26 febbraio 8a Domenica del Tempo Ordinario anno A

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26 febbraio
8a Domenica del Tempo Ordinario anno A
Prima lettura (Is 49,14-15)
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse
una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
Il governo divino o provvidenza
San Tommaso (S. Th. I, q. 103, a. 1, in contrario e corpo)
In Sap è detto: Tu, Padre, tutto governi con provvidenza; e in Boezio: «O tu che il mondo governi con eterno consiglio».
Nell’antichità alcuni filosofi negarono il governo del mondo, affermando che tutto dipende dal
caso. Ma questa tesi si rivela assolutamente insostenibile per due motivi. Primo, per quello che le
cose stesse ci manifestano. Noi vediamo infatti che nelle realtà naturali avviene, o sempre o nella
maggior parte dei casi, ciò che è meglio: cosa che non accadrebbe se esse non fossero indirizzate a
un fine buono da una provvidenza: il che è governare. Quindi l’ordine stabile esistente nelle cose
dimostra chiaramente l’esistenza di un governo del mondo: come, per usare un paragone attribuito
da Cicerone ad Aristotele, chi entrasse in una casa bene ordinata, dall’ordine che in essa risplende
sarebbe in grado di afferrare l’idea di un ordinatore. Secondo, la medesima conclusione nasce dalla
considerazione della divina bontà che, come già abbiamo detto, donò l’esistenza alle cose. Poiché
infatti «l’ottimo non produce che cose ottime», disdirebbe alla divina bontà non condurre a perfezione le cose da essa prodotte. Ora, la perfezione ultima di ogni realtà consiste nel conseguimento
del fine. Come quindi fu la divina bontà a dare l’esistenza alle cose, così ad essa spetta pure il condurle al loro fine. E questo è governare.
Testo latino di S. Tommaso (S. Th. I, q. 103, a. 1, sed contra e corpus)
Sed contra est quod dicitur Sap. 14 [3], tu autem, Pater, gubernas omnia providentia. Et Boetius
dicit, in libro De consol., o qui perpetua mundum ratione gubernas.
Respondeo dicendum quod quidam antiqui philosophi gubernationem mundo subtraxerunt, dicentes omnia fortuito agi. Sed haec positio ostenditur esse impossibilis ex duobus. Primo quidem,
ex eo quod apparet in ipsis rebus. Videmus enim in rebus naturalibus provenire quod melius est, aut
semper aut in pluribus, quod non contingeret, nisi per aliquam providentiam res naturales dirigerentur ad finem boni, quod est gubernare. Unde ipse ordo certus rerum manifeste demonstrat gubernationem mundi, sicut si quis intraret domum bene ordinatam, ex ipsa domus ordinatione ordinatoris
rationem perpenderet; ut, ab Aristotele dictum, Tullius introducit in libro De natura deorum. Secundo autem apparet idem ex consideratione divinae bonitatis, per quam res in esse productae sunt, ut
ex supra dictis [q. 44 a. 4; q. 65 a. 2] patet. Cum enim optimi sit optima producere, non convenit
summae Dei bonitati quod res productas ad perfectum non perducat. Ultima autem perfectio uniuscuiusque est in consecutione finis. Unde ad divinam bonitatem pertinet ut, sicut produxit res in esse, ita etiam eas ad finem perducat. Quod est gubernare.
Seconda lettura (1 Cor 4,1-5)
Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò
che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, an-
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che se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il
Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli
metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà
da Dio la lode.
Cristo giudice
San Tommaso (S. Th. III, q. 59, a. 2, in contrario e corpo)
In Gv 5 [27] è detto: [Il Padre] gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’Uomo.
Il Crisostomo sembra persuaso che il potere giudiziario non spetti a Cristo in quanto uomo, ma
solo in quanto Dio. Così infatti egli legge il passo di Giovanni [5,27]: Gli ha dato il potere di giudicare. E non vi meravigliate per il fatto che è Figlio dell’Uomo. E commenta: «Egli infatti giudica
non perché uomo, ma perché Figlio dell’ineffabile Dio. Essendo dunque le facoltà enunciate superiori all’uomo, per chiarire la cosa il Signore dice: “Non vi meravigliate per il fatto che è Figlio
dell’Uomo: poiché è anche Figlio di Dio”». E per darne la prova si appella alla risurrezione finale:
Viene l’ora infatti in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio [Gv
5,28]. – Si deve però notare che, pur restando in Dio l’autorità primaria di giudicare, tuttavia Dio
comunica agli uomini il potere giudiziario rispetto alle cose sottoposte alla loro giurisdizione. Da
cui il comando di Dt 1 [16]: Giudicate con giustizia, a cui seguono le parole: poiché il giudizio appartiene a Dio, per la cui autorità voi giudicate. Ora, sopra si è detto che Cristo, anche per la sua natura umana, è capo di tutta la Chiesa, e che Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi [Sal 8,8]. Perciò a lui spetta, anche secondo la natura umana, il potere giudiziario. Quindi il suddetto brano
evangelico va letto con questa punteggiatura: Gli ha dato il potere di giudicare perché è il Figlio
dell’Uomo, non certo per la condizione della natura umana, perché allora tutti gli uomini avrebbero
un simile potere, come obietta appunto il Crisostomo, ma per la grazia capitale, che Cristo ha ricevuto nella sua natura umana. – Ora, il suddetto potere giudiziario spetta a Cristo nella sua natura
umana per tre motivi. Primo, per la sua conformità e affinità con gli uomini. Come infatti Dio opera
mediante le cause seconde poiché sono più vicine agli effetti, così giudica gli uomini mediante
l’umanità di Cristo affinché il giudizio sia per gli uomini più benevolo. Da cui le parole di Eb 4
[15]: Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque
con piena fiducia al trono della sua grazia. – Secondo, poiché «nel giudizio finale», nota S. Agostino, «ci sarà la resurrezione dei morti, e i loro corpi Dio li risuscita per mezzo del Figlio
dell’Uomo», come «per mezzo del medesimo Cristo risuscita le anime», in quanto questi è «Figlio
di Dio». Terzo, poiché, come spiega S. Agostino, «era giusto che i giudicandi vedessero il giudice.
Ma costoro saranno sia i buoni che i cattivi. Bisognava dunque che nel giudizio la forma di servo
apparisse sia ai buoni che ai cattivi, riservando ai soli buoni la forma di Dio».
Testo latino di S. Tommaso (S. Th. III, q. 59, a. 2, sed contra e corpus)
Sed contra est quod dicitur Ioan. 5 [27], potestatem dedit ei iudicium facere, quia Filius hominis est.
Respondeo dicendum quod Chrysostomus, super Ioan., sentire videtur quod iudiciaria potestas
non conveniat Christo secundum quod est homo, sed solum secundum quod est Deus. Unde auctoritatem Ioannis inductam [Ioan 5,27] sic exponit, potestatem dedit ei iudicium facere. Quia Filius
hominis est, nolite mirari hoc [28]. Non enim propterea suscepit iudicium quoniam homo est, sed
quia ineffabilis Dei Filius est, propterea iudex est. Quia vero ea quae dicebantur erant maiora
quam secundum hominem, ideo, hanc opinionem solvens, dixit, ne miremini quia Filius hominis est,
etenim ipse est etiam Filius Dei. Quod quidem probat per resurrectionis effectum, unde subdit
[Ioan 5,28], quia venit hora in qua omnes qui in monumentis sunt, audient vocem Filii Dei. – Sciendum tamen quod, quamvis apud Deum remaneat primaeva auctoritas iudicandi, hominibus tamen
committitur a Deo iudiciaria potestas respectu eorum qui eorum iurisdictioni subiiciuntur. Unde dic-
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itur Deut. 1 [16], quod iustum est iudicate, et postea subditur, quia Dei est iudicium, cuius scilicet
auctoritate vos iudicatis. Dictum est autem supra [q. 8 aa. 1.4; q. 20 a. 1 ad 3] quod Christus, etiam
in natura humana, est caput totius Ecclesiae, et quod sub pedibus eius Deus omnia subiecit. Unde et
ad eum pertinet, etiam secundum naturam humanam, habere iudiciariam potestatem. Propter quod
videtur auctoritatem praedictam Evangelii sic esse intelligendam, potestatem dedit ei iudicium
facere quia Filius hominis est, non quidem propter conditionem naturae, quia sic omnes homines
huiusmodi potestatem haberent, ut Chrysostomus obiicit, sed hoc pertinet ad gratiam capitis, quam
Christus in humana natura accepit. – Competit autem Christo hoc modo secundum humanam naturam iudiciaria potestas, propter tria. Primo quidem, propter convenientiam et affinitatem ipsius ad
homines. Sicut enim Deus per causas medias, tanquam propinquiores effectibus, operatur; ita iudicat per hominem Christum homines, ut sit suavius iudicium hominibus. Unde apostolus dicit,
Hebr. 4 [15-16], non habemus pontificem qui non possit compati infirmitatibus nostris, tentatum per
omnia per similitudinem, absque peccato. Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiae eius. Secundo, quia in finali iudicio, ut Augustinus dicit, super Ioan., erit resurrectio corporum mortuorum,
quae suscitat Deus per filium hominis, sicut per eundem Christum suscitat animas inquantum est Filius Dei. – Tertio quia, ut Augustinus dicit, in libro De verbis domini, rectum erat ut iudicandi viderent iudicem. Iudicandi autem erant boni et mali. Restabat ut in iudicio forma servi et bonis et malis
ostenderetur, forma Dei solis bonis servaretur.
Vangelo (Mt 6,24-34)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà
l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la
ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete,
né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del
vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate
come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che
oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di
tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
Universalità della provvidenza divina
San Tommaso (S. Th. I, q. 103, a. 5, in contrario e corpo)
S. Agostino dice: «Dio non soltanto non ha lasciato senza armonia di parti il cielo e la terra,
l’angelo e l’uomo, ma neppure l’organismo del più spregevole animaletto, né la piuma dell’uccello,
né il fiorellino dell’erba, né la foglia dell’albero». Quindi è evidente che tutte le cose soggiacciono
al governo divino.
Il governo delle cose compete a Dio per la stessa ragione per cui gli compete la loro produzione,
poiché tocca al medesimo agente produrre un essere e conferirgli la debita perfezione: compito,
quest’ultimo, proprio di chi governa. Ora, Dio non è la causa particolare di un determinato genere di
cose, ma è la causa universale di tutti gli enti, come fu già dimostrato. Come quindi non può esservi
cosa che non sia stata creata da Dio, così non può esservi cosa che non sia sottoposta al suo governo. E la stessa conclusione si impone considerando il fine. Infatti il governo di qualcuno si estende
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quanto può estendersi il fine del suo governo. Ma come sopra abbiamo detto, il fine del governo di
Dio è la sua stessa bontà. Quindi, poiché nulla può esistere che non sia ordinato alla divina bontà
come a suo fine, secondo quanto abbiamo dimostrato, è impossibile che qualcosa sfugga al governo
divino. Stolta è pertanto l’opinione di coloro che negarono il governo divino degli esseri corruttibili,
o anche dei singolari, oppure delle cose umane. Ad essi vengono attribuite quelle parole di Ez: Dio
ha abbandonato il paese.
Testo latino di S. Tommaso (S. Th. I, q. 103, a. 5, sed contra e corpus)
Sed contra est quod Augustinus dicit, 5 De civ. Dei, quod Deus non solum caelum et terram, nec
solum hominem et Angelum, sed nec exigui et contemptibilis animantis viscera, nec avis pennulam,
nec herbae flosculum, nec arboris folium, sine suarum partium convenientia dereliquit. Omnia ergo
eius gubernationi subduntur.
Respondeo dicendum quod secundum eandem rationem competit Deo esse gubernatorem rerum,
et causam earum, quia eiusdem est rem producere, et ei perfectionem dare, quod ad gubernantem
pertinet. Deus autem est causa non quidem particularis unius generis rerum, sed universalis totius
entis, ut supra [q. 44 aa. 1-2] ostensum est. Unde sicut nihil potest esse quod non sit a Deo creatum,
ita nihil potest esse quod eius gubernationi non subdatur. Patet etiam hoc idem ex ratione finis. Intantum enim alicuius gubernatio se extendit, inquantum se extendere potest finis gubernationis. Finis autem divinae gubernationis est ipsa sua bonitas, ut supra [a. 2] ostensum est. Unde cum nihil esse possit quod non ordinetur in divinam bonitatem sicut in finem, ut ex supra [q. 44 a. 4; q. 65 a. 2]
dictis patet; impossibile est quod aliquod entium subtrahatur gubernationi divinae. Stulta igitur fuit
opinio dicentium quod haec inferiora corruptibilia, vel etiam singularia, aut etiam res humanae non
gubernantur a Deo. Ex quorum persona dicitur Ez. 9 [9], dereliquit Dominus terram.
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