1 Introduzione CAPITOLO 2 LE TRAME DEL RISENTIMENTO Guido Di Fraia Introduzione 2 1. Breve fenomenologia del risentimento Se è vero che tutte le emozioni hanno una componente relazionale, il risentimento (come l’invidia o la gelosia), è uno stato del sentire prettamente sociale e “comparativo” dato che si produce attraverso processi affettivo-congnitivi connessi con il confronto che il soggetto compie tra la propria condizione e quella altrui, in relazione al possesso di risorse, attributi, qualità, status, fortuna, ecc. Ma è anche uno stato “consapevole”, in quanto richiede al soggetto la capacità di riflettere sul proprio comportamento e su quello altrui e di valutarlo in relazione alla morale che regola i rapporti interpersonali e sociali del contesto in cui vive (Di Blasio, Miragoli. 2007). La natura prettamente sociale del risentimento, induce a fare ipotesi tanto sulle sue funzioni adattive rispetto all’evoluzione della specie, quanto su quelle sociali connesse con la distribuzione disuguale delle risorse all’interno dei gruppi umani (famiglie, classi sociali, collettività, ecc.). Questa stessa natura suggerisce soprattutto l’impossibilità di immaginare formazioni umane liberate dal risentimento e dall’invidia. Dove due o più esseri umani convivono nello stesso spazio sociale là albergano, più o meno intense e consapevoli, le trame sotterranee del rancore e dello sguardo invidioso. Da un punto di vista filologico, il riferimento imprescindibile per una discussione del risentimento, nell’accezione di ressentiment è indubbiamente rappresentato dal modello Nietszche-Scheleriano. Introduzione 3 Delineato da Nietszche in Genealogia della morale, tale modello ha l’indubbio merito di individuare nel risentimento un concetto teorico straordinariamente efficace per tentare di descrivere i processi socioculturali e simbolici che hanno portato all’affermazione della modernità (Deleuze, 1962). Attraverso un approccio in cui la ricostruzione socio-antropologica dello sviluppo di tale sentimento all’interno della religione giudaicocristiana è condotta ad un livello di astrazione dagli esiti indubbiamente semplificatori, Nietszche definisce il risentimento come “un odio impotente”, un desiderio di rivalsa che, nell’impossibilità di trovare sfogo in un’azione in grado di incidere effettivamente sulla realtà, finisce per avvelenare l’animo del risentito e inquinare in modo tendenzioso i suoi processi di pensiero. Tra i tratti di fondo del modello vi è un’antropologia astratta e dicotomica che scinde la realtà umana in due tipologie: i signori e i servi. Dotati di desideri e di volontà autonome e in possesso della forza necessaria a esercitare un’attiva capacità di dominio sul mondo esterno, i Signori sono i fondatori della morale nobile e risultano immuni, “per natura”, al risentimento che invece rappresenta l’esito inevitabile dell’esistenza del popolo dei Servi. Questi ultimi, privi di autonomia di pensiero e di volontà proprie, sono destinati ad obbedire ma, parallelamente, anche a covare un sentimento astioso e risentito. Nell’impossibilità di agire la propria rabbia repressa, il popolo dei servi incanalerebbe questa energia in una forza reattiva in grado di agire a livello simbolico fino a Introduzione 4 sovvertire i principi valoriali su cui si basa la morale dominante dei Signori. Il risultato storico di tale processo di ribaltamento dei valori sarebbe riconoscibile, secondo Nietszche, nell’affermazione della morale giudaico cristiana incarnata nel principio: “beati gli ultimi perché saranno i primi”. In questa prospettiva, il risentimento, meccanicisticamente attribuito a una certa tipologia di umanità, è immaginato da Nietszche come una forza che, per quanto reattiva, avrebbe avuto un ruolo decisivo nella formazione della morale della modernità. Scheler (1912), pur mostrando una maggiore attenzione alle dinamiche storico-sociali, riprende sostanzialmente il modello nietzschiano per giungere a conclusioni divergenti. Anch’egli considera il risentimento un prodotto dell’egualitarismo moderno o, meglio, della contraddizione moderna tra principi egualitari e permanenza delle disuguaglianze sociali. Ma il risultato del sovvertimento dei valori prodotto dall’impotenza risentita di larghe masse di individui non sarebbe la religione cristiana ma la morale borghese impregnata di umanitarismo e filantropia. Pur nelle loro differenze (Meltzer, Musolf, 2002), ciò che è interessante rilevare è che entrambi gli autori riconoscono al risentimento un ruolo cruciale nei processi costitutivi della modernità e nelle trasformazioni storiche e culturali che l’hanno generata (Tomellieri, 2009, p. 25). In anni più recenti, questa forma del sentire è stata oggetto di studio in ambito sociologico, psicologico e psico-sociologico con lavori empirici che, distanziandosi Introduzione 5 dal concetto filosofico di ressentiment (come tratto caratterizzante solo un certo tipo di umanità costitutivamente debole), hanno consentito di giungere a definizioni più specifiche e analitiche di questo sentimento (spesso concettalizzato come “rancore”) e delle sue caratteristiche fenomenologiche ed esperienziali (Barbalet, 1992; Halsall, 2005; Feather & Nairn, 2005; Miceli, Castelfranchi, 2007; Bonfiglioli, Ricci Bitti, 2007; Mullet 2007; D’urso, 2007). Attingendo a questo genere di letteratura, possiamo dire che il risentimento è il ri-sentire un’emozione negativa già provata in precedenza e dalla quale non si riesce a liberarsi. Tale emozione originaria è costituita dal senso di frustrazione e di impotenza conseguenti un’azione negativa che si è subito e alla quale non si è stati in grado di far fronte. Un soggetto (S) ha ricevuto (o ritiene di aver ricevuto) un torto da parte di un altro (A) al quale non ha saputo o potuto reagire. Tale episodio o situazione che si protrae nel tempo si radica nella memoria del soggetto come un pensiero ricorrente che, “avvelenandogli l’anima”, incide negativamente sul suo sviluppo a livello emotivo, cognitivo e comportamentale. Non a caso il termine “rancore” (che, pur con qualche piccola forzatura, per i fini della nostra discussione possiamo assumere come sinonimo di risentimento) deriva etimologicamente dal concetto di “rancido” e, dunque, di un qualcosa, in questo caso un’emozione, che si è conservato male e che, Introduzione 6 deteriorandosi, rischia di ammorbare l’ambiente e avvelenare l’anima di chi lo esperisce. A livello dinamico, il risentimento si configura dunque come una sorta di “doppio scacco” del desiderio. Il primo scacco è rappresentato dall’ostacolo che si pone tra il soggetto e la possibilità di raggiungere il proprio scopo, sia esso un obiettivo da perseguire o una “risorsa” da conservare, come una condizione economica o uno status acquisiti. Di per sé, tale ostacolo non è sufficiente ad attivare l’esperienza del risentimento configurandosi, nella maggior parte dei casi, come il semplice concretizzarsi del principio di realtà cui va ad infrangersi la gran parte dell’energia desiderante degli esseri umani. La prima condizione psicologica affinché la frustrazione subita possa orientarsi nella direzione del risentimento è che tale impedimento sia percepito dal soggetto come il risultato di un’azione ingiusta perpetuata nei suoi confronti da un agente concreto o astratto. Ma anche tale condizione, per quanto necessaria, non è da sola sufficiente a tradursi in risentimento. Se chi ha esperito l’ingiustizia ha la possibilità di far valere le proprie ragioni, il processo può concludersi senza alcuno strascico rancoroso e persino generando un surplus di soddisfazione per colui che è riuscito a ottenere giustizia “facendosi valere”. Il soggetto rischia di finire nelle spire del risentimento solo quando anche questa possibilità gli è preclusa (da cui il secondo scacco!). Quando il suo tentativo di “ottenere giustizia” (ad esempio costringendo l’altro a riconoscere le proprie colpe e a porvi rimedio, Introduzione 7 magari anche solo scusandosi per il male arrecato) fallisce, per l’impossibilità del soggetto ad agire o per l’inefficacia delle istanze (istituzioni di tutela, di giustizia, ecc.) a cui egli si è rivolto per ottenere un aiuto. Quando ciò avviene, il desiderio di vendetta che viene a prodursi è orientato da tre diverse categorie motivazionali: 1. il desiderio di ripristinare un equilibrio morale infranto; 2. la volontà di “dare una lezione” all’artefice dell’offesa subita; volontà che sottende un’intenzione educativa per cui il gesto vendicativo agisce anche come atto simbolico in grado di testimoniare come i comportamenti scorretti non possano rimanere impuniti; 3. il tentativo di “salvare la faccia” (Goffman, 1969, Heider, 1958, Castelfranchi, 1988) attraverso un’azione che consenta alla vittima di ristrutturare l’immagine di Sé presso colui che lo ha offeso e presso il “pubblico” di riferimento che è a conoscenza dell’accaduto (Di Blasio, Miragoli, cit.). Se non riesce ad esprimersi e a trovare giustizia, il risentimento si concretizza in una rabbia complessa e compressa che, non trovando sfogo immediato, continua a persistere nel tempo divenendo “serbatoio continuo per la rappresentazione del soggetto e del suo mondo” (Casadio, 2007, p. 46). Il ri-sentire l’affronto subito senza riuscire a superarne il “trauma” produce, infatti, un penoso strabismo astioso dello sguardo del risentito. Da una parte, esso rimane infatti ri-volto all’indietro, fissato sullo smacco subito a cui non è stato in grado di opporsi e dei cui esiti continua a soffrire. Dall’altra, questo stesso Introduzione 8 sguardo malevolo si proietta verso un futuro impredicibile, dipinto dai colori del riscatto e della vendetta. Bloccato nel proprio incedere da questo duplice scacco del sentire, imprigionato all’interno della gabbia emozionale che egli stesso ha costruito, il risentito vede il proprio pensiero e la propria progettualità confusi dal rimuginamento di ciò che avrebbe potuto fare e non ha fatto e dalle fantasticherie di ciò che un giorno potrà fare per ottenere giustizia. Il rimuginamento (rumination) è una reazione psicologica associata al risentimento che corrisponde al pensare in modo ossessivo e reiterativo a quanto successo, che aumenta le motivazioni sia ad evitare il contatto con l’offensore sia a cercare vendetta (Caprara, 1986). L’insieme di queste caratteristiche fanno del risentimento un fenomeno pluridimensionale che, generandosi a livello intrapsichico, riverbera i propri effetti su processi interpersonali e sociali anche di grande portata. Una sua trattazione efficace richiederebbe pertanto di affrontarlo attraverso un approccio olistico e transdisciplinare (e dunque “irriverente” rispetto alle ripartizioni disciplinari che continuano a vivere all’interno dell’accademia) in grado di rispecchiare la natura complessa e stratificata di tale sentimento. Una possibile trattazione organica del risentimento dovrebbe essere in grado di ricostruirne: 1) le manifestazioni fenomenologiche ed esperenziali; 2) le dinamiche generative; 3) le forme di elaborazione, nel loro articolarsi a livello individuale e sociale. Introduzione 9 Nell’evidente impossibilità di condensare in questa sede tutti i punti sopra riportati, cercherò di proporre, in modo inevitabilmente sintetico e senza alcuna pretesa di completezza, alcune riflessioni sui meccanismi di generazione di questo sentimento, particolarmente salienti in questo scorcio di tarda modernità, e di elaborazione e dissipazione dello stesso, in grado di arginare le cariche emozionali generate dalle frustrazioni del desiderio esperite dagli individui. Introduzione 10 2. La generazione del risentimento nella società ipermoderna Come già ricordato, Nietzsche e Scheler individuano nelle strategie sociali di controllo e dislocazione simbolica del risentimento messi in atto nella transizione alla modernità un ruolo strutturante rispetto all’evoluzione delle forme sociali della convivenza. Appare dunque legittimo interrogarsi, da una prospettiva macrosociale, su quali siano le relazioni che la società ipermoderna intesse con il risentimento individuale e collettivo. Quali, in altri termini, gli effetti che le strutture economico-sociali e le concrete forme di vita nelle società occidentali avanzate hanno rispetto alla probabilità soggettiva di subire esperienze potenzialmente generative di questo vissuto. In estrema sintesi, l’ipotesi qui tracciata, che riprende e articola alcuni recenti lavori sul tema (Tomellieri, 2004; 2009; Risi 2009), è che le società occidentali contemporanee siano intrinsecamente generatrici di risentimento e ne costituiscano il terreno ideale di cultura. E’ vero, infatti, che esse riconoscono a tutti gli individui un’uguale legittimità a desiderare tutto e a perseguire qualsiasi obiettivo per realizzare le proprie aspirazioni (o quelle che sono ritenute tali, in un mondo dominato dal desiderio mimetico su cui più avanti torneremo). Ma è anche vero che la crescente disuguaglianza economico-strutturale nega Introduzione 11 sistematicamente tali promesse condannando la grande maggioranza degli individui a un mancato appagamento delle proprie aspirazioni e a una risentita voglia di rivalsa che, pur rimanendo latente, non trova riposo (Tomellieri, 2009, p. 12). Per tracciare almeno la struttura argomentativa di fondo a supporto di questa ipotesi possiamo ricordare, limitandoci a enunciarli, alcuni dei tratti più caratterizzanti della società ipermoderna a cui può essere riconosciuto un ruolo rispetto alle dinamiche di generazione del risentimento. Tra questi ricordiamo, tra gli altri, l’estremizzarsi dell’individualismo (Lipovetsky, 2006) che, portando alle estreme conseguenze il processo di emancipazione del soggetto dai vincoli delle appartenenze (religiose, tradizionali, di classe, ecc.), consegna all’individuo la responsabilità totale del proprio destino e, quindi, anche dei propri possibili fallimenti. Il soggetto, scopertosi forzatamente libero di forgiare la propria esistenza, finisce sempre più spesso per scoprire sulla propria pelle l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi (lavorativi, di reddito, di consumo, di felicità, ecc.) che egli stesso si era dato sollecitato da un contesto iper-competitivo e da un sistema simbolico culturale inneggiante all’edonismo. L’ideologia stessa della competizione sfrenata e l’attenzione alla performance, a fronte di meccanismi premianti che solo raramente sono effettivamente basati Introduzione 12 sul merito e sulle capacità personali (Sennet, 2006) finiscono per lasciare strascichi emozionali d’invidia per “chi ce l’ha fatta” e di risentimento per le ingiustizie che si ritiene di aver subito. Parallelamente, lo sviluppo economico in un contesto globalizzato accentua le differenze e le disuguaglianze sociali sia a livello globale che all’interno di ciascun paese, decuplicando la massa dei soggetti che vengono a esperire situazioni di deprivazione relativa (Tajfel, Turner, 1979). E questo mentre l’entrata in crisi dei sistemi di welfare che hanno accompagnato il consolidamento della modernità ha ridotto drasticamente i meccanismi di tutela sociale e di attenuazione del disagio, depotenziando quelli che per una buona parte del XX secolo erano stati gli ammortizzatori sociali delle differenze, e dunque anche del risentimento. Infine, l’abbandono dei modelli aziendali piramidali tipici della modernità (Sennet, 2006) in grado di accompagnare, contenere l’esperienza di vita dei dipendenti e garantire per il loro futuro; la diffusione del lavoro flessibile; i processi di delocalizzazione della manodopera dai paesi avanzati in quelli in via di sviluppo; la mancanza di meccanismi efficaci di riqualificazione e ricollocamento dei lavoratori messi in mobilità o licenziati; la scarsa consequenzialità tra i percorsi scolastici formativi e i relativi sbocchi occupazionali; le sempre più ampie sacche di lavoro precario sotto-retribuito più o meno istituzionalizzato che, in particolare in Italia, interessa quote rilevanti di Introduzione 13 giovani e lavoratori intellettuali, sono tutti meccanismi che tendono a diffondere, come è stato ampiamente teorizzato e discusso (Bauman, 1997; Beck, 1997; Giddens, 1999), un clima generalizzato di incertezza e timore per il futuro. E’ evidente come questi stessi meccanismi costituiscano anche condizioni oggettive per il verificarsi di esperienze di vita penose e frustranti, vissute come ingiuste rispetto ai propri meriti, al proprio comportamento, alle proprie aspirazioni e di cui il soggetto può sentirsi, spesso del tutto legittimamente, vittima. L’insieme di queste situazioni, sia di natura strutturale che contingente, costituiscono indubbiamente potenti moltiplicatori della probabilità soggettiva di vivere esperienze di ingiustizia e quindi di risentimento giusto. Per comprendere quindi i rapporti tra ipermodernità e risentimento, oltre alle dimensioni strutturali e culturali sopra ricordate, è tuttavia necessario approfondire anche i tratti distintivi del soggetto che all’interno di tale contesto si trova a nascere e ad agire. Un soggetto spesso caratterizzato da una personalità ambivalente e narcisistica, scisso tra la profonda insicurezza tipica di un Io debole e fragile e un irrealistico senso di illimitata potenza che gli fa percepire il mondo e le proprie possibilità in maniera distorta. Una serie di istanze proprie della post-modernità riducono, infatti, drasticamente la capacità di controllo che il soggetto può esercitare sulla realtà, rendendolo insicuro su tutto. Tra queste vi è la “liquidità” dell’esperienza, che fa evaporare Introduzione 14 ogni riferimento stabile (in un mondo in cui la velocità del cambiamento è superiore a quella adattiva degli individui), e trasmette un senso generalizzato di aleatorietà e mancanza di pur provvisorie certezze. Il senso di spaesamento è ulteriormente esacerbato dalla percezione di una serie di minacce, reali o presunte, enfatizzate dal sistema mediatico e spesso cavalcate dalla politica, tra cui: la possibile catastrofe ecologica, il rischio nucleare, il terrorismo, i “pericoli” portati dall’arrivo delle masse dei diseredati all’interno dei nostri territori, la crescente violenza dei centri urbani, ecc. Minacce in gran parte dubbie a livello di portata reale, ma certe negli effetti di chiusura e arroccamento sul sé per individui sempre più spaventati e incapaci di farsi un’idea autonoma sulla realtà. D’altra parte, tuttavia, il predominio della tecnica, con la sua certezza di avere una soluzione per ogni problema e del mercato che ne traduce i risultati in prodotti che promettono una felicità senza residui, trasferiscono al soggetto un senso di onnipotenza che va a compensare illusoriamente la sua fragile struttura psicologica (Pulcini, cit., p. 134-136). Sottoposto a queste due opposte istanze e impossibilitato ad ancorare la propria soggettività alle istituzioni stabili come avveniva nella “modernità solida”, quello ipermoderno è un Io: «confuso, smarrito, insicuro, da un lato, edonista, grandioso, e illimitato dall’altro. Privo di certezze Introduzione 15 conferite da istituzioni affidabili, e allo stesso tempo avido di una libertà insofferente di ogni vincolo, esso presenta quella paradossale consistenza di vuoto e onnipotenza da cui trae origine e alimento la sua struttura ansiosa e desiderante, carente, e inappagabile» (ibid. p. 136). Questo tipo di soggettività, che prova un senso di onnipotenza e si sente nel diritto di aspirare ad ogni cosa ma chespesso non ha le risorse interiori necessarie a tradurre le sue aspirazioni in progetti perseguibili, appare strutturalmente destinato al risentimento. Se da un lato il risentimento può quindi rappresentare la principale energia emozionale circolante al di sotto delle società occidentali avanzate, dall’altro sorge la domanda di come esse possono sopravvivere senza frantumarsi sotto la spinta centrifuga di tale energia astiosa. Come possono arginare gli effetti potenzialmente distruttivi originati dalle frequenti frustrazioni del desiderio prodotto dall’incapacità del sistema di mantenere le infinte promesse di benessere, autorealizzazione e felicità che esso tende a generare negli individui? E come riescono a non finire travolte dagli effetti dell’enorme quantità di risentimento che il modello di sviluppo e le contingenze socio-economiche di questi ultimi anni tendono a generare? O, detto in altro modo, quali sono i meccanismi attraverso cui la quantità di risentimento Introduzione 16 eccedente rispetto a quella tollerabile e funzionale al sistema viene elaborata e dissipata in qualche forma? Introduzione 17 3. L’elaborazione del risentimento Consapevoli dell’energia negativa potenzialmente disgregante del risentimento e dello sguardo invidioso che la convivenza umana inevitabilmente produce, le società hanno da sempre elaborato dispositivi simbolici, pratiche rituali e istituzioni finalizzate a dare voce, incanalare e contenere tali forze oscure. Dispositivi, pratiche e istituzioni che si sono evolute con l’evolversi delle forme storiche delle società umane (Elias, 1976). In quelle arcaiche, ad esempio, caratterizzate da risorse scarse, ridotta complessità sociale e relazioni interpersonali dirette, il risentimento e l’invidia erano percepite come forze dominanti sulle dinamiche relazionali. Immerse in universi simbolici interpretativi incentrati sulla magia e la superstizione, tali società riconducevano la maggior parte delle esperienze negative che colpivano gli individui e la collettività alle energie malefiche prodotte dallo sguardo risentito e invidioso di altri componenti del gruppo. In questo modo, qualsiasi evento infausto (una malattia, un cattivo raccolto un periodo infelice nella caccia, ecc.) veniva ricondotto all’interno di narrazioni secondo cui la fortuna e il benessere materiale di qualcuno avrebbe attivato l’invidia e il risentimento astioso di altri, il cui sguardo malefico (talvolta canalizzato in precise pratiche magiche) si sarebbe tradotto in influssi negativi in grado di portare Introduzione 18 disgrazia a chi aveva osato essere o avere più degli altri (Schoeck, 1966). Al di sotto di questo tipo di pensiero, vi è evidentemente una visione del mondo sociale (tipica di società dominate dalla scarsità), regolate da dinamiche economicodistributive “a somma zero”, in cui la quantità complessiva di qualsiasi bene (possessi materiali, salute, potere, felicità o buona sorte) era immaginata finita e, conseguentemente, ogni acquisizione individuale era ritenuta possibile solo a spese di qualcun altro (Foster, 1965). Per contenere la rivalità astiosa e il pericolo contenuto nell’energie malefica dello sguardo risentito e invidioso, le società di sussistenza prevedevano tutta una serie di pratiche rituali e comportamentali, alcune delle quali, per altro, sono sopravvissute nelle zone rurali dell’Italia fino ad alcune generazioni fa (De Martino, 1959). Si pensi, per fare solo qualche esempio, alla regola di buona educazione che consigliava di non vantarsi della propria buona sorte; di vestire i figli in maneria un po’ inferiore di quanto non si sarebbe potuto; di nascondere la gravidanza sin quando possibile, parlandone poi con tono dimesso quasi fosse una disgrazia; o, ancora, astenersi dal fare complimenti e lodi eccessive alla sorte o ai possessi altrui, in quanto interpretabili come possibili espressioni di tendenze invidiose (Lipovetsky, 2006, p. 263). La stessa usanza di chiudere gli occhi ai defunti deriverebbe dal timore che le società arcaiche avevano dello sguardo invidioso e Introduzione 19 potenzialmente malefico che i morti possono avere nei confronti di chi è rimasto in vita. Oltre a queste pratiche di contenimento dell’aggressività invidiosa, di natura simbolico culturale, l’elaborazione persecutiva e quella depressiva rappresentano due potenti forme di imbrigliamento e dislocazione del risentimento, di tipo psico-sociale, particolarmente efficaci e “transculturali” (Alberoni, 1989). Attraverso l’elaborazione persecutiva, l’individuazione di un nemico, interno o esterno al gruppo, cui attribuire le colpe d’ogni male trasformandolo in capro espiatorio consente di convogliare l’aggressività risentita degli individui rinsaldando al contempo i legami di appartenenza dei suoi membri. Il processo di vittimizzazione indicata da Girard alla base delle società arcaiche (1961); la giustificazione ideologica di gran parte delle guerre che hanno funestato e funestano la storia dell’umanità (Tomellieri, 2009); la montante ondata di intolleranza presente in molti paesi occidentali nei confronti dei migranti (Bauman, 2005), le azioni criminali dei tanti gruppi neo-nazisti attivi in diversi paesi del mondo, sono tutti esempi di forme persecutive di elaborazione sociale del risentimento attraverso cui la rabbia socialmente prodotta viene dislocata all’esterno del gruppo su di un capro espiatorio, individuale o collettivo. L’elaborazione depressiva, probabilmente più “moderna” in quanto possibile solo all’interno di una visione del Introduzione 20 mondo che riconosce al soggetto la capacità di autodeterminarsi, è invece il meccanismo attraverso cui il soggetto è indotto a prendere su di sé la colpa della propria condizione negativa, anche quando essa ha origini sociali e strutturali. Sono esempi di questo tipo di elaborazione tanto la ricerca di soluzioni personali a disfunzioni sistemiche descritta da Beck (1992), quanto l’attuale grande diffusione di forme depressive nelle società complesse. Incapace di riconoscere la natura strutturale e sociale dell’ingiustizia vissuta e, dunque, di indignarsi legittimamente per essa, il soggetto narciso e fragile della contemporaneità finisce per ritenersi responsabile di tutte le cose che, nella sua vita, non vanno come vorrebbe. Se quelli persecutivo e depressivo sono due meccanismi “classici” attraverso cui le società si proteggono dagli esiti potenzialmente distruttivi dell’aggressività che esse stesse producono, più complesso appare ricostruire i meccanismi dissipatori propri della contemporaneità. Per una trattazione esaustiva di tali meccanismi sarebbe necessario indagare come i principali tratti socio strutturali della società ipermoderna possano agire su ciascuno dei diversi elementi costituivi le dinamiche del risentimento, amplificandoli o dissipandoli. Nell’impossibilità di svolgere qui tale compito, ci limitiamo a proporre alcune considerazioni su alcuni di tali aspetti. Dato che il risentimento è un vissuto relazionale originato dal confronto, è sulle opportunità di confronto Introduzione 21 con gli altri tipiche della contemporaneità che si deve innanzitutto indagare. In questo senso è evidente come il sistema mediatico, principale costruttore di rappresentazioni della realtà e generatore di senso delle società avanzate, sia il sistema maggiormente in grado di offrire agli individui infinite possibilità di conoscenza su situazioni, esperienze di vita, successi e fortune altrui. Conoscenze che possono offrire potenti sollecitazioni al risentimento invidioso: “perché a loro sì e a me no?”. Ma lo stesso sistema veicola anche contenuti che spingono gli stati emozionali soggettivi in direzione opposta, facilitando cioè un’elaborazione attenuatoria e dissipatoria del risentimento. Le logiche di agenda attraverso cui sono costruite le news ci servono ogni giorno quantitativi impressionanti di sofferenza, dolore e morte in un progressivo gioco al rialzo in cui sempre più spesso il diritto all’informazione sfocia nel voyerismo più osceno. Tali immagini, che coinvolgono sempre gli “Altri” (lontani nello spazio, più umili, più cattivi, più arretrati o, se non altro, più sfortunati di noi), saturano i nostri bisogni di sollecitazione emozionale, generando un meccanismo di desensibilizzazione progressiva che, anziché stimolare l’indignazione collettiva, tende piuttosto a narcotizzarla insieme alle coscienze. In questo modo, come efficacemente riconosce Bauman (2005) la visione di queste immagini, così come la presenza degli ultimi nelle nostre città svolgono un ruolo consolatorio e di contenimento dell’insoddisfazione ricordando ai Introduzione 22 cittadini dei paesi avanzati di appartenere comunque a una minoranza di privilegiati. Tuttavia, un genere che, rappresentando l’oggetto specifico di un intero settore del sistema mediatico, appare particolarmente connesso con il tema del risentimento e dell’invidia è il gossip, il cui tema narrativo è quello di scrutare la vita intima dei personaggi dello star system. Sottoposta allo sguardo indiscreto dei teleobiettivi indugianti su ventri molli e cellulite e al pettegolezzo spacciato come scoop, l’aurea che circonda tali personaggi quando sono “on stage“, finisce inevitabilmente per evaporare. Perché invidiare personaggi che, visti da vicino, sono come noi e hanno problemi simili ai nostri, se non peggiori? Gli effetti di senso complessivi di questo genere mediale sono quelli di un “abbassamento” simbolico delle figure dello star system in un processo che replica, a livello collettivo, il gioco linguistico tipico del risentimento invidioso e contribuisce, sul piano della più generale macroeconomia emozionale, a dissipare tali vissuti convertendoli in un incessante, quanto innocuo, pettegolezzo collettivo (citare il tipo?????. Anche il successo delle trasmissioni televisive che sfruttano il desiderio di protagonismo dei partecipanti trova le proprie radici nel risentimento che deriva dal desiderio di distinzione dalla massa e riscatto dalla propria condizione. Il loro format prevede quasi sempre un qualche tipo di competizione (Pulcini, 2011) che mette di fronte persone di ogni genere disposte a tutto pur Introduzione 23 di poter concorrere all’assegnazione del monte premi ma, soprattutto, di godere di qualche secondo di visibilità mediatica. Visibilità che, interpretata come notorietà e quindi come “successo”, gonfia la componente grandiosa della loro personalità narcisistica, nascondendone, anche solo per qualche istante, l’intima fragilità. Tali trasmissioni svolgono un ruolo ambivalente rispetto alle macro-dinamiche di flusso del risentimento. Per un verso, infatti, esse generano aspettative elevate negli individui che aspirano a entrare nel mondo dello spettacolo contribuendo così a produrre importanti quote di emozioni risentite verso il sistema da parte di coloro che ci hanno provato senza successo, e invidiose nei confronti dei pochissimi che ce l’hanno fatta. Per contro, veicolando il meta-messaggio che tutti possono partecipare al grande circo mediatico e aspirare a un successo basato non sui meriti ma sulla notorietà ottenibile a basso costo, tali programmi svolgono anche una funzione potentemente attenuante di questo genere di sentimenti negativi. La complessità del rapporto tra sistema mediatico broadcasting e risentimento appena descritta si riproduce, in forme diverse, anche nel caso dei social media. Essi offrono, infatti, la possibilità di entrare in relazione con gli altri in maniera svincolata dai limiti spazio temporali rendendo l’incontro e il confronto interpersonale più facile di quanto non sia mai avvenuto in passato. Negli spazi della rete, le relazioni si generano spontaneamente sulla base di motivazioni condivise. Questo ha reso Introduzione 24 possibile lo svilupparsi di comunità in grado di riunire soggetti portatori dei più diversi interessi, da quelli più esoterici e faceti a quelli più seri e “impegnati” come, ad esempio, quelle di persone accumunate da una stessa situazione disagiata (ex. gruppi di mutuo aiuto, network spontanei di lavoratori precari, ecc.) dei net activist o dei cittadini che cercano di ribellarsi a uno stato tirannico. Offrendo agli individui la possibilità di confrontarsi con altri che condividono la loro stessa condizione, questi spazi possono aiutarli a prenderne consapevolezza da una prospettiva meno individualistica e persino a coglierne le origini strutturali e sistemiche. In questo modo, le comunità online si configurano come spazi potenzialmente privilegiati di elaborazione della rabbia e del risentimento individuale che, socializzandosi e riconoscendosi in quello degli altri, potrebbero essere elaborati assumendo la forma di indignazione e azione collettiva. Le ricerche sino a oggi condotte sul tema, una delle quali riportata in questo stesso volume (cfr. Risi) non sembrano tuttavia offrire conferme univoche in questo senso, per lo meno per quanto riguarda la realtà italiana studiata. Forse anche a causa della relativa novità di tali forme di relazione, le dinamiche che vi si sviluppano sembrano più in grado di riprodurre meccanismi dissipativi di “ruminamento” della rabbia repressa, che non consentire quei processi di fusione emozionale e di auto-organizzazione alla base dei processi collettivi. Introduzione 25 Se dunque il sistema dei media agisce con effetti ambivalenti sulle opportunità di confronto con l’altro da cui possono scaturire fenomeni di invidia e di risentimento, altri meccanismi strutturali allo sviluppo attuale del capitalismo paiono agire sui contenuti di tali confronti con effetti prettamente dissipativi e di contenimento dell’energia negativa. Sono tutti quei dispositivi che, per spingere i consumi, hanno offerto soluzioni in grado di “dopare” innaturalmente il reddito effettivo dei consumatori e delle famiglie consentendo loro, e intere nazioni con loro, di vivere al di sopra delle proprie effettive possibilità economiche. Almeno sinché la crisi non ha dimostrato la nudità dell’imperatore. E’ quanto è successo con la diffusione abnorme del credito al consumo, delle carte di debito e di credito o con i mutui offerti a tutti, compresi coloro che non sarebbero mai stati in grado di restituirli, da cui ha preso origine il fenomeno dei mutui subprime alla base della crisi globale. Negli stessi anni in cui in tutti i paesi avanzati andava allargandosi a dismisura la forbice economica tra l’elite sempre più esclusiva dei super ricchi (sempre più ricchi) e la massa crescente dei più poveri (sempre più poveri, e tra i quali sono state risucchiate fasce importanti della classe media. Cfr. Wilkinson, R., Picket, K.,2009)), tali dispositivi economico-finanziari, necessari ad alimentare il livello dei consumi di cui il capitalismo aveva bisogno, offrivano l’illusione, a chi in realtà si stava impoverendo, di poter far parte della massa dei turbo consumatori. Questo meccanismo, Introduzione 26 democratizzando falsamente i consumi e rendendo accessibile a tutti l’edonismo voluttuario stimolato dal sistema, ha potentemente contribuito a contenere le possibilità di insorgenza di invidia e risentimento presso le masse di coloro che in precedenza erano esclusi dai processi di consumo. Ma quando anche l’allettante proposta del “consuma adesso, pagherai in futuro” pare insufficiente ad offrire il livello di vita a cui il soggetto aspira, egli può sempre cercare una possibilità di riscatto tentando la sorte! E’ il tipo di promessa offerta dalle lotterie, dai concorsi a premi, dalle scommesse e dalle slot machine che hanno avuto in Italia una diffusione straordinaria negli ultimi anni muovendo un volume di denaro verso le casse dello Stato e della malavita organizzata calcolabili in punti percentuali di Pil. Prima ancora che diventi patologia da dipendenza, dietro il comportamento ossessivo che vede un numero crescente di persone giocarsi quote significative del proprio reddito non è difficile riconoscere una volontà di riscatto risentito che aspira a una promozione sociale desiderata quanto impossibile da raggiungere in altri modi. Il rinnovarsi continuo della speranza di una vittoria che potrebbe cambiare la vita del giocatore contiene sempre dentro di sé un riferimento ad “altri” (datori di lavoro, amici, parenti, vicini di casa, ecc.) da cui riscattarsi facendoli “schiattare d’invidia”. E in questo alternarsi di rinnovate speranze pagate a caro prezzo e inevitabili delusioni non è difficile riconoscere il meccanismo del “ruminamento” che accompagnando Introduzione 27 l’elaborazione psicologica del risentimento contribuisce al contenimento della sua potenziale forza distruttiva. Una forma di appagamento del desiderio acquisitivo è dato anche dal “malaffare” che, soprattutto in Italia, costituisce una vera e propria economia parallela a quella ufficiale. Più che alla malavita organizzata mi riferisco al “malaffare” diffuso, fatto di evasione ed elusione fiscale, corruzione, contraffazioni, truffe, disonestà nel condurre il proprio lavoro, desiderio di “fregare l’altro” per ottenerne vantaggio, ecc. Il malaffare ha fatto sempre parte delle società umane. Ciò che tuttavia differenzia quello presente oggi in Italia, oltre alla sua endemica diffusione (sicuramente più vasta di quanto non si riesca a immaginare se riesce a smuovere, come indicano alcune stime, un volume di denaro pari a circa il 7% del Pil!1 ), è il fatto che venga giustificato sulla base di una più o meno esplicita legittimazione sociale che tende a farsi cultura dominante. Legittimazione sul cui istaurarsi non poco ha contribuito la classe politica al potere negli ultimi due decenni. Chi si arricchisce illegalmente, evade le tasse o semplicemente arrotonda la propria condizione 1 Cfr.: “Mafia crime is 7% of GDP in Italy, group reports”, The New York Time, Monday, October 22, 2007. I ricercatori dell’CSC nello studio pubblicato il 13 Settembre 2010 scrivono: «C’è una parte dell’economia italiana che non ha subito recessione: il sommerso». In effetti di tratta di un incremento di almeno tre punti di PIL rispetto ai dati Istat con un balzo che raggiunge nel 2010 il 20 per cento del Prodotto interno lordo e una pressione fiscale effettiva ben oltre il 54 per cento del PIL, pari a più di 125 miliardi di euro, l’evasione più elevata in Europa. In: Confesercenti - Le mani della criminalità sulle imprese. Roma, maggio 2010. Introduzione 28 economica al di fuori delle norme, non solo si assicura la possibilità di accedere a uno stile di vita e di consumo superiori a quelli che il suo status non gli consentirebbe, ma riceve anche l’approvazione di coloro che condividono la sua stessa “etica”. Un’etica secondo cui: “il denaro giustifica i mezzi” e sotto la cui luce egli appare non come un delinquente, ma come “un furbo”, “uno che ha saputo destreggiarsi” in un mondo dove “tanto nessuno è onesto”. L’economia del malaffare, immettendo sul mercato un flusso considerevole di denaro, contribuisce sensibilmente alle dinamiche del consumo e al successo delle sue logiche. Allo tesso tempo, tale economia, (insieme agli altri fenomeni sopra ricordati che aumentano le possibilità degli individui di soddisfare la propria sete di consumo o promettono di farlo) contribuisce a dissipare negli individui le cariche di aggressività che potrebbero derivare loro dal doversi “accontentare” di ciò a cui possono aspirare contando solo su quanto guadagnato onestamente. In questo modo, in mancanza di un universo etico in grado di orientare i comportamenti individuali, la possibilità di partecipare al banchetto del consumo nel tavolo dei più fortunati, indipendentemente dal modo in cui questo è stato ottenuto, diminuisce notevolmente la possibilità di esperire sentimenti di invidia e di risentimento sia di tipo invidioso che “giusto”. Ma il meccanismo di dissipazione della violenza prodotta dalle dissimmetrie (progressivamente crescenti) e dalle ingiustizie sociali delle attuali società falso-democratiche Introduzione 29 passa soprattutto attraverso le logiche stesse del mercato. In un mondo dominato dall’etica del consumo, i confronti tra individui da cui prendono origine le emozioni comparative (gelosia, invidia e risentimento), avvengono soprattutto in relazione alle possibilità di spesa e al possesso di beni acquistabili sul mercato. Già Simmel aveva teorizzato il ruolo dissipativo e di contenimento dell’energia invidiosa operato dalla moda (1895). Il suo ragionamento si basa sulla constatazione che, se da una parte la moda introduce elementi di distinzione sociale tra chi “può permettersela” e chi invece non ha le risorse per farlo, e dunque moltiplica le occasioni di stimolo al risentimento invidioso, dall’altra, essa svolge anche un ruolo omologante dato che tutti coloro che la seguono finiscono poi per “assomigliarsi”. Ma soprattutto, sostiene ancora Simmel, la moda e, potremmo aggiungere, il consumo più in generale, attivano dinamiche competitive comunque più “democratiche” (rispetto ad esempio a quelle basate sullo status) e certamente potenzialmente poco distruttive rispetto all’ordine sociale2. Le considerazioni simmelliane vanno tuttavia contestualizzate alla società solido-moderna, e dunque gerarchica e piramidale, a cui egli si riferiva. Da allora, il fenomeno della moda e dei processi di consumo si sono enormemente specializzati, soprattutto per l’azione delle pratiche di marketing 2 E’ ben noto, per altro, il ruolo compensativo e riparatorio che un acquisto voluttuario può svolgere rispetto alla rabbia e alla frustrazione accumulata, ad esempio, sul posto di lavoro. Introduzione 30 succedutesi nel tempo in maniera funzionale allo sviluppo delle economie e dei mercati. Grazie alla potenza del marketing e ai messaggi delle sue “Sirene” pubblicitarie, i riferimenti di classe, tipici di un mondo solido e basato sulla produzione, si sono liquefatti in una diaspora infinita di stili di vita incentrati sul consumo, all’interno dei quali il soggetto può riconoscersi. Questo processo di artificiosa differenziazione sociale si è ulteriormente sviluppato negli ultimi anni giungendo, attraverso il marketing relazionale e una personalizzazione sempre più spinta dei prodotti, ai suoi limiti oggettivi costituiti da un consumatore non più visto come parte di un target, ma come singolo individuo con cui entrare in relazione diretta anche grazie alle tecnologie della rete. E’ il singolo individuo quello di cui le aziende si propongono oggi di soddisfare le brame di consumo con prodotti pensati solo per lui (o fatti credere tali). Il risultato di questo processo, finalizzato a gonfiare la domanda di un mercato in cui i processi di acquisto sono orientati da valori immateriali, è quello di un aumento, almeno in apparenza, della differenziazione sociale e dunque degli spazi simbolici entro cui i diversi individui si trovano a confrontarsi. Non essendoci un’unica moda e un unico mercato su cui competere, ogni individuo può sentirsi “alla moda” secondo innumerevoli modelli e riferimenti simbolico-culturali, in un processo che ha ormai da tempo una funzione espressiva e identitaria piuttosto che ostentativoemulativa. Introduzione 31 La merce contraffatta, i discount, gli outlet, i mercatini dove si trovano prodotti firmati a prezzi bassissimi, sono tutte ulteriori possibilità che democratizzano il mercato e consentono a molti di accedere, o anche solo simulare, una condizione di consumo superiore alle proprie reali possibilità. Tali processi di democratizzazione e differenziazione pur essendo in larga misura solo apparenti in quanto non fondati su un’effettiva redistribuzione più egualitaria dei redditi, contribuiscono tuttavia a depotenziare ulteriormente l’intensità complessiva dell’invidia e del risentimento in circolo nel sociale. Introduzione 32 4. risentimento e neo capitalismo Tutti i fenomeni e dispositivi descritti in questo contributo e in grado di incidere sulle macrodinamiche emozionali, contenendo e dissipando le cariche invidiose e risentite che le disfunzionalità sistemiche incessantemente producono, resterebbero largamente inattivi se non andassero ad incardinarsi sul meccanismo primario su cui si basa il successo globale dell’iperconsumo. Un meccanismo in grado di agire direttamente sulle coscienze individuali e sui processi intrapsichici di generazione del desiderio. Per cogliere tale dinamica è necessario ripensare a come esso si presenti originariamente. La psicoanalisi ci ha insegnato che il desiderio è l’energia emozionale alla base del comportamento umano. Ci ha anche spiegato che tale energia può orientarsi in modo creativo verso obiettivi costruttivi e in grado di generare relazioni di valore, solo se si incontra e si scontra con la legge, ricevendone il suo sostegno simbolico (Recalcati, p. 8). Se non si infrange contro i limiti della norma, l’energia libidica, che si manifesta primariamente come ricerca di godimento immediato, non può trasformarsi in desiderio. Per questo, il “programma della Civiltà”, con il suo apparato normativo e valoriale, si è sempre opposto al dispiegamento in-mediato dell’impulso al godimento, “castrandolo” e permettendo in questo modo l’attivazione di processi di sublimazione attraverso cui tale energia Introduzione 33 diventa desiderio creativo e risorsa per la collettività (ibid. p. 31). Nelle società occidentali avanzate, questo meccanismo pare oggi essere entrato in stallo. Embricandosi su processi socioculturali che, pur avendo le proprie origini in periodi ben più remoti, sono giunti a compimento negli ultimi decenni (ma che non è possibile qui approfondire), il programma iperedonistico del capitalismo contemporaneo “liquida”, insieme a molto altro, anche le forze normative in grado di imporre agli individui i necessari processi di sublimazione dell’energia libidica. Così facendolo il capitalismo contemporaneo sembra portare a compimento quel meccanismo, apparentemente paradossale, di de-sublimazione repressiva acutamente delineato da Marcuse (1955, cfr. Recalcati, cit. p. 30). La necessità di promuovere un consumo sempre più famelico ed eccedente si è concretizzata in un’ideologia che prima ha riconosciuto a tutti il diritto all’edonismo e a un consumo liberato dalle resistenze morali o religiose che lo penalizzavano sino a qualche decennio fa; poi ha imposto questo stesso edonismo, inteso come diritto al godimento, come imperativo di massa. In questo modo, è lo stesso neocapitalismo che legittima e incita gli individui a liberarsi dai vincoli della norma per poter soddisfare, senza alcun limite “subliminante”, il proprio impulso al piacere attraverso i beni acquistabili sul mercato. Introduzione 34 Così facendo: <<il sacrificio pulsionale viene negato nel nome di una falsa liberazione della pulsione che si svincola da ogni forma di sublimazione, promettendo un godimento immediato, de sublimato, appunto, senza mediazione simboliche e senza più limiti>> Recalcati, cit. p. 9). Questo tipo di de-sublimazione non corrisponde affatto a un aumento della libertà individuale, ma piuttosto alla più sottile ed efficace forma di controllo sociale messa in atto dal sistema. Penalizzando il movimento del desiderio, esso annulla infatti <<ogni dissimmetria critica nei confronti della realtà alla quale, invece, il soggetto tende ad adeguarsi sempre più passivamente>> (ibid.). Se il capitalismo descritto da Marx alienava il soggetto riducendolo alla sua sola forza fisica trasformata in lavoro, nel neocapitalismo dell’iperconsumo l’alienazione ha assunto la forma di << una riduzione del soggetto alla spinta mortifera del godimento>> (ibid. p. 34). Oltre che sul piano ideologico, la frammentazione e trasmutazione del desiderio in volontà di godimento è prodotta anche da un altro tipo di dinamica. Da un punto di vista psichico, è la mancanza dell’oggetto ciò che anima il desiderio e lo vitalizza sospingendolo in avanti. Viceversa, quando l’oggetto ha assunto la forma di merce e si presenta, come avviene oggi, oscenamente sovrabbondante, è lo stesso desiderio che finisce per annichilirsi sotto l’effetto “intasante” dell’eccesso. Un Introduzione 35 eccesso di beni e opportunità di godimento che annulla la mancanza necessaria a muovere la spinta desiderante e impedisce la creazione di legami autentici con gli altri (ibid. pag. 35). In questo modo, è il rapporto con l’oggetto ad assumere le caratteristiche di una nuova forma di schiavitù favorendo l’insorgenza delle sempre più diffuse dipendenze patologiche, non più solo “da sostanze”, ma anche dal gioco, dall’uso della rete, dal sesso mercificato, dal fitness, ecc. Favorendo questo tipo di processo, il neocapitalismo ha di fatto generato un progressivo svaporamento del desiderio (Ciaramelli, 2000), almeno come istanza psicologica dominante gli individui, iperframmentandolo e trasmutandolo in ricerca di godimento immediato che ricorda drammaticamente l’esito parossistico cui è destinata l’evoluzione della mimesi girardiana. Il desiderio presume del resto progettualità, creatività, impegno, incontro con l’altro, e tempi lunghi per potersi esprimere. Tempi poco compatibili con quelli necessari a un mercato che può mantenersi solo contando sulla frenesia di individui divenuti turbo-consumatori. Solo la ricerca immediata del godimento soddisfacibile con le merci può invece assicurare la temporaneità istantanea del qui ed ora in grado di rendere i comportamenti di acquisto sempre più frenetici e in sintonia con il parossismo a cui è giunto il tempo di deperimento segnico delle mode e delle merci. Introduzione 36 Questo processo di de-sublimazione e trasmutazione dell’energia desiderante ha evidentemente effetti molteplici a vari livelli. Interagendo potentemente con il movimento del desiderio esso genera, innanzitutto, una diffusa adesione acritica ai modelli di vita dominanti. Ma tale processo ha un effetto decisivo anche sulle dinamiche macroeconomiche di dislocazione del risentimento. La conversione del desiderio in ricerca di godimento istantaneo stempera infatti notevolmente l’intensità della frustrazione che l’incapacità di soddisfare tali bisogni comporta. Inoltre, mentre l’oggetto del desiderio è unico e insostituibile, il godimento ottenibile attraverso il consumo può essere soddisfatto con oggetti molteplici e facilmente sostituibili (prodotti, servizi, corpi, ecc.). Infine, questo stesso meccanismo di trasmutazione operato dal capitalismo contemporaneo e supportato dalle pratiche di marketing “one to one”, estremizza gli esiti dell’individualismo contribuendo alla monadizzazione del soggetto che finisce per ritrovarsi quasi del tutto incapace di coinvolgersi in relazioni e basate sull’eros (in senso psicanalitico) e quindi sulla capacità desiderante. L’incapacità del soggetto “liquido” di impegnarsi “per sempre”, come si diceva una volta credendoci, sono esempi in questa direzione (cfr. tra tutti, Bauman, 2XXX). Da questa progressiva incapacità a entrare in relazione autentica e ad “amare” l’altro, derivano tanto i fenomeni di iper-centratura sul sé, ampiamente descritti dalla Introduzione 37 letteratura sul soggetto post-moderno, quanto le diverse patologie del legame di cui parla Recalcati (2010). La monadizzazione narcisistica della soggettività corrisponde, di fatto, a una progressiva scissione del legame sociale e a una chiusura narcisistica auto centrata. Tale disposizione induce l’individuo a ricercare soluzioni personali a fenomeni che sono invece il risultato di disfunzionalità e ingiustizie socio-strutturali del sistema. Lo sguardo rivolto al proprio caso personale gli impedisce di riconoscere le vere cause del proprio stato. In questo modo, nel tentativo di “cavarsela da solo preoccupandosi solo di se’” è molto probabile che entri in conflitto con altri individui che condividono la sua stessa situazione e che competono orizzontalmente tra loro per accaparrarsi risorse scarse, in una estenuante “lotta tra poveri”. Una lotta che, anziché essere combattuta tutti insieme per ottenere quello che spetterebbe loro di diritto (un lavoro stabile, servizi sociali funzionanti, una tassazione equa, un adeguato sistema sociale di tutela dei soggetti più deboli e svantaggiati, ecc.) finisce per frantumarsi in un’infinità di micro-conflitti latenti e risentiti in cui soggetti-monadi si scontrano simbolicamente tra loro spinti da un bisogno acquisitivo di origine mimetica che solo il consumo sembra poter placare. In questo modo, quello che potrebbe assumere la forma di risentimento giusto per le ingiustizie sociali subite e che, incontrandosi con quello degli altri, potrebbe concretizzarsi in movimento di protesta, si Introduzione 38 trasforma in risentimento invidioso e malevolo verso coloro con cui ci si trova, orizzontalmente, a competere. Da un punto di vista macroeconomico, dunque, la produzione dell’energia libidica necessaria a sostenere l’iperconsumo di cui l’attuale sistema capitalistico necessita, contribuisce anche alla dissipazione delle cariche potenzialmente distruttive del risentimento invidioso che le disfunzioni sistemiche producono. E lo fa incanalandole nella camera di combustione del mercato che li riconverte nella ricerca del godimento da cui si originano i drive motivazionali al consumo. Così il cerchio si chiude, in un meccanismo perfetto e in grado di autoalimentarsi attraverso l’energia emozionale che esso stesso produce; in un moto perpetuo destinato a continuare nel tempo almeno fino a quando nuove formazioni sociali e movimenti non si dimostreranno in grado di scardinarne le fondamenta. 39 Introduzione 5. Riferimenti bibliografici Alberoni, F., 1977 Movimento e Istituzioni. Bologna, Il Mulino. Alberoni, F., 1989 Genesi. Milano, Garzanti. Améry, J., 1966 Jenseits von Schuld und Sühne. Bewältingungversuche eines Ǘberwaltigten, ed E. Klett, Stuttgard, (trad. it. Intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987. Ansart, P., 2002 Le ressentiment, Paris, Bruylant. Barbalet J. M., 1992 “A Macrosocioly of Emotion: Class Resentment”, in: Sociological Theory. Vol 10, n° 2. Bauman, Z., 1982 Resentment. From Nietzsche, Scheler, Freud. Løgstrup and Lévinas to the globalized world of consumers (trad. It. In: Homo consumens. 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