Progetto di ricerca in Storia della filosofia contemporanea Immagine scientifica dell’uomo e mondo della vita. Per una interpretazione storico-critica delle odierne scienze della mente. Ipotesi interpretative e finalità della ricerca È noto quanto abbia inciso, nella filosofia del Novecento, la lettura dell’Introduzione alla Krisis di Husserl, con la «drammatica» denuncia della perdita da parte della scienza moderna della soggettività e del «mondo della vita» in nome dell’oggettivazione galileiana della conoscenza. Husserl aveva proposto un ripensamento radicale del modo in cui la scienza distorceva il senso del nostro quotidiano e familiare rapporto con le cose e con le persone. Il suo scopo non era certo, come molti hanno interpretato, di rifiutare la scienza in nome dello “Schwärmerei” di un qualche genere di esistenzialismo o irrazionalismo, ma piuttosto di rendere le scienze più compiutamente e autocoscientemente razionali, col separare la scienza pura da uno scientismo carico di ideologia. Negli anni ’60 del secolo scorso, in America, l’influente filosofo Wilfrid Sellars scrisse Philosophy and the Scientific Image of Man, giustamente considerato una sorta di «manifesto» in cui l’autore denuncia quello che chiama il grande «scontro» che contraddistingue la modernità: quello tra immagine manifesta del mondo, confinata al dominio del percepibile e del vissuto, in cui ogni spiegazione assume la forma di una semplice «correlazione» tra fatti osservabili, e immagine scientifica, intrinsecamente caratterizzata dalla postulazione di entità inosservabili tramite le quali soltanto diventano spiegabili gli eventi macroscopici. I testi di Husserl e di Sellars appartengono a tradizioni filosofiche e prefigurano soluzioni teoriche radicalmente diverse. Ciononostante, l’odierna filosofia della mente imposta i propri problemi ontologici, epistemologici e metodologici in modo da far convergere suggestioni provenienti da quelle differenti, eppur spesso consonanti, interpretazioni della nascita e dell’essenza della scienza moderna. La ricerca in progetto intende elaborare alcune delle tematiche caratterizzanti il dibattito dell’odierna filosofia della mente (forme di irrazionalità, patologie del comportamento e fallacie cognitive, soggettivismo e oggettivismo, normativismo e naturalismo nella metodologia delle «scienze dell’uomo», metafisica del senso comune e, in particolare, della psicologia di senso comune) alla luce dell’emergenza e della pervasività di alcune scienze particolari: le scienze del sé, vale a dire medicina, psichiatria, neurologia, antropologia, psicologia. Fra le intenzioni di questo progetto di ricerca vi è quella di ricostruire la storia del concetto moderno di sé nella seconda metà dell’800 in Europa, assunto qui come un concetto e un oggetto di conoscenza scientifica, ma anche come un oggetto sottoposto a cura, a trattamento. Il prisma, di carattere storico, attraverso cui si guarderà a questo concetto, è la figura del reo-folle alla fine dell’800, per come nasce e si modifica all’incrocio fra discorso psichiatrico e discorso giuridico nell’Italia post-unitaria. Se le premesse metodologiche e interpretative, come precedentemente indicato, non possono prescindere dagli assunti di fondo che la filosofia della mente ha messo in campo, né possono prescindere da determinate scienze che nel corso degli ultimi due secoli ci restituiscono una nuova immagine dell’uomo, è bene qui sottolineare come si intende far avanzare la ricerca rispetto all’oggetto di studio indicato. Il 1 lavoro di ricerca necessiterà dunque di una parte introduttiva in cui andranno indicate le premesse metodologiche e dove andranno descritti brevemente il constesto generale e i contenuti delle scienze mediche e psichiatriche, nonché giuridiche, del periodo storico dato. Il problema filosofico principale che sta dietro questo tipo di ricerca storica è: come una soggettività umana può divenire il bersaglio di una conoscenza oggettiva? Assumiamo che il sé sia un oggetto scientifico che ha una storia e solo questa storia può aiutarci a capire e a illuminare i dibattiti filosofici e politici contemporanei sulla natura della mente. Trattare il sé come un’entità intrinsecamente storica, sia come un concetto che come un oggetto, non implica di assumerlo come ciò che è costruito radicalmente ex nihilo, ma piuttosto formato, creato, inventato, all’interno di contesti storici che obbediscono a regimi di tecniche e di pratiche, a regimi epistemici nei quali gli esseri umani sono descritti e plasmati in modi particolari. Tra i fini di questa ricerca vi è quello di mettere insieme la storia dei concetti e la storia delle tecniche scientifiche e delle pratiche di «making up» del sé nella loro reciproca relazione. Uno dei punti essenziali intorno a cui è organizzata la ricerca è la storia della osservazione (e visualizzazione) scientifica del sé. Osservazione è qui da intendere come un’attività interamente storica ed è necessario studiare i modi in cui l’osservazione scientifica individui e stabilizzi il sé come un oggetto. La dettagliata disamina di fonti come le cartelle cliniche e le perizie medicopsichiatriche, con tutti i reperti scientifici che contengono, sono state considerate non solo come documenti o oggetti storici, ma come entità epistemiche indipendenti specificamente correlate ai concetti scientifici. Vorrei così mostrare che le origini delle nostre attuali attitudini scientifiche e delle nostre alternative teoretiche (psicoterapia vs. farmacologia, psicoanalisi vs. neuroscienze) riguardo al sé sono nate nel XIX secolo. Per l’indagine sulla figura del reo-folle è centrale lo studio di Cesare Lombroso, ma non mancano i nessi strettissimi fra l’alienismo italiano del tempo e l’antropologia criminale con quanto oltralpe aveva già avuto massima rilevanza con personalità scientifiche come quella di Charcot e di Galton. 1. Per un’epistemologia storica dei concetti Il contesto teorico entro cui si inserisce questo lavoro di ricerca è l’epistemologia storica dei concetti, vale a dire un’epistemologia “applicata” alla storia dei concetti. Alcuni sono già venuti fuori in maniera chiara: l’opposizione ragione/follia, razionalità/irrazionalità, soggetto/oggetto, sano/malato, senza dimenticare la rilevanza, tutta interna a queste opposizioni, che concetti come prova, causa, fatto, oggettività, rappresentazione scientifica assumono. Nel circoscrivere il campo epistemologico di modo che entri in diretto confronto con una certa metodologia storica, si scelgono qui testi e ambiti apparentemente lontani da questa riflessione. Ci si riferisce, in particolar modo, all’epistemologia storica di Lorraine Daston e Peter Galison, culminata nella pubblicazione della recente opera Objectivity, nonché ai modelli teorici elaborati, negli ultimi trent’anni da autori quali Ian Hacking, Jan Goldstein, Arnold I. Davidson. Questi filosofi hanno in comune una formazione filosofica di stampo analitico, una continua ibridazione di questa formazione iniziale con altri modelli di pensiero, prima fra tutte l’epistemologia francese e, cosa che potrebbe sembrare bizzarra, condividono, sulla scorta di questa formazione, una certa lettura di Foucault che fa direttamente riferimento all’indagine archeologica, genealogica, epistemologica dei saperi in generali, e del discorso storico in particolare. Nell’ibridazione continua degli strumenti di ricerca e di varie prospettiche teoriche, il punto non sta nello scegliere 2 l’interpretazione “privilegiata” né tanto meno spingere la riflessione all’estrema radicalizzazione secondo cui un evento o un fatto esistono solo in una narrazione e non più come referente reale. È utile piuttosto chiedersi, da un punto di vista filosofico, come circoscrivere un evento e quali sono i fattori che permettono di capire che è in atto una trasformazione dei nostri modi di pensare, di concettualizzare e perciò di agire. Sta qui la centralità di Foucault e l’uso che qui se ne intende fare: nell’idea non di ricostruire il «divenire vero» di un concetto, né il «dire il vero», ma indagare i regimi di veridizione, cioè le condizioni che rendono possibili l’istituzione della verità. Questo ha a che fare con lo studio storico delle categorie scientifiche, senza nessuna distinzione di principio fra scienze umane e scienze naturali. Condurre un’analisi epistemologica su categorie quali oggettività, prova, fatto, significa - per dirla con Lorraine Daston - indagare categorie che strutturano il nostro pensiero presente e che organizzano le nostre pratiche […] uno studio che concerne la storia dei concetti, delle pratiche, degli strumenti e delle «economie morali» delle scienze. Questa definizione è anche molto vicina all’insistenza di A.I. Davidson, proprio attraverso lo studio di Foucault, sul legame tra forme d’esperienza ed emergenza di strutture di conoscenza. In via definitiva, sia che si studino categorie o metaconcetti generali che attraversano un campo trasversale e comune a molte scienze, sia che ci si occupi di concetti empirici (vedi il concetto di sessualità, piuttosto che la categoria di mentalità) che coprono invece lo spazio concettuale di una singola scienza, non viene meno l’idea che un concetto ha la capacità di organizzare pensieri e pratiche. A partire da questi autori, il lavoro di ricerca intende insistere su due opposti ideali scientifici delle scienze della mente fin-de-siècle: quello della sua riproduzione visuale meccanica e quello dell’interpretazione discorsiva soggettiva per esplorare così una vasta «zona grigia» che si trova fra questi due tipi di ideali, ben esemplificati, ad esempio dal un lato da figure come Lombroso e Galton, dall’altro da figure come Charcot e Freud. Tutti insieme sono parte, in maniera differente, del pensiero positivista che caratterizza la seonda metà del XIX secolo e tutti hanno declinato questo stile di pensiero secondo modelli epistemici differenti che fanno riferimento tuttavia ad una questione centrale: l’opposizione storica ed epistemologica fra due scientific virtues, vale a dire l’opposizione fra attitudini scientifiche di visualizzazione del sé e attitudini scientifiche e pratiche di ascolto e di interpretazione del se stesso, dell’Io. Questo tipo di opposizione trova, ad esempio, nella costruzione del soggetto reofolle un momento di congiunzione estremamente fragile: il soggetto diagnosticato come folle rimane autore di reato, dunque soggetto pericoloso. L’incapacità di intendere e di volere, dunque di non responsabilità dell’azione, si scontra, in un difficile binomio, con l’effettività e le conseguenze dell’azione commessa che lascia spazio alla costruzione di nuovi contesti marginali e asilari, che articolano le mille declinazioni della pericolosità sociale, emergenza ossessiva del secolo decimonono. Questioni tematiche critiche: a) in che modo la filosofia della mente può collocarsi criticamente rispetto ai limiti concettuali dell’impianto delle scienze (incluse le neuroscienze)? b) quali sono gli intrecci tra metafisica, ontologia ed epistemologia utili ad un inquadramento concettuale di fenomeni come l’autocomprensione e i suoi fallimenti nei casi ordinari di irrazionalità? c) quali nei casi di irrazionalità di interesse patologico? 3 d) in che senso le correnti normativiste e razionaliste in filosofia della mente possono servire allo scopo di contribuire spiegare i suddetti fenomeni, in compartecipazione con le scienze psicologiche e medico-psichiatrichecom? e) come una soggettività umana può divenire il bersaglio di una conoscenza oggettiva? f) come e in che termini l’emergenza di concetti scientifici attuali relativi alle scienze della mente mostrano le relazioni immanenti fra pratiche, strumenti di ricerca, tecnologie del sé e concetti, e come questi elementi si sono fusi in un insieme che spesso chiamano «epistemic virtue»? g) per rispondere a queste domande, come intendiamo utilizzare l’epistemologia storica dei concetti, come cioè applicare una storia di un concetto from the bottom up, che consideri un concetto come il risultato di un’agglomerazione di vari elementi, una storia che sostituisce pratiche a significati e relazioni immanenti a rapporti causali tra enti già dati in partenza? h) quanto incide sul problema tradizionale della conoscenza scientifica l’irrompere di discontinuità, anomalie, superfici, elementi marginali e «silenziosi» (vedi la prigione, la follia, la perversione, la storia della psichiatria) per la costruzione e modificazioni di identità individuali e collettive, per la rappresentazione e per l’idea che abbiamo di mente, mentalità e di noi stessi? i) cosa succede se parlando del nostro accesso al reale e delle condizioni conoscitive in cui esso avviene avvertiamo come urgente chiederci cosa tiene insieme teorie, pratiche e tecniche che hanno immediati effetti sul senso della storia, sul suo uso, sulle politiche di certi concetti scientifici? j) esiste l’urgenza di spiegare e raccontare il nostro legarci agli effetti di verità di questi stessi concetti scientifici, di fare l’analisi e la storia di questo rapporto? k) che rilevanza epistemologica e filosofica ha oggi, nel dibattito delle scienze della mente, una ricerca di tipo storico-filosofico sulla «formazione» ottocentesca del reo-folle relativamente a questioni come quelle della responsabilità o non responsabilità dell’azione e della pericolosità sociale? Metodi, finalità e correlazioni: La ricerca è finalizzata alla produzione di due libri: uno sul tema della «formazione» del reo-folle tra antropologia, giurisprudenza, scienze, politica e filosofia alla fine dell’800; un altro sul tema delle «due culture» a partire da una ridefinizione di scienza e di naturalismo nell’epistemologia più recente e da una riconsiderazione (non confinata alla sola psicologia) del valore conoscitivo delle Humanities. Fonti di cofinanziamento previste Casa editrice ETS (Pisa) 4