LE FUNZIONI DELL`AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA

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INSERTO A CURA DI
CONFCONSUMATORI
DELL’EMILIA ROMAGNA
CHI
PROTEGGE I
NOSTRI DIRITTI
NELLA GIUNGLA
DEL MERCATO?
LE FUNZIONI DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLA
CONCORRENZA E DEL MERCATO (ANTITRUST) E
LA TUTELA DEI CONSUMATORI
L’Antitrust e la tutela degli interessi
dei consumatori e del mercato
Scriveva Giuliano Amato, alcuni anni or sono, che la funzione
dell’Antitrust (l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato) è la
stessa dell’arbitro di una partita di calcio: deve far rispettare le regole
del gioco, in specie, le regole del gioco della concorrenza.
Nel Trattato CE (artt. 4, 98 e 105) il principio della “libera concorrenza”
è considerato la pietra angolare della politica economica comunitaria (v.
Trattato CE - artt. 4, 98 e 105), e conforma di
conseguenza anche la politica economica
degli ordinamenti giuridici degli Stati
membri. Nell’ordinamento
italiano,
invece, il regime concorrenziale trova
una giustificazione primaria (sebbene
indiretta) nell’art. 41 della Costituzione
e nella “libertà dell’iniziativa economica”,
sul presupposto che, evidentemente,
l’iniziativa economica può ritenersi
davvero “libera”, solo se è consentito a
tutti gli operatori di accedere al mercato
e di competere per distribuire i propri
prodotti o servizi.
Se, quindi, in un sistema economico il confronto virtuoso tra gli
operatori è ritenuto un principio “fondamentale” e fors’anche una
regola etica ancor prima che giuridica, ben si può comprendere, allora,
quale importanza possa assumere la presenza di un “controllore”
che verifichi ed intervenga ogni qual volta abusi od infrazioni
possano comprometterne il corretto svolgimento, fino a limitarne
e ad escluderne gli effetti, come nel caso di quell’imprenditore che
affermandosi progressivamente sui propri concorrenti, prevalga su di
questi, giungendo a collocarsi sul mercato come unico monopolista.
Del resto la competizione concorrenziale non consiste in uno scontro
diretto tra contendenti, dove uno predomina sull’altro, ma in un
confronto parallelo dal quale emerge un “vincitore”. E’ un fenomeno
sociale ed una necessità economica, che non deriva, pertanto, dalla
ricezione di modelli naturali, ma che discende piuttosto direttamente
dalla gara e dal gioco, con cui si confonde e che necessita, perciò, di
regole in grado di consentirne la corretta realizzazione (Di Nella).
Da qui la necessità di prevedere un organismo super partes che
si assume l’onere di verificare costantemente la conformità di
determinate condotte a requisiti legislativi.
In Italia L’Antitrust è stata istituita dalla legge n. 287/90
(successivamente ed in diverse occasioni rimaneggiata
dal legislatore), che le ha attribuito non solo
un’indipendenza istituzionale indispensabile per operare efficacemente
sul mercato, ma anche una serie incisiva di poteri istruttori e sanzionatori.
All’Antitrust è affidato il compito di accertare lo sfruttamento abusivo
della posizione dominante e di tutti quegli accordi tra le imprese
diretti ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza. Tra
le funzioni dell’Antitrust c’è anche quella di verificare ed inibire quei
messaggi pubblicitari predisposti in modo tale da influenzare le scelte
dei destinatari, inducendoli in errore o che
effettuano una comparazione tra prodotti
reperibili sul mercato non conforme ai
dettati normativi (d.lgs 145/2007) e di
disporre più in generale in materia di
pratiche commerciali scorrette, vale a
dire in tutte quelle operazioni contrarie
alla diligenza professionale ed idonee a
falsare il comportamento economico
dei consumatori (artt. 20 ss. Codice del
Consumo).
E’ chiaro che dal corretto svolgersi
del gioco concorrenziale ne traggano
beneficio in primo luogo le imprese,
che vengono spronate a perfezionarsi e ad innovarsi continuamente
ed a perseguire un’efficienza economica che diversamente non
raggiungerebbero. Parimenti non può mettersi in dubbio che da un
regime concorrenziale falsato questi stimoli rimarrebbero disattesi.
Inoltre, dal comportamento abusivo posto in essere da un’impresa
dominate, o da una o più imprese d’intesa tra loro, i concorrenti deboli
potrebbero patire un pregiudizio economico rilevante, dovuto proprio
all’esercizio deprecabile di quelle pratiche vietate ed inique cui nolente
sarebbero costretti a sottostare.
Per altro verso,che la concorrenza si svolga secondo criteri di correttezza,
è interesse anche dei consumatori che dalle pratiche abusive o dalle
intese tra i concorrenti si troverebbero danneggiati, soprattutto per i
maggiori costi che andrebbero a sostenere per l’acquisto di prodotti
e servizi e per l’impossibilità di individuare quei beni di effettiva utilità
e convenienza. Sotto quest’aspetto deve evidenziarsi come la funzione
del consumatore sia più complessa di quella che normalmente gli si
attribuisce. Infatti la scelta da questi eseguita con un determinato
acquisto, non solo soddisfa il bisogno individuale di un singolo soggetto,
ma adempie ad esigenze di ordine economico-sistematico primarie. Del
resto in un sistema concorrenziale basato sul confronto, la preferenza
accordata attiva quei meccanismi di selezione e d’incentivo capaci di
influire sugli assetti del mercato.
Ciò non è sfuggito al legislatore europeo prima (art. 153 Tratt. CE) ed a
I
quello “locale” poi (v. Codice del consumo) e spiega l’impegno profuso nel
tutelare assiduamente gli “interessi dei consumatori” e nel promuovere
tutte quelle iniziative dirette ad “assicurare loro un livello elevato di
protezione”. La legge n. 287/90, per suo conto, riserva alle associazioni
dei consumatori un ruolo di interlocutori privilegiati dell’Antitrust nella
denuncia di quei comportamenti lesivi e nei procedimenti istruttori
rivolti all’accertamento delle infrazioni ed all’Antitrust è riservata dal
Codice del consumo la “Tutela amministrativa e giurisdizionale” (art.
27) dei consumatori in caso di pratiche commerciali scorrette poste in
essere da un professionista.
[DOTT. GIUSEPPE LUCIANI]
La disciplina della concorrenza nel
diritto dell’Unione Europea
1. Il sistema comunitario antitrust sancisce nel § 1 dell’art. 81 Tratt. CE
che ogni comportamento restrittivo della concorrenza è da considerare
sempre vietato, ferma restando la possibilità di deroghe, quando
ricorrono le condizioni previste nel § 3. Le intese vietate sono nulle di
pieno diritto secondo il disposto dell’art. 81, § 2,Tratt. CE. L’art. 82 Tratt.
CE sanziona invece l’abuso di posizione dominante sul mercato da
parte delle imprese. La disciplina relativa agli aiuti degli Stati membri alle
imprese (art. 87 Tratt. CE) sanziona quei comportamenti di tali soggetti
che sono rivolti a favorire indebitamente
gli operatori nazionali a discapito di
quelli comunitari (ad esempio, tramite
la concessione di prestiti a fondo
perduto, di vari incentivi, di sgravi fiscali
o previdenziali ecc.), alterando cosí il
gioco della concorrenza nel mercato
interno. A parte sono altresì regolate
le concentrazioni tra imprese (reg. n.
134/2004).
2. Secondo l’art. 81, § 1, Tratt. CE, sono
incompatibili con il mercato comune e
vietati tutti gli accordi fra imprese, tutte
le decisioni di associazioni d’imprese e
tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio
fra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato
comune. Si procede ora all’analisi di tale disposizione.
a) La nozione di impresa. Il soggetto preso in considerazione dall’art.
II
81 Tratt. CE è qualificato come impresa oppure associazione di
imprese. Entrambe le espressioni sono utilizzate in senso molto ampio
in quanto comprendono ogni tipo e specie di soggetto economico,
che abbia o meno fine di lucro, sia esso una società, un gruppo,
un’associazione, una persona fisica, un soggetto di diritto pubblico e
così via (ad esempio, un inventore indipendente che concedeva delle
licenze di sfruttamento di brevetti relativi ad una sua invenzione, un
professionista, un’organizzazione che produce servizi, una federazione
sportiva, le società non profit che regolano i diritti degli autori e degli
editori, gli ordini professionali, le aziende municipalizzate, le associazioni
di categoria ecc.).
La nozione in esame esprime dunque un concetto di impresa piú ampio
di quella dell’art. 2082 cod. civ., giacché questa è considerata dalla
prospettiva funzionale degli effetti che essa produce nel mercato interno.
Al fine di non restringere arbitrariamente l’àmbito di applicazione
dell’art. 81 Tratt. CE a discapito degli obiettivi che la concorrenza è
chiamata a perseguire nel sistema comunitario, detto concetto è stato
costruito in modo autonomo. Si ha cosí impresa ogni volta che ci si
trovi di fronte ad un soggetto che svolga attività economica tale da
poter ridurre, anche soltanto in potenza, la concorrenza sul mercato
interno.
b) Le nozioni di accordo, decisione e pratica concordata. Tutte le fattispecie
considerate, ossia gli accordi le decisioni di associayioni di imprese e le
pratiche concordate, sono accomunate sia dal fatto di comportare, in
ogni caso, la rinuncia a competere in un regime di concorrenza, sia dal
fatto di essere attuate da almeno due soggetti, che possono anche non
essere dotati di personalità giuridica, purché siano giuridicamente ed
economicamente distinti e caratterizzati
da autonomia decisionale propria.
L’accordo si ha tutte le volte che le imprese
interessate abbiano espresso la comune
volontà di comportarsi sul mercato in
un determinato modo; affinché questa
comune volontà sia rilevante ai sensi
dell’art. 81 Tratt. CE, non devono esservi
contratti aventi pieno effetto legale. In
tale previsione rientrano sia gli accordi
orizzontali (quelli conclusi tra imprese
che operano nella stessa fase del processo
economico con i quali le parti si impegnano
a tenere il medesimo comportamento: ad
esempio, accordo sui prezzi o sulla divisione del mercato), sia gli accordi
verticali (quelli conclusi tra imprese che operano in stadi successivi del
processo economico con i quali una parte si impegna nei confronti
dell’altra a tenere un dato comportamento: ad esempio, distribuzione
commerciale, concessione di vendita con clausola di esclusiva, clausola
di vendita a prezzo imposto).
Le pratiche concordate sono state definite come una forma di
coordinamento tra imprese che, senza aver raggiunto lo stadio
dell’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una
consapevole collaborazione fra le imprese a danno della concorrenza.
Queste fattispecie sono individuate sulla base dei criteri del
coordinamento e della collaborazione.
L’art. 81, § 1, Tratt. CE elenca a fini meramente esemplificativi alcune
categorie di accordi e/o comportamenti anticoncorrenziali, i quali
possono consistere nel: 1) fissare direttamente o indirettamente i
prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; 2)
limitare o controllare la produzione, gli sbocchi lo sviluppo tecnico o gli
investimenti; 3) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; 4)
applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni
dissimili per prestazioni equivalenti così da determinare per questi
ultimi uno svantaggio nella concorrenza (patti di boicottaggio); 5)
subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli
altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o
secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei
contratti stessi (contratti a prestazioni abbinate, contratti leganti.
Va precisato che il diritto comunitario ha sempre ritenuto irrilevanti le
intese minori, ossia quelle che, considerate congiuntamente, detengano
in ciascun mercato nazionale una quota dello stesso inferiore al 10%, se
si tratta di intese orizzontali, o del 15%, se si tratta di intese verticali.
c) Il pregiudizio al commercio tra gli Stati membri. Secondo gli artt. 81 e
82 Tratt. CE le pratiche restrittive della concorrenza devono essere
suscettibili di pregiudicare il commercio fra gli Stati membri, ossia di
sviare i flussi commerciali dal loro corso naturale.
d) L’oggetto o l’effetto anticoncorrenziale. I suddetti comportamenti,
come quelli previsti da qualsiasi altra intesa che abbiano per effetto di
impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, sono vietati
qualora esplichino i loro effetti all’interno del mercato comune.
e) Il mercato rilevante. Questo elemento deve essere individuato
partendo dai profili del prodotto e della sua dimensione geografica. Ai
fini della individuazione del mercato rilevante in senso merceologico, il
diritto comunitario definisce principalmente un mercato in termini di
intercambiabilità di prodotti dal lato della domanda. Il mercato rilevante
in senso geografico è l’area nella quale le imprese in causa forniscono
o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza
sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle
zone geografiche contigue, giacché in queste ultime le condizioni di
concorrenza sono sensibilmente diverse.
f) Le esenzioni. Se un determinato comportamento anticoncorrenziale
è, ciò non ostante, in grado di arrecare determinati vantaggi al mercato
o agli stessi consumatori o utenti, allora questo sarà sottratto al divieto
e considerato lecito. Questo è il senso dell’art. 81, § 3, Tratt. CE, il
quale stabilisce che può essere concessa una deroga al divieto di intese
restrittive della concorrenza, se ricorrono determinare condizioni
positive e negative. In particolare, per essere sottratto al divieto l’accordo
o la pratica concordata, per un verso, deve contribuire a migliorare
la produzione o la distribuzione dei prodotti, oppure a promuovere
il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori
(imprese e consumatori) una congrua parte dell’utile che ne deriva
(condizioni positive); per l’altro, deve evitare di imporre alle imprese
interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere
tali obbiettivi e di consentire loro di eliminare la concorrenza per una
parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi (condizioni negative). La
disapplicazione ex art. 81, § 3, Tratt. CE ha oggi luogo principalmente
tramite l’«eccezione legale» in virtù della quale non è più richiesta una
preventiva decisione di esenzione della Commissione per consentire
alle imprese di attuare gli accordi altrimenti contrastanti con il divieto
di cartelli. Il divieto di intese può essere dichiarato inapplicabile dalla
Commissione anche tramite una esenzione per categoria contenuta in
un apposito regolamento.
FUNZIONI
commercio e in cui le condizioni di concorrenza sono
DELL’AUTORITA’
abbastanza omogenee da consentire di valutare l’effetto
GARANTE
della potenza economica dell’impresa in questione.
c) La posizione dominante. La posizione dominante sul mercato, non
esplicitata nell’art. 82 Tratt. CE, è stata formulata dalla Corte di giustizia
in collaborazione con la dottrina e la stessa Commissione. Si ritiene
che esiste sempre una posizione dominante in presenza di una quota di
mercato superiore al 70%; il possesso di una quota compresa tra il 70%
e il 40% può costituire una posizione dominante, se sussistono altri
elementi che ne fanno prevedere la capacità di durare e di irrobustirsi
nel tempo, quali la grande distanza rispetto al titolare della seconda
quota, la notevole polverizzazione delle altre quote di mercato, la
presenza di barriere all’ingresso (capacità finanziarie, sovvenzioni
pubbliche, capacità tecniche - brevetti, ricercatori - e commerciali marchi, pubblicità) ecc.
La Corte di giustizia ha definito la posizione dominante come una
situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene
è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva
sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità tenere comportamenti
alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti
e in ultima analisi dei consumatori. Una posizione dominante può anche
essere detenuta da piú imprese indipendenti che si presentino sul
mercato come una sola entità, nel senso che i loro comportamenti
rispetto a fornitori, clienti e consumatori sono durevolmente paralleli
in ragione di particolari vincoli societari o contrattuali. Tale ipotesi si
definisce “posizione dominante collettiva” ed è frequente nei mercati
oligopolistici. Se i comportamenti adottati risultano abusivi, sono
considerati illeciti. Per valutare la posizione delle imprese si opera il
c.d. test di dominanza, composto dai seguenti fattori: quote di mercato
detenute dall’impresa sul mercato in cui opera; carattere durevole delle
elevate quote di mercato detenute; presenza di barriere all’entrata di
tipo legislativo, regolamentare, economico o inerenti al funzionamento
del mercato; l’integrazione verticale; il potere finanziario, ossia il fatto
che la potenza economica permette all’impresa dominante di essere
estremamente flessibile ed elastica nei confronti dei concorrenti.
d) L’abuso di posizione dominante. In generale la Corte di giustizia ha
stabilito che un abuso ricorre quando il comportamento sia atto ad
influire sulla struttura concorrenziale del mercato, abbia una natura
tale da farlo risultare improprio in quanto posto in atto con mezzi
difformi da quelli su cui si basa la concorrenza normale, non vi sia alcuna
giustificazione oggettiva che lo motivi ed abbia l’effetto di ostacolare il
mantenimento o lo sviluppo della concorrenza esistente. In virtú della sua
connotazione oggettiva, lo sfruttamento abusivo prescinde dal fatto che
l’impresa abbia agito intenzionalmente in pregiudizio della concorrenza
o delle categorie di soggetti di cui all’art. 82 Tratt. CE. La clausola
generale del divieto di abuso è affiancata da un elenco esemplificativo e
non esaustivo di tipici comportamenti abusivi (artt. 82, § 2,Tratt. CE): a)
3. La seconda fattispecie di condotta anticoncorrenziale disciplinata dal
Trattato è quella che viene definita come abuso di posizione dominante.
Ai sensi dell’art. 82, § 1,Tratt. CE è incompatibile con il mercato comune
e vietato nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio
fra Stati membri lo sfruttamento abusivo da parte di una o piú imprese
di una posizione dominante sul predetto mercato comune o su una
parte sostanziale di esso.
a) Il pregiudizio al commercio intracomunitario. La formula «pregiudizio al
commercio tra gli Stati membri» esprime una norma sulla competenza,
per la quale ogni fattispecie priva di tale portata rientra nel campo di
applicazione della legislazione nazionale.
b) Il mercato rilevante. Il mercato rilevante dal punto di vista del prodotto
si ha quando vi è concorrenza effettiva tra i prodotti che ne fanno
parte, ciò che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità per
lo stesso uso fra tutti i prodotti che fanno parte dello stesso mercato.
Il mercato rilevante dal punto di vista geografico si ha quando vi è una
zona geografica ben definita, nella quale il prodotto in questione è in
III
imporre prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione
non eque o eccessivamente gravose; b) limitare la produzione, gli
sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) applicare
nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per
prestazioni equivalenti (comportamenti discriminatori); d) subordinare
la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti
di prestazioni supplementari che non abbiano alcun nesso con l’oggetto
dei contratti stessi (contratti a prestazioni abbinate o contratti leganti).
Alle fattispecie di abuso di posizione dominante non si possono
concedere esenzioni, né individuali né per categoria.
A differenza dell’art. 81 Tratt. CE, l’art. 82 non prevede alcuna sanzione
civilistica per i contratti stipulati in violazione del divieto. Considerata
la diretta applicabilità dello stesso negli Stati membri, il contratto
può essere dichiarato interamente o parzialmente nullo in base alla
disciplina dell’ordinamento interno.
[DOTT. GIUSEPPE G. LUCIANI]
L’abuso di posizione dominante e le
intese vietate
Nella determinazione di abuso di posizione dominante ci sono due
aspetti: la posizione dominante, aspetto oggettivo e l’abuso, aspetto
soggettivo, ossia legato al comportamento dell’impresa come dall’art.3
della Legge 10 ottobre 1990 n.287 recante “Norme per la tutela della
concorrenza e del mercato” più nota come legge antitrust che si rifà al
Trattato istitutivo della Comunità europea (ora Unione europea).
La posizione dominante è una situazione di potenza economica grazie
alla quale l’impresa che la detiene può ostacolare la persistenza di
una concorrenza effettiva sul mercato e può tenere comportamenti
alquanto indipendenti verso i suoi concorrenti, verso i suoi clienti ed
in ultima analisi anche verso i consumatori. Siffatta posizione non è
di monopolio perchè non esclude una certa concorrenza, ma pone
l’impresa se non di decidere, almeno di influire notevolmente sul modo
in cui si svolge la concorrenza stessa, con l’effetto di comportarsi
senza doverne tenere conto e senza che, per questo motivo, simile
condotta le arrechi pregiudizio. Per esempio, quanto più è cospicua la
quota di mercato che detiene l’impresa, tanto essa diviene controparte
obbligatoria, godendo di una grande indipendenza di comportamento,
oppure imponendo a tutte le altre imprese una determinata strategia di
prezzo o determinate caratteristiche del prodotto.
Nella maggior parte dei casi la presenza di una
posizione dominante induce progressivamente le
altre imprese operanti in quella stessa area di
mercato a specializzarsi su settori più ridotti,
oppure a cedere il controllo sulla proprietà
alla azienda dominante, che in questo modo
si rafforza ulteriormente. Tutto questo
può condurre al c.d. “abuso di posizione
dominante”, che è un illecito la cui
fattispecie si concretizza nel caso
in cui l’impresa dominante operi
utilizzando il proprio potere economico con l’espressa intenzione di
schiacciare ed eliminare la concorrenza.
Dunque, gli elementi di una posizione dominante non sono
necessariamente di per sè illeciti, ma causano una situazione di mercato
che il Legislatore vuole scongiurare perchè a lungo andare dannosa per
l’economia.
L’abuso di posizione dominante sussiste per la legge quando all’interno
del mercato od in una sua parte rilevante è presente in modo abusivo
su iniziativa di una o più imprese lo sfruttamento di una posizione
dominante sul mercato comune o su di una frazione sostanziale di
IV
questo.
La legge n.287/90 prevede norme che vietano l’esistenza di intese che in
modo diretto oppure indiretto possano influenzare il comportamento
delle imprese concorrenti nel mercato o possano impedire il corretto
svolgimento dei meccanismi concorrenziali, andando a creare o
sfruttando una posizione dominante. Tali intese sono accordi (sia
espressi che taciti) tra due o più imprese diretti alla fissazione dei
prezzi e alla spartizione del mercato o comunque all’adozione di tutte
quelle pratiche che permettono di assumere una posizione dominante
nel mercato in cui operano. Tali accordi sono vietati nei paesi aderenti
alla CE (UE) nella misura in cui possano pregiudicare il commercio
tra gli Stati membri e abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della libera concorrenza. Lo scopo di
questi accordi è quello di assicurare che ciascuna impresa sul mercato
determini indipendentemente dalle altre le proprie strategie e la propria
condotta. L’art. 2, riprendendo la formulazione dell’art. 85 del Trattato
di Roma, definisce intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra
imprese, nonché le deliberazioni di consorzi, associazioni di imprese ed
altri organismi similari. Le intese sono vietate quando hanno per oggetto
o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il
gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o di una sua
parte rilevante, proprio come nel caso di abuso di posizione dominante,
in quanto sovente rappresentano un mezzo per il raggiungimento di
tale posizione
Le intese sono orizzontali o verticali: le prime sono messe in atto
dai partecipanti ad uno stesso mercato; le seconde riguardano stadi
successivi della produzione e della vendita di un prodotto o servizio,
per es. gli accordi di distribuzione. Le intese possono prendere la
forma di accordi o di pratiche concordate. C’è accordo quando esiste
un’intenzione comune delle parti, cioè le imprese, per comportarsi in
un certo modo tra loro e limitare la loro libertà d’azione all’interno del
mercato al fine di perseguire tale intenzione.
Le pratiche concordate, invece, sono un’insieme di comportamenti
paralleli tra le imprese interessate che collaborano tra loro in maniera
coordinata, limitando il grado di indipendenza economica di ciascuna
delle imprese coinvolte.
Infatti, l’art. 2 della legge antitrust chiarisce che “sono considerate
intese” una serie di comportamenti, come gli accordi, le pratiche
concordate ed addirittura le deliberazioni di consorzi ed associazioni
di imprese. Essi sono vietati se hanno “per oggetto o per effetto di
ridurre o falsare
in modo consistente il gioco della
concorrenza...”. Pertanto se al di là
della loro veste giuridico formale,
tali attività in realtà mirano ad
eliminare
ovvero
addirittura
eliminano o riducono la autonomia
di mercato dei soggetti che le
compiono, esse integrano l’illecito
di cui si tratta. La norma si conclude,
al n. 3, con la perentoria statuizione:
“le intese vietate sono nulle ad
ogni effetto”. L’elencazione del n.
2 dell’art. 2 in parola, considerata
esemplificativa,
consente all’interprete di delineare i tipi dei
comportamenti anticompetitivi, i quali sono già indicati nell’art.81 del
Trattato dell’Unione Europea (ex art.85 Ce) contenente un elenco non
esaustivo delle intese vietate: 1) quelle che determinano direttamente
od indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita o di altre condizioni
di transazione; 2) quelle che limitano e/o controllano la produzione, gli
sbocchi sul mercato, gli investimenti, etc, etc...; 3) quelle che regolano
la ripartizione dei mercati o le fonti di approvvigionamento; 4) quelle
che discriminano i concorrenti per svantaggiarli; 5) quelle contenenti
l’obbligo di conclusione dei contratti all’accettazione di prestazioni
supplementari, non collegate all’oggetto dei contratti stessi.
Bisogna precisare che ai sensi dell’art.2596 del codice civile è possibile
alle parti porre dei limiti contrattuali alla concorrenza purchè il patto
che la limita sia provato per iscritto, circoscritto ad una determinata
zona od attività e non duri più di cinque anni, diversamente è invalido e
se la durata supera il quinquennio, si riduce comunque a cinque anni.
Al fine di evitare che la realtà della libera concorrenza venga alterata sia
a livello comunitario, sia a livello nazionale è vietata la concentrazione di
imprese qualora due o più imprese procedano alla loro fusione o quando
uno più soggetti che detengono il controllo di un’impresa acquisiscano
il controllo di altre quando il fatturato supera notevolmente i livelli
imposti per legge.
Altresì, l’art. 33 della legge n. 287/90 disciplina la concorrenza sleale e
tutela il consumatore pregiudicato o comunque influenzato da condotte
restrittive della concorrenza, così come chiunque abbia interesse
alla conservazione del carattere competitivo del mercato, snaturato
o diminuito da intese vietate. Infatti, il consumatore, per merito
dell’interpretazione di tale norma da parte della Corte di Cassazione
può esperire giudizialmente l’azione di accertamento e conseguente
dichiarazione di nullità di intese vietate poste in essere dalle imprese,
nonché il risarcimento del danno.
Una deroga al divieto delle intese restrittive della concorrenza è
prevista dall’art. 4 legge antitrust, che consente l’autorizzazione da
parte dell’Autorità di intese o categorie di intese che ai sensi dell’art. 2
dovrebbero essere considerate vietate in quanto restrittive della libertà
di concorrenza. La disposizione ammette la possibilità di autorizzazioni
in deroga relativamente ad accordi che comportino miglioramenti
nelle condizioni di offerta sul mercato (in termini di aumento della
produzione, di miglioramento qualitativo della produzione o della
distribuzione, di progresso tecnico o tecnologico) da cui derivino
benefici sostanziali per i consumatori.
[AVV. ILARIA BROVARONE]
LE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E LA
PUBBLICITA’ OCCULTA
Il Dlgs n. 146/07 ha introdotto il nuovo concetto di pratica commerciale
scorretta ampliando quello di pubblicità ingannevole, già disciplinato
dal Codice del Consumo. Le nuove regole si applicano alle pratiche
commerciali poste in essere prima, durante e dopo un’operazione
commerciale relativa ad un prodotto o a un servizio. La pratica
commerciale è qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione
commerciale, compresa la pubblicità e la commercializzazione del
prodotto, posta in essere da un professionista per promuovere,
vendere o fornire un servizio o un bene al consumatore. Pertanto,
sono sottoposti alla regolamentazione vigente, non solo la pubblicità
ma anche comunicazioni, promozioni, offerte, preventivi e contratti.
Le pratiche commerciali sono parte integrante del mercato, in quanto
permettono di mettere in relazione più velocemente la domanda e
l’offerta, ma non tutti i comportamenti posti in essere dai professionisti
sono leciti. La normativa speciale in materia è intervenuta proprio
per prevenire e punire i comportamenti sleali ( ergo scorretti) degli
imprenditori commerciali. Per quanto riguarda la tutela dei fruitori
finali dei beni o servizi l’art. 19 del Cod. cons., nella sua formulazione
attuale, stabilisce che la disciplina in materia di pratiche commerciali
scorrette, si applica ai rapporti che si instaurano fra il consumatore ed il
professionista, nel caso in cui il primo sia fuorviato nelle proprie scelte
dalle pratiche scorrette del professionista. Il successivo art. 20 Cod.
Cons., al I comma, introduce il divieto, per i professionisti, di ricorrere
alle pratiche commerciali scorrette.
La stessa norma definisce scorrette tutte le pratiche commerciali
FUNZIONI
contrarie alla diligenza professionale, ovvero al grado
DELL’AUTORITA’
di buona fede e correttezza che i consumatori si
GARANTE
attendono che vengano applicate nei loro confronti
dal professionista; false o idonee a falsare in misura apprezzabile il
comportamento economico del consumatore, in relazione al prodotto,
vale a dire quando, volutamente, alterano la capacità del consumatore
di scegliere consapevolmente e lo indirizzano verso una “ decisione
commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
Il nostro legislatore con quest’espressione ha inteso riferirsi non solo
alla scelta del consumatore se stipulare o meno un contratto con il
professionista, ma anche a tutti i patti aggiuntivi e clausole che regolano
il rapporto contrattuale, come le modalità di pagamento, i tempi di
consegna, etc.. Relativamente al consumatore, occorre specificare,
che l’art.20 Cod. Cons., distingue fra consumatore “medio”, il quale
normalmente è attento ed avveduto, ed è in grado di scegliere con
consapevolezza, ed il consumatore particolarmente vulnerabile alla
pratica commerciale ed al prodotto ad essa riferita. Tale distinzione
rileva a seconda che la pratica commerciale, ritenuta scorretta, si
indirizzi ad un gruppo o alla generalità dei consumatori. Nel primo caso
la pratica commerciale sarà valutata prendendo come riferimento il
consumatore medio, attento ed avveduto; nel secondo caso, bisognerà
valutare se fra i potenziali fruitori del prodotto e servizio possono
esserci persone particolarmente vulnerabili ( è il caso degli anziani o
dei minori ) alla pratica cui si riferisce il prodotto o il servizio. In questo
caso la scorrettezza della pratica commerciale va valutata prendendo
come modello il consumatore medio vulnerabile. In sostanza viene
sanzionata la pubblicità che, risultando ingannevole, può pregiudicare
il comportamento economico dei soggetti ai quali è rivolta, ovvero è
idonea a ledere un concorrente.
Secondo la nuova norma in materia, esistono due tipi di pratiche
commerciali scorrette: le “pratiche ingannevoli” (art. 21, che possono
consistere in “azioni ingannevoli”, oppure in “omissioni ingannevoli”,
secondo il successivo art. 22) e le “pratiche aggressive” (art. 24), che
inducono il consumatore ad assumere decisioni di natura commerciale,
che diversamente non avrebbe preso, attraverso molestie, coercizione
o altre forme di indebito condizionamento. E’ importante rilevare
che la nuova disciplina individua specificamente una serie di pratiche
ingannevoli (art. 23) e di pratiche aggressive (art. 26) che sono
considerate tali di per sé, senza il bisogno di dimostrare la loro idoneità
a falsare le scelte del consumatore.
Fra le pratiche commerciali, volte al collocamento sul mercato di un
prodotto o di un servizio, rientra la pubblicità.A tale riguardo, nonostante
le norme del Dlgs n.146/07 abbiano riscritto il Codice del Consumo,
la regola di trasparenza della pubblicità, precedentemente espressa
nell’art.23 del Cod. Cons., continua a valere, ed è indicata nell’art.5del
Dlgs n.145/07 che, come detto, disciplina la pubblicità ingannevole e
comparativa illecita, nei rapporti fra imprese. Continua, pertanto, ad
essere illecita e vietata la pubblicità che non è riconoscibile come
tale, occulta o subliminale. L’espressione “ pubblicità occulta”, indica
una forma di propaganda impersonale, attraverso la quale è possibile
promuovere un prodotto. La più comune forma di promozione
pubblicitaria non palese la ritroviamo nei film e nelle trasmissioni
televisive, dove spesso si vedono marchi di abbigliamento, alimenti,
autovetture etc. In molti paesi europei e negli Stati Uniti, questa
forma di propaganda è consentita. La legislazione italiana, invece,
come appena spiegato, vieta categoricamente questa forma
di pubblicità, la quale non è che una forma di pubblicità
ingannevole, che ha il potere di sconvolgere il corretto
svolgersi delle regole del mercato ed è per questo che
la legge mira a salvaguardare, non solo i consumatori,
ma anche gli operatori economici concorrenti.
Questa forma di comunicazione consente, in
modo subdolo, di raggiungere non solo
la propria clientela, ma di ampliarla
V
attraverso degli investimenti contenuti, rispetto a quelli effettuati per
i messaggi pubblicitari palesi. Purtroppo, quella della pubblicità occulta
è una pratica molto diffusa nel nostro Paese. Il veicolo maggiormente
usato, da questa forma di pratica commerciale, è principalmente quello
della televisione e del cinema. I motivi per i quali ci si affida ai media
è semplice, in primo luogo la televisione permette di promuovere,
occultamente il prodotto, ad un vasto numero di potenziali consumatori,
inoltre, spesso il prodotto è reclamizzato da personaggi famosi che,
grazie alla loro popolarità riescono ad influenzare il pubblico. Ebbene
tali messaggi pubblicitari sono vietati, proprio perché contravviene il
principio in base al quale la pubblicità deve essere palese, veritiera e
corretta, trasparente. La pubblicità occulta, per contro, è ingannevole,
perché può pregiudicare il comportamento economico dei soggetti
ai quali è rivolta, o ledere un concorrente e pertanto anch’essa va
debitamente sanzionata. A tale riguardo, l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, secondo la nuova disciplina, può, sia per
le pratiche commerciali scorrette che per la pubblicità ingannevole e
comparativa, nonché per la pubblicità occulta, avviare i procedimenti
anche d’ufficio, ha poteri investigativi, con la facoltà di sanzionare
l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non
veritieri, può effettuare ispezioni ed avvalersi della Guardia di finanza,
disporre perizie. L’AGCM può inibire la continuazione dell’attività
contestata, disporre la pubblicazione di dichiarazioni rettificative a spese
dell’impresa responsabile e irrogare sanzioni pecuniarie che vanno da
5.000 a 500.000 euro. Se la pratica riguarda prodotti pericolosi o può
minacciare, anche indirettamente, la sicurezza di bambini o adolescenti,
la sanzione minima è di 50.000 euro. In caso di inottemperanza ai
provvedimenti dell’Autorità la sanzione va dai 10.000 ai 150.000 euro.
[AVV. PAOLA BOETI]
La pubblicità ingannevole e
comparativa
La disciplina della pubblicità ingannevole è ora contenuta nel d.lgs. n.
145/07. L’articolo 2, lett. a) del decreto medesimo, la cui formulazione
testuale è rimasta sostanzialmente identica a quella un tempo inserita
nell’articolo 20, lettera a) cod. cons. (e prima ancora nell’articolo 2,
del d.lgs. n. 74/1992), chiarisce innanzi tutto che per “pubblicità” deve
intendersi quel messaggio destinato alla “diffusione”, cioè rivolto ad
una cerchia di soggetti più o meno ampia, strumentale alla promozione
di beni o servizi ed in grado di stimolare e indurre i destinatari a
concludere tutti quei contratti cui il messaggio si riferisce. Inoltre la
“diffusione” deve avvenire nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o
professionale.
La lett. b) del medesimo articolo, invece,
individua come “ingannevole” quella
pubblicità che “in qualunque modo” sia
idonea ad “indurre in errore” i destinatari
ai quali è rivolta (o che essa comunque
raggiunge) e che, a causa del suo carattere
ingannevole, sia in grado di pregiudicarne
il comportamento economico o sia, per
questo motivo, capace di ledere gli interessi
di un concorrente dell’imprenditore che se
avvale.
Invece per verificare i requisiti di
“ingannevolezza” della pubblicità devono
prendersi in esame tutti gli elementi
di valutazione individuati dall’art. 3
del d.lgs cit., ed in particolare quelli
VI
relativi alle caratteristiche dei beni o dei servizi (ad esempio la loro
disponibilità, la natura, l’esecuzione, la composizione, il metodo e la
data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli usi, la
quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale, o i risultati
che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche
fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi).
Devono inoltre prendersi in considerazione i prezzi ed il modo in cui
questi sono calcolati e le condizioni alle quali i beni o i servizi sono
forniti. In ultimo occorre riferirsi alla categoria, alle qualifiche e ai diritti
dell’operatore pubblicitario (ad esempio l’identità, il patrimonio, le
capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto
su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti).
Il d.lgs n. 145/07, oltre ad occuoaesi di pubblicità ingannevole, si
preoccupa di disciplinare i limiti in cui può dirsi ammessa nel nostro
ordinamento la c.d. “pubblicità comparativa”, vale a dire quella modalità
di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri
beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti.
L’art. 4 del d.lgs cit. prescrive che la pubblicità comparativa per poter
essere considerata lecita, in primo luogo, non deve essere “ingannevole”.
In secondo luogo non deve generare “confusione” tra i beni e i servizi
offerti, ma deve consentire una comparazione oggettiva dei prodotti e
non causare discredito o denigrazione di marchi o di altri segni distintivi
dei concorrenti.
L’art. 8 del d.lgs in
parola, analogamente
all’27 cod. cons. (che
dispone in materia di
pratiche commerciali
scorrette), prevede un
procedimento inibitorio
e
sanzionatorio
che si instaura e
si
svolge
dinanzi
all’Autorità
garante
della concorrenza e
del mercato. La novità
introdotta dall’art. 8 prevede che il procedimento sia azionabile anche
d’ufficio (quindi non solo su istanza di parte) e che la legittimazione
sia riconosciuta genericamente ad ogni soggetto e organizzazione
che vi abbia interesse. Il co. 3 del medesimo articolo prevede poi che
l’apertura dell’istruttoria debba essere comunicata al professionista. E’
prevista anche la possibilità da parte dell’Antitrust di irrogare sanzioni
amministrative che variano da 5.000 a 500.000 euro a seconda della
gravità della violazione riscontrata. L’inasprimento delle sanzioni
amministrative è stato mitigato dall’introduzione dell’istituto della
conciliazione, che non era prevista nell’art. 26 del cod. cons., potendo
così il professionista responsabile assumere l’impegno di porre fine
all’infrazione, cessando la diffusione della
pubblicità o modificandola eliminando i
profili di illegittimità.
Il co. 7 dell’art. 8 anche più sopra citato
prevede la possibilità di pubblicare
l’assunzione di impegno del professionista
de quo a sue spese, divenendo gli impegni
giuridicamente vincolanti solo dopo che
l’Autorità ne dispone l’accettazione. Se
risulti inadempiente agli obblighi presi con
l’Autorità il professionista proponente potrà
essere soggetto ad una multa oscillante tra i
5.000 e i 150.000 euro.
[SARA RUBALDO]
I Poteri cautelari e sanzionatori
dell’Antitrust. Le decisioni con impegni
ed il programma di clemenza
Con l’entrata in vigore della Legge 4 agosto 2006 n. 248 (legge
di conversione del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, c.d. Decreto Bersani
sulle Liberalizzazioni), l’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (l’“AGCM” o “Antitrust”) si è vista riconoscere, finalmente,
quei poteri cautelari, istruttori e sanzionatori che da tempo erano
attribuiti alla Commissione europea (nelle sue funzioni di organo
preposto alla tutela della normativa antitrust comunitaria) e alle
autorità antitrust dei principali paesi europei ed extracomunitari.
In particolare, ai sensi dell’art. 14 della Legge 248/2006, la legge antitrust
italiana,che ha altresì istituito l’AGCM (Legge 10 ottobre
1990, n. 287), è stata integrata con i seguenti articoli:
Articolo
14-bis
–
Misure
cautelari
“1. Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave
e irreparabile per la concorrenza, l’Autorità può, d’ufficio,
ove constati ad un sommario esame la sussistenza di
un’infrazione, deliberare l’adozione di misure cautelari.
2. Le decisioni adottate ai sensi del comma 1 non
possono essere in ogni caso rinnovate o prorogate.
3. L’Autorità, quando le imprese non adempiano
a una decisione che dispone misure cautelari, può infliggere sanzioni
amministrative pecuniarie fino al 3 per cento del fatturato.”
Articolo
14-ter
–
Impegni
“1.Entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento
della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82
del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno
i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità
di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli
obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.
2. L’Autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi
obbligatori ai sensi del comma 1 può irrogare una sanzione
amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato.
3. L’Autorità
può
d’ufficio
riaprire
il
procedimento
se:
a) si modifica la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione;
b) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti;
c)
la
decisione
si
fonda
su
informazioni
trasmesse
dalle parti che sono incomplete inesatte o fuorvianti”.
Articolo 15, comma 2-bis – Programma di clemenza
“L’Autorità, in conformità all’ordinamento comunitario, definisce con
proprio provvedimento generale i casi in cui, in virtù della qualificata
collaborazione prestata dalle imprese nell’accertamento di infrazioni alle
regole di concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non
applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario”.
I POTERI CAUTELARI E SANZIONATORI
L’Autorità, dunque, dispone ora di nuovi poteri cautelari da esercitare
d’ufficio (dunque, anche inaudita altera parte) preventivamente o durante
l’istruttoria avviata per l’accertamento di una condotta anticoncorrenziale
vietata ai sensi degli artt. 2 o 3, Legge 287/1990, e 81 o 82 del Trattato CE.
L’esercizio
di
tale
potere,
tuttavia,
è
subordinato
alla
sussistenza
di
due
condizioni:
1. L’urgenza ovvero il rischio di un danno grave ed irreparabile per la
concorrenza qualora la condotta anticoncorrenziale - alla quale la misura
cautelare deve essere applicata - non venga neutralizzata in tempi brevi.
2. La probabile sussistenza di una infrazione degli artt. 2 o
3, Legge 287/1990, o degli artt. 81 o 82 del Trattato Cee.
La tipologia di misure cautelari che possono essere disposte
dall’AGCM, in presenza delle suddette condizioni e non avendo
limitazioni, debbono essere le più idonee alla neutralizzazione di una
FUNZIONI
probabile condotta anticoncorrenziale (ovviamente, per
DELL’AUTORITA’
il tempo necessario a fare piena luce su tale condotta
GARANTE
e, se necessario, fino alla conclusione dell’istruttoria).
L’unica
limitazione
al
potere
cautelare
è
dato
dal
fatto che in nessun caso le misure disposte ai sensi
dell’art. 14-bis potranno essere rinnovate o prorogate.
Infine, allo scopo di dare forza coercitiva alle misure cautelari disposte
dall’Autorità, il terzo comma dell’art. 14-bis stabilisce che quando
un’impresa non adempia ad una decisione dell’AGCM, che dispone
misure cautelari, quest’ultima può infliggere una sanzione pecuniaria
fino al limite del 3% del fatturato realizzato nell’anno precedente
dall’impresa stessa.
L’art. 14-bis, inoltre, ha lasciato inalterato il potere della Corte d’Appello
competente per territorio di ricevere ricorsi per la concessione di misure
cautelari nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 33, L. 287/1990.
Infatti, ai sensi di tale ultimo articolo, “i ricorsi
intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in
relazione alla violazione delle disposizioni di
cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti
alla Corte d’Appello competente per territorio”.
Questa competenza concorrente in materia
cautelare potrebbe creare dubbi interpretativi:
infatti, l’art. 14-bis L. 287/1990 prevede che la
sola Autorità possa esercitare d’ufficio il proprio
potere cautelare ma non stabilisce se tale potere
possa essere o meno azionato da una specifica domanda delle parti
interessate; inoltre, se si tiene presente che l’art. 33 prevede già la
possibilità per le parti interessate di rivolgersi alla Corte d’Appello
competente per territorio per ottenere i provvedimenti d’urgenza
necessari, si potrebbe concludere che il potere cautelare previsto
dall’art. 14-bis è azionabile solo d’ufficio da parte dell’Autorità, non
potendo quest’ultima ricevere eventuali domande dalle parti interessate.
Tuttavia, appare preferibile interpretare le due norme in questione
come norme tra loro assolutamente concorrenti, attribuendo
pertanto all’AGCM il compito di ricevere e valutare le eventuali
richieste di misure cautelari presentate dalle parti interessate
nelle questioni antitrust più complicate (in virtù della sua maggiore
competenza in materia concorrenziale), lasciando alle Corti d’Appello
il compito di ricevere e valutare le eventuali richieste di misure
cautelari nell’ambito delle questioni antitrust meno complicate.
Quest’ultima soluzione appare confermata anche dalla lettura
dell’art. 5, Reg. 1/2003 il quale stabilisce che “le autorità garanti
della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare
gli articoli 81 e 82 del trattato in casi individuali. A tal fine, agendo
d’ufficio o in seguito a denuncia, possono (…) disporre misure cautelari”
GLI IMPEGNI
L’art. 14-ter, L. 287/1990 introduce nell’ambito della normativa antitrust
italiana uno strumento ben noto alla prassi della Commissione europea.
A livello comunitario, infatti, l’art. 9, paragrafo 1, Reg. 1/2003 stabilisce che
“qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e
le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle
preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione
preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti
impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata
per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione
che l’intervento della Commissione non è più giustificato”
In ambito comunitario, la c.d. “commitment procedure”
prevista dal citato art. 9, Reg. 1/2003, è stata applicata
per la prima volta nel settembre del 2004 quando
la Commissione europea ha pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GUUE)
gli impegni assunti dalla Ligaverband
in merito alla commercializzazione
dei diritti di trasmissione del
VII
campionato di calcio tedesco (la Bundesliga).
Allo stesso modo, anche l’Autorità, quando si troverà a dover
analizzare delle condotte tendenzialmente anticoncorrenziali
alla luce degli artt. 2 o 3 della L. 287/1990, potrà accettare gli
eventuali impegni proposti dalle parti “indagate” al fine di “far
venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria”.
E’ necessario evidenziare che la disciplina nazionale, a differenza di
quanto previsto in ambito comunitario, prevede un periodo limite
di “tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria” per la
presentazione degli impegni; ne consegue che scaduto tale termine,
le imprese sotto indagine non potranno più presentare impegni.
Nel caso, invece, di impegni presentati nel rispetto del suddetto termine,
l’AGCM dovrà valutare l’idoneità di tali impegni a fare venire meno i profili
anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria e, qualora tale valutazione dia
esito positivo, potrà rendere tali impegni obbligatori per le imprese che li
hanno proposti e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.
Gli impegni proposti dalle imprese “indagate” potranno
essere di tipo comportamentale (ad esempio, con l’impegno
di
cessare
determinati
comportamenti
anticoncorrenziali)
oppure strutturali (ad esempio, con l’impegno di dimettere
una o più attività/rami d’azienda in favore di terzi concorrenti).
Pertanto, la proposizione e l’accettazione degli impegni produce
l’effetto di chiudere l’istruttoria avviata dall’AGCM per l’accertamento
e l’eventuale sanzionamento di condotte anticoncorrenziali; ne
consegue che le imprese in odore di sanzione per condotte
anticoncorenziali, potranno optare per una particolare forma di
ravvedimento operoso proponendo all’AGCM impegni volti a
neutralizzare i profili di anticoncorrenzialità evidenziati dall’AGCM.
Una volta accettati dall’AGCM, gli impegni diventano obbligatori per le
imprese che li hanno proposti, con la conseguenza che in caso di loro
violazione da parte di tali imprese, l’Autorità, che vigilerà sul rispetto
dei medesimi impegni, potrà comminare alle imprese una sanzione
amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato di ciascuna impresa.
Infine, l’accettazione degli impegni non preclude all’AGCM
la possibilità di riaprire il procedimento nei confronti
delle imprese che hanno proposto tali impegni qualora:
1) si sia modificata la situazione di fatto rispetto
ad
un
elemento
su
cui
si
fonda
la
decisione;
2) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti;
3) la decisione si fonda su informazioni incomplete, inesatte o fuorvianti.
IL PROGRAMMA DI CLEMENZA
Come visto, ai sensi dell’art. 15, comma 2-bis, L. 287/1990, l’AGCM
“in conformità all’ordinamento comunitario, definisce con proprio
provvedimento generale i casi in cui, in virtù della qualificata collaborazione
prestata dalle imprese nell’accertamento di infrazioni alle regole di
concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non
applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario”.
Tale disposizione rappresenta una importantissima novità per
la disciplina antitrust italiana e può costituire una validissimo
strumento nell’individuazione e nel sanzionamento di cartelli segreti.
In generale, infatti, i programmi di clemenza, come applicati a livello
comunitario e dalle autorità antitrust dei principali Paesi UE, prevedono
l’immunità totale per la prima impresa che rivela all’autorità antitrust
competente l’esistenza di un cartello segreto (di cui tale impresa
denunciante fa parte) ottenendo come premio per la sua collaborazione
l’immunità totale oppure una sensibile riduzione delle sanzioni previste
dalla normativa antitrust di riferimento; a ciò si aggiunga che sono
previste riduzioni delle sanzioni anche per le imprese che non sono
state le prime a svelare l’esistenza di un cartello di cui fanno parte.
[AVV. STEFANO FRESCHI]
VIII
TIM Concorso “Vinci 4 Fiat 500” 300.000
euro di sanzione da parte dell’AGCM
Provvedimento n. 19624 pubblicato in Bollettino n. 11 del 6 aprile 2009
Normativa di riferimento:
Artt. 20 e segg. Codice del Consumo - D. Lgs. 6 settembre 2005 n. 206
Il procedimento che di seguito verrà sinteticamente illustrato è da
intendersi come significativo spunto di riflessione sui frequentissimi
interventi dell’AGCM nel settore delle pratiche commerciali
scorrette,
con particolare riferimento al settore delle
telecomunicazioni.
Nel marzo 2009 a seguito di un’istruttoria
piuttosto articolata, ma conclusasi in un tempo
ragionevolmente breve, l’AGCM ha emesso un
doveroso provvedimento sanzionatorio per la condotta
posta in essere dalla società Telecom Italia S.p.A., in relazione
alla promozione del concorso “Tim 4 500 al giorno”, realizzatasi attraverso
l’invio sul telefono cellulare dei propri utenti di messaggi SMS, consistenti
in ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali volte a spingere alla
partecipazione al concorso, nonché attraverso spot pubblicitari diffusi
sulle principali emittenti televisive, nel periodo intercorrente tra il 2 e il
20 settembre 2008.
Dalle risultanze istruttorie è emerso chiaramente che la società Telecom
Italia S.p.A. ha promosso la partecipazione al concorso attraverso spot
pubblicitari e attraverso SMS inviati agli utenti senza fornire adeguate
informative su natura, caratteristiche e costi del concorso stesso. In
particolare, per partecipare al citato concorso, l’utente doveva inviare
al numero 4500 un SMS con la seguente indicazione “FIAT”, al costo di
1,20 euro. Tale invio permetteva la possibilità di scaricare una suoneria
scelta dall’utente. Dalla documentazione acquisita, è emerso altresì che,
successivamente al primo invio, l’utente riceveva ulteriori SMS recanti
alcune semplici domande alle quali rispondere per aumentare le
possibilità di vincere una delle quattro Fiat 500 in palio. Ogni risposta
ai semplici quesiti prevedeva un addebito per il consumatore pari a
1,20 euro, circostanza quest’ultima che non emerge dagli SMS inviati alla
clientela.
In particolare TIM inviava un primo SMS dal seguente contenuto:
“Sorpresa! Vuoi una delle 4 FIAT500 che TIM regala oggi? Allora invia FIAT
al 4500 e puoi vincere la tua già stasera! Acquisti 1 contenuto. 1,2E/SMS
Reg. 4500.it”,
a cui seguivano ulteriori SMS incentivanti dal seguente tenore:
“4 FIAT 500! Hai XX punti=10 chance nel primo sorteggio! Invia il tuo nome
al 4500: ricevi altri 10 punti, entri anche nel secondo! Acquisti 1 contenuto.
4500.it”,
oppure
“Hai XX punti per la prima 500 del dì! Invia il tuo nome al 4500 e passi
alla storia: prendi 10 punti, vai pure per la seconda 500! Acquisti 1 contenuto.
4500.it”
L’AGCM avviava quindi il procedimento poiché il comportamento
sopra descritto avrebbe potuto integrare un’ipotesi di violazione degli
articoli 20, 21, comma 1, con particolare riferimento alle lettere a),
b) e d), 22, 24, 25 e 26, lettera f), del Decreto Legislativo n. 206/05,
in quanto contrario alla diligenza professionale ed idoneo a limitare
considerevolmente, o addirittura escludere, la libertà di scelta o di
comportamento del consumatore medio in relazione al servizio offerto.
In particolare, la pratica commerciale indicata poteva considerarsi
ingannevole ed omissiva in quanto ai consumatori non sarebbero state
fornite informazioni esatte e complete circa la natura, le caratteristiche,
gli oneri da sostenere e le condizioni del concorso, in modo da indurli
in errore e ad assumere una decisione di natura commerciale che non
avrebbero altrimenti preso. Tale pratica poteva considerarsi altresì
aggressiva in quanto idonea a limitare considerevolmente la libertà di
scelta o di comportamento dei consumatori.
Inoltre i suddetti SMS venivano inviati in maniera massiva anche a color
che non avevano aderito ad alcun servizio, nella misura
variabile da 1 a 5 SMS alla settimana, ed in diversi casi
senza che fosse stato prestato alcun consenso all’invio
di informazioni commerciali. Circostanza che rileva
anche sotto diversi altri profili di illiceità.
TIM presentava quindi le proprie memorie e, al fine
di evitare un provvedimento d’urgenza da parte
dell’AGCM, provvedeva in data 20 settembre 2008
a sospendere gli spot pubblicitari ed a modificare
il contenuto degli SMS inviati, rendendo gli stessi
comprensibili per gli utenti.
Al termine del procedimento, in cui è stato richiesto da
parte dell’AGCM anche il parere dell’Autorità Garante
per le Comunicazioni, è stato riscontrato che la pratica
posta in essere da TIM in relazione alla promozione
del concorso “Tim 4 500 al giorno” deve considerarsi
censurabile sotto due profili:
1.Prospettazione
ingannevole
delle
modalità di partecipazione al concorso ed
omissioni rilevanti riscontrate negli SMS incentivanti
Per quanto riguarda lo spot pubblicitario:
si è rilevato che attraverso l’espressione “acquista una suoneria e puoi
vincere quattro 500 al giorno per cento giorni”, si fa senza dubbio ritenere
all’ascoltatore che tramite l’acquisto di una suoneria, inviando un SMS al
numero predisposto, sia possibile partecipare all’estrazione di quattro
autovetture Fiat 500.
Alla luce delle informazioni acquisite, al contrario, è emerso che il sistema
dell’estrazione prevede la predisposizione di quattro urne virtuali,
in cui confluiscono i dati relativi ai clienti che hanno appunto inviato il
messaggio SMS per partecipare al concorso. In particolare, nella prima
urna vengono inseriti i numeri dei clienti che hanno acquistato un
contenuto; nella seconda urna i numeri dei clienti che hanno acquistato
almeno due contenuti e cosi via fino alla quarta urna. In conclusione, i
clienti che hanno acquistato più contenuti e risposto correttamente ai
quesiti ottengono iscrizioni multiple nei relativi database, disponendo di
maggiori chance di vincita dei premi in palio in ciascuna estrazione.
È evidente quindi che, sotto tale aspetto, lo spot pubblicitario appare
scorretto in quanto difetta del requisito della veridicità delle informazioni
da ritenersi essenziali. L’indicazione, infatti, della circostanza che l’invio di
un SMS permetta di concorrere all’estrazione di quattro
autovetture non risponde al vero. Attraverso l’affermazione
“acquista una suoneria e puoi vincere quattro 500 al giorno per cento giorni”,
il consumatore è indotto a credere che acquistando una suoneria lo stesso
parteciperà all’estrazione di quattro autovetture 500, quando in realtà
attraverso l’invio di un SMS è possibile partecipare all’estrazione di una
sola autovettura. Ciò in considerazione del fatto che, come sottolineato
in precedenza e come emerge anche dal regolamento, l’invio di un solo
SMS dà la possibilità al partecipante di essere introdotto nella sola prima
urna virtuale e pertanto concorrere alla vincita dell’unica autovettura per
quella estrazione.
Per quanto riguarda gli SMS:
dall’espressione contenuta negli SMS inviati “Sorpresa! Vuoi una delle 4
FIAT500 che TIM regala oggi? Allora invia FIAT al 4500 e puoi vincere la
tua già stasera! Acquista 1 contenuto. 1,2E/SMS Reg 4500.it”, si rileva che
anche per gli SMS valgono le medesime conclusioni, in merito all’idoneità
ad indurre in errore i consumatori, effettuate per lo spot pubblicitario.
Pertanto, sotto tale aspetto, gli SMS pubblicitari, inviati agli utenti almeno
fino al 20 settembre 2008, appaiono scorretti in quanto difettano del
requisito della veridicità delle informazioni da ritenersi essenziali e
pertanto sono idonei a falsare il comportamento economico.
Ma le violazioni di maggior gravità sono senza ombra di dubbio riconducibili
ai successivi SMS, cosiddetti “incentivanti” che venivano spediti una volta
risposto al primo SMS. Dall’espressione “4 FIAT 500! Hai XX punti=10
chance nel primo sorteggio! Invia il tuo nome al 4500: ricevi altri 10 punti,
entri anche nel secondo! Acquisti 1 contenuto. 4500.it” si rileva che la stessa,
nonché le altre analoghe, sono del tutto inidonee a garantire una corretta
e trasparente informazione per i consumatori. Si ritiene,
FUNZIONI
infatti, che il testo del messaggio inoltrato agli utenti TIM
DELL’AUTORITA’
a seguito dell’avvio del meccanismo del concorso sia
GARANTE
omissivo in ordine al costo di 1,2 euro che il
consumatore deve sostenere per rispondere ai semplici
quesiti. Tale informazione appare del tutto essenziale al fine di garantire
una corretta percezione del costo della suoneria acquistata e della
conseguente possibilità di partecipare al concorso. La mancata indicazione
del costo, in combinato con il complesso sistema di sponsorizzazione
ed incentivazione, si è concretizzata in una perdita di credito rilevante
per il consumatore. Si ritiene, dunque, che TIM abbia completamente
disatteso quell’onere minimo di chiarezza e completezza informativa che
deve caratterizzare le comunicazioni commerciali, e tanto più quelle nel
settore delle telecomunicazioni, caratterizzato da un continuo proliferare
di proposte, offerte e iniziative commerciali sempre più articolate, con il
conseguente disorientamento che questo determina nel consumatore, già
penalizzato da una forte asimmetria informativa a favore degli operatori
di mercato.
2.
Modalità aggressive di sollecitazioni commerciali
alla partecipazione al concorso
In diversi casi si è accertato che i consumatori hanno lamentato di non
aver mai dato il consenso alla ricezione di tali SMS promozionali. In
molti altri casi, invece, i consumatori hanno lamentato di aver ricevuto
tali sollecitazioni alla partecipazione al concorso de quo contestualmente
alla ricezione del messaggio di avvenuta ricarica. In tutti questi episodi è
evidente la mancanza del consenso alla ricezione, nonché la ripetitività
ed insistenza delle sollecitazioni commerciali da parte di TIM, e detta
pratica, che si sostanzia in “ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali
per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di
comunicazione a distanza”, ai sensi dell’articolo 26, comma 1, lettera c), del
Codice del Consumo, è considerata aggressiva.
Dall’analisi di alcuni tabulati è emerso che tali sollecitazioni sono state
ripetute in numero cospicuo addirittura attraverso un “bombardamento”
di sollecitazioni con plurimi invii giornalieri ed un numero molto elevato
di SMS per ciascuna settimana, anche ad utenti che non avevano mai
partecipato al concorso de quo.
Per i motivi di cui innanzi la pratica commerciale in esame è risultata
scorretta ai sensi dell’articolo 20, commi 1 e 2, del Codice del Consumo,
in quanto contraria alla diligenza professionale, idonea a falsare il
comportamento del consumatore ed in particolare ingannevole ai sensi
dell’articolo 21 e 22 del Codice, nella misura in cui, tenuto conto di tutte
le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di
comunicazione impiegato, ha omesso di fornire informazioni rilevanti di cui
il consumatore necessitava per prendere una decisione consapevole, o ha
fornito informazioni non rispondenti al vero, così inducendolo ad assumere
una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
La pratica commerciale è risultata inoltre aggressiva ai sensi degli artt.
24 e 25 del Codice del Consumo, nella misura in cui mediante indebito
condizionamento è risultata tale da limitare o escludere la libertà di scelta
in ordine alla reale volontà di prestare il consenso all’attivazione del
servizio proposto, inducendo i consumatori ad assumere una decisione
che non avrebbero altrimenti preso.
L’AGCM ha pertanto deliberato che:
a) la pratica commerciale descritta al punto II del presente
provvedimento, posta in essere dalla società Telecom Italia S.p.A.,
costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una
pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli
20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26, lettera c), del Decreto Legislativo
n. 206/05, e ne vieta l’ulteriore diffusione;
b) alla società Telecom Italia S.p.A. sia irrogata una
sanzione amministrativa pecuniaria di
300.000 € (trecentomila euro).
[AVV. LUIGI MARTIN]
IX
L’ANTITRUST EUROPEA MULTA INTEL PER
ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE
Lo scorso maggio l’organo esecutivo dell’organismo comunitario, la
Commissione Europea, ha deciso di irrogare
una sanzione pecuniaria senza precedenti
al colosso californiano INTEL, accusato di
aver danneggiato milioni di consumatori
europei per aver praticato abuso di posizione
dominante nel mercato dei microprocessori
x86 nei primi anni del 2000.
L’indagine della Commissione Europea nei confronti delle pratiche
commerciali del gigante di Santa Clara è stata avviata nel lontano
2001 su reclamo di AMD, azienda concorrente, che è stata vittima del
comportamento anticoncorrenziale di Intel limitandosi a produrre, nel
2008, solamente il 12% del cuore dei Personal Computers a fronte di
più dell’80% dell’avversario.
Dall’attività di ispezione dell’Antitrust Europea emerge come l’azienda
accusata abbia deliberatamente escluso i propri concorrenti dal
mercato, in un primo momento offrendo sconti fedeltà a produttori
di computers
perchè questi acquistassero in toto o quasi i Cpu (microprocessori)
di cui necessitavano, ed, infine, successivamente effettuando pagamenti
illeciti al distributore Media-Saturn-holding (che in Italia è proprietario
di MediaWorld) al fine di pretendere la vendita esclusiva di computers
che utilizzavano solo processori Intel. In altri casi, infine, l’azienda
californiana disponeva pagamenti a produttori di PC per ottenere
il ritardo o addirittura la cancellazione del lancio di un prodotto
informatico dotato di un processore AMD.
La storica decisione della Direzione Generale per la Concorrenza
della Commissione Europea non solo ha accertato le pratiche illegali
attuate da Intel, ma l’ha anche sanzionato con una multa salatissima
che ammonta a 1,06 miliardi di euro, superando di gran lunga il record
detenuto fino allo scorso maggio da Microsoft, a cui è stata irrogata
una sanzione pecuniaria di 899 milioni di euro. Intel dovrà versare
immediatamente nelle casse dell’UE l’importo della multa che gli è stata
data, ma per il momento si tratta di un mero deposito cautelativo in
quanto il portavoce dell’azienda, Paul Otellini, ha ufficialmente dichiarato
che Intel ricorrerà in appello ritenendo di non aver violato alcuna legge
europea. Purtroppo il giudizio d’appello potrebbe concludersi solo tra
diversi mesi, e di conseguenza si aspetta tale momento per confermare
la multa stabilita dall’UE oppure restituire, eventualmente ad Intel, la
somma versata se sarà giudicato differentemente rispetto a questa
prima decisione.
Peraltro si deve evidenziare che il potere sanzionatorio della
Commissione Europea può addirittura prevedere una sanzione pari
al 10% dei ricavi dell’anno fiscale precedente, mentre nel caso in
questione, avendo Intel fatturato nello scorso anno 37.6 miliardi di euro,
la punizione inflitta ammonta a più del 4% dei ricavi del 2008. Si tratta,
purtuttavia, di una somma ragguardevole.
Ulteriore conseguenza per l’azienda che ha violato obblighi derivanti
dal diritto comunitario è l’ imposizione della cessazione di pressioni su
partner quali Acer, Hewlet Packard, Dell, Lenovo e NEC, per impedire
dunque di limitare l’offerta di AMD sul mercato informatico.
Questo importantissimo provvedimento della Commissione Europea,
risultato di una lunga e dettagliata indagine, evidenzia lo sforzo dell’UE
di garantire il rispetto delle norme comunitarie esercitando un potere
di controllo e sanzionatorio sui privati, siano essi singoli individui o
imprese, in modo da assicurare un’effettiva attività di tutela e promozione
della concorrenza, reprimendo intese restrittive e l’abuso di posizione
dominante di aziende che impediscono al singolo consumatore di poter
compiere un acquisto consapevole valutando i diversi prodotti che il
X
mercato offre e soprattutto qualità e convenienza degli stessi.
Peraltro Intel non è stata sanzionata solo dall’UE per le scorrette e
illegali pratiche commerciali adottate. Infatti, è già stata condannata
sia dall’Antitrust della Korea (che ha inflitto una multa di circa 25.4
milioni di dollari) che da quella giapponese, con l’accusa di aver violato
la legge antitrust di questi Paesi. Negli Stati Uniti, invece, è ancora
in corso un’indagine sul colosso californiano da parte della Federal
Trade Commission (FTC) e dal procuratore generale newyorkese per
accertare l’abuso di posizione monopolistica.
[SARA RUBALDO]
Antitrust sanziona pratica
commerciale scorretta segnalata da
Confconsumatori
A seguito di una relazione inviata da Confconsumatori Emilia Romagna
e da Federconsumatori Belluno, l’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato ha riconosciuto come pratica commerciale scorretta
l’attività di Eurokontat s.r.l., una società di Padova che, tramite
telemarketing, tra aprile e luglio 2008, contattava consumatori offrendo
buoni sconto gratuiti per acquisti in fantomatici punti vendita “di
prossima apertura”.
Tale offerta si è rivelata, in primo luogo, ingannevole: le informazioni
date ai consumatori contattati telefonicamente e poi incontrati presso
le loro abitazioni, erano inesatte e incomplete, dal momento che il
buono era tutt’altro che gratuito e che la sua consegna comportava
la sottoscrizione di un vero e proprio contratto di acquisto, con
conseguenti vincoli economici capestro, oltretutto in negozi inesistenti.
In secondo luogo, la pratica è stata riconosciuta come aggressiva, perché
limitava la libertà di comportamento dei consumatori contattati con
offerte mai richieste. Le persone venivano chiamate dai call center della
società, seguendo istruzioni ben precise: individuare solo categorie di
cittadini più facilmente “ingannabili”.
A causa dei comportamenti volutamente scorretti della stessa società,
i consumatori non sono stati messi nelle condizioni di conoscere,
sin dalla prima proposta telefonica, le condizioni effettive dell’offerta,
ma sono stati indotti a credere, invece, alla totale gratuità dei buoni
sconto e alle informazioni inesatte su prezzo e oneri da sostenere, che
venivano loro date.
Accertati questi presupposti e avvalendosi anche del parere dell’AGCOM
(Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni) nel corso del procedimento
istruttorio, l’Antitrust ha vietato l’ulteriore diffusione della pratica e
comminato una sanzione di 170.000 € ad Eurokontat s.r.l..
Si tratta di un importante risultato ottenuto grazie all’attività di
Confconsumatori Emilia Romagna, che ha ricevuto numerose
segnalazioni contro la società padovana. “Grazie al Codice del Consumo,
questo provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
ha un triplice valore: 1) condanna il comportamento illegale e scorretto di
un’azienda commerciale; 2) va incontro ai tanti commercianti onesti che
responsabilmente svolgono correttamente il loro lavoro; 3) aiuta i consumatori
ad essere più attenti e farsi tutelare dalle associazioni dei consumatori per
risolvere i loro problemi” afferma Secondo Malaguti, responsabile di
Confconsumatori Emilia Romagna.
[AVV. ELENA CONTINI]
Tutela del consumatore a seguito
dei provvedimenti di condanna
dell’antitrust
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è titolare di
alcuni poteri in materia di tutela della concorrenza e del mercato,
in particolare detiene poteri di indagine relativamente alle intese
restrittive della concorrenza ed all’abuso di posizione dominante
delle imprese. Stante la sanzione di nullità prevista per le “intese tra
imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza”, ci si chiede quali
effetti comportino i provvedimenti dell’Antitrust che sanciscono la
nullità di tali comportamenti nei confronti dei contratti c.d. “a valle”
in quanto stipulati dalle imprese con i consumatori in esecuzione del
comportamento “a monte” vietato.
La dottrina si è interessata della questione proponendo alcune soluzioni
che prospettano conseguenze diverse.
Dapprima è stata sostenuta la tesi della nullità del “contratto a valle” quale
conseguenza della nullità sancita per l’intesa anticoncorrenziale. Questa
soluzione, dal punto di vista applicativo, può risultare di scarsa utilità
dal momento che la nullità di un contratto – anche se “di protezione”,
cioè sollevabile solo dal contraente debole - travolge tutti gli effetti
dello stesso, comportando la restituzione delle prestazioni nell’intento
di riportare le parti nella situazione preesistente alla conclusione del
contratto, in quanto possibile.
Altra dottrina ha individuato nell’annullabilità la conseguenza di tale
sanzione, giustificando tale rimedio, tipico dei contratti stipulati con
volontà dei contraenti viziata, proprio per il fatto che il contraente
debole versasse in stato di errore o soggiacesse al comportamento
doloso, manifestando così una volontà viziata, dell’impresa sanzionata
dall’Antitrust.
Correlativamente è stata messa in rilievo la possibile operatività dell’art.
1337 che imponendo alle parti di comportarsi, nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del
contratto, secondo buona fede,
è la base della responsabilità
precontrattuale
nella
quale
incapperebbe l’impresa.
Una ricostruzione tendente a
mantenere in vita il contratto,
assicurando però una tutela
risarcitoria al consumatore, fa
applicazione della disciplina degli
effetti del dolo incidentale sul
contratto, come previsto dall’art.
1440: “Se i raggiri non sono stati tali
da determinare il consenso, il contratto
è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse;
ma il contraente in mala fede risponde dei danni”. Deve, però, essere
dimostrato in concreto il comportamento “raggirante” dell’impresa,
attività non sempre facile, soprattutto se si considera la moltitudine dei
soggetti appartenenti alla rete commerciale dell’impresa.
Una dottrina isolata ha sostenuto la rescindibilità del contratto e la sua
possibile correzione ad opera dell’autorità giudiziaria, in ottemperanza
all’affermato principio di “giustizia oggettiva” del contratto, mentre è
stata generalmente ritenuta applicabile l’azione residuale di ingiustificato
arricchimento ex art. 2033 c.c. che, però, prevede un complesso onere
probatorio.
Pensiero comune della dottrina è, sempre, quello di assicurare al
consumatore anche un rimedio risarcitorio secondo la disciplina della
responsabilità extracontrattuale.
A fronte delle tesi prospettate dalla dottrina, la giurisprudenza di
legittimità ha avuto modo di affrontare la questione giungendo, quanto
all’individuazione delle azioni esperibili, ad esiti diversi, almeno fino alla
pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207 del 4 febbraio 2005.
La normativa di riferimento deve rinvenirsi nella legge
FUNZIONI
287 del 1990 che all’art. 33, comma 2, prevede che “Le
DELL’AUTORITA’
azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi
GARANTE
intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla
violazione delle disposizioni
di cui ai titoli dal I al IV
sono promossi davanti alla
corte d’appello competente
per territorio”: questa,
come si vedrà, è l’unica
norma civile nell’àmbito
della normativa antitrust
nazionale
che,
pur
tuttavia, non specifica
quali soggetti e con
quali modalità si può
procedere ad attivare
tali tutele.
La Corte di Cassazione si è pronunciata in materia
nell’àmbito dei procedimenti risarcitori promossi dai
consumatori nei confronti delle compagnie assicuratrici colpevoli
– secondo il provvedimento dell’Antitrust n. 8546 del 28 luglio 2000
- di avere concluso un’intesa atta a “restringere e falsare il gioco della
concorrenza nei mercati nazionali dell’assicurazione auto”. La sentenza n.
17475 del 9 dicembre 2002 ha riconosciuto riservata alle imprese la
tutela prevista dall’art. 33 della legge 287/1990, affermando che “l’azione
risarcitoria eventualmente spettante (al consumatore finale), rivestirà, per ciò
stessa, i caratteri ordinari di un’ordinaria azione di responsabilità soggetta
agli ordinari criteri di competenza, e non quelli dell’azione ex art. 33, comma
2, della legge 287/90, rimessa, in quanto tale, alla cognizione esclusiva della
Corte di appello in unico grado di merito”.
È stata, pertanto, profilata una distinzione tra l’azione risarcitoria
promossa nei rapporti tra imprese (con applicazione dell’art. 33 legge
287/90 e competenza funzionale della Corte di appello) e quella
promossa dal consumatore finale che spetta alla cognizione del giudice
ordinario competente in base al valore della controversia.
Individuata la competenza, per lo più, dei giudici di pace, con alleviamento
delle spese per il contraente debole in virtù della possibilità di stare in
giudizio personalmente, cioè senza difesa tecnica, il giudice di legittimità
afferma che deve essere assolto da parte attrice il relativo onere della
prova con dimostrazione di tutti gli elementi del danno aquiliano:
l’ingiustizia del danno, la condotta colposa o dolosa dell’impresa, la
dimostrazione del danno in concreto ed il nesso di causalità tra la
condotta ed il danno provocato, evidenziando che il provvedimento
sanzionatorio dell’Antitrust non è sufficiente a fondare l’ingiustizia del
danno se non in astratto e che deve essere dimostrato in relazione al
caso concreto unitamente agli altri elementi.
Successivamente la Cassazione a Sezioni Unite con la citata sentenza
n. 2207/2005 è ritornata sull’argomento fornendo una soluzione
processuale completamente diversa, implementando, di fatto, le
difficoltà di vedere accolta la pretesa risarcitoria dei consumatori.Viene
evidenziato il collegamento funzionale tra l’intesa anticompetitiva ed
il “contratto a valle” con l’affermazione che “il contratto cosiddetto
a valle costituisce lo sbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli
effetti. Esso, in realtà, oltre ad estrinsecarla, la attua” e qualificando
come “plurioffensivo” il comportamento anticoncorrenziale
dell’impresa, che viene così a determinare la nullità anche del
“contratto a valle”.
Proprio in base a questa interdipendenza necessaria la
Cassazione ha affermato che la legge 287/90 detta
norme a tutela della libertà di concorrenza dirette
non solo agli imprenditori, ma anche agli altri
soggetti del mercato, tra i quali il consumatore
finale, il quale può agire in base all’art. 33,
c. 2, per esercitare la descritta azione
di nullità e di risarcimento del
XI
danno, imponendo la competenza funzionale della Corte di appello, con
necessità di assistenza legale tecnica.
Viene, d’altro canto, ribadita l’antigiuridicità del danno causato da
un’intesa anticoncorrenziale: “innanzi alla Corte d’appello deve essere
allegata un’intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità ed altresì il suo
effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l’interesse ad agire dell’attore”
ex art. 100 c.p.c. Si conferma, pertanto, la necessaria allegazione
delle prove degli elementi costitutivi del danno extracontrattuale, in
ossequio al principio generale dell’art. 2697 c.c., cioè il comportamento
doloso, o quanto meno colposo, dell’impresa, la quantificazione del
danno effettivamente concretatosi ed il nesso eziologico tra condotta
e danno.
Le Sezioni unite, inoltre, nell’accogliere la tesi della nullità e del
risarcimento del danno hanno rigettato la possibilità di esperire la
richiesta restitutoria ex art. 2033 c.c., dal momento che sarebbe
comunque necessario provvedere all’allegazione di un fatto illecito
perché si possa giungere alla declaratoria di nullità di un’intesa
anticoncorrenziale e del contratto stipulato quale effetto dell’intesa
stessa.
Le successive pronunce di legittimità (si veda Cass. 23 agosto 2005
n. 17112 e Cass. 13 febbraio 2009 n. 3640) hanno invece ammesso
la richiesta restitutoria per indebito oggettivo pur ribadendo la
competenza funzionale della Corte di appello.
[AVV. LAURA CAVANDOLI]
EFFETTI DEI PROVVEDIMENTI DI CONDANNA
DELL’ ANTITRUST PER PUBBLICITÁ
INGANNEVOLE SUI CONTRATTI STIPULATI
CON I CONSUMATORI
Tra le nuove competenze affidate all’Antitrust dai decreti legislativi 145 e
146 del 2007 - che recepiscono le direttive comunitarie 2006/114/CE
e 2005/29/CE - unitamente a quella in materia di pratiche commerciali
scorrette, vi è il controllo delle imprese che fanno pubblicità ingannevole
e comparativa.
Il codice del consumo, infatti,
assicura ai consumatori ed agli
utenti, come diritti fondamentali,
quello ad un’adeguata informazione
e ad una corretta pubblicità (art. 2,
c. 2, lett. c).
Recentemente la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite con
la sentenza n. 794 del 15 gennaio
2009, si è pronunciata proprio in materia di tutela risarcitoria del
consumatore derivante da un comportamento illegittimo di un’impresa
sanzionata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole.
Si tratta della richiesta di risarcimento del danno da fumo, in cui
l’attività illecita consisteva nell’apposizione del segno descrittivo “light”
su un pacchetto di sigarette, quale espressione diretta a presentare il
prodotto come meno nocivo.
La Suprema Corte enuncia due importanti principi di diritto, uno
processuale in materia di individuazione della giurisdizione e l’altro
sostanziale circa l’incidenza dell’onere probatorio.
Con riferimento alla prima questione, l’interpretazione sistematica
della norma attualmente contenuta nell’art. 27, c. 14, del Codice del
Consumo (“Ove la pratica commerciale sia stata assentita con provvedimento
amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non scorretto della
stessa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse, è
esperibile in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso
il predetto provvedimento”), superando il dettato letterale, individua
correttamente la sua portata, riconoscendo la giurisdizione del giudice
amministrativo solo in presenza di un provvedimento amministrativo
autorizzativo della pratica pubblicitaria che si vuole inibire. In tal
XII
FUNZIONI
caso, infatti, solo il giudice amministrativo
DELL’AUTORITA’
può pronunciarsi per invalidare un atto della
GARANTE
pubblica amministrazione.
Diversamente in caso di azione di un soggetto privato nei confronti di
un’impresa per ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale
dallo stesso subito in dipendenza di un comportamento illecito della
convenuta qualificato dall’Antitrust come pubblicità ingannevole. Questa
azione non ha per oggetto un provvedimento amministrativo, ma è
un’ordinaria azione tra privati in materia di responsabilità aquiliana,
che spetta alla competenza del giudice ordinario e non del giudice
amministrativo, né dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato, trattandosi quest’ultima non di organo giurisdizionale ma
di autorità amministrativa, come già affermato nella sentenza della
Cassazione, Sezioni Unite, del 6 aprile 2006 n. 7985.
Quanto alla competenza, la Suprema Corte ribadisce che deve
individuarsi il giudice da adire in base all’ordinario criterio del valore
della controversia, dovendosi escludere la cognizione delle sezioni
specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale.
Esaminato l’aspetto processuale e pregiudiziale, circa l’aspetto
sostanziale della richiesta risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c. per
pubblicità ingannevole, la Corte di Cassazione non fa che applicare in
subiecta materia i principi tipici della responsabilità extracontrattuale,
in primis quello relativo all’onere probatorio che, ai sensi dell’art. 2697
c.c., deve essere sopportato dalla parte attrice.
Ai fini dell’esperibilità dell’azione deve, pertanto, essere provata la
sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del danno ingiusto, così la
sentenza 794/2009 afferma il principio di diritto che “il consumatore che
lamenti di avere subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole
ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo
onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è
tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e
danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi
essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio
sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose”.
Nel caso sottoposto all’attenzione del giudice di legittimità, non si
dubita dell’ingiustizia del danno, trattandosi della violazione di ben due
diritti inviolabili del consumatore: quello alla libera scelta del prodotto,
tutelato dalla disciplina in materia di pubblicità ingannevole, e quello
alla salute in applicazione dell’art. 32 della Costituzione ed accolto
anche dal Codice del Consumo. Così, infatti, si afferma: “L’apposizione
sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato
ingannevole (nella specie il segno descrittivo “light” sul pacchetto di sigarette)
può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando
colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente
dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti
l’espressione impiegata”.
È stata, però, ritenuta insufficiente la prova degli altri elementi
costitutivi della responsabilità extracontrattuale, così come non
è parso sufficiente il mero richiamo alla decisione dell’Antitrust –
nel caso di specie il provvedimento 11809 del 13 marzo 2003
– per dimostrare l’ingiusta condotta dell’impresa convenuta,
dovendosi, appunto, dimostrare il danno effettivamente subito,
il nesso eziologico tra attività pubblicitaria e danno, oltre che
la condotta dolosa o quantomeno colposa dell’impresa nel
compimento dell’attività sanzionata dall’Antitrust.
[AVV. LAURA CAVANDOLI]
REALIZZAZIONE A CURA DI:
BOETI PAOLA, BROVARONE ILARIA, CAVANDOLI
LAURA, CONTINI ELENA, FRESCHI STEFANO, LUCIANI
GIUSEPPE, MARTIN LUIGI, RUBALDO SARA.
COORDINATORE:
LUCIANI GIUSEPPE
RESPONSABILE:
SECONDO MALAGUTI
L’INSERTO E’ STATO
REALIZZATO NELL’AMBITO
DEL PROGRAMMA GENERALE
DI INTERVENTO 2009 DELLA
REGIONE EMILIA-ROMAGNA
CON L’UTILIZZO DEI FONDI DEL
MINISTERO DELLO SVILUPPO
ECONOMICO
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