Teologia Morale Speciale Sociale
27° Lez - 2° semestre
8° Lez - 23 Apr 09 - Ass.: SANTANGELO → (Don Domenico)
Viene fatta una domanda sulla modalità dell’esame, ed il prof si limita a consigliarci di studiare il testo, in
particolare il cap 7° che riguarda la TMSo. Almeno la prima domanda di sicuro sarà presa da lì. Poi è chiaro,
quando arriverete a me, io vi farò qualche domanda su quello che abbiamo detto in classe, perché altrimenti
non avrebbe senso fare le lezioni. Di sicuro il punto di riferimento è il testo.
Vorrei finire questa parte sistematica, per chiarire possiamo dire che fino ad ora ci siamo soffermati su una
parte di carattere fondativo, perché secondo me, se non abbiamo le basi, non possiamo comprendere
poi,l’agire sociale, da credenti, in società. Per questo ci siamo soffermati su una parte che ha voluto
individuare un po’ quei due fondamenti. Il fondamento remoto, il fondamento prossimo dell’agire sociale.
Sta sera ci soffermeremo, dopo aver detto qualcosa ancora sulla parete di tipo sistematico, ci soffermeremmo
su una parte di tipo storico, perché secondo me anche la storia ha la sua rilevanza, altrimenti non avrebbe
senso parlare di continuità e rinnovamento, e poi in fine l’ultima parte del corso, ultime 3 - 4 lezioni, invece
ci concentreremo sui temi che trovate sul cap 7°. Questo lo dico, per far avere a voi chiaro il quadro del
discorso, quindi: un ambito fondativo, di tipo sistematico, di tipo storico – e poi un ambito applicativo,
perché riguarda alcuni ambiti della vita sociale analizzati alla luce di quello che abbiamo detto nell’ambito
fondativo. Questo è per avere il quadro, perché altrimenti rischiamo di non avere chiare le coordinate del
percorso.
L’altra volta abbiamo terminato con l’esaminare la Veritatis splendor (VS), ricordate il duplice percorso che
abbiamo inquadrato, che tipo di proposta per poter analizzare, poter offrire, un po’ sul vivere da cristiani, in
società? come articolare e presentare alla società in cui viviamo la nostra proposta sul vivere sociale, da
credenti? E allora, abbiamo detto, c’è un duplice percorso da poter offrire, e abbiamo detto: dal fondamento
remoto al fondamento prossimo, quindi da Cristo all’Uomo – e la seconda parte del percorso è invece
dall’Uomo a Cristo. Se l’uomo, dicevamo, è libertà, abbiamo detto, è il costitutivo essenziale, è
quell’attributo che rende innanzi tutto morale il vivere dell’uomo. Perché se non è libero, non può essere
neanche morale, e quindi se l’uomo è libertà, se la morale stessa è libertà, cammino di libertà e di
liberazione, allora l’uomo è libertà da liberare. E allora abbiamo inquadrato alcune caratteristiche della
libertà, sempre facendo riferimento a quello che la VS n° 86 – 68 ci aveva detto. Quindi, quali
caratteristiche? La libertà è innanzi tutto una libertà creaturale, è libertà di una creatura, è una libertà di tipo
finito, perché non è originaria, non è indipendente la libertà dell’uomo, non è l’uomo a darsela. È una libertà
di tipo ferito, ricordate quando abbiamo letto il n° 86? Come si esprime? L’uomo è misteriosamente
inclinato, anzi che a seguire la via del bene, a tendere invece verso il male. Questo è l’inizio di quel dramma
che sempre il n° 86 evidenzia, quando dice: l’uomo poi arriva anche a dire in maniera radicale NO. Lì si
manifesta ancora di più il NO al bene e alla verità, e lì si manifesta in maniera centrale la caratteristica della
libertà ferita. E allora, se questo è vero, avevamo0 detto, l’ultima caratteristica, è che l’uomo aspira alla
liberazione, proprio perché non può restare in quella condizione di essere ferito, e Cristo ne è il liberatore.
Questo è quello che evidenzia sempre la VS, e chi volesse approfondire può andare ai numeri 145 -143 del
compendio, perché trova lì le caratteristiche della libertà, e quindi evidenzia proprio questi aspetti su cui ci
siamo soffermati, lì eravamo arrivati la volta scorsa.
Da tutto ciò, cosa emerge? Quale deve essere la sollecitudine della Chiesa, della comunità dei credenti, della
TMSo, in questo senso. Allora, se questo discorso sul fondamento è chiaro, si tratta fondamentalmente di
portare Cristo ad ogni uomo e ogni uomo a Cristo. Il percorso è duplice, ma va letto in simbiosi, non può
esserci solo una parte del discorso, ma il discorso è da cogliersi in tutta la sua articolazione. E infatti, vi
rimando anche qui, al n° 18 della Redemptor hominis (RH), ne avevamo parlato tempo fa per rileggere le
caratteristiche della priorità della persona sulle strutture sociali, insieme a quelle caratteristiche riduttive
della società. Per capire come anche in quel n° 18 (della RH) emerge bene questo discorso. E quindi allora,
come consentire… io ritengo che la proposta del fondamento è una via privilegiata, per mostrare che la fede
cristiana è una proposta credibile, anche sul vivere sociale, se articoliamo, sistematiziamo, e diamo
concretezza a questo percorso di tipo fondativo. Allora, come poter articolare una autentica e piena vita
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sociale da credenti? Innanzi tutto, io credo, garantendo i fondamenti. Una vita sociale che non garantisce
questi fondamenti, una comunità cristiana che non fa leva su questi fondamenti, perde di vista anche il senso
del suo cammino e del suo servizio del bene nel mondo. E quindi vi porto alcune espressioni, che per
esempio Papa Benedetto XVI ha detto al mondo della cultura nel suo viaggio a Parigi lo scorso 12 Sett 2008.
si parlava dell’eredità del cattolicesimo, e del cristianesimo, e lui diceva questo: “quando i monaci, cercando
Dio, hanno trovato la grammatica dei rapporti umani”. Parlava dell’eredità cristiana e benedettina, ma faceva
comprendere come anche da queste parole il discorso su Dio, non è staccato dal discorso sul mondo e sul
vivere concretamente da cristiani, al punto che il Papa dice: “cercando Dio hanno trovato la grammatica”,
quindi hanno cercato di individuare quale è quel modo, quelle regole che possono consentire di vivere in
maniera autentica la propria fede. E in questo ci viene in soccorso, quello che la Spe salvi (Ss) al n° 15 dice:
“perché nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire la dove le anime inselvatichiscono”. Su
queste basi, sulle fondamenta che abbiamo cercato di delineare sin ora, si alimenta un’altra espressione che
Papa GPII ha usato nella Centesimus annus (CA) una delle encicliche sociali, del 1991, centenario della
Rerum Novarum, l’ultimas enciclica sociale, anche se secondo me è sbagliato poter ridurre le encicliche
sociali solo a certi temi, perché io credo che ogni enciclica sia sociale, ogni enciclica parla dell’uomo e della
convivenza in società. di per se bisogna sempre precisare cosa intendiamo per enciclica sociale. Comunque
al n° 5 della CA il Papa afferma proprio: “lo statuto di cittadinanza della fede cristiana nella società. Quindi
la fede cristiana ha uno statuto da poter incarnare nella società, e in questo senso ci viene in soccorso lo
stesso Benedetto XVI, quando nel Luglio scorso, a Sydney nella GMG ha ripreso questo discorso e ha detto
che a questo statuto di cittadinanza della fede cristiana, non è altro che “il diritto di Dio di non essere lasciato
in panchina, ne di essere messo da parte”. E noi cristiani ci giochiamo la nostra credibilità, proprio su quello
spazio, e quale spazio diamo al diritto di Dio di essere presente nella società. lì secondo me sta tutta la sfida.
Io direi che forse la massima questione sociale sta proprio qui. La massima questione oggi, dal punto di vista
dei credenti, al di là di chi è l’uomo, la questione antropologica, e tutto quanto il resto, ma se alla base c’è la
presenza del diritto di Dio di essere presente in società, allora anche la questione antropologica assume un
altro tono ed un'altra qualifica nel discorso. È chiaro se si toglie già in partenza il riferimento al trascendente,
allora il discorso è già limitato è già parziale, è già ideologico. E su questo avete già materia per riflettere,
perché ne abbiamo già parlato di queste cose. Quindi, la TMSo e in specifico la Dottrina Sociale della
Chiesa (DSdC) rintraccia/ritrova, la sua natura di scienza (ricordate come l’abbiamo definita nella prima
lezione? Quell’intelligenza sensata della fede sulla vita sociale. Questa è la definizione di TMSo.) proprio
quando esprime Dio nel mondo (qui mi ricollego alla Ss n°3). La nostra sfida è proprio lì, proporre Dio,
incarnare Dio nel mondo. Quindi lì la TMSo la DSdC ritrova la sua natura. Si tratta allora di aprire la strada
a Dio nel mondo. È lì la sfida che come cristiani/credenti/cattolici ci portiamo. Perché? Dice ancora la Ss al
n° 27: “un mondo senza Dio è un mondo senza speranza”. “Chi non conosce Dio (n°27 Ss) pur potendo
avere molteplici speranze infondo è senza speranza, e anche la luce della ragione senza di Lui tende ad
offuscarsi.” Appesantita dai mali e dai peccati anche sociali. Pensate al peccato di egoismo, di ipocrisia,
pensate al peccato dell’orgoglio, applicati ed amplificati a livello sociale. Beh, anche questi sono ovviamente
mali che tendono ad offuscare la luce della presenza di Dio. Allora, cosa deve fare la comunità cristiana?
Quale compito può indicare l’analisi della TNSo in merito? E qui vi rimando alla nota del 4° convegno
ecclesiale della Chiesa italiana, di Verona, alla nota che è stata pubblicata dopo, al n° 12, quando parla di
mostrare il SI di Dio, “tocca le fondamenta stesse della Chiesa. Per questo la via della missione ecclesiale
più adatta al tempo presente e più comprensibile per i nostri contemporanei, prende la forma della
testimonianza”. È la testimonianza la risposta; il modo in cui poter incarnare/assumere, tradurre
concretamente quello che la fede cristiana propone. Una testimonianza umile e appassionata, radicata in una
spiritualità profonda e culturalmente attrezzata, quindi matura anche dal punto di vista dell’intelligenza della
fede, una ragione allargata. Sempre per restare a quanto papa Benedetto XVI va dicendo ormai da tempo nel
suo magistero. Con questo io finirei questa parte di tipo sistematico, e allora mi dedicherei invece alla parte
più storica.
È una parte su cui, visto il tempo a disposizione, concentreremo molto meno spazio, rispetto a quello che
abbiamo dato fino ad ora alla parte sistematica, ma io credo, fondamentale lo stesso, proprio per
comprendere la continuità e insieme il rinnovamento dell’insegnamento teologico morale sociale. Dicevo,
quindi, non faremo una storia particolareggiata della morale sociale cristiana. Chi volesse, approfondire il
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discorso, c’è il testo del padre domenicano Raimondo Spiazzi, è un autore che ha scritto diversi testi, proprio
sull’ambito dell’incarnare la fede in società, il testo si chiama: “Enciclopedia del pensiero sociale cristiano”
sono circa 1000 pagine, quindi è un bel testo. Ma ovviamente è tutta la storia del messaggio sociale cristiano.
Quindi 1000 pagine di rassegna storica, tra idee, autori. Opere delle fonti bibliche, classiche della filosofia
ellenica e romana, e poi, l’epoca dei Padri della Chiesa fino ad oggi. Quindi analizza proprio tutta la storia,
quella almeno della razionalità occidentale, fino ai giorni d’oggi. L’altro testo che invece ho portato sta sera,
ed è altrettanto piccolo è proprio questo qui, di un noto letterato, uomo politico, giornalista, Igino Giordani.
Non so se qui c’è qualcuno del movimento dei focolari, è stato uno dei massimi esponenti, morto nei primi
degli anni ’80. Questo libro è la raccolta di 4 libri, la cui somma ha dato luogo a questo testo: “Il messaggio
sociale del cristianesimo”. Lui ha cominciato con lo scrivere: “Il messaggio sociale di Gesù Cristo” – “Il
messaggio sociale degli apostoli” – “Il messaggio sociale dei primi padri della Chiesa” – “Ila messaggio
sociale dei grandi padri della Chiesa”. E lì si è fermato. Infatti doveva essere un’opera che doveva essere di 9
volumi, purtroppo si è fermato al 4°, è questo il testo che li racchiude. Ovviamente non significa che dovete
comprarlo… l’ho portato per farvelo vedere, per prendere atto che anche qui chi volesse comprendere il
messaggio sociale di Gesù Cristo, degli apostoli, dei primi padri della Chiesa… infatti ci fermiamo al V sec.
d.C. - Questo purtroppo è un limite del testo, però, siccome quando noi parliamo di dottrina sociale, ci
riferiamo all’ultimo secolo, però tutto ciò che poi è precedente, è raro che viene preso in considerazione,
proprio perché tutti si fermano sull’ultimo secolo, da Leone XIII in poi. E quello di prima? Anche perché poi
ci troviamo a sfatare quel limite secondo cui la Chiesa prima di quel limite non ha parlato. Cosa
profondamente sbagliata, perché non è vero. Questi due testi ci fanno sapere quindi che ci sono scritti
abbastanza completi, perché senno ci sono scritti abbastanza sporadici. Ci sono scritti sui padri della chiesa,
ma è un ambito, non c’è un discorso proprio sistematico sul messaggio sociale, dall’antichità fino ad oggi.
Quindi siamo alla parte storica, non faremo una trattazione sistematica di tutto il percorso storico, diamo
solo alcuni punti centrali dell’evoluzione del pensiero morale cristiano in relazione agli ambiti della vita
sociale. E allora, da dove parte la storia del pensiero sociale del cristiano? Inizia ovviamente con le
prospettive che la sacra scrittura ha dato, voi sapete anche quello che la Dei Verbum (DV) oltre all’ Optatam
toius (OT), la DV n° 24, dice in merito, quando dice che la Sacra Scrittura è l’anima di tutta la teologia.
Quindi, partiamo con le prospettive che la Sacra Scrittura offre circa le realtà sociali. Quindi: A e N T, epoca
apostolica, Padri della Chiesa, epoca Patristica, Medievale, moderna e Contemporanea. Faremo dei grandi
salti ovviamente, perché non c’è la possibilità di fermarsi in maniera specifica. Credo che non ci sia bisogno
di specificare il perché facciamo un discorso di tipo storico, lo preciso solo in 2 battute, per dire come è stato
inteso/vissuto l’agire sociale nel tempo, visto che di questo parliamo, aiuta a chiarire come vivere da cristiani
oggi. E del resto, il come è l’agire sociale, come bisogna vivere oggi da cristiani credenti, non può
prescindere da quello che i nostri progenitori, o comunque i cristiani, dal modo in cui è stato inteso l’agire
sociale storicamente. C’è una citazione del professor Rocchetta, che è un teologo, quando dice che la
riflessione teologica non si sviluppa al di fuori della storia, ma si svolge nella storia, quindi assume proprio
la storia come luogo teologico per eccellenza, la storia è luogo di esperienza e di riflessione. Allora andiamo
alla prima fonte del pensiero sociale cristiano, e quindi della TMSo e poi della futura DSdC, questa fonte è la
Sacra Scrittura. Ovviamente, come ci accostiamo alla Sacra scrittura? Perché anche qui, bisogna stare attenti
a quegli approcci di tipo riduttivo, che non fanno un corretto uso di quello che lo strumento biblico mette a
disposizione. E allora vorrei dare alcune premesse di tipo metodologico per un corretto approccio alla sacra
scrittura. Quale è innanzi tutto l’idea guida, perché ci riferiamo alla Sacra Scrittura? La Sacra Scrittura
costituisce l’orizzonte interpretativo ultimo della vita cristiana, personale e sociale. È riferimento essenziale
per ogni riflessione che voglia essere seriamente nutrita della fede cristiana, non può mancare un riferimento
alla Sacra Scrittura. Ma questo non significa che serve un rivestimento di tipo decorativo, non è questo il
discorso, non è per rendere il discorso più bello… mettiamoci anche ammezzo la Bibbia. Non è questo. È un
fondamento dell’agire, quindi va visto alla base di tutto il discorso dell’agire sociale. E allora, come la Sacra
Scrittura è in grado di interpretare le vicende del vivere sociale? In ambito economico, in ambito politico,
sfatiamo subito alcuni miti o alcuni dubbi, così abbiamo le idee chiare del discorso. La Bibbia non è un
catechismo sociale, non è un prontuario … questo lo posso fare con il compendio della dottrina sociale, ma
non lo posso fare con la Bibbia. Questo perché la Bibbia non ha una diretta finalità etico sociale,. Perché la
Sacra Scrittura è testimonianza/annuncio del Regno di Dio, realizzato in Gesù di Nazaret e continuato nella
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Chiesa primitiva, nella comunità cristiana, nella luce, con la forza dello Spirito. Quindi non ha una
immediata rilevanza etico sociale, ma questo non significa: siccome non è immediata non ha rilevanza
sociale, No, al contrario, ha rilevanza sociale. Perché propone un messaggio da vivere. Ci siamo tanto
soffermati nella parte fondativa, sull’importanza della fede, è proprio per questo. Propone un messaggio da
vivere nell’esistenza quotidiana. Quando possiamo dire che viviamo il messaggio che contiene la Sacra
Scrittura? Quando ne è permeato il cuore dell’uomo. fin che non è così vuol dire che il discorso biblico resta
da una parte, non è ancora fatto proprio nel vivere da credenti in società. – Ancora – la Bibbia non offre un
discorso organico od omogeneo sulle realtà sociali. Non contiene una esplicita dottrina sulla società, o sulle
società, non è un testo di sociologia, dove io trovo in maniera sistematica/riflessa una concezione sulla
società. La Bibbia esprime varie visioni della società, legate alla cultura, o al momento storico salvifico in
cui quella parola è donata, e viene vissuta dai diversi autori biblici e dalle diverse comunità. Pensate a tutto
l’intero arco di redazione della Sacra Scrittura, pensate se questo si potesse ridurre ad una unica concezione
sulla società e sul vivere da cristiani nella società. Quindi questa disorganicità, e discontinuità, si spiegano
osservando il modo in cui il testo si è sviluppato e in cui la relazione ebraico-cristiana si è strutturata. Dio si
è manifestato, ha parlato nelle vicende della storia umana, incarnando (ecco quel gioco delle comunità) la
vita della comunità, incarnando quel messaggio trascendente nelle particolari forme storiche del tempo, e
secondo le particolari prospettive dei diversi autori che hanno mediato quel dato. Quindi questo alla fine
cosa significa? Che la Sacra Scrittura non può essere strumentalizzata. Perché è facile anche qui, prendere un
testo e dire: questo è il messaggio. Permettete anche la confessione che ci facciamo. Domenica nella prima
lettura di parlava che tutti avevano un cuor solo un’anima sola, tutto era in comune, nessuno era bisognoso.
Ma voi pensate che possiamo ridurre tutto il discorso dell’agire sociale a quella comunità? Quella è
l’esperienza della Chiesa Madre di Gerusalemme, ma non è detto che le altre esperienze siano uguali. Quindi
anche qui, attenti a quando diciamo: è quello il modo in cui dobbiamo vivere da cristiani. È un modo con cui
poter accogliere e vivere il messaggio della fede in credenti in società. è chiaro, quello è il messaggio ideale,
intendiamoci, la proposta ideale va in quel senso, ma non è detto e ne deve essere intesa che sia l’unica
proposta per il vivere sociale. Non è l’unica proposta. Quindi allora, il rischio che abbiamo detto, nella
prospettiva credente, una volta che abbiamo ribadito la sua centralità, è proprio quello di evitare l’uso
fondamentalista della Sacra Scrittura, quello che i nostri cugini Testimoni di Geova fanno per esempio.
Quale è questo rischio fondamentalista? Trarre immediata attualità deduttiva di ogni sua pagina, quello è il
rischio da evitare, quando ci accostiamo alla Sacra Scrittura, e attendiamo proposte per il nostro vivere
sociale, da credenti. Se questo è vero, per un corretto approccio teologico/morale del messaggio sociale della
Bibbia, cosa fare? Bisogna scoprire nel testo unità di senso e verità. Che si rivela alla luce
dell’interpretazione cristologia della Scrittura. Quindi, da ogni pagina sella Sacra Scrittura, dobbiamo andare
alla vicenda di Gesù di Nazaret, perché è Lui centro e vertice della Bibbia, è Lui il criterio interpretativo
ultimo ed unitario. Quindi per poter comprendere pienamente quello che il testo racchiude in sé, bisogna
andare all’interpretazione cristologia della Scrittura, e del dato che essa veicola e trasmette. E non per nulla,
proprio perché abbiamo già fatto l’analisi fondativa del discorso… Perché è impostante fare l’interpretazione
cristologia del discorso? Perché in Gesù Cristo rivelazione di Dio e rivelazione dell’uomo coincidono.
Ricordate quello che abbiamo detto riguardo la GS n° 22? La Sacra Scrittura se ascoltata a partire da Lui e in
vista di Lui, non solo svela il volto di Dio all’uomo, ma rivela pienamente l’uomo a se stesso. Per questo le
due rivelazioni, se siamo interessati ad un discorso autentico, coincidono, o almeno. O almeno dovrebbero
tendere a tenere il nostro vivere confrontato con quello di Gesù Cristo. All’inizio del nostro cammino di
ricerca della verità delle relazioni del vivere sociale è necessaria una adeguata riflessione sui fondamenti
biblici del pensiero sociale cristiano. Fermo restando che la Sacra Scrittura/la rivelazione, non ci dice come
una società debba essere articolata/strutturata. Quindi non andiamo a cercare cose ch3e in essa non possiamo
trovare, tipo strutture, istituzioni, funzioni sociali, come debbono funzionare dal punto di vista tecnico,
questo non è possibile. Allora, bisogna aspettarsi dal testo ciò che il testo può darci, quali caratteristiche
trarre? Che rapporto c’è tra Sacra Scrittura e TMSo? La Sacra Scrittura non possiede una sintesi, dei
problemi sociali, ne in essa ritroviamo una forma sistematica di trattazione, non è un testo di teologia
sistematica. La Sacra Scrittura non offre una considerazione tecnica dei problemi del vivere sociale, nel
senso di un riferimento direttamente avviato a soluzione. La Sacra Scrittura offre una visione religiosa, è Dio
che parla e il popolo agisce nel senso indicato da Dio, o al contrario, quando il popolo non agisce. Quindi la
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prospettiva in cui si inquadrano i problemi sociali è di tipo religioso nella Bibbia. –ancora- è una prospettiva
di salvezza, la sacra scrittura ha quel tipo di prospettiva, perché la visione religiosa offerta non è una
prospettiva di tipo ideologico, ma salvifico, perchè vuole liberare e salvare l’uomo. Ormai sapete a che tipo
di uomo ci riferiamo, quando parliamo di uomo. (quella è la domanda clù dell’esame) Quindi una visione
religiosa di salvezza, ma che è anche di carattere storico, questo è fondamentale ribadirlo. Perché la salvezza
religiosa offerta ha incidenza nel vivere concreto delle persone. Dio parla a delle persone concrete, che
vivono in un determinato contesto sociale, quindi non sono estranee al vivere in società. allora, da quanto
precede, possiamo dedurre che nella Sacra Scrittura si trova un riferimento alla dimensione etica del vivere
sociale, perché viene sempre offerta l’analisi su che cosa è bene fare, come è bene vivere, o al contrario, non
seguendo quelle indicazioni si fa il male; bene da fare, male da evitare. Quindi ciò che è significativo, questo
troviamo nella Sacra Scrittura, ciò che è significativo assumere per il proprio vivere, ciò che al contrario non
è significativo, anzi fa perdere la rotta, la direzione, il significato del proprio esistere, il perdersi. Al
contrario dell’essere liberati, si ritrova la propria fine, la propria perdizione. Quindi, la verità o la falsità di
una condotta sociale, autentica o in-autentica. Quindi il messaggio sociale, inteso in questo modo biblico, ha
una rilevanza di tipo etico, e ancora offre, proprio perché è un messaggio di tipo religioso, una salvezza che
è di tipo integrale, proprio perché la salvezza che Dio offre all’uomo non si limita solamente ad alcuni
aspetti del vivere dell’uomo, l’abbiamo già detto, parlando sul compendio, ma ancora, andiamo alla GS n°3.
lì si dice, ancora, da che cosa è formata la persona. Corpo, anima, cuore, coscienza, intelletto, volontà.
Queste sono le principali dimensioni, una salvezza che deve raggiungere tutte queste dimensioni, non alcuni
si ed alcuni no. E in fine, una valorizzazione degli eventi storici, questo viene offerto dalla Sacra Scrittura,
con particolare riferimento agli avvenimenti di carattere sociale. Prima di tutto perché l’uomo di cui si parla,
e a cui parla la rivelazione, è sempre inserito in una comunità, in un popolo, quindi anche qui la rilevanza del
discorso sociale. Se vogliamo comprendere ancora meglio, quali possono essere stati gli atteggiamenti di
Gesù Cristo, verso il vivere sociale, visto che abbiamo detto: la prospettiva è di tipo cristologico nei
confronti della questione sociale. Allora possiamo usare due riferimenti, uno è quello del biblista Rudolf
Schnackenburg ha scritto un testo in due volumi:“Il messaggio morale del nuovo testamento”. Cosa dice
Schnackenburg nelle pagine 105-135 del suo primo volume? Lui fa tre affermazioni concatenate l’una
all’altra. Gesù si è trovato immerso nelle realtà sociali, quindi non è vissuto fuori, non ha avuto un
atteggiamento da “fuga mundi”, non si è estraniato dal vivere sociale. Al punto che ha vissuto, come gli
stessi vangeli ci presentano, la vita ordinaria degli uomini del suo tempo, è stato un uomo del suo tempo, ha
avuto tutti i comportamenti sociali propri della sua condizione. Ancora, secondo aspetto, Gesù non ha svolto
un’attività tecnicamente e specificamente politica, non è stato un rivoluzionario sociale, anche qui va
precisato, infatti lo diremo quando parleremo del modo in cui il NT presenta il messaggio sociale alla luce di
quello che Gesù Cristo ha detto, non ha a che fare con la riforma o con la rivoluzione dei sistemi sociali,
Gesù Cristo non ha portato a questo, ma ad una riforma dei cuori, ad una rivoluzione di ben altro livello.
Quindi, anche qui non è rivoluzionario in quel senso. Ancora, terzo aspetto, l’attività e il messaggio di Gesù
cristo ha avuto e hanno un incidenza reale nelle questioni sociali proprio perché ha superato quella tecnicità
del discorso. Il messaggio di Gesù ha un’incidenza reale nella vita sociale, proprio perché non ha mai voluto
portare i propri fedeli fuori dal mondo, non ha fatto per esempio come gli Esseni, ricordate, che volevano
creare una comunità chiusa estraniata dal mondo. Lui non pensa a questo quando parla ai suoi discepoli e
quando li invia a battezzare e fare salve tutte le popolazioni, tutto il mondo. Quindi vi enuncio solamente
alcuni atteggiamenti etici di Gesù Cristo, secondo me centrali nel suo discorso: l’annuncio del regno di Dio –
il servizio a tutti gli uomini, con una particolare preferenza per i peccatori, emarginati, oppressi, per gli
ultimi (anche questa è chiave ermeneutica di riferimento) - la libertà di Gesù Cristo, di fronte alla legge, di
fronte al culto, di fronte al potere. Anzi è stata proprio quella libertà che l’ha portato alla morte, perché non
si è confermato a quello che il potere voleva da Lui. Quindi, quella libertà di Gesù cristo comporta un etos di
liberazione sociale, e in fine, la morte di Gesù, che entra all’interno della dinamica dell’impegno etico e
costituisce un orizzonte normativo, per i suoi seguaci. Perché la morte? Perché bisogna essere pronti a
donare tutto quello che si è, tutto quello che ognuno di noi crede di poter possedere nel suo intimo, per non
cedere all’ingiustizia, non cedere alla sopraffazione, in quel senso c’è una rivoluzione, ma sempre partendo
dal cuore, non dalla struttura, fine a se stessa. Nemmeno a costo di salvare la propria vita, anzi la propria vita
viene data proprio per salvare gli altri. Questo è quello che Schnackenburg individua.
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Domanda: questo però senza arrivare a situazioni eccessive, come la Teologia della liberazione, quelli
dell’America latina ecc..
Prof: quelle sono proposte, di un certo tipo, ideologiche. Anche la teologia della liberazione, peccato che è
una teologia, anche se ha fatto bene e fa bene, perché ripeto, si muove in quel movimento di liberazione da
ciò che è… però, il problema dove è? Quando assume metodologie di riferimento che ovviamente non sono
conformi a quello che la fede propone. Cioè, la lotta armata, o tutto il resto, la violenza, la guerra. Non sono
metodi in conformità a quello che la fede stessa dice.
E vi leggo qui un pensiero di quello che Giordani dice a proposito di questo, pagina 21 di questo testo: “chi
vuole dedurre dal vangelo una norma concreta, particolare, per un caso concreto, particolare, di sociologia,
sbaglia”. Quindi, quel rischio fondamentalista che dicevamo noi prima. “Gesù non ha mai dato la soluzione
di un problema di economia o di politica, e se lo avesse fatto, il suo insegnamento, utile quanto si voglia, per
il suo caso, nel suo tempo, non avrebbe che scarso o nullo valore per i casi mutati dell’età nostra” – dice
Giordani nel 1935. Quindi, anche qui, attenti quando vogliamo far dire alla fede cose che la fede non dice, o
comunque lo limita ad un esperienza, non da universalizzare come se quella fosse l’unica proposta attuale.
Poi chi volesse può anche dare un’occhiata a questo testo (“Il messaggio sociale del cristianesimo”).
Domanda: quando interrogano Gesù sulla questione politica, Lui dà una indicazione: “date a Cesare, quel
che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Lui disse queste parole per dare una scossa, ma anche poi chi lo
ascoltava rimase contento, in poche parole, dice di vivere in quella società con quella politica ecc… non è
che dice, vi dovete opporre, ma comunque da un’indicazione.
Prof: ma infatti quella che Gesù ha dato in quella situazione non è una soluzione al caso della politica, è
un’indicazione. Ma vedi che tra indicazione e soluzione non è la stessa cosa. Indicazione, appunto è una
proposta, è una via che viene offerta, indicata, la soluzione è l’esito finale, capisci che il discorso è un po’
diverso? Ma anche perché c’è un’altra premessa che ci può aiutare, cioè, su questo discorso, del dare a
cesare quel che è di cesare, e a Dio quello che è di Dio, vedi, quante difformità di parere ci sono, leggi il
dibattito sulla laicità attuale, ognuno la tira da una parte o la tira dall’altra. Proprio perché se fosse stata una
soluzione, se mi consenti, se fosse stata quella una soluzione, avremmo già la proposta, invece il fatto che
ognuno rischia di interpretarlo in un modo o nell’altro, o nell’altro… comunque non aiuta. Cristo offre una
indicazione, non è una soluzione di tipo tecnico o di tipo politico al discorso, anche perché poi facci caso,
vai a calare quelle parole concretamente in un discorso sociale, quello che emerge è un discorso di lealtà, di
rispetto per l’autorità, quello che emerge da quel testo fondamentale è questo fondamentalmente, però è
altrettanto chiaro, e lo dirà nel discorso, se vai a vedere nel paragrafo 7.4 del testo di Gerardi, ti ritrovi
questo discorso, il regno, i regni, l’obbedienza, la disobbedienza, l’autorità politica, ti ritrovi quello che lo
stesso San Paolo dirà al cap 13, della lettera ai romani, quando bisogna obbedire, quando non bisogna
obbedire. O ancora, che tipo di rapporto avere con l’autorità, che è un po’ come l’inquadrare il discorso sul
Cesare e sul Dio. Lì poi viene data come risposta, che tutto ciò che è conforme al bene comune, tutto ciò che
è conforme alla dignità, della persona umana, allora quando l’autorità si muove in quel senso, allora, va
obbedita. Ma se chiaramente l’autorità, il Cesare di turno, propone qualcosa che è contrario ai diritti
fondamentali della persona, e quindi alla sua dignità o a quello che anche la morale prevede in merito, il
compendio direbbe: la retta ragione formata. Allora, ti ritrovi e comprendi come in quel caso l’autorità, va
disobbedita. Vedi, però, lì già c’è una indicazione più chiara, una proposta, ma sul tema dare a Cesare quello
che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, non c’è uno schieramento di indicazioni, no, anzi serve ad
inquadrare il discorso in un quadro più inclusivo, come a dire: renditi conto che c’è un discorso temporale,
ma renditi conto che c’è anche un primato. Perché tutto lì, nelle parole di Gesù Cristo, serve a dare priorità a
Dio, in quelle parole che Lui ha detto c’è rispetto per l’autorità e per il Cesare di turno, ma ricondotto
profondamente ad un primato fondativo, che è quello di Dio. Perché solo a Dio possiamo dare il tutto di noi
stessi, a Cesare non possiamo dare il tutto di noi stessi, possiamo dare quello che gli è dovuto per le
competenze che ha. Ma al cesare di turno, non possiamo dare la vita, questo anche per capire la differenza
che esiste tra i due ambiti. Domanda: anche perché poi il tutto non si potrebbe darlo, se non ci fosse stato
dato da qualcuno più in alto di te. Domanda: d’altra parte anche il primato di Dio non deve essere un alibi
per dire: faccio quello che voglio; perché. Prof: l’abbiamo detto0 e io sono stato chiaro fin dall’inizio delle
lezioni, nessun discorso di tipo ideologico è opportuno, quando sarebbe ideologico? Quando il nostro
discorso si riducesse ad ideologia, a spiritualismo. Ho un’immagine di Dio, non mi interessa di tutto il resto.
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No, non è quello il discorso, devi saper mettere insieme tutti gli elementi del discorso, allora, poi puoi dire, è
giusto fare così, non è giusto fare così, vivo in conformità questa indicazione, non vivo in conformità a
questa indicazione. Ma già nel momento in cui tu poi ti devi giustificare, per non seguire certi ideali, certi
messaggi di riferimento, allora già lì capisci che il discorso è limitato, è già ideologico, e allora non merita.
Domanda: Io penso che se Gesù cristo avrebbe dato già delle soluzioni, avrebbe comunque privato l’uomo
della sua libertà… Prof: in tutto il discorso Teologico Morale, quello che la fede dice, che poi ovviamente la
TM raccoglie sistematiza e dona, come contributo alla fede dei cristiani, c’è da leggere un duplice
contributo. Tutto quello che esiste sulla Terra sia attività, competenze, ambiti, della vita sociale, qualsiasi
cosa, va letta in una duplice prospettiva, questo sempre, applicatelo a qualsiasi discorso. Valorizzazione,
perché tutto è stato creato da Dio, lo dice anche il libro della Genesi, “tutto è buono” – ma al tempo stesso
c’è una Relativizzazione, bisogna sempre distinguere quello che è importante, quello che serve nella
prospettiva salvifica che abbiamo detto, che offre la Sacra Scrittura, quello che serve alla mia salvezza, o alla
salvezza di tutti, quello che non serve alla salvezza di tutti. Quindi, relativizzazione, pensate a tutto il
discorso sul sabato per esempio, o il tempio, ecc… applicatelo anche lì, l’obbiettivo ultimo non è che io
trasgredisco, perché mangio le spighe di sabato, ma è sempre la comunione con Dio, vivere in accordo alla
volontà di Dio, quello che la vicenda di Gesù Cristo ci insegna profondamente. Quindi “tutto è buono” ma
relativizzato a ciò che mi serve per la salvezza, è questa la prospettiva in cui ogni discorso di morale sociale
va fatto, ma io credo anche in tutti gli altri ambiti della persona. Quindi chiediamoci sempre, come agiamo,
realmente a che cosa serve? Serve a raggiungere il penultimo o l’ultimo, visti ovviamente non in
contrapposizione. Non dimentichiamo mai, che se il nostro obbiettivo ultimo, sono i celi nuovi e la terra
nuova, ricordiamo che i cieli nuovi si raggiungono con la terra nuova. Quindi, bisogna pensare a come
rendere nuova la terra, per poter poi raggiungere i cieli nuovi, altrimenti non vedremmo i cieli nuovi, ma
solo le nuvole.
Diciamo qualcosa su fede e società, nell’AT. Subito ci troviamo con un limite di fondo, che è la vastità e la
complessa articolazione dell’AT, pensate all’arco di tempo in cui i testi dell’AT sono stati composti. Sono
46 libri, 46 proposte, anche, per il vivere sociale. La vastità dell’AT ci spinge a concentrarci su tre principali
momenti, perché caratterizzano la vicenda del popolo di Israele. Tre vicende/momenti in cui sono racchiuse
le tensioni Fede/Società. e corrispondono alle 3 principali tappe di evoluzione dell’esperienza storico
salvifica del popolo eletto. Quali sono questi tre momenti? L’Esodo - i Profeti - e la Tradizione Sapienziale.
Questi sono i tre momenti fondamentali per capire come il rapporto Fede/Società si articola. Anche qui,
quale è il messaggio centrale che l’AT vuole dare? Il Dio che si rivela, che parla ad Israele nell’AT, è colui
che propone all’uomo un cammino di crescita. Dio quando si rivela, è perché propone all’uomo un cammino
di crescita, personale e collettiva, quindi comunitaria sociale. Liberandolo da tutte le schiavitù, è lì
l’obbiettivo ultimo che Dio si propone, perché? Per mettere l’uomo in condizioni di servire il suo Signore,
lungo la via della promessa, e nella terra promessa. Questa è la proposta dell’alleanza che Dio fa con il suo
popolo. Primo momento, l’Esodo, è il momento costitutivo del popolo di Israele, è lì che nasce il popolo di
Israele, dalla liberazione dall’Egitto, offerta da Dio. Vedi, libro dell’Esodo, vedi le successive interpretazioni
ritrovate in Isaia. Che tipo di liberazione è quella che Dio offre al popolo eletto? È intesa insieme come
liberazione dall’oppressione politica, quindi la rilevanza sociale del discorso, gli egiziani; ma insieme
salvezza spirituale. Infatti come ripeterà l’evangelista Luca: “liberati dalle mani dei nemici serviamo il
Signore in santità e giustizia”. Quindi, queste due dimensioni, una liberazione dall’oppressore, quindi una
liberazione di tipo sociale, e una liberazione di tipo spirituale, vanno sempre lette costantemente, in dialogo.
Quindi, i due aspetti sono sempre presenti nell’AT, e alla luce di questa verità, l’Esodo si pone come
momento costitutivo del popolo di Israele. L’Esodo è l’evento salvifico originario, da cui segue poi tutta
l’esperienza religiosa del popolo eletto. Le stesse istituzioni che poi verranno create, tipo, l’alleanza, la
legge, il sacerdozio, la pasqua, le forme di governo, le prime grandi istituzioni di Israele, sorgono in seguito
all’Esodo. Soffermiamoci su due principali istituzioni di tipo sociale: l’alleanza e la legge. L’alleanza
mosaica sinaitica, in risposta all’iniziativa di Dio che pone, si propone, parla all’uomo, l’alleanza è la ferma
ed immutata volontà del popolo di essere fedeli al Dio dell’Esodo, un patto che non è privo di implicazioni
per il profilo sociale, per il profilo socio politico. Pensiamo proprio all’identità del popolo che da quel
momento diventa popolo di Javè, i suoi comportamenti, le sue decisioni, la vita comunitaria, e i rapporti con
gli altri popoli, risentono dell’alleanza. E l’alleanza per Israele, che cosa significa? Significa che l’unità, la
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pace, la libertà di un popolo. Leggete la liberazione in senso politico sociale e la liberazione spirituale. Non
sono forza e risultato immediato del proprio impegno, questo afferma fondamentalmente l’evento
dell’alleanza. Ma l’unità, la libertà, la pace di un popolo possono essere realizzate in pienezza solo in quanto
dono gratuito, unilaterale insperato di Dio. Israele ha una forte consapevolezza di questo, perché lo ha visto
con i suoi occhi. Quanto ha visto nel Mar Rosso, non era opera sua, era dono gratuito insperato, unilaterale
di Dio, che con la potenza del suo braccio ha liberato il suo popolo, da qui vi rimando alle tentazioni della
terra promessa, Dt 8, 11-20. Da ciò consegue che Israele ha una percezione di se come popolo, come
interlocutore collettivo con Dio, nel popolo di Israele non ci sono preferenze. Anche quando ci riferiamo a
Mosè, Aronne Giosuè, i giudici, i capi del popolo, non sono dei preferiti, loro sono solidali con il popolo. Il
compito che loro hanno è quello di intercedere per il popolo presso Javè. È un popolo, quello di Israele
(quindi, rilevanza sociale del discorso) che unitariamente, insieme, decide di essere fedele a Dio. Infatti, fate
riferimento ai libri del Deuteronomio, quale linguaggio viene usato? Si tutti lo faremo, noi seguiremo tutti
queste parole. Quindi, è un popolo che unitariamente decide di essere fedele, ma insieme unitariamente verrà
ritenuto responsabile. Insieme, sempre in maniera sociale e collettiva … responsabile delle sue infedeltà,
quando non osserverà quella parola, quella alleanza, quindi è una solidarietà che non conosce distinzioni. La
Legge, l’altra istituzione: è quell’istituzione nella quale l’alleanza prende forma, assume determinati
contenuti, destinati ad istruire la condotta del popolo, chiamato a fare che cosa? A rendere perennemente
presente la salvezza promessa e realizzata nell’Esodo, questo può raggiungere la legge, questa è la versione,
facendone memoria. Ricorda, ascolta, i continui moniti che vengono rivolti al popolo, e faccendone
memoria, perché? Perché la tentazione di ricadere nella condizione servile è sempre presente. La tentazione
di tornare in dietro, perché presumibilmente era meglio. Leggete qui Dt 5, 1-22. precisiamo alcune cose, la
legge non è il prezzo che il popolo di Ido si trova a dover rendere a Dio in cambio della liberazione. Non è il
prezzo che il popolo deve pagare in cambio della liberazione ottenuta da Javè. La legge è un’istruzione, è
una freccia indicatrice, perché il popolo sappia in quale direzione procedere, le 10 parole vanno lette in
questa direzione. E quando il popolo perde questa direzione ecco l’episodio del vitello d’oro, Es 32. e
preferendo i propri criteri, quando non ricorderà più le parole dell’Esodo, dell’Alleanza, della Legge, quando
il popolo perde questa direzione ecco che allora vagherà 40 anni nel deserto. Per questo allora la legge non è
quel prezzo. E ancora, la Legge non va intesa in un significato strettamente giuridico formale. Quasi come se
bastasse una obbedienza di tipo esteriore. L’obbiettivo della legge, se ha una indicazione, come direbbe
anche S Paolo di tipo pedagogico, la legge ha quel significato lì, ha l’obbiettivo di suscitare la fede. Compito
della legge è quello, richiede e suscita fede, proprio perché solo se l’uomo e il popolo si fida di Dio allora,
potrà veramente interiorizzare, e quindi, ascoltare e fare proprie quelle parole. Così che la stessa giustizia
che è richiesta dalla legge è un cammino da percorrere sotto la guida di Javè, queste sono le 10 parole. E
allora, esige e viene richiesta una conversione, continua, e la meta a cui deve condurre la legge è la stessa
dell’Alleanza, la comunione con Dio e con l’altro da me. Così che il popolo stesso, nato dalla vicenda
dell’Esodo, è chiamato a vivere integralmente e unitariamente le 10 parole. Cosa dicono le 10 parole
all’uomo e al popolo di Israele? Le 10 parole dicono le possibilità di cogliere la giusta via o di sbagliarla, le
possibilità affidate all’uomo che corrispondono alle grandi aree della vita dell’uomo. Rapporto con Dio, vita
personale, vita relazionale. Sono i tre ambiti su cui i 10 comandamenti insistono: rapporto con Dio, vita
personale e vita relazionale (quindi, vita sociale). E quale allora il cuore dell’Alleanza, sintesi della legge? È
l’amore, è lì dove vuole arrivare, leggete la citazione di Dt 6, 4-12 ,quando dice: “amerai il Signore Dio tuo
con tutto il cuore ..” e ancora: Lv 19, 11-18 : “amerai il prossimo tuo come te stesso”. Quindi, il cuore di
tutto il discorso a cui vuole tendere è l’amore, a Dio e al prossimo. E da questi due comandamenti essenziali,
che riassumono le 10 parole del Sinai e i codici del Deuteronomio, dell’Alleanza, del levitino, quali norme
concrete di tipo sociale emergono? Quali indicazioni concrete? La difesa del povero - il prestito senza
interesse - la restituzione del pegno - l’anno sabbatico, della remissione - il giubileo, per la liberazione e la
riappropriazione dei beni. Vi rimando in maniera specifica a Dt 24, 10-15 e 17-22. E qui ci fermiamo.
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