Introduzione alla geometria simplettica

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Gruppi di Lie
Introduzione alla Geometria Simplettica
Massimiliano Povero
12 maggio 2006
1
Elementi di Multialgebra
Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo K e indichiamo con E =
{e1 , . . . , en } una base di tale spazio. Ogni elemento x ∈ V è una
P combinazione
lineare degli elementi della base E a coefficienti in K, cioè x = j xi ej , xj ∈ K.
La base E induce un’identificazione di V con Kn mediante la funzione
E:
V
x
−→ Kn
−→ xE = (x1 , . . . , xn )t .
Il pedice E indica la base rispetto cui gli elementi di V sono scritti.
Lo spazio duale V ∗ di V è lo spazio Hom(V, K) delle forme K−lineari su V.
La base naturale di questo spazio è la base duale E ∗ = (ω1 , . . . , ωn ) derivante
dalla base E di V mediante la relazione ωj (x) = xj . Gli elementi della base
duale sono cioè applicazioni lineari che associano ad ogni elemento x ∈ V la
j−esima componente xj rispetto alla base E. Si ha ovviamente ωj (ek ) = δjk .
La dimensione dello spazio duale risulta
P la stessa dello spazio di partenza V.
Quindi per ogni forma X si ha X = j Xi ωj . Dall’identificazione precedente
ad ogni X ∈ V ∗ corrisponde un vettore riga XE = (X1 , . . . , Xn ) ∈ Kn . In
questo modo l’applicazione di una forma X ad un elemento x di V si riduce al
prodotto scalare standard di due vettori, infatti
à n
!
n
n
X
X
X
X(x) =
Xj ωj
xk ek =
Xj xk ωj (ek )
j
=
n
X
k=1
Xj xk δjk =
n
X
j,k=1
Xj xj = h XE , xE i.
j=1
j,k=1
A questo punto consideriamo lo spazio Bil(V) delle forme K−bilineari da V ×
V a K. Per determinarne una base osserviamo che Bil(V) può essere considerato
come lo spazio V ∗ ⊗V ∗ . Infatti prese due forme X, Y di V ∗ si ha (X ⊗Y )(x, y) :=
X(x)Y (y) ∈ K. Allora risulta evidente come scrivere una base: fissata la base
E in V e la base E ∗ in V ∗ si ha Bil(V) = span {ωj ⊗ ωk }. Quindi la dimensione
dello spazio è pari a n2 . Per definizione si pone ωjk := ωj ⊗ ωk . Ogni forma b
bilineare viene identificata mediante la base {ωjk } in una matrice BE tale che
1
2
( BE )jk = bjk = b(ej , ek ). Per ogni x, y ∈ V si ha
b(x, y)
=
=
n
X
bjk (ωj ⊗ ωk )(x, y) =
j,k=1
n
X
n
X
Ã
bjk ωj
j,k=1
n
X
!
x l el
Ã
ωk
n
X
!
ym en
m=1
l=1
bjk xj yk = xtE BE yE .
j,k=1
Ogni forma bilineare b può essere scritta nella forma b = a+ω con a =
b + bt
for2
b − bt 1
forma anti-simmetrica. Lo spazio Bil(V) può esse2
V
re cioè decomposto nellaV
somma S 2 (V)⊕ 2 (V) dove S 2 (V) è lo spazio delle forme
bilineari simmetriche e 2 (V) quello delle forme bilineari anti-simmetriche.
Estendiamo ora il concetto di forme bilineari introducendo la seguente definizione:
ma simmetrica e ω =
DEFINIZIONE 1 (Tensori covarianti di rango p). Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n con base E = {e1 , . . . , en }. Un tensore covariante di
rango p è una funzione K−polilineare in p variabili:
T :
V × . . . × V −→ K
(x1 , . . . , xp ) −→ T (x1 , . . . , xp ).
Lo spazio dei tensori covarianti di rango p è uno spazio vettoriale Tenp (V) =
V
. Come nel caso delle forme bilineari una base naturale è data dagli elementi
della forma ωj1 ...jp := ωj1 ⊗ . . . ⊗ ωjp . Ogni elemento T ∈ Tenp (V) può essere
quindi scritto
n
X
T =
tj1 ...jp ωj1 ...jp
∗⊗p
j1 ,...,jp =1
dove tj1 ...jp = T (ej1 , . . . , ejp ). La base E induce quindi un’identificazione tra
lo spazio Tenp (V) dei tensori di ordine p e lo spazio delle matrici generalizzate
Kn,...,n . Infatti ogni tensore T viene identificato con la sua matrice generalizzata
TE = [tj1 ...jp ]ji =1,...,n .
Lo spazio dei tensori covarianti di rango p è uno spazio vettoriale di dimensione
np . Infatti ogni indice jp della base {ωj1 ...jp } può assumere n valori.
Se consideriamo lo spazio Ten∗ (V) di tutti i tensori di qualunque rango
otteniamo un’algebra con l’operazione di moltiplicazione data dal prodotto tensoriale. Per ogni T, R ∈ Ten∗ V, si definisce il tensore T ⊗ R come
T ⊗R
=
=
n
X
tj1 ...jp ωj1 ...jp ⊗
j1 ,...,jp =1
n
X
n
X
rk1 ...kq ωk1 ...kq
k1 ,...,kp =1
tj1 ...jp rk1 ...kq ωj1 ...jp k1 ...kq ,
j1 ,...,jp ,k1 ,...,kp =1
di rango p + q.
Come nel caso delle forme bilineari anche lo spazio dei tensori covarianti può
essere decomposto in due sottospazi: lo spazio dei p−tensori simmetrici e quello
dei p−tensori anti-simmetrici.
1 L’operazione di trasposizione applicata alla forma b si riferisce alla trasposizione della
matrice associata nella base E o equivalentemente si ha bt (x, y) = b(y, x), ∀x, y ∈ V.
3
Tensori Simmetrici
Sia Sp (V) ⊂ Tenp (V) lo spazio dei p−tensori simmetrici cioè
Sp (V) = {A ∈ Tenp (V) : A(x1 , . . . , xp ) = A(xσ(1) , . . . , xσ(p) )}
dove σ ∈ Sp è una qualunque permutazione di p elementi.
DEFINIZIONE 2 (Prodotto tensoriale simmetrico). Siano X1 , . . . , Xp ∈
⊗p
V ∗ . Il prodotto tensoriale simmetrico ∨ : V ∗
→ Sp (V) è un’applicazione
definita come
1 X
X1 ∨ . . . ∨ Xp :=
Xσ(1) ⊗ . . . ⊗ Xσ(p) .
p!
σ∈Sp
Fissata una base E in V si ha in Sk (V) la base {ω(j1 ...jp ) } := {ωj1 ∨. . .∨ωjp }.
Inoltre lo spazio S∗ (V) di tutti i tensori simmetrici è un’algebra con il prodotto
tensoriale simmetrico. Per ogni A, B ∈ S∗ (V) si ha
A∨B
=
=
n
X
aj1 ...jp ωj1 ...jp ∨
j1 ,...,jp =1
n
X
n
X
bk1 ...kq ωk1 ...kq
k1 ,...,kp =1
aj1 ...jp bk1 ...kq ω(j1 ...jp k1 ...kq ) .
j1 ,...,jp ,k1 ,...,kp =1
Tensori Anti-simmetrici
V
Definiamo, come per i tensori simmetrici, lo spazio p (V) dei p−tensori antisimmetrici, cioè
V
par(σ)
ω(xσ(1) , . . . , xσ(p) )}
p (V) = {ω ∈ Tenp (V) : ω(x1 , . . . , xp ) = (−1)
dove par(σ) = 1 se la permutazione è dispari e par(σ) = 0 se la permutazione è
pari.
DEFINIZIONE 3 (Prodotto tensoriale anti-simmetrico). Siano X1 , . . . ,
V
⊗p
Xp ∈ V ∗ . Il prodotto tensoriale anti-simmetrico ∧ : V ∗ → p (V) è un’applicazione definita come
1 X
X1 ∧ . . . ∧ Xp :=
(−1)par(σ) Xσ(1) ⊗ . . . ⊗ Xσ(p) .
p!
σ∈Sp
V
In questo caso la base di p (V) è definita come ω[j1 ...jp ] := ωj1 ∧ . . . ∧ ωjp ,
j1 < . . . < jp . Gli elementi delle base
V non possono cioè avere due indici uguali
quindi la dimensione dello spazio p (V) è pari al numero di sottoinsiemi di p
¡ ¢
V
elementi distinti in un insieme di n elementi, cioè dim p (V) = np .
V
V L’algebra ∗ (V) in questo caso non è uno spazio infinito dimensionale poichè
p (V) = {0} per ogni p > n. Allora si ha
V
∗ (V) =
+∞
X
V
p=0
e dim
V
∗ (V)
=
n
X
¡n¢
n
p =2 .
p=0
p (V)
=
V
0 (V)
+
V
1 (V)
+ ... +
V
n (V)
4
2
Geometria Simplettica Lineare
DEFINIZIONE 4 (Spazio vettoriale simplettico). Uno spazio vettoriale
simplettico èVuna coppia (V, ω) dove V è uno spazio vettoriale di dimensione
finita e ω ∈ 2 (V) non degenere cioè
ω(x, y) = 0 ∀y ∈ V ⇒ x = 0.
Un’immediata conseguenza della definizione è che la dimensione dello spazio
V deve essere necessariamente pari. Infatti fissata una base E in V abbiamo che
la matrice associata alla forma bilineare ω è una matrice A anti-simmetrica. Si
ha quindi
det(A) = det(−t A) = (−1)dim V det(A)
e poichè ω è non degenere cioè la matrice A è non singolare si ha dim V = 2n
con n ∈ N.
Un primo esempio di spazio vettoriale simplettico è dato da R2n : sia E =
{x1 , . . . , x2n } una base di tale spazio e E ∗ = {dx1 , . . . , dx2n } la base del
V duale
che sappiamo può essere identificato con R2n2 . Una generica forma ω ∈ 2 (R2n )
non degenere può essere scritta nella forma
ω=
2n
X
bjk dxj ⊗ dxk ,
j,k=1
con [bjk ] matrice non degenere. Tramite la definizione di prodotto tensoriale
anti-simmetrico definiamo
dxj ∧ dxk =
1
(dxj ⊗ dyk − dxk ⊗ dyj )
2
da cui in questa nuova base
ω=
2n
X
ωjk dxj ∧ dxk
j,k=1
con [ωjk ] parte anti-simmetrica di [bjk ]. Se la matrice [ωjk ] ha la forma
¸
·
0 −In
[ωjk ] = J = I
0
n
allora si parla di forma simplettica standar e la si indica con ω0 . In questo caso
l’espressione esplicita di tale forma è
ω0 =
n
X
dxj ∧ dxj+n .
j=1
Usualmente nel caso di (R2n , ω0 ) come spazio simplettico si usa indicare le xj+n
con yj in modo da scrivere la forma simplettica standard nel seguente modo
ω0 =
n
X
dxj ∧ dyj .
j=1
2 Più precisamente gli elementi di R2n sono vettori colonna mentre gli elementi del duale
possono essere identificati con vettori riga quindi sempre con lo spazio R2n .
5
É immediato quindi che per ogni coppia di vettori x, y ∈ R2n si ha
ω0 (x, y) = t xJy.
La coppia (R2n , ω0 ) è uno spazio simplettico; come vedremo più avanti ogni
spazio simplettico è localmente isomorfo a tale spazio che per questo assume
un’importanza notevole.
Consideriamo a questo punto l’n−esima potenza esterna della forma ω0 , si ricava
facilmente che
ω0∧n = ω0 ∧ . . . ∧ ω0 = n!dx1 ∧ dy1 ∧ . . . ∧ dxn ∧ dyn ,
cioè si ha che ω0∧n è una forma di volume e quindi non si annulla mai.
DEFINIZIONE 5 (Complemento simplettico). Sia U un sottospazio di V
spazio vettoriale simplettico con forma ω, si definisce complemento simplettico
di U il sottospazio
U ω = {x ∈ V : ω(x, y) = 0 ∀y ∈ U}.
Il sottospazio U si dice isotropo se U ⊂ U ω , coisotropo se U ω ⊂ U , simplettico se U ∩ U ω = {0} e infinie lagrangiano se U = U ω .
Il complemento simplettico non è necessariamente trasversale ad U ω :
ESEMPIO 1. Sia (V, ω) uno spazio vettoriale simplettico, x ∈ V
non nullo e consideriamo U = span{x}. Risulta che U ⊂ U ω ,
infatti poichè ogni elemento di U è proporzionale ad x si ha
ω(λx, µx) = λµω(x, x) = 0 ∀λ, µ ∈ R.
LEMMA 1 (Caratterizzazione dei sottospazi simplettici). Dato (V, ω)
spazio vettoriale simplettico, un sottospazio U di V è simplettico se e solo se
(U, ω|U ) è uno spazio vettoriale simplettico.
Dimostrazione. Sia U simplettico e consideriamo x ∈ U : ω(x, y) = 0 ∀y ∈ U
allora x ∈ U ω ma poichè U ∩ U ω = {0} si ha x = 0 cioè la forma ω ristretta ad U
è non degenere e quindi (U, ω|U ) è uno spazio vettoriale simplettico. Viceversa
sia (U, ω|U ) spazio vettoriale simplettico e consideriamo x ∈ U ∩ U ω , poichè
ω|U è non degenere si ha che se ω(x, y) = 0 ∀y ∈ U allora x = 0 e quindi
U ∩ U ω = {0} cioè U è simplettico.
LEMMA 2. Per ogni sottospazio U di V si ha
dim U + dim U ω = dim V,
U ωω = U
Dimostrazione. Definiamo l’applicazione
ιω : V 3 x → ω(x, ·) ∈ V ∗
che associa ad ogni elemento di V una forma lineare. Poichè la forma ω è non
degenere risulta che ιω è un isomorfismo e quindi identifica U ω con U ⊥ in V ∗ da
cui la tesi poichè è noto che
dim U + dim U ⊥ = dim V.
Per il secondo assero notiamo che ovviamente U ⊂ U ωω e che, usando il primo
asserto su U ω al posto di U ,
dim U + dim U ω = dim U ω + dim U ωω = dim V
quindi dim U = dim U ωω da cui la tesi.
6
DEFINIZIONE 6. Dati due spazi vettoriali simplettici (V1 , ω1 ), (V2 , ω2 ) si
definisce simplettomorfismo lineare un isomorfismo tra spazi vettoriali Ψ : V1 →
V2 che conserva la struttura simplettica cioè tale che
Ψ∗ ω1 = ω2
dove in generale (Ψ∗ ω)(x, y) = ω(Ψx, Ψy).
TEOREMA 1. Sia (V, ω) uno spazio vettoriale simplettico di dimensione 2n.
Esiste una base E = {e1 , . . . , en , f1 , . . . , fn } tale che
ω(ej , ek ) = ω(fj , fk ) = 0
ω(ej , fk ) = δjk ,
la base E è detta base simplettica. Inoltre esiste un isomorfismo Ψ : R2n → V
tale che Ψ∗ ω = ω0 . Utilizzando la definizione precedente il teorema afferma che
ogni spazio vettoriale simplettico di dimensione 2n è simplettomorfo allo spazio
standard (R2n , ω0 ).
Dimostrazione. [per induzione su dim V] Sia n = 1 allora poichè ω è non
degenere esistono e1 , f1 tali che ω(e1 , f1 ) = 1. Lo spazio U = span{e1 , f1 }
insieme alla forma ω è uno spazio simplettico di dimensione 2 quindi il suo
complemento simplettico è uno spazio di dimensione 2n − 2 dal lemma 2. Lo
spazio U ω risulta anch’esso uno spazio vettoriale simplettico poichè preso u ∈
U ω ∩ U si ha u = λe1 + µf1 e
0 = ω(e1 , u) = λω(e1 , e1 ) + µω(e1 , f1 ) = µ
0 = ω(e1 , u) = λω(f1 , e1 ) + µω(f1 , f1 ) = λ
quindi u = 0. Dall’ipotesi induttiva esiste quindi una base simplettica {e2 , . . . , en ,
f2 , . . . , fn } di U ω e poichè abbiamo V = U⊕U ω , la base E = {e1 , . . . , en , f1 , . . . , fn }
forma una base simplettica per V.
Definiamo ora la mappa
n
X
Ψz =
xj ej + yj fj
j=1
con z = (x1 , . . . , xn , y1 , . . . , yn ) ∈ R2n e verifichiamo che Ψ∗ ω = ω0 : siano
z, z̃ ∈ R2n
(Ψ∗ ω)(z, z̃) =
=
ω(Ψz,
 Ψz̃)

n
n
X
X
ω
xj ej + yj fj ,
x̃k ek + ỹk fk 
j=1
=
=
=
n
X
k=1
(xj ỹk − yj x̃k )δjk
j,k=1
n
X
(xj ỹj − yj x̃j )
j=1
ω0 (z, z̃).
COROLLARIO
1. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione 2n, una forma
V
ω ∈ 2 (V) è non degenere se e solo se ω ∧n = ω ∧ . . . ∧ ω 6= 0.
Dimostrazione. Supponiamo ω degenere allora esiste x 6= 0 tale che ω(x, y) =
0 ∀y ∈ V. Scegliamo in V una base {x1 , . . . , x2n } tale che x1 = x da cui
ω ∧n (x1 , . . . , x2n ) = 0. Viceversa sia ω non degenere allora ω ∧n è proporzionale
ad ω0∧n che essendo una forma di volume non si annulla mai.
7
Concentriamo ora l’attenzione sull’insieme dei simplettomorfismi lineari da (R2n , ω0 )
in se stesso. Tali applicazioni possono essere pensate come matrici reali 2n × 2n
e prendono il nome di matrici simplettiche. Esse sono caratterizzate dalla
relazione
Ψ∗ ω0 = ω0
PROPOSIZIONE 1. La relazione Ψ∗ ω0 = ω0 è equivalente a t ΨJΨ = J.
Dimostrazione. Poichè ω(x, y) = t xJy per ogni x, y ∈ R2n si ha
(Ψ∗ ω0 )(x, y) = ω0 (Ψx, Ψy) = t xt ΨJΨy
da cui la tesi.
In generale i simplettomorfismi lineari su uno spazio simplettico (V, ω) formano un gruppo che indichiamo con Sp(V, ω). Se V = R2n con la forma simplettica standard si usa la notazione Sp(2n) gruppo delle matrici simplettiche
2n × 2n a valorireali.
OSSERVAZIONE 1. Dal teorema di Binet applicato alla relazione t ΨJΨ = J
si ha che ogni matrice simplettica ha determinante ±1. In particolare il determinante è sempre pari ad uno poichè dalla relazione Ψ∗ ω0 = ω0 e dal fatto che
ω0∧n è una forma di volume su R2n segue che
ω0 ∧ · · · ∧ ω0 = det(Ψ)ω0 ∧ · · · ∧ ω0
cioè det(Ψ) = 1.
3
Varietà Simplettiche
In geometria giocano un ruolo significativo le varietà Riemanniane, cioè varietà
dotate di un prodotto scalare simmetrico non degenere su ogni spazio tangente.
Un altro modo per introdurre una struttura su di una varietà è quello di dotarla
di un ”prodotto scalare” anti-simmetrico non degenere che dipenda in maniera
differenziabile sulla varietà. Questo da origine alle varietà simplettiche la cui
geometria è considerevolmente diversa da quella delle varietà Riemanniane. Tra
i principali risultati, il Teorema di Darboux, il Teorema di Stabilità di Moser
e varie versioni del Teorema degli Intorni Simplettici (per approfondimenti si
vedano [F, MS]).
Consideriamo una varietà M di dimensione 2n, ricordiamo che parlare di
un prodotto scalare anti-simmetrico non degenere è equivalente a parlare di una
forma simplettica su di un opportuno spazio vettoriale. In questo caso lo spazio
sarà lo spazio tangente alla varietà in un punto p. Diamo quindi la seguente
definizione:
DEFINIZIONE 7 (Varietà Simplettica). Una varietà liscia di dimensione
pari M è detta simplettica se su di essa è definita una 2-forma differenziale
2n
X
ωjk (x)dxj ∧ dxk , j, k = 1, . . . , m tale che
ω=
j,k=1
(i) la forma sia non degenere cioè la matrice dei coefficienti (ωjk (x)) sia non
singolare;
(ii) la forma sia chiusa cioè dω = 0 dove d è l’operatore di differenziazione
esterna.
Tale forma viene talvolta detta struttura differenziale su M.
In realtà come nel caso delle varietà Riemanniane abbiamo un campo di
forme anti-simmetriche
8
ω : M 3 p −→ ωp ∈
V
2
Tp M
che ad ogni punto della varietà associa in maniera liscia una 2-forma algebrica
ωp .
Esempi
i) L’esempio più semplice di varietà simplettica è lo spazio (R2n , ω0 ) dove
con ω0 indichiamo questa volta la forma differenziale
ω0 : M 3 p −→ (ω0 )p ∈
V
2
Tp R2n '
V
2n
2 (R ).
ii) La sfera S 2 con la forma differenziale
ω : x −→ ωp (u, v) := hx, u × vi
con x ∈ S 2 , u, v ∈ Tx S 2 .
iii) In generale una qualunque superficie orientabile con la sua forma di area
standar è una varietà simplettica.
La condizione i) nella definizione di varietà simplettica implica che ogni spazio
(Tp M, ωp ) sia uno spazio vettoriale simplettico e da qui la necessità che la varietà abbia dimensione pari. Inoltre il fatto che in generale ω ∧n non si annulli
mai implica che ogni varietà simplettica è orientabile.
Per mostrare un’ultima conseguenza delle condizioni della definizione 7 sulla forma ω abbiamo bisogno di introdurre due concetti base della teoria delle
varietà:
DEFINIZIONE 8 (Fibrati tangente e cotangente). Sia M una varietà
di dimensione m qualunque, in ogni punto p ∈ M esiste lo spazio tangente
Tp M (risp. lo spazio cotangente T∗p M). Si definisce fibrato tangente (risp.
cotangente) l’unione di tutti gli spazi tangenti (risp. cotangenti) al variare di p
in M, si ha cioè
[
[
TM =
Tp M, T∗ M =
T∗p M.
p∈M
p∈M
OSSERVAZIONE 2. Ogni punto dello spazio tangente è una coppia (p, Xp )
dove p ∈ M e Xp ∈ Tp M; quindi intuitivamente si può dedurre che il fibrato
tangente sia uno spazio di dimensione 2m. Il fibrato a differenza dello spazio
tangente ha una struttura più complicata di quella di spazio vettoriale, infatti se
consideriamo la proiezione
π : TM 3 (p, X) → p ∈ M
abbiamo che ogni fibra π −1 (p) ' Tp M. Quindi il fibrato tangente è una varietà
differenziabile, di dimensione pari al doppio della varietà cui è riferito, lineare in
ogni sua fibra. Lo stesso ragionamento vale ovviamente per il fibrato cotangente.
A questo punto possiamo osservare che la non degenaretazza della forma ω
implica l’esistenza di un isomorfismo canonico tra il fibrato tangente e il fibrato
cotangente della varietà definito come
TM 3 X −→ ω(X, ·) ∈ T∗ M.
Questo in particolare mostra che lo spazio dei campi vettoriali su M è l’insieme
delle 1−forme su M sono isomorfi. A questo punto possiamo enunciare uno
dei principali risultati della teoria delle varietà simplettiche che mette in luce la
netta differenza con le varietà Riemanniane. Infatti una metrica Riemanniana
9
può essere ridotta alla forma canonica diagonale in un singolo punto tramite una
scelta appropriata di coordinate locali. In questo senso la geometria simplettica
e quella Riemanniana sono simili. C’è però una differenza fondamentale, è noto
infatti che non è possibile ridurre alla forma canonica diagonale una metrica
Riemanniana in un intero intorno poichè questo potrebbe essere impedito dalla
presenza di un tensore di curvatura Riemanniana non nullo (che è un invariante
per cambiamenti di coordinate). Una struttura simplettica invece può essere
sempre ridotta alla forma canonica tramite un cambiamento di coordinate in un
intero intorno, seppur sufficientemente piccolo.
TEOREMA 2 (di Darboux). Ogni forma simplettica ω su M (dim M = 2n)
è localmente diffeomorfa alla forma standard ω0 su R2n .
Dimostrazione. [idea] La dimostrazione del teorema si basa sostanzialmente
nell’applicare il teorema 1 su ogni spazio vettoriale Tp M con p ∈ U intorno
sufficientemente piccolo. Infatti per ogni p ∈ U esiste un simplettomorfismo
Ψp : Tp M → R2n tale che Ψ∗ ωp = ω0 . Se si dimostra che il campo vettoriale
Ψ : p 3 M → Ψp ∈ Sp(Tp M, ωp ) è differenziabile si ottiene la tesi.
In altre parole, data una forma simplettica ω su M, in ogni punto p ∈ M è
possibile trovare un intorno ed un sistema di coordinate (p1 , . . . , pn , q1 , . . . , qn )
dette coordinate simplettiche nelle quali ω può essere scritta come
n
X
dpj ∧ dqj .
j=1
Concludiamo con un esempio di varietà simplettica particolarmente interessante in quanto associata alle algebre di Lie. Sia G un grupo di Lie di matrici
e g la sia algebra di Lie, ricordiamo che la rappresentazione aggiunta di G è
definita come
Ad : G −→ Aut(g)
g −→
Adg
dove Adg x := gxg −1 per ogni x ∈ g. Il differenziale di tale rappresentazione
definisce la rappresentazione di algebre di Lie
ad :
g −→ Der(g)
x −→
adx
dove adx y := [x, y] per ogni y ∈ g. É possibile definire analogamente un’altra
rappresentazione di G sul duale di g, in questo caso si parla di rappresentazione
co-aggiunta in quanto si opera su i co-vettori di g∗ . Definiamo quindi in analogia
alla rappresentazione precedente
Ad∗ : G
g
−→ Aut(g∗ )
−→
Ad∗g
dove (Ad∗g X)x := X(Adg−1 x) per ogni x ∈ g, X ∈ g∗ . Il differenziale di tale
rappresentazione definisce la rappresentazione di algebre di Lie
ad∗ :
g −→ Der(g∗ )
x −→
ad∗x
dove (ad∗x X)y = −X([x, y]) per ogni y ∈ g, X ∈ g∗ .
Di interesse sono le orbite della rappresentazione co-aggiunta cioè gli insiemi
O(X) = {Ad∗g X : g ∈ G} ⊂ g∗
che possono essere dotati di una struttura simplettica. Costruiamo quindi la
10
struttura simplettica sulle orbite della rappresentazione co-aggiunta: sia X ∈ g∗
e O(X) la sua orbita, dimostraimo il seguente lemma.
LEMMA 3. Lo spazio tangente all’orbita O(X) nel punto X è lo spazio dei
vettori della forma ad∗x X con x ∈ g.
Dimostrazione. Ogni vettore tangente all’orbita O(X) nel punto X ∈ g∗ è
dato dalla formula
¯
d ¯¯
Ad∗exp(tx) X
θ=
dt ¯t=0
con x ∈ g. Sia {e1 , . . . , en } P
una base di g eP
{ω1 , . . . , ωn } la corrispettiva base
duale di g∗ , allora si ha X = k Xk ωk e θ = k θk ωk da cui θj = θ(ej ). Usando
la definizione però otteniamo
¶
µ ¯
d ¯¯
∗
θj =
Adexp(tx) X ej
dt ¯t=0
¯
¡
¢
d ¯¯
=
X Adexp(−tx) ej
dt ¯t=0
µ ¯
¶
d ¯¯
= X
Ad
e
exp(−tx) j
dt ¯t=0
=
X(−[x, ej ])
= (ad∗x X)ej
quindi si ha θ = −ad∗x X come richiesto.
Quindi da questo lemma si ha che in generale dato un vettore tangente θ su
TX O(X) esiste, in maniera non unica, un elemento xθ ∈ g tale che
θ = ad∗xθ X.
Definiamo quindi
ωX (θ1 , θ2 ) := X([xθ1 , xθ2 ])
detta struttura simplettica standard (forma di Kostant-Kirillov).
Riferimenti bibliografici
[F] Fomenko A.T. Symplectic Geometry. Advanced Studies in Contemporary
Mathematics, Moscow.
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