HOBBES (la politica more geometrico) prof. Michele de Pasquale “ … durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo” “ … Questa è l'origine del grande leviatano, o meglio, per parlare con piú riverenza, di quel dio mortale [Mortal God] al quale noi dobbiamo, al di sotto del Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa” (Hobbes, Il Leviatano) il contesto ideologico dell’opera di Hobbes è la giustificazione del potere monarchico il sentimento predominante è la paura e lo smarrimento per il disordine, per l’anarchia si avverte una concezione pessimistica e misantropica “La filosofia si divide in tanti rami quanti sono i generi delle cose a cui la ragione umana può applicarsi, e cambia nome secondo la diversità della materia che tratta. Se tratta delle figure, si chiama Geometria; se dei moti, Fisica; se del diritto naturale, Morale; e tutte sono Filosofia; così come è tutto Oceano il mare che qui è detto Britannico, li Atlantico, altrove Indiano, dai lidi che bagna. Gli studiosi della Geometria hanno molto ben coltivato il loro campo. Difatti, tutto quell’aiuto alla vita umana che si può trarre dall’osservazione delle stelle, dalla descrizione della terra, dalla misura del tempo, dalle lunghe navigazioni; tutto quel che appare di bello negli edifici, di solido nelle fortezze, di meraviglioso nelle macchine; tutto quel che distingue i tempi moderni dall’antica barbarie, è quasi completamente un benefico effetto della Geometria; poiché quello che dobbiamo alla Fisica, la Fisica stessa lo deve alla Geometria. Se i filosofi morali avessero compiuto i loro studi con esito altrettanto felice, non vedo come l’ingegno umano avrebbe potuto contribuire meglio alla propria felicità in questa vita. Se si conoscessero con ugual certezza le regole delle azioni umane come si conoscono quelle delle grandezze in geometria, sarebbero debellate l’ambizione e l’avidità, il cui potere s’appoggia sulle false opinioni del volgo intorno al giusto e all’ingiusto; e la razza umana godrebbe una pace così costante, che non sembrerebbe di dover mai più combattere, se non per il territorio, in ragione del continuo alimento della popolazione. Ora, invece, la guerra, con le armi o con la penna, è continua; non si sa nulla di più oggi di quel che non si sapesse una volta di diritto o dileggi naturali; ogni partito difende il proprio diritto trincerandosi dietro teorie filosofiche; % alcuni lodano e altri biasimano la medesima azione; uno stesso individuo approva ora quel che in un altro momento aveva condannato, e usa due pesi e due misure nel giudicare, quando sono gli altri a compiere le stesse sue azioni; tutto questo è un segno ben chiaro che gli scritti pubblicati sino ad oggi dai filosofi morali sono serviti ben poco alla conoscenza della verità; e che questi scritti sono piaciuti, non perché illuminavano le menti, ma perché confermavano con parole ornate e secondando le passioni di chi le ascoltava, opinioni già accettate imprudentemente. A questa parte della filosofia tocca la stessa sorte delle strade pubbliche, che tutti imboccano percorrendole in su e in giù; alcuni vi camminano per diletto; altri vi attaccano lite; ma non vi si conclude nulla. L’unica ragione di questo risultato negativo sembra essere che nessuno di quelli che hanno trattato tale materia ha scelto un giusto punto di partenza per la sua teoria. Il punto d’inizio di una scienza non si può prendere a nostro piacere, come su una circonferenza. Una specie di filo conduttore del ragionamento comincia nelle stesse tenebre del dubbio, e seguendone la guida si può arrivare alla chiarezza più luminosa; da questo punto bisogna incominciare il nostro insegnamento, e poi, volgendoci indietro, bisogna tornare a far luce sui dubbi ancora da sciogliere. Tutte le volte che uno scrittore ha abbandonato quel filo per incapacità, o lo ha spezzato attratto da altri desideri, si è messo, scrivendo, sulle tracce non già della scienza, ma dei suoi errori” (Hobbes, De Cive lettera dedicatoria) Hobbes si propone di elaborare una scienza della politica ispirata al modello geometrico euclideo come per Cartesio l’applicazione del metodo geometrico, anche al di fuori del suo ambito originario, fa progredire la scienza; solo così la politica e le scienze giuridico-morali possono uscire dalle sterili dispute e favorire una pacifica e ordinata convivenza “ Perciò, quando ho diretto i miei studi alla ricerca della giustizia naturale, sono stato avvertito dal nome stesso di giustizia, che significa una volontà costante di attribuire a ciascuno ciò che gli spetta, di cercare prima perché qualcuno dica sua una cosa piuttosto che altrui. Essendomi risultato che ciò proveniva non dalla natura, ma da un accordo degli uomini (quel che la natura ha offerto, gli uomini se lo sono poi distribuito fra loro), sono passato ad un’altra questione, cioè da quale vantaggio e da quale necessità siano stati spinti gli uomini a preferire di possedere in proprio quello che prima era di tutti. Così ho notato che dall’essere tutto in comune doveva di necessità seguire la guerra, e da essa ogni genere di disgrazia, dato che gli uomini si contendevano colla violenza l’uso di ogni cosa; ma dalla guerra tutti rifuggono per natura. Ho trovato, dunque, due postulati sicurissimi della natura umana: 1) il desiderio naturale, per cui ciascuno richiede per sé l’uso di cose che sono in comune; 2) la ragione naturale, per cui ciascuno si sforza di evitare una morte violenta come il più grande dei mali naturali. Partendo da questi principi mi pare d’aver dimostrato in questo mio scritto, con la massima evidenza e il massimo rigore, la necessità di stringere patti e di tenervi fede, e quindi gli elementi della virtù morale e dei doveri civili.” (Hobbes, De Cive lettera dedicatoria) come Euclide aveva costruito la sua solida geometria sulla base di alcuni assiomi e postulati, così Hobbes ritiene che bisogna individuare i principi primi riguardanti la natura umana sui quali costruire la scienza politica: fondare la scienza politica su pochi principi dai quali l’intera costruzione viene dedotta necessariamente questi postulati certissimi sono: l’egoismo: desiderio naturale di ogni uomo di avere solamente per sé ciò che originariamente era in comune l’istinto di sopravvivenza: per la ragione naturale ogni uomo cerca di evitare la morte violenta Hobbes ha in mente un progetto di rifondazione della filosofia: renderla utile e rigorosa, nel senso di una filosofia geometrica che proceda deduttivamente dalle cause agli effetti ottenendo conclusioni non più opinabili in questa prospettiva la ragione è concepita come capacità di calcolo (posizione convenzionalistica) : la ragione non è una facoltà d’intuizione dei principi (impossibile determinare ciò che è giusto e buono; la stessa accezione di legge di natura è intesa non come contenuti condivisi universalmente, ma come delle regole insite nella natura umana) il ragionamento è addizione o sottrazione dei nomi delle cose, in cui, come nelle operazioni matematiche, non c’è più spazio per i dubbi e le opinioni soggettive (cfr. Hobbes, De corpore) evidente la sua posizione materialistica (la ragione può applicarsi con successo solo ad oggetti di cui è possibile conoscere la causa, oggetti generabili, vale a dire i corpi, oggetti estesi e materiali) meccanicistica (il movimento è l’unico principio di spiegazione di tutti i fenomeni naturali dato che ad esso si riducono anche i concetti di causa, di forza, di azione) integrale nel quale non vi è spazio per il libero arbitrio tutto ciò che accade è sempre l’effetto della propagazione del movimento attraverso la materia: le volizioni dell’uomo sono risultati di desideri ed avversioni (siamo sempre coatti interiormente; forse potremmo non esserlo esteriormente: affermazione della libertà d’azione) la filosofia (scienza) è conoscenza dei nessi causali (scire per causas) degli oggetti prodotti dall’uomo (es. matematica, morale, politica) è possibile scendere dalle cause agli effetti: dimostrazione a priori non prodotti dall’uomo è possibile solo risalire dagli effetti alle cause: dimostrazione a posteriori il mondo ha senso per il sapere scientifico solo in quanto il soggetto riesce a costruirlo razionalmente, cioè a desumerlo da ciò che lui ha posto come premessa: l'apparato della scienza dipende da questa istituzione iniziale che è fatta dall'uomo.