INSERTO A CURA DI CONFCONSUMATORI DELL’EMILIA ROMAGNA CHI PROTEGGE I NOSTRI DIRITTI NELLA GIUNGLA DEL MERCATO? LE FUNZIONI DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO (ANTITRUST) E LA TUTELA DEI CONSUMATORI L’Antitrust e la tutela degli interessi dei consumatori e del mercato Scriveva Giuliano Amato, alcuni anni or sono, che la funzione dell’Antitrust (l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato) è la stessa dell’arbitro di una partita di calcio: deve far rispettare le regole del gioco, in specie, le regole del gioco della concorrenza. Nel Trattato CE (artt. 4, 98 e 105) il principio della “libera concorrenza” è considerato la pietra angolare della politica economica comunitaria (v. Trattato CE - artt. 4, 98 e 105), e conforma di conseguenza anche la politica economica degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Nell’ordinamento italiano, invece, il regime concorrenziale trova una giustificazione primaria (sebbene indiretta) nell’art. 41 della Costituzione e nella “libertà dell’iniziativa economica”, sul presupposto che, evidentemente, l’iniziativa economica può ritenersi davvero “libera”, solo se è consentito a tutti gli operatori di accedere al mercato e di competere per distribuire i propri prodotti o servizi. Se, quindi, in un sistema economico il confronto virtuoso tra gli operatori è ritenuto un principio “fondamentale” e fors’anche una regola etica ancor prima che giuridica, ben si può comprendere, allora, quale importanza possa assumere la presenza di un “controllore” che verifichi ed intervenga ogni qual volta abusi od infrazioni possano comprometterne il corretto svolgimento, fino a limitarne e ad escluderne gli effetti, come nel caso di quell’imprenditore che affermandosi progressivamente sui propri concorrenti, prevalga su di questi, giungendo a collocarsi sul mercato come unico monopolista. Del resto la competizione concorrenziale non consiste in uno scontro diretto tra contendenti, dove uno predomina sull’altro, ma in un confronto parallelo dal quale emerge un “vincitore”. E’ un fenomeno sociale ed una necessità economica, che non deriva, pertanto, dalla ricezione di modelli naturali, ma che discende piuttosto direttamente dalla gara e dal gioco, con cui si confonde e che necessita, perciò, di regole in grado di consentirne la corretta realizzazione (Di Nella). Da qui la necessità di prevedere un organismo super partes che si assume l’onere di verificare costantemente la conformità di determinate condotte a requisiti legislativi. In Italia L’Antitrust è stata istituita dalla legge n. 287/90 (successivamente ed in diverse occasioni rimaneggiata dal legislatore), che le ha attribuito non solo un’indipendenza istituzionale indispensabile per operare efficacemente sul mercato, ma anche una serie incisiva di poteri istruttori e sanzionatori. All’Antitrust è affidato il compito di accertare lo sfruttamento abusivo della posizione dominante e di tutti quegli accordi tra le imprese diretti ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza. Tra le funzioni dell’Antitrust c’è anche quella di verificare ed inibire quei messaggi pubblicitari predisposti in modo tale da influenzare le scelte dei destinatari, inducendoli in errore o che effettuano una comparazione tra prodotti reperibili sul mercato non conforme ai dettati normativi (d.lgs 145/2007) e di disporre più in generale in materia di pratiche commerciali scorrette, vale a dire in tutte quelle operazioni contrarie alla diligenza professionale ed idonee a falsare il comportamento economico dei consumatori (artt. 20 ss. Codice del Consumo). E’ chiaro che dal corretto svolgersi del gioco concorrenziale ne traggano beneficio in primo luogo le imprese, che vengono spronate a perfezionarsi e ad innovarsi continuamente ed a perseguire un’efficienza economica che diversamente non raggiungerebbero. Parimenti non può mettersi in dubbio che da un regime concorrenziale falsato questi stimoli rimarrebbero disattesi. Inoltre, dal comportamento abusivo posto in essere da un’impresa dominate, o da una o più imprese d’intesa tra loro, i concorrenti deboli potrebbero patire un pregiudizio economico rilevante, dovuto proprio all’esercizio deprecabile di quelle pratiche vietate ed inique cui nolente sarebbero costretti a sottostare. Per altro verso,che la concorrenza si svolga secondo criteri di correttezza, è interesse anche dei consumatori che dalle pratiche abusive o dalle intese tra i concorrenti si troverebbero danneggiati, soprattutto per i maggiori costi che andrebbero a sostenere per l’acquisto di prodotti e servizi e per l’impossibilità di individuare quei beni di effettiva utilità e convenienza. Sotto quest’aspetto deve evidenziarsi come la funzione del consumatore sia più complessa di quella che normalmente gli si attribuisce. Infatti la scelta da questi eseguita con un determinato acquisto, non solo soddisfa il bisogno individuale di un singolo soggetto, ma adempie ad esigenze di ordine economico-sistematico primarie. Del resto in un sistema concorrenziale basato sul confronto, la preferenza accordata attiva quei meccanismi di selezione e d’incentivo capaci di influire sugli assetti del mercato. Ciò non è sfuggito al legislatore europeo prima (art. 153 Tratt. CE) ed a I quello “locale” poi (v. Codice del consumo) e spiega l’impegno profuso nel tutelare assiduamente gli “interessi dei consumatori” e nel promuovere tutte quelle iniziative dirette ad “assicurare loro un livello elevato di protezione”. La legge n. 287/90, per suo conto, riserva alle associazioni dei consumatori un ruolo di interlocutori privilegiati dell’Antitrust nella denuncia di quei comportamenti lesivi e nei procedimenti istruttori rivolti all’accertamento delle infrazioni ed all’Antitrust è riservata dal Codice del consumo la “Tutela amministrativa e giurisdizionale” (art. 27) dei consumatori in caso di pratiche commerciali scorrette poste in essere da un professionista. [DOTT. GIUSEPPE LUCIANI] La disciplina della concorrenza nel diritto dell’Unione Europea 1. Il sistema comunitario antitrust sancisce nel § 1 dell’art. 81 Tratt. CE che ogni comportamento restrittivo della concorrenza è da considerare sempre vietato, ferma restando la possibilità di deroghe, quando ricorrono le condizioni previste nel § 3. Le intese vietate sono nulle di pieno diritto secondo il disposto dell’art. 81, § 2,Tratt. CE. L’art. 82 Tratt. CE sanziona invece l’abuso di posizione dominante sul mercato da parte delle imprese. La disciplina relativa agli aiuti degli Stati membri alle imprese (art. 87 Tratt. CE) sanziona quei comportamenti di tali soggetti che sono rivolti a favorire indebitamente gli operatori nazionali a discapito di quelli comunitari (ad esempio, tramite la concessione di prestiti a fondo perduto, di vari incentivi, di sgravi fiscali o previdenziali ecc.), alterando cosí il gioco della concorrenza nel mercato interno. A parte sono altresì regolate le concentrazioni tra imprese (reg. n. 134/2004). 2. Secondo l’art. 81, § 1, Tratt. CE, sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi fra imprese, tutte le decisioni di associazioni d’imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Si procede ora all’analisi di tale disposizione. a) La nozione di impresa. Il soggetto preso in considerazione dall’art. II 81 Tratt. CE è qualificato come impresa oppure associazione di imprese. Entrambe le espressioni sono utilizzate in senso molto ampio in quanto comprendono ogni tipo e specie di soggetto economico, che abbia o meno fine di lucro, sia esso una società, un gruppo, un’associazione, una persona fisica, un soggetto di diritto pubblico e così via (ad esempio, un inventore indipendente che concedeva delle licenze di sfruttamento di brevetti relativi ad una sua invenzione, un professionista, un’organizzazione che produce servizi, una federazione sportiva, le società non profit che regolano i diritti degli autori e degli editori, gli ordini professionali, le aziende municipalizzate, le associazioni di categoria ecc.). La nozione in esame esprime dunque un concetto di impresa piú ampio di quella dell’art. 2082 cod. civ., giacché questa è considerata dalla prospettiva funzionale degli effetti che essa produce nel mercato interno. Al fine di non restringere arbitrariamente l’àmbito di applicazione dell’art. 81 Tratt. CE a discapito degli obiettivi che la concorrenza è chiamata a perseguire nel sistema comunitario, detto concetto è stato costruito in modo autonomo. Si ha cosí impresa ogni volta che ci si trovi di fronte ad un soggetto che svolga attività economica tale da poter ridurre, anche soltanto in potenza, la concorrenza sul mercato interno. b) Le nozioni di accordo, decisione e pratica concordata. Tutte le fattispecie considerate, ossia gli accordi le decisioni di associayioni di imprese e le pratiche concordate, sono accomunate sia dal fatto di comportare, in ogni caso, la rinuncia a competere in un regime di concorrenza, sia dal fatto di essere attuate da almeno due soggetti, che possono anche non essere dotati di personalità giuridica, purché siano giuridicamente ed economicamente distinti e caratterizzati da autonomia decisionale propria. L’accordo si ha tutte le volte che le imprese interessate abbiano espresso la comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo; affinché questa comune volontà sia rilevante ai sensi dell’art. 81 Tratt. CE, non devono esservi contratti aventi pieno effetto legale. In tale previsione rientrano sia gli accordi orizzontali (quelli conclusi tra imprese che operano nella stessa fase del processo economico con i quali le parti si impegnano a tenere il medesimo comportamento: ad esempio, accordo sui prezzi o sulla divisione del mercato), sia gli accordi verticali (quelli conclusi tra imprese che operano in stadi successivi del processo economico con i quali una parte si impegna nei confronti dell’altra a tenere un dato comportamento: ad esempio, distribuzione commerciale, concessione di vendita con clausola di esclusiva, clausola di vendita a prezzo imposto). Le pratiche concordate sono state definite come una forma di coordinamento tra imprese che, senza aver raggiunto lo stadio dell’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese a danno della concorrenza. Queste fattispecie sono individuate sulla base dei criteri del coordinamento e della collaborazione. L’art. 81, § 1, Tratt. CE elenca a fini meramente esemplificativi alcune categorie di accordi e/o comportamenti anticoncorrenziali, i quali possono consistere nel: 1) fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; 2) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi lo sviluppo tecnico o gli investimenti; 3) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; 4) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza (patti di boicottaggio); 5) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi (contratti a prestazioni abbinate, contratti leganti. Va precisato che il diritto comunitario ha sempre ritenuto irrilevanti le intese minori, ossia quelle che, considerate congiuntamente, detengano in ciascun mercato nazionale una quota dello stesso inferiore al 10%, se si tratta di intese orizzontali, o del 15%, se si tratta di intese verticali. c) Il pregiudizio al commercio tra gli Stati membri. Secondo gli artt. 81 e 82 Tratt. CE le pratiche restrittive della concorrenza devono essere suscettibili di pregiudicare il commercio fra gli Stati membri, ossia di sviare i flussi commerciali dal loro corso naturale. d) L’oggetto o l’effetto anticoncorrenziale. I suddetti comportamenti, come quelli previsti da qualsiasi altra intesa che abbiano per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, sono vietati qualora esplichino i loro effetti all’interno del mercato comune. e) Il mercato rilevante. Questo elemento deve essere individuato partendo dai profili del prodotto e della sua dimensione geografica. Ai fini della individuazione del mercato rilevante in senso merceologico, il diritto comunitario definisce principalmente un mercato in termini di intercambiabilità di prodotti dal lato della domanda. Il mercato rilevante in senso geografico è l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle zone geografiche contigue, giacché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse. f) Le esenzioni. Se un determinato comportamento anticoncorrenziale è, ciò non ostante, in grado di arrecare determinati vantaggi al mercato o agli stessi consumatori o utenti, allora questo sarà sottratto al divieto e considerato lecito. Questo è il senso dell’art. 81, § 3, Tratt. CE, il quale stabilisce che può essere concessa una deroga al divieto di intese restrittive della concorrenza, se ricorrono determinare condizioni positive e negative. In particolare, per essere sottratto al divieto l’accordo o la pratica concordata, per un verso, deve contribuire a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti, oppure a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori (imprese e consumatori) una congrua parte dell’utile che ne deriva (condizioni positive); per l’altro, deve evitare di imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obbiettivi e di consentire loro di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi (condizioni negative). La disapplicazione ex art. 81, § 3, Tratt. CE ha oggi luogo principalmente tramite l’«eccezione legale» in virtù della quale non è più richiesta una preventiva decisione di esenzione della Commissione per consentire alle imprese di attuare gli accordi altrimenti contrastanti con il divieto di cartelli. Il divieto di intese può essere dichiarato inapplicabile dalla Commissione anche tramite una esenzione per categoria contenuta in un apposito regolamento. FUNZIONI commercio e in cui le condizioni di concorrenza sono DELL’AUTORITA’ abbastanza omogenee da consentire di valutare l’effetto GARANTE della potenza economica dell’impresa in questione. c) La posizione dominante. La posizione dominante sul mercato, non esplicitata nell’art. 82 Tratt. CE, è stata formulata dalla Corte di giustizia in collaborazione con la dottrina e la stessa Commissione. Si ritiene che esiste sempre una posizione dominante in presenza di una quota di mercato superiore al 70%; il possesso di una quota compresa tra il 70% e il 40% può costituire una posizione dominante, se sussistono altri elementi che ne fanno prevedere la capacità di durare e di irrobustirsi nel tempo, quali la grande distanza rispetto al titolare della seconda quota, la notevole polverizzazione delle altre quote di mercato, la presenza di barriere all’ingresso (capacità finanziarie, sovvenzioni pubbliche, capacità tecniche - brevetti, ricercatori - e commerciali marchi, pubblicità) ecc. La Corte di giustizia ha definito la posizione dominante come una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e in ultima analisi dei consumatori. Una posizione dominante può anche essere detenuta da piú imprese indipendenti che si presentino sul mercato come una sola entità, nel senso che i loro comportamenti rispetto a fornitori, clienti e consumatori sono durevolmente paralleli in ragione di particolari vincoli societari o contrattuali. Tale ipotesi si definisce “posizione dominante collettiva” ed è frequente nei mercati oligopolistici. Se i comportamenti adottati risultano abusivi, sono considerati illeciti. Per valutare la posizione delle imprese si opera il c.d. test di dominanza, composto dai seguenti fattori: quote di mercato detenute dall’impresa sul mercato in cui opera; carattere durevole delle elevate quote di mercato detenute; presenza di barriere all’entrata di tipo legislativo, regolamentare, economico o inerenti al funzionamento del mercato; l’integrazione verticale; il potere finanziario, ossia il fatto che la potenza economica permette all’impresa dominante di essere estremamente flessibile ed elastica nei confronti dei concorrenti. d) L’abuso di posizione dominante. In generale la Corte di giustizia ha stabilito che un abuso ricorre quando il comportamento sia atto ad influire sulla struttura concorrenziale del mercato, abbia una natura tale da farlo risultare improprio in quanto posto in atto con mezzi difformi da quelli su cui si basa la concorrenza normale, non vi sia alcuna giustificazione oggettiva che lo motivi ed abbia l’effetto di ostacolare il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza esistente. In virtú della sua connotazione oggettiva, lo sfruttamento abusivo prescinde dal fatto che l’impresa abbia agito intenzionalmente in pregiudizio della concorrenza o delle categorie di soggetti di cui all’art. 82 Tratt. CE. La clausola generale del divieto di abuso è affiancata da un elenco esemplificativo e non esaustivo di tipici comportamenti abusivi (artt. 82, § 2,Tratt. CE): a) 3. La seconda fattispecie di condotta anticoncorrenziale disciplinata dal Trattato è quella che viene definita come abuso di posizione dominante. Ai sensi dell’art. 82, § 1,Tratt. CE è incompatibile con il mercato comune e vietato nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio fra Stati membri lo sfruttamento abusivo da parte di una o piú imprese di una posizione dominante sul predetto mercato comune o su una parte sostanziale di esso. a) Il pregiudizio al commercio intracomunitario. La formula «pregiudizio al commercio tra gli Stati membri» esprime una norma sulla competenza, per la quale ogni fattispecie priva di tale portata rientra nel campo di applicazione della legislazione nazionale. b) Il mercato rilevante. Il mercato rilevante dal punto di vista del prodotto si ha quando vi è concorrenza effettiva tra i prodotti che ne fanno parte, ciò che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità per lo stesso uso fra tutti i prodotti che fanno parte dello stesso mercato. Il mercato rilevante dal punto di vista geografico si ha quando vi è una zona geografica ben definita, nella quale il prodotto in questione è in III imporre prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque o eccessivamente gravose; b) limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti (comportamenti discriminatori); d) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi (contratti a prestazioni abbinate o contratti leganti). Alle fattispecie di abuso di posizione dominante non si possono concedere esenzioni, né individuali né per categoria. A differenza dell’art. 81 Tratt. CE, l’art. 82 non prevede alcuna sanzione civilistica per i contratti stipulati in violazione del divieto. Considerata la diretta applicabilità dello stesso negli Stati membri, il contratto può essere dichiarato interamente o parzialmente nullo in base alla disciplina dell’ordinamento interno. [DOTT. GIUSEPPE G. LUCIANI] L’abuso di posizione dominante e le intese vietate Nella determinazione di abuso di posizione dominante ci sono due aspetti: la posizione dominante, aspetto oggettivo e l’abuso, aspetto soggettivo, ossia legato al comportamento dell’impresa come dall’art.3 della Legge 10 ottobre 1990 n.287 recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” più nota come legge antitrust che si rifà al Trattato istitutivo della Comunità europea (ora Unione europea). La posizione dominante è una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene può ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato e può tenere comportamenti alquanto indipendenti verso i suoi concorrenti, verso i suoi clienti ed in ultima analisi anche verso i consumatori. Siffatta posizione non è di monopolio perchè non esclude una certa concorrenza, ma pone l’impresa se non di decidere, almeno di influire notevolmente sul modo in cui si svolge la concorrenza stessa, con l’effetto di comportarsi senza doverne tenere conto e senza che, per questo motivo, simile condotta le arrechi pregiudizio. Per esempio, quanto più è cospicua la quota di mercato che detiene l’impresa, tanto essa diviene controparte obbligatoria, godendo di una grande indipendenza di comportamento, oppure imponendo a tutte le altre imprese una determinata strategia di prezzo o determinate caratteristiche del prodotto. Nella maggior parte dei casi la presenza di una posizione dominante induce progressivamente le altre imprese operanti in quella stessa area di mercato a specializzarsi su settori più ridotti, oppure a cedere il controllo sulla proprietà alla azienda dominante, che in questo modo si rafforza ulteriormente. Tutto questo può condurre al c.d. “abuso di posizione dominante”, che è un illecito la cui fattispecie si concretizza nel caso in cui l’impresa dominante operi utilizzando il proprio potere economico con l’espressa intenzione di schiacciare ed eliminare la concorrenza. Dunque, gli elementi di una posizione dominante non sono necessariamente di per sè illeciti, ma causano una situazione di mercato che il Legislatore vuole scongiurare perchè a lungo andare dannosa per l’economia. L’abuso di posizione dominante sussiste per la legge quando all’interno del mercato od in una sua parte rilevante è presente in modo abusivo su iniziativa di una o più imprese lo sfruttamento di una posizione dominante sul mercato comune o su di una frazione sostanziale di IV questo. La legge n.287/90 prevede norme che vietano l’esistenza di intese che in modo diretto oppure indiretto possano influenzare il comportamento delle imprese concorrenti nel mercato o possano impedire il corretto svolgimento dei meccanismi concorrenziali, andando a creare o sfruttando una posizione dominante. Tali intese sono accordi (sia espressi che taciti) tra due o più imprese diretti alla fissazione dei prezzi e alla spartizione del mercato o comunque all’adozione di tutte quelle pratiche che permettono di assumere una posizione dominante nel mercato in cui operano. Tali accordi sono vietati nei paesi aderenti alla CE (UE) nella misura in cui possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della libera concorrenza. Lo scopo di questi accordi è quello di assicurare che ciascuna impresa sul mercato determini indipendentemente dalle altre le proprie strategie e la propria condotta. L’art. 2, riprendendo la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma, definisce intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese, nonché le deliberazioni di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. Le intese sono vietate quando hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o di una sua parte rilevante, proprio come nel caso di abuso di posizione dominante, in quanto sovente rappresentano un mezzo per il raggiungimento di tale posizione Le intese sono orizzontali o verticali: le prime sono messe in atto dai partecipanti ad uno stesso mercato; le seconde riguardano stadi successivi della produzione e della vendita di un prodotto o servizio, per es. gli accordi di distribuzione. Le intese possono prendere la forma di accordi o di pratiche concordate. C’è accordo quando esiste un’intenzione comune delle parti, cioè le imprese, per comportarsi in un certo modo tra loro e limitare la loro libertà d’azione all’interno del mercato al fine di perseguire tale intenzione. Le pratiche concordate, invece, sono un’insieme di comportamenti paralleli tra le imprese interessate che collaborano tra loro in maniera coordinata, limitando il grado di indipendenza economica di ciascuna delle imprese coinvolte. Infatti, l’art. 2 della legge antitrust chiarisce che “sono considerate intese” una serie di comportamenti, come gli accordi, le pratiche concordate ed addirittura le deliberazioni di consorzi ed associazioni di imprese. Essi sono vietati se hanno “per oggetto o per effetto di ridurre o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza...”. Pertanto se al di là della loro veste giuridico formale, tali attività in realtà mirano ad eliminare ovvero addirittura eliminano o riducono la autonomia di mercato dei soggetti che le compiono, esse integrano l’illecito di cui si tratta. La norma si conclude, al n. 3, con la perentoria statuizione: “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. L’elencazione del n. 2 dell’art. 2 in parola, considerata esemplificativa, consente all’interprete di delineare i tipi dei comportamenti anticompetitivi, i quali sono già indicati nell’art.81 del Trattato dell’Unione Europea (ex art.85 Ce) contenente un elenco non esaustivo delle intese vietate: 1) quelle che determinano direttamente od indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita o di altre condizioni di transazione; 2) quelle che limitano e/o controllano la produzione, gli sbocchi sul mercato, gli investimenti, etc, etc...; 3) quelle che regolano la ripartizione dei mercati o le fonti di approvvigionamento; 4) quelle che discriminano i concorrenti per svantaggiarli; 5) quelle contenenti l’obbligo di conclusione dei contratti all’accettazione di prestazioni supplementari, non collegate all’oggetto dei contratti stessi. Bisogna precisare che ai sensi dell’art.2596 del codice civile è possibile alle parti porre dei limiti contrattuali alla concorrenza purchè il patto che la limita sia provato per iscritto, circoscritto ad una determinata zona od attività e non duri più di cinque anni, diversamente è invalido e se la durata supera il quinquennio, si riduce comunque a cinque anni. Al fine di evitare che la realtà della libera concorrenza venga alterata sia a livello comunitario, sia a livello nazionale è vietata la concentrazione di imprese qualora due o più imprese procedano alla loro fusione o quando uno più soggetti che detengono il controllo di un’impresa acquisiscano il controllo di altre quando il fatturato supera notevolmente i livelli imposti per legge. Altresì, l’art. 33 della legge n. 287/90 disciplina la concorrenza sleale e tutela il consumatore pregiudicato o comunque influenzato da condotte restrittive della concorrenza, così come chiunque abbia interesse alla conservazione del carattere competitivo del mercato, snaturato o diminuito da intese vietate. Infatti, il consumatore, per merito dell’interpretazione di tale norma da parte della Corte di Cassazione può esperire giudizialmente l’azione di accertamento e conseguente dichiarazione di nullità di intese vietate poste in essere dalle imprese, nonché il risarcimento del danno. Una deroga al divieto delle intese restrittive della concorrenza è prevista dall’art. 4 legge antitrust, che consente l’autorizzazione da parte dell’Autorità di intese o categorie di intese che ai sensi dell’art. 2 dovrebbero essere considerate vietate in quanto restrittive della libertà di concorrenza. La disposizione ammette la possibilità di autorizzazioni in deroga relativamente ad accordi che comportino miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato (in termini di aumento della produzione, di miglioramento qualitativo della produzione o della distribuzione, di progresso tecnico o tecnologico) da cui derivino benefici sostanziali per i consumatori. [AVV. ILARIA BROVARONE] LE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E LA PUBBLICITA’ OCCULTA Il Dlgs n. 146/07 ha introdotto il nuovo concetto di pratica commerciale scorretta ampliando quello di pubblicità ingannevole, già disciplinato dal Codice del Consumo. Le nuove regole si applicano alle pratiche commerciali poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto o a un servizio. La pratica commerciale è qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione commerciale, compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista per promuovere, vendere o fornire un servizio o un bene al consumatore. Pertanto, sono sottoposti alla regolamentazione vigente, non solo la pubblicità ma anche comunicazioni, promozioni, offerte, preventivi e contratti. Le pratiche commerciali sono parte integrante del mercato, in quanto permettono di mettere in relazione più velocemente la domanda e l’offerta, ma non tutti i comportamenti posti in essere dai professionisti sono leciti. La normativa speciale in materia è intervenuta proprio per prevenire e punire i comportamenti sleali ( ergo scorretti) degli imprenditori commerciali. Per quanto riguarda la tutela dei fruitori finali dei beni o servizi l’art. 19 del Cod. cons., nella sua formulazione attuale, stabilisce che la disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette, si applica ai rapporti che si instaurano fra il consumatore ed il professionista, nel caso in cui il primo sia fuorviato nelle proprie scelte dalle pratiche scorrette del professionista. Il successivo art. 20 Cod. Cons., al I comma, introduce il divieto, per i professionisti, di ricorrere alle pratiche commerciali scorrette. La stessa norma definisce scorrette tutte le pratiche commerciali FUNZIONI contrarie alla diligenza professionale, ovvero al grado DELL’AUTORITA’ di buona fede e correttezza che i consumatori si GARANTE attendono che vengano applicate nei loro confronti dal professionista; false o idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore, in relazione al prodotto, vale a dire quando, volutamente, alterano la capacità del consumatore di scegliere consapevolmente e lo indirizzano verso una “ decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Il nostro legislatore con quest’espressione ha inteso riferirsi non solo alla scelta del consumatore se stipulare o meno un contratto con il professionista, ma anche a tutti i patti aggiuntivi e clausole che regolano il rapporto contrattuale, come le modalità di pagamento, i tempi di consegna, etc.. Relativamente al consumatore, occorre specificare, che l’art.20 Cod. Cons., distingue fra consumatore “medio”, il quale normalmente è attento ed avveduto, ed è in grado di scegliere con consapevolezza, ed il consumatore particolarmente vulnerabile alla pratica commerciale ed al prodotto ad essa riferita. Tale distinzione rileva a seconda che la pratica commerciale, ritenuta scorretta, si indirizzi ad un gruppo o alla generalità dei consumatori. Nel primo caso la pratica commerciale sarà valutata prendendo come riferimento il consumatore medio, attento ed avveduto; nel secondo caso, bisognerà valutare se fra i potenziali fruitori del prodotto e servizio possono esserci persone particolarmente vulnerabili ( è il caso degli anziani o dei minori ) alla pratica cui si riferisce il prodotto o il servizio. In questo caso la scorrettezza della pratica commerciale va valutata prendendo come modello il consumatore medio vulnerabile. In sostanza viene sanzionata la pubblicità che, risultando ingannevole, può pregiudicare il comportamento economico dei soggetti ai quali è rivolta, ovvero è idonea a ledere un concorrente. Secondo la nuova norma in materia, esistono due tipi di pratiche commerciali scorrette: le “pratiche ingannevoli” (art. 21, che possono consistere in “azioni ingannevoli”, oppure in “omissioni ingannevoli”, secondo il successivo art. 22) e le “pratiche aggressive” (art. 24), che inducono il consumatore ad assumere decisioni di natura commerciale, che diversamente non avrebbe preso, attraverso molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento. E’ importante rilevare che la nuova disciplina individua specificamente una serie di pratiche ingannevoli (art. 23) e di pratiche aggressive (art. 26) che sono considerate tali di per sé, senza il bisogno di dimostrare la loro idoneità a falsare le scelte del consumatore. Fra le pratiche commerciali, volte al collocamento sul mercato di un prodotto o di un servizio, rientra la pubblicità.A tale riguardo, nonostante le norme del Dlgs n.146/07 abbiano riscritto il Codice del Consumo, la regola di trasparenza della pubblicità, precedentemente espressa nell’art.23 del Cod. Cons., continua a valere, ed è indicata nell’art.5del Dlgs n.145/07 che, come detto, disciplina la pubblicità ingannevole e comparativa illecita, nei rapporti fra imprese. Continua, pertanto, ad essere illecita e vietata la pubblicità che non è riconoscibile come tale, occulta o subliminale. L’espressione “ pubblicità occulta”, indica una forma di propaganda impersonale, attraverso la quale è possibile promuovere un prodotto. La più comune forma di promozione pubblicitaria non palese la ritroviamo nei film e nelle trasmissioni televisive, dove spesso si vedono marchi di abbigliamento, alimenti, autovetture etc. In molti paesi europei e negli Stati Uniti, questa forma di propaganda è consentita. La legislazione italiana, invece, come appena spiegato, vieta categoricamente questa forma di pubblicità, la quale non è che una forma di pubblicità ingannevole, che ha il potere di sconvolgere il corretto svolgersi delle regole del mercato ed è per questo che la legge mira a salvaguardare, non solo i consumatori, ma anche gli operatori economici concorrenti. Questa forma di comunicazione consente, in modo subdolo, di raggiungere non solo la propria clientela, ma di ampliarla V attraverso degli investimenti contenuti, rispetto a quelli effettuati per i messaggi pubblicitari palesi. Purtroppo, quella della pubblicità occulta è una pratica molto diffusa nel nostro Paese. Il veicolo maggiormente usato, da questa forma di pratica commerciale, è principalmente quello della televisione e del cinema. I motivi per i quali ci si affida ai media è semplice, in primo luogo la televisione permette di promuovere, occultamente il prodotto, ad un vasto numero di potenziali consumatori, inoltre, spesso il prodotto è reclamizzato da personaggi famosi che, grazie alla loro popolarità riescono ad influenzare il pubblico. Ebbene tali messaggi pubblicitari sono vietati, proprio perché contravviene il principio in base al quale la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta, trasparente. La pubblicità occulta, per contro, è ingannevole, perché può pregiudicare il comportamento economico dei soggetti ai quali è rivolta, o ledere un concorrente e pertanto anch’essa va debitamente sanzionata. A tale riguardo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, secondo la nuova disciplina, può, sia per le pratiche commerciali scorrette che per la pubblicità ingannevole e comparativa, nonché per la pubblicità occulta, avviare i procedimenti anche d’ufficio, ha poteri investigativi, con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri, può effettuare ispezioni ed avvalersi della Guardia di finanza, disporre perizie. L’AGCM può inibire la continuazione dell’attività contestata, disporre la pubblicazione di dichiarazioni rettificative a spese dell’impresa responsabile e irrogare sanzioni pecuniarie che vanno da 5.000 a 500.000 euro. Se la pratica riguarda prodotti pericolosi o può minacciare, anche indirettamente, la sicurezza di bambini o adolescenti, la sanzione minima è di 50.000 euro. In caso di inottemperanza ai provvedimenti dell’Autorità la sanzione va dai 10.000 ai 150.000 euro. [AVV. PAOLA BOETI] La pubblicità ingannevole e comparativa La disciplina della pubblicità ingannevole è ora contenuta nel d.lgs. n. 145/07. L’articolo 2, lett. a) del decreto medesimo, la cui formulazione testuale è rimasta sostanzialmente identica a quella un tempo inserita nell’articolo 20, lettera a) cod. cons. (e prima ancora nell’articolo 2, del d.lgs. n. 74/1992), chiarisce innanzi tutto che per “pubblicità” deve intendersi quel messaggio destinato alla “diffusione”, cioè rivolto ad una cerchia di soggetti più o meno ampia, strumentale alla promozione di beni o servizi ed in grado di stimolare e indurre i destinatari a concludere tutti quei contratti cui il messaggio si riferisce. Inoltre la “diffusione” deve avvenire nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale. La lett. b) del medesimo articolo, invece, individua come “ingannevole” quella pubblicità che “in qualunque modo” sia idonea ad “indurre in errore” i destinatari ai quali è rivolta (o che essa comunque raggiunge) e che, a causa del suo carattere ingannevole, sia in grado di pregiudicarne il comportamento economico o sia, per questo motivo, capace di ledere gli interessi di un concorrente dell’imprenditore che se avvale. Invece per verificare i requisiti di “ingannevolezza” della pubblicità devono prendersi in esame tutti gli elementi di valutazione individuati dall’art. 3 del d.lgs cit., ed in particolare quelli VI relativi alle caratteristiche dei beni o dei servizi (ad esempio la loro disponibilità, la natura, l’esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi). Devono inoltre prendersi in considerazione i prezzi ed il modo in cui questi sono calcolati e le condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti. In ultimo occorre riferirsi alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario (ad esempio l’identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti). Il d.lgs n. 145/07, oltre ad occuoaesi di pubblicità ingannevole, si preoccupa di disciplinare i limiti in cui può dirsi ammessa nel nostro ordinamento la c.d. “pubblicità comparativa”, vale a dire quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti. L’art. 4 del d.lgs cit. prescrive che la pubblicità comparativa per poter essere considerata lecita, in primo luogo, non deve essere “ingannevole”. In secondo luogo non deve generare “confusione” tra i beni e i servizi offerti, ma deve consentire una comparazione oggettiva dei prodotti e non causare discredito o denigrazione di marchi o di altri segni distintivi dei concorrenti. L’art. 8 del d.lgs in parola, analogamente all’27 cod. cons. (che dispone in materia di pratiche commerciali scorrette), prevede un procedimento inibitorio e sanzionatorio che si instaura e si svolge dinanzi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La novità introdotta dall’art. 8 prevede che il procedimento sia azionabile anche d’ufficio (quindi non solo su istanza di parte) e che la legittimazione sia riconosciuta genericamente ad ogni soggetto e organizzazione che vi abbia interesse. Il co. 3 del medesimo articolo prevede poi che l’apertura dell’istruttoria debba essere comunicata al professionista. E’ prevista anche la possibilità da parte dell’Antitrust di irrogare sanzioni amministrative che variano da 5.000 a 500.000 euro a seconda della gravità della violazione riscontrata. L’inasprimento delle sanzioni amministrative è stato mitigato dall’introduzione dell’istituto della conciliazione, che non era prevista nell’art. 26 del cod. cons., potendo così il professionista responsabile assumere l’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della pubblicità o modificandola eliminando i profili di illegittimità. Il co. 7 dell’art. 8 anche più sopra citato prevede la possibilità di pubblicare l’assunzione di impegno del professionista de quo a sue spese, divenendo gli impegni giuridicamente vincolanti solo dopo che l’Autorità ne dispone l’accettazione. Se risulti inadempiente agli obblighi presi con l’Autorità il professionista proponente potrà essere soggetto ad una multa oscillante tra i 5.000 e i 150.000 euro. [SARA RUBALDO] I Poteri cautelari e sanzionatori dell’Antitrust. Le decisioni con impegni ed il programma di clemenza Con l’entrata in vigore della Legge 4 agosto 2006 n. 248 (legge di conversione del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, c.d. Decreto Bersani sulle Liberalizzazioni), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’“AGCM” o “Antitrust”) si è vista riconoscere, finalmente, quei poteri cautelari, istruttori e sanzionatori che da tempo erano attribuiti alla Commissione europea (nelle sue funzioni di organo preposto alla tutela della normativa antitrust comunitaria) e alle autorità antitrust dei principali paesi europei ed extracomunitari. In particolare, ai sensi dell’art. 14 della Legge 248/2006, la legge antitrust italiana,che ha altresì istituito l’AGCM (Legge 10 ottobre 1990, n. 287), è stata integrata con i seguenti articoli: Articolo 14-bis – Misure cautelari “1. Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per la concorrenza, l’Autorità può, d’ufficio, ove constati ad un sommario esame la sussistenza di un’infrazione, deliberare l’adozione di misure cautelari. 2. Le decisioni adottate ai sensi del comma 1 non possono essere in ogni caso rinnovate o prorogate. 3. L’Autorità, quando le imprese non adempiano a una decisione che dispone misure cautelari, può infliggere sanzioni amministrative pecuniarie fino al 3 per cento del fatturato.” Articolo 14-ter – Impegni “1.Entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione. 2. L’Autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma 1 può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato. 3. L’Autorità può d’ufficio riaprire il procedimento se: a) si modifica la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione; b) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; c) la decisione si fonda su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete inesatte o fuorvianti”. Articolo 15, comma 2-bis – Programma di clemenza “L’Autorità, in conformità all’ordinamento comunitario, definisce con proprio provvedimento generale i casi in cui, in virtù della qualificata collaborazione prestata dalle imprese nell’accertamento di infrazioni alle regole di concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario”. I POTERI CAUTELARI E SANZIONATORI L’Autorità, dunque, dispone ora di nuovi poteri cautelari da esercitare d’ufficio (dunque, anche inaudita altera parte) preventivamente o durante l’istruttoria avviata per l’accertamento di una condotta anticoncorrenziale vietata ai sensi degli artt. 2 o 3, Legge 287/1990, e 81 o 82 del Trattato CE. L’esercizio di tale potere, tuttavia, è subordinato alla sussistenza di due condizioni: 1. L’urgenza ovvero il rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza qualora la condotta anticoncorrenziale - alla quale la misura cautelare deve essere applicata - non venga neutralizzata in tempi brevi. 2. La probabile sussistenza di una infrazione degli artt. 2 o 3, Legge 287/1990, o degli artt. 81 o 82 del Trattato Cee. La tipologia di misure cautelari che possono essere disposte dall’AGCM, in presenza delle suddette condizioni e non avendo limitazioni, debbono essere le più idonee alla neutralizzazione di una FUNZIONI probabile condotta anticoncorrenziale (ovviamente, per DELL’AUTORITA’ il tempo necessario a fare piena luce su tale condotta GARANTE e, se necessario, fino alla conclusione dell’istruttoria). L’unica limitazione al potere cautelare è dato dal fatto che in nessun caso le misure disposte ai sensi dell’art. 14-bis potranno essere rinnovate o prorogate. Infine, allo scopo di dare forza coercitiva alle misure cautelari disposte dall’Autorità, il terzo comma dell’art. 14-bis stabilisce che quando un’impresa non adempia ad una decisione dell’AGCM, che dispone misure cautelari, quest’ultima può infliggere una sanzione pecuniaria fino al limite del 3% del fatturato realizzato nell’anno precedente dall’impresa stessa. L’art. 14-bis, inoltre, ha lasciato inalterato il potere della Corte d’Appello competente per territorio di ricevere ricorsi per la concessione di misure cautelari nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 33, L. 287/1990. Infatti, ai sensi di tale ultimo articolo, “i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti alla Corte d’Appello competente per territorio”. Questa competenza concorrente in materia cautelare potrebbe creare dubbi interpretativi: infatti, l’art. 14-bis L. 287/1990 prevede che la sola Autorità possa esercitare d’ufficio il proprio potere cautelare ma non stabilisce se tale potere possa essere o meno azionato da una specifica domanda delle parti interessate; inoltre, se si tiene presente che l’art. 33 prevede già la possibilità per le parti interessate di rivolgersi alla Corte d’Appello competente per territorio per ottenere i provvedimenti d’urgenza necessari, si potrebbe concludere che il potere cautelare previsto dall’art. 14-bis è azionabile solo d’ufficio da parte dell’Autorità, non potendo quest’ultima ricevere eventuali domande dalle parti interessate. Tuttavia, appare preferibile interpretare le due norme in questione come norme tra loro assolutamente concorrenti, attribuendo pertanto all’AGCM il compito di ricevere e valutare le eventuali richieste di misure cautelari presentate dalle parti interessate nelle questioni antitrust più complicate (in virtù della sua maggiore competenza in materia concorrenziale), lasciando alle Corti d’Appello il compito di ricevere e valutare le eventuali richieste di misure cautelari nell’ambito delle questioni antitrust meno complicate. Quest’ultima soluzione appare confermata anche dalla lettura dell’art. 5, Reg. 1/2003 il quale stabilisce che “le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del trattato in casi individuali. A tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, possono (…) disporre misure cautelari” GLI IMPEGNI L’art. 14-ter, L. 287/1990 introduce nell’ambito della normativa antitrust italiana uno strumento ben noto alla prassi della Commissione europea. A livello comunitario, infatti, l’art. 9, paragrafo 1, Reg. 1/2003 stabilisce che “qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato” In ambito comunitario, la c.d. “commitment procedure” prevista dal citato art. 9, Reg. 1/2003, è stata applicata per la prima volta nel settembre del 2004 quando la Commissione europea ha pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GUUE) gli impegni assunti dalla Ligaverband in merito alla commercializzazione dei diritti di trasmissione del VII campionato di calcio tedesco (la Bundesliga). Allo stesso modo, anche l’Autorità, quando si troverà a dover analizzare delle condotte tendenzialmente anticoncorrenziali alla luce degli artt. 2 o 3 della L. 287/1990, potrà accettare gli eventuali impegni proposti dalle parti “indagate” al fine di “far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria”. E’ necessario evidenziare che la disciplina nazionale, a differenza di quanto previsto in ambito comunitario, prevede un periodo limite di “tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria” per la presentazione degli impegni; ne consegue che scaduto tale termine, le imprese sotto indagine non potranno più presentare impegni. Nel caso, invece, di impegni presentati nel rispetto del suddetto termine, l’AGCM dovrà valutare l’idoneità di tali impegni a fare venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria e, qualora tale valutazione dia esito positivo, potrà rendere tali impegni obbligatori per le imprese che li hanno proposti e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione. Gli impegni proposti dalle imprese “indagate” potranno essere di tipo comportamentale (ad esempio, con l’impegno di cessare determinati comportamenti anticoncorrenziali) oppure strutturali (ad esempio, con l’impegno di dimettere una o più attività/rami d’azienda in favore di terzi concorrenti). Pertanto, la proposizione e l’accettazione degli impegni produce l’effetto di chiudere l’istruttoria avviata dall’AGCM per l’accertamento e l’eventuale sanzionamento di condotte anticoncorrenziali; ne consegue che le imprese in odore di sanzione per condotte anticoncorenziali, potranno optare per una particolare forma di ravvedimento operoso proponendo all’AGCM impegni volti a neutralizzare i profili di anticoncorrenzialità evidenziati dall’AGCM. Una volta accettati dall’AGCM, gli impegni diventano obbligatori per le imprese che li hanno proposti, con la conseguenza che in caso di loro violazione da parte di tali imprese, l’Autorità, che vigilerà sul rispetto dei medesimi impegni, potrà comminare alle imprese una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato di ciascuna impresa. Infine, l’accettazione degli impegni non preclude all’AGCM la possibilità di riaprire il procedimento nei confronti delle imprese che hanno proposto tali impegni qualora: 1) si sia modificata la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione; 2) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; 3) la decisione si fonda su informazioni incomplete, inesatte o fuorvianti. IL PROGRAMMA DI CLEMENZA Come visto, ai sensi dell’art. 15, comma 2-bis, L. 287/1990, l’AGCM “in conformità all’ordinamento comunitario, definisce con proprio provvedimento generale i casi in cui, in virtù della qualificata collaborazione prestata dalle imprese nell’accertamento di infrazioni alle regole di concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario”. Tale disposizione rappresenta una importantissima novità per la disciplina antitrust italiana e può costituire una validissimo strumento nell’individuazione e nel sanzionamento di cartelli segreti. In generale, infatti, i programmi di clemenza, come applicati a livello comunitario e dalle autorità antitrust dei principali Paesi UE, prevedono l’immunità totale per la prima impresa che rivela all’autorità antitrust competente l’esistenza di un cartello segreto (di cui tale impresa denunciante fa parte) ottenendo come premio per la sua collaborazione l’immunità totale oppure una sensibile riduzione delle sanzioni previste dalla normativa antitrust di riferimento; a ciò si aggiunga che sono previste riduzioni delle sanzioni anche per le imprese che non sono state le prime a svelare l’esistenza di un cartello di cui fanno parte. [AVV. STEFANO FRESCHI] VIII TIM Concorso “Vinci 4 Fiat 500” 300.000 euro di sanzione da parte dell’AGCM Provvedimento n. 19624 pubblicato in Bollettino n. 11 del 6 aprile 2009 Normativa di riferimento: Artt. 20 e segg. Codice del Consumo - D. Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 Il procedimento che di seguito verrà sinteticamente illustrato è da intendersi come significativo spunto di riflessione sui frequentissimi interventi dell’AGCM nel settore delle pratiche commerciali scorrette, con particolare riferimento al settore delle telecomunicazioni. Nel marzo 2009 a seguito di un’istruttoria piuttosto articolata, ma conclusasi in un tempo ragionevolmente breve, l’AGCM ha emesso un doveroso provvedimento sanzionatorio per la condotta posta in essere dalla società Telecom Italia S.p.A., in relazione alla promozione del concorso “Tim 4 500 al giorno”, realizzatasi attraverso l’invio sul telefono cellulare dei propri utenti di messaggi SMS, consistenti in ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali volte a spingere alla partecipazione al concorso, nonché attraverso spot pubblicitari diffusi sulle principali emittenti televisive, nel periodo intercorrente tra il 2 e il 20 settembre 2008. Dalle risultanze istruttorie è emerso chiaramente che la società Telecom Italia S.p.A. ha promosso la partecipazione al concorso attraverso spot pubblicitari e attraverso SMS inviati agli utenti senza fornire adeguate informative su natura, caratteristiche e costi del concorso stesso. In particolare, per partecipare al citato concorso, l’utente doveva inviare al numero 4500 un SMS con la seguente indicazione “FIAT”, al costo di 1,20 euro. Tale invio permetteva la possibilità di scaricare una suoneria scelta dall’utente. Dalla documentazione acquisita, è emerso altresì che, successivamente al primo invio, l’utente riceveva ulteriori SMS recanti alcune semplici domande alle quali rispondere per aumentare le possibilità di vincere una delle quattro Fiat 500 in palio. Ogni risposta ai semplici quesiti prevedeva un addebito per il consumatore pari a 1,20 euro, circostanza quest’ultima che non emerge dagli SMS inviati alla clientela. In particolare TIM inviava un primo SMS dal seguente contenuto: “Sorpresa! Vuoi una delle 4 FIAT500 che TIM regala oggi? Allora invia FIAT al 4500 e puoi vincere la tua già stasera! Acquisti 1 contenuto. 1,2E/SMS Reg. 4500.it”, a cui seguivano ulteriori SMS incentivanti dal seguente tenore: “4 FIAT 500! Hai XX punti=10 chance nel primo sorteggio! Invia il tuo nome al 4500: ricevi altri 10 punti, entri anche nel secondo! Acquisti 1 contenuto. 4500.it”, oppure “Hai XX punti per la prima 500 del dì! Invia il tuo nome al 4500 e passi alla storia: prendi 10 punti, vai pure per la seconda 500! Acquisti 1 contenuto. 4500.it” L’AGCM avviava quindi il procedimento poiché il comportamento sopra descritto avrebbe potuto integrare un’ipotesi di violazione degli articoli 20, 21, comma 1, con particolare riferimento alle lettere a), b) e d), 22, 24, 25 e 26, lettera f), del Decreto Legislativo n. 206/05, in quanto contrario alla diligenza professionale ed idoneo a limitare considerevolmente, o addirittura escludere, la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al servizio offerto. In particolare, la pratica commerciale indicata poteva considerarsi ingannevole ed omissiva in quanto ai consumatori non sarebbero state fornite informazioni esatte e complete circa la natura, le caratteristiche, gli oneri da sostenere e le condizioni del concorso, in modo da indurli in errore e ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso. Tale pratica poteva considerarsi altresì aggressiva in quanto idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori. Inoltre i suddetti SMS venivano inviati in maniera massiva anche a color che non avevano aderito ad alcun servizio, nella misura variabile da 1 a 5 SMS alla settimana, ed in diversi casi senza che fosse stato prestato alcun consenso all’invio di informazioni commerciali. Circostanza che rileva anche sotto diversi altri profili di illiceità. TIM presentava quindi le proprie memorie e, al fine di evitare un provvedimento d’urgenza da parte dell’AGCM, provvedeva in data 20 settembre 2008 a sospendere gli spot pubblicitari ed a modificare il contenuto degli SMS inviati, rendendo gli stessi comprensibili per gli utenti. Al termine del procedimento, in cui è stato richiesto da parte dell’AGCM anche il parere dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, è stato riscontrato che la pratica posta in essere da TIM in relazione alla promozione del concorso “Tim 4 500 al giorno” deve considerarsi censurabile sotto due profili: 1.Prospettazione ingannevole delle modalità di partecipazione al concorso ed omissioni rilevanti riscontrate negli SMS incentivanti Per quanto riguarda lo spot pubblicitario: si è rilevato che attraverso l’espressione “acquista una suoneria e puoi vincere quattro 500 al giorno per cento giorni”, si fa senza dubbio ritenere all’ascoltatore che tramite l’acquisto di una suoneria, inviando un SMS al numero predisposto, sia possibile partecipare all’estrazione di quattro autovetture Fiat 500. Alla luce delle informazioni acquisite, al contrario, è emerso che il sistema dell’estrazione prevede la predisposizione di quattro urne virtuali, in cui confluiscono i dati relativi ai clienti che hanno appunto inviato il messaggio SMS per partecipare al concorso. In particolare, nella prima urna vengono inseriti i numeri dei clienti che hanno acquistato un contenuto; nella seconda urna i numeri dei clienti che hanno acquistato almeno due contenuti e cosi via fino alla quarta urna. In conclusione, i clienti che hanno acquistato più contenuti e risposto correttamente ai quesiti ottengono iscrizioni multiple nei relativi database, disponendo di maggiori chance di vincita dei premi in palio in ciascuna estrazione. È evidente quindi che, sotto tale aspetto, lo spot pubblicitario appare scorretto in quanto difetta del requisito della veridicità delle informazioni da ritenersi essenziali. L’indicazione, infatti, della circostanza che l’invio di un SMS permetta di concorrere all’estrazione di quattro autovetture non risponde al vero. Attraverso l’affermazione “acquista una suoneria e puoi vincere quattro 500 al giorno per cento giorni”, il consumatore è indotto a credere che acquistando una suoneria lo stesso parteciperà all’estrazione di quattro autovetture 500, quando in realtà attraverso l’invio di un SMS è possibile partecipare all’estrazione di una sola autovettura. Ciò in considerazione del fatto che, come sottolineato in precedenza e come emerge anche dal regolamento, l’invio di un solo SMS dà la possibilità al partecipante di essere introdotto nella sola prima urna virtuale e pertanto concorrere alla vincita dell’unica autovettura per quella estrazione. Per quanto riguarda gli SMS: dall’espressione contenuta negli SMS inviati “Sorpresa! Vuoi una delle 4 FIAT500 che TIM regala oggi? Allora invia FIAT al 4500 e puoi vincere la tua già stasera! Acquista 1 contenuto. 1,2E/SMS Reg 4500.it”, si rileva che anche per gli SMS valgono le medesime conclusioni, in merito all’idoneità ad indurre in errore i consumatori, effettuate per lo spot pubblicitario. Pertanto, sotto tale aspetto, gli SMS pubblicitari, inviati agli utenti almeno fino al 20 settembre 2008, appaiono scorretti in quanto difettano del requisito della veridicità delle informazioni da ritenersi essenziali e pertanto sono idonei a falsare il comportamento economico. Ma le violazioni di maggior gravità sono senza ombra di dubbio riconducibili ai successivi SMS, cosiddetti “incentivanti” che venivano spediti una volta risposto al primo SMS. Dall’espressione “4 FIAT 500! Hai XX punti=10 chance nel primo sorteggio! Invia il tuo nome al 4500: ricevi altri 10 punti, entri anche nel secondo! Acquisti 1 contenuto. 4500.it” si rileva che la stessa, nonché le altre analoghe, sono del tutto inidonee a garantire una corretta e trasparente informazione per i consumatori. Si ritiene, FUNZIONI infatti, che il testo del messaggio inoltrato agli utenti TIM DELL’AUTORITA’ a seguito dell’avvio del meccanismo del concorso sia GARANTE omissivo in ordine al costo di 1,2 euro che il consumatore deve sostenere per rispondere ai semplici quesiti. Tale informazione appare del tutto essenziale al fine di garantire una corretta percezione del costo della suoneria acquistata e della conseguente possibilità di partecipare al concorso. La mancata indicazione del costo, in combinato con il complesso sistema di sponsorizzazione ed incentivazione, si è concretizzata in una perdita di credito rilevante per il consumatore. Si ritiene, dunque, che TIM abbia completamente disatteso quell’onere minimo di chiarezza e completezza informativa che deve caratterizzare le comunicazioni commerciali, e tanto più quelle nel settore delle telecomunicazioni, caratterizzato da un continuo proliferare di proposte, offerte e iniziative commerciali sempre più articolate, con il conseguente disorientamento che questo determina nel consumatore, già penalizzato da una forte asimmetria informativa a favore degli operatori di mercato. 2. Modalità aggressive di sollecitazioni commerciali alla partecipazione al concorso In diversi casi si è accertato che i consumatori hanno lamentato di non aver mai dato il consenso alla ricezione di tali SMS promozionali. In molti altri casi, invece, i consumatori hanno lamentato di aver ricevuto tali sollecitazioni alla partecipazione al concorso de quo contestualmente alla ricezione del messaggio di avvenuta ricarica. In tutti questi episodi è evidente la mancanza del consenso alla ricezione, nonché la ripetitività ed insistenza delle sollecitazioni commerciali da parte di TIM, e detta pratica, che si sostanzia in “ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza”, ai sensi dell’articolo 26, comma 1, lettera c), del Codice del Consumo, è considerata aggressiva. Dall’analisi di alcuni tabulati è emerso che tali sollecitazioni sono state ripetute in numero cospicuo addirittura attraverso un “bombardamento” di sollecitazioni con plurimi invii giornalieri ed un numero molto elevato di SMS per ciascuna settimana, anche ad utenti che non avevano mai partecipato al concorso de quo. Per i motivi di cui innanzi la pratica commerciale in esame è risultata scorretta ai sensi dell’articolo 20, commi 1 e 2, del Codice del Consumo, in quanto contraria alla diligenza professionale, idonea a falsare il comportamento del consumatore ed in particolare ingannevole ai sensi dell’articolo 21 e 22 del Codice, nella misura in cui, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ha omesso di fornire informazioni rilevanti di cui il consumatore necessitava per prendere una decisione consapevole, o ha fornito informazioni non rispondenti al vero, così inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. La pratica commerciale è risultata inoltre aggressiva ai sensi degli artt. 24 e 25 del Codice del Consumo, nella misura in cui mediante indebito condizionamento è risultata tale da limitare o escludere la libertà di scelta in ordine alla reale volontà di prestare il consenso all’attivazione del servizio proposto, inducendo i consumatori ad assumere una decisione che non avrebbero altrimenti preso. L’AGCM ha pertanto deliberato che: a) la pratica commerciale descritta al punto II del presente provvedimento, posta in essere dalla società Telecom Italia S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26, lettera c), del Decreto Legislativo n. 206/05, e ne vieta l’ulteriore diffusione; b) alla società Telecom Italia S.p.A. sia irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di 300.000 € (trecentomila euro). [AVV. LUIGI MARTIN] IX L’ANTITRUST EUROPEA MULTA INTEL PER ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE Lo scorso maggio l’organo esecutivo dell’organismo comunitario, la Commissione Europea, ha deciso di irrogare una sanzione pecuniaria senza precedenti al colosso californiano INTEL, accusato di aver danneggiato milioni di consumatori europei per aver praticato abuso di posizione dominante nel mercato dei microprocessori x86 nei primi anni del 2000. L’indagine della Commissione Europea nei confronti delle pratiche commerciali del gigante di Santa Clara è stata avviata nel lontano 2001 su reclamo di AMD, azienda concorrente, che è stata vittima del comportamento anticoncorrenziale di Intel limitandosi a produrre, nel 2008, solamente il 12% del cuore dei Personal Computers a fronte di più dell’80% dell’avversario. Dall’attività di ispezione dell’Antitrust Europea emerge come l’azienda accusata abbia deliberatamente escluso i propri concorrenti dal mercato, in un primo momento offrendo sconti fedeltà a produttori di computers perchè questi acquistassero in toto o quasi i Cpu (microprocessori) di cui necessitavano, ed, infine, successivamente effettuando pagamenti illeciti al distributore Media-Saturn-holding (che in Italia è proprietario di MediaWorld) al fine di pretendere la vendita esclusiva di computers che utilizzavano solo processori Intel. In altri casi, infine, l’azienda californiana disponeva pagamenti a produttori di PC per ottenere il ritardo o addirittura la cancellazione del lancio di un prodotto informatico dotato di un processore AMD. La storica decisione della Direzione Generale per la Concorrenza della Commissione Europea non solo ha accertato le pratiche illegali attuate da Intel, ma l’ha anche sanzionato con una multa salatissima che ammonta a 1,06 miliardi di euro, superando di gran lunga il record detenuto fino allo scorso maggio da Microsoft, a cui è stata irrogata una sanzione pecuniaria di 899 milioni di euro. Intel dovrà versare immediatamente nelle casse dell’UE l’importo della multa che gli è stata data, ma per il momento si tratta di un mero deposito cautelativo in quanto il portavoce dell’azienda, Paul Otellini, ha ufficialmente dichiarato che Intel ricorrerà in appello ritenendo di non aver violato alcuna legge europea. Purtroppo il giudizio d’appello potrebbe concludersi solo tra diversi mesi, e di conseguenza si aspetta tale momento per confermare la multa stabilita dall’UE oppure restituire, eventualmente ad Intel, la somma versata se sarà giudicato differentemente rispetto a questa prima decisione. Peraltro si deve evidenziare che il potere sanzionatorio della Commissione Europea può addirittura prevedere una sanzione pari al 10% dei ricavi dell’anno fiscale precedente, mentre nel caso in questione, avendo Intel fatturato nello scorso anno 37.6 miliardi di euro, la punizione inflitta ammonta a più del 4% dei ricavi del 2008. Si tratta, purtuttavia, di una somma ragguardevole. Ulteriore conseguenza per l’azienda che ha violato obblighi derivanti dal diritto comunitario è l’ imposizione della cessazione di pressioni su partner quali Acer, Hewlet Packard, Dell, Lenovo e NEC, per impedire dunque di limitare l’offerta di AMD sul mercato informatico. Questo importantissimo provvedimento della Commissione Europea, risultato di una lunga e dettagliata indagine, evidenzia lo sforzo dell’UE di garantire il rispetto delle norme comunitarie esercitando un potere di controllo e sanzionatorio sui privati, siano essi singoli individui o imprese, in modo da assicurare un’effettiva attività di tutela e promozione della concorrenza, reprimendo intese restrittive e l’abuso di posizione dominante di aziende che impediscono al singolo consumatore di poter compiere un acquisto consapevole valutando i diversi prodotti che il X mercato offre e soprattutto qualità e convenienza degli stessi. Peraltro Intel non è stata sanzionata solo dall’UE per le scorrette e illegali pratiche commerciali adottate. Infatti, è già stata condannata sia dall’Antitrust della Korea (che ha inflitto una multa di circa 25.4 milioni di dollari) che da quella giapponese, con l’accusa di aver violato la legge antitrust di questi Paesi. Negli Stati Uniti, invece, è ancora in corso un’indagine sul colosso californiano da parte della Federal Trade Commission (FTC) e dal procuratore generale newyorkese per accertare l’abuso di posizione monopolistica. [SARA RUBALDO] Antitrust sanziona pratica commerciale scorretta segnalata da Confconsumatori A seguito di una relazione inviata da Confconsumatori Emilia Romagna e da Federconsumatori Belluno, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha riconosciuto come pratica commerciale scorretta l’attività di Eurokontat s.r.l., una società di Padova che, tramite telemarketing, tra aprile e luglio 2008, contattava consumatori offrendo buoni sconto gratuiti per acquisti in fantomatici punti vendita “di prossima apertura”. Tale offerta si è rivelata, in primo luogo, ingannevole: le informazioni date ai consumatori contattati telefonicamente e poi incontrati presso le loro abitazioni, erano inesatte e incomplete, dal momento che il buono era tutt’altro che gratuito e che la sua consegna comportava la sottoscrizione di un vero e proprio contratto di acquisto, con conseguenti vincoli economici capestro, oltretutto in negozi inesistenti. In secondo luogo, la pratica è stata riconosciuta come aggressiva, perché limitava la libertà di comportamento dei consumatori contattati con offerte mai richieste. Le persone venivano chiamate dai call center della società, seguendo istruzioni ben precise: individuare solo categorie di cittadini più facilmente “ingannabili”. A causa dei comportamenti volutamente scorretti della stessa società, i consumatori non sono stati messi nelle condizioni di conoscere, sin dalla prima proposta telefonica, le condizioni effettive dell’offerta, ma sono stati indotti a credere, invece, alla totale gratuità dei buoni sconto e alle informazioni inesatte su prezzo e oneri da sostenere, che venivano loro date. Accertati questi presupposti e avvalendosi anche del parere dell’AGCOM (Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni) nel corso del procedimento istruttorio, l’Antitrust ha vietato l’ulteriore diffusione della pratica e comminato una sanzione di 170.000 € ad Eurokontat s.r.l.. Si tratta di un importante risultato ottenuto grazie all’attività di Confconsumatori Emilia Romagna, che ha ricevuto numerose segnalazioni contro la società padovana. “Grazie al Codice del Consumo, questo provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha un triplice valore: 1) condanna il comportamento illegale e scorretto di un’azienda commerciale; 2) va incontro ai tanti commercianti onesti che responsabilmente svolgono correttamente il loro lavoro; 3) aiuta i consumatori ad essere più attenti e farsi tutelare dalle associazioni dei consumatori per risolvere i loro problemi” afferma Secondo Malaguti, responsabile di Confconsumatori Emilia Romagna. [AVV. ELENA CONTINI] Tutela del consumatore a seguito dei provvedimenti di condanna dell’antitrust L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è titolare di alcuni poteri in materia di tutela della concorrenza e del mercato, in particolare detiene poteri di indagine relativamente alle intese restrittive della concorrenza ed all’abuso di posizione dominante delle imprese. Stante la sanzione di nullità prevista per le “intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza”, ci si chiede quali effetti comportino i provvedimenti dell’Antitrust che sanciscono la nullità di tali comportamenti nei confronti dei contratti c.d. “a valle” in quanto stipulati dalle imprese con i consumatori in esecuzione del comportamento “a monte” vietato. La dottrina si è interessata della questione proponendo alcune soluzioni che prospettano conseguenze diverse. Dapprima è stata sostenuta la tesi della nullità del “contratto a valle” quale conseguenza della nullità sancita per l’intesa anticoncorrenziale. Questa soluzione, dal punto di vista applicativo, può risultare di scarsa utilità dal momento che la nullità di un contratto – anche se “di protezione”, cioè sollevabile solo dal contraente debole - travolge tutti gli effetti dello stesso, comportando la restituzione delle prestazioni nell’intento di riportare le parti nella situazione preesistente alla conclusione del contratto, in quanto possibile. Altra dottrina ha individuato nell’annullabilità la conseguenza di tale sanzione, giustificando tale rimedio, tipico dei contratti stipulati con volontà dei contraenti viziata, proprio per il fatto che il contraente debole versasse in stato di errore o soggiacesse al comportamento doloso, manifestando così una volontà viziata, dell’impresa sanzionata dall’Antitrust. Correlativamente è stata messa in rilievo la possibile operatività dell’art. 1337 che imponendo alle parti di comportarsi, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, secondo buona fede, è la base della responsabilità precontrattuale nella quale incapperebbe l’impresa. Una ricostruzione tendente a mantenere in vita il contratto, assicurando però una tutela risarcitoria al consumatore, fa applicazione della disciplina degli effetti del dolo incidentale sul contratto, come previsto dall’art. 1440: “Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni”. Deve, però, essere dimostrato in concreto il comportamento “raggirante” dell’impresa, attività non sempre facile, soprattutto se si considera la moltitudine dei soggetti appartenenti alla rete commerciale dell’impresa. Una dottrina isolata ha sostenuto la rescindibilità del contratto e la sua possibile correzione ad opera dell’autorità giudiziaria, in ottemperanza all’affermato principio di “giustizia oggettiva” del contratto, mentre è stata generalmente ritenuta applicabile l’azione residuale di ingiustificato arricchimento ex art. 2033 c.c. che, però, prevede un complesso onere probatorio. Pensiero comune della dottrina è, sempre, quello di assicurare al consumatore anche un rimedio risarcitorio secondo la disciplina della responsabilità extracontrattuale. A fronte delle tesi prospettate dalla dottrina, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affrontare la questione giungendo, quanto all’individuazione delle azioni esperibili, ad esiti diversi, almeno fino alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207 del 4 febbraio 2005. La normativa di riferimento deve rinvenirsi nella legge FUNZIONI 287 del 1990 che all’art. 33, comma 2, prevede che “Le DELL’AUTORITA’ azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi GARANTE intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti alla corte d’appello competente per territorio”: questa, come si vedrà, è l’unica norma civile nell’àmbito della normativa antitrust nazionale che, pur tuttavia, non specifica quali soggetti e con quali modalità si può procedere ad attivare tali tutele. La Corte di Cassazione si è pronunciata in materia nell’àmbito dei procedimenti risarcitori promossi dai consumatori nei confronti delle compagnie assicuratrici colpevoli – secondo il provvedimento dell’Antitrust n. 8546 del 28 luglio 2000 - di avere concluso un’intesa atta a “restringere e falsare il gioco della concorrenza nei mercati nazionali dell’assicurazione auto”. La sentenza n. 17475 del 9 dicembre 2002 ha riconosciuto riservata alle imprese la tutela prevista dall’art. 33 della legge 287/1990, affermando che “l’azione risarcitoria eventualmente spettante (al consumatore finale), rivestirà, per ciò stessa, i caratteri ordinari di un’ordinaria azione di responsabilità soggetta agli ordinari criteri di competenza, e non quelli dell’azione ex art. 33, comma 2, della legge 287/90, rimessa, in quanto tale, alla cognizione esclusiva della Corte di appello in unico grado di merito”. È stata, pertanto, profilata una distinzione tra l’azione risarcitoria promossa nei rapporti tra imprese (con applicazione dell’art. 33 legge 287/90 e competenza funzionale della Corte di appello) e quella promossa dal consumatore finale che spetta alla cognizione del giudice ordinario competente in base al valore della controversia. Individuata la competenza, per lo più, dei giudici di pace, con alleviamento delle spese per il contraente debole in virtù della possibilità di stare in giudizio personalmente, cioè senza difesa tecnica, il giudice di legittimità afferma che deve essere assolto da parte attrice il relativo onere della prova con dimostrazione di tutti gli elementi del danno aquiliano: l’ingiustizia del danno, la condotta colposa o dolosa dell’impresa, la dimostrazione del danno in concreto ed il nesso di causalità tra la condotta ed il danno provocato, evidenziando che il provvedimento sanzionatorio dell’Antitrust non è sufficiente a fondare l’ingiustizia del danno se non in astratto e che deve essere dimostrato in relazione al caso concreto unitamente agli altri elementi. Successivamente la Cassazione a Sezioni Unite con la citata sentenza n. 2207/2005 è ritornata sull’argomento fornendo una soluzione processuale completamente diversa, implementando, di fatto, le difficoltà di vedere accolta la pretesa risarcitoria dei consumatori.Viene evidenziato il collegamento funzionale tra l’intesa anticompetitiva ed il “contratto a valle” con l’affermazione che “il contratto cosiddetto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli effetti. Esso, in realtà, oltre ad estrinsecarla, la attua” e qualificando come “plurioffensivo” il comportamento anticoncorrenziale dell’impresa, che viene così a determinare la nullità anche del “contratto a valle”. Proprio in base a questa interdipendenza necessaria la Cassazione ha affermato che la legge 287/90 detta norme a tutela della libertà di concorrenza dirette non solo agli imprenditori, ma anche agli altri soggetti del mercato, tra i quali il consumatore finale, il quale può agire in base all’art. 33, c. 2, per esercitare la descritta azione di nullità e di risarcimento del XI danno, imponendo la competenza funzionale della Corte di appello, con necessità di assistenza legale tecnica. Viene, d’altro canto, ribadita l’antigiuridicità del danno causato da un’intesa anticoncorrenziale: “innanzi alla Corte d’appello deve essere allegata un’intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l’interesse ad agire dell’attore” ex art. 100 c.p.c. Si conferma, pertanto, la necessaria allegazione delle prove degli elementi costitutivi del danno extracontrattuale, in ossequio al principio generale dell’art. 2697 c.c., cioè il comportamento doloso, o quanto meno colposo, dell’impresa, la quantificazione del danno effettivamente concretatosi ed il nesso eziologico tra condotta e danno. Le Sezioni unite, inoltre, nell’accogliere la tesi della nullità e del risarcimento del danno hanno rigettato la possibilità di esperire la richiesta restitutoria ex art. 2033 c.c., dal momento che sarebbe comunque necessario provvedere all’allegazione di un fatto illecito perché si possa giungere alla declaratoria di nullità di un’intesa anticoncorrenziale e del contratto stipulato quale effetto dell’intesa stessa. Le successive pronunce di legittimità (si veda Cass. 23 agosto 2005 n. 17112 e Cass. 13 febbraio 2009 n. 3640) hanno invece ammesso la richiesta restitutoria per indebito oggettivo pur ribadendo la competenza funzionale della Corte di appello. [AVV. LAURA CAVANDOLI] EFFETTI DEI PROVVEDIMENTI DI CONDANNA DELL’ ANTITRUST PER PUBBLICITÁ INGANNEVOLE SUI CONTRATTI STIPULATI CON I CONSUMATORI Tra le nuove competenze affidate all’Antitrust dai decreti legislativi 145 e 146 del 2007 - che recepiscono le direttive comunitarie 2006/114/CE e 2005/29/CE - unitamente a quella in materia di pratiche commerciali scorrette, vi è il controllo delle imprese che fanno pubblicità ingannevole e comparativa. Il codice del consumo, infatti, assicura ai consumatori ed agli utenti, come diritti fondamentali, quello ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità (art. 2, c. 2, lett. c). Recentemente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 794 del 15 gennaio 2009, si è pronunciata proprio in materia di tutela risarcitoria del consumatore derivante da un comportamento illegittimo di un’impresa sanzionata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole. Si tratta della richiesta di risarcimento del danno da fumo, in cui l’attività illecita consisteva nell’apposizione del segno descrittivo “light” su un pacchetto di sigarette, quale espressione diretta a presentare il prodotto come meno nocivo. La Suprema Corte enuncia due importanti principi di diritto, uno processuale in materia di individuazione della giurisdizione e l’altro sostanziale circa l’incidenza dell’onere probatorio. Con riferimento alla prima questione, l’interpretazione sistematica della norma attualmente contenuta nell’art. 27, c. 14, del Codice del Consumo (“Ove la pratica commerciale sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non scorretto della stessa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse, è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento”), superando il dettato letterale, individua correttamente la sua portata, riconoscendo la giurisdizione del giudice amministrativo solo in presenza di un provvedimento amministrativo autorizzativo della pratica pubblicitaria che si vuole inibire. In tal XII FUNZIONI caso, infatti, solo il giudice amministrativo DELL’AUTORITA’ può pronunciarsi per invalidare un atto della GARANTE pubblica amministrazione. Diversamente in caso di azione di un soggetto privato nei confronti di un’impresa per ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale dallo stesso subito in dipendenza di un comportamento illecito della convenuta qualificato dall’Antitrust come pubblicità ingannevole. Questa azione non ha per oggetto un provvedimento amministrativo, ma è un’ordinaria azione tra privati in materia di responsabilità aquiliana, che spetta alla competenza del giudice ordinario e non del giudice amministrativo, né dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, trattandosi quest’ultima non di organo giurisdizionale ma di autorità amministrativa, come già affermato nella sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, del 6 aprile 2006 n. 7985. Quanto alla competenza, la Suprema Corte ribadisce che deve individuarsi il giudice da adire in base all’ordinario criterio del valore della controversia, dovendosi escludere la cognizione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Esaminato l’aspetto processuale e pregiudiziale, circa l’aspetto sostanziale della richiesta risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c. per pubblicità ingannevole, la Corte di Cassazione non fa che applicare in subiecta materia i principi tipici della responsabilità extracontrattuale, in primis quello relativo all’onere probatorio che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., deve essere sopportato dalla parte attrice. Ai fini dell’esperibilità dell’azione deve, pertanto, essere provata la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del danno ingiusto, così la sentenza 794/2009 afferma il principio di diritto che “il consumatore che lamenti di avere subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose”. Nel caso sottoposto all’attenzione del giudice di legittimità, non si dubita dell’ingiustizia del danno, trattandosi della violazione di ben due diritti inviolabili del consumatore: quello alla libera scelta del prodotto, tutelato dalla disciplina in materia di pubblicità ingannevole, e quello alla salute in applicazione dell’art. 32 della Costituzione ed accolto anche dal Codice del Consumo. Così, infatti, si afferma: “L’apposizione sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo “light” sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata”. È stata, però, ritenuta insufficiente la prova degli altri elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, così come non è parso sufficiente il mero richiamo alla decisione dell’Antitrust – nel caso di specie il provvedimento 11809 del 13 marzo 2003 – per dimostrare l’ingiusta condotta dell’impresa convenuta, dovendosi, appunto, dimostrare il danno effettivamente subito, il nesso eziologico tra attività pubblicitaria e danno, oltre che la condotta dolosa o quantomeno colposa dell’impresa nel compimento dell’attività sanzionata dall’Antitrust. [AVV. LAURA CAVANDOLI] REALIZZAZIONE A CURA DI: BOETI PAOLA, BROVARONE ILARIA, CAVANDOLI LAURA, CONTINI ELENA, FRESCHI STEFANO, LUCIANI GIUSEPPE, MARTIN LUIGI, RUBALDO SARA. COORDINATORE: LUCIANI GIUSEPPE RESPONSABILE: SECONDO MALAGUTI L’INSERTO E’ STATO REALIZZATO NELL’AMBITO DEL PROGRAMMA GENERALE DI INTERVENTO 2009 DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA CON L’UTILIZZO DEI FONDI DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO