14 PRIMO PIANO Venerdì 1 Luglio 2016 La non facile coabitazione fra Bergoglio e Ratzinger è stata così definita da mons. Gänswein Papa attivo e Papa contemplativo Il conflitto non è esploso per merito di entrambi i Papi DI ANTONINO D’ANNA C he questo potesse essere un rapporto ambiguo non era difficile da ipotizzare. Che il Papa regnante dovesse intervenire per chiarire i suoi rapporti con quello emerito, anche: ed è infatti successo nel corso delle conferenze aeree di Francesco, di ritorno dall’Armenia. È domenica 26 giugno ed Elisabetta Piqué, vaticanista del quotidiano argentino La Nacion, chiede: «Ultimamente ci sono state delle voci, una dichiarazione del Prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gänswein, che avrebbe detto che ci sarebbe un ministero petrino condiviso – se non mi sbaglio - con un Papa attivo e un altro contemplativo. Ci sono due Papi»? Risposta di Jorge Mario Bergoglio: «Benedetto è Papa emerito. Lui ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio, che si sarebbe ritirato per aiutare la Chiesa con la preghiera. E Benedetto è nel monastero, e prega». Appunto: è emerito, sta nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, prega. E nel caso si vede con il successore. Per chiarirlo ancora una volta, il Papa attuale ripete parlando di Joseph Ratzin- Papa Francesco e Papa Benedetto XVI ger come egli sia: «Questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito - non il secondo Papa - che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio». E con questo monsignor Georg è servito e qualcosa evidentemente sta cambiando: prima di tutto nel rapporto tra due Papi – uno emerito e l’altro in carica ma che, sempre nella conferenza in aeroplano, ha parlato di un futuro anche con due-tre Papi emeriti (ci sarà anche lui, o non si dimetterà come ha in passato ribadito?) - che evidentemente fino ad oggi è andato bene. È andato bene perché Francesco ha saputo sfruttare la «non presenza» di Benedetto nel recinto di Pietro: abbiamo saputo che Ratzinger si è detto «teologicamente d’accordo» col suo successore; abbiamo appreso da Francesco stesso che i due si incontrano e che lui lo consulta in quanto «nonno saggio in casa»; tutto insomma ha indicato che le cose tra i due ad oggi sono sempre andate d’amore e d’accordo. Ma il 20 maggio scorso, appunto, proprio monsignor Georg – il quale fino a oggi ha rappresentato l’ufficiale di collegamento tra i due Papi, e neanche questo è un mistero – nel presentare il volume Oltre la crisi della Chiesa. Il pontifi cato di Benedetto XVI di Roberto Regoli, direttore del Dipartimento di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana (e cioè dei Gesuiti, per capirci) ha dichiarato: «Dall’elezione del suo successore, Papa Francesco - il 13 marzo 2016 - non ci sono dunque due Papi, ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo». Un assurdo canonico, essendo il Papa uno solo ed esercitando da solo i suoi poteri. Ma monsignor Gaenswein precisa il perché della sua teoria: «Per questo, Benedetto non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca. Per questo, l’appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora Santità. Inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo Successore e a una nuova tappa della storia del Papato». Eppure proprio alla Gregoriana c’era chi, parlando delle dimissioni di Ratzinger, aveva messo in guardia dal rischio di creare una figura quale quella del Papa emerito. È padre Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Gregoriana appunto, il quale su La Civiltà Cattolica, il quindicinale dei Gesuiti, proprio il 28 febbraio 2013 aveva scritto: «È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa«. Vescovo emerito di Roma, non Papa emerito per padre Ghirlanda, gesuita come gesuita è il successore di Benedetto, ossia Bergoglio. Ossia Francesco. L’opinione di quest’autorevole canonista non è stata ascoltata. Peccato. Il problema però alla fine si è materializzato. E il Papa regnante ha dovuto chiarire i suoi rapporti con quello emerito. Emerito che peraltro ha trovato in Vaticano all’atto della sua elezione senza avere la possibilità di scegliere alcunché. Ora le dichiarazioni di monsignor Gaenswein. E qualcuno a Roma inizia a farsi delle domande. Una, su tutte: e se un domani un Papa emerito criticasse il suo successore, che cosa accadrebbe? © Riproduzione riservata IL PROCESSO SI È CONCLUSO CON UNA CONDANNA A QUATTRO ANNI E NOVE MESI DEL DR JECKIL AND MR HYDE Il turpe don Mercedes, condannato per pedofilia aveva creato il provvidenziale Banco alimentare DI Q ANTONINO D’ANNA uattro anni e nove mesi per pedofilia, più il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori. Si è chiuso così, ieri innanzi al gup di Cremona Letizia Platè, il processo con rito abbreviato (che prevede uno sconto pari ad 1/3 della pena) a carico di don Mauro Inzoli, 15 anni passati a presiedere il Banco Alimentare e ciellino doc e otto episodi di violenza sessuale (più altri 15 prescritti) avvenuti tra il 2004 e il 2008. Le vittime avevano allora età tra i 12 e i 16 anni. Don Inzoli, detto «don Mercedes» perché amante del lusso, avrebbe (questo secondo la Procura di Cremona) baciato, carezzato, abbracciato, palpeggiato i ragazzini nel suo ufficio (dove teneva gli esercizi spirituali) e negli alberghi di villeggiatura dove Cl portava i ragazzi per le vacanze. Nel maggio di quest’anno, don Mercedes ha risarcito con 25.000 euro cinque vittime dei suoi abusi: dal rischiare in teoria fino a 12 anni di reclusione, si è passati alla richiesta dell’accusa di 6 anni e, infine, alla sentenza di ieri che ha stabilito i 4 anni e 9 mesi. Quando nel marzo 2015 i magistrati cremonesi hanno chiesto alla Congregazione per la Dottrina della Fede i documenti su don Inzoli, la Santa Sede non li ha trasmessi perché le denunce alla Congregazione per la Dottrina della Fede sui delitti contro la fede e i costumi (e la pedofilia rientra in questi casi, dal momento che la CdF è tribunale competente), nonché contro il Sacramento della Penitenza, secondo un rescritto di Paolo VI del 1974, sono sub secreto pontificio, cioè sotto il segreto massimo che importa la scomunica automatica (latae sententiae) nel caso in cui venga infranto. E infatti la CdF si era mossa per tempo, processando don Mercedes secondo le norme canoniche in tema di pedofilia. Era il 2012 e, in prima battuta, il nostro era stato condannato alla dimissione dallo stato clericale. In altre parole era stato «spretato» (tecnicamente non si è mai spretati, dal momento che i Sacramenti sono indelebili, ma semplifichiamo in questo modo), e come tale non avrebbe più potuto compiere alcun atto connesso allo status sacerdotale: nemmeno benedire santini, per capirci. Ma don Inzoli si era appellato: e la CdF, ossia l’ex Sant’Uffizio, aveva fatto dietrofront nel mese di giugno 2014 infliggendogli una «pena medicinale perpetua» (cioè una condanna a vita) consistente nell’invito: «a una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e penitenza». Inoltre: «non potrà celebrare e concelebrare in pubblico l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’Eucaristia privatamente». E ancora: «Non potrà svolgere accompagnamento spirituale nei confronti dei minori o altre attività pastorali, ricreative o culturali che li coinvolgano. Non potrà assumere ruoli di responsabilità e operare in enti a scopo educativo». Non solo: «Non potrà dimorare nella Diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale. Dovrà inoltre intraprendere, per almeno cinque anni, un’adeguata psicoterapia». Medaglia d’oro alla misericordia per il vescovo di Crema, monsignor Oscar Cantoni che, nel dare notizia della condanna canonica a don Mercedes, aveva scritto in una lettera alla sua Diocesi: «La pena inflitta dalla Chiesa, che doverosamente ha fatto verità, va coniugata, però, insieme alla misericordia, dal momento che Dio vuole la salvezza di tutti e non esclude mai nessuno dal suo amore. ‘Nessuna miseria è troppo profonda, nessun peccato terribile, perché non vi si applichi misericordia’”. Peccato che qualche tempo dopo, nel corso dell’Angelus del 1° maggio scorso, Papa Francesco abbia tuonato dicendo che gli abusatori debbano essere severamente puniti. Forse dimenticando che la sentenza di secondo grado che non ha spretato don Mercedes (comparso poi alle spalle di Bobo Maroni e Roberto Formigoni a un congresso in difesa della famiglia all’inizio del 2015), era stata approvata proprio da lui. © Riproduzione riservata