18 settembre 2015, ore 9:30 – 10:30 Classe 1AT Lezione di Storia Prof. Valerio Dinarelli La teoria di Lamarck Fino al XIX secolo, i naturalisti consideravano con perplessità i resti fossili d’organismi ormai esistenti: infatti, la maggior parte di essi credeva che le specie fossero stabili e non potessero subire modificazioni. Fossili inconsueti, come ad esempio ossa enormi di mammut lanosi ritrovate pressoché intatte, non potevano però trovare spiegazione nelle teorie del tempo. Fu solo nell’ottocento che si svilupparono nuove teorie per spiegare i cambiamenti avvenuti nel corso della storia delle specie. La teoria evolutiva delle specie si chiama FILOGENESI. Il naturalista francese Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829) per primo fornì la prova che gli organismi avevano subito, col passare del tempo, delle modificazioni e nel 1809 , in un libro dal titolo Philosophie zoologiche, affermò che gli organismi si erano evoluti in risposta al loro ambiente: Evolvere significa passare da una forma ad un’altra e Lamarck fu il primo a suggerire il concetto di evoluzione per gli esseri viventi. Tutti gli esseri viventi, osservava Lamarck, presentano dei sorprendenti adattamenti all’ambiente, inoltre c’è sempre una perfetta corrispondenza fra le forme degli organismi e il compito o funzione da essi svolto: ali adatte al volo, pinne adatte al nuoto, denti adatti al cibo preferito, pellicce adatte a proteggere dal freddo. Secondo Lamarck, gli animali non sono stati sempre come li conosciamo adesso, ma hanno raggiunto questa perfezione attraverso piccole trasformazioni che hanno migliorato le loro condizioni di vita. I miglioramenti si sono sommati durante le generazioni successive per trasmissione ereditaria e “accumulandosi” nei discendenti, hanno dato luogo a specie nuove e diverse da quelle degli antichi progenitori. Lamarck, per illustrare le sue idee, ricorre ad un animale famoso: la giraffa. QUAL È L’ORIGINE DEL LUNGO COLLO DELLA GIRAFFA? Per lo scienziato gli antenati della giraffa erano animali con il collo corto, abituati a brucare l’erba. Ma le foglie degli alberi erano tanto appetitose! Così, desiderando un pasto più abbondante, alcuni di essi si sono sforzati di allungare il collo, per raggiungerle. I piccoli allungamenti del collo, acquisiti dagli antenati della giraffa durante la vita, si sono trasmessi ai loro figli per eredità. Attraverso un grandissimo numero di generazioni, il collo della giraffa si è adattato sempre di più all’ambiente, allungandosi fino a raggiungere le foglie più alte. Nell’ipotesi avanzata da Lamarck, l’allungamento del collo della giraffa, come qualsiasi altro adattamento, è prodotto da una tendenza al miglioramento, propria dell’organismo animale; e una vera e propria “ SPINTA INTERNA”. Gli antenati della giraffa, nei quali non è sorta questa spinta interna, sono rimasti a pascolare l’erba e hanno dato origine ad altre specie di erbivori, quali potrebbero essere le antilopi della savana. Così da un unico gruppo di animali, eguali fra loro, si sono prodotte le giraffe ed altre specie i cui caratteri, col passare del tempo, sono diventati sempre più diversi, in seguito all’adattamento all’ambiente. Secondo Lamarck, questa moltiplicazione delle specie è avvenuta non solo per gli erbivori, ma per tutti gli animali. Lo scienziato concludeva che: tutte le specie animali erano derivate da un unico progenitore. IN SINTESI: DA UN LATO C’è LA TEORIA BASATA SULLA OSSERVAZIONE DEI FATTI REALI Tutte le forme viventi sono adatte all’ambiente. Tutte le forme viventi si sono prodotte nel corso del tempo, in seguito ad una lenta evoluzione. DALL’ALTRA C’è UNA IPOTESI PER SPIEGARLA Durante la vita gli animali, per una spinta interna al miglioramento, modificano il loro organismo per renderlo più adatto all’ambiente. Le modificazioni, causate dall’ambiente, sono trasmesse da una generazione all’altra. Le modificazioni “acquisite nel corso della vita” si sommano nelle generazioni successive e danno origine a nuove specie viventi, diverse dai progenitori. L’EVOLUZIONE AVVIENE PER EREDITÀ DEI CARATTERI ACQUISITI. l’ipotesi di Lamarck, come ogni ipotesi scientifica, può essere sottoposta alla verifica sperimentale; se è vera deve essere in qualche modo provata. Esistono prove che i caratteri acquisiti durante la vita di un animale si trasmettano ai figli? A. Un atleta sviluppa la sua muscolatura con l’allenamento e l’esercizio. Durante il periodo in cui diventa più 1/4 forte l’atleta può avere un figlio. Ebbene i figli degli atleti non nascono con i muscoli più efficienti di quelli che generalmente hanno gli altri bambini. B. Il boxer, famoso cane di razza, è più gradito agli appassionati se ha orecchie diritte e coda corta, perciò gli allevatori tagliano loro leggermente le orecchie e mozzano la coda riducendola a poche vertebre. Le orecchie erette e la coda mozza sono caratteri acquisiti durante la vita, che non si trasmettono ai figli per via ereditaria. DOBBIAMO QUINDI RITENERE FALSE LE IDEE CHE : A. I caratteri acquisiti dai genitori nel corso della vita si trasmettano ai figli B. Negli organismi viventi agisca una spinta interna al miglioramento che guida il loro sviluppo verso un fine e uno scopo. RIMANE PERÒ VERA L’IDEA FONDAMENTALE DALLA QUALE NASCE LA BIOLOGIA MODERNA E CIOÈ Per Lamarck il tempo diventa uno dei principali protagonisti del mondo vivente. La vita sulla terra ha una sua storia passata in virtù della quale tutti gli esseri viventi hanno una somiglianza di fondo che li accomuna. La teoria dell'evoluzione di Darwin-Wallace Una spiegazione delle cause dell'evoluzione e la formulazione di una teoria su solide basi scientifiche fu merito dei naturalisti inglesi Charles Darwin (1809-1882) e Alfred Russel Wallace (1823-1913). Contemporaneamente e indipendentemente l'uno dall'altro, essi elaborarono idee analoghe, che furono esposte nel 1858 in due saggi passati quasi inosservati. Nel 1859 Darwin pubblicò le sue conclusioni nell'opera L'origine delle specie , che, contrariamente ai saggi precedenti, ebbe subito grande risonanza (per questo motivo e anche per la superiore statura scientifica di Darwin, la teoria dell'evoluzione, o darwinismo, è specialmente legata al suo nome). Darwin e Wallace basavano il loro pensiero su numerose osservazioni dirette (compiute soprattutto durante viaggi in regioni tropicali), che evidenziavano in particolare: • la grande varietà di specie presenti in una stessa regione; • il perfetto adattamento di queste specie al diverso tipo di habitat e di alimentazione. Importanti furono inoltre gli spunti forniti da dottrine in precedenza eleaborate in ambito geologico (Lyell) e demografico-economico (Malthus). Secondo il principio dell'attualismo del geologo inglese C. Lyell (1797-1875) il modellamento della Terra è il risultato non di immani catastrofi, come terremoti o eruzioni gigantesche, ma di forze naturali lente e continue, sempre all'opera. Analogamente, in campo biologico piccole variazioni di forma da una generazione all'altra avrebbero potuto formare, nel corso del tempo geologico, tutte le specie animali e vegetali che conosciamo. Secondo la teoria demografica dell'economista inglese T. Malthus (1766-1834), le popolazioni umane tendono a crescere in progressione geometrica, mentre le risorse alimentari in natura crescono in progressione aritmetica, comportando una scarsità di risorse a danno degli individui più deboli, che soccombono. Da qui l'dea di una continua lotta per l'esistenza, generalizzabile a tutti gli organismi viventi, e il cui risultato sarebbe quello di favorire i più adatti (selezione naturale). L'evoluzione per selezione naturale La spiegazione dell'evoluzione di Darwin-Wallace, nota come teoria dell'evoluzione per selezione naturale, può essere così riassunta: 2/4 • fra gli individui di una stessa specie vi è grande variabilità genetica (che si manifesta in piccole differenze nei caratteri, quali corporatura, altezza, pigmentazione della pelle, colore degli occhi ecc.); • le variazioni individuali devono essere ereditabili, perché i figli sono simili ai genitori; • tutti gli organismi tendono a moltiplicarsi, ma l'ambiente non permette una crescita indiscriminata, per cui le dimensioni di una popolazione sono frenate dalla mortalità (selezione naturale); • sopravvivono e si riproducono più facilmente gli individui che hanno raggiunto un migliore adattamento all'ambiente in cui vivono, e che quindi sono favoriti nella lotta per l'esistenza; • con questi meccanismi, le specie nel tempo si evolvono, dando origine a nuove specie. Darwin conosceva le tecniche della selezione artificiale, il mezzo attuato da secoli da allevatori e coltivatori per migliorare le razze economicamente utili, e ipotizzò che un meccanismo simile potesse verosimilmente agire anche in natura. Non conosceva invece le leggi dell'ereditarietà (gli studi di Mendel, suo contemporaneo, passarono quasi inosservati fino ai primi del '900) e non seppe quindi spiegare in particolare come si origina la variabilità di caratteri (sia fisici, sia comportamentali) sulla quale avrebbe dovuto agire la selezione naturale. La teoria dell'evoluzione ha comunque il merito di aver sottolineato che i nuovi caratteri si originano indipendentemente dall'ambiente (cioè non è l'ambiente a creare nuovi caratteri, come sosteneva Lamarck), ma, una volta comparsi, sono selezionati dall'ambiente. L'evoluzione è quindi diretta dalla selezione naturale, ma procede in modo casuale. La teoria dell'evoluzione ebbe grande impatto sul pensiero dell'800 e, in particolare, sulla biologia, di cui rimane ancora oggi una delle teorie unificatrici, perché permette di spiegare e di organizzare in modo logico tutte le conoscenze delle diverse discipline. La PREISTORIA La storia dell'umanità ha origini antichissime e nel corso dei secoli si è divincolata attraverso epoche differenti, caratterizzate da scoperte, invenzioni e conquiste. Qual è quindi il periodo che identifica l'età preistorica e quali furono le sue peculiarità? Sveliamo intanto che il termine “preistoria” fu introdotto intorno al 1830 dal farmacista francese Paul Tournal, che per primo scoprì la sincronia esistente tra l'uomo primitivo e gli animali estinti. Convenzionalmente l'inizio della preistoria coincide con il periodo a cui risalgono i più antichi ritrovamenti fossili umani, datati circa 4 milioni di anni. La sua fine invece viene fatta combaciare con l'invenzione della scrittura; un momento storico che, com'è facile immaginare, differisce a seconda del luogo geografico preso in considerazione. Collocare nel variegato quadro della storia eventi accaduti prima che l'uomo decidesse di lasciare tracce visibili del suo passaggio, non è compito facile. Allo scopo di classificare cronologicamente l'età preistorica, nel 1734 è stato introdotto il cosiddetto “sistema delle tre età” che divide in tappe lo sviluppo delle civiltà preistoriche seguendo l'evoluzione dei materiali utilizzati: si distinguono così le tre Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. In realtà ne esiste una quarta che segna il graduale passaggio dall'età della pietra alla successiva attraverso l'impiego di un altro metallo, il Rame. 3/4 Questi quattro momenti sono collocati all'interno delle due fasi in cui si è soliti suddividere tutto il periodo preistorico: preistoria: comprendente l'età della pietra e del rame protostoria: differenziata dalla preistoria in senso stretto e comprendente il periodo che va dall'età del bronzo a quello del ferro. Non vi sono date univoche riguardo l'inizio e la fine della due fasi poiché la loro durata dipende strettamente dall'evoluzione umana in una specifica regione geografica. La fase preistorica riferita all'età della pietra si divide ulteriormente in tre diversi periodi: 1. paleolitico: è il periodo più lungo e va dall'introduzione dei primi utensili in pietra, alla pratica dell'agricoltura. E' suddiviso in paleolitico inferiore, medio e superiore. 2. mesolitico (o epipaleolitico): identifica il momento di transizione in cui si sviluppano tecniche di lavorazione della pietra più raffinate, per realizzare utensili da impiegare nella raccolta e nella caccia. 3) il neolitico: fase che segna un ulteriormente evoluzione dovuta all'introduzione della ceramica, alla levigazione degli oggetti in pietra e al passaggio ad uno stile di vita basato sull'allevamento e l'agricoltura. Il ritrovamento di Lucy Nel 1973 venne scoperto a Hadar (Afar) in Etiopia dal paleoantropologo Donald Johanson lo scheletro di un Australopithecus afarensis - il nome deriva da Afar, la zona in cui fu effettuato il ritrovamento- tra le cui ossa venne identificata una struttura (ginocchio) idonea allo spostamento sugli arti inferiori. L’anno successivo insieme a Tom Gray, Johansons scoprì, sempre a Hadar, uno scheletro di sesso femminile vissuto in Africa centrale 3 milioni di anni fa, che venne poi indicato con soprannome di Lucy. Questo soprannome venne dato la sera stessa della scoperta, nell'accampamento, semplicemente perché in quel momento la radio stava trasmettendo una canzone dei Beatles, Lucy in the sky with diamonds. Lo stato di conservazione di questi fossili era veramente eccezionale. Erano sfuggiti alla distruzione del tempo più del 40 % delle ossa dello scheletro. Lucy era alta poco più di un metro e pesava solo 28 kg. Fino al 1998 Lucy è stata considerate la “nonna” dell’umanità, quando Philippe Tobias, nel corso di un anno di scavi in Sudafrica ha messo assieme i pezzi di uno scheletro ancor meglio conservato appartenuto ad un ominide, vissuto tre milioni e seicentomila anni fa. Dai ritrovamenti risulta il profilo di un ominide, alto poco più di un metro e venti, che camminava eretto e che disponeva di un cervello più grosso di quello delle scimmie antropomorfe africane, sue parenti prossime. 4/4