ITTÀ
! TORINO
A S S E S S O R A T O
P E R L A
C U L T U R A
sabato 17 settembre 1988, ore 16
Santi Martiri
SETTEMBRE MUSICA
Orchestra e Coro
dell’Accademia Corale
“Stefano Tempia”
Sandra Mantovani, soprano
Sofia Mukhametova, contralto
Mauro Buffoli, tenore
Giancarlo Tosi, basso
Alberto Peyretti, direttore
L’Accademia Corale “Stefano Tempia” è stata fondata nel 1875
dal maestro Stefano Tempia (1832-1878), compositore, violini­
sta, direttore d’orchestra e maestro della Cappella Regia, allo
scopo di diffondere la conoscenza della musica polifonica. Ne­
gli oltre cento anni di attività essa ha conosciuto lusinghieri
successi in campo nazionale ed intemazionale ed è stata deco­
rata con la medaglia d’oro dal M inistero dello Spettacolo peri
suoi meriti nel campo della divulgazione musicale. Titolare di
una propria stagione concertistica e di una scuola di orienta­
mento musicale, attualmente è diretta dal maestro Alberto
Peyretti. Con al suo attivo un’intensa attività concertistica, il
Coro dell’Accademia possiede un repertorio spaziante dalle
prime forme di canto liturgico e profano alle composizioni
contemporanee.
Alessandra Mantovani, nata a Padova, ha seguito nella sua
città i corsi di canto in qualità di soprano presso il Conservatorio “Pollini”, perfezionandosi in seguito sotto la guida di Iris
Adami Corradetti. H a debuttato al Teatro G rande di Brescia
nell’opera “Le nozze di Figaro” di Mozart sotto la direzione
del Maestro Evelino Pidò.
Originaria dell’Unione Sovietica, Sofia Mukhametova, si è di­
plomata in canto presso il conservatorio di Mosca, città nella
quale ha inoltre frequentato l’Istituto Pedagogico Musicale, e
in seguito si è perfezionata presso il Conservatorio di Santa
Cecilia in Roma. Impegnata tanto nel repertorio operistico
che in veste di solista, nel corso della sua carriera si è esibita
nei teatri di Unione Sovietica, Europa e Stati Uniti. Svolge
inoltre attività didattica presso il conservatorio dell’Aquila e
curando i corsi di interpretazione vocale organizzati da ItaliaUrss.
Tenore lirico leggero, Mauro Buffoli ha compiuto i propri
studi musicali privatamente sotto la guida del maestro Oncina
e di Tatiana Venotti. H a debuttato al Teatro dell’Opera di
Varsavia nell’Italiana in Algeri, intraprendendo poi una car­
riera concertistica che l’ha portato ad esibirsi tanto in Italia
quanto all’estero. In possesso di un repertorio che spazia dagl'
oratori all’opera, ha più volte collaborato con la Radio Sviz­
zera per la realizzazione di registrazioni e trasmissioni a carat­
tere musicale.
Nato nel 1953, Giancarlo Tosi ha compiuto i propri studi mu­
sicali al conservatorio di Milano, diplomandosi in canto. Vin­
citore di vari concorsi (tra cui l’edizione 1979 dell’Aslico, la 2a
e la 3a del Laboratorio Lirico di Alessandria, la 13a del Toti
Dal Monte di Treviso) nel corso della sua attività ha avuto
modo di esibirsi in teatri quali, tra gli altri, la Piccola Scala di
Milano, il Massimo di Palermo, il Linceo di Barcellona, il Re­
gio di Parma. Con al suo attivo un repertorio di oltre quaranta
opere, ha più volte ricoperto il ruolo di protagonista nel “Don
Pasquale” di Donizetti, nel “ Barbiere di Siviglia” di Rossini,
nella “Bohème” di Puccini e neL “D on G iovanni” di Mozart
per citarne alcune.
Alberto Peyretti si è diplomato in pianoforte, composizione e
musica corale presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di To­
rino (dove ha studiato con Lodovico Lessona e Sandro Fuga) e
ha in seguito frequentato i corsi triennali in direzione d’orche­
stra tenuti da Mario Rossi. Vincitore, nel 1976, della Medaglia
d’Oro per la Composizione al Concorso Viotti di Vercelli, dal
1971 al 1973 è stato maestro del Coro della Rai di Torino e ne­
gli anni 1975 e 1976 ha ricoperto l’incarico di direttore al
Conservatorio di Cagliari. Agli impegni come direttore deli’Accademia Corale “ Stefano Tempia” Peyretti affianca quelli
di animatore e collaboratore di varie società musicali.
Gioacchino Rossini
(1792-1868)
Stabat M ater
per soli, coro
e orchestra
La genesi dello Stabat M ater rossiniano risale a un viaggio in
Spagna com piuto dal M aestro nel 1831. In quell’occasione un
ricco e nobile sacerdote spagnolo, Don Fernandez Varela,
strappò a Rossini la promessa di una composizione sacra: in
cambio offrì, oltre a qualche sostanziosa regalia, la promessa
di non rendere pubblica la composizione. Tornato a Parigi,
Rossini iniziò il lavoro; compose i primi sei numeri dello Sta­
bat poi, stufo, posò la penna: e senza troppi scrupoli pregò
l’amico G iovanni Tadolini di completare l’opera. O ttenuto il
favore, spedì il tutto in Spagna, corredato di rispettosa e buro­
cratica dedica. Don Fernandez Varela m antenne la promessa:
tutto ciò che fece fu di allestire un’esecuzione in forma privata
dello Stabat il venerdì santo del 1833. La faccenda poteva
chiudersi lì: ma il destino, com’era facilmente prevedibile, si
diede da fare per complicare le cose. Don Fernandez Varela
morì nel 1837: lasciò ai poveri tutti i suoi averi, Stabat con preso. Gli esecutori testam entari non esitarono a vendere la
preziosa partitura che, per strade misteriose, finì per arrivare
nelle mani di un editore: si chiamava Antonino Aulagnier ed
era perfettamente in grado di capire che aveva fatto un ottimo
affare. N on aspettò molto prim a di annunciare che presto
avrebbe pubblicato un’opera sconosciuta del grande Maestro
Rossini: una notizia che, in quel momento, non poteva chi
fare scalpore.
Rossini aveva, allora, 48 anni. Viveva a Bologna, assillato
dalle malattie, disgustato dalla vita e accuratamente defilato
dai clamori del mondo musicale. Da undici anni non scriveva
un’Opera, lui che in undici anni, dal 1812 al 1823, di Opere ne
aveva scritte 33. Affogava in un sofferto e misterioso silenzio,
insomma: eppure la sua celebrità rim aneva immensa. “È una
cosa straordinaria - scrisse non senza un certo disappunto
Wagner - finché quest’uomo vivrà sarà sempre di m oda”. È fa­
cile comprendere come in un simile contesto la notizia della
pubblicazione di un lavoro inedito del Maestro rappresentasse
la più clamorosa delle notizie. Tanto clamorosa che lo stesso
Rossini iniziò a preoccuparsi. Non era, la sua, una posizione
particolarm ente felice: tutta l’Europa musicale si apprestava a
inchinarsi davanti a una partitura che lui aveva scritto di ma­
lavoglia e neppure per intero. Imbarazzante. Con fermezza e
insistenza Rossini chiese a Aulagnier di rinunciare alla pubbli­
cazione: con fermezza Aulagnier rispose che non ci pensava
neppure. Alla fine, però, il braccio di ferro lo vinse Rossini:
con una magnifica azione in contropiede. Anticipando la pub­
blicazione di Aulagnier stipulò un contratto con il suo editore
francese, Troupenas, impegnandosi a comporre i quattro nu­
meri a suo tempo scritti da Tadolini e a pubblicare tale ver­
sione autentica: così da rendere inutile l’altra. In questa veste
(che prevedeva anche qualche rimaneggiamento della vecchia
stesura) lo Stabat fu eseguito in prima assoluta a Parigi, nella
Sala Ventadour, il 7 gennaio 1842. Fu, ovviamente, un trionfo.
Fu, ovviamente, un trionfo, perché Rossini era Rossini, e i
miti, col tempo, tendono a ingigantirsi, specie se si ritirano per
anni in un protetto e affascinante silenzio. E tuttavia qualche
voce si levò ad abbozzare riserve e contestazioni. Fondamen­
talmente ciò che si obbiettò allo Stabat (soprattutto da parte
della critica tedesca) fu la sua natura più teatrale che sacra: il
suo colpevole allinearsi agli stilemi dell’Opera più che alla
dotta tradizione della musica sacra. Come si vede, si trattava
non tanto di un giudizio di valore, quanto di una riserva, non
estranea a un certo moralismo, sullo stile scelto da Rossini per
1 composizione. Era un’obiezione fondata o solo un prete­
n s o spunto polemico? In un certo senso era tutte due le
cose.
ome ogni altra composizione rossiniana lo Stabat manca di
una sua com piuta coerenza. È quasi un segno distintivo deiarte rossiniana: mescolare stili, linguaggi, inflessioni diverse,
sesso contradditorie: una spettacolare babele sonora che ha
nella sorpresa il suo vizio e in una certa schizofrenia il suo se­
greto. Nello Stabat è evidente l’intrecciarsi di almeno due tra­
iettorie: una che mim a diligentemente gli stereotipi del teatro
musicali, l’altra che arrischia l’esplorazione di un terreno più
^¡sitam ente “sacro”. I più evidenti scivoloni operistici li si
cova nella prim a parte. L’aria tenorile (n. 2) ricalca lo stile
ielle arie d’entrata degli eroi maschili nelle opere serie rossiiane: stessa vacuità canora, stessa indifferenza per le parole:
cti commenti divertiti di clarinetti e fagotti a parole come
quae morebat et dolebat et trem abat” poteva pensarli (e per­
metterseli) solo Rossini. Non diversamente, l’episodio che se­
me (n. 3) ricicla, con molto mestiere, uno dei cavalli di batta­
la del teatro rossiniano: il duetto di voci femminili; e l’aria
d basso (n. 4) potrebbe tranquillam ente provenire dal Mose o
;>[ Maometto II. L’unica cosa che, in queste pagine, Rossini
'darmia all’ascoltatore è l’abuso delle colorature: quasi che la
cornice sacra funzionasse da elemento censorio per il tratto
Piu scopertamente edonistico della scrittura rossiniana. Ma il
.'dj0 c teatro, puro teatro, e neppure indimenticabile.
q estremo opposto si possono collocare i due episodi (nn. 5 e
j/ c“e Rossini affronta rinunciando all’apporto dell’orchestra:
mura del canto a cappella stabilisce a priori un clima sacro
1 ne la scrittura rossiniana non contraddice ma neppure trasfigPra’ limitandosi a una sorta di esercizio polifonico. Più comP esso è il Quartetto (n. 6) in cui il gioco combinatorio dei timn. d is tic i anima internam ente un piccolo edificio musicale il
1 Profilo sfoggia una sorta di anom ala immobilità liturgica.
Dove Rossini si avvicina con più successo a un clima di rigo­
rosa sacralità è nei due pezzi che aprono e chiudono l’opera:
rigore e spettacolarità, contrappunto e incisività melodica:
tutto lavora al servizio di una solennità che lascia per strada i
tic del melodramma e libera una sincera ispirazione religiosa,
sorprendente in Rossini, eppur convincente. Sarebbero le pa­
gine più belle dello Stabat: se non fosse che una pagina anche
più bella c’è, ed è l ’Inflam m atus (n. 8). Lì riesce a Rossini ciò
che sistematicamente risulta fallito nel resto del lavoro: fon­
dere i due opposti del sound operistico e della musica sacra in
un unico fatto musicale. L’aria per soprano e coro ricorda certi
infuocati rondò che Rossini usava per sigillare le proprie
opere: m a la dram m aticità del canto, le ossessive figurazioni
degli archi, la pronuncia quasi sovrannaturale degli interventi
corali (spesso inchiodati sulla reiterazione di un’unica nota)
trasportano il tutto su un nuovo orizzonte che non è più sem­
plicemente l’abile ruffianeria dell’Opera ma il riverbero di un
mondo squarciato dall’incursione del trascendente.
Alessandro Baricco
leggere di musica
“Le mie biografie sono piene di assurdità e di invenzioni più o
meno nauseanti”, scrisse Rossini nel 1862. E Giuseppe Radiciotti,
tenendogli bordone, subito esordì nella prefazione alla sua opera
(1): “il primo a divulgare sul conto del Rossini assurdità ed inven­
zioni fu un francese di finissimo gusto, psicologo acuto e sugge­
stivo scrittore, ma mistificatore famoso” (sic!); ce l’aveva con Sten­
dhal (2). Tuttavia, per dirla fra noi, con buona pace del Radiciotti,
anche “Le Rossiniane" di Giuseppe Carpani (3) e tanto ciarpame
aneddotico-smanceroso (4) sarebbero degni di questo “j ’accuse".
Forse è meglio voltar pagina e “salire a minor pietà”. Nel 1941 usci
il "Rossini” di Riccardo Bacchetti (5) e Massimo Mila lo definì
“uno dei più belli che la nostra letteratura musicale possa oggi of
frire”. Venne poi il centenario della morte e il grande Pesarese fu
celebrato dalla Olschki (6) con una serie di saggi. Una decina
d ’anni dopo ricomparve Francis Toye (7), per la gioia dei “naif'; e
finalmente nel 7 7 l'Einaudi si impadronì del lavoro di Luigi Ro­
gnoni (8): questo sì che fu un bel colpo! Molto recente e degno di
nota l’impeccabile Richard Osborne (9); leggerino ma ben curato
I’“Invito all’ascolto" del Mioli (10). Ricordando di sfuggita l ’impo tanza delle lettere (11) si può citare in conclusione qualche pubblica­
zione sullo "Stabat Mater" (12-13 -14).
Davide Cantina
(1) G. RADICIOTTI, Gioacchino Rossini. Vita documentata.
Opere ed influenza su l’arte, 3 voli., Arti Grafiche Majella di
Aldo Chicca, Tivoli 1927.
(2) STENDHAL, Vita di Rossini, EDT, Torino 1983.
(3) G. CARPANI, Le Rossiniane ossia Lettere Musico-Teatral,
Tipografia della Minerva, Padova 1824.
(4) G. RADICIOTTI, Aneddoti rossiniani autentici, Formiggini,
Roma 1929.
(5) R. BACCHELLI, Gioacchino Rossini, UTET, Torino 1941.
(6) A. BONACCORSI (a cura di), Gioacchino Rossini, Olschks,
Firenze 1968.
(7) F. TOYE, Rossini, Accademia, Milano 1976.
(8) L. ROGNONI, Gioacchino Rossini, Einaudi, Torino 1977.
(9) R. OSBORNE, Rossini, Dent and Sons, London 1986.
(10) P. MIOLI, Rossini. Invito all’ascolto, Mursia, Milano 1986
(11) G. ROSSINI, Lettere, Passigli, Firenze 1985.
(12) J.L. D’ORTIGUE, Le Stabat de Rossini, Paris 1841.
(13) J.A. DELAIRE, Observations d’un amateur non dilettante au ]
suject du Stabat de M. Rossini, Paris 1842.
(14) Lo Stabat Mater di Rossini giudicato dalla stampa periodica |
francese ed italiana, ossia Raccolta dei migliori articoli pubbli- ì
cati dal giornalismo delle due nazioni sovra tale argomento, ?
Milano 1843.
La maggior parte dei testi indicati può essere consultata presso la Civica Bi­
blioteca Musicale “Andrea Della Corte” - Villa Tesoriera - corso Francia
192.