternativa e separazione (caos-cosmo, caso-necessità,
sistema-evento) a principi informativi del reale; f) formulare concetti validi per l'autoproduzione e l'auto-organizzazione.
4.3.
Complessità e macroconcetti
Morin propone di integrare (o sostituire) i concetti con "macroconcetti" che
includano ed esprimano le interrelazioni complesse e possano interagire fra loro. Un di
questi macroconcetti è l'"evento", termine familiare a filosofi e teologi che, però, non
deve trarli in inganno. Esso designa elementi che scorrono e interagiscono nel tempo, in
contrapposizione a quelli costanti, regolari e ripetitivi. Nasce, perciò, dalla
supposizione che l'universo fisico non sia costituito solo da questi ultimi e introduce,
comunque, una connotazione "storica". Sarebbe, quindi, un processo di successive
trasformazioni della materia, che riveste il ruolo di struttura mobile costitutiva
dell'universo, impedendo la previsione deterministica del risultato finale. Questa
impostazione supera le obiezioni scientiste contro i miracoli e annulla alcuni
presupposti delle teorie della demitizzazione.
Considerando l'essenza dell'universo come "evento", si potrebbe elaborare
un'epistemologia della complessità, che individui come suo oggetto la "conoscenza del
processo della realtà" anziché la "definizione del reale" (che non è riuscita).
Nell'evento, infatti, confluirebbero il disordine, come carica dispersiva e
l'organizzazione, come forza innovatrice. L'evento vi aggiungerebbe una dialettica di
elemento-evento, tempo-spazio, ordine-disordine, come costituenti fondamentali e
principi di formazione e di spiegazione dei sistemi auto-organizzati.
5.
Dialettica e paradosso della complessità
Morin tenta di avvicinare elementi molto diversi, senza riuscire, tuttavia, a liberarsi
totalmente dai condizionamenti della sua vecchia formazione dialettica. Ciò premesso,
dobbiamo considerare favorevolmente la sua proposta di una nuova epistemologia della
biologia, che ne elabori lo statuto a partire dal vivente come "complessità mista",
superando le vecchie semplificazioni. In questo modo anche i fenomeni bio-fisici e biochimici possono venire assunti sotto un nuovo significato. Senza un nuovo metodo
"misto e composito", una biologia matura oggi non sembra pensabile.
6
Morin insiste soprattuto su due punti. Il primo è che esistono solo "sistemi viventi"
ma non materia vivente. Il secondo è che nei sistemi vi è non solo entropia ma anche il
suo contrario: l'entropia-negativa, ossia la "sintropia" di Fantappiè chiamata
"neghentropia" da Brillouin.25
Questa complessità non elimina le molteplici componenti delle strutture, ma
richiama una doppia struttura: del "geno" (aspetto specifico) e del "feno" (caratteri
generali), aventi l'una bisogno dell'altra ed entrambe dell'ambiente.
Di qui il "paradosso epistemologico" della complessità: l'individuo deve essere
concepito "intrinsecamente" come esistente individuale ed "estrinsecamente" come
dipendente dal non individuale. Lo stesso soggetto, quindi, è componente della
complessità e parte del processo di formazione e di distruzione della vita. È insieme
osservatore e osservato, perciò è capace di conoscere dall'interno il mondo della realtà,
mediante una osservazione nè dogmaticamente razionalista nè riduzionista.
6.
Ipercomplessità dei fenomeni e metodo della complessità
Se vi è già complessità nel cosmo inorganico, quanto più vi sarà "ipercomplessità" 26
nel fenomeno umano. Perciò Morin insiste sulla necessità di rinnovare profondamente
la scienza e, in particolare, l'antropologia che, collocandosi tra biologia e cultura, dovrà
sviluppare le ipercomplesse interrelazioni bio-antropologiche fra natura e cultura e
approfondire gli aspetti bio-socio-culturali dello sviluppo.
6.1.
Per un'epistemologia della complessità
Analogo rinnovamento riguarda l'epistemologia, chiamata a inserire le esigenze
specifiche della sua "ragione", all'interno dell'attività scientifica, per elaborare i
parametri essenziali della scientificità. A tal fine dovrà risolvere alcuni suoi vecchi nodi
problematici. Uno di questi è la sua perenne oscillazione fra empirismo e idealismo.
Con il primo pretendeva di attingere direttamente gli oggetti e di aderirvi. Con il
secondo intendeva manipolare concetti efficaci. Finora, però, i suoi tentativi di
mediazione hanno soltanto impedito di risolvere il "plesso" di fondo della conoscenza
scientifica: definire il rapporto fra soggetto osservante e oggetto osservato.
Un secondo "nodo problematico" fondamentale è quello etico-morale che, come
abbiamo visto, ormai appare tutt'altro che estraneo alla scienza ed è auspicato dalla
maggioranza degli operatori scientifici. Uno sguardo all'indietro fa scoprire come la
cosmovisione elaborata dal pensiero medievale collegasse organicamente finalità,
ordine e gerarchia, conferendo all'etica il suo senso. La tarda scienza moderna, invece,
teorizzò una cosmovisione e una concezione dell'uomo prive di ogni finalità e di ogni
senso, in cui il discorso etico diveniva superfluo.27 Una scienza rinnovata, che
riproponga un creato dotato di unità e di senso, potrà riaprire uno spazio anche per
l'ordine, la finalità e i valori, consentendo di recuperare ciò che fu sottratto alla storia e
alla cultura.28
Non si tratta di un problema da poco, perché riproporre il problema etico nel
contesto dell'impegno scientifico, significa colmare il crescente distacco consumato fra
scienza e coscienza e fra "praxis" e "techne" nell'età moderna. Dal punto di vista
epistemologico e metodologico, l'elaborazione di adeguati strumenti concettuali e
teorici, per superare l'abisso tra scienza, valori etici e finalità antropologiche, non
appare più utopistico, dopo lo sviluppo delle "logiche degli enunciati esprimenti
norme" (logiche deontiche). Vi accenneremo nel prossimo capitolo, a proposito delle
scienze umano-sociali.29
6.2.
Epistemologia della complessità e metodo trans-disciplinare
Gli argomenti esaminati sollevano pure il "nodo problematico" del collegamento fra
le discipline coinvolte nel rinnovamento. Il metodo "interdisciplinare" non appare più
7
adeguato, essendo sorto per rimediare alle contraddizioni riduttiviste e alla
frammentazione del paradigma scientista. L'attenzione, perciò, si è spostata sul metodo
"transdisciplinare", che si addice meglio a un paradigma della complessità, perché esso
è orientato alla convergenza e all'integrazionere di tutti i punti di vista, con cui gli
osservatori guardano la realtà e se stessi. Tali "modi di guardare" possono strutturarsi
su tre livelli.
Il primo è dato dallo "sguardo sociologico", che ribalta la complessità del fenomeno
umano sul sistema sociale, con effetto retroattivo. Un secondo livello è dato dallo
sguardo "economico e noologico" (attento alle ideologie e mitologie), che considera le
parti del sistema in quanto interferenti con tutte le altre. Un terzo livello guarda alle
relazioni auto-produttive delle forme di "unità-dualità": ordine-disordine, distruzionecreatività, saggezza-follia, che l'uomo mutua dal mondo fisico e introduce nello
sviluppo del mondo reale.
Queste operazioni sono finalizzate a riorganizzare il sapere per ricostruire una
scienza rinnovata. Esse esigono non solo un metodo ma, assai più, un "pensiero" transdisciplinare, che adegui, in modo più coerente, ogni disciplina alla varietà e all'unità
dell'oggetto e alla complessità delle questioni poste dagli osservatori, come interpreti
del reale.
7.
Dal "caos" al "nuovo pensiero"
I dati analizzati in questo capitolo indicano che occorre prepararsi, ormai, a nuove
procedure mentali, basate su sistemi di connessioni fra idee nuove, idee antiche e idee
antiche-rinnovate. Un rinnovato pensiero creativo dovrà valorizzare le "dinamiche dei
processi caotici", amplificando selettivamente le piccole fluttuazioni concettuali e
foggiandole in coerenti stati mentali macroscopici, aperti a nuove idee, nuove scelte e
nuove decisioni. In questo modo la scienza potrà risolvere altri suoi nodi problematici,
chiarendo a se stessa, ad esempio, le modalità che consentono un effettivo esercizio del
libero arbitrio in un mondo retto da rigorose leggi causali.30 Molte cose restano da dire
al riguardo, ma preferiamo soffermarci su alcuni elementi di maggior rilievo filosofico
e umanistico, offerti dal nuovo atteggiamento scientifico.
8.
Riflessioni conclusive
Gaudium et Spes ha espresso più volte la preoccupazione che le scoperte
scientifiche restringano progressivamente l'area dello stupore, dell'ammirazione e
della contemplazione che conducono alla sapienza.31 Si tratta di un problema
fondamentale per ogni persona e cultura.
Infatti, agli inizi del pensiero classico occidentale, i filosofi greci sapevano
passare dallo stupore originario alla saggezza. In seguito, i pensatori cristiani
seppero aprire la loro esaltante esperienza umana e religiosa a espressioni di
saggezza e di sapienza. Nella cultura scientifica, invece, lo stupore solleva
inquietudini e angoscie che cercano risposta solo nell'analisi critica e nella rilettura
scientifica.
L'uomo scientifico si è abituato a risolvere lo stupore originario nel rigore
logico, ingigantendo, unilateralmente, una sola parte della ricca esperienza classica,
greca e cristiana. Si tratta di quella parte che dominava teoreticamente lo stupore
originario, imbrigliando il frammentario e lo sfuggente nelle connessioni causalimetafisiche e superando la molteplicità accidentale e alogica, mediante la nozione di
sostanza. 32 L'uomo classico, tuttavia, non si limitava a questo, ma valorizzava pure
la dimensione verticale, aperta all'alto.
8
L'uomo moderno, invece, si è limitato a imprigionare la ricerca e la conoscenza
in sistemi chiusi e unidimensionali, per cui ora ha bisogno di una nuova
epistemologia "bidimensionale", aperta alle dimensioni verticali ossia alle tematiche
metafisiche dei fondamenti, delle finalità, dei significati e della trascendenza. 33
Le impostazioni fenomenologiche ed ermeneutiche possono restituire
all'esperienza originaria dei ricercatori la profondità che facilita lo stupore e
l'ammirazione, consentendo loro di percepire l'eccedenza di significato che allarga la
ragione (dimensione orizzontale) ed eleva la coscienza (dimensione verticale). In
questo modo l'orizzonte del ricercatore potrà aprirsi alla contemplazione oltre che
ai verdetti della ragione, evitando ogni confusione e superando ogni pretesa
estraneità fra ricerca scientifica, riflessione filosofica e apertura di fede.34
1
V. Ingraldo, "Scienza moderna e scienza post-moderna. L'evoluzione del pensiero
scientifico", in La Scuola e l'Uomo 11-12, (1989) 297.
2
Aleatorio, dipendente dal caso, incerto.
3
Caos, termine con cui oggi si indica genericamente la natura globale dei sistemi complessi.
Il suo studio ha origini recenti e riguarda le situazioni complesse di ogni settore scientifico. Può
essere considerato lo studio dei processi anziché degli stati e il tentativo di superare
ulteriormente il determinismo. J.P. Crutchfield, J.D. Former, N.H. Packard, R.S. Shaw, "Il
caos", in Le scienze, XX (1987), 28.
4
Frattale, termine con cui si indicano oggetti geometrici, in particolare curve, la cui
dimensione è data da un numero frazionario. Per una trattazione più ampia di questi problemi cf.
C. Borasi ....... ,Bologna 1993, .....
5
Un esempio del primo caso si ha se uno dei pianeti del sistema solare, a causa di
perturbazioni esterne, allunghi progressivamente la sua orbita sino ad uscire da esso. Un
esempio del secondo caso, invece, sarebbe di sistemi che, partendo da punti molto vicini nello
spazio, abbiano evoluzioni molto divergenti.
6
Crutchfield, "Il Caos", 21.
7
B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Torino 1987, 11.
8
G. Perri, "Verso un nuovo paradigma epistemologico", in Nuova Secondaria, VII (1989), 2,
66.
9
H. Von Foerster, G.W. Zopf, Principles of Self-organization, New York 1962; J. Piaget,
L'equilibrazione delle strutture cognitive, Torino 1981; H. Atlan, "Sul rumore come principio di
auto-organizzazione", in Morin E. (a cura di), Teorie dell'evento, Milano 1974.
10
Crutchfield, "Il Caos", 13-14.
11
Perri, "Verso un nuovo", 67-68.
12
Chi paventa, in questa possibilità, il ritorno del mitico "progetto unificazionista" delle
scienze, può tranquillizzarsi pensando che questa svolta esige, prima della "costruzione delle
teorie" (theory-construction), di provvedere alla "formazione dei concetti" (concept-formation)
nuovi; cf. E. Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e
dell'oggettività nelle scienze umane", in Possenti, Epistemologia, 76. Su questo punto
ritorneremo nel prossimo capitolo.
13
M. Cacciari, "Quali interrogativi la scienza pone alla filosofia?", in
complessità, Roma-Napoli 1990, 165.
14
Conoscenza e
Perri, "Verso un nuovo", 70.
15
Quattrocchi P., "Verso un'epistemologia della complessità: 'La methode' di E. Morin", in
Epistemologia, V (1982), 363-364.
16
La teoria dei campi, nella fisica, è nata dalla necessità di spiegare fenomeni i cui
movimenti non avvengono per contatto fra i corpi, ma attraverso quello spazio vuoto cui si è
dato il nome di etere.
9
17
J. Ladrière, "L'abîme", in Savoir, faire espérer: les limites de la raison, Bruxelles 1976,
177.
18
F. Prattico, Dal caos alla coscienza, Bari 1989, 154.
19
Cacciari, "Quali interrogativi", 161.
20
Cf. J. De Rosnay, Le Macroscope. Vers une vision globale, Paris 1975; B. D'Espargnat, À
la recherche du réel. Le regard d'un physicien, Paris 1980.
21
Quattrocchi, "Verso un'epistemologia", 368.
22
Morin E., La méthode. I - La nature de la nature, Paris 1977; Id., II - La vie de la vie,
Paris 1980; Id., III - La connaissance de la connaissance, Paris 1986.
23
Il termine macroconcetti, nel linguaggio di E. Morin, indica gli "insiemi di concetti più
ampi", volti a includere, integrare o sostituire i precedenti concetti più limitati, per renderli
adatti a descrivere o esprimere le interrelazioni complesse.
24
Algoritmo, schema o procedimento sistematico di calcolo, che porta alla soluzione di un
problema con un numero finito di operazioni elementari. Stocastico = probabilistico, aleatorio,
dovuto al caso.
25
Entropia, in un sistema fisico, è la perdita irrecuperabile di energia utile, dovuta alla sua
trasformazione in calore. Il suo aumento indica una crescita del disordine e la diminuzione
dell'efficienza di un sistema. L. Fantappié introdusse il concetto di "sintropia" per indicare un
processo per il quale un sistema, anziché degradare, tende a forme sempre più organizzate ed
efficienti. Brillouin chiama lo stesso fenomeno "neghentropia". Cf. L. Brillouin, La science et la
théorie de l'information, Paris 1952.
26
Il termine ipercomplessità si applica alle attuali società postmoderne, caratterizzate da una
grande complessità, da un crescente sviluppo delle comunicazioni di massa e dalla necessità di
gestire scelte, decisioni e attuazioni in tempo reale. Tutto ciò rende ancor più complessa la loro
già grande complessità.
27
In seguito al suo "principio cosmologico".
28
In seguito al "principio antropico", ossia la questione ambientale e la profonda unità del
creato, intesa come sviluppo di complessità crescente fino all'uomo.
29
Logica deontica, Cf. G. Di Bernardo, Logica deontica e semantica, Bologna 1977, con
ampia bibliografia.
30
Crutchfield, "Il Caos", 21.
31
Gaudium et Spes, 56, 59.
32
Eidos platonico e ousia aristotelica.
33
A. Rigobello, Perché la filosofia, Brescia 1979, 42-45, 48-51; Cf. E. Husserl, La crisi
delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano 1961; H. Kuhn, Socrate.
Indagini sull'origine della metafisica, Milano 1969.
34
Rigobello, Perché la filosofia, 53-54, 131-135. Vedi l'agostiniano "fides quaerit,
intellectus invenit".
10
8.
SCIENZE UMANE: LO SPECIFICO IRRIDUCIBILE
1.
Cenni introduttivi
In questo capitolo cerchiamo di risolvere, per un'altra via, il problema della
scientificità che, come abbiamo visto finora, è stato affrontato ripetutamente, ma senza
successo, dalle scienze naturali. Poiché esso costituisce il problema di fondo per le
scienze umane, preoccupate di salvaguardare il loro "specifico", cercheremo di
analizzare il problema dello "specifico delle scienze umane", ponendolo nell'orizzonte
più ampio dello "specifico di ogni scienza".
Così impostato, esso riguarda tutte le scienze e la stessa "scientificità" intesa nel suo
senso più generale relativa non solo a tutte le scienze, ma anche a tutte le discipline di
qualsiasi ambito: anche storico, filosofico e teologico. Tutte, infatti, sono interessate
alla tutela e alla valorizzazione del proprio "specifico".
Posto in questi termini, il problema assume la dimensione culturale e il significato
generale che gli compete: il più corretto approccio di ogni disciplina al proprio oggetto.
Ciò comporta, non solo la ricerca di un concetto di "scientificità" più adeguato
all'attuale contesto multidisciplinare della cultura, ma anche il riconoscimento di un
legittimo "pluralismo metodologico".1
2.
Classi di scienze e loro logiche
Per risolvere il problema sopraccennato, il vecchio paradigma epistemologico
aveva, più o meno fondatamente, suddiviso le scienze in diverse classi e gruppi. Qui
ricorderemo la seguente suddivisione, che sembra rispondere meglio alle nostre
esigenze.
Scienze "empirico-analitiche" (naturali), che utilizzano la logica formale e
matematica e si costruiscono partendo da una base empirica (osservazioni sperimentali
e induzioni) o da leggi e teoremi assunti in via ipotetico-provvisoria. Esse cercano di
formulare previsioni e appaiono come sistemi ipotetico-deduttivi, parziali, provvisori e
falsificabili.
Scienze "storico-ermenutiche", volte a scoprire il significato dei documenti passati,
per cogliere le continuità e le rotture nel campo storico. Esse perseguono la
comprensione del passato (tradizioni) e del futuro (anticipi progettuali). Il loro metodo
ermeneutico cerca di spiegare il tutto con la parte e la parte col tutto, per cogliere le
correlazioni degli eventi, fra loro e con la totalità del processo.
Scienze "umano-sociali" (psicologia, sociologia, antropologia ecc.), che intendono
cogliere le fondamentali espressioni della vita personale e sociale, per regolare l'agire
umano e sociale.
Le scienze di quest'ultimo gruppo sono tuttora alla ricerca della loro identità e dei
loro metodi, non avendo ancora potuto compiere una decisa scelta epistemologica e
metodologica. Perciò continuano ad oscillare tra le esigenze formalizzanti, analitiche ed
empirico-oggettive delle scienze naturali e quelle ermeneutiche delle scienze storicoumane. I loro tentativi di armonizzare i due diversi quadri metodologici, in mancanza di
una chiarificazione di fondo, non hanno ancora dato risultati. Perciò aumenta la
convinzione che non potrranno risolvere il loro problema, fino a che rimarranno
ingabbiate nel paradigma scientifico delle scienze naturali.
Pertanto, il traguardo delle scienze umano-sociali appare la conquista di una propria
identità che consenta loro un legittimo pluralismo metodologico. Ciò comporta, in
primo luogo, riconoscere che i fatti umano-sociali, da loro analizzati, non costituiscono
mai delle "cose", ma degli "eventi" umani, caratterizzati dai valori e dai significati. Tali
eventi possono essere "trattati" soltanto con metodi fenomenologici2 ed ermeneutici,3
rivolti non solo alla loro spiegazione ma, soprattutto, alla loro comprensione.4
Una volta riconosciuta questa irriducibile diversità di oggetto, l'epistemologia dovrà
sottolineare due fondamentali esigenze. La prima è che nessuna disciplina, da sola, può
esaurire la conoscenza di una data realtà, ma può indagarne soltanto una dimensione e
porzione infinitesime.5 La seconda è che ogni disciplina deve determinare la propria
scientificità in armonia col suo specifico approccio alla realtà. Ciò vale non solo per le
scienze umane, ma anche per tutte le scienze e per tutte le discipline di ogni ambito.
3.
Scientificità delle scienze umane
Questa convinzione è tanto più preziosa, in quanto consente di superare un vicolo
cieco per tutte le scienze. Infatti, la scienza moderna sorta, fin dai suoi primi inizi,
come meccanica classica, non poteva percepire i limiti del proprio modello
determinista. Da allora, però, le scienze e i loro oggetti specifici si sono talmente
sviluppati, da rendere necessario un concetto di scienza non più univoco (meccanica
classica), ma "analogico", tale da consentire innumerevoli "modelli specifici di
scientificità".
Ciò avrebbe richiesto la fissazione di alcuni criteri epistemologici della scientificità,
molto generali e "analogici", quali il "rigore" e l'"oggettività".
Il vecchio paradigma scientista, invece, legato alle scienze della natura e al
presupposto dell'assoluta certezza del sapere scientifico (meccanicista e determinista),
scelse dei criteri "univoci" molto restrittivi, quali la deduttività, l'universalità e la
necessità, che riducevano drasticamente e indebitamente i confini della scientificità,
rendendola un concetto "univoco". Di qui le notevoli difficoltà per le scienze umanosociali, in particolare, e per tutte le discipline in generale.
Pertanto, le discipline umano-sociali dovettero attendere l'inconfutabile
dimostrazione del carattere parziale, provvisorio, congetturale e fallibile di tutto il
sapere scientifico, per recuperare lo spazio necessario alle loro legittime esigenze.
Attualmente, l'emergere dei problemi della complessità sposta l'interesse
dell'epistemologia ulteriormente a loro favore. Pertanto, non si può escludere che le
scienze della natura, in futuro, debbano ispirarsi a un'epistemologia della complessità,
sviluppata proprio per le scienze umano-sociali.
Nel frattempo, occorre sviluppare un "pluralismo epistemologico", che legittimi la
"pluralità di modelli e di tipi di scientificità" adeguati alle esigenze delle diverse
ricerche. Il carattere analogico della scientificità dovrebbe evitare la dispersione e la
frantumazione epistemologica. Questo programma sembra facilitato, ormai, dalla
scomparsa delle due maggiori ideologie avverse al pluralismo: il positivismo e il
marxismo.
4.
La peculiarità delle scienze economiche
Prima di passare alle scienze umane vere e proprie, occorre soffermarci su una
disciplina che, fra tutte le altre, costituisce un caso interessante e forse unico di difficile
collocazione epistemologica: l'economia. Essa nacque in un contesto di imitazione
pressoché totale delle scienze naturali. Tuttavia, nel secolo XX vide crollare
ripetutamente le sue sicurezze scientiste, in seguito alla grande crisi del primo
2
dopoguerra, al malessere degli anni Sessanta e alle stagnazioni e recessioni degli anni
Settanta-Ottanta. Nonostante ciò, è stata fra le ultime ad avviare una riflessione
epistemologica, col pretesto che essa non risolveva i suoi problemi. Questa errata
comprensione dell'epistemologia denota il permanere di una pesante ipoteca scientista
sul suo pensiero.
Pertanto, gli epistemologi continuano a sottolineare che il problema dell'economia è
di superare l'eccessiva dipendenza dalle scienze naturali e da quelle matematicostatistiche e di liberarsi dalle assiomatizzazioni che l'hanno condotta a costruire grandi
sovrastrutture teoriche su elementi virtualmente inesistenti. I metodologi sollevano forti
dubbi sull'impiego della matematica in economia criticandone i modelli talmente
irrealistici da non poter trovare informazioni che li rendano utili. Di conseguenza
giudicano la macroeconomia6 come un esempio di misurazione senza teoria e, per di
più, metodologicamente incompatibile con la microeconomia.7
Nonostante le elaborazioni epistemologiche più recenti, la maggioranza degli
economisti pretende ancora di "verificare" le proprie teorie anziché "falsificarle", tanto
da far dire che: "torturano i dati abbastanza a lungo fino a farli confessare". Qualcuno si
ricollega al pensiero di Kuhn, che consente di evidenziare la crisi della macroeconomia
e, mediante ricostruzioni storico-sociologiche della scienza economica, fornisce criteri
su cui lavorare ulteriormente.8 Anche l'epistemologia di Lakatos consente di ricostruire
alcuni episodi della storia del pensiero economico, sul principio che alcuni programmi
di ricerca più importanti sono stati innestati su precedenti programmi incompatibili.
Anche gli studi di Laudan enfatizzano lo studio degli aspetti teorici e sociologici
nell'indagine economica.9
Resta il fatto che le teorie "strumentaliste", utilizzate per giudicare le prospettive
teoriche, distinguere enunciati teorici e osservativi e valutare le previsioni, finora hanno
fallito, dimostrando la scarsa affidabilità dell'econometria. Perciò la scuola austriaca ha
proposto un approccio di "individualismo metodologico" fortemente restrittivo della
matematica. Comunque sia, si ammette che le predizioni economiche sono impossibili
perché i cambiamenti non sono percepibili prima che si verifichino, mentre le
teorizzazioni trascurano aspetti significativi, quali le incertezze e le aspettative.
Inoltre le decisioni importanti (ad es. investimenti) influenzano e mutano l'ambiente
(ad es. l'industria). Infine le teorie probabilistiche (frequentiste) richiedono osservazioni
e tentativi irrealizzabili nell'economia. Di qui la necessità di superare la dipendenza
dalle tecniche quantitative per ricorrere ai modelli di differenti discipline cui aprirsi in
una dimensione inter- e trans-disciplinare.10 Ciò fa presumere che il futuro di questa
disciplina così complessa risieda in un suo rinnovato sviluppo come scienza umanosociale, dotata di caratteristiche specifiche, collegate alle aperture scientifiche
analizzate nel capitolo precedente (complessità, caos, sistemi) e alle nuove possibilità
che stiamo per analizzare in questo capitolo (rigore e oggettività specifici e pluralismo
metodologico).
5.
Struttura generale della scientificità
Queste brevi note sul caso tipico delle scienze economiche, mettono in luce che il
semplice riconoscimento del pluralismo epistemologico non basta, poiché occorre
ridefinire, prima, i criteri generali della scientificità. Oggi ciò sembra possibile, a
partire da tre esigenze fondamentali per ogni disciplina.
La prima è la "coerenza logico-programmatica", ossia la capacità di adeguare le
osservazioni e le verifiche alla realtà. La seconda è la "capacità di spiegare e
anticipare", ossia di formulare previsioni attendibili. La terza è la "capacità di autoriorganizzazione", ossia di adeguarsi continuamente alle crescenti necessità delle
proprie ricerche.11
3
Queste esigenze provvedono una "struttura generale della scientificità", che
consente ad ogni disciplina di elaborare una rigorosa scientificità intrinseca, appropriata
alla sua identità e sempre riadeguabile ai suoi compiti nuovi o accresciuti. Infatti, la
"coerenza logico-programmatica" risponde all'esigenza di rigore e di oggettività e la
"competenza" e "capacità di auto-riorganizzazione" consentono di riadeguare la
scientificità a ogni nuova emergenza.
Adottandole, le scienze umano-sociali non saranno più costrette a elaborare teorie
eteronome, "oggettivate" e "orientate al potere", copiate dalle scienze naturali.12
Potranno, invece, elaborare proprie teorie autonome, adatte alla comprensione dei loro
oggetti e capaci di elevare l'auto-comprensione dell'uomo, per renderlo più consapevole
del suo agire, in piena aderenza al loro "specifico".13
Il pluralismo epistemologico, fondato sull'analogia dei concetti di scienza e di
scientificità, si addice alla crescente gamma delle scienze contemporanee e dei loro
metodi, di cui facilita ogni sviluppo. Poiché si basa su un ideale di scienza molto
esigente, costringe le diverse discipline ad elaborare congrui modelli di scientificità.
Questo aspetto è molto importante, perché evita ogni frammentazione metodologica
e consente di sviluppare un concetto di analogia della scientificità e delle scienze, non
arbitrario, ma basato sull'analogia fondamentale dell'essere.
L'analogia fondamentale dell'essere è un concetto classico della filosofia, che
sottolinea l'esistenza di tratti comuni fra tutti gli esseri e i loro elementi. Su di essa si
fondano i rapporti, le somiglianze e le qualità che la mente umana coglie nelle più
diverse realtà ed esprime nei suoi concetti. Perciò fu ampiamente utilizzata dalla
filosofia e anche dalla teologia cristiana. Nel loro ambito ha consentito di cogliere ed
esprimere l'infinita perfezione del Creatore, che si rifrange nella gamma indefinita delle
creature (esseri creati).
Pertanto su di essa si fonda quella intelligibilità delle cose che non viene esaurita da
un unico modello di conoscenza (scienza), ma si svela alle molteplici e autonome
forme del sapere: scienze, filosofia, religione, etica e teologia. Quindi essa offre
all'epistemologia la possibilità di una fondazione metafisica e gnoseologica, che
consente di riconoscere l'essere come unitario e pluralistico, gerarchizzato su più livelli
distinti, ma unito da una fondamentale relazione che è, appunto, l'analogia dell'essere.
Su questa base, l'epistemologia sarà in grado di riconoscere l'analogia, il pluralismo e
la polivalenza delle realtà che le competono e di esprimerle mediante i modelli e le
forme più appropriate.
A questo punto, occorrerà verificare se e come il concetto analogico di scientificità
consenta ancora di considerare la scienza un "sapere in senso forte" (necessario e
universale) dato che le singole scienze (naturali, umane, sociali ecc.) sono "sapere in
senso debole" (parziale, provvisorio, congetturale e falsificabile).
Pertanto, il riconoscimento della scientificità analogica e del pluralismo
epistemologico può garantire l'autonomia, la libertà e la competenza specifica di ogni
disciplina e di ogni ambito di conoscenza: scienze, filosofia, etica, religione, teologia.
Inoltre consente di superare quell'opposizione fra conoscere e valutare, che faceva
escludere dal discorso scientifico i valori etici e le norme morali.
6.
Scientificità e senso comune
Trattando di scientificità, occorre ricordare che l'idea di scienza come sapere
autentico, ormai è penetrata profondamente nella mentalità contemporanea. Tuttavia, il
senso comune riferisce la scientificità non tanto ai contenuti, ma agli atteggiamenti, ai
pensieri e ai discorsi improntati a rigore e oggettività, qualunque sia l'ambito cui si
riferiscono.14 Tale atteggiamento appare più realistico di quello degli specialisti,
4
insabbiati nelle interminabili e inconcludenti discussioni sulle distinzioni delle scienze
(idiografiche,15 nomotetiche,16 della natura, dello spirito, dell'uomo, della società o di
quant'altro si voglia).
La corretta intuizione dell'uomo comune consente di liberare il "modulo della
scientificità" dal "riduzionismo metodologico" che appiattiva radicalmente i metodi su
un unico modello. Il pluralismo esige il rispetto soltanto di ciò che è essenziale ed evita
tanto d'imprigionare il metodo nella rigida gabbia di una o poche scienze privilegiate,
quanto di diluirlo in generici ed eterogenei atteggiamenti intellettuali. Nel primo caso,
uno solo sarebbe discorso scientifico, nel secondo caso lo sarebbero tutti. Ciò chiarito,
passiamo alle esigenze del rigore e dell'oggettività.
7.
Il "rigore" scientifico
Il discorso sul rigore scientifico, negli ultimi decenni, ha ottenuto crescenti consensi,
attenuando alcune difficoltà delle scienze umane. Le tecniche di quantificazione e
matematizzazione sono retrocesse in seconda linea, mentre sono avanzate al primo
posto le componenti fondamentali: dati, ipotesi, spiegazioni, verifiche e previsioni.
Questo mutamento ha focalizzato meglio i punti che rendono le scienze umane vaghe e
insoddisfacenti. Vediamoli.
Innanzitutto il loro concetto di "dato" soffre di notevole imprecisione. Parlando di
dati, i fisici non sono quasi mai in disaccordo, mentre psicologi e sociologi lo sono
quasi sempre. Essi trovano estremamente difficile riconoscere se certe regolarità (non i
semplici fatti isolati) siano un dato o meno, e questa incertezza condiziona tutto il resto.
Pertanto, raramente riescono ad evitare le contraddizioni tra le ipotesi, considerate
soltanto congetture plausibili, e i dati disponibili. La loro difficoltà consiste nel passare
da una vaga plausibilità, a una spiegazione logica e coerente dei dati, basata su ipotesi
ben formulate. Manca loro un albero logico, corretto e privo di smagliature, che
consenta tale dimostrazione.
A maggior ragione le ipotesi concorrenti dovrebbero confrontarsi, non su una
generica compatibilità con i dati, ma sulla correttezza di tutto l'itinerario logico, che va
dalle ipotesi ai fatti, per mezzo delle spiegazioni. Un altro punto critico delle scienze
umane è la loro difficoltà di "corroborare" le ipotesi mediante previsioni e verifiche (o
falsificazioni) indipendenti. Da ciò risulta che la difficoltà non riguarda, in primo
luogo, i metodi matematici, ma l'adozione di "cornici metodologiche" più generali, che
consentano il rigore necessario a una vera scientificità.17
8.
L'"oggettività" scientifica
Il discorso sull'oggettività, a sua volta, è più complicato. Il termine riveste due
significati: "non dipendenza dal soggetto" o, più esattamente, "inerenza all'oggetto" e
"riferimento solo a determinati oggetti".18
L'inerenza all'oggetto esprime il senso forte dell'oggettività, mentre la non
dipendenza dal soggetto ne esprime il senso debole. Infatti, una caratteristica inerente
all'oggetto vale per tutti i soggetti, ma non viceversa. Quindi, l'intersoggettività, o
indipendenza dai soggetti, è assai più debole dell'inerenza e non può caratterizzare
l'oggettività.
Il passaggio filosofico dall'oggettività forte dell'inerenza a quella debole
dell'intersoggettività avvenne da Cartesio a Kant, che consumarono la speranza di
conoscere l'oggetto. Infatti, dopo che Kant sostenne l'inconoscibilità della cosa in sé, i
suoi successori si accontentarono dell'oggettività minima, ossia del puro superamento
della soggettività. Lo stesso avvenne nella scienza, che da Galilei agli inizi del secolo
5
XIX, si propose come forma decisiva di "inerenza". Il suo ripiegamento
sull'intersoggettività è recente e si deve alle discussioni epistemologiche sollevate dalle
teorie della relatività e dall'indeterminismo, dalla disputa sui fondamenti, dall'esigenza
di affrancare le scienze umane e sociali da quelle fisiche, dai problemi della
complessità, dai dibattiti sulla scientificità della psicanalisi, dalla critica della Scuola di
Francoforte, ecc.
Perciò, oggi si può parlare degli "oggetti scientifici" non come di "qualcosa che
esiste" ma come di "qualcosa che si conosce". Il discorso scientifico diviene un modo
di conoscere che non può fare a meno dei soggetti. Intersoggettività significa, quindi,
che ciò che si dice su "qualcosa che si è conosciuto" deve essere riconoscibile da tutti e
non soltanto da chi lo dice.
Un esempio può chiarire l'idea. La nozione di "nero" risulta intersoggettiva quando,
in un gruppo, un soggetto che invita gli altri a prendere gli oggetti neri contenuti in una
sala, vede prendere gli stessi oggetti che prenderebbe lui. L'intersoggetività quindi, si
attua mediante "definizioni operative" (o nozioni d'uso) che consentono azioni visibili e
controllabili (scegliere il nero). Senza definizioni operative, ai soggetti non resterebbe
che raccontarsi i contenuti interiori delle proprie esperienze individuali, cosa che, per
alcune scienze, risulta impossibile o irrilevante.19
Questo dimostra che l'oggettività scientifica è contingente e relativa a un
determinato contesto socio-culturale, che la conoscenza non parte mai da zero, ma da
un dato livello di conoscenza e che la sua comunicazione è possibile solo in un preciso
contesto culturale. Ogni scienza, quindi, elabora i suoi criteri operativi per le intese
intersoggettive conformi alle sue esigenze, nel rispetto del contesto socio-culturale.
8.1.
Senso "critico" dell'oggettività
Chiarito ciò, torniamo al secondo senso dell'oggettività, riguardante i discorsi riferiti
a "oggetti" precisi. Qui il problema di ogni scienza è di caratterizzare i suoi oggetti.
Inizialmente gli oggetti potevano coincidere con le "cose": astri per l'astronomia, piante
per la botanica, animali per la zoologia ecc. In seguito la stessa cosa divenne oggetto di
molteplici scienze. Perciò gli "oggetti" vennero distinti in base al "punto di vista" di
ogni scienza. L'espressione "punto di vista", però, risulta imprecisa. Appare
sintomatico, quindi, che la meccanica esordì precisando che il suo oggetto consisteva
nel "parlare delle cose ricorrendo esclusivamente a tre predicati" (massa, spazio,
tempo) e a pochi altri predicati definibili in base ad essi.
Questo mode di esprimersi apparve corretto e preciso. Perciò possiamo dire che
ogni scienza determina il proprio oggetto, determinando i predicati specifici in base ai
quali intende parlare di una determinata cosa e attenendosi sempre ad essi.
Quindi, il compito fondamentale di ogni disciplina consiste nel costruire
proposizioni vere, attenendosi esclusivamente ai suoi predicati fondamentali e a quelli
definibili a partire da essi. La verità di tali proposizioni potrà essere accertata, unendo i
predicati e le nozioni d'uso a definizioni operative, che consentano di verificare la loro
coerenza.
In sintesi: una scienza definisce la propria scientificità elaborando i predicati-base
operativi che, partendo dalle cose, le consentono di determinare il proprio oggetto e di
formulare i suoi "dati", ossia le "proposizioni immediatamente vere sugli oggetti".
Con questo, si recupera il "senso forte" dell'oggettività, nel discorso scientifico che,
tuttavia, riguarda solo gli "oggetti" della scienza, che non vanno confusi con le "cose"
dell'esperienza quotidiana. Gli oggetti, infatti, sono "costruiti metodologicamente", nel
modo appena descritto, che elimina la distanza fra il discorso scientifico e il suo
oggetto, ma non fra il discorso scientifico e le cose.
6
Questa impostazione fa coincidere le due "forme" di oggettività, perché i predicati
vengono introdotti "operativamente", grazie alle stesse operazioni che consentono
l'accordo intersoggettivo. In altre parole: le condizioni che determinano gli oggetti di
una scienza, sono le stesse che consentono di conoscere tali oggetti intersoggettivamente.
Quel che più conta, in tutto questo discorso, è che esso vale per tutte le scienze,
perché costituisce uno schema generale applicabile a ogni disciplina. Perciò ogni
scienza particolare dovrà soltanto provvedere a esplicitare i predicati del "suo" punto di
vista (psicologico, sociologico, storico, politico, teologico, ecc.) e corredarli degli
strumenti d'intesa operativa, che consentano di riconoscere vere o false le proposizioni
contenenti quei predicati. Dovrà, poi, formulare ipotesi esplicative, contenenti quei
predicati, finalizzate a una relazione semantica fra la teoria e gli oggetti di cui parla.
Pertanto le scienze, prima dovranno dedicarsi alla "formazione dei concetti", poi alla
"costruzione delle teorie", perché i problemi delle teorie sono risolvibili solo dopo aver
risolto quelli dei concetti.20
9.
Scienze della religione e "Nuovo Spirito Scientifico"
Questo progetto non è né puramente teorico né riservato al futuro, perché è già stato
collaudato da alcune scienze della religione, che costituiscono un'esempio di campo
d'indagine particolarmente complesso. L'argomento, molto vasto e di estrema
importanza, verrà trattato in un prossimo volume.21 Qui indichiamo solo alcuni esempi
tratti dalla "nuova antropologia religiosa".
Da tempo, gli antropologi della religione avevano scoperto l'importanza scientifica
di concetti come "simbolo", "homo religiosus", "ierofania"22 ecc. da assumere come
specifici predicati-base operativi per le loro ricerche. Tuttavia il loro uso scientifico era
impedito dalla "censura" scientista che li "escludeva dall'episteme".23 Perciò non
poterono essere utilizzati fino a che il potente e tenace "mitologema"24 fatto di
scientismo, razionalismo e positivismo, che aveva condizionato per secoli l'intera
episteme d'Occidente, non si disgregò. Quindi, solo dalla metà del secolo XX, dopo il
"grande mutamento epistemologico" e il diffondersi del "nuovo spirito scientifico", i
due concetti poterono venire liberamente utilizzati.25
Il "mitologema" o "interdetto scientista", come abbiamo visto, consisteva nel
privilegiare esclusivamente le verità fondate sul pensiero diretto e sulle combinazioni
semiotiche fra percezioni e concetti razionali, soprattutto matematici. Negava, invece,
ogni valore euristico agli "intermediari metaforici" (immaginario, simboli, immagini,
mito ecc.). Con la grande svolta scientifico-epistemologica il pensiero simbolico e
l'universo religioso dell'homo sapiens vennero finalmente rivalutati. Da allora i risultati
del "nuovo paradigma" scientifico, valorizzato soprattutto dall'antropologia religiosa,
non si fecero attendere.26
10. Un paradigma per la memoria, l'immaginario e lo spirito
La convinzione che i processi più astratti non siano il modello cui ricondurre tutti gli
ordini di verità, ma siano solo una parte di strutture immaginarie, più ampie e
inglobanti, sta conquistando pure la fisica.27 Pure per le teorie matematiche, fisiche e
biologiche più "avanzate", si diffonde ormai l'idea che sia indispensabile un
"coefficiente" d'immaginario per la pertinenza del sistema.28 R. Thom ha studiato
"l'intrusione dell'immaterialità" all'interno della fisica e della biologia.29 D. Bohm
ritiene che "l'ordine implicito che assicura l'identità di un fenomeno" sia una specie di
"memoria cosmica".30 Altri fisici adottano il concetto di "memoria" per gli eventi
fisici.31
7
Gli esempi si moltiplicano, come dimostrano gli incontri internazionali in cui le
scienze fisiche si confrontano con quelle storiche, psicologiche, sociali, religiose.32 La
nuova epistemologia esclude ogni "concordismo riduttivo" e confronta le risultanze più
significative delle ultime ricerche scientifiche, con l'enorme patrimonio di esperienze,
intuizioni e pensiero, accumulato dall'uomo attraverso l'arte, la filosofia e la religione.
Da quando lo "scandalo dell'episteme impedita", denunciato da Bergson e
Bachelard, è stato rimosso, l'attività simbolica non è più considerata un residuo di
superstizione, di barbarie, d'inciviltà, di "oscurantismo religioso" o di primitività
preistorica e "teologica". La filosofia contemporanea la riconosce come l'espressione
più specifica e congeniale dell'homo sapiens. Perciò ne autorizza la collocazione al
centro dell'attività di ominizzazione, di umanizzazione e di autocostruzione cosciente,
dei più elevati processi razionali.
Pertanto, il nuovo spirito scientifico non discrimina né censura più i diversi discorsi
umani né gli intermediari (immagini, simboli, miti ecc.) che sono la base e
l'insostituible "zoccolo duro" di ogni attività razionale umana, compresa la scienza.
Sembra ormai assodato che l'homo può rimanere sapiens solo se esercita, fino in fondo,
le sue qualità di symbolicus e religiosus.
11. Riflessioni conclusive
All'inizio del capitolo avevamo anticipato la necessità di un nuovo concetto di
"scientificità" e di un pluralismo metodologico adeguati alle molteplici esigenze attuali
delle scienze. Ne abbiamo parlato nell'ambito delle scienze umano-sociali, date le loro
caratteristiche specifiche e la loro particolare complessità.
Abbiamo visto l'urgenza e la possibilità di giungere a una "struttura generale della
scientificità", che consenta ad ogni disciplina di elaborare il tipo di scientificità che più
si addice alla sua identità e ai suoi compiti. Tutto ciò ha per fine di consentire alle
scienze umane la costruzione di teorie autonome volte a una migliore comprensione dei
fatti umano-sociali e, soprattutto, a un'auto-comprensione che renda le persone più
consapevoli del loro agire.
I criteri del rigore e dell'oggettività, qui analizzati, sono tali da garantire
l'autonomia, la libertà e la competenza specifica delle scienze umano-sociali, ma anche
di ogni altra disciplina di qualsiasi ambito della conoscenza: scienze, filosofia, etica,
religione, teologia. Infatti, essi non collegano la scientificità ai contenuti, ma agli
atteggiamenti umani, ai modelli di pensiero e alle forme di discorso, improntati ai
criteri del rigore e dell'oggettività applicabili a ogni ambito culturale.
Ne è emerso pure che la scientificità è un'espressione fortemente sociale e
comunicativa, adattabile ai più diversi contesti socio-culturali e alle esigenze della
comunicazione. Ciò significa che essa costituisce un tema fondamentale e insostituibile
per il dialogo trans-disciplinare fra le discipline di ogni ambito.
1
Il problema sorse in seguito al "monolitismo metodologico" del positivismo, neopositivismo e marxismo che ammettevano come unico metodo scientifico soltanto quello delle
scienze naturali. Cf. V. Possenti (a cura di), Epistemologia e scienze umane, Milano 1979, 8.
2
Metodo fenomenologico indica il "modo di considerare l'oggetto", che rispetta la verità
nascosta nella sua realtà (intenzionalità), da svelare ed articolare nelle sue categorie.
3
Metodo ermeneutico indica il "modo di comprendere", proprio della filosofia (storicismo,
fenomenologia), che istituisce continue correlazioni fra il sé e l'essere, in un processo che va
continumanete dalla "totalità" delle manifestazioni umane alle sue parti e viceversa.
4
Possenti, Epistemologia, 9-19.
8
5
Tralasciamo le incerte e sempre discusse distinzioni fra scienze speculative e pratiche.
6
Macroeconomia, parte della teoria economica che studia i problemi di dimensioni generali,
come il reddito nazionale, l'occupazione, il livello dei prezzi, ecc.
7
Microeconomia, parte della teoria economica che studia il comportamento delle singole
unità economiche, come le imprese, il mercato di un dato bene, ecc. J. Pheby, Economia e
filosofia della scienza, Bologna 1991, 9-11, 37-39; M. Blaug, The Methodology of Economics:
or How Economists Explain, London 1980, 254.
8
E.R. Canterbury, R.J. Burkhardt, "What do we Mean by Asking whether Economics is a
Science", in A.S. Eichner (Ed.), Economics is not a Science, London 1983; B. Ward, "What's
Wrong", in A.S. Eichner (Ed.), Why Economics is Not Yet a Science, London 1983; Pheby,
Economia e filosofia, 60-61, 84-85.
9
G. Fulton, "Research Programmes in Economics", in History of Political Economy, vol. 16,
n. 2, 1984, 187-206; G.K. Shaw, Rational Expectations: an Elementary Exposition, Brighton
1984; Pheby, Economia e filosofia, 104-105, 123-124.
10
T. Mayer, "Economics as Hard Science: Realistic Goal or Wishful Thinking?" in
Economic Inquiry, 18 (1980) 165-178; L. von Mises, Epistemological Problems of Economics,
New York 1976; Id., The Ultimate Foundation of Economic Science: An Essay on Method, New
York 1972; N.L.S. Shackle, Epistemics and Economics, Cambridge 1872; F. Capra, The
Turning Point, London 1983; G. Hodgson, Economics and Institutions, Cambridge 1987; P. E.
Earl, The Economic Imagination, Brighton 1983; Id, The Corporate Imagination, Brighton
1984; Pheby, Economia e filosofia, 143, 155, 189-194.
11
J. Ladrière, "Les sciences humaines et le problème de la scientificité", in Les Etudes
Philosophiques, n. 2, Avril-Juin 1978, 143-149.
12
Potere come controllo e manipolazione della natura.
13
Cf. la forte autocritica e le veementi accuse al paradigma sociologico passato e presente, di
F. Ferrarotti nei suoi quattro volumi: Il paradosso del sacro, Bari 1983; Una teologia per atei,
Bari 1984; La sociologia alla riscoperta della qualità, Bari 1989; Una fede senza dogmi, Bari
1990.
14
E. Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e dell'oggettività
nelle scienze umane", in Possenti, Epistemologia, 57-59.
15
Idiografico, termine filosofico per indicare le scienze storiche o dello spirito, contrapposte
alle scienze nomotetiche o della natura. In tempi più recenti fu esteso a indicare anche le scienze
aventi per oggetto il singolo e il particolare, rifuggendo da generalizzazioni (ad es. la medicina).
16
Nomotetico, termine filosofico per indicare le scienze naturali, in quanto formulano le
leggi generali della natura, in contrapposizione alle scienze dello spirito o scienze storiche.
17
In breve, tutte le scienze potrebbero convenire sulla base metodologica comune di: a)
raccogliere dati in modo rigoroso e oggettivo per giungere a determinare i parametri essenziali;
b) formulare proprie ipotesi intepretative; c) corroborarle con ulteriori indagini di campionatura,
per ottenere dati da intepretare e spiegare nel quadro di una determinata teoria; d) programmare
efficacemente determinati obiettivi, architettando concatenazioni di nessi logici che conducano
dalle ipotesi agli eventi desiderati. Questo schema generale del rigore scientifico appare
attuabile, sostanzialmente, anche dalle scienze umane. Cf. Agazzi, "Analogicità del concetto di
scienza", 67-69.
18
Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza", 69, 73.
19
Questa impossibilità di comunicazione non esiste per le esperienze religiose, per cui la
scientificità delle scienze della religione richiede una problematizzazione analoga ma non
identica.
20
Agazzi, "Analogicità del concetto di scienza", 73-76. A puro titolo informativo notiamo
come in base ai concetti di rigore e di oggettività, riferiti in questo capitolo, si possa dimostrare
la scientificità della sociologia, a condizione che l'immagine di società sia costruita in
9
riferimento a norme e valori. Lo strumento che consente di rappresentare l'unità valori-normeazioni, da un punto di vista logico è la "logica deontica" (o logica degli enunciati esprimenti
norme) connessa con una logica dell'azione a livello predicativo. Sono egualmente utili anche le
logiche della preferenza, delle decisioni e del comando. cf. G. Di Bernardo, "Epistemologia e
scienze sociali", in Possenti, Epistemologia, 209-216. Per un'ampia bibliografia sulla logica
deontica cf. G. Di Bernardo, Logica deontica e semantica, Bologna 1977.
21
Cf. G. Gismondi, Scienze della religione e dialogo interreligioso, Bologna 1993.
22
Ierofania, manifestazione della divinità.
23
Episteme, indica l'insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche che
caratterizzano una data epoca, con una sfumatura relativa ai loro presupposti, tesi fondamentali,
proposte interpretative, ecc. Cf. M. Foucault, Les mots et les choses, Paris 1966.
24
Mitologema, affermazione o ideologia generatrice di mitologie.
25
G. Bachelard, Le nouvel esprit scientifique, Paris 1940, (tr. it. Bari 1951).
26
Cf. G. Durand, "La méthode archétypologique: de la mythocritique à la mythanalise", in
Actes du II Congrès Mondial Basque, Vitoria 1988; Id., Mito e Sociedade. A mitanalise e a
sociologia das profundezas, Lisboa 1983; J.P. Sironneau, Sécularisation et religions politiques,
Paris 1982; G. Michaud, Introduction à une science de la littérature, Istanbul 1950.
27
G. Holton, The Scientific Imagination. Case Studies, Cambridge 1978, (tr. it. Torino
1983).
28
R. Thom, Modèles mathématiques de la morphogénèse, Paris 1974.
29
G. Durand, "L'uomo religioso e i suoi simboli", in E. Anati, R. Boyer, Le origini e il
problema dell'homo religiosus, Milano 1989, 88-89.
30
D. Bohm, "L'imagination et l'ordre impliqué", in Science et Conscience, Paris 1980; Id.,
Whileness and the Implicate Order, London 1979.
31
O. Costa de Beauregard, La physique moderne et les pouvoirs de l'esprit, Paris 1980.
32
Incontri di Cordova (1979), Fez (1983), Tsukuba (1983), Washington (1984), Venezia
(1986) ecc.
10
9. POTENZIALITÀ CULTURALI DELLA SCIENZA
1.
Cenni introduttivi
Nei precedenti capitoli abbiamo analizzato il "pensiero sulla scienza" elaborato da
numerose discipline: epistemologia, storia, filosofia, metodologia ecc. che ha
consentito di descriverne la traiettoria. Agli inizi ascendente: la scienza dominò la
cultura e mutò le condizioni dell'uomo e il suo rapporto col mondo. Successivamente
discendente: la scienza fu criticata, sospettata e accusata, con grave declino del suo
prestigio. Ora dovrebbe aprirsi una terza fase, più equilibrata, volta a definire il ruolo
della scienza nella cultura e nel rapporto con gli altri saperi.
Questo compito, di cui abbiamo individuato di volta in volta le condizioni, è
possibile anche se difficile. A tal fine occorre individuare le potenzialità che ogni
ambito (scientifico, filosofico, etico e teologico) può offrire per un fruttuoso dialogo
culturale, in cui ogni disciplina si presenti come uno soltanto dei molti modi capaci
d'indagare la realtà, aperto e complementare a tutti gli altri.1 Tale dialogo, per la
scienza, non è cosa da poco, se si pensa che è stata considerata, dopo il cristianesimo, il
maggior evento culturale dell'umanità.2
2.
Le fondamentali domande sulla realtà
Per meglio inquadrare il problema, dobbiamo ricordare che, come abbiamo visto,
nella società occidentale, alla crescita del pensiero scientifico si accompagnò un
declino nell'interesse ai problemi di cui non si percepiva più la diversità e l'importanza.
Ciò avvenne, in particolare, per i problemi sull'origine dell'universo, sull'intelligenza, la
libertà, la coscienza e la responsabilità dell'uomo, il futuro destino dell'umanità, ecc..
Essi, per la loro valenza multipla: filosofica, metafisica, religiosa e teologica erano
definiti come "problemi dell'ultimità".
La possibilità di "ridurli" entro la logica scientifica ne attenuò fortemente il
significato "umanistico" (filosofico, metafisico, religioso e teologico). Lo stesso
processo di riduzione venne applicato al concetto della causa "ultima", per cui persero
ogni attualità e utilità le antiche distinzioni fra le diverse cause: naturali, immediate,
remote, metafisiche, soprannaturali ecc.
Tuttavia lo svuotamento dei problemi della totalità, globalità, ultimità, ecc., non va
addebitato solo alla scienza ma, in primo luogo, a quelle filosofie che la colonizzarono
intellettualmente. Le pretese di eliminare il discorso metafisico venivano da loro. Da
loro vennero pure le confusioni fra fisica e meta-fisica e, infine, la sostituzione della
metafisica con surrogati che snaturavano il pensiero filosofico e scientifico.
La maggior lacuna della cultura moderna consisté nell'entusiasmarsi per il discorso
"delle" scienze senza integrarlo con un adeguato discorso storico, epistemologico,
gnoseologico e ontologico "sulle" scienze. Per cui soltanto agli inizi del secolo XX fu
di nuovo possibile "sospettare" che le domande "ultime", sulle origini, sul significato e
il destino dell'universo, della vita e dell'uomo sfuggissero alle logiche riduttive dei
metodi scientifici e ne trascendessero le capacità e i limiti.
La maggior novità, tuttavia, risiedeva nel fatto che, questa volta, tale sospetto veniva
sollevato proprio dagli scienziati che conducevano le ricerche più avanzate. A loro
volta, alcune filosofie più critiche e attuali riconoscevano la legittimità, il valore e il
sigificato di tali interrogativi.3 Con ciò cominciava un'inversione di tendenza.
2.1.
Analisi e sintesi nelle ricerche scientifiche
Queste osservazioni ci spingono a chiarire meglio che cosa sia quel "di più" che la
ricerca scientifica dovrebbe aggiungere alle nostre sensazioni e conoscenze immediate.
Scopriamo, allora che essa arricchisce la conoscenza umana in tre modi: superando i
limiti degli organi di senso e correggendone i difetti; organizzando logicamente i dati;
riconducendo i fenomeni all'apparenza slegati, ad alcune determinazioni di base.
Perciò essa si rivela maestra nello spiegare l'apparente molteplicità dei fenomeni
con un piccolo numero di principi fondamentali, che consentono di organizzare
gerarchicamente i fenomeni, senza introdurre concetti superflui.4 Si tratta del
procedimento di "analisi", o della ricerca della spiegazione, volta a spiegare il "come" e
il "perché immediato" dei fenomeni.
Tuttavia, i più recenti sviluppi scientifici ed epistemologici hanno rivalutato pure la
"sintesi", rivolta alla comprensione dei significati. La nuova "tendenza sintetica"
dovrebbe consentire alle scienze di valorizzare anche il carattere "sistemico" della
realtà, mettendo in luce gli scopi e i fini che emergono dalla complessità o conducono
ad essa.5
3.
Scienze umane: il superamento delle difficoltà
La tendenza sintetica favorisce gli approcci globali alle "organizzazioni complesse".
Pertanto, consente alle scienze umane di superare le "biforcazioni antropologiche" o le
riduzioni dell'uomo a macchina, automa o cosa, mediante un'antropologia veramente
"teleologica", capace di riconoscere la priorità dei fini sui mezzi.6 Essa consentirebbe
pure di superare quella dura critica dei sociologi per cui:
"solo una società che aveva perduto il suo senso di orientamento, i suoi
parametri esterni e superiori, ossia la sua costellazione di valori trascendenti ... e
che era tanto orgogliosa da pensare di poter esprimere da sé i propri valori
fondamentali, per via immanente e sulla base di un'assoluta autosufficienza,
poteva scorgere nella scienza e nella tecnica, intesa come scienza applicata, la
forma nuova e insieme la base fondamentale della sua giustificazione e del suo
orientamento".7
Questo nuovo spirito scientifico condurrebbe anche le scienze umane ad
approfondire la conoscenza dei confini, nell'uomo, fra il noto e l'ignoto, fra ciò che è
analizzabile e ciò che rimane misterioso, finora esclusi dalla ricerca.8
4.
Scienza e linguaggio
Abbiamo visto che gli "oggetti" delle scienze differiscono tra loro e dalle cose cui si
riferiscono, mentre le cose mantengono una propria identità profonda, nonostante i
diversi punti da cui vengono osservate, avendo una dimensione, non solo puramente
linguistica, ma anche reale e ontologica.
Questa dimensione costituisce la base del discorso "metascientifico" che supera i
confini delle singole discipline e della stessa scienza.9 Essa si esprime nel linguaggio
ordinario (parole e frasi di ogni giorno), dotato di una ricchezza che lo abilita ai più vari
usi, nei più differenti contesti. Le sue espressioni, per essere "legali", devono obbedire
alle regole di connessione (sintassi) e, per essere "legittime", devono corrispondere alla
realtà. Tuttavia, per quanto legali e legittime, possono risultare comunque equivoche.
Ciò dipende dalla ricchezza delle parole, dalla loro capacità di esprimere
contemporanemante realtà molto diverse e dalla loro illimitata possibilità d'inserirsi nei
più diversi contesti. Quindi, sono le stesse qualità del linguaggio umano che lo rendono
68
ricco, vario, espressivo ed adattabile ad ogni evenienza, a renderlo pure ambiguo e
poco adatto ad esprimere l'esattezza voluta dalle scienze.10
4.1.
Necessità di molteplici linguaggi
Il linguaggio numerico-simbolico, invece, differisce molto dal linguaggio ordinario.
Nell'antichità, esso fu considerato atto ad esprimere gli aspetti e i contenuti religiosi.
Platonici, pitagorici, lo stesso Galilei e molti altri scienziati ritenevano che i numeri
"consentano di leggere il mondo secondo il linguaggio matematico iscrittovi da Dio
stesso". Le recenti epistemologie, concentratesi sulla funzione scientifica dei simboli
numerici, hanno notato, invece, che la "lettura matematica" della natura esigerebbe
concetti scientifici, oggettivi e corrispondenti alla realtà, che sono impossibili da
ottenere.
Pertanto, nonostante l'entusiasmo per i risultati di Galilei e di Newton, non si poté
mai stabilire una corrispondenza tra i "segni" numerici e formali delle scienze e la
realtà cui si riferiscono.11 Di qui la necessità di letture molteplici di ogni evento
(pluralismo realistico), per cogliere il più possibile della sua inesauribile ricchezza e
verità. Pertanto divenne più evidente che le diverse letture: scientifiche, filosofiche,
estetiche, etiche, religiose e teologiche non solo non si sostituiscono né contraddicono
ma anche, tutte insieme, collaborano a una comprensione più adeguata della realtà.12
5.
Scienza galileiana e umanesimo scientifico
In base a ciò, non sarebbe esatto identificare la scienza galileiana con la scienza
moderna. Infatti, per certi aspetti, già il Rinascimento fu fecondo di ricerche sui
processi della natura, come il Medioevo lo era stato di innovazioni tecniche. Già
Leonardo, Vesalio, Keplero e molti altri cercavano regolarità e simmetrie. La
differenza tra loro, Galilei, Newton e i loro seguaci è che i secondi diedero alle loro
ricerche un'espressione numerico-matematica.
Oggi, per il nuovo spirito scientifico, la libera investigazione sviluppatasi
nell'Umanesimo e nel Rinascimento, riveste un valore fondamentale, perché si ispirava
già al "pluralismo" e sosteneva la necessità di molteplici letture per poter cogliere
l'inesauribile ricchezza e lo spessore di verità degli eventi.13 Furono proprio i successi
della matematizzazione ad oscurare tali idee.
Tuttavia, in quel contesto, la scienza moderna rappresentava, comunque, una grande
novità, in quanto rispondeva agli antichi "perché" in modo nuovo e diverso. Spiegava i
fenomeni più complessi, riducendoli a pochi elementi semplici o costruendo un
modello e rendendoli suscettibili di descrizioni semplici.14 Questo nuovo modo
rappresentava un avanzamento decisivo verso la conoscenza e costituiva pure un atto di
grande creatività, umiltà e coraggio. Infatti, riconosceva la difficoltà di spiegare e
interpretare le strutture complesse del reale, ma non si arrendeva di fronte a essa. Non
per niente i grandi scienziati degli inizi furono tutti convinti credenti.
Galilei apportava notevoli novità all'agire e al pensare umano. Dapprima
trasformava pochi elementi quantitativi, isolati dalle osservazioni, in numeri collegabili
e calcolabili, mediante equazioni matematiche. Poi organizzava tali elementi in
esperienze ripetibili da chiunque. Infine, affidava la decisione di accettarli o respingerli,
non più a qualche autorità esterna, ma al confronto fra pari: gli sperimentatori. Nel
secolo XVII, in cui solo l'aristotelismo offriva una sistemazione coerente
dell'esperienza e la tecnica non poteva ancora servirsi degli strumenti e del calcolo,
questa impostazione costituì una notevole novità culturale.15
I fondatori della scienza moderna, quindi, dimostrarono la superiorità e il valore
insostituibile del pensiero per la cultura e per l'uomo. Dimostrarono, cioè "la sua
capacità d'imprimere svolte decisive non solo alla conoscenza e ai suoi contenuti, ma
69
addirittura allo stesso modo di pensare, suscettibile di guidare l'uomo a una nuova
conoscenza e a una nuova percezione e consapevolezza di sé. Da ciò nacque la scienza
e non viceversa".16
Dopo di loro, però, la scienza incorse nella crisi che abbiamo analizzato e che la
trasformò da "nuova" in "normale", rendendola sempre più prigioniera di un rigido
involucro formalistico che, pur consentendole notevoli successi immediati, di fatto le
precludeva l'approccio ad aree sempre più vaste e significative della realtà.
5.1.
Dall' umanesimo al formalismo
Pertanto, in un breve volgere di tempo, molti operatori scientifici e persone della
cultura finirono per assumere:
"nei confronti della scienza meccanicista lo stesso atteggiamento degli
scolastici davanti alla scienza di Aristotele: la credettero necessaria, derivata da
una struttura immutabile della ragione e della natura; così subirono anch'essi il
tabù del naturale: in questa scienza l'uomo non è nulla, è la natura che ha fatto
tutto. Detto in modo diverso: molti contemporanei si aggrappano a una scolastica
del meccanicismo, come i nostri antenati del XV secolo avevano costruito una
scolastica dell'aristotelismo. Da ciò deriva che essi scrivono la parola sacra di
Scienza con la 'S' maiuscola, prova evidente di una sublimazione affettiva".17
Altrettanto negativo furono il rifiuto e l'incomprensione di alcuni importanti
strumenti culturali elaborati in precedenza. Ad esempio, Tomaso d'Aquino, nella sua
dottrina della conoscenza, pur non potendo usufruire ancora delle basi scientifiche della
scienza moderna, aveva sviluppato fondamentali interpretazioni del conoscere, come
lettura globale del fatto, calato nel resto del mondo e re-intepretato in base alla
memoria delle esperienze passate o dell'accumulo intellettuale. Il suo pensiero
s'interessava del trapasso dalla realtà al simbolo, perché il concetto (o simbolo mentale)
era la "finestra" attraverso la quale si guardava il mondo.
La filosofia moderna, invece, ha ridotto il conoscere alla "spiegazione passiva di un
fatto locale", come farebbe un apparato di misura che isola un numero specifico.
Inoltre, ha trasformato il simbolo in un oggetto per elaborare teorie, o in una semplice
cosa cui riferirsi, spogliandolo dell'enorme ricchezza di esperienza personale da cui
nasceva. In questo modo, l'operazione scientifica ha prodotto dei "simboli univoci",
impoverendo il rapporto realtà-simboli e riducendoli all'unica determinazione numerica
ricavata dall'apparato di misura.
Ci volle del tempo per capire che uno strumento, offrendo soltanto misure
numeriche, è immensamente più povero della più povera cognizione umana, per cui
non può eguagliare né sostituire nessuna delle raffinate "strategie di adeguamento alla
realtà", elaborate dalla mente dell'homo sapiens nella sua esperienza plurimillenaria.
A livello di pensiero, Cartesio si allontanò da tali "strategie", separando la mente dal
mondo e la ragione (e i simboli) dalla realtà. Kant negò la portata conoscitiva dei
concetti mutuati dall'esperienza, sia per determinare un "mondo al di là"
dell'esperienza, che per individuare la "cosa in sé", ossia il nucleo fondamentale degli
stessi dati dell'esperienza. In questo modo, i dati divennero una pura "buccia
fenomenica" e la realtà profonda ci sfuggì. Potevamo riflettere soltanto sulle sue
rappresentazioni simboliche. La scienza dovette, suo malgrado, adattarsi a queste
filosofie che ne comprimevano e ne soffocavano gli aspetti più nuovi e originali.
5.2.
Dal formalismo alla perdita dell'umano
Di qui il problema centrale del pensiero moderno: in che modo le nostre
rappresentazioni mentali possano dirci qualcosa della realtà. Date le premesse sopra
descritte, il progetto di elevare lo schema conoscitivo della scienza a modello di tutta la
conoscenza umana era contraddittorio e fonte di inevitabili delusioni. Infatti, negando
70
ai concetti mutuati dall'esperienza, ogni extra- o meta-empirismo, si lasciava alla
scienza il solo compito di riordinare lo spazio dei suoi simboli, che non potevano dir
nulla della realtà da loro espressa. Alla scienza rimanevano soltanto le "congetture
falsificabili" e le incertezze.18
5.3.
Dalla perdita dell'umano alla perdita del reale
Se la scienza moderna conosce, non la realtà in sé (sostanza), ma solo le
rappresentazioni dei suoi aspetti quantitativi espresse in misure, le è precluso, in linea
di principio, ogni accesso all'ontologia. Per questo motivo Maritain e Popper
osservarono che le leggi scientifiche non sono manifestazioni del reale, ma semplici
algoritmi, volti ad ottenere previsioni attraverso una "catena di dipendenze". Poiché lo
schema scientifico accosta la realtà mediante apparati di misure, da cui ricava simboli
numerici, "dipende" dagli apparati di misura. Gli apparati, a loro volta, "dipendono" da
teorie dotate di differenti apparati di misura, e così via, per cui i simboli numerici
"dipendono" da cause diverse e circostanze mutevoli.
Agazzi e Arecchi ritengono, invece, che i risultati degli apparati di misura rivestano
una certa costanza e consentano di costruire asserti stabili, ancorati al mondo reale. A
questo punto, però, si devono fare i conti con gli errori ineliminabili, propri di ogni
strumento di misurazione e quelli che derivano dalla necessità di usare i numeri
irrazionali.19 Errori che, sommati insieme, producono misure non esatte, offrono una
"verità" distorta e parziale, esigono incessanti correzioni e integrazioni.20
Galilei ha dimostrato una chiara consapevolezza al riguardo. Perciò sapeva bene di
poter rispondere soltanto a domande riguardanti le categorie della quantità, del tempo e
del luogo, escluse, quindi, quelle su sostanze, qualità e relazioni. Quindi era ben
conscio di poter dare soltanto risposte parziali, laddove la conoscenza del mondo
esigeva altri approfondimenti e altri tipi di indagine.
6.
Recupero della finalità e dell'uso sintetico della ragione
Nei tempi successivi, il conseguimento di alcuni risultati pratici fece dimenticare
questi limiti. Oggi, però, s'impone di nuovo un ritorno alla saggezza galileiana, che
riteneva necessari altri approcci complementari alla scienza. Essa è facilitata da
molteplici occasioni di collaborazione transdisciplinare. Una di esse concerne, ad
esempio, il recupero scientifico dei problemi della finalità.
La finalità riguarda i processi di sintesi in cui i costituenti si combinano in superunità che appaiono guidate da una "causa finale". Questa finalità o "teleologia" non
andrebbe indagata a livello della dinamica, ma dell'organizzazione di un ente in
"cooperativa" con gli altri. Non è detto che il fine sia imposto soltanto dall'esterno e
potrebbe essere colto anche dalla stessa analisi dell'ente al suo livello.
Dopo il declino dei precedenti criteri indebitamente preclusivi,21 la scienza può
ritornare a un discorso sintetico della ragione che, partendo dall'esperienza, affermi
esplicitamente qualcosa non dato da essa.22 Del resto essa, implicitamente, fa un uso
"sintetico della ragione", perché le sue ipotesi non le ricava automaticamente
dall'esperienza, ma le inventa. Ciò la avvicina alla metafisica, senza confonderla con
essa, perché entrambe si costruiscono sulle stesse basi e con gli stessi metodi: la
constatazione dell'esperienza, la sua mediazione e l'uso sintetico della ragione.23
7.
Scienza come fattore di crescita culturale
A questo punto, le numerose acquisizioni emerse consentono un discorso compatto
sull'insostituibile valore culturale della ricerca e della riflessione scientifica, che
possiamo condensare in alcuni punti progressivi e coerenti.
71
1. La scienza moderna nacque in un contesto culturale dominato dai razionalismi
post-cartesiani e dai vari positivismi, coagulati dall'ideologia semi-ufficiale ed egemone
dello scientismo. Solo lo sviluppo delle ricerche scientifiche e delle riflessioni
filosofiche ad esse inerenti (epistemologia) le consentì di liberarsene, a prezzo di grandi
sforzi.
2. Lo sviluppo delle ricerche, dimostrando l'impossibilità di spiegare la realtà come
il puro prodotto di componenti e di forze elementari, ha fatto emergere i problemi della
complessità e dei sistemi di organizzazione sempre più complessi, legittimando il
discorso sulla finalità e sui significati.
3. Le ricerche scientifiche hanno riproposto tematiche e problematiche fondamentali
per l'uomo e la società, che esigono ulteriori approfondimenti meta-scientifici.
4. Gli sviluppi delle ricerche scientifiche hanno portato alla necessità di riflessioni
epistemologiche, storiche, gnoseologiche e metafisiche sempre più vaste e approfondite
e, ultimamente, hanno fatto emergere l'esigenza di un discorso adeguato, sui valori etici
e trascendenti, superando tutte le obiezioni filosofiche sollevate dai tempi di Hume e
Kant fino ad oggi.
5. Questi sviluppi e riflessioni hanno dimostrato che il ricorso alle teorie
scientifiche per dimostrare tesi filosofiche o teologiche conduce ad ambiguità, equivoci
ed errori.24
6. Le acquisizioni scientifiche vanno rispettate e prese per quel che sono, senza
voler far loro dire ciò che non dicono, ma valorizzando le nuove problematiche da loro
sollevate che, per il loro elevato valore umano e culturale, costituiscono occcasioni per
un significativo confronto trans-disciplinare a tutti i livelli.25
8.
Sintesi conclusiva
Questi punti mettono direttamente in causa la fede e il pensiero cristiano nella loro
vocazione o esigenza a confrontarsi con tutte le culture.26
Il pensiero scientifico, fin dal suo sorgere, è stato fagocitato da un razionalismo che,
credendo di valorizzarlo, lo imprigionò in un ferreo riduzionismo strumentale.
Tramontato quello, si affacciano, oggi, le insidie di un certo irrazionalismo
postmoderno. Le acquisizioni dei precedenti capitoli ci dicono, però, che né il
razionalismo né l'irrazionalismo possono costituire il futuro della scienza o del pensiero
umano.
Pertanto la riflessione cristiana deve proporre la sua visione della razionalità umana.
Si tratta di una razionalità autentica perché non si pretende assoluta ma è conscia del
suo valore, della sua dignità, dei suoi limiti e delle molteplici modalità in cui può
esprimersi. Essa appare molto significativa per il nuovo "spirito" scientifico che esige
un "logos" rispettoso della razionalità, ma anche sensibile alle aperture e alla libertà.
La fede annuncia un "Logos" e uno "Spirito" come pienezza di verità e di libertà,
che non si esauriscono nelle cose ma, pur costituendone la natura dinamica e la legge
più intima e profonda, le superano infinitamente. Pertanto rivelano la ragione umana
come una "scintilla" di quella ragione che ha liberamente creato e fonda tuttora,
nell'amore, la razionalità del mondo e dell'uomo.
1
F.T. Arecchi, F.T. Arecchi, I simboli e la realtà. Temi e metodi della scienza, Milano
1990, 9.
2
C.A. Coulson, Science and Christian Belief, Oxford 1955, 15-18.
72
3
Si riconosce, oggi, che i problemi sulle "origini" (universo, vita, uomo) riguardano le
ricostruzioni storiche anziché la verifica sperimentale delle ipotesi.
4
J. Austin, How to Do Things with Words, Oxford 1962; Arecchi, I simboli e la realtà, 15.
5
Il termine paradigma fu reso di grande attualità da T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni
scientifiche, Torino 1978, 29. Esso viene oggi interpretato in vari modi, tra cui: insieme, il più
possibile omogeneo, di assunzioni teoriche e metafisiche, di pratiche sperimentali e di modi di
trasmissione dei contenuti della scienza, indiscussi come punti essenziali di riferimento per
spiegazioni e previsioni scientifiche. Oppure: struttura di base (o quadro generale di riferimento)
culturale, linguistico, filosofico, ideologico, tecnologico, scientifico, ecc. che collega fatti,
fenomeni, eventi, dottrine, teorie e ipotesi diverse. Abbiamo citato queste due interpretazioni
come più pertinenti ai nostri fini. Cf. P.W. Bridgman, The Logic of Modern Physics, New York
1927, (tr. it., La logica della fisica moderna, Torino 1952); Arecchi, I simboli e la realtà, 16.
6
G. Gismondi, "Il dialogo fra teologia e sociologia: problematiche, limiti e possibilità", in
Antonianum, 67 (1992), 3-38; P.B. Fortin, "Comunicazione", in Fondation Internationale Des
Sciences Humaines Paris, Modernity and Christianity, Castelgandolfo 3-7 settembre 1988; V.
Tonini, "Non limiti ma responsabilità", in J. Jacobelli (a cura di), Scienza e etica. Quali limiti?,
Bari 1990, 184-188: Arecchi, I simboli e la realtà, 17-18
7
F. Ferrarotti, Il paradosso del sacro, Bari 1983, 56-57; Gismondi, "Il dialogo fra teologia e
sociologia", 11.
8
G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica. Dalla critica delle scienze
all'umanesimo scientifico, Torino 1978; Arecchi, I simboli e la realtà, 18, 19, 22, 27-28, 30,
155-158, 164; F. Ferrarotti, La sociologia alla riscoperta della qualità, Bari 1989; Id., Il
paradosso del sacro, Bari 1983; "Scientismo", in Dizionario delle idee, 1043. A favore dello
scientismo: cf. H.A. Taine, De l'intelligence, Paris 1870; F. Le Dantec, De l'homme à la science,
Paris 1907. Contro lo scientismo: cf. E. Boutroux, La nature et l'esprit, Paris 1926. I termini
meccanicismo, meccanicista indicano la visione del mondo, nata con Cartesio e accettata da
Newton, che spiegava la realtà in termini di moto locale di oggetti elementari. Essa s'interessava
ai come ma non ai perché. Celebre è la frase attribuita a Newton: "Hypotheses non fingo" (non
mi pongo tali problemi). Cf. "Determinismo", in Dizionario delle idee, 233-234. Il termine
tempi lunghi può applicarsi tanto ai milioni di anni del sistema solare quanto ai milionesimi di
secondo degli elettroni. Il termine costruzionismo viene assunto con diversi significati, tra cui
quello per cui la scienza sarebbe un insieme di "costruzioni" puramente mentali, prive di
agganci con la realtà e indimostrabili. J. Buchler, The Concept of Method, New York 1961; C.F.
Manara, Metodi della Scienza dal Rinascimento ad oggi, Milano 1975.
9
F. Selvaggi (a cura di), Valore e metodo della scienza, Roma 1952; Arecchi, I simboli e la
realtà, 30-31.
10
F. Selvaggi, Scienza e metodologia, Roma 1962; Arecchi, I simboli e la realtà, 21-22, 3637, 38-39; D. Antiseri, La filosofia del linguaggio; metodi, problemi, teorie, Brescia 1973; G.
Preti, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, Milano-Roma 1953; "Verificazione", in
Dizionario delle idee, 1245-1246; A. Bonomi, Le vie del riferimento, Milano 1975;
11
G. Gismondi, Fede e ragione scientifica. I limiti strutturali del razionalismo scientifico,
Rovigo 1980, 251; Arecchi, I simboli e la realtà, 33-34.
12
E. Riverso, La costruzione interpretativa del mondo, Napoli 21967; Arecchi, I simboli e
la realtà, 35.
13
Vedi al riguardo la critica di G. Gusdorf, "Galiléenne (Révolution)", in Encyclopaedia
Universalis, V, 445-455; Arecchi, I simboli e la realtà, 41-43
14
"Modello matematico" indica un insieme di relazioni quantitative, usate per formulare
teorie e verificarle, che descrivono in modo semplificato un certo numero di fenomeni.
"Modello teorico" indica uno schema teorico di un fenomeno sperimentale o di un ente fisico le
cui leggi coincidono con quelle desunte dall'esperienza. Esso deve essere corretto e perfezionato
in continuazione.
73
15
R. Lenoble, "Origines de la pensée scientifique moderne", in Encyclopédie de la Pléiade,
Histoire de la Science, Paris 1967, 396.
16
G. Gismondi, Fede e ragione scientifica. I limiti strutturali del razionalismo scientifico,
Rovigo 1980, 128.
17
Lenoble, "Origines de la pensée scientifique", 505.
18
"Scienza", in Concetti fondamentali di filosofia, Brescia 1982, III, 1868. Arecchi, I simboli
e la realtà, 44-48.
19
Numero irrazionale, che non può essere espresso esattamente né con un intero né con una
frazione, in genere indica valori non misurabili con l'unità di misura (ad es. "pi greco" =
3,141592653 ... ).
20
E. Agazzi, Temi e problemi di filosofia della fisica, Roma 1974; Arecchi, I simboli e la
realtà, 169-170.
21
Quali l'empirismo radicale che sosteneva l'impossibilità di attribuire a un concetto un
contenuto diverso dall'aggancio immediato con l'esperienza; il divieto di mediare l'esperienza
che permetteva solo affermazioni volte a descrivere immediatamente un fatto; l'uso analitico
della ragione che consisteva nel porre in luce i legami strutturali fra le varie parti dell'esistenza.
22
G.F. Basti, "Cervello, informazione e pensiero nelle scienze cognitive", in Cultura e libri,
50 (1989), 5-34; Arecchi, I simboli e la realtà, 177.
23
E. Agazzi, Scienza e fede, Milano 1983; Arecchi, I simboli e la realtà, 178.
24
È emblematico l'errore di Kant, che trasformò gli "assoluti" newtoniani di spazio e tempo,
in forme a-priori, assolutizzandone la portata ordinativa. Einstein, invece, dimostrò che non
erano necessari alla meccanica. Un altro esempio è dato dalle geometrie non euclidee e dalla
critica di Einstein alla simultaneità, che tolsero a geometria e simultaneità ogni valore di
assoluto.
25
J.B. Metz, T. Rendtorff (hrs.), Die Theologie in der interdisziplinären Forschung,
Düsseldorf 1971, (tr. it., La teologia nella ricerca interdiscplinare, Brescia 1974), 143.
26
J. Alfaro, Speranza cristiana e liberazione del mondo, Brescia 1972; Cf. Giovanni Paolo
II, "A scienziati e studenti, Colonia 15.11.1980", in La traccia, 10 (1980), 928-932; F. Ardusso,
"Fede (l'atto di)", in Dizionario Teologico Interdisciplinare, II, 176-192; J. Alfaro, Rivelazione
cristiana, fede e teologia, Brescia 1986.
74
10. FEDE, SCIENZA E UMANESIMO SCIENTIFICO
1.
Cenni introduttivi
In questo capitolo ci soffermiamo sull'"umanesimo scientifico" visto, soprattutto,
come analisi culturale finalizzata a far emergere il significato umanistico della scienza.
La scienza viene vista come fattore essenziale dello sviluppo personale dell'uomo e
come evento particolarmente significativo per la cultura e le sue molteplici espressioni
quali la religione, l'etica, la filosofia ecc. Esso pone in luce, soprattutto, la capacità
della scienza di esaltare le dimensioni spirituali ed etiche della persona e del suo
impegno di conoscenza e di azione.1
2.
Umanesimo scientifico
Per comprendere meglio il senso di "umanesimo scientifico", precisiamo,
innanzitutto, i suoi termini. Per umanesimo si intende un modello ideale, che identifica
il compito dell'uomo nel realizzare la sua vera natura e nel creare una società adeguata
alla sua dignità.2 Per scienza si intende: l'insieme dei procedimenti volti a scoprire la
struttura intellegibile della realtà osservabile, mediante l'osservazione sistematica,
l'elaborazione teorica dei dati osservati e il controllo sperimentale delle deduzioni
teoriche.3 Come abbiamo visto, la scienza può essere considerata nei suoi contenuti e
nei suoi metodi o come "esperienza umana".
L'umanesimo scientifico sceglie quest'ultimo aspetto, soprattutto inteso come
esperienza "riflessivo-esperienziale", per approfondire i modi in cui essa può arricchire
umanamente la cultura e la società. La scienza, intesa come "atteggiamento riflessivo
esperienziale", diviene, allora, un coefficiente primario per lo sviluppo dei valori
umani, culturali e sociali volti a elevare la qualità della vita.4
3.
Scienza: creatività e dipendenza
L' umanesimo scientifico, come "atteggiamento riflessivo esperienziale" che nasce
dalla ricerca scientifica, si sofferma, in primo luogo, sul carattere cognitivo della
scienza nel suo momento più creativo e attivo. Tale creatività è innovatrice, pur
rimanendo rispettosa delle realtà che intende indagare. Il rapporto dialettico fra la
"creatività originale" e l'"aderenza alla realtà" contraddistingue il modo "scientifico"
del conoscere e in tal modo convolge "dialetticamente" la persona del ricercatore.
La creatività si palesa come capacità di far emergere aspetti imprevisti della realtà,
fin dai primi passi dell'osservazione. Esige, perciò, qualità umane decisive quali:
coraggio, originalità, apertura mentale, sensibilità al nuovo, cui si aggiungono la
costanza, la tenacia, la pazienza e la perseveranza, allorché i risultati appaiono
deludenti.
La vera creatività, tuttavia, si manifesta maggiormente nella fase della
"teorizzazione" che, nella sua radice etimologica, esprime il "saper vedere" inteso in un
modo non tanto sensoriale quanto spirituale e intellettuale. "Teoria", quindi, significa
ricerca attiva dell'intelligibilità delle cose e della loro profonda unità, ancora nascoste
negli oggetti osservati e come occultate dall'apparente multiformità e diversità.5
L'umanesimo vede, nell'attività scientifica, la testimonianza della funzione
essenziale e centrale della mente, che fa prevalere le idee sulla pura fattualità e
antepone i sistemi concettuali all'osservazione e interpretazione dei fatti.6 Per questa via
la scienza penetra nelle armonie della natura e giunge a decifrare i riflessi dell'ordine,
che regna nell'universo e i bagliori delle profonde realtà nascoste, che lo regolano.7
In questa visione, l'aspetto quantitativo-matematico diviene ausiliario. Del resto lo
stesso Einstein sosteneva che la comprensione, cui la scienza aspira, non è questione di
matematica. Il linguaggio matematico, per quanto creativo ed espressivo, svolge una
funzione molto utile, da non confondere, però, con i contenuti che esprime. Anche per
Eddington la matematica è un veicolo utile per l'espressione e la manipolazione,
tuttavia "il cuore della teoria rimane altrove".8
La creatività, infine, presiede pure alla sperimentazione, inventando fenomeni
semplici e facilmente ripetibili (esperimenti), quindi assai diversi da quelli
estremamente complessi e mai totalmente imitabili della natura.9
3.1.
Esperienza scientifica della dipendenza
La creatività della scienza, tuttavia, non è sfrenata o assoluta, ma ragionevole,
condizionata e "dipendente". L'esperimento, soprattutto, evidenzia la dipendenza e il
rispetto della realtà, quali doti proprie dell'uomo scientifico, che deve sempre
sottoporre alla prova tutto ciò che gli è più caro e prezioso: le proprie convinzioni, idee
e intuizioni.10 La scienza inizia quando l'uomo si rivolge alla natura per osservarla,
interrogarla e interpretarla, tuttavia, matura solo quando l'uomo privilegia le risposte
della realtà anche nei confronti delle sue aspettative. Tale rispetto rigoroso della realtà è
il segno che conferma ogni sincera aspirazione alla verità.
Anche la specializzazione, inserita in questa visione, diviene espressione di
saggezza umanizzante, perché è l'ammissione di non poter indagare né conoscere tutto
ciò che si vorrebbe.11 Questa saggezza domina pure il momento decisivo della ricerca,
che consiste nel sottomettere i risultati del proprio lavoro al giudizio altrui (verifica
intersoggettiva, falsificazione ecc.). In questo modo l'umanesimo scientifico restituisce
la piena dimensione umana ai problemi ridotti dalla scienza a un puro aspetto "tecnico"
o epistemologico, quali la "verifica" e la "falsificazione".12
Infatti, per l'umanesimo scientifico le componenti fondamentali della scienza non
sono le cose o i concetti, ma i "molteplici e complessi atteggiamenti umani che
coinvolgono la personalità del ricercatore". Pertanto, nel coinvolgimento personale del
ricercatore, l'atteggiamento "globale" nei confronti della realtà viene valorizzato assai
di più del puro rigore intellettuale volto a concepirla. Infatti, tale atteggiamento, come
dignità spirituale dell'uomo, qualifica i più diversi poteri della sua mente, tra cui la
capacità di controllare, con l'intelligenza, l'esercizio dei sensi; quella di analizzare
criticamente le proprie sensazioni e quella di discernere saggiamente le tendenze
istintive, i desideri, le immaginazioni e le pretese mentali. Solo nel rispetto di queste
capacità umane, il "rigore intellettuale" riesce ad esplicare il suo ruolo.
4.
Scienza come ascesi e autocontrollo
L'attività scientifica, intesa come esercizio rigoroso di autocontrollo, plasma
l'intelligenza umana e infonde all'uomo un nuovo senso del valore della persona. Lo
scienziato, dalla sua attiva consuetudine con la natura, ricava la capacità di scorgere
manifestazioni inaspettate. Egli non vede un maggior numero di cose, bensì nuovi
aspetti della realtà.
150
L'umanesimo scientifico analizza pure l'atteggiamento mediante il quale i ricercatori
giungono alle loro acquisizioni. Esso risulta assai simile a quello religioso, che è mosso
dalla fede e convinto della "certezza" di una data realtà, assai prima di averne ottenuto
una prova sperimentale o una dimostrazione rigorosa e sistematica. Ciò conferma che la
scienza è una esperienza essenzialmente personale, animata dall'interiore
consapevolezza di una verità, che è intuita e accolta assai prima di poter essere provata
e dimostrata.13 Questo conferma che la verifica sperimentale, da sola e in quanto tale,
non ne rappresenta l'aspetto né centrale né essenziale.
Infine, l'umanesimo scientifico rivela la dimensione essenzialmente comunitaria
della scienza, come "tradizione vivente". Ciò significa che essa, come ogni altra
tradizione, preesiste ai suoi membri, sui quali esercita un profondo influsso e la sua
autorità. Perciò trasmette ad ogni generazione un patrimonio di conoscenze, di capacità
e di conoscenze, che i nuovi adepti devono interiorizzare. A loro volta, i suoi membri
contribuiranno ad accrescerla, perfezionarla e trasformarla.
Pertanto, anche la comunità scientifica si costituisce attorno a un'autorità e a
tradizioni fondate sulla condivisione degli stessi atteggiamenti, delle stesse credenze e
valori e degli stessi comportamenti, in base ai quali giudica e valuta singoli e gruppi.14
5.
Uomo scientifico ed "esperienza" della natura
La scienza cerca pure una comprensione della natura, mediante l'invenzione di un
ordine, che renda spiegabili, o meno incomprensibili, cose ed eventi naturali. "Ordine"
indica tanto un modello unitario afferrabile dalla mente umana, quanto il verificarsi
regolare di fatti. Perciò è un termine polivalente.
La scoperta della regolarità è il gradino più modesto della comprensione scientifica
del mondo, anche se costituisce un passo decisivo. Essa subentra laddove apparivano
solo fatti privi di ogni collegamento. Percepite le regolarità, la mente vuole trovarne la
ragione e l'origine, addentrandosi nelle strutture sempre più intime della realtà
osservabile. Questo "addentrarsi" della mente costituisce la "fase teorica". L'idea di un
ordine intrinseco alla natura, capace di spiegare le regolarità osservabili, viene
attribuito a Keplero che, però, non disponeva né di dati né di concetti sufficienti.
Newton, sulla base degli studi di Keplero e Galilei, dimostrò che ogni regolarità era
l'espressione particolare di un ordine fondamentale.
L'entusiasmo che accolse la sua scoperta indica l'importanza che l'umanità annetteva
alla consapevolezza che la natura sia intrinsecamente intellegibile, fin nei suoi più
intimi fondamenti. I fatti che, prima, apparivano senza legame, misteriosi e
inesplicabili, si rivelavano ora espressioni diverse di un unico principio padroneggiabile
dall'intelligenza.15 A questa scoperta, tuttavia, deve aggiungersi quella ancor più
significativa de "l'unità del tutto". La sintesi newtoniana dimostrava il potere della
mente umana di unificare il multiforme campo dell'osservazione, per farne un "universo" (unus-versus) nel senso più profondo di "insieme rivolto all'unità".16
Con Darwin l'ordine naturale causò una nuova immensa sorpresa, perché esso ora si
rivelava non più fisso e immutabile, ma profondamente dinamico. Appariva come un
"ordine dinamico" o, ancor più, come un "dinamismo ordinatore". La natura (creazione)
mostrava la capacità di produrre forme e strutture nuove, inattese ma non arbitrarie,
perché ispirate a regole definite.17 Tuttavia i tentativi di spiegare tali mutamenti
ricorrendo puramente al caso, che rappresentava l'antitesi dell'ordine e della razionalità,
non potevano convincere e provocarono forti resistenze.
151
Spettava alla "teoria dei quanti" il merito di scoprire le "proprietà quantiche" della
materia, che rendevano compatibili l'ordine e i mutamenti e rendenvano palesi
l'identità, l'integrità e la specificità già insite nelle strutture atomiche e molecolari.
Il succedersi di queste scoperte e delle ricerche scientifiche, quindi, rivelava un
universo come totalità comprensiva, in crescita nel tempo, nel quale persone e mondo si
sviluppavano attraverso reciproche interazioni.18 Ne mostravano pure l'immensità
sconfinata, che il linguaggio ordinario non può esprimere a parole, per cui deve
affidarsi al linguaggio matematico. Questo deve servirsi di simboli numerici del tipo
1040 per indicare la lunghezza e 1016 per indicare il tempo. Neppure le pagine di questo
libro potrebbero allineare tutte le cifre che essi esprimono, e nessuno degli attuali
calcolatori riuscirebbe a elaborarle. In più, questa inesprimibile immensità non manca
né di bellezza né di armonia cui le prospettive della complessità, del caos e del caso
stanno per aggiugere nuove ragioni di stupore.
6.
Scienza, stupore e timore
Per quanto decisive e fondamentali, le esperienze soggettive (della conoscenza) e
oggettive (della natura) non esauriscono il dinamismo dell'umanesimo scientifico. Vi si
aggiungono pure le esperienze psicologiche, emotive e di sentimento, particolarmente
significative: sorpresa, stupore, meraviglia e timore di fronte alla natura-creazione così
percepita. Einstein le chiamava "senso del mistero" e le giudicava le capacità più
specifiche e importanti dell'autentico scienziato.
A questo punto, il discorso delle scienze naturali coincide con quello delle scienze
della religione, che studiano l'esperienza religiosa e gli atteggiamenti di stupore,
meraviglia, ammirazione e timore, dell'homo religiosus, di fronte al sacro.19 Al
riguardo, l'esperienza di scienziati veramente creativi quali Einstein, Heisenberg, Pauli,
Schrödinger e molti altri, raggiunge il massimo valore.
L'uomo di scienza percorre lo stesso itinerario umanistico dell'autentico uomo
religioso e dell'uomo di fede. Dapprima sperimenta la sua consapevolezza, come fonte
di certezza. In seguito l'accresce gradualmente, mediante un continuo sforzo di
attenzione deferente e di perseverante riflessione interiore. Al proposito, Heisenberg
nota acutamente che l'uomo scientifico "prende coscienza dell'ordine centrale con la
stessa intensità con cui entra in contatto con l'anima di un'altra persona".20 Egli scelse
volutamente i termini anima e persona, perché richiamano l'essere intelligente e
creativo ma, soprattutto, perché designano l'intimo misterioso della personalità. Egli
vuol dire che l'anima, misteriosa per la sua imprevedibile creatività, rispecchia la
"sorgente prima", assai più misteriosa, imprevedibile e creativa, di tutta la realtà.
Concetti analoghi, espressi da Darwin, Einstein, Schrödinger e altri, testimoniano che
la scienza consente esperienze umane così profonde da consentire l'incontro personale
con l'Assoluto.21 Esse non sono né facili, né comuni, perché esigono lungo e paziente
autocontrollo, coerenza e interiorizzazione profonda.
Queste osservazioni approfondiscono quanto abbiamo esaminato più volte nei
precedenti capitoli: l'apertura degli operatori scientifici all'ulteriorità e alla
trascendenza. Anche qui abbiamo la conferma che essa può essere particolarmente
incentivata dalla ricerca scientifica, mentre viene impedita e ostacolata da meno validi
atteggiamenti umani o da condizionamenti ideologici e culturali.
152
7.
Scienza e religione in prospettiva umanistica
L'analisi finora condotta aiuta a capire perché l'atteggiamento scientifico non si sia
sviluppato in quelle religioni e culture che non apprezzano abbastanza il mondo, il
rapporto di Dio col mondo o ritengono che l'universo materiale sia privo d'interesse.
Come abbiamo visto, pure l'antropologia della religione sottolinea l'importanza (anche
culturale) degli interrogativi sollevati nell'uomo religioso, dalla presenza del cosmo, dal
suo senso e dal suo significato. Furono questi a preparare il cammino dell'uomo
scientifico.
La percezione della non ovvietà, della complessità ordinata e significativa, la
comprensibilità di un dinamismo potente che include tutto, stanno alla radice
dell'atteggiamento sia religioso che scientifico dell'uomo. Ognuna di quelle percezioni
rappresenta una nuova conquista dell'intelligenza, della sensibilità e dell'inesauribile
capacità problematizzante della persona.
Tuttavia, la differenza tra l'esperienza scientifica e quella religiosa si manifesta
all'ultimo passo del lungo percorso, che rappresenta un vero salto di qualità. In esso
l'uomo religioso (il credente) sperimenta l'apertura verso una superiorità trascendente,
origine e fondamento di tutto, che invita alla comunione personale con essa. Le scienze
religiose lo definiscono: sacro, numinoso, divino, divinità, ecc. Il credente lo chiama
Dio.22 Questo passo segna pure l'emergere decisivo di una nuova consapevolezza e
responsabilità etica.
Questo itinerario mostra che religione, etica e scienza, pur distinte, sono tutt'altro
che estranee e si richiamano a vicenda. Lo prova il fatto che i maggiori scienziati
moderni: Keplero, Galilei, Newton, Einstein, Heisenberg, Hoyle, Norbert Wiener, Max
von Laue e molti altri, nei loro scritti confermano l'impulso positivo che la religione e
la fede diedero alla nascita dello spirito scientifico, e lo scadimento della scienza in
empirismo insignificante e senz'anima, seguito al suo attenuarsi.23
Essi sottolineano pure, che un atteggiamento scientifico autentico costituisce un
fattore primario di religiosità, dato che: "l'uomo non scientifico tende, con troppa
facilità, a presumere che il proprio modo di concepire Dio sia l'unico corretto ed
adeguato".24 Pertanto la forma migliore di umanesimo scientifico è data dalla sintesi
vitale delle due dimensioni, che si compie nella profonda intimità della persona ed
esige un rinnovamento continuo.
7.1.
Significato umanistico della scienza
Queste riflessioni chiariscono meglio il significato umanistico della scienza, come
contributo alla scoperta dell'uomo, della sua realtà e dignità, delle sue potenzialità e
limiti, della sua piccolezza e grandezza e della sua forza e debolezza.25 La funzione
umanistica della scienza è sintetizzata nella frase: "la scienza rivela l'uomo a se stesso".
Dobbiamo aggiungervi pure che essa lo libera
dal pensiero "necessitato" e
"abitudinario", aprendolo alla riflessione critica e controllata e, infine, gli rivela
l'intrinseca intelligibilità del mondo osservato e percepito dai suoi sensi.26
8.
La "perdita del centro"
Lo sviluppo della scienza moderna, tuttavia, è stato accompagnato da un
drammatico disorientamento, definito la "perdita progressiva del centro" da parte
dell'uomo. Ciò significa che l'uomo, che si riteneva il centro della terra e dell'universo,
153
dapprima vide togliere la "sua" terra dal centro per farvi posto al sole. Poi vide togliere
anche il "suo" sistema solare dal centro, per relegarlo in un punto remoto e anonimo
della galassia. Infine scoprì che l'intero universo era privo di centro.
Perciò accolse ognuno di questi passaggi come una "perdita" dandone
un'intepretazione agnostica o nichilista. Divenendo "spazialmente" periferico in un
universo privo di centro, pensò di non avere più alcun senso per l'universo e che
l'universo non avesse più senso per lui, senza rendersi conto dell'antropomorfismo
ingenuo e acritico, che presiedeva a questo pensiero.
La scienza venne ingiustamente incolpata di questo ripetuto "shock culturale" che
frantumava le precedenti certezze. In realtà, essa si limitava soltanto a informare
l'uomo della realtà che non conosceva. Furono la cultura e le filosofie del tempo a
interpretare tali acquisizioni scientifiche in forme riduttive o trionfalistiche o desolate.
Tuttavia, la consapevolezza di non conoscere ancora abbastanza l'universo e di
abitare in un cosmo che non sottostava alle pretese e alle illusioni del suo inquilino, in
se stessa non era nuova. Lo testimoniano millenni di cultura, arte, filosofia, tecnica e
religione. La scienza moderna si limitava a rinnovare nell'uomo l'esperienza della sua
nudità, già descritta in Genesi (3, 10-11).
L'inquietudine derivata dalla perdita del centro, venne strumentalizzata dalle
ideologie immanentiste di tipo prometeico o titanico, che aspiravano a riconquistare
una nuova centralità, trasformando la scienza in potere tecnologico e industriale.27 Esse,
tuttavia, non beneficarono né l'umanità né la scienza. Eiduson descrive così il loro
risultato:
l'uomo "è diventato solo un dente della ruota, così tremenda e intricata che né
lui né i suoi compagni sanno dove il veicolo stia andando, né dove vadano
esattamente le sue capacità e i suoi contributi. Ancor più importante, non ha voce
su come dovrebbe procedere il viaggio alla luce di ciò che fa. L'uomo scientifico
per eccellenza non è più l'intellettuale pensoso della vecchia scienza, sensibile alla
discontinuità e continuità dei dati, ma l'uomo superficiale, estremamente
competitivo che riconosce e accetta il fatto che né lui né altri possono compiere, da
soli, il nuovo lavoro tecnologico".28
Tuttavia, i millenni di preistoria e di storia dell'homo religiosus, symbolicus e
sapiens e i quasi quattro secoli di storia dell'homo scientificus dimostrano che, né gli
approdi prometeici e titanici, né la delusione e lo scoraggiamento seguiti ai loro
fallimenti, costituiscono un traguardo obbligatorio, scontato o definitivo. Sono, al più,
soltanto uno dei tanti punti critici o un incidente di percorso che l'umanità deve
superare nel suo cammino.
9.
Riflessioni conclusive
Abbiamo notato che l'umanesimo scientifico potrebbe essere compendiato in una
sola frase: la scienza rivela l'uomo a se stesso. Essa significa che tutto il discorso sulla
scienza, in realtà, è un discorso sull'uomo e va riferito a lui, unico responsabile
dell'umanizzazione o disumanizzazione di ogni impresa, compresa pure la scienza.29
L'attività scientifica svela, nelle profondità dell'uomo, una "dialettica" e una
"coincidenza degli opposti" di un essere splendidamente creativo, ma anche
intrinsecamente labile, fallibile e fondamentalmente problematico.30 Ecco perché
creatività, fallibilità e problematicità rimangono i caratteri fondamentali e ineliminabili
della scienza.
154
La creatività palesa la capacità umana di far emergere aspetti imprevisti e misteriosi
della realtà. La fallibilità costringe l'uomo a esercitare l'etica e l'ascetica della verità. La
problematicità, a livello "cosmologico", gli toglie l'illusione che l'universo sia come
crede e a livello "antropologico" gli toglie l'illusione di essere come gli piacerebbe o
pretenderebbe di essere.
Pertanto, l'etica scientifica impedisce alla persona ogni indebito autocompiacimento e l'ascesi scientifica la spinge, senza sosta, a trascendersi verso ulteriori
impegni di conoscenza umanizzante. Quindi la dimensione umanistica dell'esperienza
scientifica, pur rimanendone distinta, si avvicina a quella religiosa, da cui può
apprendere a far maturare il primitivo stupore in una autentica meraviglia e
ammirazione aperte alla trascendenza.
Come si vede, si tratta di temi affascinanti e di vasti problemi appena accennati, le
cui potenzialità culturali, umanistiche e umanizzanti appaiono illimitate. Solo un
dialogo approfondito e appassionato fra uomini di scienza e sinceri credenti consentirà
di svilupparli adeguatamente.
1
E. Cantore, L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Bologna 1988, 43.
2
Cf. G. Gismondi, Umanesimo marxista. Evoluzione e istanze positive, (Catania 71978); Id.,
"Cristiani e marxisti per l'umanesimo scientifico", in Il futuro dell'uomo, 3 (1976), 3, 21-23.
3
R.N. Anshen, Perspectives in Humanism, Cleveland 1967.
4
G. Gismondi, "L'umanesimo scientifico nell'attuale dibattito sulla scienza", in Antonianum
54 (1979), 76-100; Cantore, L'uomo scientifico, 51-54, 57, 64.
5
J. Bronowski, Scienza e valori umani, Milano 1962, 26.
6
C. Bernard, Introduzione allo studio della medicina sperimentale, Milano 1973, 44-45.
7
L. De Broglie, Fisica e microfisica, Torino 1950, 215.
8
A. Eddington, Filosofia della fisica, Bari 1984, 74.
9
Cantore, L'uomo scientifico, 96; Bernard, Introduzione, 28.
10
H. Poincaré, Il valore della scienza, Firenze 1947, 138; Cantore, L'uomo scientifico, 98-
103.
11
C.F. Weizsäcker von, The History of Nature, Chicago 1949, 2.
12
J.M. Ziman, Public Knowledge: an Essay Concerning the Social Dimension of Science,
London 1968, 11-13.
13
Cantore, L'uomo scientifico, 121.
14
B.T. Eiduson, Scientists: Their Psychological World, New York 1962, 152-153; Cantore,
L'uomo scientifico, 126.
15
A. Einstein, Idee e opinioni, Milano 1957, 240-242; Cantore, L'uomo scientifico, 128-133.
16
Bronowski, Scienza, 29; Cantore, L'uomo scientifico, 135.
155
17
V.F. Weisskopf, Conoscenza e meraviglia. La descrizione umana del mondo della natura,
Bologna 1966, 91.
18
Weisskopf, Conoscenza e meraviglia, 134-138; Cantore, L'uomo scientifico, 142-145.
19
R. Otto, Il sacro, Bologna 1926; G. Magnani, Introduzione storico-fenomenologica allo
studio della religione, Roma 1989, 89-114.
20
W. Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti, Torino 1984, 225-226.
21
C. Darwin, L'origine della specie, Torino 1959, 524: "Vi è qualcosa di grandioso in questa
concezione della vita, con i suoi diversi poteri, originariamente impressi dal Creatore in poche
forme o in una forma sola...". Einstein, Idee, 247: "Questo fermo convincimento, legato al
sentimento profondo dell'esistenza di una intelligenza superiore che si manifesta nel mondo
dell'esperienza, rappresenta per me l'idea di Dio". E. Schrödinger, Scienza e umanesimo. Che
cosa è la vita, Firenze 1978, 172: "Noi sappiamo, quando sentiamo Dio, che è un evento
altrettanto reale quanto una percezione sensoriale immediata o quanto la propria personalità".
22
M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino 1967, 97; J. Ries "L'uomo religioso e il sacro alla
luce del nuovo spirito antropologico", in E. Anati, R. Boyer, M. Delahoutre, Le origini e il
problema dell'homo religiosus, Milano 1989, 52: "La volta celeste simbolizza la trascendenza,
la forza, l'immutabilità, l'altezza, la sacralità. L'uomo ha preso conoscenza di questo simbolismo
primordiale, dato immediato della coscienza totale. Non si tratta dunque né di deduzione
causale, né di affabulazione mitica, ma di una presa di coscienza del simbolismo della volta
celeste, che mette l'uomo arcaico di fronte a una ierofania primordiale"; cf. M. Eliade, La
creatività dello spirito, Milano 1979, 30-34.
23
A.N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Milano 1945, 30; M. Caspar, Kepler,
New York 1959; A. Koyré, Studi newtoniani,Torino 1983; F.E. Manuel, A Portrait of Isaac
Newton, Cambridge Mass. 1968; W.C. Dampier, A History of Science and its Relations with
Philosophy and Religion, London 1966; A. Einstein, Lettres à Maurice Salovine, Paris 1956;
Id., Idee, 61.
24
Cantore, L'uomo scientifico, 194.
25
G. Gismondi, "Scienza e umanesimo scientifico nel pensiero di Giovanni Paolo II", in
L'Osservatore Romano, 22.2.1980.
26
A. Livi, Filosofia del senso comune, Milano 1990, 179: "La valenza tecnologica delle
conoscenze scientifiche, che oggi possediamo e che cresce sempre più di importanza ai nostri
occhi, non può non influenzare anche la cultura, e la influenza in modo che è
contemporaneamente sottile e pesante. Anzitutto, il prestigio delle scienze viene esteso anche ai
criteri di certezza che queste adottano, il che fa dimenticare altri criteri di certezza, altri campi di
ricerca nei quali i metodi della scienza propriamente sperimentale e fisico-matematica non
hanno applicazione. In secondo luogo, il successo della tecnica - strettamente collegata alle
scienze - crea l'ebbrezza del dominio delle cose e necessariamente si impone, facendo sì che il
campo degli interessi si sposti dalla costruzione dell'uomo interiore alla esteriore costruzione del
mondo da parte dell'uomo: economia, politica ... L'ideologia dello scientismo è alla base dei miti
dell'umanità nuova, dell'ordine nuovo, dei miti politici della rivoluzione come creazione nuova
del mondo da parte dell'uomo ormai onnipotente".
27
G. Gismondi, "Per la crescita dell'uomo e della società", in L'Osservatore Romano,
27.2.1980.
28
Eiduson, Scientists, 151-152; cf. Cantore, L'uomo scientifico, 507.
156
29
G. Gismondi, "I valori formativi dell'umanesimo scientifico", in La Scuola e l'Uomo, 37
(1980), 2, 42-44; 6, 165-168.
30
E.H. Erikson, Identity: Youth and Crisis, New York 1968, 50; Cantore, L'uomo scientifico,
508-509; J. Bronowski, The Identity of Man, New York 1965, 94; G. Gismondi, "Umanesimo
scientifico e futuro dell'uomo", in L'Osservatore Romano, 5.9.1979; Id., "Fede e scienza, oggi",
in La Scuola e l'Uomo, 40 (1983), nn. 2-3, 4, 8-9; Id., "Umanesimo scientifico nella cultura di
oggi", in L'Osservatore Romano, 14.2.1980.
157
11. "UOMO SCIENTIFICO" E "UOMO RELIGIOSO"
1.
Cenni introduttivi
Nel capitolo precedente, tratttando di umaneismo scientifico, abbiamo già notato il
complesso rapporto fra atteggiamento religioso e scientifico. In precedenza avevamo
notato come religiosità e fede, pur avendo molti punti comuni, non si identifichino. La
prima è un'espressione umana e culturale, mentre la seconda è un dono divino
soprannaturale. Tuttavia, seppur diverse, rimangono strettamente collegate, riguardando
il rapporto fra Dio e l'uomo.
Questi punti diventano molto importanti nel confronto che ci accingiamo ora a
compiere fra gli atteggiamenti fondamentali dell'uomo scientifico e dell'uomo religioso.
A tal fine ci colleghiamo al pensiero di Eliade che la religione è una struttura
fondamentale della coscienza e della cultura umana e non un loro semplice stadio
storico. Le ricerche di antropologia della religione lo hanno confermato. Lo conferma
pure la fede cristiana, per la quale la "vera religione" salvaguarda e valorizza
l'autenticità, la dignità e la libertà delle persone, delle culture e dei popoli.1
Stando così le cose, si comprende l'importanza di un rapporto sempre più costruttivo
e positivo fra l'uomo religioso e l'uomo scientifico, per l'umanesimo, la cultura e la
comunità umana del terzo millennio. Per questo la fede cristiana è particolarmente
interessata a una loro armoniosa collaborazione. Sono i punti che cercheremo di
approfondire.
2.
Il confronto sugli atteggiamenti personali
Sul confronto fra gli atteggiamenti e i comportamenti fondamentali del ricercatore
scientifico (homo scientificus) e del credente religioso (homo religiosus), esiste nei
paesi anglofoni una letteratura copiosa e qualificata pressoché sconosciuta in Italia. In
genere essa descrive un approccio volto a riportare l'impegno scientifico alle sue radici
originarie, recuperandone i contenuti umani più profondi. Il discorso è svolto a livello
degli atteggiamenti interiori, per cui analizza le affinità e le differenze fra i credenti e
gli operatori scientifici, ricavandone interessanti analogie.
La focalizzazione sugli atteggiamenti umani deriva dal fatto che la fede, la religione
e la ricerca scientifica consistono, prima di tutto, più in atteggiamenti che in parole,
concetti o nozioni. Infatti, fede e religione operano al livello degli atteggiamenti più
intimi e profondi della persona e della sua vita spirituale ed etico-morale. Queste
osservazioni sono importanti per superare l'impostazione razionalista che aveva ridotto
tutte le dimensioni umane, esistenziali e vitali più autentiche, comprese quelle religiose,
a puri concetti e razionalità.
Non a caso lo stesso "a-teismo" fu, in gran parte, una reazione al "teismo" ossia a un
razionalismo che riduceva Dio a pura "causa", "principio" o "motore" del mondo,
negando soprannaturale e rivelazione e spiegando tutto in termini di natura e ragione.
Come abbiamo notato in Nuova evangelizzazione e cultura,2 tra la fine del secolo
XIX e gli inizi del XX, significativi mutamenti riguardanti la fede e la religione
rivalutarono la rivelazione come: "autodonazione libera ed amorosa di Dio, nella storia
di Israele e soprattutto nella persona di Gesù Cristo, per la salvezza degli uomini". La
Sacra Scrittura, a sua volta fu di nuovo riletta come annuncio di salvezza, anziché come
testo di scienze o di storia.
Nel contempo, i razionalisni che avevano condizionato più pesantemente il pensiero
scientifico-scientista, come l'ateismo naturalista di Huxley, quello atomista di Haeckel,
l'agnosticismo evoluzionista di Spencer, le etiche evoluzioniste di potenza e di lotta,
stavano tramontando.3 Lo stesso dicasi delle molteplici forme del positivismo.
3.
Il confronto sui contenuti
In seguito a tutti questi mutamenti, il confronto diretto sui contenuti di scienze e
fede appare, oggi, sempre meno significativo e importante. Le descrizioni scientifiche
dell'universo si sono rivelate immagini-simboliche assai mutevoli: "macchina"
dominata dal determinismo (necessità), "organismo" evolutivo retto dal caso, "sistema"
governato dalla complessità e dal caos, ecc. Nessuna di esse ha retto a lungo.
D'altra parte, l'antropologia dimostrava che gli autentici valori umani e morali delle
culture, come pure le profonde convinzioni delle religioni, conservano tuttora il loro
significato. Infine l'epistemologia e le filosofie del linguaggio chiarivano che le
congetture sull'universo e le immagini del mondo e dell'uomo elaborate dalle scienze si
collocano su un piano del tutto diverso dal discorso religioso.
Pertanto, il credente, pur rimanendo attento e interessato alle "cosmovisioni
scientifiche", sa che esse non sono elaborate per dare un fondamento alla sua vita e,
ancor meno, alla sua fede. Anche il teologo avveduto ha compreso che l'accostamento
fra verità di fede e cosmovisioni scientifiche, filosofiche, culturali e religiose, contiene
sempre un fattore deformante. Lo testimonia una lunga serie di "immagini" del
Creatore che vanno dal demiurgo, alla causa prima, al motore immobile, all'orologiaio,
al grande architetto, all'ipotesi inutile, al tappabuchi e alla bacchetta magica, piamente
camuffati.
Lo stesso caso Galilei, letto in profondità, rivela un conflitto fra opposte
cosmovisioni scientifiche, nelle quali giostrava non la fede in quanto tale, ma una sua
interpretazione concordista.
Stabilire come e quanto la scienza possa divenire una componente positiva della
nostra comprensione di Dio e del suo progetto, resta pertanto difficile ed costituisce una
sfida appassionante, non ovvia né scontata, per nessuno: credente, non credente,
ricercatore, filosofo e teologo. Abbiamo visto come gli uomini di scienza siano sempre
più consapevoli, oggi, dell'urgenza dei problemi sollevati dalle loro ricerche più
avanzate (bioingegneria, intelligenza artificale, ecc).4 D'altra parte, filosofi ed
epistemologi non possono evitare di riflettere che le prospettive positiviste, che non
lasciavano spazio al "Logos" nel cosmo, quelle idealiste, che divinizzavano la mente
umana e quelle esistenzialiste, che teorizzavano la contingenza umana come puro
assurdo, hanno spinto la razionalità scientifica e la ragione umana in strade senza
sbocco.
3.1.
Fede cristiana: novità e originalità culturale
Di qui la necessità di percorrere altre vie. Il pensiero biblico-cristiano, al riguardo ha
sempre offerto una prospettiva di forte spessore epistemologico, con la sua visione
dell'universo come armonia, potenza, ordine, intelligenza e libertà, in cui necessità
(determinismo) e caso (disordine) appaiono ingredienti dosati, ma non costituiscono
degli assoluti e non prevaricano sull'informazione (intelligenza-razionalità). Oggi
sappiamo che semplicità, intelligenza e informazione operano anche nella complessità
cosmica (caos). Pertanto la convinzione di fondo del credente è che solo un'adeguata
intelligenza-razionale può rendere ragione di tutti questi caratteri.
Questa consapevolezza consente d'impostare più correttamente il rapporto fra il
discorso della fede e il discorso scientifico. Se il discorso di fede e religione ha il
compito di scoprire i "significati nascosti e ultimi del reale" e il discorso scientifico
140
deve scoprire le "strutture nascoste e prime del reale", tra i due non può esservi alcun
conflitto ma soltanto una costruttiva complementarietà reciproca.5 Pertanto lo spazio
per il dialogo rimane amplissimo e la modalità trans-disciplinare dovrebbe garantirne
quella scientificità (oggettività e rigore) che abbiamo analizzato nei capitoli settimo e
ottavo.
4.
Dal "piccolo mondo" all'"universo infinito"
La scienza moderna de-costruì l'orizzonte culturale delle immagini limitate e
antropomorfe e delle tradizioni rassicuranti ma infondate, nelle quali l'uomo pensava e
interpretava, da millenni, la sua esistenza quotidiana e la sua esperienza religiosa. Il
grande smarrimento umano e religioso nacque da tale dicostruzione. Essa costrinse
l'uomo a ri-pensare e ri-costruire il significato, il senso, l'identità e il destino
dell'universo, della storia, di se stesso e dell'umanità nei nuovi termini di "specie"
vivente tra molte altre, comparsa dopo un tempo lunghissimo, confinata su di un infimo
e anonimo satellite, sperduta in un immenso universo, dominato dalla necessità e dal
caso, in un giganteso processo di espansione-evoluzione, dai tempi e spazi pressoché
infiniti, di cui non conosceva la causa ed il fine. La microscopica storia umana si
sperdeva nella macroscopica storia della natura.
L'homo religiosus-scientificus della cultura scientifica occidentale, in un tempo
sorprendentemente breve (nemmeno tre secoli) ha ricostruito la sua visione religiosa.
Nell'orizzonte del "processo naturale" appena descritto, ha reinserito la coscienza e la
consapevolezza che lo spingono a imprese immani e incomprensibili, quali la lotta
senza fine per una maggiore conoscenza, per la libertà, l'umanità, l'eticità e
l'universalità. Inoltre vi ha ricollocato le sue migliori imprese culturali, umane e sociali:
religione, filosofia, arte, scienza, tecnica, ecc.
Per far ciò ha dovuto reinterpretare quegli stessi elementi che, agli inizi della
scienza moderna, erano apparsi come frammenti troppo discordanti e contraddittori per
poterli ricomporre in un disegno coerente. In realtà, l'uomo pre-scientifico era troppo
radicato nella natura, legato alla terra, prigioniero del tempo, vincolato dallo spazio e
dalle leggi naturali e soggetto ad esse. Anch'egli, come il suo successore l'uomo
scientifico si è rivelato, però, deciso a controllarle e superarle, lacerato fra rischi e
aspirazioni, sospinto da speranze e delusioni, da ottimismo e pessimismo, da ansia di
vittoria e ripetute sconfitte.
Tuttavia, l'uomo scientifico ha pure sofferto, nel più profondo, i laceranti dilemmi
fra significanza-insignificanza, rilevanza-irrilevanza, chiarezza-oscurità, causati dalla
frattura fra le esigenze irrinunciabili della sua vocazione religiosa e scientifica,
divenute terribilmente conflittuali. In più, lo spirito del tempo, che "sospettava" ogni
risposta delle antiche tradizioni culturali, religiose, filosofiche, etiche e metafisiche,
peggiorò notevolmente la sua situazione. Ormai aveva perso non solo il suo centro ma
anche le sue radici.
La cultura scientifica, svelando l'insospettabile complessità e immensità dei
problemi dell'universo e dell'uomo, costituisce un "experimentum crucis", ossia un test
decisivo, per l'uomo simbolico-religioso che non può sottrarsi ad esso né evaderne.
Solo affrontandolo può risorgere come uomo scientifico-simbolicus-religioso, nella
consapevolezza che il "centro dell'universo" non è in alcun luogo, ma in ogni persona e
coscienza umana.
4.1.
Antico Testamento: messaggio biblico e cosmovisione
La sensazionale scopertà è che, una volta rimossi gli aspetti ingenui, limitati,
antropomorfi e statici del linguaggio religioso e dello stesso messaggio biblico, proprio
141
nel cuore della cultura scientifica, la Parola si è manifestata tutt'altro che primitiva o
ingenua, ma ha riacquistato immensa profondità di valore e di significato.
Infatti, l'Antico Testamento, riletto in prospettiva cristiana, riconferma che l'uomo
non è né una semplice parte della natura, né un puro prodotto delle forze naturali, né
cosa, né oggetto. È invece soggetto e persona, con la sua origine specifica, orientato a
un fine superiore, che non si identifica né esaurisce nella storia naturale.
Dio non si incontra nei fenomeni naturali, ma si rivela nella storia dell'uomo, sua
immagine e somiglianza. Dio, è Signore non solo della natura e della storia, ma anche
dell'infinito e dell'eternità. Non è né minaccia né avversario dell'uomo, ma "alleanza",
speranza e garanzia di salvezza. Poiché l'universo e la storia sono governati dal suo
amore sapiente, la creazione rappresenta l'inizio e lo scenario della storia. Poiché tutto
rientra nel suo progetto storico-salvifico, Dio, natura, uomo e storia sono strettamente
correlati.
La natura non è una divinità, né un'entità statica né un processo eterno e senza fine,
ma un evento e una storia di amore, intelligenza e potenza divini chiamati creazione. Il
creato è, insieme: evento, azione, storia e realtà che continuano. La storia, a sua volta,
non è finalizzata a se stessa, ma aperta a un futuro, che la supera e la trascende. Il male
presente in essa non è un demone, né proviene da Dio, ma dall'azione libera e
responsabile di esseri intelligenti fra cui l'uomo.
Quindi occorre che l'alleanza salvifica fra Dio e l'uomo continui fino a che tutte le
potenze del male e della morte siano dominate e la pienezza dell'alleanza-salvezza
risplenda in tutto e in tutti.
Uomini di scienza e credenti sanno che questo disegno non traspare dall'analisi
scientifica o razionale degli elementi naturali macro- o micro-scopici e neppure dai
principi e dalle forze naturali che li governano, ma è manifestato solo dalla parola
divina, nella fede.6
4.2.
Nuovo Testamento: cosmo, natura e storia
Il messaggio del Nuovo Testamento segna ulteriori significativi avanzamenti. Dio
non si rivela più "attraverso" l'uomo, ma "come" uomo e "ne" l'uomo. L'evento di
Cristo cuompleta l'alleanza, perfeziona la salvezza divina, inizia e anticipa il grande
futuro finale. In lui lo stretto collegamento fra creazione e natura, storia e pienezza
finale, viene ulteriormente consolidato. La lotta di Dio contro le forze del male, del
pecccato, della distruzione e della morte assume maggiore intensità. Cristo è l'ultimo
segreto e il culmine della creazione-rivelazione, la chiave che apre tutti i sigilli e
consente la comprensione della storia e l'interpretazione della creazione. In lui esse
appaiono, fin dagli inizi, strettamente unite nel progetto salvifico divino.7
A questo punto, è facile vedere come l'interpretazione del messaggio biblicocristiano, elaborata nel contesto dell'antica cosmovisione prescientifica, astorica e
statica, appaia immensamente più limitata e ristretta rispetto alla nuova interpretazione,
elaborata nel contesto della cosmovisione scientifica, storica e dinamica.
Solo la seconda ha consentito di fare emergere la storicità e il dinamismo della
creazione e della natura, insiti nella rivelazione biblica. La natura, nella creazione,
appare pre-istoria o inizio della storia. L'uomo è radicato nella preistoria naturale e la
natura è preistoria orientata all'uomo, in cui raggiunge una fase nuova e decisiva.
Sotto questo aspetto, la cosmovisione dinamica della cultura scientifica consente
una comprensione più originaria di Genesi 1,31: "Dio vide che quanto aveva fatto era
cosa molto buona". La cosmovisione statica prescientifica interpretava la parola
"buono" nel senso greco, statico di "per-fetto". La cosmovisione dinamica
postscientifica invece, facilita il recupero del senso ebraico, dinamico di "ad-atto al
fine", ossia che si sforza di adeguarsi-alla piena salvezza divino-umana.
142
5.
Ruolo liberante dell'epistemologia e della scienza
Nell'impegno liberatore della scienza, epistemologia e storia delle scienze hanno
svolto un ruolo decisivo. Lo ha riconosciuto lo stesso Giovanni Paolo II, nel suo
discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, (1990). Dopo aver sottolineato la
validità delle analisi storiche ed epistemologiche e riconosciuto la riflessione
epistemologica come realtà importante, urgente e indissociabile dalla cultura
scientifica, definì un grande avvenimento l'ammissione dell'epistemologia fra le
discipline dell'Accademia.8
Anche la scienza riveste un ruolo liberante per la cultura, la religione e la stessa
fede. Mediante la sua critica, de-costruisce le convinzioni e tradizioni infondate,
mentre, con i problemi sollevati dalle sue ricerche, costringe fede, religione e teologia a
riesaminare incessantemente le loro asserzioni e a liberarsi dai contenuti alieni e dalle
concezioni estranee all'essenza del messaggio cristiano.
Ponendo il problema in questi termini, appare che i credenti, mediante il confronto
con i problemi e le difficoltà sollevate dalla scienza, possono purificare la loro fede,
comprenderla in modo sempre più adeguato ai tempi, renderla più autentica,
significativa e profonda.9
6.
Affinità e diversità di atteggiamento
Gli approfondimenti epistemologici hanno messo in luce che l'atteggiamento
dell'uomo di scienza, anche a livello metodologico e razionale, non differisce molto da
quello del credente. Scienza e religione muovono entrambe da specifici presupposti.
Entrambe si misurano con eventi storici complessi e con profonde esperienze umane.
Entrambe comportano un forte coinvolgimento personale.10
Naturalmente il confronto non evidenzia solo gli elementi affini, ma anche quelli
differenti. Le differenze, tuttavia, non appaiono mai vere opposizioni, per cui risulta
legittimo parlare dell'impegno scientifico e religioso come di vie affini e
complementari, volte a conferire senso e significato, sia pur con modalità diverse, alle
complesse esperienze umane.
Il credente, quindi, stimolato dalle problematiche sempre nuove, sollevate dalla
scienza, si abitua a pensare a Dio e al suo operare in modi sempre nuovi e inediti.
Collocata in questo vivo contesto culturale e problematico, la scienza assume nuovi
aspetti. Appare sempre meno un "museo", per divenire sempre più un "cantiere". Il suo
dinamismo la spinge a scoprire il significato della realtà, in forma autonoma, ma senza
opporsi a religione, arte, filosofia, teologia. Anch'esse, infatti, nelle forme loro proprie,
concorrono a indagare l'ambiente cosmico e storico, per comprenderlo e interpretarne
gli ulteriori significati nel progetto di Dio.
Anche, per questa via, si scopre che l'apporto più significativo della scienza non
consiste tanto nelle sue scoperte, prima o poi superate, ma nello spirito culturale che
presiede alle sue ricerche e al suo quotidiano impegno di pazienza, ingegno e tenacia
umana. Anche la sua è un'espressione di quell'impegno, che anima tutte le imprese
umane autentiche: religione, filosofia, arte, ecc. Per questo il credente cristiano deve
impegnarsi a liberarla dall'oblio del passato, dalle dispersioni del presente e dalle
incertezze del futuro.
6.1.
Cooperazione tra scienza e religione
La riflessione fin qui condotta evidenzia che tutte le concezioni derivate dal
materialismo engelsiano, che intendono assegnare alla scienza il "controllo della natura
mediante la sua comprensione", non ne hanno affatto compreso lo spirito, per cui la
143
snaturano. Lo stesso va detto delle concezioni che ritengono la conoscenza della natura
un fatto puramente impersonale e materiale, negando o dimenticando il ruolo
dell'immaginazione e della creatività umana. Al riguardo, molti scienziati hanno
testimoniato l'esperienza delle loro scoperte più importanti come illuminazioni interiori
e improvvise: "la giusta idea mi venne inaspettatamente, senza sforzo, come
un'ispirazione", "fu come un lampo rivelatore, qualcosa di nuovo, più semplice ed
esteticamente soddisfacente di qualsiasi cosa creata nella mente", "qualcosa di rivelato
e non di immaginato."11
I rapporti fra la realtà, l'impegno scientifico e quello religioso sono suggestivamente
raffigurati nell'immagine della montagna e delle sue descrizioni. Ciascuna descrizione
dice qualcosa di più, di meno o di diverso rispetto alle altre. Tuttavia la vera realtà della
montagna rimane al di là di ogni descrizione che, in parte ci avvicina e in parte ci
allontana da essa. Perciò, per conoscerla il più possibile, dobbiamo studiarle tutte, non
escluderne nessuna e valorizzarne tutti gli apporti. Nonostante ciò, fino a che non vi
saliremo, il più rimarrà sempre da scoprire.
Questa metafora suggerisce che nessun punto di vista umano può offrire l'intera
visione della realtà, ma vi contribuisce per la sua parte, senza esaurirla. Scienza,
filosofia, arte, religione, teologia, contribuiscono, ciascuna e tutte insieme, a decifrare
qualcosa dell'immenso e inesauribile progetto di Dio. Perciò "dobbiamo coniugare le
forze vive della scienza e della religione per preparare i nostri contemporanei ad
accogliere la grande sfida dello sviluppo integrale che suppone competenze e qualità
intellettuali, tecniche, morali e spirituali".12
7.
Triplicità e circolarità di scienza e religione
Tra i vari confronti fra scienza e religione, uno ne sottolinea, in particolare, i
caratteri comuni della "triplicità" e "circolarità". Triplicità indica tre momenti
dell'esperienza scientifica e religiosa. Il primo momento, "descrittivo", riguarda la
raccolta di osservazioni ed esperienze. Il secondo, "teoretico", riordina i dati raccolti, li
rielabora e li ricollega con strutture simboliche e sistemi di concetti, correlazioni, ecc. Il
terzo, "applicativo-trasformativo", applica e utilizza le acquisizioni dei precedenti
momenti, descrittivo e teoretico, al fine di trasformare la realtà.13
La "circolarità" indica il continuo scambio dinamico, che intercorre tra questi
momenti, integrandoli e arricchendoli reciprocamente. Triplicità e circolarità vengono
considerati inseparabili e interdipendenti nel dinamismo sia scientifico che religioso.
Infatti, nella scienza e nella religione: a) le osservazioni e le esperienze
costituiscono un punto di partenza fondamentale; b) le analisi critiche e le elaborazioni
concettuali servono per ordinare e rendere comprensibili tali esperienze; c) le une e le
altre vanno utilizzate per migliorare la realtà.
Quanto più i tre momenti funzionano e s'integrano, tanto più scienza e religione
risultano valide. Per la fede cristiana il primo momento è costituito dalle esperienze e
dagli eventi storici della salvezza biblico-cristiana, il secondo dalla teologia e il terzo
dall'impegno spirituale, etico e sociale. La circolarità fra i tre momenti è essenziale per
la loro stessa fecondità.14
8.
Sintesi conclusiva
Le acquisizioni di questo capitolo sono particolarmente rilevanti, perché presentano
la fede, la religione e la scienza, come poli di una nuova cultura nella quale la
spiegazione scientifica delle "prime strutture nascoste" del reale può favorire la
comprensione religiosa dei suoi "ultimi significati nascosti". La fede cristiana deve
144
mediare i due momenti, orientandoli verso espressioni di amore e di speranza, scevre da
tentazioni di potere.15
Sotto questo aspetto, gli eventi degli ultimi tre secoli rivestono un'importanza senza
precedenti nella storia dell'umanità, costretta a passare da una visione ingenua della
realtà a un'altra più realistica e consapevole. Abbiamo visto l'uomo scientifico decostruire le immagini fantasiose e antropomorfe nelle quali l'uomo religioso
interpretava l'esistenza. Abbiamo visto il generale smarrimento delle dimensioni umane
e religiose che ne seguì, e lo sforzo di ri-pensare e ri-costruire un nuovo significato,
senso, identità e destino religiosi, dell'universo, della storia e dell'umanità.
L'uomo scientifico-religioso sorretto dall'inesauribile dinamismo della sua fede
seppe ricomporli nella nuova cosmovisione scientifica moderna e nell'orizzonte delle
dimensioni colossali, dinamiche e sempre più complesse dell'universo. Seppe pure
reinserire, nel contesto dei "processi naturali", senza tuttavia ridurli ad essi, la
coscienza, lo spirito e la libertà che lo sospingono al suo inarrestabile impegno
spirituale, storico e terreno, aprendolo alla speranza di un esito finale di amore
ultrastorico e ultraterreno.
Collocata in questo contesto storico, la scienza svela il suo aspetto più significativo,
nella domanda che la sospinge incessantemente alla ricerca della verità, senza poter mai
sapere, prima, quale sarà il suo approdo. Questa sembra la sua intenzionalità più
segreta e la sua anima più autentica, che la fede sente più vicina, affine e solidale.
1
E. Anati, R. Boyer, M. Delahoutre, Le origini e il problema dell'homo religiosus, Milano
1989.
2
G. Gismondi, Nuova evangelizzazione e cultura, Bologna 1993.
3
J.G. Barbour (Ed.), Science and Religion. New Perspectives on the Dialogue, New York
1968, 6-7; Id., Issues in Science and Religion, Englewood Cliffs N.J. 1966, 4-5, 12-13. Il
dibattito culturale ha consentito: 1) di distinguere il Dio biblico-cristiano dal "dio" delle
ambigue intepretazioni filosofiche; 2) di rivalutare le dimensioni profonde e il coinvolgimento
personale propri della religiosità; 3) di riconoscere la legittimità, le diverse competenze e i
significati specifici, l'un l'altro irriducibili del linguaggio religioso e scientifico. G. Gismondi,
Umanesimo scientifico e pensiero cristiano, Rovigo 1982, 232.
4
E. McMullin, "Science and the Catholic Tradition", in Barbour, Science and Religion, 36-
5
McMullin, "Science and the Catholic Tradition", 41-42.
37.
6
H. Berkhof, "Science and the Biblical Word", in Barbour, Science and Religion, 40-42.
Riguardo ai passi dell' Antico Testamento cf. per il progetto sull'umanità: Gn 1, 26-30, 2, 4-25 e
12,3. Per la storia: Es 23, 14-17; Dt 16, 1-17; Sal 19, 29, 65, 67, 74, 75, 89, 96, 104, 136, 147
148. Per il rapporto fra Dio e i fenomeni naturali: Gb 28; Sal 77,19. Per l'ordine della natura
come pre-figura della fedeltà all'alleanza: Is 42,5; 51,9; Ger 31, 35-37.
7
Riguardo ai passi del Nuovo Testamento cf. per la resistenza del popolo all'alleanza: Mt 21,
33-39; At 7,1-53; Rm 7,7. Per la storia delle nazioni e della paziena divina: At 14,16; 17,30; Rm
3,25; 5; Gal 4,3. Per la lotta fra lo spirito e il potere delle tenebre, cf. l'Apocalisse e Mc 13; 2 Ts
2. Per Cristo mediatore della creazione cf. le tre tradizioni espresse in: Gv 1, (rivelazione della
gloria divina); Col 1, (riconciliazione e riparazione); Eb 1, (purificazione dal peccato). Per la
continuità fra i temi della creazione e della storia cf. Col 1,17; Eb 1,3. Per Gesù Cristo chiave di
comprensione dell'intero universo e della creazione cf. il termine "primo" in Col 15, 17, 18.
8
Giovanni Paolo II, "Alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze", in
L'Osservatore romano, 29-30 ottobre 1990, 7: "Per la prima volta si uniscono a voi degli
specialisti di epistemologia. Auspichiamo che il loro contributo rafforzi ulteriormente gli studi
epistemologici che i vostri Statuti propongono come una finalità dell'Accademia (cf. art. 2).
Effettivamente la ricerca epistemologica s'impone sempre più come un'esigenza indissociabile
dalla cultura scientifica. Sorgono interrogativi fondamentali sul come e perché della conoscenza
145
scientifica. Via via che le discipline si specializzano, s'interrogano sempre più sulle conoscenze
che si accumulano, sui rapporti del sapere scientifico con le capacità quasi illimitate
dell'intelligenza umana ... Permettetemi di ripetervi che le vostre ricerche specializzate, che si
prolungano nella riflessione epistemologica sul significato delle scienze, sono altamente
apprezzate dalla Chiesa. I vostri studi testimoniano lo sforzo della ragione umana per esplorare
meglio la realtà e scoprire la verità in tutte le sue dimensioni. È un servizio necessario e
urgente".
9
Berkhof, "Science and the Biblical Word", 52-53.
10
C.A. Coulson, "The Similarity of Science and Religion", in Barbour, Science and
Religion, 69.
11
Tra essi i fisici Helmholtz, Bragg, Rutherford, il chimico Kekulé e altri. Cf., Coulson,
"The Similarity of Science", 74-75.
12
Giovanni Paolo II, "Alla Plenaria", 7.
13
Alcuni hanno negato l'aspetto applicativo e trasformativo delle scienze pure, in base a una
loro diversità da quelle applicate. Oggi i più ritengono questa distinzione artificiosa e
indimostrabile.
14
H.K. Schilling, "The Threefold Nature of Science and Religion", in Barbour, Science and
Religion, 98-100.
15
McMullin, "Science and the Catholic Tradition", 41-42.
146
12. FEDE E CULTURA SCIENTIFICA
1.
Cenni introduttivi
L'esame fin qui condotto, dei più importanti problemi della ricerca e della cultura
scientifica, ci consente, ora, di affrontare direttamente il tema specifico propostoci: il
rinnovato dialogo fra "fede e cultura scientifica". Come già avevamo accennato, esso
dovrà differire dal vecchio confronto "fede-scienza". Vorremmo trattare questo aspetto
in modo approfondito e organico.
2.
Discorso scientifico e discorso religioso
Il punto di partenza riprende quanto abbiamo visto riguardo ai linguaggi, ossia che
ogni confronto, per essere corretto, deve avvenire sempre fra proposizioni appartenenti
a uno stesso linguaggio (scientifico, filosofico, artistico, religioso, ecc). Nel confronto
fra fede e scienza, invece, si ponevano a confronto linguaggi diversi ed eterogenei. Da
un lato quello ordinario o religioso, dall'altro quello scientifico, non comparabili
direttamente fra loro. In ogni caso non erano affato in gioco né la fede (o la religione)
né la scienza in quanto tali, ma delle espressioni inguistiche che si riferivano all'una o
all'altra. Ecco perché la stessa espressione: "rapporto fra fede e scienza" appare
inesatta, errata ed equivoca sotto ogni aspetto e dovrebbe venire abbandonata.
Tuttavia, l'aspetto linguistico costituisce soltanto una parte del problema, per cui
dobbiamo passa da esso a quello delle realtà espresse dal linguaggio: la fede e la
scienza. Anch'esse, in quanto tali, sono estremamente diverse. La fede è un profondo
atteggiamento vitale che afferra tutta la persona. Pertanto il suo linguaggio descrive
situazioni personali globali, atteggiamenti vitali, concreti e profondi, esperienze
personali e comunitarie, eventi storici totali che coinvolgono pienamente l'esistenza.
Al contrario, la scienza moderna, come esercizio professionale, rappresentò
un'attività primariamente conoscitiva e settoriale. Pertanto il suo linguaggio era astratto,
concettuale, teorico e protocollare, e tendeva alla descrizione formale di alcuni aspetti
limitati della realtà sensibile. Al più alto livello, le affermazioni scientifiche erano
formulate da ricercatori tenuti a rispettare rigorosamente la loro terminologia specifica
e le regole linguistiche convenute nell'ambito della loro disciplina, per esprimere
ipotesi, teorie, metodi, leggi, risultati, ecc.
Tutto ciò differenziò il suo linguaggio da ogni altro: Tale differenza permane anche
per termini che appaiono eguali e che perciò costituiscono occasioni di gravi ambiguità
e malintesi (ad es. inizi, origini, cause, eventi, natura, ecc.).
Fra la realtà e i linguaggi che la descrivono non vi sono solo "distinzioni", ma anche
vere e proprie differenze. Le descrizioni non sono mai la realtà. Si ricordino, al
riguardo, i due esempi già analizzati della "minestra" e della "montagna".
Ciò, tuttavia, non esaurisce ancora il problema. Infatti, le espressioni scientifiche,
come tutte le altre espressioni umane, linguistiche o meno, sono limitate, condizionate e
inficiate da errori e imprecisioni di ogni tipo: linguistiche, logiche, concettuali,
culturali, ideologiche, filosofiche, ecc. Tali errori possono essere scoperti solo in
seguito a controlli estenuanti e, soprattutto, mediante il confronto con altre espressioni
ed esperienze. Questo vale tanto per la scienza che per ogni altra disciplina o discorso:
ordinario, artistico, letterario, filosofico, etico, religioso, teologico, ecc.
Gli equivoci sul confronto diretto fra asserzioni scientifiche e religiose derivarono
dal non conoscere, o non tenere nel debito conto, questa complessa realtà. Come
abbiamo visto, gli scienziati della prima generazione erano tutti dei credenti convinti,
che sapevano tenere ben distinti i due ambiti, per cui non videro alcun contrasto fra i
risultati della loro attività scientifica e la loro fede e non ebbero alcuna difficoltà
nell'inserire le loro straordinarie scoperte, nel quadro delle loro concezioni morali e
religiose.1
La situazione cambiò successivamente, non tanto in seguito al conflitto con Galilei,
ma per l'eccessivo entusiasmo sollevato dai risultati iniziali della scienza. I razionalisti,
assai critici verso la metafisica e le religioni, furono invece del tutto acritici
nell'assolutizzare la scienza (scientismo), travisandone la natura, il significato e i ruoli.
Questo travisamento ricadde pure sugli operatori scientifici. Ne rimasero immuni
soltanto i sommi scienziati, dotati di eccezionale acume speculativo e critico. Ad essi si
devono le più interessanti riflessioni critiche "sulla" scienza che costituirono le prime
basi del pensiero epistemologico. Nessuno di essi accettò lo scientismo, molti vi si
opposero, ma con scarso seguito.2 Soltanto nella seconda metà del secolo XIX, le
nuove acquisizioni scientifiche diedero ragione alle loro riserve e attirarono l'attenzione
sui loro rilievi critici, aprendo la grande stagione dell'epistemologia.
3.
Dal confronto diretto a quello indiretto
I credenti, nella difficile situazione storica, sociale, politica e culturale dei secoli
XVIII e XIX, e nel clima di crescente anticlericalismo, areligiosità, agnosticismo e
ateismo, per difendere le loro credenze, accettarono la sfida, negli stessi identici termini
in cui veniva loro posta, senza rendersi conto che ciò era un grave errore. Pertanto
accettarono lo scontro immediato e diretto, mettendo sullo stesso piano le asserzioni di
tipo scientifico e le asserzioni di tipo religioso della fede biblico-cristiana e
interpretando il tutto come "conflitto fra fede e scienza" senza meglio precisare.3 In
mancanza di un'epistemologia e di una storia della scienza intese nel senso attuale, le
due parti non percepirono l'artificiosità e inconsistenza del presunto conflitto.
Occorsero notevoli tempi e sforzi prima di riconoscere che non vi è alcuna
possibilità di confronto diretto fra "scienza" e fede e che, comunque, esso avviene solo
fra asserzioni o proposizioni a carattere più o meno scientifico e più o meno religioso.
Va insistito sul "più o meno", perché una distinzione esatta dei linguaggi è sempre
molto difficile. Pertanto, i due discorsi, religioso e scientifico, non sono direttamente
comparabili e, comunque, non consentono reciproci giudizi o censure.
In verità, i principi teologico-esegetici per impostare correttamente il confronto,
erano stati formulati molto tempo prima di Galilei, che ne era bene al corrente e li
espose chiaramente nelle lettere a Dom Benedetto Castelli e alla granduchessa Cristina
di Lorena.4 Essi, però, vennero disattesi o dimenticati. Le conseguenze sono note.
4.
Dal confronto con la scienza al dialogo con la cultura scientifica
Dopo quanto detto, appare che il vero confronto avviene solo a livello della persona
umana e, in linguaggio traslato, della cultura, intesa nel suo senso più ampio, nel nostro
caso, la cultura scientifica. Il problema, così impostato, rivela un vastità e una
profondità assai maggiori di qualsiasi confronto diretto fra affermazioni linguistiche dei
due campi.
Ciò viene ampiamente confermato anche dalle profonde istanze espresse dagli
attuali uomini di scienza, nell'inchiesta che abbiamo analizzato nel secondo e terzo
capitolo. Essi insistono per un confronto focalizzato sui grandi temi e problemi
euristici, etici e sociali, sollevati dalle ricerche e dagli attuali interventi di bioingegneria e bio-genetica sull'uomo e sulla specie. Questo ampio contesto problematico
è un ottimo esempio di ciò che intendiamo esattamente come "cultura scientifica".
Posto il problema in questi termini, pensiamo che la distinzione fra "scienza" e "cultura
scientifica" abbia un valore determinante.
129
Il vasto ambito tematico della cultura scientifica coinvolge pure i problemi
dell'autocomprensione dell'uomo, della visione del mondo e della storia, dei significati
ultimi e globali della persona umana e della sua esistenza. Questi problemi riguardano
da vicino l'intero messaggio salvifico cristiano, che è ciò che intendiamo col termine
"fede". Pertanto questo è il vero terreno del dialogo e del confronto perché valorizza e
privilegia "le problematiche umanamente, culturalmente ed eticamente significative"
(cultura scientifica) che emergono dai problemi sollevati dalla ricerca (scienza nel
senso corrente).
Nei capitoli precedenti abbiamo visto le molteplici forme di approccio e di dialogo
elaborate, al riguardo, dal pensiero cristiano. Una è stata l'analisi delle affinità,
analogie, differenze e distinzioni intercorrenti fra la ricerca scientifica e la ricerca
religiosa e fra gli atteggiamenti personali dei credenti e dei ricercatori. Un'altra è stata
l'umanesimo scientifico, che considera le conseguenze umane ed umanistiche
dell'impegno scientifico.5 In questo capitolo sottolineamo, in particolare, il nuovo
rapporto dialogico che consiste nel valorizzare, mediante il dialogo transdisciplinare,
le analisi critiche, storiche, epistemologiche, filosofiche e teologiche "sulle" e "delle"
conoscenze scientifiche, sulle loro componenti particolari e sui loro presupposti
filosofici, ideologici, metodologici, logici, linguistici, ecc., al fine di ricavarne le
maggiori implicazioni euristiche, metafisiche, religiose, etiche, sociali e teologiche.6
Esso sintetizza il significato e la finalità di tutto questo libro.
5.
Il confronto diretto
Chiariti questi punti fondamentali, torniamo ad analizzare il vecchio confronto
immediato e diretto fra le affermazioni delle scienze e della fede, che appare tuttora
seguito in parecchi ambienti. Esso non offre molte scelte. I credenti vi possono cercare
le "conferme" alla loro fede, mediante le scoperte scientifiche (concordismo), oppure vi
possono contestare la scienza dimostrando che la fede ha ragione (apologetica) e le
scienze hanno torto (controversia). Tutti questi atteggiamenti, però, appaiono destinati a
congelare o esasperare il conflitto, anziché orientarlo verso soluzioni costruttive.
I residui di questa mentalità abbondano a tuttoggi: Ne sono esempi le discussioni:
sul "big bang" come prova o meno della creazione del mondo; sull'ordine e sulle leggi
naturali come dimostrazione o meno dell'esistenza, della sapienza e dell'onnnipotenza
di un ordinatore divino; sulla bellezza delle particelle elementari come prova o meno
della bellezza e dell'intelligenza divina; sulla breve durata delle stesse per dimostrare o
meno la contingenza della materia; sul confronto fra le descrizioni bibliche della
creazione e i dati paleontologici o le teorie evoluzioniste; sull'entropia come conferma
o meno della fine del mondo, e così via. La scarsa attendibilità di esso traspare dal fatto
che ogni "scoperta" che per alcuni è una "prova" della fede, per altri è una ragione
valida per negarla, e viceversa. Ciò che per alcuni è una soluzione, per gli altri
costituisce un problema ancora maggiore, e viceversa.
Infine, come abbiamo visto, non vi è asserzione scientifica che non possa venire
confutata, o contraddetta o mutata, per cui ogni "scoperta" può essere confermata,
neutralizzata o contraddetta da un'altra che, a sua volta, verrà confermata o
neutralizzata o contraddetta da un'altra e così via, con una pendolarità interminabile che
non consente mai di giungere a una conclusione (effetto altalena).
Immiserire o isterilire le grandi ricchezze della fede e della cultura scientifico in
questa squallido e inconcludente giochetto di altalena, non sembra una scelta troppo
saggia. Pertanto, ci auguriamo che, dopo quanto esposto, il lettore sappia valutarne la
fragilità, l'ambiguità e comunque l'inconcludenza.
130
6.
Gli ambiti problematici della cultura scientifica
Di tutt'altro ordine, invece, è il discorso cha abbiamo fatto riguardo ai problemi che
le scienze sollevano, ma non possono risolvere da sole. Questo è veramente un punto
cruciale, di cui parlare serenamente e seriamente, poiché riguarda fatti che tutti gli
operatori scientifici possono constatare nella loro attività quotidiana come emergenti,
immediatamente e direttamente, dalla loro attività professionale. Tali problemi sono di
natura rigorosamente scientifica. Pertanto non vanno confusi con quelli che abbiamo
analizzato nei precedenti capitoli, derivanti dall'analisi storica ed epistemologica delle
scienze. Essi non vanno neppure confusi con i grandi problemi dell'ultimità del tipo:
chi siamo, di dove veniamo, dove andiamo, che cosa dobbiano fare, che senso hanno
l'universo, la vita umana, ecc., che riguardano la filosofia, la metafisica, le religioni,
l'etica e la teologia.
Si tratta invece d'importanti problemi che le scienze vedono sorgere dal loro interno
e che non possono risolvere né spiegare con i loro principi, metodi e logiche, perché
trascendono le loro capacità di spiegazione, di comprensione e d'interpretazione. Essi
riguardano in particolare: 1) ogni tipo di esistenza in quanto tale; 2) l'esistenza di
questo universo descritto dalle scienze naturali; 3) l'esistenza della vita rilevata dalle
scienze biologiche; 4) l'esistenza dell'io, (persona e personalità) studiato e descritto
dalle scienze umane e sociali; 5) i problemi della libertà individuale, emergenti
all'interno dei determinismi dell'universo fisico; 6) le disarmonie e i dualismi relativi al
male, dolore e disordine messi in luce dalle scienze antropologiche e mediche.
Questi problemi, che si aggiungono a quelli che abbiamo analizzato nel secondo e
terzo capitolo, oggi vengono riconosciuti significativi dagli stessi ricercatori e
costituiscono l'occasione e i contenuti per un dialogo trans-diciplinare aperto a tutti gli
approfondimenti storico-scientifici, epistemologici, ermeneutici, filosofici e teologici.
Infatti, richiedono molteplici livelli di comprensione e d'interpretazione. Poiché essi
emergono dalla stessa esperienza della ricerca, costituiscono, per gli operatori
scientifici, l'occasione più importante per un approfondito e abituale dialogo filosofico,
religioso e teologico.
6.1.
I problemi sollevati dalla scienza
Per capirne meglio il valore dobbiamo ricordare che, secondo l'ideologia scientista,
la scienza doveva risolvere tutti i problemi dell'umanità. Al contrario, essa ne ha creato
sempre dei nuovi, di crescente complessità e significato, che valicano le sue
possibilità.7 La riflessione epistemologica ha spiegato le ragioni di questo fenomeno.
La prima è che le scienze sono indispensabili per raggiungere conoscenze parziali,
limitate e ristrette, ma non sono in grado di offrire una conoscenza generale della realtà
e una spiegazione dei suoi problemi globali.8 La seconda è che le realtà che le scienze
non possono né verificare né controllare si sono dimostrate le più significative e
decisive per l'uomo, la società e la cultura. La terza è che solo alcuni aspetti delle cose
possono essere spiegati scientificamente, mentre la loro esistenza può essere soltanto
riconosciuta dalle scienze ma non spiegata. La quarta ragione è che gli operatori
scientifici constatano, quotidianamente, che molte cose e avvenimenti che sono
logicamente e teoricamente possibili dal punto di vista scientifico, non esistono né
accadono.
Tutti questi fatti pongono le scienze in continuo contatto con realtà di cui
riconoscono l'esistenza, l'intima razionalità, la coerenza e l'esigenza di una causa e di
una spiegazione adeguate, che esse non, però, possono dare né trovare. Di tutte queste
realtà, esse conoscono esattamente le "cause fisiche", descrivono e misurano le
sequenze di eventi fisici, nel tempo e nello spazio, il che impedisce o confuta ogni
tentativo di ipotesi magiche, occultistiche e fantascientifiche.
131
Le conoscenze scientifiche si svolgono, quindi, fra due rigorosi confini. Da una lato
i loro "presupposti metascientifici", indimostrati e indimostrabili, che le rendono
possibili. Dall'altro i "problemi metascientifici", da loro sollevati ma non da loro non
risolvibili e gli "interrogativi metascientifici", che pongono senza potervi rispondere.
Ciò che spazia oltre questi rigorosi "confini" rappresenta, invece, l'ambito del
discorso normale, filosofico, religioso e teologico, tutt'altro che irrilevante o inesistente
per l'uomo, la cultura e la stessa scienza.
6.2.
I confini invalicabili della scienza
Come abbiamo visto, gli operatori scientifici sanno che la scienza può descrivere i
fenomeni, come serie di sequenze causali e supporre che tali sequenze siano
reciprocamente connesse ad opera di leggi naturali. Lo scopo della ricerca scientifica è
quello di individuare queste leggi e di capire come funziona questo universo, senza
peraltro riuscire a giustificarne l'esistenza rispetto a tutti gli altri mondi possibili. In
senso epistemologico e gnoseologico questo fatto non costituisce soltanto un problema
scientificamente insolubile, ma molto di più.
Esso indica pure un "limite invalicabile" per la scienza, costituito da ciò che essa
constata e deve accettare, senza poter spiegare e giustificare in modo convincente. Ciò
comporta pure l'ammissione che l'universo da essa indagato, la sua struttura matematica
e il suo ordine, non sono obbligatori e necessari, ma sono il frutto di una scelta.
Quindi, la più rigorosa razionalità esige una causa dell'universo diversa da quella
che può essere la struttura matematica dell'universo stesso. La scienza può soltanto
reclamarla senza poterla dare, perché essendo "chiusa nel suo sistema esplicativo, non
può uscirne".9
6.3.
Le aporie della ricerca scientifica
Alcuni dei maggiori problemi attuali provengono proprio dalle due scienze che
originarono il conflitto: la fisica e l'astronomia, a proposito dei due estremi del "microcosmo" (particelle elementari infinitamente piccole) e del "macro-cosmo" (immensi
sistemi galattici). Nell'infinitamente piccolo, particelle inafferrabili e onde vanificano
ogni tentativo di focalizzare con precisione la loro elusiva identità. Nell'infinitamente
grande, l'immensità materiale sembra svanire nel nulla. Quindi, dalle intime radici
dell'essere alle sue estreme propaggini, la certezza scientifica svanisce.10
Inoltre, la ricerca subatomica, che va ben oltre i limiti della conoscenza sensibile, si
rifà ad interpretazioni immateriali nelle quali alla fisica subentra la meta-fisica. Quindi
il progetto moderno di raggiungere i "pilastri dell'universo" porta a riconoscerne la
natura non più fisica, ma meta-fisica. Il cosmologo McCrea ha sottolineato, al riguardo
che, osservando le regioni più remote dell'universo, ricaviamo informazioni sempre più
incerte sui suoi stadi iniziali, per cui dobbiamo dipendere, sempre più, dalle nostre
deduzioni razionali, al fine completare ciò che ci è impossibile ottenere da osservazioni
ed esperimenti.
Le scienze contemporanee, quindi, dimostrano la loro impossibilità di conoscere, in
modo esaustivo, la stessa limitata porzione di realtà di cui si occupano. Esse, tuttavia,
dimostrano pure che il pessimismo agnostico di Spencer e del suo famoso
"ignorabimus" (non sapremo mai) non appare fondato. A questo proposito valgono
alcuni esempi. Fondandosi sui microscopi ottici, alcuni teorizzarono un "limite
insuperabile della visibilità", che fu aggirato, invece, con l'invenzione dei microscopi
elettronici e protonici. L'impossibilità di conoscere la composizione dei corpi celesti,
sostenuta da Comte fu smentita, invece, dall'invenzione dello spettroscopio.11
Pertanto, oggi, molti uomini di scienza ritengono che la ricerca contemporanea
presenti numerose acquisizioni convergenti verso una cosmologia unitaria e un inizio.
Tra esse vi sarebbero: le "costanti fisiche"12 matematicamente ben definite, le "leggi e
132
principi universali"13 (gravitazione,14 conservazione della materia,15 elettrodinamica, 16
degradazione dell'energia,17 ecc.); le "grandi teorie unitarie"18 (elettromagnetismo di
Maxwell,19 teoria dell'energia cinetica,20 teoria dei comportamenti termodinamici della
materia,21 teoria chimica di Mendeleyeff22 fisica nucleare,23 ecc.) e la "teoria
dell'evoluzione"24 (mondo biologico mosso dal suo interno).
Tutto ciò condurrebbe a un progetto che vien da lontano, di cui la scienza ignora
finalità, traguardi e gran parte dei meccanismi, ma di cui percepisce sempre più la
"immensa complessità" e la "programmazione", condensate nel cuore di una cellula e
nel codice genetico di ogni vivente. Pure nelle matematiche emerge una convergenza
unitaria, per cui una singola formula può contenere infinite figure geometriche e
ipergeometriche, dalle più semplici alle più complesse. Si tratterebbe di un esempio di
come un concetto semplice e unitario possa concentrare una moltitudine di entità
estremamente differenti. Altri esempi significativi derivano da realtà ritenute
contraddittorie (energia-massa, spazio-tempo, corpuscoli-onde) che risultano, invece,
conciliabili in sintesi di ordine superiore.
Questi e numerosi altri esempi fanno ritenere, a molti operatori scientifici, che solo
un fondamento che trascende i sensi, pur rimanendo loro inaccessibile, consente al
campo delle forme matematiche e delle realtà sensibili di raggiungere un'unità che
sarebbe inconcepibile senza tale trascendenza.
Quanto descritto in questo paragrafo evidenzia l'attualità di un annuncio di fede,
riguardo alla creazione di un simile universo, ontologicamente contingente, che
consente di supporre come un pensiero divino, capace di abbracciare, in un atto unico e
semplicissimo, la totalità dell'esistente e del possibile, sia tutt'altro che insignificante o
assurdo.
7.
Sintesi conclusiva
Dalla rassegna delle acquisizioni "della" scienza e "sulla" scienza, illustrate nel
corso del volume, ricapitoliamo qui alcuni punti che ci sembrano particolarmente utili
per una valutazione equilibrata della cultura scientifica, che armonizzi il senso critico
dei suoi limiti con la realistica consapevolezza delle sue potenzialità, ai fini di un
proficuo dialogo. Essi sono i seguenti:
1. Le affermazioni scientifiche non sono semplici descrizioni oggettive e neutre
della realtà, ma composizioni di termini, concetti, immagini, simboli, ipotesi, logiche,
teorie, linguaggi, ecc., ossia complessi sistemi linguistici condizionati da ogni genere di
presupposti da individuare e interpretare. È normale che contengano pure limiti,
ambiguità ed errori inavvertiti, che solo col tempo potranno essere individuati e
corretti. Del resto la storia dimostra che risultati esatti possono conseguire anche da
premesse false o errate.
2. Le proposizione scientifiche vanno interpretate in riferimento alle problematiche
storico-culturali cui si riferiscono e ai contesti in cui furono formulate, fuori dei quali
risultano ambigue e non correttamente interpretabili.
3. Le rappresentazioni scientifiche sono descrizioni simboliche della realtà, da non
confondere con la realtà stessa.25
4. Le scienze sollevano problemi di elevato significato euristico che non possono
risolvere con i loro metodi esplicativi, rendendo necessaria un'apertura ad altri approcci
cognitivi e ad altri ambiti di riflessione e verifica quali la filosofia, l'etica, la religione e
la teologia.
5. L'eccessiva frammentazione specialistica rende le acquisizioni scientifiche
parziali, unilaterali, estranee le une alle altre. Di qui l'esigenza di un continuo dialogo
133
trans-disciplinare, che comprenda pure la storia delle scienze, l'epistemologia e la
filosofia.
6. Il rigore delle scienze formali (logica e matematica) si limita al rispetto delle
procedure che conducono dalle premesse alle conclusioni, ma il loro carattere
assiomatico non consente loro il controllo dei propri fondamenti e presupposti. La
verifica dei loro fondamenti conduce ad asserzioni non dimostrabili né vere né false.
7. Il dato scientifico non esprime la realtà, ma una sua lettura (interpretazione)
condizionata da determinati e specifici presupposti.
Questi caratteri, contrassegnano tutte le discipline (scientifiche, filosofiche e
teologiche) per cui le pongono in condizioni di vera parità. Ciò è di estremo valore,
rendendo possibile un approfondito dialogo transdisciplinare che non escluda i grandi
temi indicati in questo e nei tre precedenti capitoli.
1
G. Gismondi, Fede e ragione scientifica. I limiti strutturali del razionalismo scientifico,
Rovigo 1980, 136; Cf. L. Lenoble, "Origines de la pensée scientifique moderne", in
Encyclopédie de la Pléiade, Histoire de la science, Paris 1967, 505-507, 529-530.
2
J.B. Conant, Modern Science and Modern Man, New York 1952.
3
Per l'esattezza, religione e fede non sono uguali e i due termini non sono intercambiabili.
Tuttavia, limitandoci al nostro contesto, possiamo usarli come sinonimi.
4
Cf. le due lettere a Dom Benedetto Castelli e alla Granduchessa di Toscana. Cf. P. Poupard
(a cura di), Galileo Galilei, 350 anni di storia, Roma 1984. Si tratta dei principi già formulati da
S. Agostino, ripresi nelle encicliche Spiritus Paraclitus, Providentissimus Deus, Divino Afflante
Spiritu e nella Costituzione conciliare Dei Verbum. Essi distinguono con precisione i principi
linguistici che presiedono ai due ambiti.
5
G. Gismondi, Umanesimo scientifico e pensiero cristiano. Le potenzialità umanistiche
della scienza, Rovigo 1982.
6
G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica. Dalla critica delle scienze
all'umanesimo scientifico, Torino 1978.
7
Cf. B. Cohen, Franklin and Newton, Philadelphia 1956; R. Rupert Hall, The Scientific
Revolution,(tr. it. Milano 1976).
8
Cf. J.W.N. Sullivan, The Limitations of Science, New York 1960.
9
F. Jacob, La logica del vivente, Torino 1971, 377.
10
V. Arcidiacono, "Scienziato", in Nuovo dizionario di spiritualità,1386-1389, 1395-1400.
11
Spettroscopio, in fisica, strumento che permette di produrre e osservare visualmente (su
uno schermo o con un piccolo cannocchiale) gli spettri delle radiazioni luminose, che possono
pure essere fotografati (spettrografo). Spettro, in fisica, ciò che appare quando si scompone un
raggio luminoso nei singoli componenti e, per estensione, l'ordine in cui si dispongono gli
elementi che derivano dalla scomposizione di qualsiasi energia (raggiante, sonora, ottica
elettrica, magnetica, nucleare). In molti casi gli spettri consentono di risalire agli elementi che
compongono la sostanza che li ha emessi.
12
Costante, fisica, grandezza cui si attribuisce un valore invariabile in un formula o
nell'equazione che esprime una legge. Tali costanti sono ad esempio: l'azione, la gravità, la
carica elettrica elementare, la velocità della luce, ecc.
13
Leggi e principi universali, che dovrebbero essere validi per tutto l'universo. I progressi
della fisica atomica e subatomica e l'affermarsi della teoria della relatività hanno imposto una
profonda revisione dei concetti donde traevano origine talune proprietà (estensione,
impenetrabilità, peso, conservazione, ecc.) prima considerate universali.
14
Gravitazione, forza di attrazione che esiste tra due corpi qualunque, dotati di massa.
134
15
Riguardo alla materia, fino al secolo XIX i fisici ritenevano di potere giungere, un giorno,
a determinarne l'intima struttura. Ormai, per numerose ragioni, ne dubitano fortemente e si
accontentano di interpretazioni limitate e provvisorie, per scopi pratici. "Principio di
conservazione della materia" è una dizione impropria. La sua forma corretta è "conservazione
della massa". Come tale: a) in fisica classica è un principio che postula l'invariabilità della
massa di un dato sistema materiale (punto, insieme di punti, corpo continuo o sua generica
parte) durante un suo qualsiasi moto, quali che siano le azioni cui esso è soggetto; b) in fisicochimica significa che durante tutte le possibili trasformazioni di un sistema chimico la massa
totale rimane costante. I progressi della fisica atomica e subatomica e l'affermarsi della teoria
della relatività hanno imposto una profonda revisione dei concetti donde traevano origine talune
proprietà (estensione, impenetrabilità, peso, conservazione, ecc.) fino a ieri considerate
peculiari e caratteristiche della materia. In realtà alcune di esse perdono significato quando
riferite a particelle di grandezza atomica e subatomica, per cui non si ha ragione di ritenerle
valide come le concepiamo per i corpi a dimensioni ordinarie,
16
Elettrodinamica, termine con cui si indica la teoria globale dei fenomeni elettrici e che
sostituisce il tradizionale termine elettromagnetismo. Essa si occupa dei reciproci rapporti fra
correnti elettriche e campi magnetici, cioè tra i campi prodotti da cariche elettriche in
movimento, e studia le forze che tra essi si generano.
17
Degradazione dell'energia, in fisica, passaggio di energia da forme superiori (elettrica,
meccanica, ecc.) a energia termica, o di energia da temperatura più elevata a temperatura più
bassa. L'energia termica è una forma di energia nella quale tendono a trasformarsi tutte le altre
forme di energia, pertanto è considerata come una energia di qualità inferiore.
18
"Grandi teorie unitarie", sono le teorie relativistiche che si ripropongono di riportare a un
unico principio i fenomeni gravitazionali e i fenomeni elettromagnetici, costruendo un unico
modello geometrico dei due campi. Il modello così costruito consente una completa e unitaria
interpretazione geometrica di tutti gli enti e fenomeni, insieme gravitazionali ed
elettromagnetici. Tuttavia a tutt'oggi, non è facile giudicare il valore e il significato fisico di tale
modello.
19
Maxwell con le sue "equazioni" riuscì ad esprimere le proprietà fondamentali del campo
elettromagnetico rivelatosi unico, in cui, però, i fenomeni elettrici e magnetici s'influenzano
reciprocamente e continuamente. Gli studi e sviluppi (Hertz, Michelson, Einstein) delle sue
equazioni condussero alla teoria della relatività. A loro volta le critiche di Planck, Bohr e
Eisenberg, condussero alla scoperta della meccanica quantistica i cui principi generarono
l'elettrodinamica quantistica. Abbiamo, così, un'elettrodinamica classica e una quantistica, che
spiegano fenomeni diversi, tuttavia presentano pure problemi, limiti, risultati incoerenti,
contraddizioni e divergenze difficilmente eliminabili.
20
Energia cinetica, o di movimento, indica il lavoro che deve essere fatto su un corpo in
moto, per arrestarlo.
21
Termodinamica, parte della fisica che studia le leggi relative a scambi o conversioni di
energia, sia sotto forma di lavoro che sotto forma di calore, tra corpi o sistemi termodinamici. In
forma semplificata e meno esatta si dice che si occupa delle trasformazioni di calore in lavoro e
viceversa.
22
D.J. Mendeleyeff (o Mendeleev) (1834-1907), noto per importanti contributi alla chimica,
di cui il più noto è l'ideazione del sistema periodico degli elementi, pilastro della sistematica
chimica e dello studio delle proprietà degli elementi.
23
Fisica nucleare, parte della fisica che studia i nuclei atomici e le loro interazioni, con
particolare riferimento alla produzione di energia nucleare.
24
Evoluzione, teoria secondo la quale gli organismi attualmente viventi sarebbero
progressivamente derivati da forme più semplici nel corso di un processo che dura da centinaia
di milioni d'anni. Essa pone due ordini di problemi non ancora risolti: l'individuazione delle sue
prove e dei mecccanismi che ad essa presiedono.
25
Vedi il pittoresco paragone di Einstein: "la descrizione della minestra non è la stessa cosa
della minestra" e l'esempio della "montagna" e delle sue "dscrizioni".
135
13. RAGIONI DEL DIALOGO TRA FEDE E CULTURA SCIENTIFICA
1.
Alcuni risultati della ricerca
La riflessione finora sviluppata intendeva mettere in luce lo spessore culturale della
scienza, il significato della cultura scientifica nel contesto storico e spirituale
dell'umanità e le ragioni di un suo costruttivo dialogo con la fede. Gli elementi accertati
sono numerosi e di grande rilievo. Qui non li riprenderemo, essendo stati commentati
nelle conclusioni dei vari capitoli, ma svolgeremo soltanto alcune riflessioni.
Abbiamo constatato che è impossibile considerare le acquisizioni scientifiche
(discorso della scienza), indipendentemente dalle acquisizioni storiche,
epistemologiche e filosofiche volte a capirle e valutarle (discorso sulla scienza).
Abbiamo pure visto che il mondo della scienza esercita un impatto continuo sulle
persone, la cultura e la società, trasformandone i valori, gli atteggiamenti, i
comportamenti e i modelli di vita. Inoltre, fede e religiosità sono particolarmente
coinvolte da questo impatto personale e culturale.
Di qui nasce l'esigenza di passare dal vecchio confronto diretto fede-scienza, a un
più ampio contesto di dialogo fra la fede e le manifestazioni della cultura scientifica.
L'itinerario percorso ci ha mostrato la complessità della cultura scientifica e, quindi, la
vastità dei problemi del dialogo.
2.
Trasformazioni postmoderne e nuovi atteggiamenti dei credenti
L'analisi delle componenti della scienza ci ha consentito di scandagliare le ragioni
storiche e logico-concettuali che fanno variare i modelli della scientificità. Quindi,
ipotizziamo nuovi modelli, più adeguati alle nuove sfide della complessità, della
maturazione delle coscienze e dei grandi problemi sociali e culturali dell'umanità. Al
riguardo, costituisce un segno di speranza, lo sviluppo, fra gli operatori scientifici, di
interrogativi, problematiche e istanze di approfondimenti etico-morali e di valori
trascendenti, emergenti dalle ricerche più avanzate. Esse trovano, oggi, condizioni più
favorevole di approfondimento, grazie agli attuali sviluppi storico-scientifici,
epistemologici e filosofici.
La cultura scientifica moderna ha accumulato un immenso patrimonio di esperienze
delle scienze e riflessione sulle scienze, da sottoporre a una crescente elaborazione e
valutazione storica, epistemologica, metodologica, filosofica, etica e teologica. Si tratta
di una ricchezza che nessuna precedente generazione ebbe a sua disposizione, da cui
dobbiamo far emergere i dati culturalmente e umanamente più rilevanti.
La valorizzazione di questo patrimonio culturale è ormai indispensabile per
interpretare correttamente le componenti fondamentali, i valori e i significati della
cultura scientifica. Esso trasforma radicalmente la vita umana e ha mutato il contesto in
cui, nei secoli passati, si era sviluppato il presunto conflitto fra scienza e fede. Oggi
sappiamo che quel conflitto derivava solo dalla diversità di cosmovisioni o "immagini
dell'universo" antiche e moderne. Sappiamo pure che esse sono numerose, provvisorie,
mutevoli, storicamente datate, culturalmente condizionate e che ogni nuova scoperta o
teoria può dar luogo a un'altra di esse. Perciò non vanno né drammatizzate né
enfatizzate, ma considerate come cornici o scenari culturali entro i quali si collocano le
esperienze religiose e le realtà della fede, che non vanno assolutamente confuse con
esse.
Cade lo "scandalo" per i pseudo-conflitti passati, mentre l'interesse si sposta su temi
più urgenti e incisivi, come i problemi sollevati dalle scienze in grado di compiere
interventi sempre più incisivi sulle persone e sulla specie, oppure dalle scienze
dell'intelligenza artificiale e le loro conseguenze su persone e società, oppure dalla
scoperta della complessità. La consapevolezza degli urgenti e delicati problemi eticomorali implicati, provoca interesse e apre la strada a valori trascendenti, che si
pensavano definitivamenti eliminati dall'ambito scientifico. Pertanto, il dialogo fra fede
e cultura scientifica sembra catalizzato, oggi, da queste "urgenze".
Perciò, la nuova situazione culturale rafforza l'esigenza di non tornare ai vecchi
confronti diretti, ma di procedere per la via delle verifiche critiche della scienza,
analizzate nei precedenti capitoli: personale, storica, epistemologica, metodologica,
umanistica, filosofica, etica e teologica.
Questo itinerario esige, che i credenti impegnati nel dialogo comprendano in
profondità i dinamismi della cultura scientifica e del loro influsso sugli atteggiamenti
personali e sociali. Solo in questo modo potranno esercitare un genuino discernimento
evangelico e fomulare convincenti proposte etiche e teologiche.
3.
Scienza e trascendenza: la testimonianza dei credenti
Questa impostazione trova conferma nei risultati dell'indagine condotta sugli
operatori scientifici di oggi, che ha fatto emergere atteggiamenti differenziati e
pluralistici, improntati a una crescente sensibilità etica, ad aperture trascendenti e a
interpretazioni critiche della scienza e dei suoi caratteri, che si allontanano molto dagli
stereotipi della vecchia tradizione scientista.
Perciò, il dialogo fra fede e cultura scientifica dovrà dedicare particolare attenzione
alle esigenze e sensibilità dei singoli, più aperte al trascendente e ai valori etico-morali,
non solo per una condivisione di esperienze, ma anche per un loro corretta
interpretazione a livello storico, epistemologico, filosofico, umanistico e teologico.
Questa interpretazione continua quelle attuate dai grandi scienziati di ogni tempo, da
Newton e Galilei, fino a Einstein, Heisenberg e altri, che coniugarono una profonda
religiosità con un genuino umanesimo scientifico, alimentando ricerche innovatrici e
creative.1 Il loro esempio appare più valido se ricordiamo che essi dovettero operare in
contesti culturali chiusi e appesantiti da immanentismo, razionalismo, empirismo e
positivismo.
Nonostante ciò, essi seppero armonizzare la loro religiosità, con la consapevolezza
dei limiti, ma anche delle inesauribili potenzialità umanistiche ed etiche delle loro
ricerche. La loro apertura ai valori etici, spirituali e trascendenti, la convinta religiosità
e la fede sentita li immunizzarono dalle degenerazioni ideologiche dello scientismo.
Questi atteggiamenti non devono rimanere puro appannaggio dei grandi scienziati,
ma diffondersi fra gli uomini di scienza. A tal fine, occorre offrire loro tempi, spazi di
confronto e occasioni di dialogo, che ne convoglino la creatività, ne sostengano le
tensioni etiche e ne rafforzino le istanze di valori trascendenti, orientandole a sbocchi
spiritualmente, culturalmente e socialmente rilevanti.
Non va dimenticato, infatti, che società e cultura attendono il nuovo spirito e il
nuovo atteggiamento scientifico, espressi profeticamente da Paolo VI: "la scienza non
basta a se stessa, né puo essere fine a se stessa. Essa non è che da e per l'uomo, perciò
deve uscire dal cerchio della sua ricerca e aprirsi all'uomo e di lì alla società e alla
storia intera".2
161
4.
Pluralismo, scientificità e uguaglianza fra le scienze
Il nuovo spirito scientifico si proeccupa pure delle esigenze interne della scienza, fra
cui il "pluralismo metodologico". Oggi le discipline scientifiche, sempre più numerose
e differenziate, sentono la necessità di criteri di scientificità, di rigore e di oggettività
meno formalistici e rigidi, ma più essenziali e duttili.
Le scienze della religione e umano-sociali appaiono le più bisognose di questo
rinnovamento, che consenta di stabilire la loro specifica scientificità, secondo le proprie
esigenze e in piena autonomia e libertà dalle vecchie "gerarchie", "priorità" e
dogmatismi delle scienze naturali. Queste tematiche costituiscono oggetto di ulteriore
riflessione e dialogo.
5.
Scienza e umanizzazione della cultura
Il nuovo spirito scientifico avverte che il potere rinnovatore e umanizzante della
scienza riguarderà sempre meno le scoperte e le applicazioni (prodotti) e sempre più le
trasformazioni culturali (atteggiamenti e comprensioni) indotte nelle persone e nelle
comunità. Perciò occorre valorizzare maggiormente la capacità della scienza di rivelare
le potenzialità inesauribili della "mente umana" e di farle vedere e pensare la realtà, in
modi sempre nuovi, originali e diversi.
La scienza mette in luce non solo le forme, le strutture di significazione, le leggi e i
principi che presiedono alla realtà, ma anche l'inesauribile ricchezza della "naturacreazione" e dei suoi contenuti, sensi e significati, che superano infinitamente le nostre
capacità di spiegazione, di comprensione e d'immaginazione. Infine, solleva incessanti
problemi, nuovi e decisivi, sull'universo, l'uomo e la storia, che non può risolvere e
deve rinviare alla filosofia, etica, religione e teologia. Tutti questi aspetti sono
fondamentali per un nuovo dialogo fra fede e cultura scientifica.
6.
Nuova identità della scienza
La riflessione tesa a conferire maggior fondamento e significato alla scienza ha
consentito numerose acquisizioni, quali: il maggior riconoscimento del ruolo attivo del
soggetto nella ricerca; la valorizzazione degli elementi simbolici, intuitivi, emotivi,
immaginari e congetturali del discorso scientifico; la rivalutazione delle connessioni fra
pensiero scientifico, metafisico, religioso e filosofico.
Inoltre, ha permesso di precisare la parzialità, provvisorietà e fallibilità delle
conoscenze scientifiche; la mutevolezza delle immagini scientifiche dell'universo e
della natura (meccanicismo, determinismo, evoluziomismo, organicismo);
l'insufficienza delle spiegazioni esclusivamente causali (necessità) o casuali (caso);
l'elusività del presunto rigore formale delle procedure; l'importanza della complessità e
della finalità.
Ciascuna di queste acquisizioni fu il frutto di lunghe ricerche e riflessioni critiche,
che rinnovarono profondomente la scienza contemporanea. Esse sono argomenti
inesauribili di approfondimento e di dialogo.
7.
Fede e scienza come "strada verso il vero"
Tutto questo ci dice che la fede cristiana può trovare, nella cultura scientifica
postmoderna, un interlocutore completamente diverso rispetto al passato: più cauto e
162
maturo, possibilista e pluralista. Di conseguenza, il dialogo potrà assumere una grande
varietà di forme.
L'unica condizione irrinunciabile è la presenza, alla pari, di tutti gli interlocutori:
operatori scientifici, epistemologi, storici della scienza, filosofi e teologi. La riflessione
teologica ed etico-morale esige questa elaborazione corale, per cui il dialogo dovrà
essere, fin dal suo inizio, trans-disciplinare.
Fede e cultura scientifica dovranno conservare la consapevolezza dei loro differenti
ruoli specifici, insostituibili e complementari. Entrambe, secondo la loro specifica
identità, potranno attingere a quel "Logos" che è la ragione creatrice e fondatrice
dell'esistenza, della natura e del significato di tutta (e tutte) la realtà.
La fede, nell'adempimento del suo ruolo euristico, deve ricordare che la razionalità
che sostanzia cose ed eventi, dalla sua origine prima al suo fine ultimo, non è solo
verità, ma anche eticità, giustizia e amore. Quindi deve richiamare costantemente a una
razionalità che non proviene dalle cose, ma le trascende infinitamente, pur
costituendone l'intima natura e la legge più profonda. In questo modo, il suo dialogo
con la cultura scientifica, potrà creare spazi di comune riflessione che costituiscano
una "strada verso il vero".3
8.
Cultura scientifica, scienza, religione
In un prossimo volume approfondiremo l'immenso apporto offerto dalle scienze
della religione, alla riscoperta del valore umano e culturale della religione e alla
valorizzazione della religiosità. Paradossalmente, esso avvenne proprio nel secolo in
cui dovevano verificarsi l'eclissi definitiva e irreversibile del sacro e la fine della
religione.
Anche questo fatto, vero segno dei tempi, deve incoraggiare i credenti a purificare la
cultura scientifica dalle sue molteplici incrostazioni ideologiche, pregiudiziali e
passionali, per valorizzarne sempre più i contenuti originali, profondi e capaci di
sviluppare un nuovo umanesimo scientifico.
9.
Fede e scienza verso un nuovo umanesimo scientifico
A questo punto, possiamo riprendere l'idea, più volte emersa nella nostra ricerca,
che ogni discorso sulla scienza è un discorso sull'uomo, ogni giudizio sulla scienza
chiama in causa l'uomo e ogni speranza per la scienza nasce dalla speranza dell'uomo.
Quindi, se scienza e cultura scientifica sono divenute "disumanizzanti", l'uomo è il
primo responsabile della loro "riumanizzazione".
La scienza infatti, nella cultura scientifica, è il più significativo "indicatore" della
condizione umana, perché ne rispecchia perfettamente quella sete inesauribile di verità,
che si fa strada nel groviglio di un problematicismo ineliminabile e di un'intrinseca
fallibilità. Ha ragione, quindi, l'umanesimo scientifico di definirla: "immagine
speculare dell'uomo".
Pertanto, la coscienza cristiana è chiamata a riflettere sul fatto che, per circa tre
secoli, milioni di credenti hanno sofferto come una smentita, un pericolo o
un'alternativa per la propria fede e religiosità, ogni scoperta, teoria o ipotesi avanzate
dalla scienza o hanno dovuto cercare, nella scienza, le verifiche e le conferme a una
fede dubbiosa o vacillante.
Entrambi gli atteggiamenti esigono un serio esame di coscienza, che la Redemptor
Hominis ci facilita, chiedendoci se la nostra fede sia abbastanza: a) premunita contro gli
eccessi dell'autocriticismo, b) critica di fronte alle altrui critiche, c) solida davanti alle
163
novità, d) matura nel discernere, e) capace di valorizzare "cose nuove ed antiche".4
Sono domande pertinenti, cui la cultura scientifica postmoderna aggiunge lo stimolo
delle sue novità, sfide e provocazioni. Perciò, dobbiamo valorizzarle per aggiornare la
nostra fede, rendendola più autentica, dinamica e matura. L'importante è che non le
affrontiamo per conseguire gratificazioni, conferme o sicurezze personali, ma per fini
più nobili e importanti. Infatti, la fede:
"non ci è data per essere conservata come possesso esclusivo o mezzo di
prestigio personale, ma per essere condivisa e partecipata, ed è esperienza di gioia,
comunicando un bene spirituale come il sapere, vedere che esso non si esaurisce,
ma si moltiplica e guadagna sempre più, in quella semplicità e chiarezza che è il
segno della verità".5
Il fine, dunque, è di condividere e partecipare questa "esperienza di gioia" a tutta
l'umanità. Ciò è possibile se, alla soglia del terzo millennio, c'impegnamo a rendere la
fede e la cultura scientifica capaci di testimoniare insieme, che:
"la cultura scientifica non si oppone né alla cultura umanistica né alla cultura
mistica, perché ogni cultura autentica è un'apertura verso l'essenziale e non esiste
verità che non possa diventare universale".6
1
Scriveva Galilei: "et infinitamente rendo grazie a Dio, che si sta compiacendo di far me
solo primo osservatore di cosa ammiranda et tenuta a tutti i secoli occulta". Cf. Da Galileo alle
stelle, Padova 1992.
2
Paolo VI, "Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 23 aprile 1966", in L.
Nicoletti (a cura di), Paolo VI, Insegnamenti sulla scienza e sulla tecnica, Brescia 1986, 31-36.
3
Giovanni Paolo II, "A scienziati e studenti, Colonia 15 novembre 1980", in La traccia,
1980, 10, 928-932.
4
Redemptor Hominis, 4.
5
Giovanni Paolo II, "Ai docenti universitari, Bologna, 18 aprile 1982", in La Traccia, 1982,
4, 513-516.
6
Giovanni Paolo II, "Al CERN, Ginevra, 15 giugno 1982", in La Traccia, 1982, 6, 815-817.
164
PICCOLO LESSICO DEI TERMINI TECNICI
Accademismo, atteggiamento conforme o relativo alle dottrine platoniche o a quelle successive
dell'Accademia.
Agnosticismo, atteggiamento per cui è inconoscibile tutto ciò che non si può sottomettere ai metodi delle
scienze positive.
Alterità, ciò che non è l'io, l'essere o il porsi come altro (cf. ipseità).
Analisi del linguaggio, complessi di elaborazioni scientifiche o filosofiche sul linguaggio, per rimuoverne
oscurità e ambiguità e chiarirne i significati, relativi a innumerevoli scuole, teorie e tendenze.
Antropocentrismo, teoria filosofica per cui solo l'uomo è centro di tutta la realtà.
Antropologia, insieme di discipline scientifiche e filosofiche aventi per oggetto l'uomo, la sua vita e i suoi
caratteri.
Antropologia dualistica, spiega la persona e i suoi atti mediante elementi e principi opposti e irriducibili.
Apologetica, parte della teologia fondamentale che dimostra la razionalità dei preamboli della fede e la
credibilità e ragionevolezza di questa.
Aporia, aporetica, difficoltà o incertezza insuperabile.
Asintotico, asintoto, termini matematici. Il primo indica la proprietà o il comportamento d'una funzione,
al tendere delle variabili all'infinito. Il secondo indica, per una curva che si estende all'infinito, una
retta la cui curva si avvicina quanto si vuole, allorché un punto si allontana indefinitamente sulla
curva.
Assolutismo etico, esistenza di valori assoluti e norme inderogabili.
Avalutativo, che descrive senza giudicare.
Biologismo, biologista, riduzione di tutta la realtà umana ai soli fenomeni biologici.
Biosfera, a) insieme delle parti della terra abitate da organismi viventi; b) insieme degli organismi viventi
nella biosfera.
Categoriale, che concerne le categorie, ossia le diverse relazioni che si possono stabilire fra le idee.
Cibernetica, scienza delle macchine capaci di governarsi, disciplina che si propone la realizzazione di
macchine capaci di autoregolarsi, cioè di comportarsi come se si proponessero un fine e fossero dotate
di memoria cosciente.
Cognitiviste (etiche) che si basano-su o producono conoscenze razionali.
Complessità, caratteristica qualitativa di un sistema (v. sistema).
Complessologi, studiosi o esperti della complessità.
Comportamentiste (etiche), che si limitano all'esame dei dati osservabili del comportamento esterno,
scartando ulteriori approfondimenti (antropologici, ontologici ecc.)
Connaturalità (conoscenza per) modo pratico di conoscere le leggi del comportamento umano e i precetti
della legge naturale.
Consequenzialiste (etiche), per cui sono prioritarie o fondanti le conseguenze delle azioni.
Contenutiste (etiche), per cui sono prioritari o fondanti i contenuti delle azioni.
Contestualiste (etiche), per cui sono prioritari o fondanti i contesti delle azioni.
Contrattualiste, convenzionaliste (etiche), i cui valori, principi, leggi sono frutto di patti, convenzioni
contratti.
Cosmologia, dottrina scientifica o filosofica che studia l'universo; filosofia della natura.
Decisioniste (etiche), che fanno dipendere fini, significati e valori solo dai giudizi o dalla volontà del
soggetto.
Deduttiviste (etiche), che deducono razionalmente fini, significati, valori, principi e norme.
Definizioniste (etiche), che definiscono fini, significati, valori, principi e norme.
Descrittiviste (etiche), che descrivono, senza definire.
Deontologia, insieme di doveri inerenti a categorie particolari (professioni).
Deontologiche (etiche), che considerano come base e fondamento il dovere.
Determinismo, dottrina scientifica, epistemologica e filosofica che attribuisce ogni fatto alla necessità
causale, escludendo libertà e caso. Ha assunto significato fisico, psicologico e metafisico.
Dialettica, arte del ragionare; processo per cui le realtà contrarie si sviluppano risolvendosi in un
momento superiore.
DNA, Sigla dell'acido deossiribonucleico, che si trova nel nucleo delle cellule ed è portatore dei fattori
ereditari.
Ecosistema, insieme di esseri viventi, ambiente ecc. in relazione fra loro.
Edonismo, filosofia o atteggiamento che pone il piacere a fine dell'azione umana.
Epistemologia o filosofia della scienza, disciplina che riflette criticamente sui fondamenti, i principi, i
metodi, il linguaggio, l'attendibilità, l'oggettività, l'esattezza, la veridicità, ecc. della conoscenza
scientifica.
Ermeneutica, scienza delle norme che permettono di scoprire e interpretare il senso autentico di un testo.
Nel pensiero moderno: metodo del comprendere, proprio della filosofia (storicismo, fenomenologia),
che istituisce continue correlazioni fra il sé e l'essere, in un processo che va dalla totalità delle
manifestazioni umane alle sue parti e viceversa.
Eteronomia, ragione per la volontà, che il soggetto non deriva da sé ma da fuori.
Eudemonismo, eudemonistico, dottrina morale che ripone il bene nella felicità.
Euristica, arte o tecnica di ben promuovere o condurre la ricerca filosofica e scientifica. Nella ricerca
scientifica: metodi o procedimenti che favoriscono la scoperta di nuovi risultati.
Falsificabile, carattere per cui le affermazioni scientifiche non possono mai essere provate
definitivamente vere, ma solo false.
Fattuali (proposizioni), relative a una data realtà di fatto.
Feedback, v. retroazione.
Fenomenologico (metodo), modo di considerare l'oggetto, rispettando la verità nascosta nella sua realtà
(intenzionalità), da svelare ed articolare nelle sue categorie.
Finis operis, fine della cosa in sé, distinto dal fine del soggetto che la compie.
Finitezza, finitudine, condizione di ciò che è imperfetto e incompiuto.
Fisicismo, spiegazione esclusivamente fisica di tutte le realtà.
Fisiciste (etiche), che privilegiano le ragioni fisiche e naturalistiche.
Fondazionale, che riguarda i fondamenti decisivi e ultimi (razionali o teologali).
Fondazionali (etiche), che si pongono il problema dei loro fondamenti (razionali o teologali).
Formaliste (etiche), che fanno esclusivo riferimento al metodo o alla forma.
Giustificabile, che può essere provato o dimostrato vero.
Gnoseologia, disciplina filosofica che, in senso largo, comprende tutto il complesso delle ricerche intorno
ai problemi della conoscenza e, in senso stretto, studia le condizioni di validità delle nostre
conoscenze.
171
Habitus, abitudine, disposizione o innata o naturale o acquisita.
Holismo, cf. Olismo.
Hume (principio di), principio che nega la possibilità di ricavare dall'analisi dei fatti qualsiasi evidenza di
nessi necessari.
Idealismo, teoria che riduce l'oggetto della conoscenza a rappresentazione o idea.
Ideocrazia, forma di governo fondata sull'imposizione di una ideologia.
Immanentismo, dottrina che risolve tutta la realtà nella coscienza e nell'al di qua, negando ogni
trascendenza.
Inculturato, inculturazione, termine con due significati diversi. Nel linguaggio ecclesiale indica il
processo di radicamento della chiesa nelle culture dei popoli e l'integrazione dei valori culturali nel
cristianesimo. Nel linguaggio antropologico indica il processo formativo mediante il quale un
individuo viene introdotto, formato ed educato nell'ambito di una cultura particolare.
Indecidibili, proposizioni di cui non si può dire con certezza se siano vere o false.
Indeterminismo, fisica, filosofia, concezione per cui gli eventi non sono legati da alcun rapporto
deterministico di causa-effetto.
Intellettualismo, filosofia che considera i fattori intellettivi preminenti su quelli volitivi (si oppone a
volontarismo v.).
Intenzionaliste (etiche), che puntano sull'intenzione cosciente del soggetto agente.
Intenzionalità, caratteristica della coscienza e della ragione, che tende a qualcosa come a suo specifico
oggetto.
Interdisciplinare, a) tendenza a considerare discipline e scienze in reciproca connessione metodologica e
culturale; b) interazione fra discipline, che va dalla semplice comunicazione di idee, all'integrazione
reciproca di concetti direttivi, teorie della conoscenza, metodi e procedure.
Interezza, totalità, integrità, integrità morale.
Intersoggettività, relazione e scambio, critico e cosciente, fra persone.
Ipercomplessità, modalità più elevata di complessità, propria dei sistemi umani e sociali.
Ipseità, carattere dell'io, sia in senso positivo che negativo (cf. alterità).
Irrazionalismo, a) gnoseologico o metodologico: giudica la ragione incapace o inadeguata a chiarire la
ricchezza dell'esperienza o il senso ultimo della realtà; b) metafisico o assoluto: considera la realtà
assurda o senza fini.
Logos, in filosofia: ragione intesa come a) causa e sostanza del mondo; b) attività propria dell'uomo. In
teologia: Figlio di Dio, seconda persona della Trinità, Verbo incarnato.
Lulliano (razionalismo), scienza basata sui principi e fondamenti di tutte le scienze e ritenuta capace di
unificare tutto il sapere e risolvere tutti i problemi.
Macro-etica, etica universale della responsabilità universale.
Metaetica, analisi del significato delle affermazioni e dei termini morali.
Metafisica, indagine razionale di ciò che è al di là dell'esperienza, per cogliere il senso più profondo della
realtà, manifestandone le ragioni supreme.
Monismo, dottrine per cui l'universo è un'unica sostanza (o essere, atto, processo).
Naturalismo, tendenza ad assolutizzare la natura come: a) primo principio assoluto (metafisica); b)
principio e norma di un dato ambito (etica, antropologia ecc.).
Neotenia, formazione delle sinapsi neuronali nel cervello umano.
Neghentropia, (v. sintropia) nome dato da Brillouin al concetto di "sintropia" introdotto da Fantappié.
172
Neopositivismo, corrente che affida alla filosofia l'analisi del linguaggio comune e scientifico.
Nichilismo, filosofia che nega qualsiasi verità e valore.
Normative (etiche), volte a identificare e definire norme.
Occamismo, sviluppi del pensiero di Occam, come: a) critica negativa o negazione sistematica di
universalità, necessità, intelligibilità, dover essere, metafisica, spiegazioni, cause, principi ecc.; b)
accettazione della sola conoscenza intuitivo-intellettiva del singolare concreto.
Oggettivismo, a) riconoscimento dell'esistenza e validità universale degli oggetti; b) enfatizzazione
dell'oggetto e svalutazione del soggetto nel processo conoscitivo.
Oggettiviste (etiche), che enfatizzano l'oggetto rispetto alla persona.
Olismo, olistico, teoria (scienza, epistemologia, filosofia) per cui gli organismi e i sistemi rappresentano
un tutto avente caratteristiche superiori e diverse dalla semplice somma delle parti.
Ontologia, scienza di ciò che è, filosofia che studia l'essere.
Ontologico, che riguarda o concerne l'essere in quanto tale.
Organizzazione, combinazione di relazioni fra componenti o individui da cui è prodotta, mantenuta e
trasformata un'unità complessa (sistema), dotata di qualità sconosciute a livello di componenti o
individui.
Oxoniense, relativo al movimento filosofico di Oxford (v. analisi del linguaggio).
Paradigma, modelli di acquisizioni scientifiche ed epistemologiche cui fanno capo tradizioni e progetti di
ricerca.
Pensiero debole, pensiero postmoderno che rifiuta fini, significati e valori certi, dimostrazioni cogenti,
ragioni evidenti ecc.
Personalismo, primato dei valori spirituali della persona.
Phronesis, prudenza, saggezza pratica.
Pluralismo, a) unità del mondo, in cui si concreta l'esperienza che non esclude molteplici prospettive di
analisi ontologica e logica; b) insieme dei termini non privilegiabili di una pluralità originaria. Solo a)
è teoreticamente legittima.
Positivismo, indirizzo filosofico della seconda metà del secolo XIX che, fondando la conoscenza sui fatti
e rigettando ogni forma di metafisica, intendeva estendere il metodo delle scienze a tutti i settori del
pensiero umano (a volte questo concetto viene denominato pure fisicismo e fisicalismo).
Pragmatismo, filosofia per cui la funzione fondamentale dell'intelletto non è la conoscenza, ma il domino
efficace della realtà.
Prescrittive (etiche), che non si limitano a descrivere ma prescrivono valori e norme.
Proporzionaliste (etiche), ricavano i criteri del giusto dalla proporzione fra effetti buoni e cattivi.
Razionalismo, assunzione della ragione umana me come riferimento esclusivo e assoluto.
Realismo esistenziale, filosofia che affronta l'atto di esistere come intelligenza decisa a non rinunciare a
se stessa.
Relativismo, teoria che nega l'esistenza di principi e valori assoluti, in senso parziale (relativismo
parziale) o totale (relativismo totale).
Relazionale (antropologia), che sottolinea soprattutto le relazioni della persona con Dio, il prossimo,
l'universo.
Retroazione (feedback), processo per cui l'effetto dell'azione di un sistema (meccanismo ecc.) si riflette
sul sistema stesso per variarne o correggerne il funzionamento.
Ricerca operativa, applicazione di strumenti e metodi scientifici e matematici ai progetti e usi di un
sistema complesso, per consentire decisioni corrette.
173
Rigorismo etico, esigenze eccessive e intransigenti.
Scientismo, ideologia moderna, dalle molteplici espressioni e contenuti, quali: a) la scienza (o solo la
scienza) può conoscere tutta la realtà e spiegarla mediante i suoi principi e i suoi metodi; b) le
conoscenze scientifiche (o solo le conoscenze scientifiche) sono credibili, oggettive, incontrovertibili,
vere; c) tutto ciò che non può essere indagato scientificamente è inesistente o irrilevante o privo di
senso, ecc.
Secolarismo, concezione del mondo in cui questo si spiega da sé, senza alcun ricorso a Dio; attribuzione
di ogni potere all'uomo, congiunta alla negazione di Dio.
Secolarizzazione, legittimo sforzo di scoprire in ogni cosa o evento dell'universo le norme regolatrici
postevi dal Creatore.
Semantica, studio del significato delle parole; nella logica contemporanea parte della semiotica che
analizza il rapporto fra segno e referente, al di fuori delle implicazioni psicologiche o sociologiche del
linguaggio.
Semantico, che riguarda il significato delle parole; che riguarda o interessa la semantica.
Sinapsi, connessione fra due cellule nervose o fra una fibra nervosa e la placca motrice.
Sintropia, secondo L. Fantappié, processo per il quale un sistema, anziché degradare, tende a forme
sempre più organizzate ed efficienti.
Sistema, aggregato organico e strutturato di parti fra loro interagenti, che gli fa assumere properietà che
non derivano dalla semplice giustapposizione delle parti (v. organizzazione).
Sistemico, riguardante i sistemi.
Situazionalità, Prevalere assoluto e totale (o relativo e parziale) di circostanze e situazioni, nel giudizio.
Soggettivismo, teoria o filosofia che riduce tutta la realtà al soggetto pensante.
Soggettiviste (etiche), ispirate o legate al soggettivismo.
Spaesamento metafisico, condizione del pensiero moderno, privato di ogni quadro fondativo, teologico,
metafisico e antropologico.
Strutturalismo, teoria e metodologia delle scienze umane, che considera la struttura degli elementi come
un sistema d'interrelazioni formalmente definite a partire da un insieme di dati empiricamente
accertati.
Tecnicismo, prevalenza o esclusivismo del fattore tecnico sui fattori che originariamente ispirano
un'attività umana; tendenza a risolvere nella tecnica tutto il mondo umano o tutta la realtà.
Tecnoscientismo, atteggiamento che unisce tecnicismo e scientismo.
Teleologiche (etiche), volte a rendere conformi gli atti umani: a) col fine ultimo e sommo bene
dell'uomo; b) con i fini perseguiti e i valori intesi dall'agente; c) col massimo di bene e il minimo di
male.
Teo-cosmologica (etica), che desume i suoi criteri solo dalla natura elevata ad assoluto.
Teonomia partecipata, a) fruizione della legge eterna, ricevuta come libero dono; b) lineamenti della
natura divina di Cristo che, attraverso la santificazione, la giustizia e la vita buona, risplendono in tutti
gli uomini di buona volontà.
Tolleranza, atteggiamento pratico che, pur condannando per principio modi di pensare o agire giudicati
erronei, li lascia sussistere per vari motivi (rispetto della coscienza e libertà altrui, convenienza pratica,
minor male ecc.).
Transdisciplinare, approccio tra varie scienze o discipline, più avanzato e complesso di quello
interdisciplinare, volto a mettere in comune la totalità dei principi di base di ogni scienza, per
ritrovarne il fondamento unificante.
174
Trascendentale, in senso moderno: condizione a priori della conoscenza, forma ideale o principio, ciò per
cui nella coscienza soggettiva esistono le condizioni di ogni realtà. In senso antico: nozione estesa
quanto quella di essere (vero, buono, bello).
Trascendente, ciò che è al di là di ogni contenuto di conoscenza o di ogni forma di essere.
Ultimità, caratteristica di ciò che è finale, decisivo, conclusivo.
Umanologia, dottrina chiusa-su o visione esclusivamente centrata-ne l'uomo.
Universaliste (etiche), che ammettono valori e norme valide per tutti.
Utilitarismo, teoria o filosofia che pone alla base delle scelte e delle decisioni umane solo ciò che è utile.
Valori (etica dei), che si fonda-su e tende-a i valori.
Valutativa, che esprime un giudizio di valore.
Verità (etica della), che fa dipendere la bontà dell'agire umano dalla conoscenza.
Veritativo, che riguarda o esprime la verità.
Virtù (etica delle), che fa dipendere la bontà dell'agire umano dalle virtù morali del soggetto che agisce.
Volontarismo, filosofie che sostengono il primato della volontà sull'intelletto e sulle capacità razionali (si
oppone a intellettualismo v.).
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