Creazione ed evoluzione: crocevia di scienza, filosofia e teologia Riuscire a penetrare il mistero dell’origine dell’universo è un qualcosa che, da sempre, affascina l’uomo. Le menti più brillanti, sia in campo scientifico che teologico, hanno dato, nei secoli, una propria versione dell’origine dell’universo, ignorando completamente le ragioni l’uno dell’altro e assumendo intransigenti posizioni di difesa della propria teoria. La scienza tende a fornire una successione di accadimenti naturali che, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, hanno la possibilità di essere sostenuti da esperienze di laboratorio che ne verificano l’attendibilità (solo di recente si è parlato molto di esperimenti condotti presso il CERN di Ginevra legati ai meccanismi che avrebbero originato l’universo) senza però preoccuparsi di fornire una giustificazione. Non si indaga su di una possibile finalità della lunga catena di eventi naturali che ci hanno portato fino ad oggi e non si dà una prospettiva futura alla storia dell’universo. La teologia invece si preoccupa soprattutto del fine ultimo dell’esistenza del creato, considerando l’agire storico-salvifico di Dio. Abbiamo quindi una netta differenza di prospettive: materialità e verifica scientifica per gli scienziati, finalità e relazione con Dio per i teologi. Bisogna prendere atto che oggi ci si muove beneficiando di un sapere interdisciplinare che, nel rispetto delle diverse specificità, si avvale di una migliore integrazione fra le diverse competenze. Tale tendenza, grazie all’apertura degli ultimi Pontefici, ha investito anche il discorso della creazione. Papa Benedetto XVI nel suo recente libro “Progetto di Dio, la Creazione” afferma infatti che l’idea della immutabilità nel tempo delle forme di vita create da Dio (idea incontrastata prima di Darwin) si è legittimata a partire dal concetto di creazione; essa guarda ad ogni singola forma come ad un prodotto che esiste fin dall’inizio del mondo, in virtù dell’attività creatrice di Dio. È evidente che tale aspetto della fede nella creazione contraddice il concetto di evoluzione e che questa caratterizzazione della fede è divenuta oggi insostenibile. Il credente deve avvalersi del sapere scientifico, senza preconcetti, e abbandonare il modo in cui si era raffigurata la creazione appartenente ad un mondo prescientifico, divenuto ora inaccettabile. La fede nella creazione ricerca l’esistere dell’essere in quanto tale, il suo proble- 8 ma è il perché esiste qualcosa e non il niente. L’idea di evoluzione invece si preoccupa del perché esistono queste forme e non altre, da dove esse hanno ottenuto la loro giustificazione ad essere tali e con quali tipi di relazioni interagiscano fra loro. Posto in tali termini il confronto scientifico, filosofico, teologico appare fecondo e, come auspica Papa Benedetto, “credere alla creazione vuol dire considerare, nella fede, il mondo in divenire, svelato dalla scienza, come un mondo che ha un fine, che deriva da una mente creatrice”. Qui sta anche il motivo per cui è impossibile per la paleontologia poter fissare nella storia dell’universo l’istante della formazione dell’uomo; il diventar uomo è il sorgere dello spirito, e tale evento non può venir dissotterrato dalla vanga, alla ricerca di fossili. La teoria evoluzionista non toglie la fede, neppure la rafforza. Ma, come conclude Sua Santità, “la invita a capire più profondamente se stessa e ad aiutare così l’uomo a comprendersi e a divenire sempre più ciò che è: l’essere che in eterno può mettersi in relazione con Dio”. Francesco Palmese