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MAURO BOVE
La tutela cautelare nel processo amministrativo
SOMMARIO: 1. Funzione della tutela cautelare e tipologie di provvedimenti cautelari. – 2. Concessione del
provvedimento cautelare: ordinanza collegiale in corso di causa. – 3. Rigetto della domanda cautelare. – 4.
Definizione del giudizio con sentenza semplificata. – 5. Tutela cautelare e sussistenza della potestas
iudicandi. – 6. Provvedimento monocratico in corso di causa. – 7. Provvedimento cautelare ante causam. –
8. Appello cautelare. – 9. Attuazione del provvedimento cautelare. – 10. Modifica e revoca. – 11. Inefficacia
del provvedimento cautelare.
1. È a tutti noto che la tutela cautelare ha nel sistema della tutela giurisdizionale delle situazioni
giuridiche soggettive una funzione servente e strumentale rispetto alla tutela dichiarativa: con essa si
garantisce l’effettività di questa, nel senso che mediante la concessione di misure cautelari si neutralizzano i
possibili inconvenienti che potrebbero insorgere durante il tempo necessario all’ottenimento della tutela
dichiarativa. In altri termini, l’approntamento della tutela cautelare è uno dei più importanti strumenti tecnici
mediante i quali l’ordinamento garantisce l’effettività della tutela dichiarativa, e quindi in ultima analisi del
diritto di azione di cui all’art. 24, 1° comma, Cost., assicurando l’attuazione di quel principio chiovendiano
per cui il tempo necessario per celebrare un processo non deve andare a danno della parte che ha ragione,
dovendo questa ottenere la tutela del suo diritto negli stessi termini di effettività in cui l’avrebbe ottenuta se
quella ragione gli fosse stata riconosciuta il giorno stesso in cui è stata proposta la domanda giudiziaria.
Insomma, la tutela cautelare fa sì che la tutela dichiarativa, se e quando arriverà, non arrivi invano,
perché magari nel frattempo la situazione si è modificata al punto tale da rendere tardiva o comunque non
effettiva la pur riconosciuta ragione nella causa di merito.
Se quella ora indicata è la funzione della tutela cautelare, i suoi tipici presupposti sono il periculum in
mora ed il fumus boni iuris. Questo è essenziale perché evidentemente, se si tratta di garantire l’effettività
della futura tutela dichiarativa, è ragionevole concedere la misura cautelare a quella parte che è probabile o
quantomeno verosimile1 che avrà ragione nel merito. Quindi l’istante al fine della concessione della misura
cautelare deve provare (o almeno far apparire verosimile), non che certamente sussiste la situazione giuridica
1
La verosimiglianza si riferisce propriamente all’allegazione del fatto costitutivo del diritto, mentre la probabilità si
riferisce ad una sua prova, al momento provvisoria e superficiale. Il provvedimento cautelare normalmente
presuppone questa più che quella. Ma, come vedremo in seguito, non è escluso che il legislatore si accontenti, a certe
condizioni, della verosimiglianza. Sulla distinzione tra verosimiglianza e probabilità del diritto vedi, per tutti, le
classiche pagine di CALAMANDREI, Verità e verosimiglianza nel processo civile, ora in Opere giuridiche, V, Napoli 1972,
p. 615 ss., in partic. 621-622.
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(diritto o interesse legittimo) di cui si afferma titolare, ma che vi sia un fumus di fondatezza della sua
domanda, cioè che sia probabile la sussistenza della situazione giuridica affermata. Ma, se la tutela cautelare
ha una funzione servente e strumentale rispetto alla tutela dichiarativa, altrettanto essenziale è la prova del
c.d. periculum in mora, ossia del rischio che la situazione giuridica soggettiva corre per quanto possa
succedere durante il tempo necessario al fine di celebrare il processo dichiarativo o per il fattore tempo in sé.
Qui emerge la distinzione tra provvedimenti cautelari conservativi e provvedimenti cautelari anticipatori, in
base ai diversi tipi di pericula in mora che le situazioni giuridiche possono correre. Se il pericolo è quello di
un’eventuale infruttuosità della futura sentenza per il possibile sopraggiungere, durante il tempo necessario a
celebrare il processo dichiarativo, di fatti che possono rendere impossibile o molto più difficoltosa la
concreta attuazione della sentenza stessa, la misura necessaria sarà di tipo conservativo. Se, invece, il
pericolo è quello propriamente da tardività della sentenza, per cui il pregiudizio deriva essenzialmente dal
protrarsi dello stato di insoddisfazione della situazione giuridica soggettiva, allora il provvedimento cautelare
deve avere un contenuto anticipatorio degli effetti della sentenza di merito 2.
Da questo punto di vista il sistema del codice di procedura civile è completo, prevedendosi in esso sia
misure cautelari tipiche, perché tipici sono sia i diritti cautelati sia i rischi da cautelare3, sia uno strumento
residuale e atipico (art. 700 c.p.c.), nel senso che, ove non sia utile la concessione di una misura cautelare
tipica, è possibile chiedere l’adozione di un provvedimento cautelare rispetto al quale la legge non
predetermina né il tipo di periculum in mora a cui far fronte né il possibile contenuto della misura cautelare4.
Più complessa, invece, è stata la vicenda della giustizia amministrativa, nell’ambito della quale fino
alla legge n. 205 del 2000 l’ordinamento, nell’art. 21 della legge TAR (n. 1034 del 1971), prevedeva
esplicitamente solo la possibilità per il ricorrente di ottenere la sospensione dell’efficacia dell’atto
impugnato5.
Questa forma di tutela cautelare era costruita unicamente con l’occhio al processo avente ad oggetto
l’impugnativa di un provvedimento amministrativo ed avendo, inoltre, riguardo solo al c.d. interesse
legittimo oppositivo6, che si contrappone ad un provvedimento ablativo (aggressivo), ossia ad un
2
Sulla distinzione classica che si ritrova nell’ambito della giustizia civile tra cautela conservativa e cautela anticipatoria
cfr., per tutti, PROTO PISANI, Appunti sulla tutela cautelare nel processo civile, in Riv. dir. Civ. 1987, I, 109 ss., spec.
120-121.
3
Si pensi, ad esempi, ai sequestri.
4
Vedi, per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano 2009, 256.
5
Sulle vicende precedenti alla legge n. 205 del 2000 vedi RICCI, Profili della nuova tutela cautelare amministrativa del
privato nei confronti della p.a., in Dir. Proc. Amm. 2002, p. 276 ss.; QUERZOLA, La tutela cautelare nella riforma del
processo amministrativo: avvicinamento o allontanamento dal processo civile?, in Riv. trim. dir. Proc. Civ. 2001, p. 173
ss., spec. 175. Vedi anche NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna 2000, 223 ss. e RAIMONDI, Profili processuali ed
effetti sostanziali della tutela cautelare tra giudizio di merito e giudizio di ottemperanza, in Dir. Proc. Amm. 2007, 609
ss.
6
Sui limiti della mera sospensiva dell’efficacia dell’atto impugnato vedi riassuntivamente BERTONAZZI, Brevi
riflessioni sulla tutela cautelare nei confronti dei provvedimenti negativi e dei comportamenti omissivi della pubblica
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provvedimento che si intromette in termini negativi nella sfera giuridica del singolo. In questa area
d’intervento dell’attività amministrativa poteva ritenersi sufficiente la sospensione dell’efficacia,
essenzialmente intesa come efficacia esecutiva, del provvedimento impugnato.
Ma il sistema entra in crisi nel momento in cui emerge con chiarezza come l’amministrazione possa
operare in modo pregiudizievole per il cittadino anche negando a questi l’accrescimento della sua sfera
giuridica. Qui emerge la figura dell’interesse legittimo c.d. pretensivo, che si contrappone ad un
provvedimento di diniego dell’amministrazione a fronte di una richiesta di espansione della sfera giuridica
del singolo. Ebbene, a fronte di un diniego contrapposto ad un’istanza del singolo la sospensione del
provvedimento di diniego, come misura cautelare, risulta poco efficace, almeno se intesa riduttivamente
come inibizione dell’esecuzione dell’atto amministrativo7. A fronte di questa esigenza la giurisprudenza,
allargando le potenzialità della misura cautelare consistente nella c.d. sospensiva, inserendo in essa l’idea di
una sospensione generale di tutti gli effetti giuridici dell’atto impugnato, elabora misure cautelari che vanno
al di là della mera sospensiva intesa in senso tradizionale.
Emergono allora, a tutela dei c.d. interessi pretensivi, le c.d. ammissioni con riserva8, che, peraltro,
ben dovevano e devono essere concesse nel rispetto di un duplice ordine di limiti: quello derivante dalla
separazione dei poteri tra giudice e pubblica amministrazione e quello derivante dalla funzione strumentale
della tutela cautelare, che è solo rivolta ad assicurare gli effetti della tutela dichiarativa e niente di più. Per
cui, in particolare da questo secondo punto di vista, sarebbe francamente assurdo pensare che, ad esempio in
riferimento all’ammissione con riserva ad un concorso od esame, il candidato che abbia vinto il concorso o
amministrazione, in Dir. Proc. Amm. 1999, 1208 ss., che riporta svariata casistica; RICCI, op. cit., 277-278; QUERZOLA,
op. cit., 175 ed ivi citazioni della dottrina amministrativistica.
7
Sul punto vedi, riassuntivamente, per tutti FOLLIERI, La fase cautelare, in Giustizia amministrativa a cura di S.G.
Scoca, Torino 2009, 313 ss.
8
Vedi, fra le altre pronunce, Cons. Stato 8 ottobre 1982 n. 17, in Foro it. 1983, III, 41, che ammise con riserva i
candidati all’esame di maturità che avevano impugnato il provvedimento di diniego. Nella sentenza l’adunanza
plenaria affermò che in tal modo non si superavano i limiti del potere cautelare del giudice amministrativo perché
«l’ordinanza di sospensione opera sull’effetto preclusivo del provvedimento di non ammissione e per conseguenza
consente l’ammissione condizionata del candidato all’esame, in via provvisoria; essa serve ad evitare che il tempo
occorrente per il processo vanifichi la tutela giurisdizionale prevista dagli artt. 113 e 24 Cost., e nell’ambito del
rapporto processuale esaurisce i suoi effetti, ma non sostituisce le valutazioni riservate al consiglio di classe, la cui
funzione rimane integra». Infatti, in caso di accoglimento del ricorso «il giudizio di maturità rimane sospeso finché il
consiglio di classe si pronunci, ora per allora, in senso favorevole per l’ammissione dell’alunno all’esame». Per altre
citazioni giurisprudenziali in riferimento al periodo antecedente alla legge n. 205 del 2000 e per riflessioni sulla
questione vedi, per tutti, NIGRO, op. cit., 225 e GAROFALI, La tutela cautelare degli interessi negativi. Le tecniche del
remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. Proc. Amm. 2002, 857
ss., spec. 873 ss. Vedi anche, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, per un quadro delle misure
cautelari concedibili da parte del giudice amministrativo VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, Milano 2001,
322-323.
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superato l’esame, possa goderne per ciò gli effetti positivi anche in caso di successivo rigetto nel merito del
ricorso avverso il diniego di ammissione9.
Ed emerge, poi, sempre a cautela degli interessi pretensivi, la contestata prassi delle c.d. ordinanze
propulsive10, con le quali si ordina all’amministrazione di provvedere o di rivedere precedenti provvedimenti
negativi11, come ad esempio nel caso di impugnativa del diniego di una autorizzazione, in cui in via
cautelare12 si ordina all’amministrazione di concedere l’autorizzazione13.
Insomma, già prima della legge n. 205 del 2000 nella prassi emergevano14 varie tipologie di
provvedimenti cautelari, da utilizzare nell’ambito della giurisdizione tipica del giudice amministrativo, ossia
quella di legittimità: provvedimenti di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, esplicitamente previsti
dall’art. 21 legge TAR nella sua versione originale; provvedimenti a contenuto misto a fronte di atti negativi
dell’amministrazione, contenenti, oltre alla sospensione dell’efficacia dell’atto, un ordine rivolto
all’amministrazione che questa è tenuta ad osservare (si tratta delle già dette ammissioni con riserva, in
conseguenza delle quali l’interessato è in pratica ammesso a partecipare al concorso o alla gara, senza che sia
necessario, a valle del provvedimento del giudice amministrativo, un atto di adeguamento
9
Sul punto GAROFALI, op. cit., 876, in partic. nt. 23, ove si riferisce di un orientamento giurisprudenziale che accoglie
l’opinione criticata nel testo ed anche dallo stesso autore. Sempre dello stesso autore è il riferimento all’ampliamento
dell’area di incidenza della cautela sospensiva intesa nel modo riferito ad altri provvedimenti di diniego, vale a dire: gli
atti negativi di controllo, il provvedimento di esclusione del diritto di partecipare a procedure concorsuali per
l’affidamento di appalti, i dinieghi di iscrizione in albi professionali, il diniego di provvedimenti ampliativi
(autorizzazioni, concessioni). Sull’assurdità di una disposizione quale è quella contenuta nell’art. 4, comma 2bis della
legge 168 del 2005 vedi poi.
10
Cfr. ad esempio Cons. Stato 28 agosto 2007 n. 4297, in Diritto proc. Amm. 2008, 856, con nota di GOISIS, Vincolo di
strumentalità e misure cautelari di contenuto «propulsivo» nel processo amministrativo.
11
La mera sospensiva era ed è, invece, sufficiente a fronte di provvedimenti negativi innovativi, tali cioè da sancire la
cessazione di precedenti situazioni di vantaggio: sul punto vedi, per tutti, FOLLIERI, op. cit., 316.
12
Anche sotto la spinta della giurisprudenza comunitaria, per la quale vedi, prima dell’entrata in vigore della legge n.
205 del 2000, Corte di giustizia C.E. 9 novembre 1995 C-465/93 (caso Atlanta), in Giornale di diritto amministrativo
1996, 633, sulla quale vedi, fra l’altro, le riflessioni di TRAVI, Misure cautelari di contenuto positivo e rapporti fra
giudice amministrativo e pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm. 1997, 168 ss., spec. 172-173.
13
Per esempi si rinvia a GAROFALI, op. cit., 878 ss., in cui l’autore riferisce anche delle perplessità in riferimento a
detta prassi e della posizione restrittiva della dottrina e del Consiglio di Stato, argomentata essenzialmente sulla
necessità di garantire i limiti della tutela cautelare, derivanti dalla sua strumentalità rispetto alla tutela dichiarativa,
limiti che impediscono alla misura cautelare sia di produrre effetti definitivi sia di produrre effetti con contenibili nei
futuri effetti della decisione di merito.
14
Oltretutto la centralità della tutela cautelare pure nell’ambito del giudizio amministrativo avente ad oggetto
l’impugnativa di atti era stata sottolineata dalla Corte costituzionale in diverse sentenze: la n. 284 del 1974 (in Giust.
Cost. 1974, 2371), la n. 227 del 1975 (in Giust. Cost. 1975, 1686) e la n. 8 del 1982 (in Giust. Cost. 1982, 41).
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dell’amministrazione a fronte della sospensiva dell’atto negativo; fino a giungere alle c.d. ordinanze
propulsive contenenti ordini di fare rivolti all’amministrazione, consistenti in ordini di provvedere in caso di
silenzio-inadempimento ovvero in ordini di rivedere provvedimenti negativi15).
Così la giurisprudenza aveva attuato, si ripete già prima delle legge n. 205 del 2000, direttamente gli
artt. 24 e 113 Cost. in funzione di una tutela piena degli interessi legittimi, trasformando la tutela cautelare
amministrativa «non più volta, come nell’originaria idea del legislatore, a svolgere un ruolo di mera
conservazione dello stato esistente prima dell’emanazione del provvedimento impugnato, bensì ad assicurare
le misure di volta in volta idonee a far fronte a ritardi che potrebbero rivelarsi irrimediabili, in specie
anticipando i contenuti non solo della decisione definitiva, ma anche della successiva attività rinnovatoria
della pubblica amministrazione ovvero quelli dell’eventuale giudizio di ottemperanza»16.
Lo stato di maggior sofferenza, allora, sembrava restare nell’ambito della giurisdizione esclusiva,
ossia nell’ambito in cui il giudice amministrativo si occupa anche di diritti soggettivi. Ma, anche in questo
ambito, ancor prima della legge n. 205 del 2000, la ridotta realtà normativa offerta dal’art. 21 legge TAR fu
superata nella prassi. La via fu aperta dalla Corte costituzionale, la quale, nell’ambito delle controversie
patrimoniali in materia di pubblico impiego, ammise la concessione di un provvedimento atipico da adeguare
all’esigenza di cautela del caso concreto17. A questa pronuncia seguì, poi, quella dell’adunanza plenaria del
Consiglio di Stato18, che, ampliando in termini generali i poteri cautelari del giudice amministrativo, anche in
considerazione appunto della sua giurisdizione esclusiva, affermò che «in applicazione dell’art. 21, ultimo
comma, l. n. 1034 del 1971, il giudice amministrativo è titolare del più ampio potere cautelare, anche quando
conosce di diritti di natura patrimoniale nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva». Affermazione questa
che portò all’altra, quella per cui il giudice amministrativo ha ogni potere cautelare che possa servire al caso
15
Queste ultime misure cautelari emergono nella prassi di vari tribunali regionali con le perplessità già prima indicate
nella nota 13. È appena il caso di rilevare come a fronte dei provvedimenti negativi dell’amministrazione non è detto
che la mera sospensione dell’efficacia giuridica (non solo dell’esecutorietà) del provvedimento basti a cautelare
l’interesse pretensivo. Non sempre la mera negazione (sospensione) della negazione (provvedimento negativo), può
attribuire al ricorrente in se sola una qualche utilità provvisoria. Qui, allora, la mera sospensione non basta, dovendosi
aggiungere qualcosa di più in positivo: da ciò l’ordine, la propulsione. Ecco perché la giurisprudenza prima della legge
n. 205 del 2000 era fortemente innovativa, andando, con l’elaborazione delle ordinanze propulsive, ben al di là dei
limiti intrinseci della misura sospensiva prevista dal previgente art. 21 della legge TAR.
16
Così GAROFALI, op. cit., 877-878.
17
Corte cost. 28 giugno 1985 n. 190, in Giur. It. 1985, I, 1, 1297, nella quale si statuì l’illegittimità dell’art. 21, ultimo
comma della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, alla luce degli articoli 3, 24 e 113 Cost., per non prevedere il potere del
giudice amministrativo di adottare, nelle controversie patrimoniali di pubblico impiego, sottoposte alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, i provvedimenti d’urgenza che appaiono secondo le circostanze più idonei ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito quando il ricorrente abbia fondato motivo di ritenere
che durante il tempo necessario alla pronunzia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente ed
irreparabile.
18
Vedi Cons. Stato (ord.) 30 marzo 2000 n. 1, in Guida al diritto 2000, fasc. 15, p. 92 ss. Un resoconto sul caso di
specie in QUERZOLA, op. cit., pp. 177-179.
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di specie, anche quando si trovi di fronte alla tutela di crediti pecuniari, situazione in cui ben egli può
disporre il pagamento anticipato delle somme di cui si tratta nella controversia.
Con la legge 205 del 2000, modificando l’art. 21, 7° comma, della legge TAR, recependo quanto
ormai era già prassi, viene attribuito al giudice amministrativo, sia nell’ambito della sua giurisdizione di
legittimità che in quella esclusiva, un potere cautelare a contenuto generico e atipico (sulla falsariga dell’art.
700 c.pc.)19, disponendo la norma: «Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e irreparabile derivante
dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte dell’amministrazione, durante il
tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa
l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare
interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il tribunale amministrativo regionale si pronuncia
sull’istanza con ordinanza emessa in camera di consiglio».
Ma quella legge, attribuendo un vasto ed atipico20 potere cautelare al giudice amministrativo non si
preoccupava di definirne i limiti, al fine di garantire la strumentalità della misura cautelare ed allo stesso
tempo evitare lo sconfinamento del giudice nell’area della discrezionalità della pubblica amministrazione.
Insomma, quella legge nulla diceva di esplicito in riferimento all’ammissibilità della prassi delle c.d.
ordinanze propulsive. Per cui, se l’atipicità della misura cautelare ivi prevista era un segnale di adesione a
quella prassi, tuttavia la legge non risolveva i dubbi intorno ai limiti di detta prassi che erano emersi in
dottrina ed in giurisprudenza.
Il d.lgs. 104 del 2010, sul riordino del processo amministrativo21, conferma la scelta e mi pare che il
suo art. 55, 1° comma, contenga una disposizione che ricalca quella precedente di cui al citato art. 21 della
legge TAR, così come modificato dalla legge n. 205 del 2000. In altri termini si può dire che la vera
evoluzione, dal punto di vista dei provvedimenti cautelari concedibili, sia avvenuta nella prassi prima del
2000 e poi sia stata recepita dal legislatore appunto nel 2000. Da questo punto di vista il Codice del 2010 ha
semplicemente recepito l’esistente.
Restano, allora, intatti i dubbi sui limiti del potere cautelare del giudice amministrativo, sia in ordine al
principio della separazione dei poteri sia in ordine all’esigenza di mantenere le possibili conseguenze della
misura cautelare nei limiti della sua funzione strumentale. Insomma, restano intatti i dubbi sull’ammissibilità
delle c.d. ordinanze propulsive. Ma, almeno a mio parere, sono dubbi superabili. Invero, se le perplessità del
19
Vedi, per tutti, GAROFALI, op. cit., 857 ss.; FOLLIERI, op. cit., 318; RAIMONDI, op. cit., 623.
20
L’atipicità del contenuto della misura cautelare non esclude certo che il ricorrente debba individuare la situazione
fatta valere ed il tipo di tutela che per essa si richiede, perché evidentemente sta a lui individuare l’oggetto del
processo strumentalmente al quale egli chiede la misura cautelare. Ma questo, però, non impone che il ricorrente
debba anche individuare specificamente il contenuto della misura richiesta e che il giudice possa pronunciarsi solo
nell’ambito di essa. A mio parere qui il giudice ha uno spazio di movimento, avendo come obiettivo quello di trovare la
misura idonea ad assicurare gli effetti della decisione di merito che si prevede come probabile.
21
Siamo di fronte ad un vero e proprio codice del processo amministrativo. Da ora lo indicherò semplicemente come
Codice.
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Consiglio di Stato22 stanno, non tanto nel bene della vita da attribuire in via cautelare quanto, piuttosto, nelle
modalità mediante le quali far avere all’interessato quello stesso bene della vita, mi sembra che il problema
sia di poco momento.
Facciamo l’esempio del diniego di un’autorizzazione. Impugnato il diniego, l’istante chiede un
provvedimento d’urgenza che cauteli il suo interesse durante il tempo necessario per ottenere il
riconoscimento definitivo della sua ragione. Seguendo la prassi in discussione, il tribunale potrebbe
concedere un provvedimento cautelare in cui si ordina all’amministrazione di concedere provvisoriamente la
detta autorizzazione. Coloro che contestano questa prassi non ammettono la formulazione di un ordine di
facere rivolto all’amministrazione, perché, essi dicono, così si darebbe in via cautelare più di quanto si può
dare nella decisione di merito.
Qui a me sembra del tutto ragionevole quanto già affermato da altri, che ha rilevato come si debba
stare attenti ad individuare gli effetti della decisione di merito di accoglimento: «Non vi è dubbio che tale
pronuncia definitiva, oltre a caducare il diniego per effetto degli acclarati profili di illegittimità
procedimentale e sostanziale, implica anche il dovere dell’Autorità amministrativa di porre in essere la
necessaria attività rinnovatoria, riesaminando l’originaria istanza di adozione dell’atto ampliativo nel
rispetto, ovviamente, delle indicazioni desumibili dalla pregressa decisione del giudice amministrativo ed
evitando, quindi, di incorrere nuovamente nel vizio il cui riscontro processuale ha determinato
l’annullamento del precedente diniego. Rispetto a tale portata effettuale della decisione definitiva non
sembra assumere un contenuto esorbitante la misura cautelare che, riscontrato e dichiarato un profilo di
ritenuta illegittimità del provvedimento amministrativo di diniego, invita l’Amministrazione a pronunciarsi
nuovamente sull’originaria istanza volta al rilascio del provvedimento ampliativo, giungendo ad imporre
l’adozione dello stesso allorché manchino ulteriori ragioni ostative, diverse da quelle estrinsecate nell’atto
negativo sospeso: anche in quest’ultimo caso, infatti, il giudice, senza in alcun modo invadere l’area riservata
all’amministrazione, in testa alla quale ben possono residuare spazi di autonoma e discrezionale valutazione,
si limita a dichiarare, con l’invito ad una rimeditata riedizione del potere, un dovere comportamentale che, in
quanto automaticamente proprio della sentenza di merito, ben può essere ricondotto, naturalmente in via
anticipata e provvisoria, alla strumentale e servente misura cautelare»23.
Insomma, se in caso di vittoria il ricorrente otterrebbe, non solo l’annullamento del diniego, ma anche
l’insorgere di un dovere di conformazione in capo all’amministrazione, che, in mancanza di spazi di
discrezionalità nel caso di specie24, ben dovrebbe concedere il provvedimento in origine negato, la misura
cautelare avente come contenuto un ordine di provvedere in via provvisoria avrebbe effetti circoscrivibili
22
Sulle quali vedi GAROFALI, op. cit., 883, che cita un’ordinanza del 30 maggio 2000 n. 2586.
23
GAROFALI, op. cit., 884-885.
24
Ovviamente, se nel caso vi sono spazi di discrezionalità dell’amministrazione, il discorso cambia, perché
evidentemente qui emerge la necessità di rispettare il principio della separazione dei poteri tra giurisdizione ed
amministrazione.
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nell’ambito della futura decisione di merito, in ipotesi favorevole all’istante25, pronta a cadere, con tutte le
conseguenze, in caso di esito infausto della causa di merito. Ed, allora, la prassi delle ordinanze propulsive
non ha niente di inammissibile.
Né si può dire che le ordinanze propulsive darebbero un assetto sostanzialmente definitivo alla
situazione, contraddicendo la necessaria provvisorietà della misura cautelare e così usurpando ciò che spetta
alla decisione di merito. Invero il provvedimento adottato dall’amministrazione in ottemperanza all’ordine
cautelare del giudice non può che essere “precario”, essendo esso destinato a cadere nell’eventualità di un
successivo rigetto del ricorso in merito26. E lo stesso deve valere nelle c.d. ammissioni con riserva: se
l’istante è, in via cautelare, ammesso con riserva ad un esame o ad un concorso, ove il ricorso sia rigettato
nel merito, cadendo con ciò il provvedimento cautelare, devono cadere anche tutti gli atti conseguenti. Se
così non fosse si contraddirebbe la strumentalità e, quindi, la necessaria provvisorietà della tutela cautelare27.
A meno che la legge non crei esplicitamente degli strumenti in cui il nesso di strumentalità in qualche misura
cade. Si legga a tal proposito il comma 2-bis dell’art. 4 della legge 17 agosto 2005 n. 168, ai sensi del quale:
«Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in
possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste
dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della
commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». Insomma, se un
aspirante avvocato è ammesso in via cautelare a sostenere gli orali, a cui la commissione non lo aveva
ammesso, e viene promosso, l’eventuale rigetto nel merito del ricorso giurisdizionale non gli sottrae la
promozione28.
Una norma del genere rasenta l’assurdo, probabilmente in nome di un malinteso senso di tutela
dell’affidamento. E male ha fatto la Corte costituzionale29 a salvare una disposizione del genere, perché,
incentrandosi sulla ragionevolezza di una asimmetria di poteri processuali tra il cittadino e l’amministrazione
25
Per essere chiari: come la sentenza di accoglimento annulla il diniego e fonda un dovere di conformazione
dell’amministrazione, lo stesso effetto può avere la misura cautelare anticipatoria. Questa, quindi, anticipa gli effetti
della sentenza di merito (probabile), ma non anticipa il provvedimento amministrativo che l’amministrazione dovrà
adottare dopo la sconfitta in giudizio. In altri termini, il giudice della cautela non può dare in via provvisoria
l’autorizzazione, ma solo, ritenendo in via provvisoria l’illegittimità del diniego, ordinare all’amministrazione la
concessione in via provvisoria dell’autorizzazione.
26
Nello stesso senso condivisibilmente GAROFALI, op. cit., 887 ss. Altro è che l’amministrazione si convinca di avere
torto e conceda, in via di autotutela, quel provvedimento che prima aveva negato. In tal caso, non fondandosi la
determinazione dell’amministrazione sull’ordine cautelare, ma su una sua propria rivalutazione del potere
amministrativo, il nuovo atto, superando il primo diniego impugnato di fronte al giudice amministrativo, rappresenta
una sopravvenuta ragione di cessazione della materia del contendere nel giudizio di merito.
27
Così giustamente TRAVI, op. ult. cit., 175.
28
Esempio ripreso in FOLLIERI, op. cit., 321, il quale riferisce di analoga giurisprudenza in ordine ad altre ammissioni
con riserva.
29
Corte cost. 9 aprile 2009 n. 108, in Giur. Cost. 2009, 1057 e in Foro it. 2009, I, 1649.
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e, quindi, sulla tutela della certezza dei rapporti giuridici e dell’affidamento del cittadino, ha perso di vista il
vero punto che era ed è in gioco, ossia il concetto stesso e la funzione della tutela cautelare nel sistema.
Invero, la tutela cautelare porta sempre con sé una situazione di provvisorietà e precarietà ed essa è destinata
ad essere superata dalla sentenza di merito e, quindi, a cadere se la situazione giuridica a cautela della quale
essa è stata concessa si rivela insussistente. Perfino i provvedimenti anticipatori a strumentalità attenuata di
cui oggi è traccia nella disciplina del codice di procedura civile non vengono meno a questo principio. È vero
che alla loro concessione può non seguire l’instaurazione della causa di merito. Ma è anche vero che la loro
efficacia non può mai stabilizzarsi, essendo sempre possibile che la regola in essi stabilita sia superata
successivamente nell’ambito di un processo dichiarativo sulla stessa situazione giuridica cautelata.
In altri e definitivi termini, ammettere che un provvedimento cautelare, che nasce al solo fine di
assicurare provvisoriamente gli effetti della probabile (al momento) decisione nel merito, non sia superabile
a causa della sentenza che poi nega la ragione a colui che l’ha ottenuto significa vulnerare la posizione
giuridica della controparte e l’effettività del suo diritto di difesa.
Oggi possiamo dire che lo spettro della tutela cautelare nella giustizia amministrativa è piuttosto
ampio. Insomma, anche in questo ambito possiamo dire che la tutela cautelare svolge pienamente il suo
ruolo di garantire l’effettività della tutela dichiarativa, sia questa rivolta alla tutela di diritti soggettivi30 o alla
tutela di interessi legittimi. Ed anche in questo ambito, vista la funzione della tutela cautelare, si ripropone
per l’istante la necessità di provare i due classici presupposti della tutela cautelare. Sia il c.d. periculum in
mora, richiamato dal primo comma dell’art. 55 del Codice, quando si prevede che il ricorrente debba allegare
«un pregiudizio grave ed irreparabile31 durante il tempo necessario a giungere alla decisione di merito», sia il
30
Si tenga presente che, recependo la posizione precedente della Corte di cassazione, oggi il Codice attribuisce alla
giurisdizione del giudice amministrativo anche le controversie in materia di risarcimento del danno da lesione degli
interessi legittimi (articoli 7 e 30), ancorché esse siano instaurate a prescindere dall’esercizio dell’azione
d’impugnativa avverso il provvedimento amministrativo. Ma, la cosa singolare è che queste controversie sono
attribuite alla giurisdizione, non esclusiva, bensì di legittimità del giudice amministrativo (vedi il comma 4 dell’art. 7),
partendo dal presupposto che qui la situazione giuridica azionata non sia un diritto soggettivo, ma l’interesse
legittimo. Insomma in queste norme emerge l’idea, sostenuta in precedenza dalla Corte di cassazione, secondo la
quale la pretesa risarcitoria sarebbe solo una forma di tutela dell’interesse legittimo e non un diritto soggettivo. Su
quanto a me non sembri corretta questa idea vedi, se vuoi, BOVE, Il principio della ragionevole durata del processo
nella giurisprudenza della Corte di cassazione, Napoli 2010, pp. 55 ss.
31
“Irreparabilità” che non va intesa allo stesso modo in cui la si intende tradizionalmente nell’interpretazione dell’art.
700 c.p.c., ma, se così possiamo dire, in modo più elastico. Invero, già la previsione per cui il giudice amministrativo
può, fra l’altro, ingiungere di pagare una somma in via provvisoria fa ritenere che quella “irreparabilità” vada vista in
termini poco rigidi, se è vero che in riferimento alle obbligazioni a contenuto pecuniario un’irreparabilità del danno è
concepibile in casi molto rari, ossia solo quando esse abbiano una funzione alimentare. Sul punto vedi già all’indomani
dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 RICCI, op. cit., pp. 304 ss. Del resto, che quella “irreparabilità” sia da
vedere nell’ambito della giustizia amministrativa in termini elastici emerge anche dalla previsione del secondo comma
dell’art. 55 del Codice, perché se il venire in gioco di diritti fondamentali della persona rileva, non tanto per concepire
la concessione di una misura cautelare in presenza di un pregiudizio grave ed irreparabile, quanto solo per stabilire
eventualmente di subordinare la concessione della misura al pagamento di una cauzione, evidentemente il legislatore
ritiene ammissibile la concessione di detta misura anche a fronte di un interesse non essenziale della persona, ossia in
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c.d. fumus boni iuris, la cui essenzialità, se si ricava dalla logica stessa della tutela cautelare, è prevista,
ancorché in modo meno perspicuo e direi ambiguo, come condizione per la concessione del provvedimento,
quando nell’art. 55, 9° comma, del Codice, anche qui riprendendo quanto già contenuto nel citato art. 21
legge TAR dopo la legge n. 205 del 200032, si dice: «L’ordinanza cautelare motiva in ordine alla valutazione
del pregiudizio allegato e indica i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole
previsione sull’esito del ricorso», dovendo intendersi questa disposizione nel senso che intanto il giudice
amministrativo può concedere la misura cautelare richiesta in quanto è verosimile che il ricorso sia accolto,
non avendo alcun senso la concessione della tutela cautelare a cautela di una situazione giuridica che non ha
neanche la probabilità di esistere.
A questo punto il processo di avvicinamento della giustizia amministrativa a quella civile è assai
avanzato, ancorché permangano delle differenze.
La prima differenza evidente sta in ciò che, se il provvedimento cautelare concedibile nell’ambito
della giustizia amministrativa è rivolto al fine di assicurare gli effetti della decisione sul ricorso,
evidentemente non sono qui concepibili provvedimenti volti ad assicurare la completezza dell’istruttoria,
ossia quelli che nel codice di procedura civile sono indicati come procedimenti di istruzione preventiva agli
articoli 692 ss., situazione questa che potrebbe essere vista con qualche sospetto di costituzionalità alla luce
dell’effettività del diritto di azione33.
La seconda differenza, meno evidente, ma tendenzialmente condivisa, sta nel rilievo per cui
nell’ambito del potere cautelare atipico del giudice amministrativo non sembra rientrare anche il potere di
concedere misure analoghe a quelle che tipicamente il codice di procedura civile disciplina agli articoli 670 e
67134. Ciò per svariate ragioni, tra le quali ne emergono due. La prima: l’idea che il provvedimento cautelare
del giudice amministrativo tenda, più che a conservare una situazione al fine di garantire la fruttuosità di una
futura attuazione forzata della decisione, piuttosto ad anticipare gli effetti della decisione di merito. La
seconda: l’idea che il rischio della futura insolvenza dell’amministrazione ovvero della distruzione o
alienazione del bene in contesa sempre da parte della parte pubblica possa essere più teorico che reale. Ma,
francamente quanto queste due argomentazioni siano deboli non credo che si possa non vedere.
L’ultima differenza che resta, e che emergerà anche nel prosieguo del discorso, sta nel fatto che
nell’ambito della giustizia amministrativa non è prevista la distinzione, divenuta centrale nell’ambito della
giustizia civile, tra tutela cautelare di tipo conservativo, a stretta strumentalità, e tutela cautelare di tipo
anticipatorio, caratterizzata dalla c.d. strumentalità attenuata. Quand’anche, nell’ambito della giustizia
presenza di una situazione che, se si dovesse richiamare l’interpretazione tradizionale dell’art. 700 c.p.c., non
potrebbe mai subire interinalmente un pregiudizio “irreparabile”, tale da giustificare la concessione del
provvedimento cautelare.
32
Sulla esplicitazione della condizione del fumus boni iuris nella legge n. 205 del 2000 vedi GAROFALI, op. cit., p. 862.
33
Così RICCI, op. cit., pp. 281, 283, all’indomani della legge n. 205 del 2000. Ma il rilievo vale anche oggi alla luce
dell’entrata in vigore del Codice.
34
Così ancora RICCI, op. cit., pp. 281-283.
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amministrativa, si possa prefigurare un provvedimento cautelare a contenuto anticipatorio (tipico è quello
consistente nell’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria), ossia tale per cui in sede cautelare si
ottiene un provvedimento che ha un contenuto analogo a quello che sarà, in caso di vittoria dell’attore, il
contenuto della decisione di merito35, concedibile, come vedremo essere oggi possibile, prima
dell’instaurazione del processo di merito, nell’ambito di essa, tuttavia, la tutela cautelare a strumentalità
attenuata non è prevista, dovendosi sempre instaurare la causa di merito. Ma, allora, nell’ambito della
giustizia amministrativa non si pone né il problema della concedibilità di provvedimenti che, per essere a
contenuto assicurativo, tale da disciplinare in via provvisoria la situazione controversa, impartendo ordini,
divieti, limitazione di poteri, sospensione degli effetti di un atto, ecc., pongono una norma concreta della
situazione litigiosa non propriamente coincidente con quella che sarà, in ipotesi, la norma concreta che porrà
la sentenza di merito36, né, tantomeno, il problema di una loro possibile sopravvivenza rebus sic stantibus
senza l’instaurazione del processo di merito37, perché, si ripete, se anche essi sono stati ottenuti ante causam,
il Codice del processo amministrativo, a differenza del codice di procedura civile, non prevede alcuna
possibilità che al provvedimento cautelare non segua l’instaurazione della causa di merito. In ultima analisi,
l’ampia formulazione della legge consente al giudice amministrativo di plasmare il contenuto della tutela
cautelare richiesta alla situazione concreta, ossia al tipo di periculum in mora che nel caso emerge.
Riprendendo i concetti e la terminologia tradizionale tipicamente utilizzati in riferimento al processo civile, il
giudice, pronunciando un provvedimento cautelare che è sempre strettamente strumentale ad un processo
dichiarativo, sia questo già pendente o meno, può dare ad esso un contenuto sia di tipo squisitamente
conservativo, sia di tipo squisitamente anticipatorio, sia, infine, di tipo assicurativo, che, nel linguaggio del
processualcivilisti, indica quel peculiare provvedimento cautelare che al momento (zur Zeit) soddisfa
l’istante, dando una regola provvisoria alla situazione litigiosa.
35
Ed, anzi, a detta di certa dottrina i provvedimenti “assicurativi” ottenibili dal giudice amministrativo sarebbero
essenzialmente di tipo anticipatorio, piuttosto che conservativo: vedi RICCI, op. cit., pp. 284-285, in riferimento al
previgente testo dell’art. 21, 7° comma, legge TAR, con argomenti che valgono anche a fronte dell’attuale art. 55 del
Codice (Ricci ricava l’assunto essenzialmente dal rilievo per cui la detta norma avrebbe in sostanza recepito lo
strumento disciplinato nell’art. 700 c.p.c., sul presupposto che detto strumento si riferisce esclusivamente ad una
tutela cautelare di tipo appunto anticipatorio).
36
In fondo si tratta di provvedimenti a metà strada tra una pura cautela conservativa ed una pura cautela
anticipatoria. Mi sembra quindi un po’ rigida la posizione di RICCI, op. cit., pp. 285-286, il quale, riprendendo sul punto
la dottrina tradizionale in materia di art. 700 c.p.c., afferma che nel processo amministrativo la tutela cautelare
anticipatoria non possa dare niente di più e di diverso da quello che si potrebbe ottenere in sede di merito. Piuttosto è
vero che un provvedimento di tipo “assicurativo” può avere solo un’efficacia precaria e temporanea.
37
Sul punto si discute. Vedi, se vuoi, una sintesi in BOVE, Evitare il processo?, in Il giusto processo civile2008, pp. 61
ss., in partic. pp. 74-75. A mio parere i c.d. provvedimenti assicurativi non possono essere assoggettati alla disciplina
della strumentalità attenuata quantomeno perché, se così fosse, potrebbero sopravvivere senza limiti di tempo assetti
di interessi non contemplati dalla legge sostanziale, che solo momentaneamente è dato al giudice di approntare.
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2. La grande ed importante novità del Codice sta nell’aver previsto la possibilità di concedere la tutela
cautelare anche ante causam, ossia prima dell’instaurazione del processo di merito, possibilità questa che
non era data prima, neanche a seguito della legge n. 205 del 200038, ancorché questa legge sia stata
fortemente innovativa, essendo emersa solo successivamente e settorialmente nell’art. 245 del Codice dei
contratti pubblici. Tuttavia, come vedremo, l’idea di fondo che emerge nel Codice resta quella per cui la
tutela cautelare è intimamente legata al giudizio di merito, non solo nel senso che il giudice della cautela è
quello stesso giudice che è competente per il merito39, ma più specificamente nel senso che non si dà tutela
cautelare a prescindere dal processo dichiarativo strumentalmente al quale essa è concessa, secondo una
logica di strettissima strumentalità. È vero che, come vedremo, la misura cautelare è ottenibile anche ante
causam, ma è anche vero che, per un verso, essa non può sopravvivere se non viene immediatamente
instaurato il relativo processo dichiarativo e, per altro verso, essa deve essere confermata dal collegio che si
occupa del merito, altrimenti decade.
Il procedimento diciamo così “ordinario” prevede che la tutela cautelare sia chiesta e concessa in corso
di causa dal collegio. Il Codice, superando l’assetto legislativo precedente, disciplina anche la forma della
domanda cautelare, specificando che il ricorrente possa presentarla nello stesso ricorso con cui introduce la
causa o con distinto ricorso notificato alle altre parti (art. 55, 3° comma)40. Il tribunale si pronuncia
sull’istanza in presenza delle seguenti condizioni:
a) che sia stata presentata istanza di fissazione dell’udienza di merito41, salvo che questa non debba
essere fissata d’ufficio (art. 55, 4° comma)42;
b) che siano decorsi 20 giorni dal perfezionamento dell’ultima notificazione, anche per il destinatario,
ed almeno 10 giorni dal deposito del ricorso (art. 55, 5° comma);
38
All’indomani dell’entrata in vigore della citata legge GAROFALI, op. cit., p. 863 rilevava che il legislatore, se aveva
introdotto la possibilità di una tutela cautelare monocratica, non aveva tuttavia intaccato «l’assunto della non
esportabilità nel processo amministrativo di una tutela cautelare preventiva o ante causam».
39
Idea questa propria anche del codice di procedura civile.
40
Ma in ciò la legge recepisce quanto già prima si sosteneva (cfr. FOLLIERI, op. cit., 324), anche se poteva capitare che
alcuni giudici decidessero sulla domanda cautelare senza che fosse stata presentata istanza di fissazione dell’udienza
(così FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, Roma 2010, 206, in cui si rileva: «Ciò comportava la
possibilità che, ove tale istanza non fosse presentata neanche in un secondo momento, permanessero gli effetti di una
sospensiva eventualmente accolta fino alla dichiarazione di perenzione del ricorso, che non poteva comunque essere
portato in udienza per essere deciso nel merito»).
41
42
Sulla quale vedi l’art. 71 del Codice
Qui, attuando la delega (art. 44, 2° comma, sub lett. f) n. 1 della legge n. 69 del 2009, nel quale, attribuendo al
Governo il compito di riordinare la tutela cautelare gli si imponeva di prevedere che «la domanda di tutela interinale
non può essere trattata fino a quando il ricorrente non presenta istanza di fissazione di udienza per la trattazione del
merito»), si risolve un contrasto giurisprudenziale, perché si discuteva se l’omessa istanza di fissazione dell’udienza di
discussione per il merito, impedendo l’esame del ricorso nel merito, precludesse o meno l’esame dell’istanza
cautelare.
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c) che il giudice si ritenga competente (art. 55, 13° comma)43.
Il collegio si pronuncia sulla domanda cautelare avendo presenti memorie e documenti depositati fino
a due giorni prima della camera di consiglio (art. 55, 5° comma, ultimo inciso) ed anche documenti (ma non
memorie) che siano depositati nella stessa camera di consiglio con consegna di copie alle altre parti fino
all’inizio della discussione, se a ciò vi è l’autorizzazione del collegio “per gravi ed eccezionali ragioni” (art.
55, 8° comma)44. Peraltro, si tenga presente che in sede cautelare il giudice non deve svolgere una cognizione
piena, dovendosi accontentare solo del fumus boni iuris, ed infatti l’art. 55, 7° comma dice che la trattazione
si “svolge oralmente ed in modo sintetico”. Va, quindi, preso col classico grano di sale il disposto dell’art.
55, 12° comma, in virtù del quale in sede di esame della domanda cautelare «il collegio adotta, su istanza di
parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria e l’integrità del
contraddittorio». Una cosa è l’ovvia necessità di assicurare l’integrità del contraddittorio. Altro è assicurare
la completezza dell’istruttoria, esigenza questa che, se è imprescindibile al fine di decidere la causa nel
merito, va presa in modo più elastico al fine di decidere sulla domanda cautelare, per la quale non conta
l’accertamento della situazione giuridica soggettiva (diritto soggettivo o interesse legittimo), ma solo la sua
probabilità, il fumus appunto.
Tuttavia, la pronuncia del provvedimento cautelare presuppone un contraddittorio effettivo in termini
di eventualità, nel momento in cui l’art. 55, 7° comma, riprendendo quanto già era previsto nell’art. 21 della
legge TAR, così come modificato dalla legge n. 205 del 2000, dice che i difensori delle parti sono sentiti
nella camera di consiglio ove ne facciano richiesta, disposizione questa discutibile e che, comunque, va
interpretata almeno nel senso che basta anche la richiesta di uno dei difensori, non essendo necessaria una
richiesta concorde di entrambi45.
Sulla domanda cautelare il tribunale, sia che la rigetti sia che la accolga, decide con ordinanza (art. 33,
1° comma, lett. b) e art. 55). Vediamo il contenuto di questo provvedimento, distinguendo tra elementi
necessari ed elementi eventuali.
L’ordinanza deve necessariamente contenere la motivazione, elemento che, se era già previsto nel
previgente art. 21 della legge TAR, è ora indicato nell’art. 55, 9° comma del Codice. Alcuni46 invocano qui,
come fondamento dell’obbligo di motivazione, anche l’art. 3, 1° comma del Codice, il quale prevede che
ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato. Ma si potrebbe dubitare del fatto che il provvedimento
cautelare sia un provvedimento decisorio, essendo esso sommario e precario47. Tuttavia la questione risulta
43
Sulla questione di competenza vedi infra nel paragrafo 5.
44
Insomma, per chi si costituisce solo alla camera di consiglio ci sarà certamente la possibilità di essere ascoltato, ma
non anche la possibilità di depositare memorie. Mi sembra, invece, che resti uno spazio per essere ammessi a
depositare documenti ove il collegio ritenga che vi siano le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui parla il comma 8.
45
Sul punto, in relazione al precedente art. 21 della legge TAR, vedi QUERZOLA, op. cit., pp. 184-185.
46
FORLENZA, Procedimento cautelare, in Guida al diritto 2010, fasc. 32, 68 ss., spec. 71.
47
Per queste ragioni tradizionalmente si nega al provvedimento cautelare, anche quello a contenuto anticipatorio, la
qualifica della decisorietà: vedi LIEBMAN, Unità del procedimento cautelare, in Riv. dir. Proc. Civ. 1954, I, 248 ss., spec.
251-252; TOMMASEO, I provvedimenti d’urgenza, Padova 1983, 147 ss., il quale, partendo dall’osservazione che è
decisorio «non tanto il provvedimento che incide su diritti, ma il provvedimento che incide su questi diritti nell’ambito
di un accertamento – comunque eseguito - di una concreta volontà di legge, diretto a rendere incontestabile e
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solo teorica, perché l’ordinanza cautelare va certamente motivata sia perché lo dice esplicitamente il citato
comma 9 dell’art. 55 sia perché altrimenti a ciò si sarebbe dovuti arrivare quantomeno in applicazione
dell’art. 134 c.p.c., posta la previsione dell’art. 39 del Codice, in virtù del quale per «quanto non disciplinato
dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o
espressione di principi generali», che richiama quanto già era contenuto nell’art. 44 della legge delega (la n.
69/2009), nel quale si ricordava che le norme del c.p.c. sono “espressione di principi generali” con i quali il
Codice del processo amministrativo deve confrontarsi ed ai quali le norme di questo devono coordinarsi.
Ovviamente il tribunale deve motivare sia sul fumus boni iuris sia sul periculum in mora, ossia sulla
probabilità dell’accoglimento del ricorso, ossia della fondatezza della domanda di merito, e sul pericolo di
grave e irreparabile pregiudizio.
Altro contenuto essenziale dell’ordinanza, sia che la domanda cautelare venga accolta sia che essa
venga respinta, attiene alla pronuncia sulle spese. A tal proposito l’art. 57 dispone: «Con l’ordinanza che
decide sulla domanda il giudice provvede sulle spese della fase cautelare. La pronuncia sulle spese conserva
efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza».
Questa previsione rappresenta una novità, perché nel previgente art. 21 legge TAR era prevista, non
l’obbligatorietà, ma solo la possibilità di una pronuncia “provvisoria” sulle spese del procedimento cautelare
e solo in caso di rigetto della domanda cautelare (nel merito o in rito, per improcedibilità o irricevibilità),
previsione che poteva suscitare anche qualche dubbio di legittimità costituzionale48.
Quanto, poi, al possibile contenuto della pronuncia sulle spese si deve rinviare all’art. 26 del Codice ai
sensi del quale il giudice amministrativo deve provvedere sulle spese secondo gli articoli 91 ss. del codice di
procedura civile.
La previsione contenuta nel citato art. 57 si allontana da quanto è stabilito nel codice di procedura
civile, nell’ambito del quale il provvedimento assunto in corso di causa sulla domanda cautelare non si
occupa delle spese, occupandosene, al contrario, solo il provvedimento pronunciato ante causam, ma
unicamente se: a) è un provvedimento di rigetto della domanda cautelare (art. 669-septies, 2° comma) o b) è
un provvedimento di accoglimento che concede una cautela anticipatoria a strumentalità attenuata (art. 669-
vincolante il giudizio così operato dall’organo giurisdizionale», arriva a dire, in relazione ai provvedimenti d’urgenza,
che la loro disciplina normativa «mostra come dato incontestabile che essi sono privi dell’attitudine a divenire
immutabili e quindi di quella condizione necessaria per riconoscere in essi un carattere decisorio», op. cit., 152-153.
Discorso questo che non è intaccato dalla successiva introduzione della c.d. strumentalità attenuata in riferimento ai
provvedimenti cautelari anticipatori. Ma spesso la giurisprudenza è andata di diverso avviso.
48
La norma era aspramente criticata in dottrina, per la quale vedi FOLLIERI, op. cit., 336. Sui dubbi di legittimità
costituzionale la Corte Cost. 23 ottobre 2009 n. 265, in Foro it. 2009, I, 3269 aveva concluso per l’infondatezza della
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 cost. dell’art. 21, comma 11, della legge n.
1034/1971, così come modificato dalla legge n. 205 del 2000, nella parte in cui non prevedeva che con l’ordinanza di
accoglimento della domanda cautelare il giudice potesse provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento
cautelare medesimo. Infatti, diceva la Consulta, la norma censurata, mirando a disincentivare un ricorso
indiscriminato alla tutela cautelare, costituendo una remora a domande cautelari palesemente infondate, appare il
frutto dell’esercizio non irragionevole della discrezionalità di cui gode il legislatore ordinario nel configurare gli istituti
processuali, dovendosi altresì escludere la lesione del diritto di difesa, poiché la parte privata vittoriosa nella fase
cautelare ben può ottenere il rimborso delle spese relative a questa fase ove risulti vittoriosa nel merito.
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octies, 7° comma). Insomma nel processo civile la definizione delle spese per il solo procedimento cautelare
avviene unicamente nell’eventualità che non sia certa la celebrazione del processo sul merito della causa,
perché in caso contrario le spese vengono definite una volta per tutte (comprendendo anche il procedimento
cautelare) nell’ambito della decisione che statuisce sulla causa di merito.
Al contrario, evidentemente, nel processo amministrativo la questione delle spese viene vista in modo
autonomo per il procedimento cautelare: comunque esse vanno liquidate e separate dalle spese che
interesseranno la causa di merito; se poi nella decisione sul merito del ricorso si vorrà tornare su quanto
deciso in fase cautelare lo si potrà fare, ma ciò andrà esplicitato. Invero, il citato art. 57 prevede chiaramente
che la pronuncia sulla spese assunta in sede cautelare non è travolta dalla decisione nel merito, aggiungendo
che questa può diversamente statuire: deve, quindi, essere una scelta esplicita.
Passando ora agli elementi non necessari, si parta col considerarne uno che è legato ad un solo esito
della domanda cautelare. Se questa è accolta, nell’ordinanza il giudice deve fissare la data dell’udienza per la
discussione nel merito del ricorso; se questa fissazione non è contenuta nell’ordinanza, ove essa sia appellata,
il Consiglio di Stato, se conferma il provvedimento cautelare, dispone che il TAR fissi la detta udienza (art.
55, 11° comma, in cui si aggiunge che a tal fine l’ordinanza è trasmessa al primo giudice a cura della
segreteria). Questa previsione rappresenta una novità perché il previgente l’art. 21 Legge TAR si limitava a
disporre: «L’ordinanza del tribunale amministrativo regionale di accoglimento della richiesta cautelare
comporta priorità nella fissazione della data di trattazione del ricorso nel merito», disposizione che
evidentemente non era ritenuta sufficiente, ancorché essa pur avesse lo scopo di accelerare la definizione del
processo di merito nel cui ambito fosse stata concessa la misura cautelare49. Del resto nella delega (art. 44, 2°
comma, sub lett. f) n. 3, legge n. 69/2009) era attribuito al Governo, nel riordino della tutela cautelare
nell’ambito del processo amministrativo, il compito di prevedere che «nel caso di accoglimento della
domanda cautelare, l’istanza di fissazione di udienza non può essere revocata e l’udienza di merito è
celebrata entro il termine di un anno». Qui emergeva un’esigenza di (una più) celere definizione in merito
dei ricorsi in riferimento ai quali sia stata accolta una connessa e strumentale domanda cautelare. Tuttavia,
non mi sembra che il Governo abbia del tutto attuato la delega, che era molto precisa nel riferimento
temporale.
La concessione o il diniego della misura cautelare può, poi, essere subordinata alla prestazione di una
cauzione, ai sensi dell’art. 55, 2° comma, del Codice, che, rispetto al previgente art. 21 legge TAR così come
modificato dalla legge n. 205 del 200050, contiene solo precisazioni formali. La detta disposizione del Codice
così recita: «Qualora dalla decisione51 sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, il collegio può
disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione o il
diniego della misura cautelare. La concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata
a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di
49
Cfr. QUERZOLA, op. cit., p. 185.
50
Sul quale vedi riassuntivamente FOLLIERI, op. cit., 331.
51
L’art. 21 della legge TAR specificava: “dall’esecuzione del provvedimento cautelare”.
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primario rilievo costituzionale52. Il provvedimento che impone la cauzione ne indica l’oggetto, il modo di
prestarla e il termine entro cui la prestazione va eseguita»53.
Essendo cambiato ben poco rispetto a prima, mi sembra che possano qui richiamarsi i rilievi che la
dottrina aveva già espresso a fronte della norma precedente54. Vorrei solo aggiungere che il concetto di
irreversibilità qui va assunto in riferimento ad una situazione di fatto e non agli effetti giuridici, sul cui piano
la misura cautelare, tranne casi eccezionali, non può che mantenere il suo carattere di provvisorietà. A tal
proposito si faccia l’esempio banale della sospensione del diniego di autorizzazione per una manifestazione
di piazza da tenersi un certo giorno: se è vero che, ottenuta la sospensiva, quando giungerà la decisione di
merito ormai la manifestazione sarà stata svolta, è anche vero, però, che la decisione sulla correttezza del
diniego potrà sempre avere effetti giuridici, magari sul piano risarcitorio, per cui anche in questo caso il
provvedimento cautelare sarà giuridicamente travolto dalla sopravvenienza del rigetto della domanda in
merito. Insomma, se la previsione di una possibile cauzione dovesse operare solo nel caso di effetti giuridici
irreversibili, praticamente essa non opererebbe quasi mai.
All’enunciazione di questi principi procedurali generali, devono però seguire precisazioni in ordine ad
esiti particolari.
Il primo emerge dal comma 10 dell’art. 55, il quale dice che il giudice «in sede cautelare, se ritiene che
le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita
definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data di discussione del ricorso nel
merito». Sembra55 che questo comma non comporti la pronuncia di un provvedimento cautelare, ma la
rinuncia ad esso in cambio di una più sollecita fissazione dell’udienza per il merito. In pratica, a detta di
alcuni56, qui si canonizzerebbe una prassi: quella per cui, giunti alla camera di consiglio, le parti d’accordo
rinunciano a trattare della tutela cautelare per ottenere in cambio la fissazione a breve dell’udienza per il
merito. Tuttavia, nel comma 10 dell’art. 55 non c’è traccia di richieste di parte o di loro accordi, sembrando
piuttosto che il meccanismo operi d’ufficio se ci sono i presupposti. Quali siano poi questi presupposti è un
mistero: sembra di capire che essi stanno nel fatto che il giudice si fa l’idea che le esigenze del ricorrente
siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel
merito. Ma che significa precisamente ciò? Che il giudice pensa che il ricorso sia fondato? O che egli pensa
che le esigenze cautelari siano evidenti?
Residua, poi, il problema del non chiaro rapporto tra questa disposizione e l’art. 60 del Codice, sul
quale torneremo tra breve.
52
L’art. 21 della legge TAR parlava di “interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità
dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale”, ma praticamente siamo di fronte a norme che
hanno lo stesso contenuto precettivo!
53
Questa precisazione non era fatta nell’art. 21 ndella legge TAR, ma erano disposizioni che comunque il giudice
doveva assumere.
54
Vedi per tutti FOLLIERI, op. cit., 331 ss., con particolare riguardo alla possibilità che la cauzione operi come
condizione sospensiva ovvero risolutiva della concessione del provvedimento cautelare ovvero del suo rifiuto.
55
Sul punto si veda FORLENZA, op. cit., 72.
56
Vedi sempre FORLENZA, loc. ult. cit.
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Per il resto è possibile che la domanda cautelare sia:
a) rigettata,
b) non decisa perché la fase cautelare si trasforma in fase di decisione nel merito ai sensi dell’art. 60
del Codice,
c) non decisa nel merito per problemi di competenza.
3. Il Codice si occupa esplicitamente del rigetto della domanda cautelare nell’art. 61, 4° comma,
nell’ambito della procedura ante causam. Rinviando ad un momento successivo l’analisi di questa
disposizione e riferendoci per ora solo all’esito negativo di fronte al collegio, si deve rilevare come non vi sia
un’esplicita disciplina dell’ordinanza di rigetto della domanda cautelare, ma solo accenni impliciti. Il primo
emergente dal comma 1 dell’art. 58, in cui si stabilisce che le parti possono riproporre la domanda cautelare
al collegio, evidentemente riferendosi ad un esito negativo della prima domanda, «se si verificano mutamenti
nelle circostanze o si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al
provvedimento cautelare», caso quest’ultimo in cui l’istante deve fornire la prova del momento dell’acquisita
conoscenza. Il secondo emergente dal comma 1 dell’art. 62, in cui si dice che l’appello al Consiglio di Stato
è ammesso contro “le ordinanze cautelari”, con ciò facendo apparire, o almeno così sembra, che
l’impugnazione sia ammessa solo nel caso che il collegio abbia concesso la misura cautelare.
Dal primo punto di vista la disciplina dell’ordinanza di rigetto della domanda cautelare è equiparata
alla disciplina della revoca e della modifica di una misura cautelare concessa, in ciò assumendo una scelta
diversa rispetto alla parallela disciplina contenuta nel codice di procedura civile. In questo le condizioni della
modifica e della revoca (art. 669-decies c.p.c.) sono separate dalle condizioni per la riproposizione di una
domanda cautelare rigettata (art. 669-septies c.p.c.). Invero, se le prime sono agganciate a sopravvenienze in
fatto o alla sopravvenienza della conoscenza di fatti precedenti, le seconde sono più blandamente ancorate
all’ipotesi che «si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di
diritto». Insomma, nel processo civile la preclusione a fronte del rigetto della domanda cautelare è ancorata
al solo “dedotto” in fatto ed in diritto e non anche al “deducibile”, restando libera la riproposizione della
domanda sia sulla base di elementi in fatto che pur si sarebbero potuti spendere in precedenza, ma che non si
sono in concreto spesi, sia sulla base degli stessi fatti già spesi a condizione che si mutino le argomentazioni
giuridiche addotte in precedenza. Nel processo amministrativo, invece, il rigetto della domanda cautelare
determina una preclusione anche del “deducibile” in fatto ed in diritto. La seconda domanda non può
fondarsi sulle stesse circostanze che fondavano la prima domanda, con la sola accortezza di mutare
l’impianto giuridico del ricorso. Né si possono utilizzare fatti non spesi prima, ma che si sarebbero potuti
spendere perché già sussistenti, a meno che il ricorrente provi che ne sia venuto a conoscenza solo dopo il
precedente provvedimento di rigetto.
Insomma, la preclusione a fronte del provvedimento di rigetto è equiparata alla preclusione a fronte di
una richiesta di modifica e revoca del provvedimento di accoglimento.
Viste le critiche che la disciplina contenuta nel codice di procedura civile ha suscitato, per la
asimmetria fra la stabilità del provvedimento di rigetto e quello del provvedimento di accoglimento57, forse il
legislatore del Codice è stato più attento. Ma qui emerge il grave problema dell’appello, che sembrerebbe
essere escluso avverso il provvedimento di rigetto della domanda cautelare.
57
Vedi, ad esempio, LUISO, op. cit., 213.
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Da questo secondo punto di vista l’interprete ha due vie. Si può intendere l’incipit dell’art. 62 del
Codice come se intendesse riferirsi alle sole ordinanze che concedono la misura cautelare, ed allora si va
incontro ad una certa censura di illegittimità costituzionale, come è accaduto in riferimento all’art. 669terdecies c.p.c., il quale nella sua formulazione originaria si riferiva alle sole ordinanze di accoglimento della
domanda cautelare58. Oppure si può intendere quell’incipit diversamente, ossia come relativo ad ogni
ordinanza che decide sulla domanda cautelare, sia questa accolta sia questa respinta, ed allora si salva il
sistema da censure di incostituzionalità.
È evidente quanto il dovere di un’interpretazione costituzionalmente orientata imponga di scegliere
questa seconda strada. Oltretutto una simile interpretazione sembra fortemente avvalorata dal terzo comma
dell’art. 62 del Codice, nel quale si legge: «L’ordinanza di accoglimento che dispone misure cautelari è
trasmessa a cura della segreteria al primo giudice, anche agli effetti dell’articolo 55, comma 11». Invero, qui
sembra proprio che il legislatore si riferisca all’accoglimento di un appello presentato avverso un
provvedimento di rigetto della domanda cautelare.
4. Altro esito peculiare si ha nell’eventualità che il collegio, lungi dal rispondere alla domanda
cautelare, definisca il giudizio con sentenza semplificata ai sensi dell’art. 60 del Codice. Siamo di fronte ad
un istituto che esisteva già nell’art. 21 della legge TAR59.
L’art. 60, in collegamento all’art. 74 del Codice, prevede che il collegio in fase cautelare, vista la
manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del
ricorso, accertata la completezza del contraddittorio (se non c’è, il collegio ordina l’integrazione) e
dell’istruttoria, sentite le parti costituite può definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma
semplificata. Ciò, dice la norma, è possibile alle seguenti condizioni:
a) che siano decorsi 20 giorni dall’ultima notificazione del ricorso (ma la previsione non aggiunge
nulla a quanto già stabilito dall’art. 55, 5° comma, ai sensi del quale la stessa domanda cautelare non
potrebbe essere definita come tale prima del decorso appunto di 20 giorni dal perfezionamento dell’ultima
notificazione del ricorso);
b) che sia integro il contraddittorio, ossia che il ricorso sia stato regolarmente notificato e le parti
abbiano avuto il termine di legge per costituirsi, con l’avvertenza che il giudice possa disporre l’integrazione
del contraddittorio, a meno che si debba senz’altro rigettare il ricorso per manifesta irricevibilità,
inammissibilità, improcedibilità o infondatezza, situazione in cui il secondo comma dell’art. 49 del Codice
dispone che il giudice provveda con sentenza in forma semplificata ai sensi del successivo art. 7460;
c) che nessuna delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o
regolamento di competenza o regolamento di giurisdizione (se questo accade, il giudice dispone un rinvio
per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di
58
Cfr. Corte Cost. 23 giugno 1994 n. 253. Sul punto vedi per tutti LUISO, op. cit., 192 ss.
59
All’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 GAROFALI, op. cit., p. 865 ne parlava come di una
novità, anche se il meccanismo di conversione della fase cautelare in trattazione del merito era già previsto nel settore
degli appalti di opere pubbliche e di pubblica utilità dall’art. 19 d.l. n. 67 del 1997 ed era stato riconosciuto legittimo
da Corte Cost. 10 novembre 1999 n. 427, in Corr. Giur. 2000, p. 166.
60
Sul punto vedi FERRARI, op. cit., 222.
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giurisdizione; se poi si tratta di questi regolamenti, il giudice assegna anche un termine non superiore a 30
giorni per la loro proposizione).
A proposito di questo istituto, si ripete già esistente nel sistema previgente, la giurisprudenza aveva
individuato una serie di presupposti sostanziali e processuali61, tra cui essenzialmente: 1) la manifesta
fondatezza ovvero la manifesta infondatezza nel merito o irritualità del ricorso; 2) la completezza del
contradditorio, da ritenersi rispettata nel momento in cui si accertava che il ricorso fosse stato notificato a
tutte le parti necessarie, e dell’istruttoria; 3) l’audizione delle parti costituite “sul punto”.
Il senso di quest’ultimo aspetto era, però, assai controverso, sia sul piano oggettivo sia sul piano
soggettivo. Su cosa dovevano essere sentite le parti e a quali parti si riferiva la normativa?
Dal primo punto di vista (oggettivo) la giurisprudenza maggioritaria riteneva che le parti dovessero
essere sentite solo sull’eventualità che la controversia potesse essere decisa in forma semplificata, mentre
qualche voce si levava per affermare che esse dovessero essere sentite anche sugli altri presupposti, quali la
completezza del contraddittorio e dell’istruttoria.
Dal secondo punto vista (soggettivo) l’opinione prevalente riteneva che dovessero essere sentite solo
le parti costituite presenti alla camera di consiglio, specificando, a garanzia del contraddittorio, che le parti
costituite dovessero essere avvertite in modo specifico della possibilità di una decisione in forma
semplificata, a pena di una nullità che avrebbe inficiato la sentenza e determinato il suo annullamento in
appello con rinvio al primo giudice. Non vi era, quindi, alcuna necessità di sentire le parti non costituite,
senza considerare il fatto che la decisione in forma semplificata ben poteva intervenire prima della scadenza
del termine per la costituzione, con la conseguenza di non dover ascoltare le parti che non avevano ancora
fatto in tempo a costituirsi.
In presenza delle condizioni suddette si riteneva che il giudice potesse pronunciare sentenza in forma
semplificata anche prima della scadenza del termine per la costituzione in giudizio. Tuttavia, si riteneva
anche che una simile decisione non potesse essere assunta in caso di richiesta congiunta, delle parti costituite
e presenti, di un rinvio per integrare la domanda (motivi aggiunti o ricorso incidentale) o per proporre istanze
istruttorie, a meno che le attività difensive preannunciate non fossero irrilevanti o inammissibili. Ma,
ovviamente, ben era possibile che una parte, per così dire, arrivasse tardi, ossia fosse pronunciata la sentenza
in forma semplificata prima della sua costituzione. È vero che si riteneva sempre possibile far valere in
appello i motivi che non si erano potuti far valere in primo grado in via di ricorso incidentale. Ma la
soluzione non era del tutto appagante, perché l’interessato, così, comunque perdeva un grado di giudizio62.
Una simile struttura era sospetta alla luce del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.,
perché era troppo squilibrata a favore del perseguimento del valore della ragionevole durata del processo,
vulnerando in una certa misura il diritto di difesa delle parti su un piano di parità, soprattutto in riferimento
all’esiguità dei termini a disposizione dell’amministrazione convenuta e dei contro-interessati per svolgere le
proprie difese63.
61
Sulla giurisprudenza in materia vedi riassuntivamente TRAVI, in Foro it. 2003, III, 681 ss.; FORLENZA, op. cit., 72-73.
62
Così TRAVI, loc. ult. cit.
63
Rilevava TRAVI, loc. ult. cit., che se «si considerano tutti gli adempimenti procedimentali posti dalla legge a carico
dell’amministrazione per deliberare la costituzione in giudizio nonché i tempi necessari al controinteressato per
acquisire tutti gli elementi necessari per approntare una efficace attività difensiva, emerge l’incongruità di un termine
di soli dieci giorni».
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L’adozione di analogo meccanismo nell’art. 60 del Codice vorrebbe in qualche misura farsi carico dei
problemi emersi in precedenza.
Resta l’eventualità che la sentenza in forma semplificata sia adottata quando non è ancora scaduto il
termine per proporre ricorso incidentale, in quanto, se questo può farsi entro 60 giorni dalla ricevuta notifica
del ricorso principale (art. 42 del Codice), la “trasformazione” della fase cautelare in fase decisoria può
avvenire 20 giorni dopo quella notifica. Tuttavia, gli orientamenti giurisprudenziali un po’ più garantisti già
citati vengono canonizzati nel momento in cui si dispone che il giudice, a fronte di una parte, ovviamente
costituita e presente, che dichiara di voler proporre ricorso incidentale o motivi aggiunti, lungi dal poter
decidere immediatamente nel merito, deve rinviare ad altra udienza proprio per consentire la proposizione di
motivi aggiunti o del ricorso incidentale. Ma, ciò precisato nella legge, non mi sembra che possano essere
fugati quei dubbi che erano emersi in precedenza a fronte di un istituto, qual è quello in commento, che
appare forse troppo squilibrato al servizio di un interesse pubblico alla salvaguardia della ragionevole durata
del processo.
5. Vediamo ora i rapporti tra la tutela cautelare e le questioni attinenti alla sussistenza della potestas
iudicandi del giudice, comprendenti la questione di giurisdizione, la questione di competenza e la questione
attinente all’esistenza di un valido patto compromissorio.
In riferimento alla prima, innanzitutto c’è da dire che, se nel corso del giudizio di merito insorge una
questione di giurisdizione ed a causa di ciò viene proposto regolamento di giurisdizione, una simile
situazione non impedisce al giudice di merito di concedere eventualmente una misura cautelare, anche se il
giudizio di merito sia stato sospeso ai sensi dell’art. 367, 1° comma, c.p.c., cosa che dovrebbe avvenire il più
delle volte, posto che la sospensione è negata solo quando il giudice ritenga il regolamento manifestamente
inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. Questa affermazione si fonda
sul chiaro dettato dell’art. 10, 2° comma, del Codice, che in ciò ricalca in buona sostanza il sistema che vige
nel processo civile. Insomma, l’urgenza del provvedere non si arresta a fronte della sospensione del processo
dichiarativo, strumentalmente al quale la misura cautelare è richiesta64. E così si elimina anche ogni dubbio
in ordine alla adottabilità di misure cautelari nell’ambito di un processo dichiarativo in cui sia stata messa in
dubbio la giurisdizione del giudice adito.
Ma è stata anche assunta una cautela, nel momento in cui si è specificato che il giudice può adottare la
misura cautelare solo se egli ritenga di essere fornito di giurisdizione, con ciò ammettendo, per un verso, che
quel giudice debba anticipare, sia pure in termini provvisori, il giudizio della Corte di cassazione e, per altro
verso, che il provvedimento cautelare sia dotato in una certa misura del carattere della decisorietà in ordine
alla situazione giuridica fatta valere. Tutto ciò salvando la coerenza del sistema, nel settimo comma dell’artt.
11 del Codice, il quale fa la seguente precisazione: «Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta
giorno dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha
emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione».
Insomma, proposto regolamento di giurisdizione, in attesa della decisione della Corte di cassazione il
giudice del merito, la cui potestas iudicandi è posta in discussione, può decidere di non concedere la misura
cautelare richiesta perché ritiene che la contestazione della giurisdizione sia palesemente fondata. Ma, se al
contrario egli concede la detta misura, sul presupposto di essere munito di giurisdizione nella causa di
64
Sul problema generale della tutela cautelare in collegamento al processo sospeso vedi, se vuoi, BOVE, Sospensione
del processo e tutela cautelare, in Riv. dir. Proc. 1989, 977 ss.
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merito, allora delle due l’una: o la Corte di cassazione la pensa come lui, ed allora la misura cautelare si
“stabilizza” fino alla definizione della causa nel merito, oppure la Corte di cassazione ritiene che il giudice
adito sia sfornito di giurisdizione, ed allora la misura cautelare decade.
Passando alla questione di competenza, l’art. 55, 13° comma, del Codice dispone chiaramente che il
giudice investito della domanda cautelare debba interrogarsi sulla sua competenza, potendo concedere la
misura richiesta solo se la ritiene sussistente, altrimenti egli deve provvedere ai sensi dell’art. 15, commi 5 e
6. Con ciò è evidente come il Codice non accolga l’idea, sorta tra i cultori del processo civile, secondo la
quale il giudice di fronte al quale pende la causa di merito sarebbe competente per la cautela per il solo fatto,
appunto, della pendenza della causa di fronte a lui, anche quando magari egli non sarebbe in realtà
competente per il merito65. Si accoglie, invece, l’idea per cui il giudice, a cui, in pendenza del processo
dichiarativo, venga richiesta la concessione di una misura cautelare, deve interrogarsi sulla propria
competenza prima di adottare la detta misura.
Il tribunale adito che si ritenga incompetente (questione rilevabile anche d’ufficio) a concedere la
misura cautelare, perché evidentemente ritiene di essere incompetente per il merito, ha due vie possibili da
percorrere. Egli può dichiararsi incompetente definendo il giudizio in ordine alla causa di merito, e quindi in
ordine alla cautela richiesta, pronunciando un’ordinanza a fronte della quale può essere che l’interessato
riassuma il processo di fronte al giudice indicato come competente (il quale può sempre sollevare conflitto
col regolamento d’ufficio) oppure può essere che vi sia l’impugnazione mediante regolamento di competenza
(art. 16). Oppure il giudice adito può limitarsi a sollevare regolamento d’ufficio indicando il tribunale che a
suo parere sarebbe competente.
Durante la pendenza del regolamento di competenza di fronte al Consiglio di Stato (sia che questo sia
stato sollevato dal giudice originariamente adito o dal giudice del rinvio o ancora sia esso stato proposto da
una delle parti in via d’impugnazione dell’ordinanza di incompetenza pronunciata dal giudice adito per
primo) è possibile chiedere la misura cautelare al giudice indicato come competente dal giudice
originariamente adito (art. 15, 7° comma e art. 16, 4° comma). Qui emerge una duplice stranezza.
La prima: che un tribunale indicato da altro tribunale come competente debba in ogni caso concedere
la misura cautelare, anche se esso stesso ritenga di non essere competente.
La seconda: che, a parte il caso in cui il secondo tribunale sia stato investito della causa per
riassunzione, negli altri due casi (regolamento d’ufficio sollevato dal primo giudice e regolamento proposto
da una parte avverso l’ordinanza pronunciata dal primo giudice) il tribunale chiamato a concedere la tutela
cautelare non è investito della causa di merito. In questo contesto emerge la concessione di una misura
cautelare scollegata dalla pendenza del processo di merito di fronte al giudice a cui si chiede la misura stessa
o dalla possibilità di una sua pendenza immediata, situazioni che contraddicono l’impianto degli articoli 55,
56 e 61 del Codice. Oltretutto non è spiegato nel Codice come si dovrebbe presentare un’istanza del genere
e, quindi, quale procedura dovrebbe seguirsi per giungere ad una risposta su di essa.
In ogni caso un simile provvedimento cautelare, assunto da un giudice la cui competenza è ancora da
verificare in sede di regolamento, ha un’efficacia subordinata all’esito di quella verifica. Se questa dovesse
essere negativa per quel giudice, la misura concessa perderà effetti dopo trenta giorni dalla data di
pubblicazione dell’ordinanza che regola la competenza e l’interessato potrà richiedere la misura cautelare al
giudice dichiarato competente (art. 15, commi 8 e 9).
65
Per il riferimento, in chiave critica, dell’opinione dominante vedi per tutti LUISO, op. cit., 188.
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Se, invece, il tribunale dovesse ritenersi erroneamente competente e concedere la misura cautelare
richiesta, l’errore è emendabile in sede di appello cautelare ai sensi dell’art. 62 del Codice. Qui emerge la
discrasia tra l’art. 62 e l’art. 15, 1° comma, nel momento in cui, se nell’appello di merito il difetto di
competenza non è più rilevabile d’ufficio, potendo esso solo essere motivo d’impugnazione, di cui è onerato
l’interessato addirittura anche avverso la statuizione implicita sulla competenza66, nell’appello cautelare,
invece, il difetto di competenza è comunque rilevabile d’ufficio.
Passando al terzo aspetto attinente alla potestas iudicandi del giudice, si rileva come sia del tutto
ignorato nel Codice il problema del rapporto tra la tutela cautelare e l’arbitrato.
L’art. 12 del codice, riprendendo quanto era prima previsto nell’art. 6, 2° comma, della legge n. 205
del 2000, ammette che le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice
amministrativo possano essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto. Ma, se questo dovesse accadere,
come può l’interessato ottenere una misura cautelare che garantisca l’effettività della sua (futura ed
eventuale) vittoria nel merito di fronte all’arbitro?
Nel sistema del codice di procedura civile problemi non ve ne sono, perché in ogni caso il
provvedimento cautelare si chiede al giudice che, in mancanza del patto compromissorio, sarebbe stato
competente per il merito (art. 669-quinquies c.p.c.). E se la misura dovesse essere chiesta prima della
proposizione della domanda arbitrale e ci si dovesse trovare di fronte ad una cautela di tipo conservativo, gli
effetti della misura sarebbero “salvati” dalla proposizione della domanda arbitrale nei termini dovuti ai sensi
dell’art. 669-octies c.p.c.
Ma, se nel codice di procedura civile la tutela cautelare si ottiene nell’ambito di un procedimento che
ha una sua autonomia strutturale rispetto al processo dichiarativo, nell’ambito del Codice del processo
amministrativo quella autonomia è assai blanda. Nel sistema degli articoli 55, 56 e 61 del Codice la misura
cautelare deve essere necessariamente o data dal giudice della causa di merito nel corso di essa o comunque,
anche se ottenuta ante causam, essa deve essere confermata nel giudizio dichiarativo da instaurare
immediatamente. Insomma, qui non emerge solo una necessaria strumentalità strutturale tra tutela cautelare
(processo cautelare) e tutela dichiarativa (processo dichiarativo), come era in fondo fino a pochi anni
addietro nel processo civile, quanto piuttosto emerge l’impossibilità di un provvedimento cautelare che non
sia comunque confermato in sé dal giudice del merito.
Ed allora quando il giudice del merito è l’arbitro la situazione non ha vie di uscita. L’arbitro non può
concedere misure cautelari alla luce del principio generale contenuto nell’art. 818 c.p.c. Ma, ove la causa
apparterrebbe, in mancanza di patto compromissorio, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
evidentemente non si può chiedere la cautela neanche a questo giudice, perché egli non avrebbe alcuna
possibilità di confermare la misura cautelare concessa anche ante causam, non essendo di fronte a lui
instaurabile il processo dichiarativo per il merito.
Posta l’essenzialità della tutela cautelare, quale elemento fondamentale rientrante nel diritto di azione
di cui al primo comma dell’art. 24 Cost., mi sembra che qui nel Codice si apra una lacuna difficilmente
colmabile se non con un nuovo intervento del legislatore.
66
Qui il legislatore ha adottato la giurisprudenza più recente della Corte di cassazione in materia di difetto di
giurisdizione ai sensi dell’art. 37 c.p.c. Su di essa e sulla sua critica vedi, se vuoi, BOVE, Il principio della ragionevole
durata del processo nella giurisprudenza della Corte di cassazione cit., 64 ss.
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6. In via monocratica il Presidente o un magistrato da lui delegato può concedere un provvedimento
cautelare con decreto durante la pendenza della causa di merito (art. 56) o anche prima dell’instaurazione del
processo dichiarativo (art. 61).
Partendo dall’analisi della prima eventualità, l’art. 56 del Codice fissa quale presupposto per ottenere
il provvedimento monocratico il «caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la
dilazione fino alla data della camera di consiglio», con ciò riprendendo un disposto già contenuto nel
previgente art. 21 della legge TAR, così come modificato dalla legge n. 205 del 2000, con l’unica aggiunta
per cui a provvedere può essere, non solo il presidente, ma anche un magistrato da lui delegato.
Ma, allora, anche a fronte del nuovo disposto si pone la stessa domanda che emergeva prima, vale a
dire: qual è la differenza tra il “pregiudizio grave e irreparabile”, che consente la concessione dell’ordinanza
cautelare collegiale (art. 55), ed il “caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la
dilazione fino alla data della camera di consiglio”? Oltretutto qui, a differenza della previsione di cui al
secondo comma dell’art. 669-octies c.p.c., non siamo neanche di fronte propriamente ad una misura concessa
inaudita altera parte, perché, per un verso, il ricorso deve essere previamente notificato alla controparte e,
per altro verso, il presidente, prima dell’emanazione del decreto, sente le parti che si siano rese disponibili
anche separatamente (art. 56, 2° comma). Ed, allora, non si può dire che il presupposto del decreto in parola
si abbia nei casi in cui l’instaurazione del contraddittorio consentirebbe alla controparte di sottrarsi
all’attuazione del provvedimento67. Insomma, dobbiamo pensare solo a casi in cui l’urgenza è tale che
l’attesa anche di poco tempo renderebbe inutile la misura cautelare.
Anche qui, perché sia pronunciabile il provvedimento cautelare è necessario che:
- sia stata presentata istanza di fissazione di udienza per il merito, salvo che essa sia da fissare
d’ufficio (art. 56, 1° comma);
- il giudice sia competente, altrimenti le parti sono rimesse al collegio per i provvedimenti di cui al
comma 13 dell’art. 55 (art. 56, 2° comma);
- il ricorso introduttivo del processo sia stato notificato alla parte pubblica ed almeno ad uno dei
controinteressati.
Naturalmente pure per la concessione del decreto monocratico devono sussistere entrambi i
presupposti della tutela cautelare, vale a dire sia il particolare ed urgente periculum in mora sia il fumus boni
iuris, dovendosi rigettare l’idea, da alcuni avanzata nell’interpretare l’analogo strumento già prima previsto,
secondo la quale la particolare urgenza del provvedere dovrebbe assolvere dall’onere di valutare il fumus
boni iuris68 .
Come abbiamo già accennato in precedenza, la misura è assunta con un previo contraddittorio del tutto
eventuale (se così possiamo dire ancora più eventuale del caso in cui il provvedimento è adottato dal
collegio), in quanto il comma 2 dell’art. 56 dice che il presidente, fuori udienza e senza formalità, sente
anche separatamente le parti che si siano rese disponibili prima dell’emanazione del decreto, solo “ove
ritenuto necessario”.
Inoltre, sembra che manchi ogni attività istruttoria. Nel codice di procedura civile l’eventualità di
assumere sommarie informazioni è prevista dall’art. 669-sexies perfino nel caso della concessione del
provvedimento cautelare inaudita altera parte. Nel codice del processo amministrativo, invece, la misura di
67
Sulla norma del codice di procedura civile vedi, per tutti, LUISO, op. cit., 189-190.
68
Sulla questione vedi FOLLIERI, op. cit., 329.
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“maggior” urgenza concessa con decreto monocratico non ha a monte istruzione. Allora sembra che il fumus
boni iuris ed il periculum in mora vadano valutati non nella loro probabilità, ma solo nella loro
verosimiglianza, ossia in base ad una valutazione di credibilità delle allegazioni del ricorrente.
Il provvedimento è dato con decreto motivato non impugnabile, nel quale (fra l’altro si può prevedere
una cauzione: comma 3 dell’art. 56) bisogna fissare la camera di consiglio di cui al comma 5 dell’art. 55.
Questo decreto ha un’efficacia provvisoria: esso dovrà essere confermato con ordinanza a seguito della detta
camera di consiglio, altrimenti perde efficacia. In altri termini, il decreto di accoglimento ha un’efficacia che
non può andare oltre la detta camera di consiglio, anche se in essa il collegio non si sia pronunciato. Ma qui
non è previsto un termine temporale di efficacia di 60 giorni, come accade per il provvedimento monocratico
adottato ante causam.
La temporaneità della sua efficacia giustifica la non impugnabilità del detto decreto, cosa che, del
resto, accade anche in riferimento al decreto adottato inaudita altera parte ai sensi dell’art. 669-sexies
c.p.c.69. Inoltre esso, finché è efficace, può essere modificato o revocato.
7. Se l’urgenza è ancor più grave, assumendo essa i caratteri dell’eccezionalità, al punto che non si può
neanche notificare il ricorso introduttivo della causa con la richiesta di decreto presidenziale ai sensi dell’art.
56, ancor prima dell’instaurazione della causa di merito si può chiedere la concessione di un provvedimento
cautelare ai sensi dell’art. 61. L’esigenza di una tutela cautelare ante causam, emersa in precedenza in
giurisprudenza e dottrina70, era stata valorizzata già nella delega (art. 44, lett. f) della legge n. 69/2009, la
quale auspicava la generalizzazione della tutela cautelare ante causam). In precedenza la tutela cautelare
prima del giudizio di merito era prevista settorialmente solo nell’art. 245 del Codice dei contratti pubblici71,
norma da cui molto ha preso l’attuale art. 61 del Codice del processo amministrativo.
Ovviamente, o quantomeno così a me sembra, non vi può essere una diversità di presupposti e di
possibili contenuti delle misure cautelari ante causam rispetto a quelle concesse in corso di causa. La
differenza sta solo nella maggiore urgenza del provvedere. Ma, per il resto, la struttura e la finalità della
69
Ma l’analogo decreto, a seguito della legge n. 205 del 2000, era ritenuto da alcuni appellabile: sul punto vedi
FOLLIERI, op. cit., 330.
70
Ma vi erano anche voce diverse. Così M.A. SANDULLI, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in corso di
pubblicazione in Foro amm. – TAR, Osservatorio di giustizia amministrativa, § 4, rilevava: «la cautela ante causam è
una misura assolutamente irragionevole e sproporzionata nel nostro sistema processuale amministrativo, in cui
l’effettività della tutela sotto il profilo dell’immediatezza è già pienamente garantita dall’art. 21, c. 9 l. TAR e dalla
possibilità di integrare il ricorso fino alla scadenza dei termini attraverso la proposizione di motivi aggiunti. Ha quindi
errato la Corte di Giustizia nell’ordinanza del 2004 e il Governo italiano ben potrebbe presumibilmente indurre gli
organi comunitari ad una ulteriore riflessione sul tema». Peraltro la Corte Cost. 10 maggio 2002 n. 179, in Giust. Amm.
2002, 641 aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale riguardante la
mancata previsione di un’effettiva tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo perché il legislatore
«può adottare norme processuali differenziate tra i diversi tipi di giurisdizioni e di riti procedimentali, non essendo
tenuto, sul piano costituzionale, ad osservare regole uniformi rispetto al processo civile». In senso diverso si era invece
pronunciata la Corte di giustizia di Lussemburgo: vedi FOLLIERI, op. cit., 327-328.
71
Sul qual vedi TARULLO, La nuova tutela cautelare ante causam introdotta dall’art. 245 del Codice degli appalti, in
Giust. Amm. 2010.
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tutela cautelare, sia essa concessa quando la causa di merito è instaurata o ancor prima di detto momento,
sono sempre identiche, in quanto sempre essa mira a garantire, mediante l’adozione di misure fondate su un
sommario accertamento della fondatezza della pretesa, oltre che del periculum in mora, l’effettività di quella
che sarà la tutela dichiarativa.
Insomma, la tutela cautelare resta funzionalmente una tutela servente. Quindi, una misura cautelare è,
in ogni caso, destinata ad essere superata dalla decisione nel merito della causa, sia essa di tipo conservativo,
assicurativo o in senso proprio anticipatorio. Se essa conserva una certa realtà di fatto e/o giuridica, il
“blocco” provvisorio della situazione verrà meno con l’attribuzione del torto e della ragione in sede di
merito. Se essa ha fornito una regolamentazione del caso al momento e per il momento, fino al limite di
anticipare perfettamente il contenuto e gli effetti della decisione di merito, ciò è pur sempre avvenuto in
modo provvisorio e precario, essendo una simile realtà, almeno su un piano giuridico, destinata ad essere
superata dalla decisione del merito, che o assorbirà in sé quanto già stabilito nel provvedimento cautelare o
lo smentirà, con la necessità in questo secondo caso di un ripristino della situazione quo ante o comunque
con la necessità di far venir meno ogni atto o effetto che si sia fondato sulla o sia scaturito dalla misura
cautelare.
Ciò vale in linea di principio e generale, fatti comunque salvi quei casi eccezionali in cui la legge dà,
improvvidamente, al provvedimento cautelare effetti ulteriori al dovuto, come abbiamo visto accadere ad
esempio in riferimento agli esami di avvocato. O casi in cui, a prescindere da previsioni di legge, la realtà dei
rapporti è tale per cui sembra che il provvedimento cautelare possa determinare effetti irreversibili72, ipotesi
questa contemplata, al fine di ripararvi in qualche modo con la previsione di una cauzione, sia dall’art. 61 sia
dagli artt. 56 e 55 del Codice, a conferma del fatto che anche il provvedimento cautelare concesso ante
causam può spingersi, nella misura in cui è concepibile, fino a tanto.
L’istanza si propone al presidente del tribunale competente per il giudizio. La pronuncia del decreto
presuppone comunque, in un certo senso, l’attivazione del contraddittorio con le controparti, in quanto,
ancorché l’art. 61 preveda che il giudice sente le parti solo “ove necessario”73, il ricorso, però, prima di
essere depositato presso il giudice, deve essere notificato alle controparti. Insomma, è vero che non è
recepito il modello di cui all’art. 669-sexies c.p.c., che prevede la possibilità della concessione della misura
cautelare inaudita altera parte nel senso che il ricorso ante causam può essere depositato e deciso senza che
la controparte abbia ricevuto alcuna notifica, salvo successiva conferma a seguito della notifica del ricorso e
del decreto che contiene la misura cautelare concessa, quanto piuttosto è stato recepito il modello dell’art.
245 del Codice dei contratti pubblici, che già prevedeva una cautela ante causam, ma sempre a seguito della
notifica del ricorso alla controparte. Ma è anche vero che un effettivo contraddittorio è concepito nell’ambito
dell’art. 61 del Codice solo come eventuale, negli stessi termini già indicati per il decreto in corso di causa ai
sensi del’art. 56.
L’istanza, ancorché proposta prima dell’instaurazione del processo di merito, deve però individuare
l’oggetto del processo di merito, perché altrimenti non si saprebbe per quale situazione giuridica l’istante sta
72
Ma, come ho già rilevato in precedenza, detta “irreversibilità” va riferita essenzialmente ad una situazione di fatto,
perché un’irreversibilità propriamente giuridica è fenomeno del tutto eccezionale, in quanto fuori dalla logica dei
rapporti tra tutela cautelare e tutela dichiarativa.
73
Nell’art. 245 del Codice dei contratti pubblici era previsto lo stesso meccanismo, con l’unica differenza che lì il
giudice sentiva le parti “ove possibile”.
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chiedendo la cautela. Né il giudice potrebbe evitare di valutare il fumus boni iuris, condizione essenziale per
ottenere una misura cautelare, anche nell’ambito di un procedimento così rapido e scarno come quello in
oggetto. Invero, se anche la norma nulla dice, come del resto nulla diceva già l’art. 245 del Codice dei
contratti pubblici, non si può concepire la concessione di una misura cautelare, rivolta pur sempre a garantire
l’effettività della (futura) tutela dichiarativa, senza una minima, ancorché sommaria, analisi della fondatezza
della situazione giuridica per la quale si chiede la tutela giurisdizionale. Ma, mancando la previsione di ogni
attività istruttoria (come per il decreto emesso ai sensi dell’art. 56), evidentemente qui il giudice valuterà
solo la verosimiglianza e non anche la probabilità del situazione giuridica vantata, accontentandosi della
credibilità delle allegazioni di parte.
L’istanza ante causam può essere accolta o rigettata.
Sia nel decreto di accoglimento che in quello di rigetto il giudice provvede sulle spese, posto che il
comma 6 dell’art. 61 rinvia all’art. 57. Quindi qui non è accolto il modello del codice di procedura civile,
secondo il quale la pronuncia sulle spese è contenuta nel provvedimento cautelare ante causam solo se esso è
potenzialmente definitivo, nel senso che non è detto che segua l’instaurazione del processo dichiarativo,
eventualità che si ha nel caso di rigetto della domanda cautelare (art. 669-septies c.p.c.) e nel caso di
concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio (art. 669-octies, 7° comma, c.p.c.).
In ogni caso, io credo che il decreto del giudice debba essere almeno succintamente motivato. La legge
non prevede esplicitamente l’obbligo della motivazione, che sembra, però, ricavabile da una serie di
argomenti. Innanzitutto dalla disposizione generale contenuta nell’art. 3 del Codice, perché il provvedimento
cautelare è un provvedimento decisorio nel senso che incide sulla situazione giuridica fatta valere, ancorché
non in modo definitivo. In secondo luogo, se si vuole, anche dall’art. 669-sexies c.p.c., che può qui essere
richiamato in virtù del rinvio di cui all’art. 39 del Codice. Del resto, ancorché mancasse la previsione di
analogo obbligo nell’ambito dell’art. 245 del Codice dei contratti pubblici, mi sembra che l’opinione
comune74 era nel senso di imporre un obbligo di motivazione, ancorché succintamente redatta, in ordine sia
al fumus boni iuris sia al periculum in mora.
Se l’istanza è rigettata (anche per incompetenza, che ai sensi del comma 3 dell’art. 61 è rilevabile
d’ufficio: ma questa ormai è la regola generale ai sensi degli articoli 15 e 16 del Codice), il decreto di rigetto
non è impugnabile, ma l’interessato può ripresentare l’istanza in corso di causa, pare di capire senza le
limitazioni di cui all’art. 5875. Inoltre, in corso di causa la rinnovata richiesta della misura prima non
concessa può essere fatta sia mirando direttamente ad un provvedimento collegiale ai sensi dell’art. 55 sia
mirando previamente ad un provvedimento monocratico ai sensi dell’art. 56.
Se l’istanza è accolta, il relativo decreto non è appellabile, perché la sua efficacia è temporalmente
limitata. Tuttavia, finché resta efficace esso è modificabile e revocabile, ma solo su istanza di parte e non
anche d’ufficio, come era previsto nell’art. 245 del Codice dei contratti pubblici76.
Non sembra che vi possa essere qui qualche dubbio di costituzionalità, perché il decreto non è
appellabile comunque, sia esso di rigetto o di accoglimento e la ragione sta proprio nella sua efficacia
74
Sulla quale vedi TARULLO, op. cit., § 6.
75
Sulle quali vedi supra nel paragrafo 3.
76
Disposizione criticata in dottrina: cfr. TARULLO, op. it., § 11.
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temporalmente limitata. Insomma, è ragionevole l’esclusione di un rimedio paritariamente sancito per tutte le
parti.
Il decreto di accoglimento è notificato dalla parte alle altre nel termine perentorio fissato dal giudice,
non superiore a 5 giorni, direi decorrenti dalla comunicazione all’istante. Esso perde efficacia se entro 15
giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia
depositato nei successivi 5 giorni, corredato da istanza di fissazione di udienza77. L’esigenza di ancorare la
tutela cautelare ante causam alla necessità di fissare un termine perentorio per introdurre la causa di merito
emergeva nella delega. Di conseguenza, la tutela cautelare nel processo amministrativo è solo quella a
strumentalità classica: il provvedimento perde effetto se non si ha immediatamente dopo l’instaurazione del
processo dichiarativo al servizio del quale esso è concesso. Ma, allora, credo che si debba anche aggiungere
che il provvedimento cautelare comunque concesso perda effetto se il processo di merito di estingue, anche
se non mi pare che vi sia una disposizione esplicita al riguardo.
In ogni caso il decreto concesso ante causam può avere effetti per soli 60 giorni, alla scadenza dei
quali, se non è stato confermato con ordinanza cautelare, decade78. Previsione questa da guardare con
sfavore, perché non si vede perché l’interessato dovrebbe perdere i vantaggi della tutela cautelare magari per
situazioni che non dipendono da lui.
8. Alla luce dell’art. 58 del Codice, in parte già visto79 ed in parte ancora da analizzare80, la decisione
sulla domanda cautelare ha una relativa stabilità nel senso che essa è superabile ove l’interessato adduca
nuove circostanze di fatto successivamente verificatesi o, ancorché già esistenti al momento della decisione,
da lui non conosciute. Ma per far valere eventuali vizi della decisione cautelare ovvero la sua ingiustizia era
necessario approntare un rimedio attraverso il quale si potesse chiedere ad altro giudice una revisio della
prima istanza.
Così, già in via pretoria la giurisprudenza, prima della legge n. 205 del 2000, aveva “inventato”
l’appellabilità dell’ordinanza cautelare, sul presupposto della sua decisorietà81, “invenzione” poi canonizzata
esplicitamente dalla legge n. 205 del 2000. Oggi l’appello avverso le ordinanze cautelari è disciplinato
dall’art. 62 del Codice.
77
Insomma, l’istante deve fare due adempimenti: notificare il provvedimento ottenuto e poi notificare il ricorso con
la domanda cautelare: se non fa questo secondo adempimento la legge dice esplicitamente che il provvedimento
perde efficacia; ma se non fa il primo, anche se la legge prevede un termine perentorio, non c’è sanzione?
78
Ovviamente se la conferma con ordinanza avviene prima dei 60 giorni il decreto decade nel senso che è assorbito
nell’ordinanza.
79
Cfr. supra nel paragrafo 3.
80
Vedi infra ne paragrafo 10.
81
Cfr. Cons. Stato 20 gennaio 1978 n. 1, in Cons. St. 1978, I, 1. L’assunto era avallato dalla Corte Cost. 1 febbraio 1982
n. 8, in Giur. Cost. 1982, 41, che affermava la vigenza del principio del doppio grado di giurisdizione anche nell’ambito
della tutela cautelare. Su queste sentenze vedi, per tutti, FOLLIERI, op. cit., 337 e RAIMONDI, op. cit., 620.
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Sono appellabili solo le ordinanze cautelari, per cui, come abbiamo già detto in precedenza, non sono
appellabili né il decreto del giudice monocratico concesso in corso di causa né quello concesso ante
causam82. Circa poi l’appellabilità del provvedimento di rigetto della domanda cautelare la legge è ambigua
ed abbiamo già sopra auspicato una sua interpretazione costituzionalmente orientata83.
L’appello va proposto entro trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza cautelare ovvero sessanta
giorni dalla sua pubblicazione. Sono così ridotti i termini precedentemente vigenti. L’atto va poi depositato
entro il termine di cui all’art. 45 del Codice, ossia trenta giorni dal perfezionamento dell’ultima
notificazione.
Per quanto riguarda il procedimento vengono qui richiamati i commi 2 e da 5 a 10 dell’art. 55, nonché
gli articoli 56 e 57 del Codice. Quindi, se in buona sostanza si seguono molte delle regole che valgono per il
procedimento in primo grado, sono degni di nota due aspetti. Il primo: è esclusa la previsione
dell’improcedibilità ove non sia stata richiesta la fissazione della data dell’udienza. Il secondo: operando
anche in questa fase il comma 10 dell’art. 55, pure il giudice d’appello potrebbe ritenere che valga la pena,
piuttosto che concedere la misura cautelare, definire immediatamente il merito, ma in questo caso esso,
invece di provvedere direttamente in tal senso, riforma motivatamente l’ordinanza cautelare e rinvia al primo
giudice, affinché questi fissi sollecitamente l’udienza per il merito, soluzione questa che, se salva il principio
del doppio grado della decisione in merito, finisce per tradire le esigenze di «sollecita definizione del
giudizio nel merito» di cui parla la norma.
Per il resto, in particolare per quanto riguarda l’ampiezza della cognizione del giudice di appello, si
ribadisce quanto già detto, ossia che qui si potranno sia far valere errores in procedendo o in iudicando
commessi dal giudice di primo grado sia far valere quei mutamenti che avrebbero fondato un’istanza di
modifica o revoca del provvedimento ovvero una riproposizione della domanda cautelare respinta, ai sensi
dell’art. 58 del Codice, ove l’appello non fosse stato proposto.
Quanto poi all’eventuale emersione della questione di competenza abbiamo già detto nel precedente
quinto paragrafo.
9. Una misura cautelare, come del resto una sentenza che decide la causa nel merito, può essere
autosufficiente oppure esigere un comportamento conformativo che attui, in fatto e/o in diritto, l’ordine in
essa contenuto. Nel primo caso al provvedimento cautelare non deve seguire altro84. Nel secondo caso,
invece, la concessione della misura cautelare rappresenta solo la prima tappa di una vicenda più complessa.
82
Il legislatore così fa esplicita chiarezza rispetto ad un contrasto precedente sull’appellabilità dei decreti cautelari
monocratici, che nel sistema previgente erano concepibili solo in corso di causa. Sul detto contrasto vedi FERRARI, op.
cit., 232.
83
84
Vedi supra nel paragrafo 3.
Si pensi ad un’ipotesi in cui basta la mera sospensione dell’attuazione del provvedimento amministrativo
impugnato.
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Se la misura cautelare ha bisogno di essere attuata mediante un comportamento della pubblica
amministrazione possono profilarsi tre diverse situazioni.
È innanzitutto possibile che l’amministrazione riconosca il suo torto ed in via di autotutela si adegui a
quanto già emerso nel giudizio dichiarativo, ossia tenga quel “comportamento” che il giudice ha ordinato nel
provvedimento cautelare, ossia ponga in essere il provvedimento dovuto. In tal caso tutta la vicenda si
appiana e ben si può dire che nel processo dichiarativo sopravvenga una cessazione della materia del
contendere. Questa eventualità può aversi ovviamente in ogni caso, anche, quindi, quando è stata concessa
una misura cautelare autosufficiente.
Se, al contrario, l’amministrazione non ritiene di avere torto, essa, nell’attesa della sperata vittoria nel
merito, a fronte del provvedimento cautelare può adeguarvisi spontaneamente oppure no. Nella prima
eventualità la misura cautelare sarà andata a buon fine, ma pur sempre in termini provvisori, perché ciò che è
stato fatto in attuazione di essa potrà essere superato ove nel merito dovesse risultare soccombente la parte
vittoriosa in sede cautelare. Nella seconda eventualità, invece, sarà necessaria un’ulteriore attività
giurisdizionale, un’attività che, se nel processo civile si chiama di esecuzione, nel processo amministrativo è
qualificata come di ottemperanza, attività che farà ottenere all’interessato ciò che avrebbe ottenuto ove
l’amministrazione si fosse adeguata spontaneamente all’ordine del giudice. Ciò ovviamente sempre con i
caratteri della provvisorietà, in attesa dell’esito del giudizio di merito.
In via pretoria la giurisprudenza aveva introdotto nel sistema la possibilità di attuare il provvedimento
cautelare già prima della legge n. 205 del 2000, sulla base dell’idea, mutuata dai processualcivilisti85,
secondo la quale il procedimento cautelare avrebbe una sua complessa unità, svolgendosi esso prima nella
fase di concessione della misura e poi nella successiva fase della sua attuazione86. Detta prassi, canonizzata
nella modifica apportata all’art 21 della legge TAR dalla citata legge n. 205, viene oggi ripresa all’art. 59 del
Codice. Quanto, poi, in ciò il legislatore abbia accettato l’idea per cui l’attuazione sarebbe una fase
concettualmente e strutturalmente distinta dalla fase di concessione della misura cautelare ovvero abbia
accolto l’idea contraria, incentrata su una visione unitaria del procedimento esecutivo, resterà, credo, una
questione dibattuta. Sommessamente a me sembra che vi siano più ragioni per accogliere la prima idea
rispetto alla seconda87, quantomeno per il fatto che l’attuazione può essere, come fase giurisdizionale, anche
assente, ove il soggetto passivo si adegui all’ordine che pur sempre è contenuto nel provvedimento
giudiziario. Ed anche perché mi sembra che in fondo questa sia stata l’idea di partenza del legislatore, nel
momento in cui ha esplicitamente chiarito come “i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza” siano
esercitabili dal giudice, non nel momento della concessione della misura cautelare, bensì nel momento,
successivo ed eventuale, in cui l’interessato insoddisfatto ne faccia istanza motivata e notificata alle altre
parti.
85
LIEBMAN, op. cit. Vedi ampiamente VULLO, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino 2001, passim e 82 ss.
86
Cons. Stato 30 aprile 1982 n. 6, in Dir. Proc. Amm. 1983, 97.
87
Ma vedi in senso contrario, in riferimento all’analoga disposizione dettata dalla legge n. 205 del 2000, RAIMONDI,
op. cit., 627.
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Se tutti i provvedimenti cautelari possono essere attuati con i poteri del giudice dell’ottemperanza, ciò
significa che la norma è invocabile per attuare sia i provvedimenti cautelari che siano strumentali alla tutela
degli interessi legittimi sia quelli che siano strumentali alla tutela dei diritti soggettivi88. Tuttavia, quando il
giudice amministrativo si occupa dei diritti soggettivi, se è vero che ad una sentenza di condanna può
seguire, a scelta dell’interessato, sia il giudizio di ottemperanza sia l’esecuzione forzata ai sensi delle norme
del codice di procedura civile, è anche vero che, ove si abbia a che fare con un provvedimento cautelare che
si riferisce ad un diritto soggettivo, evidentemente l’interessato può scegliere tra l’ottemperanza e l’utilizzo
delle disposizioni di cui all’art. 669-duodecies c.p.c., con la precisazione che quando questa norma
attribuisce poteri al giudice della cognizione dovrà evidentemente intervenire il giudice amministrativo che
ha concesso la misura89.
Inoltre,
monocratici.
la norma è invocabile per l’attuazione sia dei provvedimenti collegiali sia di quelli
Sembrerebbe doversi affermare che sull’istanza decida comunque il giudice che ha emesso il
provvedimento cautelare: sia quello monocratico sia quello collegiale90, perché, avendo il legislatore previsto
la concedibilità della misura cautelare per casi eccezionali di gravità ed urgenza da parte del giudice
monocratico, senza attendere i tempi dell’udienza collegiale, non sarebbe ragionevole rimettere, poi, al
collegio la decisione sull’esecuzione del provvedimento. In questi casi il collegio non deve intervenire
sull’esecuzione, ma solo per confermare o meno il provvedimento cautelare del giudice monocratico. Del
resto, l’assunto dovrebbe essere confermato anche dall’art. 113 del Codice, ai sensi del quale il giudice
competente è quello che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta91.
Resta dubbio, come abbiamo accennato all’inizio del presente paragrafo, se qui si abbia a che fare con
un vero giudizio di ottemperanza92, oppure, riprendendo un’idea che era stata adombrata in precedenza in
riferimento all’art. 21 della legge TAR, ci si debba limitare a dire più semplicemente solo che il «tribunale
esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza», come si esprime l’attuale art. 59 del Codice. A me
sembra, confermando quanto appena sopra detto, che ci si trovi di fronte ad un vero giudizio di
ottemperanza. Del resto, se questo dibattito sembra riecheggiare quello che anima i processualcivilisti, nella
88
Nello stesso senso FERRARI, op. cit., 220, la quale richiama giurisprudenza conforme precedente.
89
Così già RICCI, op. cit., pp. 309 ss., all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000. L’autore
specificava anche che la scelta viene meno ove la controparte del privato sia a sua volta un altro privato titolare di un
pubblico servizio, non essendo concepibile qui l’utilizzo delle disposizioni sul giudizio di ottemperanza.
90
FORLENZA, op. cit., 69.
91
Ma vedi in senso contrario FERRARI, op. cit., 220, la quale ritiene che la decisione sull’ottemperanza sia sempre del
collegio, specificando: «Conforterebbe tale conclusione l’art. 61, che al comma 6 rinvia, per l’attuazione del
provvedimento cautelare, alle disposizioni sui provvedimenti cautelari in corso di causa». Ma francamente non mi
pare che l’argomento sia forte, non sembrando che il detto rinvio implichi necessariamente l’attribuzione di una
competenza esclusiva al collegio.
92
Così FORLENZA, loc. ult. cit.
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ricerca della distinzione tra l’esecuzione secondo le forme del terzo libro del codice di procedura civile e la
c.d. esecuzione in via breve, mi sembra che nell’ambito del processo amministrativo vi siano scarse
possibilità di distinguere tra un vero e proprio giudizio di ottemperanza ed una sorta di ottemperanza in via
breve. Ciò perché ai sensi dell’art. 113 del Codice il giudice dell’ottemperanza è sempre quello che ha
emesso il provvedimento di cui si tratta93 e perché poi nel secondo comma, lett. b) dell’art. 112 sembra che il
giudizio di ottemperanza, così come disciplinato dagli artt. 112 ss., si applichi ad ogni tipo di provvedimento
esecutivo pronunciato dal giudice amministrativo, quindi anche ai provvedimenti cautelari.
Sembra, infine, una novità l’ultimo inciso dell’art. 59 ai sensi del quale la liquidazione delle spese
prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza.
Ovviamente, ribadendo ancora un concetto già espresso, l’attuazione di un provvedimento cautelare ha
sempre un carattere provvisorio, perché provvisorio, in quanto strumentale, è il provvedimento stesso. Di
conseguenza la situazione che si crea a seguito dell’ottemperanza è destinata a venir meno ove la decisione
di merito dovesse disconoscere la situazione giuridica sulla cui base la cautela è stata concessa.
10. Anche la possibilità di revocare e modificare le misure cautelari per fatti sopravvenuti non è oggi
una novità, perché essa, già introdotta in via pretoria, era stata esplicitamente prevista nella legge n. 205 del
200094. Ma l’attuale art. 58 del Codice adotta, a questo proposito, un’espressione più chiara e condivisibile,
affermando, sulla falsariga dell’art. 669-decies c.p.c., che le parti possono «chiedere la revoca o la modifica
del provvedimento cautelare collegiale se si verificano mutamenti nelle circostanze o se allegano fatti
anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare», con la specificazione
che in questo secondo caso «l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza».
Sul significato di questo disposto abbiamo già detto prima, visto che il Codice equipara i presupposti
della modifica e della revoca del provvedimento cautelare ai presupposti per la richiesta di un secondo
provvedimento cautelare ove sia stata respinta una prima domanda. Si aggiungano solo tre rilievi.
Il primo: tra i mutamenti delle circostanze dovrebbe ragionevolmente inserirsi anche il caso in cui un
fatto che era già stato utilizzato in precedenza nella fase cautelare emerga dall’istruttoria nella causa di
merito in modo diverso da come sommariamente lo aveva ritenuto il giudice della cautela. Insomma, la
misura cautelare, oltre ad essere provvisoria, è intimamente “precaria” anche nel senso che essa deve venir
meno se non appare più probabile (fumus boni iuris) l’esito di merito al servizio della cui effettività essa era
stata assunta95.
93
Nel codice di procedura civile, mentre il giudice competente all’esecuzione in via breve è quello che ha emanato il
provvedimento da attuare, il giudice dell’esecuzione per obblighi di consegna o rilascio è quello del luogo in cui si
trova il bene ed il giudice dell’esecuzione per obblighi di fare e non fare è quello del luogo dove l’obbligo deve essere
adempiuto (art. 26).
94
Sul punto vedi GAROFALI, op. cit., p. 864.
95
Sul punto vedi, se vuoi, BOVE, Sospensione del processo e tutela cautelare cit., 992 ss. e LUISO, op. cit., 212-213.
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Il secondo: se si vuole spendere un fatto che già esisteva al tempo della pronuncia del provvedimento
cautelare, ciò che rileva in realtà non è tanto la prova del momento in cui si è venuto a conoscere quel fatto,
quanto piuttosto la prova della mancata conoscenza di esso in tempo utile per allegarlo prima della
concessione della misura cautelare96.
Il terzo: la modifica e la revoca dovrebbero essere chieste al giudice che ha pronunciato la misura
cautelare. Quindi al collegio o al giudice monocratico, visto che le misure monocratiche, se non sono
appellabili, sono tuttavia modificabili e revocabili fin quando restano efficaci. Tuttavia, se la misura
cautelare è stata disposta dal giudice di appello, sembra naturale che si debba chiedere la modifica o la
revoca al giudice di primo grado di fronte al quale pende la causa di merito.
Resta solo da fare qualche accenno ai rapporti tra la modifica e la revoca, per un verso, e l’appello
nonché la revocazione nei casi di cui all’art. 395 c.p.c., per altro verso.
Innanzitutto, sembra ovvio che, se viene proposto appello cautelare, ogni modifica di circostanze
intervenute dopo il provvedimento cautelare e prima della pronuncia in appello ovvero ogni fatto precedente
di cui si sia acquisita conoscenza solo durante il tempo necessario per celebrare l’appello debbano essere
fatte valere appunto in appello.
In secondo luogo sembra che si debba ammettere l’appello anche avverso l’ordinanza che dispone
sull’istanza di modifica o revoca.
In terzo luogo, a me sembra che si debba limitare il campo di applicazione del richiamato art. 395
c.p.c., se vale, come emerge anche dall’art. 106 del Codice, pure nel processo amministrativo il principio per
cui la revocazione non concorre mai con l’appello.
La revocazione è possibile per due ordini di motivi: quelli c.d. ordinari, di cui ai nn. 4 e 5 dell’art. 395,
e quelli c.d. straordinari, di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 della stessa norma. I primi, legati a vizi palesi del
provvedimento, sono detti ordinari perché si possono far valere entro un termine il cui dies a quo di
decorrenza è certo, essendo esso individuato nella notificazione del provvedimento ovvero nella sua
pubblicazione. I secondi, legati a vizi occulti, sono detti straordinari perché la possibilità di farli valere è
legata ad un termine il cui dies a quo di decorrenza è incerto sia nell’an sia nel quando. Ebbene i primi, ove
avverso il provvedimento giurisdizionale è spendibile l’appello, non sono mai proponibili in via di
revocazione, ma appunto in sede di appello. I secondi, invece, sono spendibili in sede di revocazione solo
ove non sia stato possibile farli valere in sede di appello.
Se questi principi, validi per le sentenze, valgono anche in riferimento ai provvedimenti cautelari,
evidentemente i soli motivi di revocazione che si possono far valere avverso un provvedimento cautelare
assunto dal giudice di primo grado sono quelli c.d. straordinari, essendo l’errore revocatorio e la violazione
di precedente giudicato spendibili in sede di appello. Ove, invece, si sia di fronte ad una misura cautelare
adottata dal giudice in appello, allora si apre lo spettro di tutti i motivi di cui all’art. 395 c.p.c.
96
Analogamente per il processo civile vedi LUISO, op. cit., 213.
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11. Il provvedimento cautelare, vista la sua funzione servente e strumentale rispetto al processo
dichiarativo, è destinato ad avere un’efficacia temporanea. Esso prima o poi perde la sua efficacia (ex tunc) o
per ragioni fisiologiche o per ragioni patologiche.
Bisogna vedere quali sono le ipotesi in cui si ha la perdita di efficacia del provvedimento cautelare e,
quindi, come si determina la detta inefficacia.
Partendo dal primo problema, alcune ipotesi le abbiamo già viste. Il provvedimento cautelare perde
efficacia perché è stato adottato dal giudice poi rivelatosi sfornito di giurisdizione (art. 11, 7° comma) ovvero
sfornito di competenza (art. 15, 8° comma). Il decreto monocratico concesso in corso di causa perde efficacia
se non viene confermato dal collegio in camera di consiglio (art. 56, 4° comma). Il decreto monocratico
concesso ante causam perde efficacia ove non sia notificato il ricorso di merito nei 15 giorni successivi alla
sua emanazione e ove non sia confermato dal collegio entro 60 giorni, restando, invece, dubbio quale sia la
sanzione collegabile alla mancata notificazione del decreto ad opera del richiedente nei confronti della altre
parti entro il termine perentorio assegnato dal giudice, non superiore a 5 giorni.
Oltre a queste ipotesi, anche ispirandosi a quanto previsto dal codice di procedura civile, mi sembra
inevitabile affermare che il provvedimento cautelare perda efficacia:
-
ove sia accolta la domanda nel merito, ipotesi questa in cui l’inefficacia della misura cautelare si
risolve nel suo assorbimento nella sentenza di merito: qui siamo di fronte ad una inefficacia, se così
possiamo dire, fisiologica;
-
ove sia rigettata la domanda nel merito, bastando probabilmente la sentenza di rigetto in primo
grado, senza dover aspettare il giudicato, e ciò ispirandosi a quanto prevede il 3° comma dell’art.
669-novies c.p.c.;
-
ove si estingua la causa di merito, vista la stretta strumentalità, non solo funzionale, ma anche
strutturale che nell’ambito del processo amministrativo emerge tra la tutela cautelare e la tutela
dichiarativa (art. 669-novies, 1° comma, c.p.c.)97.
Ma nei detti casi come si determina l’effetto della inefficacia? Questa sopravviene ex lege al verificarsi
dei suoi presupposti oppure è necessario un provvedimento del giudice? O meglio, anche a voler ritenere che
l’effetto derivi direttamente dal verificarsi dei suoi presupposti, è comunque necessario e possibile che vi sia
un provvedimento del giudice che lo dichiari?
Nel processo amministrativo, a differenza di quanto avviene nel processo civile (cfr. l’art. 669-novies),
non è disciplinata una procedura per la dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare, per cui
l’interprete deve cercare soluzioni ragionevoli e, se possibile, ispirarsi alle previsioni del codice di procedura
civile.
97
A differenza di quanto avviene nel processo civile, nell’ambito del quale la tutela cautelare anticipatoria, pur
mantenendo la sua strumentalità sul piano funzionale, ha perso l’intima connessione strutturale col processo
dichiarativo.
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Vi sono delle situazioni che non destano preoccupazione. Così quando viene definita la causa nel
merito è evidente che starà al giudice disporre anche in riferimento al provvedimento cautelare. In
particolare, nel caso che la domanda sia rigettata e si debba dichiarare l’inefficacia della misura cautelare,
con eventuali accessori ordini di riduzione in pristino.
Ma nelle altre ipotesi la situazione è dubbia. Se è stata concessa una misura cautelare da giudice poi
rivelatosi sfornito di potestas iudicandi o è stato concesso un decreto ante causam senza che poi sia
instaurato il processo di merito, a quale giudice in ipotesi si potrebbe chiedere la dichiarazione di inefficacia?
Qui nel sistema del codice di procedura civile emerge la competenza del giudice che ha disposto la misura
cautelare, eventualità per la quale l’art. 669-novies detta anche una disciplina procedurale. Ma come si può
dire che accada la stessa cosa nel sistema del codice del processo amministrativo, se manca una disciplina
procedurale ad hoc?
Non può bastare l’affermazione per cui l’effetto caducatorio si collega semplicemente al verificarsi del
suo presupposto, perché a volte può esservi contestazione sul verificarsi di quel presupposto, senza
considerare, poi, il fatto che a detto effetto potrebbero dover anche seguire ordini ripristinatori. Ma è
altrettanto difficile, in mancanza di disposizioni al riguardo, immaginare una procedura da seguire al solo
fine dell’ottenimento di quella declaratoria di inefficacia.
Se la misura cautelare non è stata ancora attuata, della detta inefficacia può prendere atto il giudice
dell’ottemperanza, ove l’interessato abbia fatto la relativa istanza ai sensi dell’art. 59 del Codice.
Se, poi, trattasi di una misura concessa da giudice sfornito della potestas iudicandi, si potrebbe pensare
ad una declaratoria di inefficacia da parte del giudice investito della causa di merito. Ma una simile soluzione
non può funzionare ove la causa di merito non sia “trasferita” al giudice indicato come fornito di
giurisdizione o competenza.
Se, ancora, trattasi del decreto concesso ante causam, è possibile che la causa sia instaurata in ritardo o
comunque che siano decorsi 60 giorni senza che esso sia stato confermato dal collegio, ed allora si può
pensare che la declaratoria di inefficacia provenga comunque dal giudice del merito. Ma se il processo
dichiarativo non è instaurato affatto, si ha una lacuna nel sistema, perché bisognerebbe “inventare” una
procedura da seguire per chiedere allo stesso giudice che ha concesso il provvedimento cautelare la detta
dichiarazione di inefficacia.
Comunque, venuto meno il provvedimento cautelare con effetti ex tunc, ovviamente esso non è più
idoneo ad essere attuato ai sensi dell’art. 59 del Codice ed inoltre le modificazioni giuridiche che si siano
prodotte sulla sua base dovranno essere rimosse98.
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Per analoghi effetti nel processo civile vedi, per tutti, LUISO, op. cit., 210.