Oltre la «decrescita serena» di Serge Latouche (*) Riflettendo sull’«utopia concreta» della «decrescita serena» di Serge Latouche, giustamente c’è da domandarsi se tale pensiero risulti convincente. Latouche delinea un progetto che ha il fascino dell’utopia. Se vogliamo salvarci – dice – dobbiamo pensare a una società più povera, liquidare il mito del Prodotto Interno Lordo (PIL) e sottomettere le decisioni politiche ed economiche alla dura legge della termodinamica, secondo la quale nulla si può fare senza che l’energia si degradi. Il fisico e matematico francese, Nicolas L. Sadi Carnot (1796-1832), l’ha dimostrato: l’entropia vince sempre. Corollario ovvio: non c’è crescita senza limiti in un sistema di per sé limitato come il pianeta Terra 1. Latouche, combinando massimalismo verde e buon senso, traduce il tutto in otto “R”. Ecco le principali. Rivalutare, cioè istituire valori nuovi. Riconcettualizzare, cioè invertire le attuali idee di ricchezza e povertà. Ristrutturare, cioè adattare l’apparato produttivo ai nuovi valori. Rilocalizzare, cioè tornare a una economia che produce e consuma sul posto. Ridistribuire (la ricchezza), Riutilizzare (ulteriore utilizzazione di prodotti già usati), Riciclare (i rifiuti) e Ridurre (gli sprechi). Su alcune cose Latouche ha ragione. Ad esempio, Rivalutare significa uscire dai valori della società mercantile: concorrenza feroce e accumulazione senza limiti, attraverso nuovi stili di vita e i valori dell’altruismo, della generosità, della filantropia, del massimo rispetto dell’ambiente. É vero, nulla può crescere all’infinito, né la popolazione, né il PIL, né il consumo spinto di materie prime e di energia fossile. Ma l’unica soluzione è davvero la decrescita? E si può chiedere di decrescere, ad esempio, a chi non è ancora cresciuto, come i quattro miliardi di persone che abitano in Paesi sottosviluppati? É pur vero che Latouche invoca in qualche modo la dimensione antropologica dell’amicizia e della filantropia. Ma dentro questa crisi sistemica, così complessa, non solo economica ma, culturale ed esistenziale, la filantropia basta? È altrettanto vero che non pochi aspetti della teoria di Latouche siano condivisibili e che «il suo discorso interseca la tradizione dell’economia civile», ma è bene precisare che tale coincidenza si ha sul piano dell’analisi, cioè sull’individuazione delle cause che concorrono a determinare un fenomeno economico e sociale di così vasta portata. Mentre sul piano dei rimedi appare alquanto debole. C’è dunque da fare una distinzione: un conto è la crescita, un conto è lo sviluppo. La crescita si riferisce solamente alla dimensione quantitativo-materiale. Lo sviluppo, invece, va oltre questa dimensione, pur comprendendola, includendo anche l’aspetto qualitativo-relazionale e spirituale. Infatti, se eliminiamo la crescita (quantitativa) o se realizziamo la decrescita, non è detto che si raggiunga un maggiore sviluppo (qualitativo). A tal proposito, l’economista Stefano Zamagni a ragione precisa che etimologicamente la parola sviluppo significa «liberazione dai viluppi, cioè dai vincoli» che limitano la libertà della persona e delle aggregazioni sociali in cui essa si esprime. «Questa nozione di sviluppo viene pienamente formulata all’epoca dell’Umanesimo civile (XV secolo). É stato anche decisivo il contributo della (*) Cf. «Nuova Umanità» news online, n. 200, 31 maggio 2012. 1 Cf. P. BIANUCCI, La decrescita logora anche Latouche, in «La Stampa», 11 marzo 2008. 2 Scuola di pensiero francescana, secondo la quale ricercare le vie dello sviluppo significa amare la libertà» 2. Ecco perché è importante prendere in considerazione ciò che afferma la Dottrina Sociale cristiana, e particolarmente la Caritas in Veritate che parla di «autentico sviluppo umano integrale, volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo» 3 , cioè di uno sviluppo, che deve tenere in armonico e mutuo bilanciamento le tre dimensioni: quantitativo-materiale, socio-relazionale, spirituale e aperto alla trascendenza. «Ciò si realizza – aggiunge Zamagni – attraverso un mutamento della composizione, e non già del livello, del paniere dei beni di consumo: meno beni materiali, più beni relazionali e più beni immateriali. É possibile ciò? Certo che lo è, come il filone di studi dell’economia civile da tempo va dimostrando» 4 . Quindi, il rimedio, o meglio l’alternativa, all’attuale modello economico, basato sul «fondamentalismo neoliberista» 5 , condizionato da calcolati costi-benefici e teso alla massimizzazione del profitto, non è la decrescita ma l’economia civile. Questa è finalizzata alla massimizzazione del bene comune, che va oltre il bene totale (somma di beni individuali) concepito dall’economia politica, la quale, per affrontare i problemi di natura economico-sociale si limita al principio dello scambio di equivalenti e della redistribuzione ad opera dello Stato. L’economia civile va più in là, «aggiunge a questi due principi – dice ancora Zamagni – quello di reciprocità che è il precipitato pratico della fraternità» 6. La fraternità è una nuova virtù del mercato 7 . Nei rapporti mercantili essa si può esprimere mediante «il principio di gratuità e la logica del dono […]. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica» 8. Il fatto è che il principio di fraternità è stato dimenticato dalla modernità 9 . Anche nella teoria della decrescita non lo troviamo declinato nel suo autentico significato, che va oltre la filantropia e anche oltre la solidarietà. Tale principio è rimasto in gran parte non attuato, soprattutto a causa dell’influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche. La fraternità «è una dimensione della libertà e dell’uguaglianza che se manca non permette a queste due realtà dell’umano di fiorire in pienezza… Senza fraternità la vita non fiorisce, non c’è felicità, né umanità piena» 10 . Si tratta in sostanza dell’applicazione di un di più, anche nella sfera dell’economico, che permette, oltre che di solidarizzare con l’altro – cioè condividere problemi, difficoltà, successi – anche 2 S. ZAMAGNI, Il mercato non va demonizzato, ma umanizzato, in «Notizie DSC», Osservatorio Van Thuan, 5 aprile 2011. 3 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 18. 4 S. ZAMAGNI, Il mercato non va demonizzato…, cit. 5 «Il fondamentalismo del mercato neoliberale è stato una dottrina politica al servizio di determinati interessi. Non è mai stato sostenuto da una teoria economica adeguata, né è supportato da un’esperienza storica. Apprendere una volta per tutte questa lezione potrà rivelarsi il piccolo raggio di sole in una nube scura che incombe ormai sull’economia globale» (J. E. STIGLITZ, Così è fallito l’integralismo neoliberista, in «la Repubblica», Affari & Finanza, n. 26, 14 luglio 2008, pp. 1-2). 6 S. ZAMAGNI, Il mercato non va demonizzato…, cit. 7 Cf. L. BRUNI, Le nuove virtù del mercato, Città Nuova Editrice, Roma 2012. 8 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 36. 9 Cf. A. M. BAGGIO (a cura di), Il principio dimenticato, Città Nuova Editrice, Roma 2007. 10 L. BRUNI, Fraternità, in L. BRUNI, S. ZAMAGNI (EDD.), Dizionario di economia civile, p. 442. 3 e soprattutto di fraternizzare, cioè di farsi prossimo, di ascoltare fino in fondo la sua voce o il suo silenzio, di prendersi cura della sua angustia, di farsi uno con lui nel rispetto della sua diversità e del suo pensiero. «Ecco perché la fraternità è diversa (anche se non opposta) dalla solidarietà: si può essere solidali senza essere prossimi, restando immuni; la fraternità è sempre esperienza di prossimità, di contaminazione» 11. E tutto ciò non solo nell’ambito dei rapporti personali, amicali e affettivi, bensì nella vita pubblica, nella realtà economica, politica, sociale. La fraternità, categoria economica oltre che virtù, nella vita pubblica genera un di più di ben-essere, di vita buona e di felicità,«ma anche un di più di sofferenza rispetto ad un mercato della mutua indifferenza, perché non è un contratto, e si resta sempre esposti alla non-reciprocità degli altri» 12. Ma vale la pena pagare questo «prezzo della gratuità» 13 , se vogliamo davvero rifondare l’economia, superando le contraddizioni del capitalismo selvaggio e allargando le variabili da considerare, in modo da far rientrare a pieno titolo nelle analisi economiche un modello basato sull’intreccio di rapporti, cioè, in altre parole, «oltre l’homo oeconomicus» 14 l’homo reciprocans, «il principio di gratuità e la logica del dono, che per sua natura oltrepassa il merito e la sua regola è l’eccedenza, ma non esclude la giustizia» 15. Oggi, la provocazione culturale e antropologica dell’economia civile sta proprio nel credere in questa scommessa: recuperare la categoria della fraternità e – come storicamente insegnano gli economisti civili, da Genovesi a Filangeri a Dragonetti – riportarla nella sfera pubblica e dentro il mercato. Perciò il mercato non va demonizzato ma umanizzato. La teoria della decrescita, pur evidenziando le numerose criticità di un sistema economico, basato sul consumismo spinto e sulla massimizzazione del profitto – caratteri tipici del paradigma dell’economia politica –, in realtà non riesce a proporne il superamento. Ed «è per questo motivo – afferma Zamagni – che la decrescita non si può ritenere risolutiva dei tanti problemi che affliggono le nostre società. Se si continua a demonizzare il mercato, questo diventerà davvero un inferno. La sfida invece è quella della sua umanizzazione» 16. FRANCO BIANCOFIORE 11 Ibid., pp. 443-444. 12 Ibid., p. 444. 13 Cf. L. BRUNI, Il prezzo della gratuità, Città Nuova Editrice, Roma 2006. 14 Cf. L. BECCHETTI, Oltre l’homo oeconomicus, felicità, responsabilità, economia delle relazioni, Città Nuova Editrice, Roma 2009. 15 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 34. 16 S. ZAMAGNI, Il mercato non va demonizzato…, cit.