brossura con alette «Nel dare al comune un senso elevato, al consueto un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, io li rendo romantici». Novalis Il Romanticismo 812966 In copertina: Caspar David Friedrich, Il sognatore, 1835 San Pietroburgo - Museo dell’Ermitage © Photoservice Electa/AKG Images Esasperato dalla noiosa vita di Riga, dalle continue dispute al vetriolo con gli ortodossi e dalle irritanti faide letterarie, nel 1769 il giovane pastore Johann Gottfried Herder decide di tagliare i ponti con tutto e prende il largo alla volta della Francia. Durante quel viaggio, gli vengono idee che non fanno spiccare il volo soltanto a lui, ma mettono le ali a un’intera generazione. Quella leggendaria traversata, infatti, segna l’inizio di un movimento letterario che avrebbe marchiato a fuoco un’epoca e lasciato un’impronta indelebile nella storia della cultura: il Romanticismo. Un periodo memorabile che, com’è ovvio, a un certo punto – con Eichendorff ed E.T.A. Hoffmann – si conclude, ma lo spirito romantico sopravvive. Nato come un’«ossessione tedesca», si diffonde per mezza Europa contaminando la filosofia, la musica, la politica e persino la quotidianità della gente comune. E qui comincia la seconda storia, quella dei romanticismi, dei risvolti politici teorizzati da Heinrich Heine e Karl Marx, di quelli dionisiaci – in Wagner e Nietzsche – e del loro possibile ruolo nella tragedia nazionalsocialista e nel movimento del ’68. Avvincente e affascinante come poche altre, quella dello spirito romantico è una storia che non si è ancora conclusa e che continua a ispirare la vita di ognuno di noi. Rüdiger Safranski Rüdiger Safranski, nato nel 1945 a Rottweil, nel Württemberg, vive a Berlino. Tra le sue opere: Heidegger e il suo tempo (1996), Nietzsche. Biografia di un pensiero (2001), Quanta globalizzazione possiamo sopportare? (2003), Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia (2004) e Il male (2006). Ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il premio Ernst Robert Curtius per la saggistica (1998) e il premio Friedrich Nietzsche del Land Sachsen-Anhalt (2000). Il Romanticismo Rüdiger Safranski CL_Il romanticismo_812966_ES.indd 1 23/09/11 16.28 cl_il romanticismo_812966_Es brossura con alette «Nel dare al comune un senso elevato, al consueto un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, io li rendo romantici». Novalis Il Romanticismo 812966 In copertina: Caspar David Friedrich, Il sognatore, 1835 San Pietroburgo - Museo dell’Ermitage © Photoservice Electa/AKG Images Esasperato dalla noiosa vita di Riga, dalle continue dispute al vetriolo con gli ortodossi e dalle irritanti faide letterarie, nel 1769 il giovane pastore Johann Gottfried Herder decide di tagliare i ponti con tutto e prende il largo alla volta della Francia. Durante quel viaggio, gli vengono idee che non fanno spiccare il volo soltanto a lui, ma mettono le ali a un’intera generazione. Quella leggendaria traversata, infatti, segna l’inizio di un movimento letterario che avrebbe marchiato a fuoco un’epoca e lasciato un’impronta indelebile nella storia della cultura: il Romanticismo. Un periodo memorabile che, com’è ovvio, a un certo punto – con Eichendorff ed E.T.A. Hoffmann – si conclude, ma lo spirito romantico sopravvive. Nato come un’«ossessione tedesca», si diffonde per mezza Europa contaminando la filosofia, la musica, la politica e persino la quotidianità della gente comune. E qui comincia la seconda storia, quella dei romanticismi, dei risvolti politici teorizzati da Heinrich Heine e Karl Marx, di quelli dionisiaci – in Wagner e Nietzsche – e del loro possibile ruolo nella tragedia nazionalsocialista e nel movimento del ’68. Avvincente e affascinante come poche altre, quella dello spirito romantico è una storia che non si è ancora conclusa e che continua a ispirare la vita di ognuno di noi. Rüdiger Safranski Rüdiger Safranski, nato nel 1945 a Rottweil, nel Württemberg, vive a Berlino. Tra le sue opere: Heidegger e il suo tempo (1996), Nietzsche. Biografia di un pensiero (2001), Quanta globalizzazione possiamo sopportare? (2003), Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia (2004) e Il male (2006). Ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il premio Ernst Robert Curtius per la saggistica (1998) e il premio Friedrich Nietzsche del Land Sachsen-Anhalt (2000). Il Romanticismo Rüdiger Safranski CL_Il romanticismo_812966_ES.indd 1 23/09/11 16.28 cl_il romanticismo_812966_Es brossura con alette «Nel dare al comune un senso elevato, al consueto un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, io li rendo romantici». Novalis Il Romanticismo 812966 In copertina: Caspar David Friedrich, Il sognatore, 1835 San Pietroburgo - Museo dell’Ermitage © Photoservice Electa/AKG Images Esasperato dalla noiosa vita di Riga, dalle continue dispute al vetriolo con gli ortodossi e dalle irritanti faide letterarie, nel 1769 il giovane pastore Johann Gottfried Herder decide di tagliare i ponti con tutto e prende il largo alla volta della Francia. Durante quel viaggio, gli vengono idee che non fanno spiccare il volo soltanto a lui, ma mettono le ali a un’intera generazione. Quella leggendaria traversata, infatti, segna l’inizio di un movimento letterario che avrebbe marchiato a fuoco un’epoca e lasciato un’impronta indelebile nella storia della cultura: il Romanticismo. Un periodo memorabile che, com’è ovvio, a un certo punto – con Eichendorff ed E.T.A. Hoffmann – si conclude, ma lo spirito romantico sopravvive. Nato come un’«ossessione tedesca», si diffonde per mezza Europa contaminando la filosofia, la musica, la politica e persino la quotidianità della gente comune. E qui comincia la seconda storia, quella dei romanticismi, dei risvolti politici teorizzati da Heinrich Heine e Karl Marx, di quelli dionisiaci – in Wagner e Nietzsche – e del loro possibile ruolo nella tragedia nazionalsocialista e nel movimento del ’68. Avvincente e affascinante come poche altre, quella dello spirito romantico è una storia che non si è ancora conclusa e che continua a ispirare la vita di ognuno di noi. Rüdiger Safranski Rüdiger Safranski, nato nel 1945 a Rottweil, nel Württemberg, vive a Berlino. Tra le sue opere: Heidegger e il suo tempo (1996), Nietzsche. Biografia di un pensiero (2001), Quanta globalizzazione possiamo sopportare? (2003), Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia (2004) e Il male (2006). Ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il premio Ernst Robert Curtius per la saggistica (1998) e il premio Friedrich Nietzsche del Land Sachsen-Anhalt (2000). Il Romanticismo Rüdiger Safranski CL_Il romanticismo_812966_ES.indd 1 23/09/11 16.28 cl_il romanticismo_812966_Es brossura con alette «Nel dare al comune un senso elevato, al consueto un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, io li rendo romantici». Novalis Il Romanticismo 812966 In copertina: Caspar David Friedrich, Il sognatore, 1835 San Pietroburgo - Museo dell’Ermitage © Photoservice Electa/AKG Images Esasperato dalla noiosa vita di Riga, dalle continue dispute al vetriolo con gli ortodossi e dalle irritanti faide letterarie, nel 1769 il giovane pastore Johann Gottfried Herder decide di tagliare i ponti con tutto e prende il largo alla volta della Francia. Durante quel viaggio, gli vengono idee che non fanno spiccare il volo soltanto a lui, ma mettono le ali a un’intera generazione. Quella leggendaria traversata, infatti, segna l’inizio di un movimento letterario che avrebbe marchiato a fuoco un’epoca e lasciato un’impronta indelebile nella storia della cultura: il Romanticismo. Un periodo memorabile che, com’è ovvio, a un certo punto – con Eichendorff ed E.T.A. Hoffmann – si conclude, ma lo spirito romantico sopravvive. Nato come un’«ossessione tedesca», si diffonde per mezza Europa contaminando la filosofia, la musica, la politica e persino la quotidianità della gente comune. E qui comincia la seconda storia, quella dei romanticismi, dei risvolti politici teorizzati da Heinrich Heine e Karl Marx, di quelli dionisiaci – in Wagner e Nietzsche – e del loro possibile ruolo nella tragedia nazionalsocialista e nel movimento del ’68. Avvincente e affascinante come poche altre, quella dello spirito romantico è una storia che non si è ancora conclusa e che continua a ispirare la vita di ognuno di noi. Rüdiger Safranski Rüdiger Safranski, nato nel 1945 a Rottweil, nel Württemberg, vive a Berlino. Tra le sue opere: Heidegger e il suo tempo (1996), Nietzsche. Biografia di un pensiero (2001), Quanta globalizzazione possiamo sopportare? (2003), Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia (2004) e Il male (2006). Ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il premio Ernst Robert Curtius per la saggistica (1998) e il premio Friedrich Nietzsche del Land Sachsen-Anhalt (2000). Il Romanticismo Rüdiger Safranski CL_Il romanticismo_812966_ES.indd 1 23/09/11 16.28 cl_il romanticismo_812966_Es 1 Il romantico inizio: Herder prende il largo. Reinventare la cultura. Individualismo e le voci dei popoli. Dell’altalena delle cose nel corso del tempo. Due secoli e mezzo dopo Colombo e un secolo prima che Nietzsche lanciasse la parola d’ordine « Via, sulle navi, filosofi! » un avventuroso dello spirito avvertì il bisogno di andar per mare, alla volta del portentoso realmente esistente. Era il 17 maggio 1769 quando Johann Gottfried Herder si congedò dalla sua comunità con queste parole: « La mia unica intenzione è quella di imparare a conoscere il mondo del mio Dio sotto un maggior numero di aspetti ». Herder salì a bordo di una nave che doveva trasportare segala e lino a Nantes. Lui però non aveva ancora deciso quale dovesse essere la meta del suo viaggio: forse, pensava, avrebbe rimesso piede a terra a Copenhagen, forse avrebbe cambiato nave sulla costa francese settentrionale per dirigersi verso lidi più lontani. L’incertezza lo eccitava: « Vado a vedere il mondo, spensierato come gli apostoli e i filosofi ». Prendere il largo significò per Herder cambiare l’elemento in cui viveva, lasciare il solido per il liquido, il certo per l’incerto; significò tentare di acquisire distacco e distanza. C’era, a dargli le ali, anche il pathos d’un nuovo inizio. Andò in cerca di un’esperienza di conversione, di un rivolgimento interiore, proprio della specie provata vent’anni prima da Rousseau sotto un albero lungo la strada per Vincennes: la riscoperta della vera natura sotto la crosta della civilizzazione. Prima ancora di conoscere altra gente, altri paesi e altre usanze, Herder fa dunque nuova conoscenza con se stesso, con il suo Sé creativo. Dondolato dai venti lievi del Baltico, si abbandona alla tempesta dei suoi pensieri: Il Romanticismo 1-400.indd 13 02/03/11 11.26 14 Che vasti spazi apre alla riflessione una nave sospesa fra il cielo e il mare! Qui tutto dà slancio, movimento e vasto orizzonte al pensiero! Lo sbattere delle vele, la nave che oscilla di continuo, il frusciante scorrere dell’onde, la nuvola che vola, l’orizzonte profondo e infinito! Sulla terra si è vincolati a un punto morto, racchiusi nella cerchia ristretta d’una situazione... O animo mio, come ti sentirai quando uscirai da questo mondo? È salito a bordo per « vedere il mondo », scrive Herder, però lì per lì, a parte il mosso deserto dell’acqua e qualche profilo di costa, ne vede poco. In compenso ha tempo e occasione per « distruggere » il suo sapere libresco, per scoprire e per « inventare quel che ho da pensare e credere ». L’incontro con un mondo estraneo diventa un incontro con se stesso. È la caratteristica fondamentale di questo tedesco inizio: con i pochi mezzi di cui dispone a bordo e nella solitudine in alto mare, un predicatore preso dalla nostalgia di paesi lontani si crea un nuovo mondo. Non incontra gli indiani, non devasta gli imperi degli atzechi e degli incas, non si carica di oro e di schiavi, non intraprende una nuova misurazione del mondo. Il suo nuovo mondo è quello che in un batter d’occhio assumerà – ancora una volta – la forma di un libro. L’Herder che aveva voluto lasciarsi alle spalle lo « scaffale pieno di carta e di libri, il cui solo posto è la stanza da studio », è alla fin fine ugualmente e nuovamente raggiunto dal mondo libresco perché, mentre è ancora sulla nave, s’infervora già attorno a progetti letterari. Che opera sulla razza umana! sullo spirito umano! la cultura della terra! di tutti i territori! tempi! popoli! energie! mescolanze! personaggi! La religione asiatica! Dalla cronologia, passando per la polizia, fino alla filosofia... Tutto sulla Grecia! Tutto su Roma! La religione nordica: diritto, usi e costumi, guerra, senso dell’onore! L’epoca dei papi, dei monaci, dell’erudizione!... Politica cinese, giapponese! Scienza naturale d’un nuovo mondo! Consuetudini americane e così via... Una storia universale della formazione del mondo! Il Romanticismo 1-400.indd 14 02/03/11 11.26 15 Herder si nutrì poi per tutta una vita delle idee che gli passarono per la mente durante quel viaggio sul mare mosso. Il diario nel quale le annotò – e che è un importante documento filosofico-letterario della seconda metà del XVIII secolo – fu pubblicato solo postumo, nel 1846, col titolo Giornale di viaggio 1769. Però l’uomo che l’aveva scritto incontrò poco dopo quel viaggio, nel 1771 a Strasburgo, un giovanotto che gli sembrò assai promettente, di nome Johann Wolfgang Goethe, il quale fu fortemente attratto dal suo turbinio d’idee: e che trasmise ad altri e sviluppò per conto suo molto di quel che ebbe modo di sentirgli dire. Nel decimo libro di Poesia e verità, Goethe ricorda il loro casuale primo incontro sulle scale di una locanda di Strasburgo in cui Herder era andato ad alloggiare mentre si sottoponeva a un protratto e doloroso periodo di trattamento per curarsi un’infiammazione delle ghiandole lacrimali. Racconta che Herder gli sembrò proprio un abate con quei capelli incipriati e inanellati, per l’elegante modo di salire le scale, le code del lungo mantello di seta nera infilate con indifferente trascuratezza nelle tasche dei calzoni. Goethe, in quella circostanza, fu soltanto discepolo. Si sentiva quasi in ogni cosa non all’altezza di quell’altro che aveva cinque anni più di lui, e la cui frequentazione era tutt’altro che facile. Apprezzò, sì, le « vaste conoscenze » e la « profondità dei giudizi » di Herder, ma dovette sopportarne anche le « sgridate e i rimbrotti », un qualcosa a cui non era abituato perché fino ad allora, scrive Goethe, le persone più anziane e più preparate avevano « cercato di istruirlo con riguardo », a volte persino « perdonando con indulgenza ». Da Herder invece, che con le sue idee gli scombussolò la mente, « non ci si poteva aspettare mai un’approvazione, per quanto si facesse ». Goethe dovette quindi far forza su se stesso, soffocare certe reazioni suggeritegli dall’orgoglio, per riuscire a farsi « sospingere ogni giorno, quasi ogni ora anzi, verso nuovi modi di cogliere le cose ». Vide in Herder l’avventuriero dello spirito che, reduce dal viaggio in alto mare, portava con sé una brezza fresca, di quelle che stimolano la fantasia. È questo che pensa di lui quando gli scrive, il 10 luglio 1772: Sono sempre ancora sull’onde con la mia piccola barchetta, e quando le stelle si nascondono, libro sospeso nelle mani del desti- Il Romanticismo 1-400.indd 15 02/03/11 11.26 16 no, con il coraggio, la speranza, la paura e la quiete che mi si alternano in petto. È verosimile che la storia della partenza, ovvero della quasi-fuga di Herder da Riga abbia suggerito al giovane Goethe l’idea della scena nello studio dell’Urfaust, scritta ancora sotto l’impressione del loro primo incontro. « Ohimè! sono ancora in carcere? [...] Assediato da questo mucchio di libri, [...] Fuggi! Esci nel vasto mondo... » Herder era fuggito dal duomo di Riga proprio come Faust fugge ora dalle cupe mura del suo studio. Durante quel viaggio a Herder erano venute in mente tantissime idee. Sono tuttavia ancora, sia pur bellamente, confuse e non selezionate. È tuttora alla ricerca del linguaggio con cui esprimere il tumulto interiore. La ragione, scrive, è sempre una « ragione del poi ». Essa lavora con i concetti della causalità e non è quindi in grado di cogliere bene l’insieme creativo. Perché? Ma perché i processi causali sono prevedibili, quelli creativi no. Per questo Herder è in cerca di una lingua che si adatti alla misteriosa eccitazione di certi momenti della vita, fatta più di metafore che di concetti. Molte cose rimangono vaghe, accennate, intuite. In non pochi contemporanei proprio a causa di quanto vi è di sospeso e di erratico nel suo dire Herder susciterà irritazione. Kant per esempio si rivolse con ironica modestia a Hamann affinché gli spiegasse il pensiero del suo amico Herder: Ma possibilmente nel linguaggio degli uomini [...] perché io povero figlio della terra non sono affatto organizzato per il divino linguaggio della ragione contemplativa. A quel che mi si può compitare in comuni concetti secondo regole logiche, beh, fin lì ci arrivo ancora... Herder fu abbastanza immodesto da voler rinnovare il concetto di ragione: anche contro Kant, presso il quale aveva inizialmente studiato e al quale era legato da amicizia. Quando Kant, nella sua fase precritica, si era dedicato a speculazioni cosmologiche sulla nascita dell’universo, dei sistemi solari e della Terra, e aveva portato avanti ricerche antropologiche, etnografiche e geografiche, Herder gli si era sentito spiritualmente vicino. Quel soffermarsi con stupore davanti Il Romanticismo 1-400.indd 16 02/03/11 11.26 17 alla varietà del mondo apparente era un qualcosa di suo gusto. Però quando il filosofo di Königsberg aveva cominciato a indicare alla ragione i suoi limiti e a sminuire l’importanza dell’intuizione e della visione, le loro strade si erano separate. La Critica della ragion pura era fatta, secondo Herder, di « vuoto vaniloquio », ed era espressione di dubbi infruttuosi. Come Hegel una generazione dopo, Herder contestava a Kant che anche il timore di sbagliare poteva essere uno sbaglio. Lui in ogni caso non aveva nessuna intenzione di farsi ostacolare e frenare dai critici preliminari del processo della conoscenza, e voleva invece attingere alla vita a piene mani. Herder parla di una ragione « viva », contrapponendola a quella astratta. La ragione viva è concreta, si tuffa nell’elemento dell’esistenza, dell’inconscio, dell’irrazionale, dello spontaneo, dunque nella vita oscura, creativa, stimolante oltre che essa stessa stimolata dalle circostanze. La « vita » è un qualcosa che assume in Herder un suono nuovo, entusiasta. Ed è un’eco che si diffonde lontano. Poco dopo l’incontro con Herder, Goethe farà dire al suo Werther: « Trovo vita ovunque, nient’altro che vita... ». L’enfatica filosofia della vita di Herder stimolò, fra l’altro, quella venerazione del genio che fu tipica dello Sturm und Drang (e più tardi del Romanticismo). Era considerato genio colui nel quale la vita poteva fluire liberamente e dispiegare la sua energia creatrice. Cominciò proprio allora il culto chiassoso attorno ai cosiddetti « geni vigorosi »: in esso c’era molta scena e presunzione, però anche slancio sincero e sicurezza di sé. Lo spirito dello Sturm und Drang volle essere levatore della genialità che sonnecchierebbe come miglior disposizione in chiunque e non aspetterebbe altro che di venire finalmente al mondo. Riconsiderando in seguito il tumulto di quegli anni, Goethe, nel dodicesimo libro di Poesia e verità, definì abbastanza impietosamente il « genio » come un’espressione molto generica di « quella celebre, famosa e famigerata epoca letteraria in cui una massa di giovanotti geniali » si era gettata a capofitto, « piena di coraggio e di arroganza », per smarrirsi poi nell’incapacità di darsi dei limiti. E di fatti Goethe e i suoi amici ne avevano combinate davvero di cotte e di crude in quel periodo geniale. Dopo l’incontro con Herder, Goethe si trasferì nel 1776 a Weimar e fece di questo placido Il Romanticismo 1-400.indd 17 02/03/11 11.26 18 Parnaso il nuovo, temporaneo quartier generale della genialità. Si tirò dietro, come la coda d’una cometa, giovani scrittori e ambigui personaggi come Lenz, Klinger, Kaufmann e quei fratelli Stolberg che, allora, non erano ancora i devoti baciapile che divennero in seguito. Tutti insieme organizzarono feste su cui i filistei di Weimar continuarono a spettegolare per decenni. « Fra l’altro », riferisce un testimone dell’epoca, Carl August Böttiger, una di quelle geniali bevute cominciò con lo scaraventare subito tutti i bicchieri fuori dalla finestra, e con l’usare a mo’ di boccali un paio di sporche urne cinerarie che erano state prelevate da un vecchio cimitero dei dintorni. Si faceva a gara in gesti ed esibizioni che volevano essere sconvenienti: Jakob Michael Reinold Lenz – autore di drammi come Il precettore e I dosati, e che divenne poi il protagonista dell’omonima novella di Georg Büchner – s’atteggiava a matto; Ferdinand Klinger, che col suo dramma Sturm und Drang diede il nome a un’intera epoca letteraria, si faceva notare mangiando con le mani pezzi di carne cruda di cavallo; Kaufmann si presentava alla tavola del duca di Weimar col petto nudo fino all’ombelico, i capelli sciolti e svolazzanti e un grosso e nodoso bastone in mano. Fra gli « scherzi geniali » di Goethe vi fu un viaggio a cavallo in compagnia dell’amico duca nel corso del quale i due si scambiarono gli abiti per andare poi in cerca di erotiche avventure. « A Stoccarda », riferisce Böttiger, « venne loro il ghiribizzo di andare a corte. E così, di punto in bianco, si dovettero convocare i sarti, e farli lavorare notte e giorno sugli abiti di gala. » Elegantemente agghindati, i due ammirati geni in transito – vale a dire il duca di Weimar e l’amico Goethe – si presentarono anche alla festa di fine d’anno scolastico presso l’accademia militare di Stoccarda, dove furono ospiti d’onore, in galleria, del duca Carlo Eugenio, per assistere con benevola condiscendenza a una distribuzione di premi nel corso della quale ebbe un riconoscimento anche un allievo che la carriera del genio l’aveva ancora tutta davanti: Friedrich Schiller. Anche lui, nella sua fase di Sturm und Drang, celebrerà ed esalterà la « vita vigorosa ». La quale vita, nella sua bollente e germinante irrequietudine, ha Il Romanticismo 1-400.indd 18 02/03/11 11.26 19 però anche un che di portentoso di fronte al quale la coscienza arretra a volte con spavento. È ancora Herder ad accennare, come più tardi farà pure Nietzsche, all’« abisso » anche pauroso che la vita può rappresentare. E meno male che [...] le più profonde profondità dell’animo nostro sono avvolte dalla notte! La nostra povera mente non sarebbe stata certamente in grado di cogliere ogni stimolo, il seme d’ogni sensazione alle sue prime avvisaglie; non sarebbe stata in grado di ascoltare un oceano mugghiante di cotante onde scure senza essere avvolta d’orrore e di paura, e colta da quella premonizione d’ogni angoscia e pusillanimità che fa sfuggire di mano il timone. La natura materna allontanò insomma da lei ciò che non poteva essere assoggettato alla lucida coscienza. [...][La mente] è sull’orlo di un abisso d’infinità ma non sa di esserci; ed è solo grazie a quest’ignoranza che sta salda e sicura. Il concetto che Herder ha della natura viva comprende l’aspetto creativo, al quale ci si abbandona euforicamente, ma anche quello inquietante, dal quale ci si sente minacciati. E sono appunto queste sensazioni miste e contrastanti a colpirlo mentre viaggia sulla nave. Le idee più importanti, quelle che in seguito emergeranno delineandosi più chiaramente dal tumulto di pensieri sorti in alto mare e faranno colpo anche sui romantici, si possono riassumere come segue. Tutto è storia. E questo vale non solo per l’uomo e la sua cultura, ma anche per la natura. È una concezione nuova, quella d’intendere la storia della natura come storia di un’evoluzione che fa emergere la molteplicità delle forme naturali, perché in questo modo la divina creazione del mondo è accolta nel processo naturale. È la natura stessa la potenza creatrice che era stata in precedenza collocata in un ambito esterno al mondo. L’evoluzione percorre diversi stadi, quello minerale, quello vegetale e quello animale. Ogni stadio ha una sua ragion d’essere in sé, ma contiene anche e contemporaneamente il germe d’un qualcosa di superiore. Tutti questi stadi sono fasi preparatorie dell’uomo. La cui caratteristica sta nel fatto di poter e dover assumere egli stesso la responsabilità della potenza creatrice che opera nella natura. Può farlo grazie all’intelligenza e al linguaggio di cui Il Romanticismo 1-400.indd 19 02/03/11 11.26 20 dispone, e deve farlo perché è povero d’istinti e quindi indifeso. La potenza creatrice di cultura è dunque espressione sia d’una forza sia d’una debolezza. Con quest’idea, dell’uomo che proprio in quanto essere difettoso è produttore di cultura, Herder appare un antesignano della moderna antropologia. Secondo Herder, la storia della cultura dell’umanità fa parte della storia della natura, ma d’una storia della natura in cui la forza di quest’ultima, fino ad allora operante senza consapevolezza, perviene nel pensiero umano e nella sua deliberata opera creatrice alla coscienza di sé. Herder chiama « promozione dell’umanità » la trasformazione dell’uomo per sua stessa opera e la produzione della cultura come un contesto in cui vivere. L’umanità non è contrapposta alla natura, ma è vista come l’autentica realizzazione della natura umana. Herder offrì al XIX secolo il concetto d’una storia dinamica, aperta. Non contempla alcun sogno d’una paradisiaca preistoria alla quale si vorrebbe tornare. Ogni attimo, ogni epoca contiene una sua propria sfida e una verità che si tratta di cogliere e di trasformare. Con questa concezione Herder si contrappone nettamente a Rousseau, secondo il quale l’attuale civiltà è invece una forma di decadenza e di alienazione della vita umana: Il genere umano ha in tutte le sue epoche, ma in ognuna in altro modo, la felicità come somma; noi, nella nostra, sbagliamo se, come Rousseau, esaltiamo tempi che più non sono e mai sono stati scrive Herder nel Giornale. La storia inoltre non è un processo di « cieca accidentalità », come la considerano invece i materialisti francesi, abbandonata ai capricci del caso e a un disanimato meccanismo. È sensata anche se non orientata verso un obiettivo che si possa intellettualmente cogliere in anticipo. La realizzazione dell’umanità è una specie di experimentum mundi, un processo aperto il cui svolgimento dipende dall’uomo sebbene sullo sfondo operi un’intenzione della natura. Poiché questa non è tuttavia esplicitamente afferrabile, non resta altro che compiere l’opera dell’autoformazione secondo criteri che l’uomo stesso si pone. Sono criteri che operano come una bussola interiore la quale indica via via la direzione in cui si può trovare la Il Romanticismo 1-400.indd 20 02/03/11 11.26 21 maggior misura di autodispiegamento individuale e collettivo. Il processo della storia non scorre linearmente, ma si compie fra interruzioni e rivolgimenti. Occorre tener conto di « spinte e rivoluzioni [...], di sensazioni che a volte diventano esaltate, violente, addirittura ripugnanti », scrive Herder. Ma non bisogna lasciarsi spaventare, perché sono parti delle forme vulcaniche da cui erompe il nuovo. Fino a quel momento la storia non era stata mai intesa in termini così dinamici ed enfatici, ed è stupefacente che ciò sia accaduto proprio nella Germania frantumata in tanti piccoli Stati e socialmente arretrata, in cui la storia reale era per così dire raggelata. Fu come un raccordarsi in anticipo con il grande evento costituito dalla Rivoluzione francese, perché solo allora giunse il momento in cui la storia sembrò mantenere ciò che Herder s’era atteso da lei due decenni prima. Si era sempre parlato « dell’essere umano » come d’un singolare collettivo. Herder invece – e questa è, dopo la concezione della dinamicità della storia, la sua seconda, fecondissima idea – scoprì l’individualismo o personalismo e, di conseguenza, la pluralità. « L’essere umano » è un’astrazione, perché esistono solo « gli » esseri umani. Come la vita nel suo complesso dispone in ogni grado del suo sviluppo di una propria ragion d’essere e di un proprio significato, così avviene anche al genere umano. Ogni individuo esprime alla sua particolare maniera ciò che l’essere umano è e può essere. Herder sostiene un personalismo radicale. Esiste l’umanità in quanto grandezza astratta, ed esiste l’umanità che ciascuno può dentro di sé rispettare e alla quale ognuno può conferire una forma individuale. Che è poi quella che conta. Da questo punto di vista, dunque, la storia non è più solo il grande panorama davanti al quale il singolo risalta. Le forze che muovono la storia e che si scoprono fuori di sé, possono e debbono essere esperite dal singolo come vitalità creativa interiore: una correlazione che Herder colse durante il suo viaggio per mare in termini addirittura estatici. Solo chi esperisce il principio creativo sul proprio corpo, lo scoprirà anche fuori, nel corso del mondo e nella natura. È un’idea che Goethe riassumerà in seguito, nelle sue Massime, in questa frase: « Della storia non può giudicare se non chi l’abbia esperita in sé ». Il singolo che si costituisce in individuo è e rimane il centro di riferimento dei sensi e dei significati anche se, come non si può negare, Il Romanticismo 1-400.indd 21 02/03/11 11.26