Aledda Ornella - Atelier di Musica di Biella

PRO CIVITATE CHRISTIANA
ASSISI
CORSO QUADRIE
ALE DI MUSICOTERAPIA
“MUSICOSPEDALIZZA DO”
Esperienza musico-clinica in oncoematologia
pediatrica
Relatore: Prof. Ferdinando Suvini
Tesi di Diploma: Ornella Aledda
[email protected]
Sessione luglio 2014
Ai piccoli-grandi eroi
che ogni giorno combattono con dignità,
che continuano a regalarci un sorriso,
lasciando un segno dolce e vitale nei nostri cuori
Sempre ….
1
I DICE
Introduzione
pag. 4
Capitolo I
Salute, malattia e assistenza
pag. 6
1.1. Il modello bio-psico-sociale
pag. 6
1.2. La qualità dell’assistenza e il modello centrato sul paziente
pag. 7
Capitolo II
Il bambino malato di tumore
pag. 9
2.1. Il tumore in età pediatrica
pag. 9
2.2. Malattia e ospedalizzazione
pag. 12
Capitolo III
Musica e musicoterapia
pag. 16
3.1. Musica e sviluppo nel bambino
pag. 16
3.2. La musicoterapia
pag. 17
3.3. Musicoterapia in ambito ospedaliero
pag. 18
Capitolo IV
Musicoterapia e ricerca
pag. 20
4.1. Premessa
pag. 20
4.2. La ricerca in musicoterapia
pag. 22
4.3. Musicoterapia e ricerca in ambito oncologico
pag. 28
Capitolo V
Il reparto di oncoematologia pediatrica
dell’ospedale pediatrico microcitemico di Cagliari
pag. 32
5.1. Struttura del reparto
pag. 32
5.2. La presa in carico del paziente
pag. 34
2
Capitolo VI
Progetto “Musicospedalizzando”
pag. 37
6.1. La nascita e lo sviluppo del progetto
pag. 37
6.2. Lo spettacolo natalizio
pag. 46
6.3. “Musicospedalizzando”: il progetto definitivo
pag. 49
6.4. Working progress
pag. 51
6.4.1. Organizzazione del lavoro
pag. 51
6.4.2. Musica e narrazione come veicolo di emozioni
pag. 56
6.4.3. Musicoterapia nella gestione del dolore
pag. 63
6.4.4. Musica come oggetto transizionale nella
costruzione della relazione
pag. 66
6.4.5. Nono solo musica: la relazione come oggetto
di sfogo
pag. 72
6.4.6. Musica come divertimento, passatempo e
apprendimento
pag. 74
6.4.7. Musica come strumento di condivisione,
socializzazione e scambio culturale
pag. 77
6.5. Collaborazioni e integrazioni con le altre discipline/progetti
presenti nel reparto: progetto lettura e scuola in ospedale
pag. 78
6.6. Esperienza di musicoterapia con le mamme del reparto
pag. 81
6.7. Vissuti ed emozioni
pag. 85
Conclusioni
pag. 87
Ringraziamenti
pag. 92
Bibliografia
pag. 94
Sitografia
pag. 97
3
I TRODUZIO E
In un contesto come quello dell’oncoematologia pediatrica, il tema dell’emergenza è
all’ordine del giorno. Il verificarsi di malattie gravi e potenzialmente mortali proietta il
bambino/adolescente e la sua famiglia in un’altra dimensione che si allontana totalmente
dalla loro realtà quotidiana, una realtà che subisce cambiamenti su tutti i versanti fisico,
sociale, relazionale, emozionale, comportamentale. La vita cambia i suoi colori e i suoi
profumi, dove sia gli eventi che i vissuti più intimi subiscono continue rielaborazioni in
relazione alle paure più remote, come quella della morte. Il bisogno di sicurezza, la fiducia
nel poter controllare gli eventi e tutto ciò che accade intorno a sé e dentro di sé, vengono a
mancare e il genitore si trova minacciato nella capacità di poter proteggere il proprio figlio
dalla sofferenza. Nel piccolo paziente la patologia cronica e grave limita la vita quotidiana,
la possibilità di poter esplorare e sperimentare liberamente l’ambiente che lo circonda il
quale si trasforma in contenitore asettico e aperto a pochi, con aumento del dolore, delle
paure e dell’angoscia di separazione. L’esperienza traumatica agisce sulla relazione madrebambino, riattivando spesso quegli atteggiamenti di accudimento che fanno parte della
prima infanzia e che Winnicott racchiude nel concetto di “madre sufficientemente buona”,
la quale ha la capacità, con il suo sguardo, la sua voce e i suoi comportamenti, di
trasformare le angosce espresse dal bambino in risposte non altrettanto angoscianti, che lo
rassicurano. In questo caso però, la figura genitoriale è invasa da una forte fragilità e dalla
preoccupazione concreta che la porta a non avere più alcun controllo sugli avvenimenti e il
rispecchiamento madre-bambino rischia di dare informazioni confuse, frammentate e
difficili da interiorizzare e mentalizzare. Per il paziente adolescente la malattia cronica è
vissuta come esperienza del corpo che cambia e che limita l’orizzonte evolutivo,
attaccando la sfera dell’autonomia e riattivando la dipendenza conflittuale dagli adulti di
riferimento.
In questa situazione, ognuno attiva le proprie difese, più o meno consapevoli, per far fronte
all’angoscia di separazione e di morte. Queste difese, se sono adeguate, consentono un
adattamento alla realtà che diventa, oltre che momento e luogo di malattia e cura, ambiente
di crescita e sviluppo per i piccoli pazienti.
4
In questa occasione, “l’ambiente ospedale” dovrebbe diventare un elemento molto
importante non solo per la cura della malattia, ma per una “cura globale” del paziente a
livello bio-psico-sociale.
La malattia pediatrica cronica non coinvolge solo piccoli pazienti e famiglie, ma anche tutti
gli operatori, sia dal punto di vista tecnico-organizzativo che da quello umano, con la
necessità che l’istituzione ospedale diventi un ambiente sanitario “sufficientemente
buono”, capace prima di tutto di accogliere e contenere il dolore del paziente e della sua
famiglia. L’istituzione sanitaria diventa il terzo elemento che dovrebbe contribuire allo
sviluppo di competenze per far fronte alla malattia, attraverso l’erogazione di relazioni
d’aiuto e di tutte quelle attività che si propongono come un “accompagnamento alle cure”.
In quest’ottica che vede un paziente che cresce, che si muove, che gioca, pensa, immagina,
sogna, impara e vive, la musicoterapia assume un ruolo molto importante come strumento
di comunicazione, di libera espressione, di movimento e di sviluppo psico-fisico,
privilegiando innanzitutto l’instaurarsi di una relazione che diventa, a sua volta, strumento
di condivisione di un percorso che, a fronte del tempo e del dolore, trova una speranza di
crescita e di vita.
L’argomento della tesi avrà come tema principale il progetto di musicoterapia che ho
sviluppato
all’interno
dell’oncoematologia
pediatrica
dell’Ospedale
Pediatrico
Microcitemico di Cagliari. In particolare proverò a ripercorrere le tappe di sviluppo di tale
progetto, dalla nascita fino a quello che è il progetto oggi, evidenziando tutti i fattori e le
difficoltà che hanno contribuito al suo sviluppo o che limitano il suo ampliamento.
Prima di affrontare tale argomento, ritengo sia indispensabile dare un quadro generale sia
sulla situazione sanitaria di oggi, sia presentare il luogo in cui opero, definendolo
fisicamente e affrontando in linea generale l’aspetto medico riguardante le malattie
tumorali pediatriche più diffuse, ma soprattutto dedicare uno spazio per parlare dell’aspetto
emotivo del bambino malato di tumore e del mondo in cui si ritrova catapultato.
5
CAPITOLO I
SALUTE, MALATTIA E ASSISTE ZA
1.1. Il modello bio-psico-sociale
Il modello che negli ultimi anni si sta evolvendo e diffondendo sempre più nelle istituzioni
sanitarie è il modello Biopsicosociale.
Il concetto di malattia si è sviluppato nel corso delle epoche acquisendo il significato di
specifico stato di malessere nell’individuo, differenziandosi dal concetto di salute in quanto
stato di generale benessere individuale, quasi sempre considerato solo negativamente quale
assenza di malattia. Di conseguenza il concetto di terapia presuppone l’eliminazione della
malattia e il ripristino della salute.
Esistono due approcci principali che affrontano il tema della salute in maniera totalmente
differente: il modello Biomedico, che riflette pienamente i postulati della medicina classica
applicata alla salute e alla malattia, e quello Biopsicosociale in cui si trovano le attuali
concezioni sulla salute e sui relativi interventi.
Nel modello Biomedico tradizionale ritroviamo un’impostazione riduzionistica in quanto
ricerca la causa nell’organo/apparato disfunzionante disinteressandosi totalmente al resto.
Di conseguenza, la malattia è spiegata come deviazione dalla norma causata da un fattore
biologico primario, oggettivamente identificabile.
La cura del malato avviene mediante l’uso di strumenti “oggettivi” come farmaci,
interventi chirurgici, applicazioni locali, esattamente commisurati al tipo e al grado di
deficit dello stato fisico, biochimico, funzionale. Si ha così la totale esclusione di fattori
comportamentali e sociopsicologici, che non considerati cause potenziali di malattia, non
vengono valutati nel processo di diagnosi.
Il modello Biopsicosociale si colloca all’estremo opposto del modello Biomedico, e può
considerarsi un’evoluzione necessaria di quest’ultimo voluta dai cambiamenti e dai nuovi
bisogni che interessano i nostri giorni.
L’O.M.S. nel 1946 ha evidenziato in pieno la rottura con le vecchie concezioni in cui la
salute era concepita come la semplice mancanza di malattia, definendola invece come “uno
stato di completo benessere psichico, fisico e sociale”.
6
Questo modello si situa all’interno di un panorama di contributi sociologici, psicologici,
pedagogici
che
completano
la
dimensione
medica
predominante,
concependo
nell’individuo equilibrio ed armonia di tutte le sue componenti (biologiche, psicologiche,
sociali), e l’esistenza di potenzialità tali, all’interno di ognuno di noi, da riuscire a
debellare le malattie che si possono presentare lungo l’arco della vita.
La salute, dunque, è il risultato dell’interazione uomo-ambiente, in cui l’ambiente
costituisce l’ambito principale che influenza la qualità della vita attraverso un susseguirsi
di cambiamenti incessanti, derivanti da condizioni di perenne squilibrio e di continuo
adattamento alle mutazioni dell’ambiente fisico e socioculturale, comprendendo in
questo anche l’insieme delle relazioni contestuali in cui il soggetto vive.
Il modello Biopsicosociale trova il suo fondamento nella “Teoria Generale dei Sistemi” (L.
Von Bertalanffy, 1945) dalla quale deriva anche il concetto di salute la quale, collocata in
questa prospettiva, si dispiega all’interno di un sistema in cui diverse variabili che si
trovano in equilibrio manifestano effetti sull’omeostasi biologica, psicologica e sociale
dell’individuo. Essa non è più la risultante passiva di una serie di fattori positivi e negativi,
che interagiscono con la persona e ne determinano l’esistenza, ma è la risultante attiva di
fattori psicologici, cognitivi e comportamentali, con valori individuali e sociali.
1.2. La qualità dell’assistenza e il modello centrato sul paziente
Il controllo e il miglioramento della qualità in ambito di salute e benessere dei cittadini si
sta diffondendo sempre di più in vari ambiti, tra cui anche quello sanitario, all’interno del
quale è possibile delineare quattro dimensioni principali di qualità: la qualità manageriale o
gestionale, la qualità professionale, la qualità sociale e la qualità relazionale. Quest’ultima
è quella che viene percepita maggiormente dagli utenti i quali necessitano sempre più di
chiarezza comunicativa e di relazioni di fiducia. Il fatto che la sanità sia orientata sempre di
più non solo agli esiti di salute, ma anche alla cura del malato/persona che assume un ruolo
decisionale attivo nel percorso sanitario, necessita che i professionisti dei diversi ambiti
della medicina acquisiscano capacità comunicative e relazionali nell’incontro con la
persona malata. Questo richiede che ci sia una formazione continua del personale, una
7
integrazione disciplinare accompagnata da multiprofessionalità e una partecipazione attiva
da parte degli utenti che assumono un ruolo centrale nel processo di cura.
Il modello centrato sul paziente deve le sue origini allo psicoanalista Balint che ha
introdotto il termine di “medicina centrata sul paziente”, e nel 1977 all’introduzione del
modello biopsicosociale da parte di Engel. Secondo i presupposti di tale modello, il
paziente porta con sé all’interno della visita medica non solo i suoi malesseri fisici, ma tutti
i suoi vissuti che diventano importanti nel processo di cura e guarigione durante il quale il
medico ascolta e interpella il paziente, si interessa del suo benessere psicofisico e mette in
gioco, nella relazione che si crea, anche i suoi vissuti e le sue emozioni.
Ciò necessita l’acquisizione di capacità comunicative, relazionali, osservative ed
empatiche da parte dei professionisti dell’assistenza sanitaria, quali medici, infermieri,
psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti.
Ma tutti i buoni presupposti di tale modello raramente vengono messi in pratica; per
costruire delle relazioni è necessario, infatti, impiegare del tempo che non coincide con i
tempi ospedalieri/sanitari di oggi; è necessario inoltre che il medico/operatore sia disposto
a darsi al paziente non solo come professionista ma anche come persona e ciò non rientra
non solo nei tempi, ma nemmeno nella cultura basata ancora prevalentemente sul modello
Biomedico.
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CAPITOLO II
IL BAMBINO MALATO DI TUMORE
2.1. Il tumore in età pediatrica
Il tumore maligno in età pediatrica è una patologia rara, con un’incidenza complessiva che
nei diversi paesi del mondo varia da 80 a 220 nuovi casi per milione di soggetti d’età
inferiore ai 15 anni.
Per l’Italia questa incidenza è calcolata intorno a 180 nuovi casi per milione di persone ed
il rischio approssimativo di sviluppare un tumore nei primi 15 anni di vita è di un soggetto
ogni 564.
In Sardegna i bambini residenti sono circa 250.000 e si presentano circa 45/50 casi
all’anno. Di questi casi, il 60/70% arrivano all’ospedale pediatrico microcitemico di
Cagliari.
Il principale tumore dell’infanzia è la leucemia che rappresenta circa il 40% dei tumori
infantili. Seguono i tumori del sistema nervoso centrale al 22%, i linfomi al 12%, i
neuroblastomi al 7% e i tumori ossei al 6,4%.
L’oncologia pediatrica negli ultimi trent’anni ha compiuto enormi progressi, raggiungendo
importanti percentuali di successo che hanno trasformato la storia naturale di malattie in
precedenza ritenute incurabili. Ciò è stato possibile grazie all’utilizzo di protocolli di
terapia più intensi, maggiori conoscenze sulla biologia dei tumori e terapie innovative,
come il trapianto di midollo osseo. Attualmente 1 adulto su 250 è un lungo sopravvivente
da patologia neoplastica trattata in infanzia. La sopravvivenza cumulativa per tutti i tumori
a un anno dalla diagnosi è circa del 90%, riducendosi progressivamente nei 4 anni
successivi del 10% circa. A 5 anni dalla diagnosi, i bambini con leucemia, linfoma,
retinoblastoma e tumore renale mostrano la prognosi migliore, mentre i bambini con
tumore cerebrale, sarcomi ossei e del connettivo registrano percentuali di sopravvivenza
cumulativa inferiori.
Per quanto riguarda l’eziopatogenesi, la ricerca scientifica ha dimostrato che il tumore è il
risultato di mutazioni del DNA, ovvero di alterazioni che interessano il patrimonio
genetico delle cellule neoplastiche. Tali mutazioni coinvolgono geni implicati nella
proliferazione, differenziazione e nella regolazione del ciclo cellulare, e sono pertanto in
9
grado di alterare il normale processo di crescita e sviluppo della cellula, trasformandola in
neoplastica. Si tratta perlopiù di mutazioni somatiche, interessanti solo le cellule tumorali,
mentre la percentuale di tumori dell’età pediatrica realmente ereditari, ovvero che
implicano un’alterazione genetica trasmessa da uno dei due genitori al figlio e presente in
tutte le cellule dell’organismo, è quanto mai bassa.
Il ruolo dei fattori ambientali, quali agenti fisici e chimici nello sviluppo del tumore è
ancora oggi fonte di dibattito ed è al centro di numerosi studi di epidemiologia molecolare.
L’ipotesi più accreditata è che la patogenesi del tumore sia un processo multifattoriale, in
cui si verifica l’interazione tra suscettibilità genetica ed esposizione a fattori ambientali.
Le principali patologia trattate presso l’Oncoematologia Pediatrica di Cagliari sono:
-
Leucemie
-
Piastrinopenie e piastrinopatie
-
Aplasie e ipoplasie midollari acquisite, Mielodisplasie
-
Linfomi Istiocitosi
-
Tumori del Sistema Nervoso Centrale
-
Tumori neuroblastici periferici (ganglio neuroma, neuroblastoma)
-
Sarcomi dei tessuti molli e dell’osso
-
Tumori renali
-
Tumori epatici
-
Tumori germinali
-
Tumori rari
Per avere un quadro più chiaro sui sintomi e percorsi di cura di tali malattie, mi soffermerò
nel descrivere brevemente e semplicemente quelle più diffuse con le quali ho avuto
maggiormente a che fare.
Leucemia linfoblastica acuta (LLA): è una neoplasia maligna sistemica di cellule della
linea linfoide che originano nel midollo. Queste cellule possono determinare una
degenerazione tumorale formando delle cellule blastiche (i tumori). L’anormalità sta nel
fatto che vengono prodotte in maniera incontrollata e in numeri altissimi, invadendo il
midollo.
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I primi sintomi di esordio della LLA sono generalmente aspecifici e comprendono la
mancanza d’appetito, irritabilità, letargia, febbre, dolori muscolari, ematomi, infezioni.
Il trattamento include le seguenti fasi:
-
Induzione della remissione completa di malattia che si basa sull’utilizzo di 4
farmaci (corticosteroidi, vincristina, L-asparaginasi e antracicline);
-
Consolidamento, con l’obiettivo di eliminare eventuali blasti residui. Prevede la
somministrazione di 6-Mercaptopurina e di 4 cicli di Methotrexate ad alte dosi;
-
Re induzione, simili all’induzione ma con modifiche riguardanti alcuni farmaci;
-
Mantenimento della remissione completa di malattia.
La terapia ha una durata complessiva di 2 anni circa. In generale le LLA del bambino sono
una delle neoplasie ematologiche a prognosi migliore, con sopravvivenza libera da malattia
a 5 anni che raggiunge l’85% dei casi.
Leucemia mieloide acuta (LMA): neoplasia maligna caratterizzata dalla proliferazione
delle cellule mieloidi e da un loro conseguente deficit delle capacità differenziative e
maturative a livello midollare. I sintomi predominanti sono simili alla linfoblastica, ma la
prognosi è più sfavorevole. La terapia si suddivide in 2 fasi:
-
Induzione della remissione completa di malattia;
-
Consolidamento/intensificazione post remissione: ha lo scopo di consolidare in
modo permanente lo stato di remissione di malattia con l’utilizzo di alte dosi di
chemioterapia.
La sopravvivenza libera da malattia a 5 anni fatica a raggiungere il 60% dei casi.
Tumori del sistema nervoso centrale (S"C): rappresentano per frequenza la seconda
neoplasia dell’età pediatrica, dopo le leucemie. Ne esistono varie forme e i sintomi
principali sono espressione dell’ipertensione endocranica e comprendono cefalea, vomito
mattutino e disturbi visivi come strabismo e diplopia, convulsioni, alterazione dello stato di
coscienza fino al coma. I restanti sintomi dipendono dalla sede della neoplasia. Il
trattamento è multidisciplinare: asportazione totale o parziale del tumore, se possibile;
radioterapia ( non indicata nei bambini minori di 3 anni a causa degli effetti sulla crescita e
sullo sviluppo neuro-cognitivo); chemioterapia.
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2.2. Malattia e ospedalizzazione
La malattia oncologica in età evolutiva rappresenta un evento critico, evocatore di
sofferenza, di angosce e paure; è quindi necessario, accanto al bisogno primario di cure
fisiche, un affiancamento e un sostegno sul piano psicologico: la mente corre il rischio di
essere totalmente occupata e schiacciata dal pensiero e dal peso della condizione fisica.
Il piccolo paziente è il protagonista del percorso di malattia la quale, in relazione all’età e
al proprio assetto emotivo interno, può essere vissuta sia come un evento aggressivo
esterno che si presenta minaccioso e insopportabile nel suo aspetto di tortura e/o castigo
per colpe reali e/o fantastiche, o come situazione di perdita della propria identità e
integrità, ma anche come condizione di diversità, accompagnata in entrambe i casi da
un’intensa sofferenza collegata alla paura del dolore e della morte. A tutti questi vissuti si
aggiungono sentimenti di solitudine, di incomunicabilità, di esclusione, che possono
sfociare in un atteggiamento di profondo isolamento o di dispotismo assoluto. Prevale
inoltre il bisogno di dipendenza emotiva che intralcia l’acquisizione di una progressiva
autonomia, tappa fondamentale nel processo di sviluppo del bambino; nel caso in cui
l’autonomia sia già stata acquisita, il bisogno di dipendenza può portare ad una regressione
evolutiva del bambino.
L’ingresso in ospedale rappresenta per il piccolo paziente un’esperienza di separazione e di
perdita non solo dal suo precedente stato di benessere psico-fisico, ma anche dal suo
ambiente familiare e scolastico, entrambe ricchi di relazioni, abitudini, necessità, spazi e
stimoli continui, necessari per il suo percorso di crescita e sviluppo.
La permanenza in ospedale è contrassegnata da aspetti di depersonalizzazione e da
sentimenti di noia e solitudine, che favoriscono l’insorgenza di atteggiamenti di
regressione, isolamento, ostilità e aggressività. Ogni giornata è accompagnata da profonda
ansia dovuta anche alle continue procedure alle quali vengono sottoposti che, nonostante
siano indolori, possono trasformarsi in un momento molto critico.
La degenza si rivela quindi come un momento di rottura rispetto a certe sicurezze della vita
normale esterna e al percorso di crescita, punto cruciale e specifico dell’infanzia, in cui la
qualità di vita non richiede solo il mantenimento della condizione precedente, ma anche e
soprattutto nuove acquisizioni sul piano emotivo - relazionale, motorio e cognitivo.
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I progressi terapeutici degli ultimi vent’anni nella cura dei tumori infantili hanno
contribuito non solo ad un innalzamento delle percentuali di guarigione ma anche ad un
cambiamento nei tempi di ospedalizzazione i quali si sono progressivamente ridotti: molte
procedure, infatti, vengono erogate in regime ambulatoriale e/o day hospital. La realtà dei
bambini che crescono in ospedale in assenza di relazioni e stimoli è pressoché scomparsa e
la degenza è limitata nel tempo.
L’attuale organizzazione di assistenza nell’ospedale pediatrico consente la permanenza di
uno dei genitori, un fattore molto importante per limitare l’aspetto di rottura e per dare la
possibilità al bambino di essere assistito, protetto e supportato da una figura fondamentale
per la sua crescita.
Nello specifico dell’oncoematologia pediatrica, il primo ricovero solitamente è il più lungo
e necessario per arrivare ad una diagnosi e per programmare e iniziare il processo
terapeutico. Si può arrivare ad avere una degenza che supera i 30 giorni, periodo in cui
bambino e nucleo familiare si ritrovano a dover superare lo stato di shock iniziale e ad
intraprendere il processo di adattamento al loro “nuovo stile di vita” che li accompagnerà
per i prossimi anni.
Nei genitori la diagnosi di malattia oncologica del figlio comporta un percorso emotivo in
genere caratterizzato da tre fasi sequenziali:
•
lo shock iniziale dei primi giorni, accompagnato da uno stato di confusione e
disorientamento totale che influisce negativamente sulle capacità di gestione della
situazione;
•
la negazione, che può essere più o meno presente e persistente, che si traduce
nell’affermare che il problema non esiste o è facilmente risolvibile magari
intraprendendo altre strade terapeutiche e/o interventi risolutivi;
•
l’accettazione che porta ad una convivenza con una realtà inaccettabile che viene
però riconosciuta e affrontata, anche se con sofferenza e alternanza di sentimenti
positivi e negativi rispetto a sé, al figlio malato e all’ospedale.
La consapevolezza di avere un figlio malato, oltre che essere fonte di grande dolore,
costituisce per i genitori una perdita del potere di tutelare il proprio figlio dai pericoli della
vita, dalla sofferenza e dal dolore, generando un senso di impotenza molto difficile da
gestire e accettare, accompagnato spesso da sentimenti di colpa.
13
Il bambino oncologico porta con sé molta sofferenza dovuta a tutta una serie di disturbi
fisici e psicologici correlati a diversi fattori:
-
la patologia che spesso si manifesta con dolori osteoarticolari, ossei o muscolari,
febbre, astenia, malessere diffuso, irritabilità, cefalea;
-
la terapia che ha un alto grado di tossicità e può provocare sia danni precoci che
tardivi e durante la quale il paziente soffrirà di vomito, mucositi e alopecia (perdita
di capelli); inoltre la continua somministrazione dei farmaci richiede l’inserimento
di un catetere venoso (Cvc) che a volte può ostruirsi e può essere causa di infezioni.
La medicazione settimanale del catetere è uno dei momenti più temuti dai bambini
in quanto il cerotto che protegge il catetere e che viene tolto e rimesso ogni volta
durante la medicazione, provoca spesso pesanti irritazioni alla pelle;
-
la prolungata ospedalizzazione e la stanchezza influiscono sulla funzionalità
motoria e sull’indipendenza;
-
l’ansia dovuta ad una situazione anomala, precaria e instabile dove il bambino si
interroga sul proprio futuro e sulla possibilità di andare incontro alla morte.
Risulta quindi necessario attivare il maggior numero di servizi che possano prendersi cura
non solo del piccolo paziente, ma anche della sua famiglia che si ritrova totalmente
coinvolta e assorbita da un evento che ha sconvolto, senza preavviso, vita e dinamiche
relazionali, spazi e abitudini. Il bambino necessita di un programma di supporto che lo
accompagni nel percorso di cura dandogli tutti gli stimoli che non può ricevere
dall’esterno, fondamentali per la sua crescita evolutiva; ma anche stimoli che lo aiutino a
migliorare la sua degenza con attività che riattivino il movimento corporeo e la voglia di
fare durante la giornata, con momenti divertenti, rilassanti e stimolanti.
Fondamentale per il miglioramento della qualità di assistenza negli ospedali pediatrici è
stata la redazione della Carta di EACH.
L'EACH (European Association for Children in Hospital) è l'organismo, fondato nel 1993,
che raccoglie e coordina tutte le Associazioni no profit di 16 paesi europei impegnate per il
benessere del bambino in ospedale.
14
Nel 1988 quattordici di queste associazioni avevano redatto a Leida una carta che riassume
in 10 punti i diritti del bambino in ospedale, e che dal 1993 è stata denominata Carta di
EACH:
1. Il bambino deve essere ricoverato in ospedale soltanto se l’assistenza di cui ha bisogno non può essere
prestata altrettanto bene a casa o in trattamento ambulatoriale.
2. Il bambino in ospedale ha il diritto di avere accanto a sé in ogni momento i genitori o un loro sostituto.
3. L’ospedale deve offrire facilitazioni a tutti i genitori che devono essere aiutati e incoraggiati a restare. I
genitori non devono incorrere in spese aggiuntive o subire perdita o riduzione di salario. Per partecipare
attivamente all’assistenza del loro bambino i genitori devono essere informati sull’organizzazione del reparto
e incoraggiati a parteciparvi attivamente.
4. Il bambino e i genitori hanno il diritto di essere informati in modo adeguato all’età e alla loro capacità di
comprensione. Occorre fare quanto possibile per mitigare il loro stress fisico ed emotivo.
5. Il bambino e i suoi genitori hanno il diritto di essere informati e coinvolti nelle decisioni relative al
trattamento medico. Ogni bambino deve essere protetto da indagini e terapie mediche non necessarie.
6. Il bambino deve essere assistito insieme ad altri bambini con le stesse caratteristiche psicologiche e non
deve essere ricoverato in reparti per adulti. Non deve essere posto un limite all’età dei visitatori.
7. Il bambino deve avere piena possibilità di gioco, ricreazione e studio adatta alla sua età e condizione, ed
essere ricoverato in un ambiente strutturato arredato e fornito di personale adeguatamente preparato.
8. Il bambino deve essere assistito da personale con preparazione adeguata a rispondere alle necessità fisiche,
emotive e psichiche del bambino e della sua famiglia.
9. Deve essere assicurata la continuità dell’assistenza da parte dell’équipe ospedaliera.
10. Il bambino deve essere trattato con tatto e comprensione e la sua intimità deve essere rispettata in ogni
momento.
15
CAPITOLO III
MUSICA E MUSICOTERAPIA
3.1. Musica e sviluppo nel bambino
La musica ha un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo del bambino, sin dal suo
concepimento. Il bambino, infatti, durante la sua vita intrauterina, è immerso in un mondo
ricco di stimoli sonori: il battito del cuore della mamma, il flusso sanguigno, i rumori
intestinali, il liquido amniotico, le vibrazioni corporee; dal quarto mese di gestazione il
bambino inizia a percepire il suono della voce materna e più in là anche gli stimoli sonori
provenienti dal mondo esterno. Al momento della nascita, questo mondo sonoro in cui ha
vissuto per nove mesi, viene sostituito da un altro mondo ricco di stimoli e per questo,
inizialmente, abbastanza traumatico.
È stato dimostrato che il bambino ha una propensione spontanea ad avvicinarsi al mondo
sonoro e lo fa seguendo delle tappe evolutive che coincidono con le tappe di sviluppo del
nostro funzionamento percettivo, emotivo e cognitivo globale.
L’inserimento della musica nelle prime fasi della vita del bambino è fondamentale. Essa
incide sul suo sviluppo per diversi motivi:
-
contribuisce ad uno sviluppo armonico della personalità;
-
influisce sullo sviluppo cognitivo;
-
contribuisce alla costruzione del Sé e dell’identità individuale e gruppale;
-
sviluppa l’intersoggettività e la comunicazione interpersonale;
-
permette al bambino di esprimersi liberamente e di dare sfogo alla sua curiosità;
-
contribuisce ad uno sviluppo emotivo: alla struttura musicale si associa una
reazione emozionale, spesso intensa e profonda, essenziale per riconoscere il nostro
mondo emotivo e per la sua espressione simbolica.
La relazione base sulla quale si lavora a livello musicale è quella tra madre e bambino. Il
primo stimolo sonoro fondamentale è, infatti, la voce materna. Diversi studi dimostrano
che il cosiddetto linguaggio motherese, ricco di giochi vocali, influenza lo sviluppo socio
affettivo del bambino. Questo tipo di linguaggio è fatto di intonazioni, dinamiche,
inflessioni, accelerazione, decelerazione; tutti aspetti che fanno parte del linguaggio
16
musicale. Daniel Stern afferma che: “cio che certamente importa di meno è quello che la
madre dice realmente. L’importante è la musicalità dei suoni che produce”.
3.2. La musicoterapia
La musicoterapia apporta evidenti benefici all’organismo, sia dal punto di vista fisico che
psicologico. Diversi studi hanno dimostrato che sia l’ascolto che la produzione musicale
siano in grado di apportare benefici per il corpo e la mente. Uno dei punti più interessanti
emersi dalle varie ricerche riguarda l’effetto della musicoterapia sul sistema immunitario.
E’
infatti
apparso
che
la
musica
sia
in
grado
di
stimolare
un
aumento
dell’immunoglobulina A, anticorpo importante per l’immunità umana e dei linfociti. Ma
anche un abbassamento della pressione sanguigna, sicuramente legato all’abbassamento
dello stress vissuto dalla persona, agendo sulla produzione di cortisolo (conosciuto come
ormone dello stress, N.d.R.). La musica si è inoltre mostrata adatta a ridurre l’ansia prima
di un intervento chirurgico in modo più efficace rispetto ai farmaci. Al contempo ha
mostrato di essere in grado di promuovere anche la crescita dell’ossitocina, o ormone della
felicità.
La musicoterapia può essere definita come una tecnica di intervento terapeutico,
riabilitativo ed educativo che utilizza la musica, in tutte le sue varie espressioni, come
strumento di comunicazione principale. Può operare in diversi ambiti e dipendentemente
da essi si pone degli obiettivi specifici e necessita di metodologie differenti. A prescindere
dagli ambiti, ci sono dei punti fermi fondamentali per la buona riuscita di un percorso
musicoterapico: l’utilizzo della musica e la relazione terapeutica. È a partire
dall’interazione precoce madre – bambino che il musicoterapeuta instaura una relazione di
tipo non verbale e sonoro – musicale, durante la quale, attraverso sintonizzazioni affettive,
è in grado di condividere le emozioni del paziente. Le risposte emozionali sono
fondamentali nel processo di adattamento dell’individuo all’ambiente e sono fonte di
informazioni sia a livello intrapersonale che interpersonale. È importante che l’individuo,
nel corso del suo sviluppo affettivo, impari ad acquisire consapevolezza del proprio mondo
emotivo così che possa essere regolato, gestito, riconosciuto ed elaborato. La relazione
terapeutica viene sviluppata attraverso l’utilizzo dell’elemento sonoro musicale quale
mediatore espressivo facilitante che permette al musicoterapeuta di avvicinarsi sempre di
17
più all’ascolto di emozioni e bisogni del paziente. La scelta delle varie tecniche musicali,
dalla improvvisazione libera e/o guidata all’ascolto di brani registrati, dipende sia dagli
obiettivi da raggiungere che dai bisogni e preferenze del paziente. Viene a crearsi così un
“dialogo sonoro - emotivo” e “uno spazio simbolico” all’interno del quale il paziente
esprime e comunica le proprie emozioni, riflette su di esse e intraprende un percorso di
regolazione ed elaborazione che lo porta a dare alle emozioni una collocazione spazio
temporale e un senso.
3.3. Musicoterapia in ambito ospedaliero
La musicoterapia in contesto ospedaliero dovrebbe essere inserita all’interno di quelle
terapie di supporto che si occupano del paziente non solo come malato, ma come persona,
parte integrante di un sistema ricco di interazioni, bisogni, emozioni che, con l’arrivo di
malattia e ospedalizzazione, necessita di essere sostenuta.
In psicologia della salute i vari studi hanno ormai messo in evidenza come le modalità
attraverso le quali l’uomo reagisce alla malattia influiscono fortemente sulla qualità della
vita e del processo di malattia stessa.
È importante che la musicoterapia in ambito ospedaliero venga proposta come tecnica di
intervento che considera il paziente in un’ottica di tipo olistico.
Nel bambino l’attività musicale permette che ci sia un coinvolgimento sensoriale e motorio
che contribuisce ad alleviare le tensioni dovute al dolore e alle paure che vive in ospedale;
contribuisce a mantenere attivo il processo di crescita e sviluppo e rappresenta
un’esperienza di familiarità e contatto con il mondo esterno e con la quotidianità.
La persona ospedalizzata, sia essa adulto o bambino, vive l’esperienza musicale come uno
spazio per sé in cui tutto è concesso: i pensieri e il corpo sono liberi di esprimersi, di
comunicare, di scegliere, di coccolarsi e rispettarsi, di sfogarsi, urlare, rilassarsi e dormire,
sognare, cantare, suonare, ballare, ridere e piangere.
Tutte queste possibilità che la musica offre, consentono al paziente di poter vivere in
modo più sereno il percorso che deve affrontare, in un contesto in cui la scelta non è
ampiamente concessa e il corpo si ritrova ad essere oggetto di procedure mediche spesso
traumatiche e dolorose.
18
I momenti musicali, oltre che essere individuali, possono essere delle sane occasioni di
condivisione sia con i familiari che con altri pazienti e/o operatori, riattivando il
coinvolgimento sociale che spesso viene a mancare.
Gli interventi di musicoterapia potrebbero essere organizzati a più livelli:
-
prevenzione primaria in cui l’utilizzo del canale sonoro musicale è orientato a
raggiungere obiettivi globalmente contenitivi e maturativi;
-
prevenzione secondaria e terziaria sono orientate sulla riabilitazione e quindi sul
prevenire complicanze su una situazione di deficit già esistente o sulla
stabilizzazione di una determinata situazione per aiutare il paziente verso
l’integrazione sociale;
-
a livello terapeutico l’obiettivo della musicoterapia è quello di promuovere una
migliore integrazione psicofisica della personalità, lavorando sull’aspetto emotivo e
sulla relazione.
Nell’ambito dell’oncoematologia pediatrica, la musicoterapia può essere utilizzata sui vari
livelli, dipendentemente dalla fase in cui si trova il paziente. Il bambino oncologico
presenta spesso problematiche legate sia alla malattia che all’ospedalizzazione che lo
portano ad essere depresso, arrabbiato, nervoso, incompreso, non ascoltato in un contesto
dove non può scegliere per se stesso e dove le figure di riferimento sembrano a volte
perdere la loro integrità di “genitori che proteggono”. Il momento musicale diventa per
loro uno spazio di scelta, di ascolto e di libera espressione in cui si crea una relazione con
il musicoterapeuta che spesso va al di là dello strumento sonoro/musicale, aprendosi verso
una relazione nella quale il bambino si appoggia e si lascia accompagnare nel lungo e
faticoso percorso di malattia.
19
CAPITOLO IV
MUSICOTERAPIA E RICERCA
4.1. Premessa
La musicoterapia, come ogni disciplina complessa, necessita di accrescimenti scientifici e
approfondimenti che diano la prova della sua importanza ed efficacia. Essa ha quindi come
obiettivo quello di dimostrare e quantificare i dati, da un lato per appagare un certo rigore
scientifico e per legittimare sul piano istituzionale la pratica della disciplina, dall’altro
perché essa utilizza un approccio olistico, in un ottica anti-riduzionistica. La musicoterapia
va considerata sul piano culturale come una disciplina in fieri che tenta di unire dati
empirici con principi scientifici di varia natura. La ricerca musicoterapica non va
considerata come qualcosa di estraneo alla pratica clinica. È necessario chiarire le
implicazioni terapeutiche dell’uso della musica, andando al di là di tutte quelle credenze
sviluppatesi dall’antichità fino ai giorni nostri che attribuiscono indiscriminatamente alla
musica poteri curativi. Prima di tutto bisogna definire quale musica, quale effetto e su quali
individui per cercare di capire e dimostrare come la musica possa determinare effetti
terapeutici. Ciò significa evitare generalizzazioni e mirare a produrre ipotesi di efficacia
basandosi sull’utilizzo di procedure codificate e verificabili. Purtroppo accade molto
spesso che negli studi scientifici che riguardano le applicazioni terapeutiche (o presunte
tali) della musicoterapia ci si riferisce all’uso della musica in senso generale senza
nemmeno riferirsi al contenuto dell’intervento, pensando che ad esempio la musica classica
abbia gli stessi effetti su tutti gli individui o che la musica new age con le sue suggestioni
timbriche e la dilatazione del tessuto musicale portino un diffuso benessere a chiunque
l’ascolti. Tutto ciò viene spesso citato senza individuare specifici criteri applicativi,
modalità di verifica e implicazioni cliniche supportate da evidenze scientifiche. Un
esempio tra i più eclatanti è dato dagli studi fatti “sull’Effetto Mozart”. Tra le tante ipotesi
nate sulle potenzialità della musica mozartiana, i primi studi mostravano su un campione di
giovani studenti sottoposti a dei test, che l’ascolto di una sonata di Mozart (Sonata in re
maggiore per due pianoforti KV 448), migliorasse alcune abilità e in particolare quelle
visuo-spaziali.
20
Studi successivi, basati sull’utilizzo di criteri scientifici e di un utilizzo di una metodologia
di ricerca più rigorosa, hanno dimostrato che l’Effetto Mozart sembrerebbe essere legato a
cambiamenti d’umore e del livello di motivazione all’ascolto (Schellenberg, 2003) e che il
miglioramento che essa porta in alcune abilità (non solo quelle visuo-spaziali) sia legato al
livello di arousal e ai cambiamenti d’umore indotti dall’ascolto musicale (Schon et al.,
2007).
La musica ha sicuramente effetti benefici, ma questa considerazione spesso non è legata al
concetto di terapia, soprattutto in ambito patologico. Molto spesso si incorre quindi
nell’errore di definire musicoterapia le generiche potenzialità benefiche della musica; ma
esiste la definizione di “musicoterapia” riconosciuta dalla comunità musicoterapica
internazionale, condivisa nell’ambito del Congresso Mondiale di Musicoterapia di
Amburgo del 1966:
“La musicoterapia è l’uso della musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per opera di
un musicoterapeuta qualificato, in rapporto individuale o di gruppo, all’interno di un processo definito, per
facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la mobilizzazione, l’espressione,
l’organizzazione e altri obiettivi terapeutici degni di rilievo, nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici,
emotivi, mentali, sociali e cognitivi. La musicoterapia si pone come scopi di sviluppare potenziali e/o
riabilitare funzioni dell’individuo, in modo che egli possa ottenere una migliore integrazione sul piano
intrapersonale e/o interpersonale e, conseguentemente, una migliore qualità della vita attraverso la
prevenzione, la riabilitazione o la terapia”.
La musicoterapia viene quindi definita come una disciplina basata sul paradigma suonoessere umano, che ha come obiettivi quelli della prevenzione, della riabilitazione e della
terapia i quali si sviluppano con l’utilizzo di un processo relazionale che si avvale di
specifiche tecniche: ascolto e improvvisazione. Queste tecniche hanno obiettivi
riconducibili alla dimensione intra e interpersonale dell’individuo, nonché al ripristino e/o
al potenziamento di funzioni compromesse dalla presenza di una patologia riducendone i
sintomi e provando a prevenire le complicanze determinate dai sintomi stessi.
Nel momento in cui si parla di musicoterapia, essendo una disciplina abbastanza recente
come pratica terapeutica, bisogna rispondere a diversi interrogativi attraverso i quali sia
possibile definirne le procedure e i confini, legittimandone l’applicazione. Qualsiasi terapia
deve infatti essere supportata da un “razionale” che guidi il processo terapeutico, attraverso
un intervento fondato su presupposti teorici e tecniche attuative. L’aspetto più importante
21
della musicoterapia è legato alla sua natura non verbale. A tal proposito nascono diversi
dubbi e punti interrogativi sul come, ad esempio, si possa sviluppare un processo
terapeutico senza una fase elaborativa verbale. Per questo motivo è necessario che si
raggiunga una scientificità che possa legittimare l’applicazione della musicoterapia.
In Italia e non solo, la musicoterapia è una disciplina non ancora riconosciuta sul piano
culturale, formativo e applicativo. Si crea così un paradosso in cui da un lato si esige una
scientificità che legittimi la pratica, dall’altro lato la scientificità potrebbe dipendere dalla
legittimazione dell’applicazione stessa.
Questa incongruenza deriva anche dal fatto che la formazione stessa in musicoterapia non
ha ancora un riconoscimento istituzionale, limitando così l’accesso alla ricerca.
Tutti questi impedimenti non hanno comunque limitato e scoraggiato la formazione e
l’utilizzo di questo metodo terapeutico. La realtà è che l’interesse per la disciplina sta
crescendo sempre di più sia sul piano formativo che su quello applicativo. Pian piano si
stanno delineando e affermando modelli di riferimento teorici coerenti all’applicazione e
alla formazione in questo campo. Modelli che ovviamente dovranno mantenere una certa
flessibilità applicativa legata alle differenze individuali di pazienti e musicoterapeuti.
4.2. La ricerca in musicoterapia
La metodologia della ricerca in musicoterapia oscilla tra due tipi di pensiero:
il pensiero quantitativo;
il pensiero qualitativo
Il modello quantitativo prende le basi dal modello positivista, studia i rapporti di causaeffetto, dà priorità al dato numerico elaborato statisticamente e mira all’oggettività,
riproducibilità e generalizzazione dei fenomeni studiati. Qui il ricercatore non è coinvolto
in prima persona.
Il modello qualitativo, invece, si occupa parzialmente dei risultati e si concentra
maggiormente sui processi; si basa sull’idea che non esiste l’oggettività delle cose e si
concentra sulla comprensione e presentazione della complessità e sull’approfondimento dei
fenomeni. Questo modello vede il ricercatore coinvolto in prima persona.
22
È necessario capire quali dati possono essere quantificati e quale valore attribuire a questa
quantificazione. Molto spesso si possono ottenere dei dati quantitativi dall’osservazione e
rilevazione di eventi/comportamenti che vengono colti all’interno di una relazione sonoromusicale e non verbale. Tali dati ovviamente non costituiscono la base per formulare teorie
o affermazioni dogmatiche; tuttavia sono dati molto importanti in quanto si trasformano in
nuovi stimoli di indagine e molto spesso avvalorano le intuizioni e le osservazioni emerse
dalla ricerca.
La musicoterapia non può comunque rinunciare alla sua logica qualitativa pur aspirando al
massimo livello di scientificità e all’utilizzo di un modello quantitativo di modo che i
progetti vengano strutturati con criteri adeguati e siano almeno in parte generalizzabili.
Innanzitutto bisogna definire l’oggetto di studio e visto i numerosi interrogativi ancora
oggi presenti nelle musicoterapia, è bene che ci si basi su varie tipologie di ricerca:
1. Ricerca teorica, in cui il ricercatore deve definire un modello teorico di riferimento
in base al quale poi il musicoterapeuta organizzerà il setting musicale, i pazienti idonei a
quello specifico trattamento, le linee guida, gli obiettivi, le tecniche e le modalità di
verifica per il suo intervento;
2. Ricerca relativa al processo, che ha come strumento principale e fondamentale
l’osservazione di contenuti caratteristici con specifiche modalità osservative. Queste
tecniche
vengono
utilizzate
soprattutto
per
analizzare
l’interazione
musicoterapeuta/paziente e in particolare la comunicazione non verbale e sonoro musicale.
In questa prospettiva si collocano i protocolli osservativi di matrice psicodinamica proposti
da Benenzon che hanno un’impronta soggettiva e descrivono globalmente il setting ed il
processo musicoterapico. Esisto altri strumenti come l’ IAP (Improvisation Assessment
Profiles) di Bruscia (2001) e la MIR (Music Improvisation Rating) della Pavlicevic.
Attraverso l’IAP si osserva l’improvvisazione e il comportamento sonoro-musicale del
paziente, per il quale si traccia un profilo personologico che aiuta a definire e interpretare il
comportamento dello stesso sia all’interno dell’improvvisazione che in altre situazioni.
La MIR invece descrive vari livelli di responsività e coinvolgimento emotivo del paziente
rispetto a quanto proposto dal musicoterapeuta. Anche in Italia sono stati affrontati e
approfonditi
alcuni
studi
sull’osservazione
facendo
riferimento
alle
teorie
dell’intersoggettività e arrivando a creare specifiche griglie musicoterapiche. Ad esempio,
nell’Università di Bologna alcuni ricercatori hanno sperimentato una griglia (Albano et al.,
23
2003; Artale et al., 2006) che riconduce l’osservazione alle teorie della co-regolazione di
Fogel. Altri studi (Raglio, 1999; Raglio et al., 2000; 2006; 2007a) hanno introdotto
nell’osservazione il concetto di “sintonizzazione affettiva”. Inoltre è in corso un progetto di
ricerca nel Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo dell’Università Cattolica di Milano
volto a sperimentare una griglia di osservazione (Music Therapy Coding Scheme) (Raglio
et al., 2006) che codifica il processo musicoterapico. La griglia utilizza un software (The
Observer Video- Pro 5.0) che analizza, seguendo determinati parametri, la relazione
musicoterapica attraverso la scansione di videotape ed elabora successivamente i dati
qualitativi e quantitativi derivanti dall’osservazione.
Si esaminano in particolare quattro classi comportamentali: comunicazione non verbale,
comunicazione verbale, comunicazione sonoro- musicale, espressione del volto. Lo
strumento è stato attualmente utilizzato osservando sedute di musicoterapia con bambini
autistici.
Si è successivamente creato uno strumento più semplice (Music Therapy Checklist) (
Raglio et al., 2007) che non richiede l’utilizzo di alcun software, rendendone più fruibile
l’utilizzo e semplificandone la siglatura.
Per la musicoterapia recettiva, la presenza di strumenti di valutazione è ancora più
povera; ciò è dovuto al fatto che tali approcci sono meno utilizzati nella pratica clinica e
hanno quindi bisogno di maggiori approfondimenti teorici;
3. Ricerca relativa agli esiti. La musicoterapia deve utilizzare strumenti clinici
attraverso i quali poter dimostrare l’efficacia del trattamento. Purtroppo non ci sono
strumenti che permettono di rilevare cambiamenti esterni al setting in modo adeguato,
soprattutto perché la musicoterapia opera spesso con pazienti che hanno deficit molto gravi
e cronici; di conseguenza i cambiamenti che ci possono apparire non possono essere
rilevati e misurati al di fuori del setting musicoterapico.
Le fasi del processo di ricerca in musicoterapia si dividono in:
a) individuazione del problema e formulazione delle ipotesi;
b) pianificazione del disegno di ricerca;
c) realizzazione dell’intervento terapeutico;
d) osservazione/valutazione;
e) raccolta ed elaborazione dei dati;
f) interpretazione dei dati;
24
g) comunicazione dei risultati.
La tipologia di ricerca relativa allo studio degli esiti prodotti dall’intervento
musicoterapico, insieme a quella legata al processo, risponde alla necessità di carattere
scientifico di indagare gli effetti prodotti dalla musicoterapia nei diversi ambiti applicativi.
È importante definire il tipo di approccio utilizzato e la tecnica conseguente, definire
l’oggetto della ricerca e le modalità con cui verrà realizzato il progetto:
•
individuare un campione di pazienti clinicamente omogeneo e numericamente
significativo da suddividere attraverso il processo di randomizzazione in gruppo
sperimentale e gruppo di controllo. Il gruppo di controllo deve avere le stesse
caratteristiche cliniche del gruppo sperimentale e deve essere sottoposto ad un trattamento
terapeutico - riabilitativo standard che non prevede l’utilizzo della musicoterapia. Ciò
permette di fare un confronto tra i due gruppi rispetto alla variabile presenza/assenza del
trattamento musicoterapico o per confrontare i due diversi trattamenti;
•
definire la durata dell’intervento e la periodicità delle sedute;
•
strutturazione del setting musicoterapico che deve poter essere riprodotto in altre
situazioni e da altri musico terapeuti;
•
individuazione degli strumenti di valutazione intra ed extra setting;
•
definizione delle modalità di osservazione intra setting attraverso griglie
osservative preferibilmente già sottoposte a procedure statistiche che ne abbiano
comprovato l’attendibilità e la validità. In questo processo di osservazione, l’osservatore si
avvarrà dell’utilizzo di videotape e non coinciderà con il musicoterapeuta coinvolto nel
processo;
•
definizione delle modalità extra setting attraverso la somministrazione in cieco di
scale cliniche di valutazione idonee per la rilevazione del cambiamento previsto; sarà
importante precisare le date delle rilevazioni sulla base della durata del trattamento;
•
raccolta dei dati in un apposito database;
•
elaborazione statistica realizzata da un esperto;
•
analisi e interpretazione dei dati ottenuti;
•
comunicazione dei risultati sotto forma di articolo scientifico.
25
Questo processo si avvicina ai requisiti richiesti dalla Evidence Based Medicine (EBM) e
attraverso queste basi si possono delineare le caratteristiche che dovrebbe avere la
Evidence Based Music Therapy (EBMT) in analogia con la EBM. Si tratta sostanzialmente
di criteri che pongono l’attenzione sulla scientificità e che caratterizzano gli studi inclusi
nei Cochrane database. La Cochrane Collaboration è un’iniziativa internazionale nata con
lo scopo di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative
all’efficacia degli interventi sanitari di tipo preventivo, terapeutico e riabilitativo. Gruppi di
ricerca lavorano a progetti afferenti a vari ambiti di intervento e producono, attraverso una
rigorosa metodologia scientifica, revisioni sistematiche diffuse e aggiornate attraverso un
database elettronico (Cochrane Library) e attraverso il web.
Tali studi hanno la principale caratteristica di essere controllati (Clinical Controlled Trials,
CCT) o randomizzati e controllati (Randomized Controlled Trials, RCT). Nel primo caso si
fa riferimento a due o più interventi la cui efficacia viene posta a confronto: la
musicoterapia viene comparata ad un altro trattamento, all’assenza di trattamenti specifici
o a un trattamento placebo; nel secondo caso, oltre a quanto sopra detto, si attua una
randomizzazione, cioè i soggetti coinvolti nello studio vengono assegnati al gruppo trattato
o a quello di controllo attraverso specifici criteri legati alla casualità. Tali studi implicano
anche che vengano definiti chiaramente il campione di pazienti, la tipologia di trattamento
e i risultati emersi dallo stesso. Vengono inoltre considerate le procedure statistiche con cui
i dati vengono elaborati. Nella letteratura musicoterapica si nota come gli studi controllati
o controllati e randomizzati siano quantitativamente scarsi rispetto agli studi che
riguardano serie di pazienti (senza controllo) o casi singoli. Allo stesso modo si nota come
le evidenze siano in rapporto all’opinione di esperti nonché a metodologie di tipo
esclusivamente qualitativo (studi descrittivi o aneddotici). All’interno della ricerca
musicoterapica c’è comunque un grande sforzo nel cercare di produrre una letteratura che
mostri l’efficacia dell’intervento; questo sforzo è però limitato dalla mancanza dei
presupposti fondamentali perché ciò possa avvenire.
I motivi per cui questo accade possono essere diversi: la giovane età della disciplina che
sta percorrendo una strada simile a quella che hanno già percorso le discipline psicologiche
e la psicoterapia in particolare; un altro fattore è costituito dalle carenze in ambito
formativo e nella cultura musicoterapica. Spesso, in assenza di norme precise,
l’applicazione della musicoterapia (in particolare in Italia) diviene, oltre che difficile,
26
autoreferenziale; talvolta la pratica musicoterapica costituisce una semplice quanto
“prestigiosa” etichetta dietro la quale trovano spazio interventi improvvisati, privi di
contenuti e di premesse scientifiche. Questo penalizza evidentemente le potenzialità
terapeutiche dell’uso del suono e della musica.
L’approccio basato sulla scientificità ha comunque dei limiti e spesso non si adatta alla
musicoterapia la quale si colloca a pieno nel “paradigma della complessità”, essendo
costituita prevalentemente da aspetti sonoro-musicali e non verbali contestualizzabili in un
ambito relazionale. Tale paradigma richiede un approccio olistico ed è caratterizzato da
aspetti di discontinuità, non linearità e aleatorietà, in una prospettiva anti-riduzionistica.
Metodologicamente sarebbe utile separare il processo terapeutico dall’analisi dello stesso e
quindi da tutta la fase elaborativa. Ciò significherebbe avere criteri di valutazione più
oggettivi e generalizzabili, ma anche salvaguardare e garantire il più possibile
l’adeguatezza e l’integrità del setting musicoterapico.
Tale metodologia richiede la presenza di un’équipe musicoterapica che si integri con
l’équipe multi professionale di ricerca. Questo tipo di lavoro deve prevedere la presenza di:
1. un musicoterapeuta che assume il ruolo di ricercatore/supervisore;
2. n. terapeuti che effettuino i trattamenti secondo le modalità previste;
3. n. osservatori che, adeguatamente formati, effettuino le osservazioni utilizzando gli
strumenti prescelti;
4. clinici che si occupino della selezione del campione di pazienti coinvolti nello
studio e che effettuino un monitoraggio specifico durante l’esperienza di ricerca;
5. valutatori che somministrino le scale individuate a priori per raccogliere dati
esternamente al setting;
6. una figura professionale (psicologo o altra) con specifiche competenze statistiche
che partecipi alla fase progettuale ed elabori adeguatamente i dati ottenuti.
Le figure coinvolte nello svolgimento pratico della ricerca non dovrebbero conoscere sino
al termine della stessa il disegno preciso dello studio ed i suoi obiettivi. Questo per
salvaguardare una maggiore obiettività e imparzialità sul piano operativo. Al termine della
ricerca è ancora più importante l’integrazione tra le varie figure professionali al fine di
garantire una lettura completa e multidisciplinare dei risultati, che tenga conto il più
possibile dei vari punti di vista, cogliendo aspetti critici e positivi dello studio e
pervenendo a, seppur provvisorie, conclusioni. Sul piano formativo la ricerca costituisce un
27
amplificatore di quegli aspetti, problematici e non, che caratterizzano il setting
musicoterapico. Il musicoterapeuta/ricercatore deve avere competenze specifiche e
trasversali, una matura pratica professionale, una buona capacità osservativa e intuitiva,
nonché una certa flessibilità di pensiero. Nello specifico, la formazione in questo campo è
legata all’acquisizione delle seguenti competenze:
•
capacità di sviluppare riflessioni teorico-applicative;
•
capacità di osservare ed elaborare il processo musicoterapico (sistematizzazione e
categorizzazione degli eventi);
•
capacità di formulare un progetto di ricerca;
•
capacità di integrarsi in una équipe multi professionale;
•
capacità di comunicare in forma scientifica i risultati.
4.3. Musicoterapia e ricerca in ambito oncologico
Negli ultimi tempi, l’utilizzo della componente musicale è stata rivalutata all’interno delle
terapie mediche. Diversi studi hanno analizzato la relazione esistente tra la fisica del suono
e il sistema psiconeuroimmunoendocrinologico, concentrandosi sui diversi metodi
utilizzati, sui sistemi di valutazione e sulle diverse applicazioni in ambito terapeutico,
preventivo e riabilitativo.
È stato ampiamente studiato il controllo del dolore cronico da cancro attraverso la
musica.
Diversi studi hanno evidenziato quanto essa possa influire positivamente sulla gestione
dell’ansia, sul miglioramento della qualità di vita e sull’aumento dell’impiego di strategie
di coping (Lazarus, 1996) nei momenti più difficili del percorso terapeutico.
L’impatto positivo che la musicoterapia ha sul miglioramento del benessere dei bambini
ospedalizzati è stato dimostrato attraverso uno studio pilota condotto presso
l’oncoematologia dell’ospedale pediatrico di Toronto, Canada, da Maru E. Barrera, Mary
H. Rykov e Sandra L. Doyle (Psycho-oncology 11: 379-388, 2002; published online in
Wiley InterScience (www.interscience.wiley.com). DOI: 10.1002/pon.589).
Tale studio ha portato a conoscenza l’efficacia della musicoterapia attiva nella riduzione
dell’ansia e nell’aumento del benessere dei bambini ospedalizzati con il cancro.
28
Lo studio è durato 4 mesi e nessuna delle 70 famiglie alle quali è stato proposto di
partecipare ha rifiutato la musicoterapia. Hanno partecipato 33 femmine e 32 maschi , con
diagnosi di leucemia e altri tumori infantili, in età compresa tra i 6 mesi e i 17 anni. Vista
l’ampiezza dell’età del campione e la necessità di utilizzare metodologie differenti, i
partecipanti sono stati suddivisi in categorie secondo l’età: bambini in età prescolare da 0 a
5 anni (n=33), in età scolare da 6 a 10 anni (n=16) e adolescenti dagli 11 ai 17 anni (n=16).
Gli adolescenti e i bambini in età scolare hanno potuto comporre canzoni, suonare, fare
improvvisazioni musicali e ascoltare musica registrata scelta da loro; i bambini più piccoli
sono stati coinvolti in giochi musicali, giochi vocali, ascolto e canto di canzoni e ninna
nanne, filastrocche e sperimentazione degli strumenti musicali.
La raccolta e la successiva analisi dei dati è stata possibile attraverso l’utilizzo dei seguenti
strumenti:
•
la faces pain scale ( FACES, Bieri et al., 1990);
•
la play-performance scale (PPS) (Lansky et al., 1987);
•
la Satisfaction Questionnaires.
I risultati ottenuti dimostrano che i bambini hanno avuto un significativo miglioramento
della valutazione del loro stato d’animo da prima a dopo la musicoterapia; inoltre i genitori
hanno percepito un miglioramento delle performance dei bambini. Analizzando
qualitativamente i commenti sia dei bambini che dei genitori, gli studiosi hanno potuto
affermare che la musica ha un impatto positivo sul loro benessere.
Questi importanti dati sono incoraggianti e ci fanno intendere gli effetti positivi della
musicoterapia attiva sui pazienti ospedalizzati di oncoematologia pediatrica.
In tale ottica, successive ricerche in merito alla musicoterapia in ambito oncologico
pediatrico, presentano interessanti risultati.
Sheri L. Robb, Alicia A. Clair, Masayo Watanabe, all’interno dello studio controllato
randomizzato sull’intervento dell’attività’ musicale sui bambini con cancro, portato a
compimento presso la University of Missouri-Kansas City
(Pubblicato in Psycho-
oncology 17: 699-708 (2008); published online 21 November 2007 in Wiley InterScience
(www.interscience.wiley.com). DOI: 10.1002/PON.1301), approfondirono le ricerche
sulla relazione tra ambiente ospedale e strategie di coping da parte di bambini ospedalizzati
e sottoposti alle terapie per la cura del cancro, di età compresa tra i 4 e i 7 anni. Tale studio
29
ha coinvolto 83 soggetti, i quali sono stati assegnanti in maniera casuale a tre differenti
condizioni:
•
attività musicale (AME) n° 27;
•
ascolto musicale (ML) n° 28;
•
libri di fiabe audio (ASB) n° 28.
I risultati di questa ricerca suggeriscono interessanti legami tra l’attività musicale e la
stimolazione di strategie di coping: i bambini che hanno partecipato all’AME hanno
attivato una frequenza significativamente maggiore di strategie di coping, rispetto ai
campioni sottoposti alla ML e all’ ASB. Tali risultati sono stati rilevati anche dalle evidenti
espressioni positive del viso e dall’impegno attivo di tali bambini.
Un altro importante contributo di ricerca è stato condotto da Joke Bradt, Cheryl Dileo,
Denise Grocke, Lucanne Magil. In tale ricerca sono stati inclusi 30 studi con 1891
partecipanti. I dati sono stati raccolti dal periodo di inizio, variabile per ognuno, fino al
settembre 2010. L’obiettivo generale era quello di valutare l’efficacia degli interventi
musicali rispetto al miglioramento delle condizioni fisiche e psicologiche nei pazienti
malati di cancro (Music interventions for improving psychological and physical outcomes
in cancer patients (review); Copyright 2011; The Cochrane Collaboration. Published by
John Wiley & Sons, Ltd). Sono stati utilizzate due differenti tipologie di intervento
musicale: 13 studi hanno adoperato interventi di musicoterapia attiva gestiti da
musicoterapisti, mentre i restanti 17 studi hanno utilizzato interventi di ascolto di brani
registrati gestiti dal personale medico.
I risultati indicano che gli interventi di
musicoterapia e di medicina musicale possono avere effetti benefici sull’ansia, sulla
sofferenza, sull’umore, sulla qualità della vita, sulla frequenza cardiaca e respiratoria e
sulla pressione sanguigna in pazienti oncologici.
Non sono state trovate conclusioni in merito agli effetti degli interventi musicali sul
distress, sull’immagine corporea, sul livello di saturazione dell’ossigeno, sulle funzioni
immunitarie e sulla spiritualità.
A fronte di tali risultati, gli studiosi sottolineano il fatto che risulta necessario interpretare
con cautela questi esiti, in quanto la maggior parte di tali studi ha presentato alti rischi di
errore; infatti, non tutti gli studi hanno presentato le stesse conclusioni e poiché, per ogni
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risultato ottenuto, il numero era esiguo, non è stato possibile confrontare gli effetti della
musicoterapia comparata alla medicina musicale.
31
CAPITOLO V
IL REPARTO DI ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA DELL’OSPEDALE
PEDIATRICO MICROCITEMICO DI CAGLIARI
5.1. Struttura del reparto
L'Ospedale Microcitemico costituisce un punto di riferimento regionale per lo studio e la
cura delle patologie correlate alla Thalassemia.
L'intensa attività di ricerca svolta in questi anni ha contribuito a classificare l’ospedale tra i
principali centri europei per il contributo apportato alla diagnosi e cura delle malattie
genetiche e delle malattie "rare".
Fino a pochi mesi fa, nel Presidio erano operativi due reparti di degenza con 18 posti letto
(la Clinica Pediatrica II e l’Oncologia Pediatrica) ed un CTMO pediatrico con 4 posti letto.
A questi si aggiungevano 27 posti letto di ricovero diurno.
Con la fine dei lavori di ampliamento (per circa il 50% della cubatura), il Presidio
Microcitemico ha rafforzato la sua funzione di riferimento regionale non solo per la
microcitemia o per le malattie genetiche e rare, ma per tutte le patologie pediatriche e per
la diagnosi prenatale.
Al 5° piano dell’ala nuova dell’ospedale è ubicato il reparto di oncoematologia pediatrica e
patologia della coagulazione, di cui è responsabile la Dott.ssa Rossella Mura.
La struttura è Centro di Riferimento Regionale per l’Oncoematologia Pediatrica ed è stata
accreditata dall’ AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica).
E’inoltre Centro di riferimento regionale per le MEC (Malattie emorragiche congenite) e in
quest’ambito Centro riconosciuto dall’AICE (Associazione Italiana del Centri Emofilia).
I pazienti vengono sottoposti al trattamento secondo i protocolli nazionali e internazionali
attualmente in uso con la collaborazione multidisciplinare di chirurghi e di radioterapisti in
relazione al programma previsto, associando le relative terapie di supporto (antinfettiva,
trasfusionale). La struttura è impegnata nel miglioramento continuo della qualità delle cure
e i risultati in termini di outcome e incidenza di complicanze a breve e lungo termine sono
condivisi e periodicamente confrontati in ambito nazionale e internazionale .
32
Particolare attenzione è posta al controllo del dolore associato alle procedure diagnostiche
e terapeutiche invasive e alla tutela del bambino e adolescente malato come persona
partecipe al processo di cura.
I pazienti dopo l’iter terapeutico vengono seguiti per l’intero follow-up al fine di valutare
lo stato di remissione della malattia di base e l’insorgenza di complicanze del trattamento
effettuato.
La UO è riferimento per i pazienti affetti da patologia neoplastica eleggibili a cure
palliative, interagendo con i servizi di assistenza territoriale, le UO di Pediatria presenti nel
territorio regionale e i Pediatri di libera scelta al fine di garantire l’assistenza appropriata.
L’Unità operativa dispone di servizio ambulatoriale, Day Hospital, Degenza Ordinaria e
attività di Laboratorio volta a soddisfare le peculiari necessità poste dall’inquadramento
diagnostico dei pazienti riferiti e dall’iter terapeutico e di follow-up dei pazienti già in
carico.
Il reparto ospita 7 posti letto; ogni camera ha un piccolo ingresso dove si trovano gli
armadi, e nella stanza vi è il bagno e due letti, uno per il paziente e l’altro per uno dei
genitori.
L’ingresso al reparto è riservato agli operatori e ai genitori dei piccoli pazienti. Chiunque
entri deve munirsi di calzari e mascherina e provvedere ad una accurata pulizia delle mani.
Le visite esterne sono concesse raramente e fuori dal reparto. È infatti adiacente ad esso
una piccola stanza adibita a sala giochi e sala visite, dove i pazienti possono recarsi muniti
di mascherina per giocare con i volontari o appunto, per ricevere visite.
Dal 7 aprile 2014, la suddetta sala giochi ha assunto anche la funzione di sala d’aspetto per
la sala procedure che è stata allestita in una stanza di fronte. Fino a tale data infatti, i
bambini venivano trasportati in ambulanza in un presidio ospedaliero vicino al
microcitemico per poter essere sottoposti alle procedure di sala operatoria (lombare e
prelievo del midollo). Con l’ampliamento dei locali e la riorganizzazione degli spazi, si è
riusciti ad ottenere una sala procedure nel reparto stesso, ottimo traguardo per il
miglioramento del processo di cura e ospedalizzazione del bambino.
Al 6° piano dell’ala nuova è ubicato il day hospital il quale, oltre agli ambulatori in cui si
svolgono le visite, le medicazioni e la preparazione delle chemioterapie da somministrare
ai bambini, ospita 6 posti letto di cui possono usufruire i bambini sotto terapia o trasfusione
che hanno bisogno di riposare. Nel dh è inoltre presente un ampia sala giochi preceduta da
33
una sala d’aspetto, così da poter rispondere alle diverse esigenze di bambini e
accompagnatori. Nel corridoio adiacente agli spazi del dh trovano la loro ubicazione la
scuola in ospedale, lo studio psicologico, lo studio del primario, la segreteria e la cucina
per genitori e operatori la quale, a sua volta, ospita un piccolo lavatoio e la sede
dell’associazione dei genitori, ASGOP.
5.2. La presa in carico del paziente
Nel momento in cui arriva un nuovo caso, il bambino e uno dei genitori vengono ricoverati
in attesa di una diagnosi ben precisa e di un programma terapeutico che possa ridare loro
speranze e forze per affrontare il lungo e difficile percorso di malattia. La famiglia viene
quindi accolta dall’equipe medica e dal servizio psicologico.
L’equipe medica si occupa del percorso legato alla cura della malattia ed il servizio
psicologico si impegna ad accompagnare durante tutto il percorso di cura sia il bambino
che la sua famiglia, soffermandosi sugli aspetti legati alla sofferenza psicologica del
bambino, alle sue emozioni, paure, bisogni e diritti di crescita e sviluppo, nonostante la
malattia.
L’ospedale Microcitemico è l’unico in Sardegna ad avere un servizio psicologico
strutturato all’interno di un reparto di oncoematologia pediatrica, servizio attivato e
richiesto dalla Asl8. La referente di tale servizio è la Dott.ssa Patrizia Montisci la quale
partecipa al momento dell’accoglienza e si fa carico di affiancare e sostenere i genitori
durante tutto il percorso di cura dei bambini, i quali trovano un loro spazio all’interno del
progetto di musicoterapia, del progetto lettura e della scuola in ospedale. Grazie al
sostegno e alla continua supervisione della Dott.ssa Montisci e all’approvazione da parte
del primario, la Dott.ssa Mura, i due progetti, attivi da circa 5 anni, hanno avuto modo di
nascere, crescere e migliorarsi sempre di più, ottenendo importanti risultati che
confermano la loro validità.
Essi sono inseriti all’interno del processo di cura globale del bambino il quale ha la
possibilità di esprimersi o attraverso la lettura di libri evocativi di vissuti ed emozioni o
attraverso il linguaggio musicale. Grazie all’utilizzo della musica in tutte le sue varie
espressioni, le emozioni e i bisogni dei bambini trovano un loro spazio e una loro
34
collocazione; viene dato loro un nome, un suono, una voce, un movimento di danza o di
percussione, un ascolto o un improvvisazione.
I due progetti, oltre che essere diventati parte integrante dell’offerta del servizio
psicologico come terapia di supporto e accompagnamento alle cure dei piccoli pazienti,
sono in stretta collaborazione e integrazione tra loro: capita spesso che il bambino richieda
sia la mia presenza che quella della collega, la Dott.ssa Maria Grazia Corrias, per poter
dare un suono alle varie storie o per inventarne delle nuove, ricche di parole, suoni e
disegni. In questa integrazione si inserisce anche la scuola in ospedale che con il suo
maestro, Andrea Serra, rappresenta per i bambini non solo un luogo di studio ma anche
uno spazio in cui sentirsi accolti e ascoltati.
Per poter organizzare al meglio sia il percorso psicologico individualizzato e centrato sul
singolo paziente, che le metodologie d’intervento utilizzate nei progetti, è indispensabile
essere al corrente del tipo di diagnosi e della terapia ad essa collegata, facendo particolare
attenzione ai diversi cicli dei protocolli terapeutici, fondamentali per poter dare un senso e
una direzione ben precisa al lavoro che si fa con il bambino.
Infatti il piccolo paziente all’interno dell’ospedale attraversa le seguenti fasi:
-
arrivo e accoglienza;
-
diagnosi;
-
terapia (circa 2 anni per le leucemie e meno di 1 anno per i tumori);
-
mantenimento;
-
controlli successivi;
-
rischio di recidive;
-
rischio di non guarigione con morte del paziente.
A seconda della diagnosi e delle cure a cui vengono sottoposti, i farmaci che i bambini
assumono possono avere diversi effetti collaterali come sbalzi d’umore e dolori di tipo
neuropatico. A tutto questo si aggiunge la normale routine della medicazione, il prelievo
per l’emocromo, le visite, l’aspirato midollare, la puntura lombare e l’attesa, parte
integrante di tutti questi momenti. Tali circostanze, comprese l’aspirato midollare e la
puntura lombare che vengono fatte sotto anestesia totale, di per sé sembrano non causare
particolare dolore. In realtà è necessario avere un’attenzione particolare
rispetto alle
modalità con cui si praticano queste procedure. È ormai noto dai vari studi scientifici
quanto anche queste esperienze vengano memorizzate a livello corporeo dal bambino.
35
Questo è uno dei motivi per cui il piccolo paziente necessita di essere accompagnato
durante il percorso di cura, per fare in modo che tali memorie corporee strettamente
collegate ai vissuti emotivi, non parlino solo di trauma ma possano essere elaborate e
integrate nell’esperienza del bambino in maniera consapevole.
Questo è un aspetto peculiare da prendere in considerazione in un contesto di lavoro
pediatrico dove, oltre che curare la malattia nel qui ed ora, il bambino deve essere
considerato come un individuo in fase di sviluppo e di crescita a cui dover dare gli
strumenti per poter gestire ed elaborare il dolore da vivere in maniera adeguata, per evitare
che possa essere per lui solo un’esperienza traumatica.
36
CAPITOLO VI
PROGETTO “MUSICOSPEDALIZZANDO”
6.1. La nascita e lo sviluppo del progetto
La mia esperienza in oncoematologia pediatrica è iniziata circa 5 anni fa con l’avvio del
tirocinio universitario presso il servizio psicologico del reparto di cui è responsabile la
Dott.ssa Patrizia Montisci. Grazie alla sua approvazione e alla fiducia che dal primo giorno
mi ha dato ho potuto iniziare a sperimentare l’utilizzo della musica con i pazienti, il tutto
contemporaneamente all’avvio del mio percorso formativo in musicoterapia.
Il percorso in ospedale si è rivelato da subito molto carico a livello emotivo, infatti la paura
di non riuscire a gestire e reggere certe situazioni, era inizialmente molto presente. Ho
iniziato con un lungo periodo di osservazione che mi ha permesso pian piano di entrare in
punta di piedi nella sfera del dolore dei bambini e delle famiglie, un dolore che spesso mi
faceva sentire impotente e frustrata.
La complessità iniziale di tale esperienza era data non solo dal fattore emotivo ma anche da
altre problematiche riguardanti:
-
La difficoltà nel trovare letteratura di musicoterapia specifica per l’oncoematologia
pediatrica, che potesse essermi d’aiuto per sviluppare le prime linee guida di un
intervento musicoterapico;
-
La mia mancata esperienza in tale ambito che ha necessitato di un lungo periodo di
osservazione e sperimentazione per poter organizzare il mio lavoro;
Nel primo periodo osservavo e sperimentavo sia nel day hospital che nel reparto, dove ho
iniziato ad interagire con una bambina di 2 anni circa con un tumore cerebrale. La
bambina, che per motivi di privacy chiamerò Elisa, aveva un tubo posizionato sulla parte
alta della testa che serviva per il drenaggio del liquido dovuto al tumore. In seguito
all’operazione che evidentemente non aveva avuto dei buoni risultati, Elisa non aveva più
il controllo del suo corpo che manifestava dei continui movimenti degli arti superiori,
inferiori, delle mani e della testa, spesso diffusi anche a bocca e occhi. L’impatto nel
vedere la bambina è stato molto forte ma allo stesso tempo mi ha dato la carica per iniziare
37
a pensare ad un percorso musicale da poter costruire e sviluppare, con la speranza che
potesse in qualche modo essere utile a queste piccole creature.
Dal primo giorno del tirocinio ho provato a tenere un quaderno sul quale descrivere volta
per volta le mie giornate. Riporto qui di seguito parte dello scritto del primo giorno
effettivo di tirocinio, nel quale si può ben capire sia la mia condizione emotiva che la
situazione pratica in cui mi ritrovavo a sperimentare:
Incontro di giovedì 4/03/2010
Ecco il giorno del vero inizio. Devo dire che un po’ mi sono stupita di me stessa. Sono
sempre stata una persona esageratamente sensibile tanto da piangere nel guardare i
classici film strappalacrime … per questo credevo di avere una reazione abbastanza forte
nel vedere le situazioni che mi si sarebbero presentate nel reparto. Invece, nonostante la
tensione, la paura iniziale e il senso di disorientamento, mi sono sentita forte, ma ho
avvertito una forza strana …
Dopo aver visitato reparto e day hospital martedì, e dopo aver conosciuto la piccola Elisa.
con la sua dolcissima mamma che mi ha accolto subito bene, ero rimasta d’accordo sia
con Patrizia che con Letizia, medico del reparto, che oggi avrei portato un cd da fare
ascoltare alla bambina: l’idea iniziale era quella di provare attraverso l’ascolto, ad
accompagnare delicatamente i movimenti incontrollati della bambina, a partire dalle mani
per poi vedere se ci fosse stata qualche minima reazione corporea.
Arrivata in ospedale, faccio ascoltare il cd a Patrizia e decidiamo di salire subito in
reparto. Sembrava proprio che non fosse il giorno giusto per iniziare: il lettore cd non
funzionava; qualche infermiere si è prodigato per portarne un altro, ma anche quello non
funzionava; abbiamo poi deciso di provare col lettore dvd della stanza e la Dott.ssa
Casula si arrampicava alla ricerca di cavi tentando invano di farlo funzionare. Ultima
speranza era un altro lettore dvd della nipote di sig.ra Carla., la mamma della bimba.
Colleghiamo l’apparecchio ma proprio non ce la potevamo fare … dopo circa due ore di
tentativi ci siamo arresi. Vado giù a comunicare il tutto alla Dott.ssa Montisci con la quale
dopo qualche minuto mi sono riavvicinata in reparto scoprendo che qualcuno era riuscito
a far funzionare il lettore! Bene, si comincia! Il consiglio di Patrizia è stato quello di
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iniziare con un piccolo approccio di avvicinamento alla bambina, per la quale ero
ovviamente un’estranea. Il tentativo di provare a guidare i movimenti dei suoi arti si è
rivelato da subito un’impresa ardua, visti i suoi movimenti incontrollati. Ho iniziato con
l’accarezzarla un po’ partendo dai piedini e poi pian piano muovevo le mie mani su di lei
seguendo il ritmo melodico della musica: sui piedini, sulle gambe, sul pancino, sul viso,
sul naso, sulle guance, il tutto in modo estremamente delicato. In quel momento,
nonostante il mio controllo e la mia calma apparente, a livello fisico avevo il battito
accelerato e il controllare i miei movimenti in modo così minuzioso si tramutava in attimi
di apnea respiratoria! A volte sembrava che Elisa. ascoltasse la musica; sembrava quasi
che tra un brano e l’altro aspettasse nuovamente il suono. Per qualche secondo sembrava
che il movimento incontrollato degli occhi si stabilizzasse e che l’agitazione generale
diminuisse.
Il fatto che la mamma mi abbia dato da subito piena fiducia è stato per me molto positivo;
inoltre lei stessa ha approfittato di questo momento musicale per sdraiarsi e rilassarsi un
po’, vista la fatica e il dolore dato dalla situazione e dai dolori della sua nuova
gravidanza.
Terminato il cd (la bambina sembrava quasi infastidita da questo), siamo andate via dalla
stanza. Ero entusiasta, anche se non sapevo se ciò che avevo notato era solo frutto della
mia immaginazione o fosse qualcosa di poco rilevante; ma nel vedere il sorriso di Patrizia
e nel sentire i commenti positivi fatti dalla Dott.ssa Casula, mi sono resa conto che in
effetti qualcosa di positivo è avvenuta! Vedremo domani!
Dalla descrizione dell’incontro non vengono fuori alcuni particolari che poi si sono rivelati
molto importanti nello sviluppo futuro del progetto e del metodo d’intervento: gli spazi
erano davvero ridotti. Nella stanza ci stavano a mala pena due letti, uno per la bambina e
uno per la mamma e con l’aggiunta di un piccolo armadietto, un piccolo tavolo e il
seggiolone, lo spazio di movimento era davvero ridottissimo. E ridottissimo era anche lo
spazio dedicato al day hospital dove inizialmente ho concentrato maggiormente
osservazioni e tentativi di lavoro. Immaginate una stanza di 40 mq, con all’interno giochi
di ogni tipo, bambini legati alle pompe per la somministrazione dei farmaci, genitori,
volontari, un piccolissimo angolo dedicato alla scuola e il via vai di medici e infermieri a
lavoro nei due ambulatori, distanti dalla stanza circa 1 metro. Una grande confusione,
39
bambini dagli umori altalenanti, chi in preda alla rabbia e alla fame compulsiva da
cortisone, chi in preda ad euforia e agitazione, chi bisognoso di riposo e silenzio … uno
spazio che di certo non veniva incontro alle diverse esigenze psicofisiche dei bambini e dei
loro genitori che oltre ad essere stanchi e psicologicamente afflitti, si ritrovavano in una
confusione totale che di certo contribuiva negativamente al loro stato.
Riporto qui di seguito alcune parti dei miei primi giorni nel day hospital.
Incontro di lunedì 8/03/2010
Oggi sono stata al day hospital. Tanti bambini, tanti genitori, tanto personale, tanti giochi,
il tutto in uno spazio minuscolo! Inizialmente sono stata a guardare e osservare le
dinamiche, poi sono intervenuta con una bimba di nome B. che giocava con il "intendo …
non era molto propensa alla socializzazione. Lì i bambini sono sottoposti alle medicazioni,
punture e visite mediche poco piacevoli, per cui ogni persona che si avvicina a loro
potrebbe essere un possibile “nemico”. Dopo aver capito che B. non aveva voglia di
parlare con nessuno, mi sono avvicinata al maestro della scuola che stava facendo lezione
a due bambini. Sentendomi accolta sono stata con loro e poi mi hanno coinvolto nel gioco
del "intendo …
Incontro del 22/03/2010
… mi sono seduta tra i bambini che giocavano, ho montato il mio flauto traverso e tutti si
sono voltati a guardarmi con tanta curiosità … ho iniziato a fare dei suoni lunghi e poi ho
proposto di inventare una storia musicale! La proposta è stata accolta e dalla storia è
venuta fuori la triste realtà di questi bambini: dal bosco come luogo iniziale proposto da
me, siamo arrivati all’ospedale, ai dottori e alle punture … tutto ciò che è parte integrante
della loro vita è entrato a far parte della storia. In quel momento il mio obiettivo era
gestire il racconto affinchè si arrivasse ad un lieto fine, e così è stato; in caso contrario
non so se sarei stata pronta a gestire una triste fine della storia … nel raccontare, i
bambini hanno partecipato anche con l’uso di qualche strumento musicale che mi sono
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portata appresso: 2 uova maracas e un tamburello. È stato molto bello perché l’attività ha
coinvolto tutti, anche i bimbi che solitamente sono meno propensi a fare qualcosa … devo
assolutamente attrezzarmi di tanti strumenti a percussione così ognuno potrà avere il
proprio strumento! …
Incontro del 26/03/2010
Sono le 10 e sono in day hospital. Ho con me flauto e strumenti vari ma mi sono seduta a
scrivere. La situazione non mi ispira … ci sono 2 bambini circondati da tanti volontari, ci
sono tanti adulti, tutti presi dai loro discorsi, che parlano a voce alta e gesticolano. Mi
sembra di avere troppe distrazioni e poca possibilità di agire … non so, aspetto e intanto
osservo. …
In queste poche righe si può capire quale fosse la realtà del day hospital. Il fatto che non ci
fosse uno spazio adeguato si è rivelato sempre di più un problema: la confusione non
permetteva ai bambini di concentrarsi e soprattutto si rischiava di costringere chi aveva
bisogno di silenzio e tranquillità a sentire musica e rumori, facendo vivere l’attività come
un’esperienza del tutto spiacevole e negativa. Allo stesso modo, chi voleva partecipare e
magari esprimersi musicalmente con enfasi, veniva limitato nei suoni e nella voce per
rispetto degli altri che magari in quel momento avevano mal di testa. Per tutti questi
motivi, pian piano ho deciso di abbandonare il lavoro nel day hospital e di concentrarmi sul
reparto, sul rapporto individuale stanza per stanza, senza avere la possibilità di poter
sperimentare a lungo, vista la imminente scadenza del mio tirocinio formativo.
Poco tempo dopo, nonostante la fine del tirocinio, dopo aver mantenuto i contatti con la
Dott.ssa Montisci e dopo aver ragionato su un possibile progetto da proporre, si è
concretizzata l’idea di attivare una sorta di laboratorio musicale rivolto ai bambini
oncologici che hanno superato la fase acuta della malattia e della terapia e stanno vivendo
quel periodo di reinserimento nella propria rete sociale di relazioni, affetti e interessi.
Poiché era impensabile localizzare il laboratorio nello spazio del day hospital, inizialmente
lo spazio più adatto si è rivelato la biblioteca dell’ospedale, anche se in questo caso era
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l’opposto del dh, troppo grande e dispersiva! Il “progetto pilota” avrebbe avuto la durata di
15 ore con un totale di dieci incontri da un’ora e mezza ciascuno. L’associazione dei
genitori finanziò anche l’acquisto di un piccolo set di strumenti musicali: maracas, uova
maracas, campanelli, sonagli e tamburello.
Riporto qui di seguito alcune parti della relazione sul primo incontro del laboratorio
Vorrei evidenziare il mio modo piuttosto narrativo di riportare ciò che accadeva durante gli
incontri, dovuto ad una inesperienza nel focalizzare gli aspetti principali di un incontro
musicoterapico e orientata maggiormente nell’osservare e descrivere aspetti e dinamiche
logistiche e relazionali interne che evidenziano le diverse difficoltà che inizialmente mi si
sono presentate.
Primo incontro: 14/02/2011
Questo primo incontro è stato per me abbastanza destabilizzante. Diversi fattori hanno
contribuito a non dare stabilità alle attività che sarebbero dovute essere svolte:
•
Lo spazio: troppo grande e dispersivo, privo di delimitazione, privo di tutto
ciò che potrebbe dare sicurezza, accoglienza e protezione, privo di punti di
riferimento.
•
La presenza di altre persone che interferivano in continuazione nelle
attività con commenti e apprezzamenti o semplicemente come “figure ferme a
guardare”. Tutto ciò causava naturalmente una certa inibizione nei bambini che
erano continuamente distratti.
•
Tra i 4 bambini presenti ce n’era uno che “disturbava” , aveva voglia di
fare altro, di sfogarsi visto che continuava a lanciare gli strumenti dappertutto. Il
mio atteggiamento è stato di osservazione. "on ho voluto comportarmi come una
“maestrina” che rimprovera il bambino, ma volevo che lui si sfogasse facendogli
comunque notare con calma e disinvoltura che ciò che stava facendo poteva non
essere corretto visto che gli altri 3 bambini si sentivano evidentemente disturbati e
infastiditi dal suo atteggiamento. Tutto senza forzare nulla. Ma c’è stato
l’intervento del personale della biblioteca che ha fatto tutto ciò che io non volevo
fare!!!! Il bambino si è innervosito e stufato e voleva andar via.
42
•
Tra le cause della instabilità del primo incontro c’è stata sicuramente anche
la mia inesperienza nel gestire questo tipo di situazione. Sicuramente una persona
più esperta avrebbe potuto gestire meglio tutte le dinamiche.
BAMBI"I PRESE"TI: C., M., A., M., R. (non voleva venire e poi è andata via presto
perché non si è trovata a suo agio. Le attività non erano di certo adatte alla sua età).
C.: molto entusiasta della nuova esperienza tanto che non riusciva a concentrarsi sulle
attività e ne proponeva in continuazione delle altre cercando di stare sempre al centro
dell’attenzione. "on riusciva a rispettare i turni che all’interno di un gruppo sono
fondamentali per una buona comunicazione e questo fatto metteva in crisi anche gli altri
bambini che si sentivano “invasi” e disturbati nei loro piccoli momenti da solisti. Inoltre
non riusciva nemmeno a rispettare i momenti di silenzio, i momenti di “piano”, tenendo la
sua voce, i suoi movimenti e l’utilizzo degli strumenti sempre sul registro forte.
Sicuramente in una terapia individuale la sua genuina curiosità e la sua volontà nel voler
fare, sperimentare, provare, conoscere, avrebbe dato degli ottimi risultati, ma in una
situazione di gruppo è stato invece un fattore un po’ destabilizzante. Ma per un bambino
della sua età che partecipa forse per la prima volta ad un’attività di gruppo credo sia un
comportamento più che normale e plausibile.
M.: ha mostrato da subito interesse, entusiasmo e curiosità nelle attività proponendone
spesso delle nuove. Mostrava fastidio nel momento in cui il suo turno non veniva rispettato
da qualche altro bambino che magari parlava o suonava quando toccava invece a lei. Si è
dimostrata da subito più matura degli altri bambini sia nello svolgere le attività che nel
relazionarsi con loro mostrando comprensione nei loro confronti e offrendo il suo aiuto
nel momento del bisogno.
A.: molto timida e riservata. "on ha parlato durante questo primo incontro se non per dire
il suo nome e per rispondere a qualche domanda. Svolgeva le attività ma con molta
timidezza cercando quasi di non farsi sentire. Sembrava forse intimidita dall’esuberanza
degli altri bambini e dal “baccano” che creavano. Il suo viso era sorridente e curioso ma
qualcosa la bloccava nell’esprimere ciò che aveva voglia di esprimere.
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OR"ELLA: la persona che ha mostrato più tensione in assoluto in questo primo incontro
sono stata sicuramente io. La paura di non saper gestire la situazione non mi ha permesso
di concentrarmi sulla situazione stessa. La numerosa ripetizione delle parole “ascoltatemi,
allora, aspettate un attimo” mostrava il mio stato di tensione. Le richieste dei bambini
erano talmente tante che non sono riuscita a gestirle. Beh ovviamente la scaletta delle
attività che mi ero preparata è crollata dopo 5 minuti di inizio attività. "on sono riuscita a
contenere la rabbia che M. esprimeva nel lanciare gli strumenti, le insistenti e continue
richieste di C. e mi dispiacevo intanto per M. e A. perché mostravano voglia di seguire ma
non ci riuscivano. Mi sono inventata un gioco musicale e fortunatamente ha avuto
successo ma ad essere sincera non vedevo l’ora che finisse quell’ora e mezza di attività.
Mi sentivo frustrata, fallita e depressa. "on che non mi aspettassi tutto questo, anzi
immaginavo che non sarebbe sicuramente andata bene, ma nel momento in cui devi
affrontare la situazione, ciò che immaginavi non è mai come realmente è …. Sempre
peggio!
È chiaro dalla relazione che nell’insieme, tra la poca esperienza e un luogo che non
consente di lavorare come si dovrebbe, il risultato non è stato di certo ottimale. Il secondo
incontro, svoltosi sempre in biblioteca, è andato sicuramente meglio ma il via vai di
persone e gli stessi genitori fermi a chiacchierare vicino a noi, davano l’idea più che di un
laboratorio musicale, di una ludoteca aperta a tutti.
Prendendo atto di ciò, dal terzo incontro ho gentilmente avuto come spazio lo studio della
Dott.ssa Montisci e nonostante le sue dimensioni abbastanza ridotte, il suo essere uno
spazio intimo e accogliente ha dato agli incontri con i bambini un risvolto decisamente più
fruttuoso e positivo. Riporto qui di seguito la relazione sul terzo incontro.
Terzo incontro: 28/02/2011
L’incontro si è svolto nello studio della Dott.ssa Montisci. Di certo la stanza, anche se
piccola, è stata più accogliente e rassicurante della biblioteca. I bambini si sono
concentrati e soprattutto erano disinibiti visto che non c’erano altre persone ad osservare.
Quasi tutti i punti della scaletta sono stati seguiti, i bambini hanno partecipato e si sono
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divertiti. Alla fine erano stanchi e a sentire le loro parole erano anche rilassati e
“sfogati”.
Hanno inventato una storia che parlava di un uccellino che si era perso in mezzo al bosco
e avendo un’ala spezzata non riusciva a volare per poter ritrovare la via di casa. Il bosco
si sa che spesso è pieno di pericoli. Arriva infatti una tigre che vuole mangiarsi l’uccellino
e inizia un veloce inseguimento. Intanto tutta la famiglia degli uccellini è in cerca del
piccolino ma si imbatte in uno sciame di calabroni. Inizia anche per loro un inseguimento
ma gli uccellini riescono a fuggire grazie alla loro velocità e intelligenza. Si sono infatti
divisi nella fuga lasciando così perdere le loro tracce. Intanto un cacciatore di tigri vede
la tigre che voleva catturare l’uccellino e dopo un inseguimento riesce ad ucciderla. La
famiglia degli uccellini ritrova il piccolo. C’è un bellissimo momento di incontro tra
l’uccellino e la mamma. L’uccellino viene curato e tutti fanno festa con balli, canti e
suoni!
BAMBI"I PRESE"TI: M., ". (prima presenza) e C. che però è arrivato alla fine ma
voleva venire a tutti i costi!
Alla fine di questo progetto che, nonostante le difficoltà iniziali, ha avuto diversi risultati
positivi e interessanti riguardanti soprattutto la libera espressione emotiva da parte dei
pochi bambini che vi hanno partecipato, ho avuto un altro periodo di stacco dall’attività in
ospedale.
Il progetto, che sicuramente si è rivelato una bellissima esperienza, durante la quale ho
avuto la possibilità di guardare in faccia i miei limiti, le mie paure e di iniziare a lavorare
su me stessa, mi sembrava incompleto ma soprattutto sentivo che non andava verso la
giusta direzione. Era necessario trovare un altro modo per entrare in relazione con quel
mondo ricco di dolore ed emozioni … bisognava riuscire a dar voce a quelle emozioni …
ma come fare?
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6.2. Lo spettacolo natalizio
Durante il periodo di inattività ho mantenuto i contatti con la Dott.ssa Montisci e con la
collega che intanto portava avanti un progetto sulla lettura ad alta voce, la Dott.ssa Corrias,
le quali, nel novembre 2011 mi chiedono di organizzare, a titolo volontario, un piccolo
momento musicale natalizio in ospedale con l’obiettivo di coinvolgere sia i bambini del
reparto che quelli del day hospital.
La proposta mi entusiasmò da subito e dal 1 dicembre iniziai ad andare in ospedale tutte le
mattine. Con grande sorpresa mi ritrovai in un ospedale nuovo nel vero senso della parola:
reparto e day hospital erano stati trasferiti da poco in un ala nuova dell’ospedale. Gli spazi
erano accoglienti, colorati, grandi e permettevano la gestione della cura in modo più
umano. Il piano in cui si trovava il dh aveva 3 ambulatori, una stanza medici, una per la
segreteria, 3 camere in cui bambini e famiglia potevano stare e riposare durante la terapia,
una sala giochi molto ampia, una sala d’aspetto ed i bagni; in un altro corridoio una stanza
per la scuola in ospedale, lo studio della psicologa, lo studio del primario, la segreteria e la
cucina aperta ad operatori e genitori all’interno della quale con il tempo è stato ricavato
anche lo spazio per la lavatrice e per la segreteria dell’ASGOP (Associazione Sarda
Genitori Oncoematologia Pediatrica). Al piano inferiore stava il reparto: 7 camere di
degenza, ognuna con due letti per bambino e genitore e con il bagno in camera, una stanza
medici e 3 piccole stanze utilizzate dalla caposala, dagli infermieri e come ricovero
farmaci; nel corridoio comunicante una piccola sala giochi in cui i bambini del reparto
potevano spostarsi, un altro ambulatorio e gli ambulatori per i biologi.
Insomma tanto spazio all’interno del quale dovevo iniziare ad inserirmi sia come persona
che come “operatore musicale”. La prima settimana mi è stata utile per reinserirmi, per
riprendere le relazioni con i bambini che già mi conoscevano e per iniziare a costruirne
delle altre con i nuovi bambini.
Avendo poco tempo a disposizione decisi di lavorare tutte le mattine per avere la
possibilità di incontrare tutti i bambini del day hospital, in quanto ogni giorno ci sono turni
diversi, e per dare la possibilità anche ai quelli del reparto di trovare un momento da
dedicare all’attività musicale. Non avendo a disposizione uno strumentario che mi
permettesse di lavorare con tutti e che rispondesse alle esigenze più varie, iniziai a
procurarmi degli strumenti da lasciare in ospedale ed uno stereo che mi permettesse di
lavorare anche con la musica registrata. Lo strumentario era composto da: 4 maracas, 6
46
uova maracas, 3 tamburelli con cembali, una coppia di bongos professionali, alcuni sonagli
a forma di orsetto, coccinella e stellina, braccialetti sonaglio, rana guiro, campanelli con la
scala musicale e un piccolo xilofono dal suono un po’ “incerto”. Non era tanto ma per un
inizio andava bene così.
Le tre settimane di lavoro intenso che hanno preceduto il piccolo spettacolo di natale sono
state molto proficue per iniziare a porre le basi per un progetto che da quel momento
sarebbe andato avanti stabilmente fino ad oggi. È chiaro che in quelle tre settimane non
posso dire di aver fatto musicoterapia in quanto l’obiettivo era insegnare ai
bambini/adolescenti alcune canzoni natalizie da cantare e suonare con gli strumenti a
disposizione. Ma sicuramente sono stati giorni di allegria, di sorrisi, di desideri, di sogni, di
canti, di balli, di condivisione e socializzazione anche per chi in quei giorni viveva nel
dolore fisico e psicologico, con la consapevolezza che forse sarebbero stati gli ultimi. Mi
sento qui di ricordare con affetto e con grande rispetto un adolescente di 14 anni, A., che
nonostante l’inizio della sua fase terminale, ha tirato fuori la sua voce cantando con il
cuore e con tutte le forze che gli restavano, non solo partecipando con serenità e grande
forza d’animo alla preparazione dei canti natalizi, ma essendone il protagonista, un pilastro
portante che con la sua voce sosteneva quelle degli altri bambini più piccoli e con il ritmo
dei bongos adagiati sulle sue gambe così fragili da non potergli più permettere di muoversi
47
senza la carrozzina, ha dato ritmo vitale a musiche e canti. Purtroppo, dopo 2 settimane
dalla rappresentazione natalizia, il suo ritmo vitale si è spento.
Il ricordo della sua voce quel giorno, ha dato il via al mio progetto che da gennaio è stato
finanziato da un’associazione che gestisce una casa d’accoglienza per bambini
ospedalizzati e per le loro famiglie, l’ASTAFOS, la quale colpita e commossa nel vedere i
bambini esprimersi musicalmente e mostrando non più solo la loro malattia, ma anche il
loro essere bambini “normali”, si è sentita di sostenermi per un anno.
In quelle tre settimane di lavoro ci sono stati alcuni fattori che hanno contribuito a farmi
ragionare su nuove metodologie e nuovi obiettivi da raggiungere attraverso l’utilizzo del
canale musicale: aver avuto la possibilità di lavorare con tutti e vivere intensamente con
loro tutte quelle mattine, lavorando sia individualmente che in gruppo, in reparto come in
day hospital, grazie agli spazi nuovi.
Il cambiamento degli spazi è stato infatti un fattore molto positivo per la riorganizzazione
del progetto il quale però non poteva prescindere da alcune problematiche legate al
percorso della malattia:
-
L’incertezza del percorso terapeutico con la presenza di variabili molto elevate
legate alle diverse fasi della malattia e alle diverse reazioni psico-fisiche dei
pazienti;
-
L’impossibilità di programmare dei percorsi paralleli poiché ognuno vive la
malattia in modo diverso;
-
L’aspetto emotivo che vede i bambini in preda a continui sbalzi d’umore dovuti
anche all’assunzione dei farmaci.
Altri fattori fondamentali da prendere in considerazione per una migliore fruibilità del
progetto sono stati e continuano ad essere:
• l’età del bambino;
• il tipo di diagnosi;
• le diverse fasi del protocollo terapeutico e i diversi farmaci utilizzati, alcuni dei quali
influiscono fortemente sull’umore con ripercussioni anche a livello relazionale;
• il fatto che si tratti di un primo ingresso o di una recidiva;
• le sue preferenze musicali;
• le circostanze ambientali;
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• il tempo disponibile;
• l’emergere di problematiche specifiche relative al percorso di cura e malattia.
6.3. “Musicospedalizzando”: il progetto definitivo
Premessa
La malattia costituisce un momento di profonda crisi (“crisi” dal greco: passaggio,
cambiamento) che comporta inevitabilmente significativi mutamenti nello stile di vita, nei
rapporti e relazioni con amici e parenti, nelle dinamiche familiari e nell’immagine del
proprio corpo; tutto viene alterato e il presente viene vissuto in un’altra dimensione con
prospettive diverse. Emergono inoltre nuove paure come quella del dolore, dell’invalidità e
della totale dipendenza dagli altri ed insieme alle paure emergono nuovi bisogni: essere
ascoltati, rassicurati, accettati e riconosciuti dagli altri.
L’assistenza e la cura in oncologia implicano il riconoscimento di tutti i bisogni del
paziente, che non sono esclusivamente medici, ma anche psicologici, relazionali, sociali e
spirituali: in questo senso l’intervento medico è solo un aspetto, certamente prioritario,
della cura. Soprattutto in ambito pediatrico, anche se la finalità primaria è la sopravvivenza
– se non la guarigione - dal tumore, non si può perdere di vista l’obbiettivo a più lungo
termine che è lo sviluppo, al più alto livello possibile, del bambino.
La centralità della persona è un aspetto imprescindibile, ancor più oggi che l’oncologia
pediatrica ha visto aumentare le probabilità di guarigione. Il bambino è dunque al centro di
un progetto di cura personalizzato e centrato su un concetto di salute intesa come benessere
globale (fisico, mentale e sociale) e non solo come assenza di malattia.
Il concetto di cura assume in quest’ottica sempre più accezione di “prendersi cura”: lo
spostamento è dal significato di “terapia, mezzi medici usati per guarire una malattia” ad
“attenzione, pensiero, premura e interessamento per qualcosa o qualcuno; sollecitudine,
dedizione, impegno nel provvedere a qualcosa o a qualcuno”. In considerazione di ciò, il
bambino affetto da malattia grave, potenzialmente mortale, necessita di una serie di attività
di supporto rispetto al proseguimento del suo sviluppo e al miglior utilizzo delle risorse
comunque presenti, nonostante la malattia.
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Il progetto intende rispondere a queste necessità di “cura globale” del bambino,
accompagnandolo nel suo percorso di cura con l’utilizzo di attività creative e canali di
comunicazione alternativi e nello specifico del canale musicale. Il progetto si propone di
affiancare il bambino nelle varie fasi del suo percorso terapeutico: a partire dal momento
iniziale con l’accoglienza, nei periodi di lunga ospedalizzazione, durante le procedure in
reparto, in day hospital e a volte anche in sala operatoria.
Obiettivi
attivare una funzione liberatoria sia facilitando la variazione del tono dell’umore,
sia tramite la comunicazione di parti forse inconsce di sé che limitano o minacciano lo
sviluppo e il benessere del bambino in regime di ricovero (paure nascoste, sensi di colpa,
ansie per sé o per la famiglia);
costruire o potenziare
livelli di positività, di soddisfazione, di divertimento
ristoratore che rinsaldano la speranza, essenziale per la buona riuscita delle terapie;
attivare processi cognitivi durante il ricovero (aumento dei livelli di percezione,
attenzione, attivazione dinamica, creatività...);
sviluppare un senso di sana tensione per il raggiungimento di un obbiettivo su base
artistico-ludico-musicale che decentra l’attenzione dalle terapie in atto e dalla incertezza
della durata del trattamento terapeutico aiutandoli ad affrontare il qui ed ora;
aiutare il bambino ad una maggior consapevolezza emotiva, distinguendo e
denominando le proprie emozioni in determinate situazioni, sviluppando in loro la capacità
di gestione di tutta la sfera emozionale;
attivare processi per la gestione del dolore e/o per l’innalzamento della soglia del
dolore fisico e/o psichico in qualunque stadio della malattia;
aiutare genitori e operatori a cogliere le esigenze, i problemi e le aspettative del
bambino;
stimolare nel bambino il senso di protezione che genera il sentirsi accanto ad un
adulto musicista/operatore;
aiutarlo a gestire e accettare il proprio corpo non solo come luogo di malattia, ma
anche come strumento vivo che può suonare ed essere suonato, che può muoversi,
esprimersi e comunicare.
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Metodologie.
Osservazione partecipe e diretta da parte dell’operatore mirata a cogliere ogni piccolo
segnale espressivo e/o comunicativo.
Utilizzo del “gioco delle sintonizzazioni” mirato a instaurare relazioni di fiducia e
accoglienza.
Utilizzo di parametri sonoro-musicali (timbro, intensità, altezza, durata, scansione,
velocità) come vie di comunicazione privilegiate per mediare le relazioni e per aiutarli
a gestire, riconoscere, definire e accogliere i propri vissuti e le proprie emozioni.
Esplorazione dello strumentario musicale
Improvvisazione libera, guidata, individuale, a coppie, di gruppo, per stimolare la
creatività e aumentare i livelli di autostima.
Ascolto di brani musicali e successiva analisi dei contenuti emotivi.
Abbinamento musica- espressività corporea/pittorica/grafica e narrazione.
Abbinamento suoni-sensazioni e viceversa.
Sonorizzazione di storie.
Utilizzo del proprio corpo come strumento principale, attraverso la body percussion.
Tempi di conduzione.
Il progetto attualmente e teoricamente si sviluppa in 6 ore settimanali distribuite volta per
volta dipendentemente dalle necessità dei bambini e dalla mia disponibilità.
6.4. Working progress
6.4.1. Organizzazione del lavoro.
Il progetto è attualmente finanziato dall’Asgop, associazione genitori oncoematologia
pediatrica, per 6 ore settimanali che vengono distribuite in base alle necessità dei piccoli
pazienti. Le 6 ore non riescono a coprire tutte le richieste dei bambini e nonostante
l’aggiunta di ore a titolo volontario, alcuni di loro non riescono ad usufruire del progetto.
Per far si che tutti possano essere inseriti nelle attività di musicoterapia le ore stimate
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necessarie sono circa 20 settimanali e questo continua ad essere un obiettivo da
raggiungere che mi porta alla continua ricerca di finanziamenti.
Il mio lavoro si svolge prevalentemente in reparto, stanza per stanza, in cui è necessario
accedere con la mascherina, con i calzari e dopo un’accurata pulizia delle mani; porto con
me un carrello ricco di strumenti musicali a percussione tutti facilmente disinfettabili,
xilofono, metallofono, stereo, cd ed un telo che spesso utilizzo per svolgere l’attività sul
pavimento.
Prima di recarmi nelle stanze chiedo informazioni ai medici e/o agli infermieri sullo stato
dei bambini presenti e organizzo il lavoro di modo che non ci possano essere interruzioni
dovute a procedure e/o visite mediche prestabilite. Ma capita spesso che durante le sedute,
il suono degli strumenti venga interrotto dal suono delle pompe a cui sono attaccati per la
somministrazione dei farmaci; in tal caso, anche se il suono della pompa si inserisce spesso
a pieno ritmo, è necessario chiamare gli infermieri. Solitamente i genitori escono dalla
stanza per poi rientrare a fine seduta; diventa per loro un momento in cui potersi spostare
dal reparto e prendere un po’ d’aria, certi e fiduciosi di aver lasciato il proprio bambino in
buone mani. Può capitare che rimangano dentro la stanza e in tal caso li coinvolgo
nell’attività dandogli la possibilità di vivere con il loro figlio momenti di complicità e
serenità, sperimentando una diversa modalità di interazione, nuova, divertente e creativa.
Questi momenti di interazione che spesso sono stati sperimentati anche con tutta la
famiglia, rappresentano esperienze preziose di rifornimento affettivo e di fiducia, spesso
messa in discussione dalle procedure dolorose a cui vengono sottoposti i bambini, dalle
quali nemmeno il genitore può proteggerli.
Oppure capita che il bambino chieda in modo esplicito al genitore di uscire, come per
sottolineare che quello spazio è tutto suo.
La durata degli incontri non è mai stabile e dipende dalla necessità del bambino: a volte
durano 10 minuti, altre volte si protraggono anche per 2 ore. Questo è uno dei motivi per
cui è difficile organizzare il lavoro in base al numero di bambini presenti. È necessario
quindi fare attenzione a non prendere appuntamenti che non si è certi di poter mantenere,
così da non causare una possibile frustrazione e delusione nel bambino che ti aspetta.
La relazione di fiducia che si crea è molto forte tanto che spesso mi chiedono di essere
accompagnati durante le procedure di routine, in day hospital o in sala operatoria.
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Se ci sono le condizioni di salute tali da permettere ai bambini di poter stare insieme in una
stanza, la sala giochi del reparto si trasforma in una sala musicale, come luogo di
condivisione, socializzazione e apprendimento delle regole del gruppo.
Quando un bambino viene dimesso, cerco di mantenere il contatto con incontri settimanali
in day hospital, dove si recano per la medicazione del cvc (catetere attraverso il quale
vengono somministrati i farmaci, inserito sulla parte destra del torace), per i prelievi e per
fare la chemioterapia. Gli spazi che posso utilizzare in day hospital sono le camere, la
classe della scuola e lo studio della psicologa, mentre preferisco non lavorare nell’ampia
sala giochi in quanto, essendo presenti tutti i bambini, i genitori, i volontari, si creerebbe
troppa confusione e il tutto si trasformerebbe in semplici ma anch’essi importanti, momenti
di animazione musicale, ai quali, oltretutto, non tutti vorrebbero partecipare.
La varietà dell’utenza e la complessità della malattia che rende il percorso di cura insidioso
e spesso instabile, non permette l’utilizzo di una metodologia musicoterapica specifica.
È necessario avere molta flessibilità nel lavoro per quanto riguarda le tecniche, gli
obiettivi, i tempi di conduzione e le modalità di interazione. In alcune situazioni l’utilizzo
della parola è fondamentale, in altre la comunicazione si basa sullo strumento sonoromusicale con l’utilizzo del canale non verbale; in alcuni incontri l’improvvisazione si
rivela la tecnica più adatta, in altri si predilige l’ascolto, la composizione di brani, il canto,
il ballo, il movimento corporeo.
Spesso la musica si collega al disegno come oggetto da sonorizzare o espressione di quanto
suonato, e alle storie alle quali viene dato un suono.
Ogni bambino è un mondo a sé con i propri vissuti, emozioni, bisogni e modalità di
espressione e interazione; il mio compito è quello di valorizzarli, accompagnarli e aiutarli a
gestire, elaborare ed esprimere tutto il loro mondo interiore, fortemente colpito dalla
malattia, attraverso la musica.
Spesso documento il lavoro con registrazioni audio o video; ho avuto modo di compilare
alcuni protocolli, utilissimi per una migliore organizzazione degli obiettivi e per
documentare tutto il percorso musicoterapico di ogni bambino. Purtroppo non sono mai
riuscita a compilarli con regolarità, visto che le poche ore a disposizione del progetto unite
alle ore in cui mi rendo volontariamente disponibile, le dedico totalmente al lavoro diretto
con i bambini.
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Tuttavia, continuo saltuariamente a scrivere su un quaderno personale le osservazioni che
ritengo più importanti delle sedute.
I risultati che la musicoterapia ha portato nell’oncoematologia pediatrica in questi anni di
lavoro sono:
-
Sostegno del bambino sofferente il quale viene accompagnato per un tempo
indefinito in tutte le fasi della sua malattia. Attraverso la musica si vivono con ogni
bambino le proprie emozioni e stati d’animo, di modo che possano essere
comprese, accolte ed elaborate;
-
Funzione liberatoria delle sue forti e dolorose emozioni;
-
Funzione di liaison tra le altre discipline attive in reparto;
-
Contribuisce all’evoluzione armonica della personalità;
-
Può creare uno spazio di libertà, di scelta, di cultura e di relazione umana nella
quale il bambino stesso diventa soggetto attivo;
-
La relazione con l’operatore del progetto può costruire o sviluppare la positività e
la soddisfazione, utili per rinsaldare la speranza, fondamentale per la buona riuscita
delle terapie e per lo sviluppo della personalità.
Nei paragrafi successivi presenterò alcune esperienze vissute con i bambini in cui emerge
chiaramente quanto la musica può servire per attivare le loro risorse emotive, quanto
influisce sul loro stato di salute del momento e quanto questo li aiuta ad affrontare meglio
il processo terapeutico.
Per questioni di privacy i nomi dei bambini sono inventati e l’utilizzo delle foto presenti,
anche se non permettono il riconoscimento dei visi, è stato autorizzato dai genitori.
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Il carrello con gli strumenti
La sala giochi del reparto adibita per una seduta di musicoterapia
55
6.4.2. Musica e narrazione come veicolo di emozioni.
Simona, 9 anni. Leucemia linfoblastica acuta
Breve storia:
vive in un piccolo paese sulla costa nord est della Sardegna, a circa 150 km da Cagliari.
Molto amata e conosciuta da tutti, adora cantare nel coro della sua chiesa alla quale è
profondamente legata. Il suo ingresso in ospedale è stato fortuito e improvviso,
conseguente ad una semplice visita di controllo presso un presidio ospedaliero di Cagliari,
alla quale avrebbe unito una visita di piacere ad una cara parente.
5 ottobre 2012, ore 10.00
Sono entrata nella stanza di Simona perché le avevo promesso che sarei passata da lei e che
ci saremo spostate nella sala giochi per fare un po’ di musica. La prima cosa che mi ha
detto è stata che forse oggi l’avrebbero dimessa per il fine settimana e questa notizia,
essendo ancora incerta, la rendeva curiosa e piena di speranza, ma anche ansiosa e
preoccupata.
Appena siamo arrivate nella sala giochi, che avevo poco prima allestito con tappeto e
strumenti musicali, abbiamo chiuso la porta per non essere disturbate e ci siamo sedute sul
tappeto con le gambe incrociate; lei di fronte agli strumenti ed io di fronte a lei.
Nonostante i pochissimi incontri musicali fatti insieme fino a quel momento, essendosi da
subito rivelata una bambina molto intelligente, curiosa e creativa, mi sono permessa di
farle una richiesta abbastanza impegnativa ma che probabilmente le sarebbe servita per
gestire ed elaborare meglio la confusione emotiva contingente, legata all’incertezza della
dimissione. La consegna è stata quella di tradurre in musica le sue emozioni legate a quel
momento o a qualsiasi evento della sua vita. Ha accolto la proposta con entusiasmo e, dopo
alcuni tentativi iniziali dove si sentiva evidentemente impacciata e non sapeva come fare,
l’ho invitata a lasciarsi andare di più senza pensare troppo a ciò che stava facendo e mi
sono spostata sul suo lato destro per evitare che si sentisse troppo osservata. Ha iniziato ad
improvvisare prima con il tamburello con i cembali seguendo un ritmo regolare e costante
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in 4/4, ha proseguito con lo stesso ritmo sui bongos passando poi allo xilofono con un
ritmo meno regolare e più incalzante dell’altro, terminando l’improvvisazione con il suono
delle maracas. Ha poi iniziato di sua spontanea iniziativa a raccontarmi ciò che aveva
suonato, riportandolo successivamente in un disegno diviso in 4 vignette:
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58
59
Dopo aver finito il disegno
diseg
ha improvvisato nuovamente
nte integrando
integran
il suono degli
strumenti con il suono della sua voce.
Ha dato forma ad un canto che intonava le frasi del disegno,
o, con una m
melodia che ricorda
moltissimo i canti
anti religiosi.
Riporto la trascrizione
crizione del brano:
b
60
L’incontro è durato circa 2 ore durante le quali Simona ha ripercorso vissuti ed emozioni
legate al suo arrivo in ospedale e al momento che stava vivendo.
Una giornata felice e serena con la propria famiglia si è trasformata in un incubo.
D’un tratto gioia e spensieratezza hanno dato spazio a vissuti di paura, tristezza e
disorientamento. Simona si è ritrovata in ospedale senza poter rientrare a casa e senza poter
salutare nessuno dei suoi compagni di scuola, né amici e cugini. Ma il suo spirito
d’adattamento e la sua solarità le hanno permesso di trovare nell’ospedale aspetti positivi
che l’hanno aiutata a rinsaldare la speranza, in quel momento più forte che mai.
La curiosità di sapere se in quel giorno avrebbe potuto rivedere la sua casa la rendeva
preoccupata e ansiosa. Durante l’incontro musicale quest’ansia è stata contenuta e si è
trasformata in creatività, dando un suono ed una voce alle sue emozioni.
Francesco, 7 anni. Linfoma
Breve storia:
proviene da un paese del medio campidano. Vive in campagna e adora giocare all’aria
aperta e andare in giro in bicicletta. È molto legato alla sua famiglia. Si mostra
inizialmente timido e riservato, ma molto curioso e accogliente.
19 ottobre 2012
Il primo incontro con Francesco avvenuto due giorni fa è stato puramente animativo, di
conoscenza e sperimentazione degli strumenti; in quell’occasione ha sperimentato le
diverse sonorità e i timbri, mostrandosi interessato e divertito.
Oggi, al mio arrivo, non sembrava avesse voglia di suonare: era seduto sul letto con
sguardo triste, spento e stanco. Dopo aver scambiato qualche parola, mi ha mostrato una
storia inventata per il maestro in ospedale. Appena l’ho letta gli ho proposto di sonorizzarla
e, nonostante l’indecisione, alla fine ha accettato. Oltre ad averla sonorizzata abbiamo
ragionato sulle emozioni delle varie fasi della storia, di cui era il protagonista:
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Questa storia parla di Francesco e la sua moto …
Francesco ha una bellissima casa sull’albero, dove va a guidare tutti i giorni, con la sua
moto.
Emozione: serenità;
Strumenti musicali: bongos, con ritmo leggero, cadenzato.
L’albero è molto alto e la chioma folta, con sopra una casa molto colorata come
l’arcobaleno e anche a forma di conchiglia dove tutti i giorni va a giocare con i suoi
amici.
Emozione: felicità;
Strumenti musicali: bongos, maracas, xilofono, bastone della pioggia, rana guiro
Indovinate come?
L’albero ha la forma di una fionda e Francesco corre con la sua moto veloce
attraversando il buco dell’albero. Ma ogni tanto gioca pure con il suo cavallo Furia e fa
intervallo con la sua moto.
Emozione: euforia;
Strumenti musicali: i bongos molto presenti ma intervallati da tutti gli altri strumenti per
poter fare molto baccano!
Come vedete a Francesco piace tanto correre sia con la moto che con il cavallo. Ma porta
il cavallo anche a fare le passeggiate in riva al mare.
A Francesco piace il mare perché va sempre a pesca e a fare le gare di corsa veloce.
Emozione: tranquillità;
Strumenti musicali: “vorrei qualche strumento che faccia il suono del mare”.
Osservazioni fatte durante e dopo la seduta:
non appena ha iniziato a suonare i bongos, i suoi occhi si sono accesi e la sua postura da
ricurva e tendente al basso, si è raddrizzata e il suo viso ha cambiato direzione verso l’alto.
Lo stare seduto sul letto e i dolori alle gambe non gli hanno impedito di accompagnare
anche con il corpo la musica che suonava, muovendosi dal bacino in su. Nella scena in cui
attraversa l’albero con la sua moto, immagina che tutti i suoi amici lì presenti facciano il
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tifo per lui. Questo pensiero gli ha dato molta grinta, felicità ed energia che ha canalizzato
sui bongos, con un ritmo regolare sempre più veloce ed intenso, accompagnato da grossi
sorrisi e dalla continua ripetizione, con tono di voce alta, della parola EUFORIA!
L’incontro è durato circa 40 minuti e quando gli ho chiesto: come ti senti adesso?, mi ha
risposto: “mi sento stanco ma anche più leggero! Quando lo rifacciamo? Che togo!”
Ci siamo salutati suonando nuovamente la fase dell’euforia, con la promessa di rivederci
molto presto per poter sviluppare maggiormente a livello musicale la storia.
Nonostante si trovasse inizialmente in uno stato di sovraccarico emotivo, dolore e
isolamento, attraverso la musica è passato ad uno stato di attivazione e reattività. Si
potrebbe supporre che, a livello biologico, tale passaggio potrebbe essere stato favorito
dall’attivazione di endorfine e ossitocina. Il risultato è stato un evidente cambio di postura,
lo sguardo più acceso, l’attivazione del movimento corporeo e l’uso della voce con forti
intensità. Così Francesco ha potuto esprimere il suo essere gioioso e vitale, attingendo alle
sue risorse, sempre presenti, che in quel momento sono state stimolate dall’attività
musicale.
6.4.3. Musicoterapia nella gestione del dolore.
Adele, 11 anni, leucemia linfoblastica acuta
Breve storia:
è una bambina albanese che durante le vacanze estive in Sardegna con la mamma è stata
ricoverata per una recidiva. Usufruendo dei diritti internazionali per le cure, è stato
possibile farla rimanere in Italia per continuare la terapia. Infatti l’Albania, per motivi
economici, non riesce a garantire tutta la terapia prevista dai protocolli internazionali,
causando un’elevata percentuale di recidive.
Il lavoro fatto con Adele è stato orientato verso una gestione emotiva delle sue paure e del
suo dolore. L’esperienza vissuta in Albania, dove le procedure venivano fatte senza
anestesia, è stata per lei molto traumatica. Questa memoria di sofferenza e dolore e la
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conseguente mancanza di fiducia verso tutti, trasformava ogni procedura, anche la più
semplice, in esperienza tragica. Il mio compito è stato quello di accompagnarla e
rassicurarla rispetto alle paure, aiutandola a rielaborare la nuova realtà che le ha ridato
serenità e fiducia.
Grazie alla musica ha sperimentato diverse modalità di espressione, dall’improvvisazione,
al ballo e al canto, esprimendo tutta se stessa con vitalità e serenità. Nei momenti più
dolorosi, quando si ritrovava costretta a letto a causa dei forti dolori alle gambe che non le
permettevano di camminare, provava sollievo nell’ascoltare musica classica e nel farsi
massaggiare dolcemente le gambe doloranti.
Durante i “massaggi sonori” chiudeva gli occhi e si rilassava, lasciandosi cullare dalla
musica, tanto che spesso si addormentava. Altre volte, quando in silenzio uscivo dalla
stanza, sentivo la sua vocina che sussurrava: “Grazie Ornella …”
In me tanta gioia per lei e tanta soddisfazione.
Una delle sue più grandi paure era quella di non risvegliarsi dall’anestesia. Questo
provocava una forte ansia e un risveglio poco sereno. Iniziai ad accompagnarla in sala
operatoria dove facevamo esercizi di respirazione mirati a farla rilassare prima
dell’anestesia. La prima volta, al suo risveglio, espresse gratitudine e gioia perché
finalmente l’ansia e la paura si erano alleggerite.
Continuò in modo autonomo a praticare gli esercizi di respirazione prima di ogni
procedura.
Ha contribuito al buon esito di tali esercizi la grande fiducia che Adele riponeva in me,
frutto di una intensa relazione costruita attraverso l’elemento sonoro-musicale.
Francesco , 7 anni.
Durante il percorso di cura Francesco ha purtroppo avuto delle complicanze che lo hanno
portato in rianimazione per circa 10 giorni. Nel periodo precedente lavoravo spesso con lui
utilizzando varie tecniche attive e recettive: l’improvvisazione, in cui le sue produzioni
corporeo-sonoro-musicali erano sempre ricche di sonorità forti e incalzanti che
accompagnava spesso con delle urla liberatorie; l’ascolto di brani registrati, soprattutto
musica classica, che preferiva ascoltare per rilassarsi; la composizione di piccole canzoni
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con il metallofono il cui suono lo affascinava tantissimo tanto da chiedermi spesso di
suonarlo per lui. Questa richiesta, con tanta sorpresa, mi venne fatta anche nei giorni
seguenti al suo risveglio. Quando venne riportato in reparto la mamma mi cercò dicendomi
che Francesco aveva richiesto il suono del metallofono. Ricordo benissimo il primo giorno
che suonai per lui dopo la rianimazione e quegli attimi nella sua stanza carichi di emozioni:
le tende chiuse, il silenzio che saltuariamente veniva interrotto dal suono della pompa e
dalle voci del corridoio e Francesco sdraiato, fragile e pallido, adagiato sul letto senza
forze nemmeno per parlare. Entrai in silenzio, lo salutai con un sorriso e con un tono di
voce quasi sussurrata gli chiesi se voleva che suonassi per lui; mi guardò e con la testa mi
fece cenno di si; allora mi sedetti su una sedia alla sua sinistra, poggiai il metallofono sul
suo letto e iniziai a suonare dolci melodie. Inizialmente teneva gli occhi aperti per guardare
il metallofono, come se, oltre che ascoltare, volesse anche “vedere il suono”. Ma la
stanchezza era tanta e dopo qualche minuto i suoi occhi si chiusero. La mano mi tremava,
il corpo era invaso da una forte sensazione di calore ed il respiro era alternato da momenti
di apnea per la paura di disturbare e di interrompere quel “silenzio musicale” di cui stava
godendo in quel momento Francesco. Restai immobile in quella posizione suonando il
metallofono per mezzora, finché non mi resi conto che si era addormentato. In punta di
piedi uscii dalla stanza, salutai la mamma e di corsa andai a cercare conforto per poter
scaricare la tensione e la ricchezza di emozioni vissute in quegli attimi tanto carichi di
dolore ma allo stesso tempo meravigliosi, ricchi e unici.
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6.4.4. Musica come oggetto transizionale nella costruzione della relazione.
Vi presento Ginetto, l’orsetto sonaglio che mi ha permesso di entrare in relazione con la
maggior parte dei bambini. È da subito diventato per loro sia un amico con cui suonare e
divertirsi, ma anche uno strumento sul quale proiettare il loro dolore e le loro paure. Spesso
infatti Ginetto si presta a medicazioni, punture, interventi chirurgici e va via dall’ospedale
pieno di bernoccoli, cerotti e garze. La sua fidanzata, Ginetta la coccinella, gli rimane
sempre fedele nonostante i continui litigi ed i continui scherzi che Ginetto si appresta a
farle.
Ginetto
Ginetto dopo un intervento chirurgico
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Alessio, 5 anni. Tumore cerebrale diagnosticato all’età di 8 mesi
Vive in un piccolo paese circondato da campagne e montagne, lontano dalla città.
Ho conosciuto Alessio circa 2 anni fa. La malattia ed il percorso medico chirurgico gli
hanno provocato uno stato di ritardo psico-motorio, con una forte carenza nel linguaggio.
A livello relazionale non accettava volentieri il contatto con persone che non fossero
familiari. Infatti i primi tentativi di relazionarmi con lui fallirono e anzi sembrava proprio
infastidito dalla mia presenza e dal suono degli strumenti: appena mi vedeva si tappava le
orecchie con le mani e con sguardo infastidito si voltava dalla parte opposta. Nonostante la
reazione contrariata, facendo attenzione a non invadere i suoi spazi e le sue scelte,
continuavo a propormi. Un giorno decisi di prendere con me un sonaglio con la faccia da
orsetto e mi avvicinai da lui dicendo: “Ciao! Io sono Ginetto l’orsetto, e tu come ti
chiami?”. La sua reazione stupì tutti quanti; innanzitutto nel vedermi non si tappò le
orecchie ed il viso esprimeva tanta curiosità nei confronti di Ginetto. Da quel giorno,
grazie all’orsetto sonaglio, iniziai ad entrare lentamente in relazione con Alessio. Ogni
volta aggiungevo uno strumento in più e i nostri incontri si facevano sempre più lunghi,
finché ha accettato di sperimentare tutto lo strumentario a disposizione. Per quanto
riguarda l’ascolto di musica registrata, ho iniziato per tentativi ed errori a fargli ascoltare
varie musiche, dalle canzoni dello zecchino d’oro alla musica classica adatta ai bambini
(Mozart, Saint-Saens, Tchaikovski, The Gospel Train …), cercando di cogliere le
espressioni facciali nell’esprimere piacere o meno. Le risposte erano negative nel sentire
musica con sonorità forti e ritmi incalzanti, preferiva la musica rilassante, i suoni dolci e
l’andamento lento, oppure la musica classica ricca di stimoli sonori. Ne ho raccolto alcune
in un cd della durata di 64 minuti e ogni volta che glielo proponevo lo ascoltavamo tutto;
spesso lui stesso mi chiedeva di ascoltarlo, indicando con il dito lo stereo e guardandomi
come per dire: “Allora ti muovi a mettere il cd?”. La sua propensione per i suoni delicati la
esprimeva anche nella scelta degli strumenti e nel modo in cui li suonava: preferiva il
metallofono e lo xilofono. Solitamente si sedeva sul letto e accanto a lui mettevo tutti gli
strumenti che pian piano selezionava. Si divertiva spesso a far spaventare il suo ormai caro
e fedele amico Ginetto con delle smorfie da mostro o fantasma; nel vedere le sue smorfie
davo vita a Ginetto facendolo urlare e svenire dallo spavento. Alessio si faceva delle grosse
risate! Ginetto rinveniva solo al sentire il suono dolce del metallofono che Alessio suonava
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e nel risvegliarsi, con voce dolorante diceva: “Ohi ohi che mal di testa! Chi è stato a farmi
spaventare?”. E le risate di Alessio continuavano. La nostra comunicazione era basata
esclusivamente sul canale sonoro-musicale in quanto il bambino non parlava. Le uniche
parole che diceva in quel periodo erano si, no, mamma. Per il resto si esprimeva con i gesti
che con il tempo avevo imparato a decifrare. Uno degli obiettivi che mi ero posta per
Alessio, in accordo con la mamma, era quello di stimolargli la parola visto che non era
chiaro il motivo per cui ancora non parlasse. Se qualcuno gli chiedeva di ripetere una
parola, la sua risposta era quella di chiudersi in se stesso e di fare il broncio. Bisognava
trovare delle alternative, con il gioco e con le canzoni, per creare lo spazio in cui si sentisse
libero di esprimersi. Ma gli obiettivi raggiunti da Alessio sono stati altri e non meno
importanti: la fiducia che ha riposto in me gli dava modo di allontanarsi momentaneamente
dalla mamma e prendersi uno spazio tutto suo all’interno del quale, soprattutto all’inizio,
ha dovuto attivare diverse strategie per farsi capire. Il bambino si è pian piano rinforzato e
rassicurato, raggiungendo un maggior grado di autonomia e sviluppando una maggiore
capacità di esplorazione del suo ambiente. Questo spazio gli è poi servito per migliorare le
sue capacità di relazione verso l’esterno, rapportandosi con gli altri bambini e accettando
anche le loro richieste ed i loro bisogni all’interno del gioco musicale.
Oggi Alessio parla regolarmente e continua il suo percorso di cura. I nostri incontri sono
diminuiti a causa delle sue frequenti partenze ai fini medico-chirurgici, ma continuano ad
essere ricchi di magia e complicità di sguardi, con l’aggiunta della parola che gli da modo
di raccontarmi di sé e delle sue giornate.
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A sinistra Ginetto e a destra Ginetta, la sua fidanzata …
Alessio durante un incontro di musicoterapia in day hospital
Alessio durante un incontro di musicoterapia in reparto
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Agata , 3 anni. Neuroblastoma al 4° stadio. Uno dei tumori più gravi che gode di poche
percentuali di sopravvivenza. Proviene da una piccola cittadina vicino Cagliari.
27/08/2013, ore 10.00
Sono entrata per la prima volta nella camera di Agata e mi sono presentata. La bambina
aveva già sentito parlare di me dalla Dott.ssa Montisci, psiconcologa del reparto, la quale
qualche giorno prima le lasciò alcuni dei miei strumenti musicali (metallofono, uova
maracas e tamburello). Io ho portato con me Ginetto che ad Agata è piaciuto subito
(sonaglio con la faccia da orsetto che riscuote molto successo tra i bambini piccoli). Ho
iniziato ad interagire con lei ma inizialmente mi guardava con lo sguardo fisso e non
parlava, ogni tanto sorrideva. Le ho chiesto se voleva che portassi il mio carrello pieno di
strumenti musicali e con un sorrisino mi ha fatto cenno di si con la testa, così sono andata a
prenderlo. Nel suo lettino aveva il pupazzo di Peppa Pig e un’immagine di Heidi attaccata
al vetro; ho pensato così di farle ascoltare le canzoni di Peppa Pig e la canzone di Heidi.
Non appena sono arrivata in camera con il carrello, Agata era terrorizzata perché le
avevano comunicato che sarebbe dovuta andare “in gita” per fare una bella fotografia alla
testa, la TAC. Vedendola così turbata mi sono offerta di accompagnarla con Ginetto e lei
ha subito detto a voce alta: SI!!. Ha preso Ginetto e l’ha tenuto stretto a sé! Nell’attesa che
venissero a prenderci, poiché era a digiuno e lamentava tanta fame, ho iniziato a far
mangiare di tutto a Ginetto: il letto, il cuscino, il naso di Agata, la mano, gli strumenti
musicali, sperando che potesse proiettare il suo bisogno di cibo in Ginetto che divorava
tutto. L’ha preso con sè ed ha iniziato a fargli mangiare le mie mani, le mie dita, il mio
naso, ripetendo in continuazione: GNAM GNAM GNAM!!, accompagnando il tutto con
frequenti risate di divertimento. Dopo circa 10 minuti è arrivata l’ambulanza per portarci
all’oncologico. Non appena siamo uscite dalla stanza Agata mi ha guardato e ha urlato:
Ginetto!! Gliel’ho dato subito e l’ha tenuto nuovamente stretto a sé. Dal momento in cui
siamo salite sull’ambulanza al momento in cui finalmente le è stata fatta la TAC è
trascorsa circa 1 ora e mezza. Durante l’attesa abbiamo ininterrottamente giocato con
Ginetto al GNAM GNAM GNAM, anche se naturalmente si mostrava sempre più stanca e
spazientita. Non appena sono arrivati gli anestesisti, Agata si è agitata e ha voluto che
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Ginetto l’accompagnasse dentro. È iniziato un pianto disperato, intanto io e Ginetto
dovevamo trovare un modo per uscire dalla stanza e ho detto ad Agata che avrei portato
Ginetto a fare la pipì perché gli stava scappando e non aveva con sé il pannolino e sono
corsa fuori. Dopo 2 minuti Agata ha ricercato Ginetto e continuava a piangere, allora ho
detto all’infermiera di riferire alla bambina che Ginetto era ancora in bagno perché gli era
venuto il mal di pancia. Al sentire ciò, i medici, gli infermieri e gli anestesisti sono
fortunatamente stati al gioco e in coro hanno urlato: “No Ginetto!! Poverino ha il mal di
pancia!” intanto sono riusciti a farle l’anestesia e Agata si è addormentata. Dopo la TAC
siamo ritornati al Microcitemico nella sua stanza e finalmente dopo mezzora ha potuto
mangiare. Le ho fatto rivedere e provare gli strumenti e poi l’ho lasciata al suo pranzo.
Da quell’incontro Agata ha trovato nell’orsetto sonaglio e successivamente nello strumento
sonoro-musicale un amico su cui appoggiarsi e di cui fidarsi. I primi giorni era diffidente,
impaurita e parlava poco. Con il tempo ha mostrato il suo carattere gioioso ed estroverso,
intervallato dai momenti di paura e dolore, durante i quali Ginetto e la musica le sono
sempre stati vicini.
Piccoli appunti sugli incontri successivi avvenuti finora con Agata:
I nostri incontri si svolgono una volta alla settimana nel day hospital e più di una volta alla
settimana se è ricoverata; durano dai 30 ai 60 minuti circa. Durante le sedute la bambina è
stata sempre più attiva; inizialmente imitava i miei movimenti e il mio canto, aumentando
progressivamente anche il dialogo e l’utilizzo del corpo: da piccoli movimenti “danzanti”
seduta sul letto fino a volersi alzare in piedi per ballare a suon di musica. Questo risultava
anche un ottimo esercizio per le sue gambe alle quali spesso lamentava dolore e che per un
certo periodo non le hanno permesso di camminare da sola. Utilizza i bongos come
strumento di sfogo, battendo con forza e velocità. Richiede spesso la canzone della cacca e
la musica dei 7 nani, ma in generale ascolta ogni tipo di musica e il suo corpo inizia a
muoversi e ballare.
Ha paura delle procedure e del sangue; se sono presente rimango con lei dentro la stanza.
Queste paure si stanno affievolendo sempre più, anche grazie all’intervento delle storie e
dei libri.
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La relazione è sempre più basata sul contatto visivo e durante gli incontri si esprime
maggiormente con il libero movimento corporeo, assumendo posizioni di danza e
inventandone delle sue. Dimostra sempre più una capacità molto elevata di immergersi nel
mondo sonoro; durante gli ascolti infatti, chiude gli occhi e inizia a muoversi dolcemente a
suon di musica.
6.4.5. "on solo musica: la relazione come oggetto di sfogo.
Lorenzo, 7 anni. Leucemia linfoblastica acuta.
Vive in un piccolo paese del medio campidano.
La relazione con Lorenzo ha attraversato diverse fasi che hanno coinciso con le fasi del suo
percorso di cura e malattia.
Prima fase (arrivo in ospedale): il primo periodo in cui è arrivato in ospedale non parlava
con nessuno, rifiutava il contatto con tutti. Era molto arrabbiato e nervoso e voleva stare
solo con i suoi genitori nella sua stanza e trascorreva le giornate a fare i puzzle che gli
lasciavano i volontari. È stato molto complicato iniziare ad instaurare una relazione con
lui. Inizialmente mi proponevo semplicemente per fargli compagnia o per aiutarlo a fare i
puzzle, ma ogni volta mi diceva: “No grazie! Adesso puoi uscire dalla stanza”. Dopo vari
tentativi un giorno mi concesse di stare dentro la stanza, ma senza far nulla; non potevo
ancora fare i puzzle con lui! Però potevo stargli vicino e commentavo ciò che faceva
improvvisando delle battute che potessero strappargli un sorriso. Dopo qualche incontro
finalmente mi concesse di fare i puzzle, e da li iniziai ad inserire volta per volta degli
strumenti musicali, dal caro amico Ginetto per poi portargli tutto il carrello.
Seconda fase (fase iniziale di terapia): l’assunzione di alcuni farmaci, tra i quali il
cortisone, rendevano Lorenzo molto energico e gradiva frequentemente gli incontri di
musicoterapia. Suonava tutti gli strumenti che aveva a disposizione passando dall’uno
all’altro senza tregua e in modo molto frenetico ; con altrettanta frenesia ballava e cantava
le canzoni che mi chiedeva di ascoltare (zecchino d’oro). Ma più gli incontri andavano
avanti, meno sentiva la necessità di esprimersi con la musica e le sue richieste erano mirate
al gioco dei combattimenti tra Ginetto e Ginetta che venivano sconfitti dalle tartarughe
ninja e dai samurai. In questi giochi esprimeva spesso tutta la fame che sentiva provocata
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dal cortisone. Durante un incontro, rivolgendosi a Ginetto che tenevo in mano,
disse:“Avevi detto che volevi fare un combattimento? Ti farò a pezzettini e ti mangerò
come uno spezzatino, una minestrina, un cosciotto di pollo e delle fette di melanzana!”, la
tartaruga ninja mangia Ginetto: “Me lo sono mangiato come un bocconcino di pollo!
C’erano delle patatine, delle fettine impanate, un bel po’ di patatine fritte … era squisito!
Tanti bei cosciotti di pollo, tante belle melanzane, zucchine, che mi piacciono molto,
perché il verde è il mio colore preferito!”
Un altro gioco che gli piaceva fare era quello di immobilizzarmi con una magia per
potermi prendere e portare a casa sua così che potessi giocare con lui tutto il giorno e tutti i
giorni. Il fatto che non riuscissi più ad utilizzare lo strumento sonoro musicale negli
incontri con Lorenzo, inizialmente mi mise in crisi perché non facevo ciò che avrei dovuto
fare, la musicoterapia. Ma grazie alla supervisione ho capito che nonostante non volesse
fare musica, la relazione che si era creata con me era per lui importante e di sostegno e
avrei comunque potuto aiutarlo e stargli vicino con le modalità espressive che utilizzava.
Terza fase (re induzione ): in questa fase Lorenzo era molto nervoso. La re induzione è una
fase critica per i bambini perché provengono dalla fase di consolidamento in cui iniziano a
stare bene, rispuntano i capelli e il gonfiore sparisce, probabilmente si sentono guariti. Con
la re induzione si ritorna alla terapia dell’induzione e solo alcuni farmaci vengono
modificati. I bambini si ritrovano a rivivere la fase iniziale della terapia e ovviamente tutto
questo li rende irritabili e incapaci di capire e accettare la loro situazione. Lorenzo ha
sempre avuto il massimo rispetto per i genitori nei confronti dei quali non si è mai sfogato,
né riusciva a sfogarsi con gli operatori medici e infermieri. In quel periodo io ero diventata
la sua valvola di sfogo e in me scaricava tutta la sua rabbia. Quando entravo nella sua
stanza mi mandava via urlando: “Vattene subito via! Non ti voglio! Ti ho detto di
andartene!”. Per quanto potesse essere inizialmente abbastanza frustrante per me sentirmi
rifiutata da lui che fino a pochi giorni prima non faceva altro che chiedere di me, quelle
urla erano per lui fondamentali. Erano attimi di sfogo e di presa di potere, di decisione e di
scelta in un periodo in cui non si sentiva più padrone di se stesso. Allora il mio compito in
quelle settimane è stato proprio quello di farmi cacciare dalla sua stanza, così che potesse
sfogare in me i suoi vissuti negativi. Ero diventata il suo contenitore emotivo, dove la
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rabbia e la frustrazione che viveva in quei giorni trovavano un punto di scarico. Questo
atteggiamento è durato per circa tre settimane, in alternanza a brevi momenti in cui mi
concedeva di giocare con lui ma senza gli strumenti. Poi la relazione ha ripreso ad essere
quella di sempre.
6.4.6. Musica come divertimento, passatempo e apprendimento.
Spesso è capitato che i bambini, soprattutto quelli in età scolare, dopo vari incontri di
musicoterapia, mi chiedessero di imparare a scrivere e leggere le note musicali. Davo così
inizio a delle piccole lezioni di musica finalizzate sia alla scrittura e lettura di note, sia
all’invenzione di piccole canzoni in cui associavano alla melodia delle frasi inventate da
loro. La lezione prendeva la forma di un gioco stimolante e divertente, dove oltre che
attivare la creatività ed il ragionamento, era fonte di soddisfazione per le piccole
composizioni. Le frasi a volte sembravano insensate, altre volte parlavano di loro e della
quotidianità, del loro cane, delle loro passioni o, in modo figurato, di ciò che stavano
vivendo. Era per loro un momento in cui esteriorizzare vissuti intensi ed emozioni forti,
piacevoli e non, ai quali davano una forma che trovava un contenimento.
Ne riporto alcune qui di seguito:
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Il bisogno di sentirsi
entirsi liberi come un pulcino che corre in spiaggia
iaggia al sole
sole, la nostalgia per il
proprio cane che
he gioca con la palla e la caduta delle foglie
ie nel periodo in cui cadevano i
capelli hanno trovato nel pentagramma
pe
uno spazio di elaborazione
razione ester
esteriorizzata poi con la
produzione musicale.
75
Altri piuttosto che scrivere delle note a caso preferivano inventare
ventare una canzone
c
con le note
del metallofono,
o, che poi trascrivevo
tra
sul pentagramma.
Riporto la canzone
zone di Simona
Sim
che, in periodo pasquale, haa voluto inv
inventare un Inno alla
Pasqua, in cui pace, amore e gioia sono le parole portanti. Quest’Inno sembra
s
finito, ma in
realtà ci eravamo
mo programmate
programm
di ampliarlo e migliorarlo.. Purtroppo la
l bambina è morta
qualche settimana
ana dopo; un
u batterio ha attaccato il suo corpicino
orpicino indi
indifeso. Ha lasciato il
ricordo della sua
ua voce angelica
ange
e del suo sorriso:
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6.4.7. Musica come strumento di condivisione, socializzazione e scambio culturale.
Adele: bambina di 11 anni di nazionalità albanese.
Adele, bambina albanese di cui ho già parlato prima, si è ritrovata a vivere per 2 anni in un
paese che non era il suo, lontana dalla famiglia e dalle persone a lei più care. Attraverso la
musica è riuscita a gestire la nostalgia per il suo paese d’origine; tra noi ci sono stati
momenti di scambio culturale dove trovavano spazio la musica albanese con i balli
folkloristici e la musica sarda. Le canzoni italiane che adorava cantare l’hanno aiutata ad
imparare più velocemente l’italiano e quindi a poter comunicare con più serenità.
La musica è stata per lei anche fonte di socializzazione con gli altri bambini presenti in
reparto con i quali capitava di riunirsi e improvvisare, condividendo la loro emotività
legata alla malattia ma anche al loro essere bambini come tutti gli altri, capaci di sognare e
divertirsi, sviluppando relazioni intermusicali, interpersonali e intrapersonali.
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6.5. Collaborazioni e integrazioni con le altre discipline/progetti presenti nel
reparto: progetto lettura e scuola in ospedale
Progetto lettura.
Leggera è la cura … se si ha cura di leggere
Il progetto di musicoterapia è in stretta integrazione con il progetto lettura portato avanti
dalla collega Dott.ssa Maria Grazia Corrias, con la quale spesso ci ritroviamo a lavorare
insieme con i bambini attraverso le storie, i libri e la musica.
La lettura ad alta voce è un occasione per il bambino di sperimentare il potere terapeutico
“della fantasia e della creatività” come strategia per la gestione del dolore spesso
associato alle procedure diagnostiche e terapeutiche e per la modulazione delle ansie e
paure proprie della condizione di malattia. Partendo da tale assunto, dal 2010 è in corso
l’accompagnamento dei piccoli pazienti oncologici nel loro percorso di cura attraverso
l'utilizzo della lettura. A dicembre dello stesso anno a seguito della buona riuscita di tale
attività è nato il progetto “Leggera è la cura…se si ha cura di leggere”, finanziato
dall’ASGOP, Associazione dei genitori.
Il progetto, destinato ai piccoli pazienti di età compresa tra i 2 e i 10 anni, viene realizzato
tuttoggi
all’interno
del
Servizio
di
Oncoematologia
Pediatrica
dell’Ospedale
Microcitemico di Cagliari ASL8.
Tale progetto prevede momenti di letture ad alta voce in:
-Day Hospital (luogo in cui ogni mattina si somministrano chemioterapie, si effettuano
controlli di routine, prelievi di sangue, trasfusioni…);
-Reparto durante le degenze, spesso in affiancamento agli operatori impegnati nelle
procedure.
-Sala operatoria durante la pre induzione anestesia e post procedure.
Il progetto lettura, nato da una singolare esperienza e da successive richieste de piccoli
pazienti, dei genitori e degli operatori, va a concretizzarsi nel tempo, lungo tutto il percorso
diagnostico e terapeutico, affermandosi come valido strumento che, affiancato alle cure
mediche, contribuisce al benessere dei piccoli pazienti.
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Ma come può un libro mediare determinati vissuti tra un camice bianco “spesso portatore
di angosce associato al dolore” e un bambino spaventato, pieno di incertezze, paure e
diffidenza? E se questo avviene, in che modo avviene?
Come si può entrare in contatto, aiutare un bambino/paziente con una fiaba durante le
procedure dolorose?
Partendo dal presupposto che fiabe e favole non hanno mai fatto male a nessuno, anzi sono
lo strumento che da sempre aiuta i bambini ad entrare nella realtà spesso dolorosa della
vita, in modo “leggero” e protetto, si è pensato di proporre una scelta incondizionata e
diretta dei libri dando al bambino un ruolo attivo nel suo vissuto del qui ed ora.
E’ un modo di favorire la costruzione di un legame affettivo, spesso rassicurante,
all’interno di una relazione di fiducia, costruita giorno dopo giorno, che permette di creare
una reale sintonia con il vissuto di quel particolare momento e dare voce alla libera
espressione di pensieri e stati d’animo.
Anche se il progetto lettura è nato per essere destinato ai bambini dai 2 ai 10 anni, non
sono mancati e non mancano occasioni preziose per poter creare una relazione d’aiuto con
adolescenti e con alcuni pazienti adulti durante l’evento più spaventoso della vita che
finisce.
Inoltre è possibile individuare questo spazio come luogo privilegiato per raccontarsi ed
essere ascoltato, cogliere le modalità espressive verbali e non, osservare reazioni, cogliere
emozioni, dubbi e incertezze, tensioni e interrogativi che accompagnano spesso i pazienti
durante la malattia. I momenti di lettura permettono di osservare anche il coinvolgimento
dei genitori, la disponibilità e l’accoglienza del personale medico ed infermieristico nel
loro approccio alla lettura.
Tornando alle esperienze dolorose e alla lettura, allo scopo di fornire un significativo
contributo alle più recenti ricerche sull’accompagnamento alle cure come supporto alla
cura tradizionale e alla percezione del dolore in oncoematologia pediatrica
si vuole
ulteriormente indagare le differenze eventualmente esistenti tra maschi e femmine, e nelle
varie fasce d’età nell’utilizzo della lettura ad alta voce.
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La scuola in ospedale
L'Ospedale Pediatrico Microcitemico di Cagliari, ha avviato nel 2002 il primo progetto
sperimentale di Scuola in Ospedale, per poi diventare sede scolastica con un insegnante
titolare di cattedra nell'anno successivo.
Da 9 anni è presente lo stesso maestro elementare, e questa continuità è stata molto
importante.
La scuola in ospedale configura un’offerta formativa decisamente peculiare, per destinatari
(alunni ospedalizzati) e modalità di erogazione. Nata da un’esperienza episodica sulla base
della disponibilità e volontà di singoli operatori e istituzioni, nel tempo è diventata una
struttura con una sua precisa identità, facilmente riconoscibile e realmente integrata. Oggi è
diffusa in tutti gli ordini e gradi di scuola e nei principali ospedali e reparti pediatrici del
territorio nazionale.
Tale intervento è volto ad assicurare agli alunni ricoverati pari opportunità, mettendoli in
condizione, ove possibile, di proseguire lo sviluppo di capacità e competenze al fine di
facilitare il loro reinserimento nei contesti di provenienza e di prevenire eventuali
situazioni di dispersione scolastica. Questa è la funzione fondamentale del docente in
ospedale che, oltre a garantire un “ponte” tra la famiglia e l’ospedale, ha anche il delicato
compito di promuovere il diritto all’istruzione in un contesto così delicato e complesso.
L'arrivo del Maestro Ospedaliero al microcitemico di Cagliari coincide con l'avvio di una
diversa organizzazione assistenziale portata avanti dall'equipe sanitaria. Si è cercato di dar
vita a una equipe multidisciplinare integrata, ovvero alla contemporanea presenza di
diverse professionalità, che attraverso il lavoro comune potesse realizzare un’offerta
assistenziale in grado di considerare il piccolo paziente nella sua globalità di Persona. Era
dunque necessario mettere insieme tutti gli aspetti sanitari, psicologici, mentali e sociali, in
modo da restituire al bambino un'immagine non parcellizzata del suo essere.
La scuola, lo studio e il confronto con i pari sono la quotidianità dei bambini. Poter
mantenere questa attività pur con gli aggiustamenti necessari durante il tempo della cura ha
permesso ai bambini di sperimentare concretamente e non solo a parole, la possibilità di
affrontare l'esperienza con un futuro davanti, senza aggiungere alle reali difficoltà anche
quelle del recupero rispetto a chi non si è ammalato.
Grazie alla presenza del Maestro all'interno del reparto tutti gli Operatori hanno usufruito
di una conoscenza del bambino non solo come malato ma anche come individuo - alunno
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ricco di risorse, e condividendo la sua attività, hanno avuto accesso alle fantasie personali
dei bambini rispetto alle cure che dovevano fare, ai significati da loro attribuiti all'essersi
ammalati adattando comunicazioni e scelte terapeutiche alle loro caratteristiche personali.
I risultati di questa collaborazione sono stati importanti, capaci di dare uno scossone
all'immaginario collettivo che vedeva nel bambino malato un individuo fortemente
compromesso senza molte speranze in un futuro da realizzare, oggetto di atteggiamenti
pietistici, iperprotettivi e di comunicazioni alterate.
Il lavoro del maestro in ospedale si svolge sia in reparto che in day hospital, dove
organizza giorno per giorno il suo lavoro dipendentemente dai bambini presenti, cercando
di dare uno spazio individuale ad ognuno di loro e spesso creando nella sua aula un
ambiente di socializzazione e condivisione, nonostante le diverse età.
6.6. Esperienza di musicoterapia con le mamme del reparto
L’esperienza di malattia di un bambino oncologico viene vissuta da tutta la famiglia in
modo intenso e inizialmente molto traumatico. Cambiano i ritmi quotidiani, cambiano le
abitudini e l’ospedale diventa una seconda casa per il bambino e per chi sta con lui durante
l’ospedalizzazione, solitamente la mamma. Essa si ritrova a dover abbandonare il lavoro, la
sua casa e gli altri figli che spesso lasciano anch’essi la propria casa per andare a vivere
momentaneamente da amici e/o parenti senza avere più accanto a loro una figura di
riferimento così importante per la crescita. La mamma, oltre al dolore della malattia, si
ritrova a dover gestire tutte queste situazioni spesso difficili sia a livello organizzativo che
emotivo. Molto spesso perde di vista se stessa, la propria persona che necessita dei propri
spazi e che continua ad avere dei bisogni, rimossi per dare spazio solo ed esclusivamente a
quelli del figlio/a malato/a. Stando a contatto con queste mamme che giorno per giorno
dimostrano di essere forti e coraggiose, che nonostante tutto trovano il modo per sorridere
e andare avanti, è nata l’idea di organizzare uno spazio in cui si sentissero libere di
esprimersi e in cui poter ritrovare se stesse e poter ridare ascolto ai propri bisogni. Uno
spazio in cui la musica e l’arte sarebbero state i loro strumenti di comunicazione e
condivisione dei loro vissuti emotivi. Così ho proposto a tutte l’idea che inizialmente è
stata accolta con molto entusiasmo. Abbiamo deciso un giorno ed un orario che potesse
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permettere loro di spostarsi dalla stanza lasciando i figli o con il papà o con i volontari e ci
siamo date il primo appuntamento.
Il giorno del primo incontro, le mamme in reparto erano tre. Due di loro hanno partecipato,
la terza non sapendo dell’iniziativa non si era potuta organizzare.
Riporto la descrizione dell’incontro:
Primo incontro 17/04/2013, ore 17.30
RILASSAMENTO
L’incontro si è svolto in una stanza del day hospital che a quell’ora era completamente
libero e permetteva di avere uno spazio per potersi concentrare.
Ho proposto un’attività di rilassamento e body scan con musica new age. L’attività è stata
preceduta da una breve spiegazione sulla respirazione diaframmatica e da qualche
esercizio. Le due mamme si sono sdraiate sul letto chiudendo gli occhi, ascoltando la
musica intervallata dalla mia voce che le guidava verso una visualizzazione e rilassamento
del proprio corpo. Con la voce le ho poi invitate a farsi guidare dalla musica da qualche
parte, in un luogo che poteva essere per loro accogliente e rilassante. Dopo circa 30 minuti
le ho invitate a riattivare e risvegliare lentamente ogni parte del loro corpo e, quando si
sarebbero sentite pronte, ad aprire gli occhi. Al loro risveglio ci sono stati alcuni secondi di
silenzio e si sono guardate sorridendo. Ho chiesto loro un feedback sull’esperienza, per
capire se fossero riuscite a rilassarsi e a percorrere il viaggio verso qualche luogo. Le
risposte sono state positive, entrambe si sono rilassate nonostante una delle due avesse un
forte mal di schiena che ogni tanto riaffiorava per qualche secondo. Una di loro ha
raccontato di essersi trovata in un bel prato, sdraiata al sole ed è stata un’esperienza molto
piacevole; l’altra si è ritrovata in cimitero mentre andava a visitare un caro zio che è stato
per lei come un padre. Ciò che ha destato maggiore curiosità è stato il fatto che lei nella
realtà non è mai stata in quel cimitero a visitare lo zio, non sa nemmeno la strada da
percorrersi, strada che invece ha percorso durante il rilassamento. Da qui è iniziato un
lungo discorso sul modo con cui le diverse culture affrontano la morte e vivono i cimiteri,
dando spazio ad emozioni positive e negative legate alla malattia dei propri figli.
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L’aver condiviso pensieri, dolori e sensi di colpa, l’essersi lasciate andare e il sentirsi
ascoltate e accolte con tutte le loro paure e debolezze è stata un’esperienza decisamente
positiva che ha dato loro uno stimolo per sentirsi più forti e la consapevolezza di non
essere sole.
Secondo incontro: 24/04/2013
MUSICA E PITTURA
Le mamme presenti erano le stesse del primo incontro. Avevano a disposizione un
cartellone bianco da utilizzare metà per metà e colori a dita, tempere e pennelli. La
consegna era quella di lasciarsi trasportare dalla musica e contemporaneamente disegnare
sul cartellone.
Quando entrambe hanno terminato il disegno le ho invitate a guardarlo e a descrivere ciò
che avevano fatto. Una mamma ha disegnato col nero la sagoma di una bambina che,
avanzando, scaccia via il temporale con le onde del mare e dà spazio al sole e alla luce: in
quel disegno rivedeva la sua piccola bambina che lottava contro la malattia e che alla fine
del percorso avrebbe riportato il sole.
L’altra mamma, inizialmente preoccupata di non saper disegnare, ha espresso la fatica
emotiva nel portare a termine il disegno. La sua reazione nel guardarlo è stata di spavento e
ha esclamato: “Aiuto! Ho disegnato un mostro!”. Effettivamente il disegno, in cui i colori
predominanti erano il rosso, il nero ed il giallo, poteva riportare alla faccia di un essere
mostruoso. I loro disegni rappresentavano ciò che stavano vivendo in quel periodo.
Speranze, paure e stati d’animo tormentati dal pensiero di poter perdere il proprio figlio,
hanno preso forma in un disegno che le ha rese più consapevoli di ciò che avevano dentro e
che probabilmente non riuscivano ad accettare.
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Al terzo incontro le due mamme che avevano partecipato erano state dimesse e quelle
presenti non se la sentivano di lasciare i bambini per andare a prendersi un po’ di tempo
per se stesse, vivendo la possibilità che gli veniva offerta con grossi sensi di colpa.
Il laboratorio non ha avuto seguito a causa delle difficoltà organizzative.
6.7. Vissuti ed emozioni
Proverò qui di seguito a ripercorrere in modo riassuntivo quelli che sono stati i vissuti e le
emozioni che mi hanno accompagnato nel lavoro con i piccoli pazienti.
Ricordo ancora l’impatto del primo giorno: avevo paura di non riuscire a stare all’interno
di quel contesto; paura di scoppiare a piangere nel vedere i bambini senza capelli, attaccati
a delle pompe e immersi in un mondo di dolore. Questa paura nel trovarmi di fronte a loro
e nel visitare il reparto si è trasformata da subito in coraggio e ha prevalso in me il
desiderio e la voglia di poter fare qualcosa per loro. Quel primo giorno sono andata via
talmente piena di emozioni contrastanti che in me c’era un senso di confusione totale: ero
entusiasta di iniziare un’esperienza così forte che sapevo mi avrebbe arricchita come
persona, ero impaurita di non riuscire ad affrontare e gestire le situazioni che mi si
potevano presentare, ero felice di poter essere d’aiuto a quei bambini ma molto
preoccupata di non riuscire a trovare un modo per aiutarli. In me c’era un vortice di ansia,
energia, pesantezza, calore, felicità, tristezza, paura, gioia! Troppe emozioni positive e
negative che si alternavano e in alcuni momenti si sovrapponevano; avevo bisogno di
definirle, capirle, gestirle e incanalarle nel modo giusto. Quel primo giorno ha dato il via
ad un lungo periodo di osservazione e di costruzione di relazioni con i bambini e con le
loro famiglie.
Con il tempo emozioni e vissuti che inizialmente non sapevo come definire sono diventate
più chiare e più familiari. Ho iniziato a capirle e accettarle come parte di me stessa e del
mio lavoro.
Ogni incontro, ogni situazione, ogni bambino hanno smosso in me emozioni diverse sia
legate al continuo mettermi alla prova nel lavoro che svolgo, sia per quanto riguarda la
relazione che costruisco con loro attraverso la musica. Alcune emozioni e vissuti in
particolare si ripetono a distanza di tempo, altre sono sempre presenti, per ogni bambino,
nelle diverse fasi del loro percorso:
85
•
Il senso di frustrazione dovuta all’ impotenza in alcuni momenti e situazioni legati
al percorso di cura e malattia dei bambini, per i quali purtroppo, a volte, non c’è
nulla che si possa fare per aiutarli, che si tratti di situazioni contingenti o
permanenti, dove né la musica, né alcuna parola possono cambiare le cose;
•
L’incertezza e la paura che si presentano a volte nel mio percorso di crescita
personale e professionale, nei momenti critici in cui c’è bisogno di un cambiamento
e/o miglioramento del metodo e degli obiettivi;
•
La rabbia e la tristezza per una “ingiustizia divina” che se la prende con piccoli
esseri innocenti;
•
L’affetto profondo che si manifesta nelle relazioni con i bambini
•
Il senso di gratitudine per quello che ogni giorno mi danno e mi insegnano;
•
La gioia e la felicità nel vedere i loro sorrisi e nel sentirli mentre mi chiamano
perché vogliono che io stia con loro;
•
Il dolore quando qualcuno non ce la fa
Molti si rinchiudono nel loro mondo fantastico in cui si sentono protetti ed entrare in
questo mondo con la musica è un’esperienza unica; altri si isolano e decidono di non
parlare più con nessuno perché sono arrabbiati con tutti; in questi casi vedere che la musica
riesce ad entrare nella loro sfera e che li aiuta ad “urlare il loro dolore e la loro rabbia” è
un’esperienza altrettanto unica. Altri decidono di trasformarsi in super eroi perché la loro
missione è quella di combattere contro il male e di uscirne sempre vincitori. C’è chi canta,
chi balla, chi suona, chi ascolta, chi improvvisa, chi urla, chi ride, chi piange, chi ti
abbraccia, chi ha bisogno di te e con te si sente al sicuro. Tutte queste emozioni e questi
vissuti mi arrivano, li accolgo, li contengo, li vivo con loro e per loro.
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CO CLUSIO I
Il primo pensiero che mi viene in mente in merito a tutta questa esperienza è che la
musicoterapia serve realmente ad attenuare le sofferenze psico-fisiche dei piccoli pazienti.
Vederli attivi anche in situazioni di forte stanchezza e dolore, sentirli cantare, suonare,
leggere nei loro occhi le emozioni, condividerle, elaborarle, aiutarli a gestire ansie e paure,
sono tutti aspetti che favoriscono una crescita personale sia loro che, soprattutto, mia. I
momenti vissuti durante gli incontri sono stati e sono ricchi di musica in tutte le sue
espressioni, con attività di improvvisazione, ascolto, canto, ballo e silenzi profondi ed
intensi, ricchi di parole e significato. Poter entrare nel mondo dei bambini, nelle loro
fantasie e paure e sentire esprimere tutto questo con la musica è stata un’esperienza molto
costruttiva a livello umano, personale e professionale. Ogni bambino è un mondo a sé e
questa diversità la esprimono anche nell’approcciarsi alla musica, dal modo in cui
utilizzano gli strumenti alle preferenze dei vari generi, le tecniche di improvvisazione, la
creatività e la fantasia.
In linea generale, posso dire di aver sperimentato i vari benefici della musicoterapia in
ambito ospedaliero, potendo arrivare alle seguenti conclusioni:
-
La tensione fisica e psichica legata all’ingresso in ospedale e alle continue
procedure a cui vengono sottoposti i bambini, attraverso l’utilizzo dello strumento
sonoro-musicale ha evidenziato, con sonorità e gesti musicali maggiormente ampi,
distesi e fluidi, una distensione fisica e psicologica, con conseguente miglioramento
dell’umore;
-
L’intensità è stato un elemento sempre presente. Le produzioni musicali con forte
intensità ed evidente coinvolgimento fisico hanno permesso di rilasciare vissuti ed
emozioni molto intense e hanno rappresentato una modalità espressiva per far
sentire la propria forza e presenza, in un ambiente in cui la volontà del bambino
non sempre può essere ascoltata e rispettata; l’intensità si è manifestata anche nei
vissuti tra me e i bambini che hanno trovato espressione nelle produzioni musicali
con momenti intensamente gioiosi e allegri e momenti di forte empatia con la
sofferenza ed il dolore;
87
-
L’ascolto di canzoni conosciute ha contribuito a mantenere una certa continuità con
la vita esterna mentre le canzoni composte da loro hanno dato forma alle emozioni
che sono state poi elaborate e contenute;
-
L’utilizzo della voce non solo nelle canzoni ma anche all’interno di
improvvisazioni vere e proprie, ha permesso l’espressione di emozioni
particolarmente intense legate ad esperienze traumatiche;
-
La capacità di ascolto di sé e dell’altro che si è sviluppata nelle produzioni sonore e
il non giudizio del loro prodotto musicale ha reso il setting un ambiente protetto e
accogliente, dove tutto è concesso;
-
La musica ha dato forma al dolore, alla sofferenza e alle paure trasformando le
produzioni musicali in contenitori di emozioni, sensazioni e pensieri che sono stati
condivisi e conseguentemente sopportati e gestiti;
-
L’attività musicale ha rappresentato anche un filo conduttore di continuità tra
mondo ospedaliero e mondo esterno, contribuendo al mantenimento del loro senso
di identità;
-
A seconda delle età, la sperimentazione degli strumenti, dei diversi timbri e della
musica in sé, è stata differente sia per i tempi che per le modalità; in ogni caso ha
rappresentato un momento di apprendimento, contribuendo ad una stimolazione
psico-fisica, importante per mantenere il processo di sviluppo nelle diverse fasi di
crescita.
Anche sul piano organizzativo sono stati raggiunti risultati soddisfacenti per quanto
riguarda l’integrazione con il personale medico-infermieristico: inizialmente ero
considerata “la ragazza della musica”, che intratteneva i bambini. Questo li autorizzava ad
entrare nelle stanze mentre lavoravo senza porsi alcun problema, a volte mettendosi a
cantare senza senso o suonando gli strumenti musicali in modo del tutto sconnesso al
momento e alla situazione, non rispettando il mio lavoro. Con il tempo e attraverso
modalità di totale rispetto per il loro lavoro, prioritario e fondamentale, ho raggiunto delle
conquiste che, anche se piccole, sono importanti per una migliore organizzazione del
lavoro con i piccoli pazienti: durante le procedure in day hospital, se i bambini richiedono
la mia presenza, sono ben accolta anche dagli operatori; a volte capita che prima della
medicazione il bambino abbia necessità di fare la musicoterapia; in tal caso mi organizzo
con gli infermieri che spesso si rendono disponibili ad aspettare che finisca la seduta o
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cercano di velocizzare i tempi per permettere al bambino di venire da me. Spesso mi
permettono di utilizzare, se possibile, le stanze del day hospital come setting
musicoterapico; in reparto sia medici che infermieri si rendono disponibili a darmi
informazioni sui bambini e se sanno che sto lavorando con uno di loro evitano di entrare
nella stanza, a meno che non ci sia urgenza o necessità.
Durante l’anno ho dato un questionario da compilare ai genitori, per avere un feedback sul
lavoro che faccio con i bambini. Riporto qui di seguito alcune risposte a delle domande del
questionario:
-
Vi è capitato di rimandare il momento della procedura in attesa dell’arrivo
dell’operatore/musicoterapista? Se la risposta è SI, per quale procedura e
perché?
“ Si. In alcuni casi abbiamo rimandato la medicazione o la visita, o ci siamo trattenuti più
a lungo per usufruire della musicoterapia, che non volevamo assolutamente perdere.”
-
Ricorda una richiesta esplicita da parte del bambino/a della presenza
dell’operatore/musicista? Se la risposta è SI, in quale occasione?
“Si. La bambina cerca sempre, ogni giorno di day hospital e anche durante i ricoveri,
l’operatore ed è felice di trovarlo (non sempre c’è, purtroppo)”.
“Si. Soprattutto durante i ricoveri”.
“Si. Durante i controlli in day hospital e durante il ricovero in reparto (tutti i giorni)”.
“Si. Ogni qual volta l’abbiamo intravista”.
-
Avete riscontrato dei cambiamenti emotivi o di comportamento nel bambino/a
nell’affrontare le procedure o degenze tra il prima e il dopo l’incontro di
musicoterapia? Se la risposta è SI, quali?
“Si. Sicuramente era più tranquillo”.
“Si. Gestione della rabbia, emozioni negative inespresse (paura), svago – clima positivo”.
“Si. La bambina ha potuto usufruire del servizio di musicoterapia dopo 2 mesi dall’inizio
della terapia. L’aspettava con ansia e ne ha tratto giovamento da subito. È un gradito
appuntamento, che la rilassa, l’aiuta a scaricare tensione e le dà possibilità di esprimersi
liberamente”.
“Si. Ci sono giorni in cui è molto nervoso. Quando fa musicoterapia si tranquillizza. Lo
rilassa”.
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“Si. La bambina è palesemente appagata oltre che sorridente”.
-
Ritiene che la musica possa essere di supporto alle cure mediche? Se SI,
potrebbe indicare perché?
“Si. Permette al bambino di uscire fuori dalla routine ospedaliera”.
“Si. Crea un clima armonioso/allegro e spensierato. Si affrontano i giorni del ricovero
meglio, con più serenità e normalità. Perdita della paura del ricovero”.
“Si. Perché la musica aiuta”.
“Si. È cura dello spirito”.
Il numero esiguo di questionari raccolti non consente di poter fare una statistica vera e
propria. In generale, su 13 domande, 11 hanno avuto risposta positiva in quasi tutti i
questionari; solo 2, alle domande “Ricorda una richiesta esplicita da parte del bambino/a
della presenza dell’operatore/musicista?” e “Vi è capitato di rimandare il momento della
procedura in attesa dell’arrivo dell’operatore/musicoterapista?”, hanno avuto risposta
negativa.
Questo evidenzia il grado di approvazione che i genitori mostrano nei confronti
dell’attività, ritenuta da loro fondamentale per una migliore ospedalizzazione dei loro figli,
che necessitano di essere seguiti non solo dal punto di vista medico, ma anche dal punto di
vista psicologico, attraverso l’utilizzo di canali di comunicazione alternativi che
consentano di tradurre le risposte dei bambini per poi intervenire a livello psicologico. Per
questo motivo la loro associazione attualmente si sta facendo carico, in base alle
disponibilità economiche, dei due progetti che accompagnano i loro figli nel percorso di
cura e malattia, il progetto di musicoterapia ed il progetto di lettura ad alta voce.
Il fatto che tali progetti, i quali rientrano all’interno delle terapie di supporto dimostrando
chiaramente la loro validità e numerosi risultati positivi, siano finanziati da associazioni
esterne alla sanità, sottolinea quanto essi siano scarsamente valutati.
La musicoterapia come terapia di supporto dovrebbe trovare spazio all’interno della realtà
ospedaliera in quanto disciplina che, affiancata alla cura medica, contribuisce ad una
migliore ospedalizzazione del malato, sia esso bambino o adulto, permettendo di elaborare
meglio l’esperienza che spesso lascia un ricordo traumatico e di sofferenza psicologica.
La speranza è che, attraverso la pubblicazione dei lavori e attraverso la sensibilizzazione,
l’informazione e la formazione a livello culturale, questi progetti possano avere stabilità e
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continuità all’interno di una sanità ancora troppo legata al modello biomedico e poco
attenta alle necessità della persona nella sua globalità.
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RI GRAZIAME TI
Desidero ringraziare il Prof. Suvini per aver accolto la mia tesi, per i suoi preziosi
consigli e per la disponibilità ricevuta durante i 4 anni di corso.
Un ringraziamento speciale va alla Dott.ssa Patrizia Montisci per aver creduto in me dal
nostro primo incontro. Grazie alla sua approvazione e al suo sostegno il mio progetto ha
avuto inizio e continua ancora oggi, dopo 5 anni. Le sue supervisioni sono state e sono per
me un tesoro da custodire per una crescita sia a livello personale che professionale.
Ringrazio inoltre il primario, la Dott.ssa Mura che ha accolto il progetto dandomi la
possibilità di organizzare il lavoro secondo le mie necessità, compatibili con quelle
dell’organizzazione medica.
Ringrazio il Maestro della scuola in ospedale, Andrea Serra, che ha ospitato me ed il mio
carrello musicale nella sua aula, permettendomi spesso di utilizzarla come setting e come
punto d’appoggio.
Un sentito ringraziamento va alla Dott.ssa M. Grazia Corrias per la sua vicinanza ed il
suo sostegno non solo come collega, ma anche come amica; la complicità nata tra noi ci
ha permesso di integrare il nostro lavoro in modo eccellente, condividendo gioie e dolori
con i piccoli pazienti e con le loro famiglie.
Ringrazio l’Associazione ASTAFOS che ha finanziato il progetto per un anno e ringrazio
l’Associazione dei genitori, l’ASGOP, che sta attualmente finanziando il progetto:
entrambe mi hanno dato l’opportunità di svilupparlo e di poterlo migliorare nel tempo.
Grazie ai genitori che ripongono in me fiducia e mi consentono di lavorare con i bambini
ai quali va un abbraccio speciale: ogni giorno mi permettono di entrare nel loro mondo
ricco di fantasie, di magia e di realtà, insegnandomi il valore e l’amore per la vita. Grazie
ai loro sorrisi, alle loro parole ricche di spontaneità e di verità, grazie alle loro musiche,
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ai balli, ai canti e alle improvvisazioni che mi regalano e grazie perché mi permettono di
condividere i momenti più duri del loro percorso.
Un ultimo ringraziamento va alla mia famiglia e a mio marito i quali credono in me e nel
mio lavoro, supportandomi anche nei momenti più difficili.
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