1 N. Bobbio Il pensiero politico di Hobbes.1 1. Hobbes un classico

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N. Bobbio
Il pensiero politico di Hobbes.1
1. Hobbes un classico del pensiero politico
2. La sovranità nello stato moderno
3. Lo stato di natura
4. La guerra di tutti contro tutti
5. Il contratto sociale
6. Lo stato
1. ________________________________________________
Filosofia politica di Hobbes: io ho scritto alcuni saggi su Hobbes molti anni fa,
perché ho considerato Hobbes un classico della filosofia politica.
Che cosa s'intende per classico? Perché noi consideriamo alcuni autori come
classici? Io direi brevemente che classico è quell'autore che è sempre attuale, vale a
dire che ogni tempo riprende in considerazione, discute ed interpreta, anche se le
interpretazioni possono variare di tempo in tempo. Se voi mi chiedete quanti per
me sono i classici della filosofia politica, direi che non sono moltissimi; non dico
che li tengo tutti nelle dita delle mani, ne aggiungerei tutt'al più una terza. Quindi,
se io considero Hobbes come un classico, è perché lo considero uno dei pochi
filosofi politici che ha sempre qualche cosa da insegnarci. Il classico è colui che
rispecchia in modo esemplare, paradigmatico, il proprio tempo: Aristotele, la polis
greca; Marsilio da Padova rappresenta il grande conflitto tra Stato e Chiesa;
Machiavelli, la distinzione tra politica e morale, l'autonomia della politica rispetto
alla morale; Montesquieu, la crisi dell'antico regime e la nascita degli Stati
costituzionali; Kant, lo stato di diritto; Marx, il rapporto tra economia e politica, tra
struttura e sovrastruttura; e Max Weber, che io considero l'unico grande
classico del Novecento, rispecchia il grande tema della burocratizzazione
pubblica, cui egli vedeva destinata la società contemporanea sia degli stati
democratici sia di quelli collettivisti che nascevano all'epoca, quello che lui
chiamava la "gabbia d'acciaio".
Hobbes che cosa rappresenta? Hobbes rappresenta la prima grande teoria dello
Stato moderno, dello Stato moderno territoriale che nasce dalla crisi della società
medievale, condotta con un metodo razionale. La teoria di Hobbes è una teoria
razionale della politica, in cui il problema politico è visto come un problema che
dev'essere risolto attraverso la ragione, senza fare appello a autorità trascendenti,
perché lo Stato secondo Hobbes, il potere secondo Hobbes, è un potere umano e
creato dall'uomo. Lo Stato è per Hobbes un uomo artificiale, è un uomo fatto dagli
uomini, è un uomo in grande, tant'è vero che la copertina del Leviatano riproduce il
Sovrano che è un corpo con la corona, costituito da tanti piccoli uomini, lo Stato, in
quanto uomo artificiale, è una macchina, e le macchine sono create dagli uomini; è
una macchina che gli uomini hanno creato per poter convivere pacificamente;
Hobbes dice: "E' la macchina delle macchine, machina machinarum".
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Il testo è la trascrizione di una conferenza tenuta da Norberto Bobbio a Brescia per un pubblico di
studenti di scuola superiore il 20 marzo 1987. Il testo, che non è stato rivisto dall'autore, conserva i
caratteri della conversazione. Bobbio (Torino 1909 - ivi 2004), è stato il maggio filosofo del diritto e della
politica della cultura italiana del Novecento. La sua riflessione è ispirata all'esigenza di coniugare le
istanze della libertà individuale con quelle dell'eguaglianza sociale (liberal-socialismo).
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2. _______________________________________________
Come ho detto, lo Stato moderno nasce nell'epoca di Hobbes e nasce dalla
dissoluzione della società medievale. La società medievale era una società insieme
universalistica verso l'alto e particolaristica verso il basso. Lo Stato territoriale
moderno nasce dalla unificazione verso il basso di questa società
particolaristica, e dall'emancipazione verso l'alto, verso la società universalistica.
Vale a dire: la società medievale passava dall'universalità di un impero alla
frammentazione dei feudi, dei comuni, di popolazioni; l'età moderna é qualche cosa
che si ferma a mezza strada, è un'unificazione rispetto al basso, ma è nello stesso
tempo una emancipazione o liberazione verso l'alto. Il concetto fondamentale di
questo Stato, di questa nuova formazione politica è la sovranità: sovranità significa
sommo potere, summa potestas, vale a dire un potere al di sopra del quale non c'è
nessun altro potere. Nella tradizione medievale questo potere è quello di Dio, ma in
una concezione secolarizzata, laica della società, questo potere al di sopra del quale
non c'è nessun altro potere è quello dello Stato; siccome i poteri sono gerarchizzati,
vale a dire che da un potere inferiore si passa ad un potere superiore, è chiaro che a
un certo punto si arriverà ad un potere tanto alto al di sopra del quale non c'è
nessun altro potere. Più o meno è lo stesso concetto della causa, del rapporto tra
causa ed effetto, che conduce secondo Aristotele alla causa prima; è lo stesso
meccanismo logico: la causa prima di tutte le cause è il motore immobile, e il
sovrano è rispetto a tutti i poteri inferiori appunto il motore immobile, cioè quello
che muove tutto ma non è mosso, comanda tutti ma non è comandato da nessuno.
E' un processo logico che potete immaginare, perché, se c'è un potere, a un certo
punto ci dev’essere un potere al di sopra del quale non ce n'è nessun altro: questo è
il sovrano.
Attualmente la sovranità ha due aspetti: uno verso l'interno e uno verso l'esterno.
Rispetto all'interno, vale a dire rispetto ai sudditi, agli individui, ai cittadini, che
compongono il corpo dello Stato, sovranità significa monopolio della forza
legittima, vale a dire che solo lo Stato è detentore legittimato dell'uso della forza;
nessun altro all'interno dello Stato può usare la forza, e, se usa la forza, quest'uso
della forza è considerato illegittimo dallo Stato. E il contrappeso di questo
monopolio della forza legittima, del potere legittimo, è il dovere di ubbidienza dei
cittadini al principe. Questo è il problema, il punto fondamentale: lo Stato è un ente
costruito con un potere tale, che coloro che vi partecipano hanno l'obbligo di
ubbidirgli. Può sembrare una vecchia storia, ma è una storia sempre attuale. Sapete
che c'è un articolo della nostra Costituzione, che viene ricordato, che è l'articolo 54,
che dice che tutti i cittadini hanno il dovere - hanno il dovere! - di essere fedeli alla
Repubblica, e di osservarne la Costituzione e le leggi. Esiste uno Stato, quando
esiste un potere al di sopra di tutti gli altri, a cui tutti coloro che partecipano di esso
debbono ubbidire. L'obbligo è quello che nella teoria politica si chiama obbligo
politico o obbligazione politica. L'obbligo politico esiste. Oltre a tanti obblighi
giuridici, che sono quelli che derivano dalle leggi particolari, esiste questo obbligo
degli obblighi, che è l'obbligo politico, che appunto deriva dal fatto che lo Stato
esiste, ed esso esiste soltanto quando esiste questo obbligo che in qualche modo
funziona.
Ma un potere, una sovranità, non è soltanto verso l'interno, ma anche verso
l'esterno; cosa significa? Significa che, rispetto agli altri Stati, ogni Stato è
indipendente e quindi in ultima istanza ha il diritto di difendersi dall'aggressione,
quello che gli studiosi chiamano il principio di autotutela. Mentre il principio
dell'autotutela nell'interno degli stati non esiste se non nei casi eccezionali, come ad
esempio la difesa legale, ma con molti limiti, nel rapporto tra gli Stati il principio
fondamentale è l'autotutela, proprio perché, mentre esiste questo potere superiore
all'interno, questo potere non esiste nei confronti degli altri stati. Quindi la
sovranità nel rapporto esterno non significa superiorità, secondo l'etimologia della
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parola sovrano, ma non significa inferiorità, perché, se vi fosse inferiorità, vi
sarebbe qualcuno superiore anche allo Stato; nella società internazionale significa
uguaglianza e parità. Uno dei principi fondamentali nel diritto internazionale è che
tutti gli Stati sono uguali formalmente, giuridicamente, anche se è chiaro che non
sono uguali sostanzialmente; e del resto anche i sudditi sono uguali formalmente di
fronte alla legge, ma non sono uguali rispetto alla sostanza, ai patrimoni, alle
ricchezze, ecc. ecc.
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Quindi rispetto alla società medievale, che è universalistica e particolaristica, lo
Stato territoriale moderno diventa sovrano in tutto il suo senso, sia acquistando
indipendenza verso lo Stato universale, sia ottenendo dipendenza da parte degli enti
minori, appunto i comuni, le corporazioni, i feudi, ecc. Lo Stato di Hobbes è lo
Stato che è sovrano in questo senso. Quindi, riprendendo quel che ho già detto,
sull'autore classico che rappresenta il proprio tempo, Hobbes rappresenta la nascita
di questo Stato sovrano.
Ma il tema fondamentale di Hobbes è la giustificazione o, se volete, la fondazione
di questo Stato. La domanda fondamentale cui Hobbes risponde è in fondo questa:
perché lo Stato? Donde deriva l'obbligo di ubbidire del cittadino nei confronti dello
Stato - questa, avete visto, è una costante ormai di tutti gli Stati - e, nello stesso
tempo, il diritto da parte di questo Stato di non ubbidire agli altri Stati? Questo è il
duplice aspetto, la duplice dimensione della sovranità: il dovere dei cittadini di
fronte allo Stato e il diritto - che è il contrario del dovere, lo sapete - dello Stato di
non ubbidire agli altri Stati. Hobbes parte, come è noto, da un'ipotesi, che è quella
che conoscete tutti, che si legge su tutti i libri, anche sui manuali di storia della
filosofia, dello stato di natura, dello stato in cui gli uomini vivono senza leggi,
oppure, diremo, senza istituzioni. Avremmo dovuto specificare che leggi ci sono,
ma in realtà nello stato di natura quelle leggi non vengono rispettate; non vengono
rispettate, perché nessuno rispetta una legge se non è sicuro che la rispetta anche
l'altro. Ecco quindi che le leggi di natura ci sono, ma queste leggi, direbbe un
giurista, sono valide, ma non sono efficaci; valide nel senso che esistono, ma non
efficaci, nel senso che nessuno le rispetta. Perché si possano rispettare queste leggi,
occorre che ci sia una fiducia reciproca, vale a dire che ci sia la fiducia da parte di
ciascuno che le rispetti anche l'altro; se no colui che rispetta la legge, se l'altro non
la rispetta, si trova in una situazione di inferiorità. Esiste come legge naturale,
come legge morale fondamentale - anzi è una delle leggi più eminenti che vengono
ricavate da Hobbes - che pacta sunt servanda, cioè che i patti devono essere
osservati, devono essere mantenuti; ma è chiaro che io mi considero obbligato
effettivamente, e non soltanto in coscienza, ad ubbidire ad un patto, ad osservare un
patto, se sono sicuro che lo fa anche l'altro, se no io mi ritrovo in una condizione di
inferiorità. C'è uno studioso di Hobbes che ha illustrato questo esempio con un
gioco, che si chiama il gioco dello stato di natura, per far capire qual è la situazione
nello stato di natura: due cacciatori armati si trovano in una landa deserta, si
incontrano e sanno che, se devono dividersi la preda o il territorio, inevitabilmente
si scontreranno ed essendo armati si ammazzeranno, ovvero uno ammazzerà
l'altro, ma non si sa bene quale; ed ecco che allora dicono: “Dobbiamo
buttare le armi”. (Guardate che questo gioco rispecchia in modo straordinariamente
esatto quello che avviene nel rapporto tra le due grandi potenze, per quel che
riguarda il disarmo). Dicono: “Dobbiamo metterci d'accordo di disarmarci, ma
come? Chi è che butta le armi per primo?”. E' quello che accade nei rapporti
internazionali: siccome nessuno mai le butta per primo, aumentano continuamente
e rispettivamente la quantità delle armi, tra l'altro sempre più micidiali. Allora
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dicono: “Continuiamo fino a quando avremo contato fino a dieci, allora butteremo
le armi”. Ma nel momento in cui contano 1, 2, 3 ... ciascuno dei due pensa: “Ma se
io, arrivato al numero dieci, butto la mia arma e l'altro dopo?” Ecco che allora
probabilmente avviene che, quando si arriva al numero dieci, tutti e due continuano
a tenere le armi; questo è ciò che avviene in campo internazionale. Quindi ecco che
voi capite che sono quattro le ipotesi: che le buttino via tutti e due; che le butti il
primo e non il secondo; che le butti il secondo e non il primo; oppure che non le
butti nessuno. Di queste ipotesi la più probabile è la quarta: la quarta è quella che
Hobbes chiama stato di natura. Questo rappresenta mi pare in modo
straordinariamente evidente ciò che Hobbes vuol dire quando spiega che nello stato
di natura ci sono le leggi naturali, ma non vengono rispettate. Dunque, non
essendoci regole nello stato di natura, vuol dire che nello stato di natura esiste una
sola legge effettiva, la legge che dice tutto è permesso, tutto è permesso nei limiti
della propria forza. Ma ne risulta chiaro che uno ha tanto più potere quanto più ha
forza; in ultima istanza nello stato di natura il diritto che vige è il diritto del più
forte, quello che dirà poi Hobbes molto bene, quando scrive appunto che uno ha
tanto più diritto quanto ha più di potere; per cui, paradossalmente, il pesce grosso
ha diritto di mangiare il pesce piccolo perché è più grosso e perché il pesce piccolo
non è in grado di resistere. Questa è l'identificazione del diritto con la forza, ma è
l'identificazione del diritto con la forza che è propria di questo stato in cui non vi
sono regole al di sopra oppure, se queste regole vi sono, non vengono rispettate.
Naturalmente, non essendoci regole, non c'è la proprietà, non c'è la divisione tra il
mio e il tuo - perché la divisione tra il mio e il tuo presuppone a sua volta delle
regole che vengano rispettate -, quindi c'è quello che Hobbes chiama lo ius in
omnia, vale a dire il diritto su tutte le cose: ognuno ha diritto su tutto proprio
perché non c'è nessuna regola che stabilisca qual è la differenza tra il mio e il tuo.
4. _____________________________________________________
Noi ricordiamo che Rousseau2 nel famoso discorso Sull'origine della
diseguaglianza tra gli uomini dice - seppure lui lo dica in termini negativi, critici che la società è nata quando qualcuno ha cominciato a mettere un paletto su un
certo terreno e a dire “questo è mio”; da questo momento sono nati i confini per gli
uomini. Ora, nello stato di natura non c'è nessuno che possa dire “questo è mio”,
appunto perché tutti hanno diritto su tutto; se uno può dire “questo è mio”, lo può
dire perché lo ha occupato con la forza e cerca di mantenerlo con la forza. Voi
sapete che, laddove non vi è la differenza tra il mio e il tuo, le cose sono o di tutti o
di nessuno, per cui ci si domanda sempre, come si domandavano a quel tempo, “il
mare è di tutti, è degli stati costieri, è di nessuno?” Poniamo, per esempio, il
problema della luna; la luna di chi è? Dobbiamo considerare la luna un bene
comune, nel senso che ci illumina, nel senso che godiamo della sua luce, e
facciamo anche delle poesie bellissime sopra la luna, sopra la luna che vaga tra le
stelle del cielo? Oppure non è di nessuno? Il passaggio dalla cosa comune alla cosa
propria, i confini tra il mio e il tuo, nascono attraverso due processi: o con la
conquista (pensate alla luna: uno conquista la luna e impedisce agli altri di
occuparla, e la luna allora diventa il “mio” di quel potente che la occupa distinta
dal “mio” degli altri) oppure si può giungere alla conquista con un accordo: ci si
mette d'accordo di distinguere i propri beni dal bene altrui. Si capisce però che
2
Rousseau (1712-78), è con Hobbes (1588-1661) stesso e Locke (1632-1704) tra i maggiori protagonisti
del dibattito politico che ha caratterizzato la filosofia moderna. Alla sua posizione sono collegate le
moderne teorie democratiche, a Locke quelle liberali e a Hobbes quelle dei difensori dello stato assoluto
(vedi più avanti).
4
prima della conquista, o prima dell'accordo, lo ius in omnia che vige nello stato di
natura, crea quelle conseguenze che tutti sanno: che vi sia lotta con l'altro, perché
ciascuno crede di avere diritto su tutto e quindi, qualsiasi cosa venga occupata
dall'altro, quell'altro occupa una cosa sua; e allora nasce quella che Hobbes chiama
la guerra di tutti contro tutti, bellum omnium contra omnes. Questo è il punto di
partenza, del resto ben noto. Questa dello stato di natura per altro non era un'ipotesi
nuova. Tutto nasce dagli antichi, non c'è nulla che gli antichi non abbiano detto che
noi non riprendiamo. C'è nel Libro quinto del De rerum natura di Lucrezio, questa
famosa descrizione della società primitiva in cui gli uomini sono raffigurati come
viventi al modo delle fiere, more ferarum, questa è l'espressione che corrisponde
esattamente all'espressione che usa Hobbes quando dice che nello stato di natura
l'uomo è lupo ad un altro uomo, homo homini lupus. Quest’idea dello stato
primitivo, in cui, dice Lucrezio, gli uomini vivono come fiere e in cui non ci sono
leggi né statuti, sarà ripresa nei secoli successivi, come sapete, da Vico, il quale
parte da quello che lui chiama lo stato ferino (in cui ferino è la traduzione esatta del
more ferarum di Lucrezio). Anche se la descrizione di Hobbes non è una
descrizione storica, e Hobbes non la considera come una fase storica, riproduce
questo tema ricorrente di una società, la quale non aveva ancora lo Stato.
Ma occorre aggiungere che questo stato di natura, non è soltanto un'ipotesi
razionale. Lo stato di natura come bellum omnium contra omnes esiste in
determinate situazioni, e quindi è uno stato reale. Hobbes ne indica almeno tre, e
queste tre vanno prese in considerazione seriamente.
La prima è la società primitiva, e chiaramente questo è un errore, perché oggi noi
sappiamo benissimo ( ma l'antropologia e l’etnologia hanno fatto molti progressi)
che le società primitive non sono società naturali; ma sapete che per tre secoli sono
state chiamate società naturali, cioè popoli naturali; oggi sappiamo che non lo sono.
L'antropologia contemporanea sostiene che queste società sono semmai società
senza Stato: non c'è lo Stato nel senso attuale della parola ma non sono lo stato di
natura: sono senza Stato, ma probabilmente senza Stato, nel senso moderno della
parola, era anche la polis greca. Non è detto che la polis greca possa essere
paragonata allo Stato contemporaneo, anche se noi chiamiamo, da polis, politica
l'azione rivolta allo Stato. Ora Hobbes, per far l'esempio dello stato di natura reale,
dice “gli americani” e con americani egli intendeva naturalmente le tribù degli
indiani. Ma consideriamo che questo non sia un errore d'interpretazione; rimane il
fatto che Hobbes riteneva che ci fosse effettivamente uno stato che poteva essere
considerato uno stato di natura prestatale, ed era quello delle società primitive.
Un altro esempio di stato di natura non prestatale, ma si potrebbe dire antistatale,
avviene quando lo Stato si disgrega, cioè al momento delle guerra civile. Questo è
l'esempio che Hobbes aveva in mente quando parlava dello Stato di natura reale.
Quando uno Stato si disgrega e si formano i vari partiti in lotta uno contro l'altro,
Hobbes dice che si ritorna allo stato di natura. Allo stato di natura, nel senso che
non esiste più un potere comune, ciascuno difende i propri interessi contro l'altro e
si ha uno stato paragonabile a quello della guerra di tutti contro tutti, seppur non
universale, ma in territorio limitato. Hobbes ha scritto i suoi tre libri politici 3
proprio durante la crisi della monarchia inglese, durante il periodo cosiddetto della
Rivoluzione inglese che dura più o meno un decennio, dal 1640 al 1650. Se noi
pensiamo a quello che avviene attualmente nel Libano4, possiamo considerare una
rappresentazione particolarmente felice quella che Hobbes dà dello stato di natura
come stato di guerra di tutti contro tutti; voglio dire che questo stato è
caratterizzato dall'uso della forza reciproca, ciascuno usa la forza contro gli altri, e
questo stato non finirà finché non ci sarà un vincitore, vale a dire una forza che
domina su tutti gli altri, vale a dire, come ho detto all'inizio, la sovranità politica.
3
Elementi di legislazione naturale e politica, Leviatano, De Cive
La conferenza è stata tenuta il 20/03/1987 mentre in Libano erano in corso uno dei tanti scontri tra
fazioni interne che per decenni hanno sconvolto il paese.
4
5
La terza ipotesi dello stato di natura, quella più importante di tutte, e che
corrisponde alla realtà attuale, è il sistema internazionale. Per Hobbes il sistema
internazionale era veramente uno stato di natura, perché nel rapporto tra gli Stati c'è
il ricorso alla forza reciproca; c'è, come ho detto, il principio dell'autotutela e
quindi gli Stati, fra di loro, sono in un rapporto che può essere paragonato a quello
ipotetico dello stato di natura negli individui, prima della formazione dello Stato. E'
vero che nell'ambito della comunità internazionale si possono fare delle
aggregazioni, vi sono le alleanze fra gli Stati, e lo stato di natura cessa tra gli Stati
che si sono alleati, ma sino a che quell'alleanza non sarà universale, non
comprenderà tutti gli Stati, è chiaro che ci sarà tra gruppi di Stati e altri gruppi di
Stati quel rapporto di forza reciproco, che per Hobbes è una caratteristica dello
stato di natura.
5. _______________________________________________
Dunque lo stato di natura crea uno stato di guerra proprio perché è uno stato in cui
la vita di tutti è minacciata; è uno stato da cui bisogna uscire: questo è l'imperativo
fondamentale dell'etica di Hobbes. Ma come? Ho detto non si può uscire da questo
Stato se non con la forza o con l'accordo. Con la forza, se c'è un individuo tanto
forte da sottomettere tutti gli altri. Oppure per mezzo di un accordo.
Hobbes elabora la teoria dell'accordo; ed ecco nascere l'idea del contratto, l'idea del
contratto sociale, che ha dato origine a quel filone del pensiero politico che si
chiama contrattualismo, di cui certamente Hobbes è, nella teoria dello Stato
moderno, il rappresentante più illustre, e forse anche l'iniziatore, l'anticipatore.
Ma per quel che riguarda il contratto si può ripetere quel che ho già detto sullo
stato di natura, nulla di nuovo sotto il sole: come c'era già l'idea dello stato di
natura nell'antichità, così anche l'idea del contratto. Si accenna, curiosamente,
un'idea del contratto soprattutto in Epicuro. Ma l'idea del contratto sociale è nata,
se mai, nell'altra grande tradizione del pensiero occidentale, che è il pensiero
biblico. Voi sapete che il nostro pensiero attuale deriva da queste due grandi
tradizioni che sono sembrate per un certo periodo di tempo inconciliabili, che poi
hanno trovato un periodo di assestamento, ma sono due tradizioni inizialmente
inconciliabili: una, quella del pensiero classico, è una tradizione razionalistica,
laica; l'altra, quella cristiana, ebraico-cristiana, è una tradizione profetica,
escatologica. Se noi andiamo a vedere da dove è derivata l'idea del contratto
soprattutto in coloro che poi hanno sostenuto il contratto in momenti
rivoluzionari
(nel momento della rivoluzione inglese, della rivoluzione
americana), vediamo che quest'idea del contratto nasce dall'idea di alleanza,
dell'alleanza di Dio col popolo ebraico. Lo dico perché è uscito recentemente in
italiano un libro molto interessante di questo scrittore americano di origine tedesca,
Walzer, intitolato Esodo e rivoluzione, in cui considera quello che è raccontato nel
libro dell'Esodo come un modello, lui dice, forse è troppo dire modello, come una
metafora della rivoluzione. Che cos'è l'Esodo? L'esodo è l'uscita degli ebrei dalla
schiavitù dell’Egitto per andare verso la Terra Promessa. La rivoluzione può essere
concepita, è stata concepita dai rivoluzionari, come questo uscire dalla schiavitù
dallo stato presente e marciare insieme verso la terra promessa, perché gli ebrei
marciano insieme verso la terra promessa, che è la terra promessa da Dio. Ora però
questo marciare insieme, quest'andare verso, avviene attraverso l'alleanza del
popolo con Dio, del popolo ebraico con Dio, la santa alleanza. Come spiega questo
scrittore, i primi rivoluzionari inglesi citavano come esempio l'Esodo: troviamo nel
discorso di Cromwell il paragone della Rivoluzione inglese all'Esodo: anche il
popolo inglese si muove, si deve muovere, verso la liberazione. E quello che è
interessante, qui voglio riferirlo brevemente, è quello che dice quest'autore appunto
sul concetto d'alleanza: l'alleanza viene in un secondo momento, quando il popolo
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ha già assaporato la libertà. Per Spinoza la libertà degli israeliti è fino a questo
momento, cioè prima dell'alleanza, la libertà del cammino; dopo l'alleanza,
comincia l'uscita dallo stato di natura, che è lo stato di privazione, depravazione,
degradazione dell'uomo. Ma poiché la libertà naturale non è una cosa durevole, ad
essa segue necessariamente un patto di qualche tipo. Data l'organizzazione tribale
degli israeliti e la persistente autorità degli anziani, la versione dei fatti non sembra
plausibile storicamente, ma dal punto di vista morale è altamente significativa,
"allora il popolo rispose - citazione del versetto dell’Esodo - faremo tutto ciò che
ha detto il Signore", le antiche gerarchie sono stese, l'alleanza è un solenne
impegno preso fra uomo e Dio - secolarizzato, il contratto sociale di Hobbes. Del
resto, nella sua prima grande opera politica, Hobbes ogni tanto interrompe il suo
racconto per fare delle citazioni bibliche, per far vedere che la Bibbia conferma
quello che lui dice dal punto di vista razionale. Hobbes è uno scrittore laico; però
non vuole passare di fronte al pubblico, che era prevalentemente orientato
religiosamente, come un miscredente. Ecco che allora ogni tanto fa delle citazioni
bibliche e, se si va a vedere quali sono le citazioni bibliche che lui fa a commento
del contratto, sono tutte citazioni dall'Esodo, cioè di quest'alleanza fra Dio e il
popolo ebraico. Importante questa frase: "Noi faremo tutto ciò che ha detto Dio";
questo corrisponde esattamente al contratto di Hobbes.
Qual è la conseguenza dell'accordo per gli individui, quando escono dallo stato di
natura e costituiscono il potere comune? La conseguenza dell'accordo è questa: che
gli individui d'ora innanzi non faranno ciascuno quello che vuole, secondo le
proprie passioni, secondo i propri interessi, secondo i propri sentimenti; ma faranno
quello che vuole il signore, cioè il sovrano. L'alleanza, dice ancora questo libro, è
un atto di fondazione che crea parallelamente alla vecchia organizzazione sociale
una nazione di menti coscienti, coscienti nel senso che loro stessi liberamente si
sono accordati per uscire dallo stato di natura. Le loro identità, come quella di tutti
gli uomini e donne prima della nazione, non è allora frutto di una loro libera scelta?
Solo con l'alleanza gli israeliti divengono un popolo nel vero senso della parola, un
popolo capace di dar forma alla sua storia politica e morale, capace d'ubbidire, in
grado di marciare avanti o di scivolare nel nulla. Ecco l’importanza dell'alleanza e
quindi la necessità di riflettere sullo sbocco. Questo vale per la Rivoluzione
inglese, americana e in parte anche per quella francese. La Rivoluzione francese è
una rivoluzione più vasta, più razionalistica, tant'è vero che gli esempi antichi che
vengono fatti dai rivoluzionari francesi, non sono quelli che risalgono al mondo
biblico. Gli esempi sono le città greche come Atene e Sparta. Voltaire considera
Atene, l'Atene di Pericle soprattutto, come un grande esempio di libertà e
democrazia e, del resto, se c'è un dio a cui si appellano i rivoluzionari francesi, è la
dea ragione. Ma per quanto riguarda la rivoluzione inglese, che è poi quella che
interessa Hobbes, questo riferimento alla concezione biblica della storia, alla
concezione profetica della storia, questa considerazione anche della rivoluzione
come un cammino verso il futuro della liberazione, mi pare che valga.
Dunque il contratto sociale. Ma quale contratto? Secondo la tradizione medievale, i
contratti che davano di solito origine alla società e allo Stato erano due: pactum
societatis e pactum subiectionis. Il primo patto era il pactum societatis, vale a dire:
gli individui si accordano fra di loro per consentire la società, ma una società non è
ancora uno Stato. Perché non è ancora uno Stato? Perché non c'è un potere comune.
Una società è puramente e semplicemente un insieme di uomini che collaborano fra
di loro per raggiungere un fine comune. Ma perché ci sia lo Stato occorre, dopo
questo pactum societatis, che ci sia quello che veniva chiamato pactum
subiectionis, patto di assoggettamento, che è quello attraverso cui gli uomini riuniti
in società danno il potere ad una determinata persona, o ad una determinata
assemblea, che da allora in poi avrà il potere di prendere delle decisioni per tutti
quelli che si chiamano i bisogni collettivi, cioè delle decisioni collettive, nel senso
che vincolano tutti anche se vengono prese da una sola persona o da poche persone.
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Ora è noto che la teoria del contratto di Hobbes è particolarmente originale, perché
elimina i due contratti e risolve i due contratti in uno.
Il contratto di Hobbes si può chiamare il contratto d'unione, patto d'unione. Avete
capito: il primo contratto dà origine al popolo, vale a dire trasforma una multitudo,
una moltitudine di individui distinti, separati fra di loro, di atomi, in un popolo, ma
il popolo di per sé stesso non è ancora lo Stato. Perché ci sia lo Stato occorre il
potere sovrano. Ecco il secondo contratto. E' quello che il popolo stipula con un
terzo a cui attribuisce un determinato potere. Il contratto di Hobbes è unico. Perché
è unico? Perché è un contratto che avviene fra gli individui, quindi è un contratto
intersoggettivo; ma è un contratto il cui contenuto consiste nell'autorizzare, nel dare
autorità ciascuno ad un potere superiore, a condizione che facciano altrettanto tutti
quanti. Quindi nello stesso momento c'è il contratto di società, vale a dire il
contratto intersoggettivo degli individui tra di loro, e anche il pactum subiectionis,
nel senso che il contratto consiste proprio nel decidere insieme a chi attribuire
questo potere superiore. Forse è meglio leggere esattamente la forma del contratto
hobbesiano, quella che si trova nell'unico libro politico di Hobbes che è il
"Leviatano"; la forma del contratto è questa: ciascuno degli individui che si
accordano con gli altri, dice: “Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me
stesso a quest'uomo, o a quest'assemblea di uomini, a questa condizione, che anche
tu ceda il tuo diritto a lui e autorizzi tutte le tue azioni allo stesso uomo". Vedete il
contratto di Hobbes. Un giurista direbbe che questo è un contratto a favore di terzi.
Quindi è un contratto solo, è un contratto tra gli individui, ma a favore di quella
determinata persona che sarà il sovrano.
Importante in questo contesto è la parola autorizzare. Sarebbe interessante
determinare fino in fondo la parola autorizzare. Autorizzo, che cosa significa?
Significa che io do autorità, vuol dire che io, individuo, do autorità, cioè io
trasmetto l'autorità che io ho ad un altro. Rinuncio alla mia autorità per un altro.
Vuol dire che, secondo Hobbes, l'individuo in quanto tale, nella sua natura, ha
autorità; ha autorità in quanto individuo, cioè l’autorità appartiene all'individuo,
cioè il fondamento dell'autorità è l'individuo. Voi capite che qui c'è il
rovesciamento di tutta la tradizione che faceva partire l'autorità da Dio, il famoso
versetto dell'Epistola ai romani di S. Paolo: "nulla potestas sine deo" (non c'è
nessun potere se non in Dio). Qui il potere nasce dall'individuo, l'individuo in
quanto tale ha un potere che nello stato di natura diviene devastante, e quindi deve
in qualche modo rinunciare a questo potere; però il fondamento dell'autorità è
l’individuo. Checché se ne dica, Hobbes non era certamente molto democratico, ma
la democrazia nasce dal concepire l'individuo come tale e quindi ogni individuo
come il fondamento dell'autorità. Siamo noi che diamo l'autorità e lo Stato che
nasce dal contratto è un homo artificialis. Non esiste lo Stato in natura; nella natura
esiste lo stato di natura. Lo Stato è l'espressione artificiale dell'individuo. Dunque
in Hobbes nasce quella che oggi si chiama una concezione individualistica dello
Stato, che è contrapposta alla concezione classica, che non era individualistica,
perché nell'antichità l'origine dello Stato non era l'individuo singolo, ma era la
società nel complesso; secondo l'espressione che si trova nelle prime pagine della
Politica di Aristotele, non sono le parti che creano il tutto, ma il tutto viene prima
delle parti, nel senso che l'uomo come individuo non esiste, l'uomo esiste soltanto
come membro di una società. Quando Aristotele usa quell'espressione famosa che
si ripete sempre "politicon zoon" (l'uomo è un animale politico), vuol dire
semplicemente questo: l'uomo come individuo non esiste, nella realtà l'uomo è
sempre membro di una società. Voi vedete, dunque, l'inversione completa di
Hobbes rispetto al modello tradizionale. Ho avuto occasione di contrapporre questi
due modelli, e ho chiamato modello aristotelico l'uno e modello hobbesiano l'altro,
o modello giusnaturalistico, che è quello che sta a fondamento dello Stato
moderno, concepito appunto come uno Stato che deriva la sua autorità dall'autorità
degli individui singoli. Ecco dunque spiegata questa parola chiave di autorizzare.
Un individuo può autorizzare, perché è lui il fondamento dell'autorità. Hobbes
8
distingue l'autore dall'attore; il sovrano è l'attore, cioè è colui che agisce per te, ma
agisce per te in quanto ha ricevuto l'autorità da te, agisce soltanto in quanto è
autorizzato.
6. ______________________________________________________
Ma altro è la modalità del patto, questo che ho descritto, diciamo a grandi linee,
contratto a favore di terzi, altro il suo contenuto: il contenuto del patto deriva dai
diritti naturali che l'uomo ha nello stato di natura, che tu cedi al sovrano, e da quelli
che conservi. Ecco, dunque, che tu allo Stato attribuisci tutti i diritti che hai, cioè
non è detto che tu in occasione dell'accordo da cui nasce lo Stato rinunzi a tutti i
diritti. Quali sono i diritti a cui tu rinunzi, e quali i diritti che tu tieni? Voi capite
benissimo che, a seconda dei diritti che tu cedi e di quelli che tu tieni, cambia
radicalmente il contenuto del patto. Ne possono derivare diverse forme di Stato,
adesso si tratta di vedere qual è la forma di Stato di Hobbes, che nasce appunto
rispetto al diverso contenuto che ha il patto d'unione di Hobbes.
Facciamo l'esempio che tu rinunzi a tutti i diritti e attribuisci essi al sovrano, cioè
autorizzi il sovrano ad esercitare il potere su tutto quello che avevi nello stato di
natura; questo è il patto dello schiavo. Lo schiavo è colui che ha rinunciato a
tutto. Dalla rinuncia a tutti i diritti nasce così quella forma di Stato, che
dall'antichità in poi si è chiamato dispotismo. Voi sapete che despotes in greco vuol
dire padrone di schiavi. Lo stato dispotico è quello in cui il sovrano agisce, nei
confronti dei suoi cittadini, come un padrone rispetto agli schiavi. Vuol dire che i
cittadini non hanno nessun diritto allo stato di potere, mentre il sovrano ha tutti i
diritti, il massimo potere e nessun particolare dovere giuridico civico. La teoria del
dispotismo è una teoria ben nota, che nasce nell'antichità greca; la prima
formulazione del dispotismo in questo senso è fatta in Aristotele, nel III libro della
Politica, quando contrappone le città greche agli imperi orientali, dicendo che gli
imperi orientali sono dispotici, perché i cittadini sono considerati come se fossero
schiavi, cioè non sono liberi. In questo caso, come ci sono gli schiavi per natura secondo Aristotele delle specie di animali domestici - così ci sono anche i popoli
per natura schiavi, e quindi essi accettano senza lamentarsi il potere dispotico.
All'opposto ci può essere un contratto, direi, completamente diverso, in cui sono
più i diritti che l'individuo trattiene, i diritti dello stato di natura, che quelli che
cede. Quindi lo stato nasce molto limitato, nasce limitato dai diritti che l'individuo
conserva, i diritti dello stato di natura, e a cui non è disposto a rinunciare. Questa
teoria opposta è quella che possiamo identificare con Locke 5, che è il fondatore di
quello che è stato chiamato lo Stato limitato, quello che oggi si chiama lo stato
minimo: lo Stato deve avere meno poteri possibile, deve essere limitato nei suoi
diritti. Ma come può essere limitato? Perché è limitato? E' limitato perché in questo
accordo gli individui hanno dato allo Stato soltanto i diritti indispensabili per una
pacifica convivenza, non altro. Secondo Locke allo Stato gli individui non danno
per esempio il diritto di proprietà: il diritto di proprietà è il diritto che deriva dalla
fatica privata di singoli individui (famosa teoria di Locke per cui la proprietà deriva
dal lavoro che ciascuno fa nel proprio campo, quindi è un diritto che si acquista
prima della costituzione dello Stato; e quindi l'individuo, quando costituisce lo
stato, non gli attribuisce la proprietà). Voi capite quindi che lo Stato nasce con
grossi limiti: non può intervenire sulla proprietà dei singoli individui. Questa è la
concezione liberale dello Stato minimo, la concezione la quale dice che il mercato,
il mercato economico, è un mercato che dev'essere disciplinato dagli individui e in
cui lo Stato deve intervenire unicamente per correggere delle storture. Il mercato
5
Vedi nota 2
9
rimane dunque a livello dello stato di natura, in quanto non è regolato dalle leggi
dello Stato ma è regolato da leggi interne al mercato stesso; il mercato che è
regolato, per ripetere la frase di Smith6, dalla mano invisibile, a differenza della
mano visibile dello Stato. Ma la mano visibile dello Stato non deve intervenire nel
mercato, che si autoregola da sé. Questa è la concezione ottimistica dello stato di
natura. La tesi dello stato di natura di Hobbes è una concezione pessimistica, nel
senso che, se voi lasciate liberi gli uomini, questi si scannano. Quella del mercato è
invece una teoria ottimistica; dice: se voi lasciate liberi gli uomini, questi faranno i
loro commerci, i loro contratti, vivranno nel migliore dei modi possibili, perché c'è
la mano invisibile che regola questi rapporti. C'è una razionalità spontanea, e guai a
chi interviene in questa razionalità spontanea. In questo senso si può dire che la
teoria lockeana rispecchi in un certo senso quest'idea, che si stava affacciando nel
‘600 con i fisiocratici e con la nascita dell'economia politica, che c'è una sfera della
vita umana che non ha bisogno di essere regolata dallo Stato. Quindi, se è così, gli
individui non devono dare allo Stato più diritti; allo Stato devono dare
semplicemente il diritto di reprimere le azioni dell'individuo che nuocciono
all'altro; lo Stato deve intervenire soltanto con leggi penali, praticamente; la
proprietà dev'essere mantenuta e, insieme con la proprietà, la libertà del cittadino.
Nasce, come ho detto, lo Stato minimo.
Quella di Hobbes è una posizione intermedia tra il dispotismo e lo Stato liberale,
perché in sostanza non è che l'individuo di Hobbes rinunci a tutto, ma nello stesso
tempo non mantiene quasi tutto, come nell'ipotesi lockeana. Dà allo Stato tutto
tranne una cosa: il diritto alla vita. Il diritto alla vita è il diritto inalienabile, a cui
l'individuo non può rinunciare. Quindi ecco che lo Stato nasce limitato. Si capisce
che l'individuo non può rinunciare al diritto alla vita, perché lui costruisce lo Stato,
questa macchina artificiale, proprio per salvare la vita che è minacciata nello stato
di natura. La legge fondamentale che lo obbliga ad uscire dallo stato di natura è pax
est quaerenda (bisogna cercare la pace), bisogna cercare la pace perché in uno stato
di guerra l'individuo è completamente minacciato. Se quindi noi costruiamo lo
Stato per salvare la vita, è chiaro che noi non attribuiamo allo Stato il diritto sulla
vita. Tant'è vero che Hobbes considera che l'individuo può riprendersi i suoi diritti
dello stato di natura contro lo Stato, quando lo Stato si disgrega. Quando lo Stato si
disgrega, nasce la situazione in cui anche la tua vita sembra minacciata, ed ecco,
con questo Stato, in questa situazione, tu puoi resistere. Il fatto che esistano dei
diritti che sono rimasti inalienabili, che non sono stati alienati, fa sì che esista in
ultima istanza un diritto di resistenza. Lo schiavo non ha nessun diritto di resistenza
e il cittadino di Locke ha diritto di resistenza quando lo Stato invade la proprietà,
quando lo Stato viola la libertà. Il cittadino di Hobbes ha diritto di resistenza
quando lo Stato minaccia la vita, quando lo Stato non è più in grado di salvare
la vita, quindi lo Stato è talmente indebolito da non assicurare all'individuo il
diritto alla vita. Questo Stato è stato chiamato assoluto per distinguerlo dallo Stato
dispotico e dallo Stato liberale.
Stato assoluto è una parola che attualmente non corrisponde molto bene alla
situazione. Assoluto nel senso che é "legibus solutus" che non è legato alle leggi,
che non dipende dalle leggi, che é al di sopra delle leggi; però abbiamo visto che il
potere ha un limite nel diritto alla vita. Quello che vogliono gli individui uscendo
dallo stato di natura è, come ho detto, soprattutto la pace, fuggire la guerra. Quindi
la dicotomia hobbesiana non é tanto libertà-autorità come in Locke, ma é ordinedisordine. Lo stato di natura é lo stato del disordine; ma lo Stato cade in una
situazione di disordine, quando viene meno il monopolio della forza e si formano
delle bande armate (noi abbiamo visto questo dramma nel periodo del terrorismo),
quando cioè si formano dei nuclei che esercitano la forza contro lo Stato. In questo
6
A. Smith (1723-1790), è considerato il fondatore della moderna scienza economica , le sue idee sono
alla base di tutte le teorie che considerano il mercato in grado di regolarsi da solo (liberismo o
neoliberismo).
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caso, l'individuo ha il diritto di difendersi da sé nei confronti dell'attività eversiva
dei gruppi terroristici.
Ancora un piccolo passo: lo Stato assoluto si distingue da quello liberale anche per
un'altra ragione, questa volta non rispetto al contenuto del patto, ma rispetto alla
sua forma. Vale a dire il potere dall'individuo allo Stato si può trasmettere o con
una mera concessione temporanea oppure con un trasferimento definitivo. Se in un
contratto voi potete dare in prestito una cosa ad un altro, vuol dire che continuate a
conservarne la proprietà; oppure in una compravendita voi date questa cosa
all'altro, la trasferite, e una volta che l'avete trasferita questa cosa appartiene
all'altro, non appartiene più a voi. Così per quanto riguarda la trasmissione del
potere. In tutta la storia del pensiero medievale si distinguono due modi di
trasmissione del potere: quella che si chiamava la "translatio imperii", e quella che
si chiamava la "concessio imperii". La translatio era il trasferimento definitivo: se
un popolo ha trasferito (traslato) il potere al sovrano, l'ha perduto; ha perduto per
sempre il potere, che ora appartiene al sovrano. Se invece lo ha concesso - ecco la
differenza tra le due modalità - allora é una trasmissione temporanea, nel senso che
la concessione può sempre essere ritirata; la concessione viene fatta in base a certe
condizioni, vale a dire a condizione che il sovrano rispetti certi diritti. In questo
caso, se il sovrano non rispetta i diritti, l'individuo si ritira e può esercitare quello
che é stato chiamato il diritto di resistenza. Il contratto di Locke é certamente del
secondo tipo, é la concessio; gli individui, per Locke, attribuiscono al sovrano un
mandato che può essere revocato, può essere revocato se naturalmente il sovrano
non rispetta i diritti. Si tratta di sapere se il contratto dì Hobbes é un mandato
oppure una translatio, un trasferimento definitivo. Le interpretazioni sono
molteplici; la mia interpretazione é per la translatio, nel senso che, una volta che é
stato trasferito, il potere é irrevocabile; e se é irrevocabile, significa che la modalità
del contratto é stata la translatio e non la concessio. C'é però sempre un limite.
Soprattutto perché un contratto a favore di terzi sia sciolto, occorre l'accordo del
terzo: se il terzo non dà l'accordo, il contratto non si scioglie; però c'é il diritto della
vita, c'é questo diritto, che in ultima istanza l'individuo ha, di resistenza quando lo
Stato non é più in grado di salvaguardare la vita. Del resto voi sapete che la
differenza tra diritti disponibili e indisponibili é difficile da dare; pensate alla
discussione che si fa oggi, per esempio, sulla disponibilità del proprio corpo. Ecco,
noi possiamo disporre del nostro corpo? In che misura possiamo disporne? I
sostenitori della teoria liberale dello Stato dicevano che ci sono alcuni diritti
indisponibili, ad esempio il diritto alla libertà é indisponibile, mentre per Hobbes lo
è, il diritto alla proprietà può essere disponibile o indisponibile a seconda delle
interpretazioni, il diritto alla vita anche per Hobbes non lo è. Così oggi, noi
discutiamo continuamente se il diritto che noi abbiamo sul nostro corpo sia
disponibile oppure no, e in quale misura noi possiamo donare oppure no il sangue,
il problema é quali organi noi possiamo donare e quali no. Noi sappiamo qual è il
problema che nasce in seguito alla possibilità aumentata dei trapianti. Del resto,
rimane fermo il fatto che un conto è disporre di un bene, un conto venderlo. Noi del
nostro corpo possiamo disporre, entro certi limiti, ma non possiamo disporne
attraverso il contratto di vendita; possiamo donare, ma non vendere. Perché
evidentemente il diritto che ognuno ha sul proprio corpo é considerato qualcosa di
diverso dal diritto che io ho su un oggetto.
Una delle conseguenze di questo diritto alla vita é che la sovranità di Hobbes é
anche indivisa. Hobbes é considerato il teorico dell'unità del potere, e non solo del
potere legislativo e del potere esecutivo; cioé è contrario alla teoria della
separazione dei poteri, ma é anche contrario a quella che era la grande divisione,
che aveva contrassegnato tutta la storia dell'Occidente e del popolo cristiano, cioè
la distinzione tra lo Stato e la Chiesa. Per Hobbes non ci può essere distinzione tra
lo Stato e la Chiesa per una ragione radicale, che non é mai più stata ripresa da
nessuno: perché lo Stato in quanto sovrano é ateo, lo Stato ha una sovranità che
comprende anche quella della Chiesa; la Chiesa ha una sovranità subordinata a
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quella dello Stato; quindi lo Stato non può essere diviso e non può esistere questa
divisione tradizionale tra potere spirituale e potere temporale.
Per finire, ho detto che lo stato di natura reale sopravvive nei rapporti
internazionali. La costruzione razionale di Hobbes ci può aiutare a capire quale
sia oggi il problema dei problemi, il problema della pace. Hobbes, appunto, aveva
detto che la prima legge fondamentale è " pax est quaerenda". E' questa ancora
oggi la voce che esce dal petto di migliaia di abitanti di questa terra minacciata
dalla guerra nucleare. La teoria contrattualistica dello Stato ci aiuta perfettamente a
capire come si può e si deve reagire per uscire da questo sbaglio: "pax est
quaerenda" necessita di un accordo non più tra gli individui per costruire lo Stato,
ma tra gli Stati per costruire la comunità internazionale; un accordo che sia, però,
come quello tra gli individui per costituire lo Stato, che sia universale, nel senso
che abbracci tutti gli abitanti della Terra, che non sia soltanto parziale, come sono
le alleanze, e che sia anche perpetuo, che non sia soltanto temporaneo, come sono
appunto di solito le alleanze. Universale, perpetuo. Naturalmente si può
argomentare come Hobbes non l'abbia concepito, Hobbes si sia fermato allo Stato,
non si sia posto il problema dell'andare al di là. Si possono dare varie
interpretazioni.
Chi si è spinto per la prima volta oltre questa semplice interpretazione, che i
rapporti tra gli Stati sono stato di natura, é stato Kant. Nel famoso libro " Sulla
pace perpetua", che é stato scritto verso la fine del sec. XVIII, una delle ultime
opere di Kant, Kant prevede come soluzione per la pace, per una pace perpetua, la
federazione di Stati. Le condizioni per il superamento dello stato di natura nella
comunità internazionale sono appunto due: la federazione, cioè l'unione degli Stati
per mezzo di un accordo, e nello stesso tempo la democratizzazione di questi Stati.
Però anche Kant si era fermato a metà strada, perché quello che lui aveva previsto
era un pactum societatis, non era ancora subiectionis. Il pactum societatis si é
verificato con la Società delle Nazioni7, ma non il pactum subiectionis, tant'é vero
che la Società delle Nazioni é durata quel che é durata e poi é nata niente meno che
la catastrofe della seconda guerra mondiale. L' ONU ha fatto un passo avanti,
perché, come sapete, due articoli fondamentali dello statuto della Nazioni Unite
che sono l'articolo 42 e il 43 - che varrebbe la pena di leggere - hanno previsto la
possibilità di un potere comune, vale a dire la possibilità di un intervento delle
Nazioni Unite con un esercito proprio, un esercito costituito da eserciti nazionali,
per impedire, per prevenire. Però molte cose dello Statuto delle Nazioni Unite sono
state attuate, ma questi due articoli sono rimasti lettera morta. Il che vuol dire che
la comunità internazionale, ancora oggi, é riuscita a giungere all'associazione, ma
non é ancora riuscita a fare il passo ulteriore, cioè a costituire il potere comune.
Noi oggi abbiamo, in realtà, due sistemi internazionali8, e i conflitti non sono
pochi: quello esercitato dalle Nazioni Unite, che é limitato, e quello che purtroppo
è efficace, ed é ancora l'equilibrio delle potenze, seppure al vertice massimo delle
grandi potenze, che oggi si chiama equilibrio del terrore, semplicemente perché é
aumentata la potenza delle armi. Ma é la stessa situazione di equilibrio delle
potenze che vigeva dal momento della formazione dei grandi Stati moderni, che ha
dato origine a tutte le guerre che voi conoscete fino alla Rivoluzione Francese. Per
cui oggi possiamo semplicemente fare un augurio, e con questo termino: che tra
questi due sistemi, il diritto internazionale e quello dello Stato finisca per prevalere
il primo e non il secondo.
Fonte: A.R.I.F.S. Associazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia - Sito Internet: http://www.arifs.eu
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È stata la prima forma di organismo internazionale volto a regolare i rapporti tra le nazioni, sorto all’indomani della I
guerra mondiale.
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La conferenza è del 1987 quindi precedente il crollo dell’Urss.
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