La consuetudine: natura e caratteri

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
Direttore responsabile: Antonio Zama
La consuetudine: natura e caratteri
25 febbraio 2016
Livio Perra
Abstract
Nel presente articolo verrà analizzata la consuetudine. Se ne indagherà in particolare la natura al fine di
delineare i contorni della figura ed i rapporti con le altre fonti del diritto, in particolare con la legge scritta
(norma di diritto positivo). Verrà poi riproposta la classica e tradizionale classificazione della consuetudine:
secundum legem, praeter legem e contra legem.
La consuetudine fa parte delle fonti del diritto italiano. A tal riguardo scrive Norberto Bobbio [1961]: “la
consuetudine è una specie del genere “fonti del diritto”. La sua teoria si inserisce nella teoria più generale
delle fonti del diritto. Che la consuetudine sia una fonte del diritto, è dottrina comune. Ma è tutt’altro che
pacifico il significato dell’espressione “fonti del diritto”. Secondo che si attribuisca a “fonti del diritto” questa
o quella accezione, anche il significato del termine “consuetudine” è destinato a mutare”.
L’ordine dei problemi analizzati nel presente testo saranno: sulla natura della consuetudine ed i rapporti con
le altre fonti.
La consuetudine nella gerarchia delle fonti, di cui alle disposizioni contenute nelle preleggi del codice civile,
è considerata come fonte subordinata alla legge e questo crea qualche questione che verrà sviluppata nella
seconda parte del presente articolo.
Per prima cosa, si rende necessario analizzare la natura della consuetudine, utilizzando le parole di Francesco
Carnelutti [1946: 194]: “in virtù della consuetudine, dove prima non c’era che una sequela di fatti, nasce il
diritto”. Carnelutti [1946: 32] aggiunge:“in veste di consuetudine, le norme giuridiche si formano come
norme naturali. Il nome di consuetudine conviene a leggi o regole naturali in quanto i rapporti, la cui costanza
costituisce la regola, si costituiscano tra atti umani; allora, la regola, o legge consiste in ciò che gli uomini
sogliono far seguire un certo contegno a un certo altro: consuesco da cum e suesco (incoativo di sueo),
esprime, per via del cum, l’idea di una riunione e perciò di una moltitudine di atti, necessari a stabilire la
legge” e per caratterizzare la consuetudine come giuridica Carnelutti [1946: 32] ritiene: “una consuetudine è
giuridica, in quanto concorrono a stabilirla degli atti, i quali, attuando la sanzione, hanno carattere giuridico,
ossia delle restituzioni o delle punizioni; ma ogni vincolo alla conformità degli atti successivi con gli atti
precedenti è escluso. La consuetudine giova affinché i subditi regolino la loro condotta sulla probabilità che
certi loro atti provochino la restituzione o la punizione come si regolano con le altre leggi naturali e nulla più.
In conclusione il diritto è negli atti, tra i quali la consuetudine si stabilisce; ma fuor da questo la consuetudine
non ha nulla di giuridico in sé”.
Requisito fondamentale per la consuetudine è il decorso del tempo, “requisito esterno” come lo definiva
Norberto Bobbio. Bobbio [1961] specifica: “il principale requisito esterno è il decorso del tempo, ovvero il
fatto che i comportamenti, oggetto della regola, sono stati ripetuti per un certo periodo di tempo. Che il
decorso del tempo idoneo alla formazione di una regola consuetudinaria debba essere quantitativamente
determinato, non è regola costante: la disciplina del diritto canonico che, attraverso una analogia tra diritto
consuetudinario e prescrizione, fissa il numero degli anni utili alla formazione della consuetudine, non trova
riscontro negli ordinamenti statali contemporanei, che lasciano il giudizio sulla vetustà della consuetudine al
libero apprezzamento del giudice. Nel diritto inglese, la consuetudine doveva essere immemorabile, e si
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intendeva per immemorabile quella consuetudine di cui potevasi provare l’esistenza prima del 1189, primo
anno del regno di Riccardo I.”
Norberto Bobbio individua, traendo dalla dottrina, pressoché concorde sul punto, cinque elementi
caratterizzanti la consuetudine:
i) generalità, cioè il comportamento deve essere ripetuto da più persone, in particolare dalla maggior parte
delle persone che si trovano nella situazione prevista;
ii) uniformità, cioè la generalità di persone deve comportarsi, in quella situazione, in modo identico o simile
(ripetizione);
iii) costanza (o continuità), cioè la ripetizione non deve essere interrotta;
iv) frequenza, cioè deve succedersi a brevi intervalli;
v) pubblicità, cioè si chiede il riconoscimento di un diritto, non esercitato segretamente, in base ad una regola
consuetudinaria consolidata.
La teoria più diffusa intorno alla natura giuridica della consuetudine è quella che cerca di spiegarlariferendosi
ai soggetti cui la norma è rivolta, usando il termine di Bobbio agli ?utenti?(da chi è accolta e seguita).Questa è
la teoria dell’opinio iuris et necessitatis. Essa prende in considerazione il requisito interno o psicologico o
spirituale, la convinzione o sentimento che il comportamento sia giuridicamente obbligatorio, in quanto
conforme ad una norma giuridica valida o giusta. Addirittura, l’atto contrario essendo illecito è assoggettabile
ad una sanzione giuridica.
Per tradizionale e consolidata dottrina, la classificazione della consuetudine è di tipo tripartito:
i) Consuetudine secundum legem: la consuetudine trova la propria legittimazione nella legge, in una norma di
diritto positivo;
ii) Consuetudine praeter legem: la consuetudine nasce e si occupa delle situazioni non previste dalla legge
(lacune legislative);
iii) Consuetudine contra legem: la consuetudine è in contrasto con una disposizione di legge.
Come riteneva Francesco Carnelutti [1946: 80]: “se, invero, la consuetudine non vale se non in quanto dalla
legge sia richiamata, ne deriva una subordinazione della consuetudine alla legge, per cui, anche quando sia
richiamata, dovrebbe cedere a una legge, con la quale si trovi in antinomia”.Nello stesso senso Bobbio [1961]
sostiene: “quanto al codice civile attuale, basti dire che l’articolo 15 disposizioni preleggi codice civile
sull’abrogazione delle leggi riproduce esattamente l’articolo 5 disposizioni sulla legge in generale del codice
precedente, e che pertanto vien confermato l’ostracismo alla consuetudine abrogativa, in altre parole vien
ribadita la considerazione della consuetudine come fonte gerarchicamente inferiore e sussidiaria”.
Da ciò sembrerebbe doversi desumere che per l’ordinamento giuridico italiano la consuetudine contra legem
non sia da ammettersi.
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Articolo pubblicato in: Diritto costituzionale, Diritto privato
TAG: consuetudine, fonti del diritto
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