Radici quadrate e collisionatori di particelle

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Radici quadrate e collisionatori di particelle1
Roberto Casalbuoni
Dipartimento di Fisica, Sezione INFN, Istituto G. Galilei per la Fisica Teorica e OpenLab,
Università di Firenze
1. Introduzione
Nel 1928, Paul Adrien Maurice Dirac formulò la versione relativistica della meccanica
quantistica [1, 2]. La teoria di Dirac aveva però degli aspetti problematici. La risoluzione di questi problemi portò Dirac alla formulazione del concetto di antiparticella [3].
L’idea era rivoluzionaria ma ebbe quasi subito una conferma sperimentale dalla scoperta
di Carl David Anderson dell’antielettrone, o positrone, fatta nell’anno successivo [4].
Nei prossimi paragrafi vedremo come Dirac arrivò all’idea di antimateria. Le antiparticelle furono poi usate negli acceleratori di particelle a partire dagli anni Sessanta, in
particolare con un prototipo di collisionatore realizzato a Frascati sotto la guida di un
fisico austriaco, Bruno Touschek. Attualmente, moltissimi acceleratori usano collisioni
particelle-antiparticelle che permettono di accedere facilmente a nuove forme di materia. Accenneremo infine a una importante applicazione diagnostica dei positroni.
2. Antiparticelle e radici quadrate
Tutti conoscono la famosa equazione di Einstein che connette l’energia di una particella con la sua massa, E = mc2. Dove m è la massa della particella e c la velocità della luce.
Questa relazione si riferisce ad una particella ferma. Dunque ci possiamo domandare
quale sia l’energia associata ad una particella in movimento. La teoria della relatività ci
insegna che vale la seguente relazione:
E 2 = (mc 2 )2 + (pc)2 ,
dove p è la quantità di moto della particella (p ~ mv, con v la velocità). Per una particella ferma, p = 0, ed estraendo la radice quadrata si ritrova la famosa relazione di
Einstein. Ma i matematici ci insegnano che un’equazione quadratica ha due soluzioni,
una positiva ed una negativa. Per esempio, le soluzioni dell’equazione x2 = 4, sono x =
+2 e x = -2. Dunque anche nel nostro caso, se vogliamo conoscere l’energia della particella, dovremo considerare entrambe le soluzioni: una positiva
E = (mc 2 )2 + (pc)2 ,
e una negativa
1 Lezione tenuta a Firenze il giorno 11 novembre 2010 presso la Sala delle Feste, Palazzo Bastogi,
nell’ambito di Pianeta Galileo.
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Pianeta Galileo 2010
E = - (mc 2 )2 + (pc)2 .
Il problema che Dirac dovette affrontare era proprio l’esistenza di queste soluzioni
negative che, come vedremo, la meccanica quantistica non può ignorare. Per capire le
difficoltà associate alle energie negative riportiamo in un grafico le formule che danno
le due soluzioni (positiva e negativa) dell’energia in termini dell’impulso, assumendo
per semplicità (come in pratica abbiamo fatto nelle formule precedenti) che la particella si muova lungo una direzione fissata, e che quindi intervenga nelle equazioni solo
l’impulso lungo quella direzione.
Figura 1. Grafico delle soluzioni a energia positiva e negativa.
Il grafico in Figura 1 rappresenta l’energia della particella in funzione della quantità di
moto p. Il significato del grafico è che se la particella ha una quantità di moto p, la sua
energia positiva si trova disegnando sulla curva superiore il punto sulla curva corrispondente all’ascissa p. L’energia è allora la corrispondente ordinata. Analogamente per la
soluzione ad energia negativa.
Siamo ora in grado di vedere dove sta il problema. Se si ha una particella a energia
positiva e ne aumentiamo l’energia, il punto sulla curva si sposta verso l’alto a destra,
mostrando che la quantità di moto aumenta. Questo è il comportamento usuale dei
corpi, cioè: aumentandone l’energia, la velocità cresce. Ma se prendiamo una particella
a energia negativa, con il punto rappresentativo che adesso sta sulla curva inferiore del
grafico, vediamo che, aumentandone l’energia, il punto si sposta verso l’alto ma questa
volta a sinistra, e quindi l’impulso diminuisce.
Questo è un comportamento assolutamente anomalo rispetto a quanto osservato in
natura ed è appunto l’origine delle difficoltà nella teoria di Dirac. D’altra parte, il pro-
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blema può essere superato nell’ambito della meccanica classica. Infatti, noi sappiamo
che classicamente le quantità fisiche cambiano con continuità. Per esempio, possiamo
fornire energia a un sistema solo in modo continuo o, come diceva Newton: la natura
non fa salti!
Se ritorniamo alla Figura 1 vediamo che le due curve sono separate di una quantità
che, per p = 0, cioè per particelle ferme, vale 2mc2. Dunque, si può passare da uno stato
ad energia positiva a uno ad energia negativa solo facendo un salto energetico pari ad
almeno 2mc2. Questo è impossibile secondo la meccanica classica; quindi, se tutte le
particelle dell’universo sono inizialmente in uno stato di energia positiva, non vedremo
mai particelle a energia negativa.
La meccanica quantistica prevede invece che siano appunto possibili dei salti discrèti di energia. L’ipotesi avanzata da Planck nel 1900 sui quanti di energia, implementata da Einstein nel 1905 con l’ipotesi del fotone, cioè pensando che una radiazione di frequenza ν corrispondesse a un quanto di energia E = hν, implicava che
l’energia potesse essere emessa ed assorbita in quantità discrete, appunto in quanti. Ma
allora una particella a energia positiva potrebbe perdere energia emettendo un quanto
di radiazione elettromagnetica (un fotone), con energia sufficiente per andare in uno
stato di energia negativa. Questo, unito al fatto che, in natura, per ogni sistema lo stato
di equilibrio corrisponde allo stato con minima energia, fa vedere che una particella a
energia negativa perderebbe sempre più energia fino ad andare all’equilibrio ad una
energia corrispondente a meno infinito!
Le considerazioni precedenti sono del tutto generali e si applicano a ogni teoria relativistica, ma la teoria di Dirac era disegnata per descrivere gli elettroni (a quell’epoca
si conoscevano solo elettroni, protoni e fotoni – il neutrone sarà scoperto nel 1932). La
peculiarità degli elettroni, scoperta da Pauli nel 1925, è quella per cui due elettroni non
possono stare, simultaneamente, nello stesso stato quantico (“Principio di esclusione”).
Ricorrendo a un’immagine classica, gli elettroni ruotano attorno al nucleo secondo
certe orbite. Il Principio di esclusione afferma che in ogni orbita ci possono stare al
più due elettroni. Infatti gli elettroni hanno un momento angolare intrinseco che può
assumere solo due valori
h
2
e dunque in un’orbita possono stare solamente un elettrone con S (spin) positivo e un
altro con S negativo. Usando questo principio era possibile prevedere il riempimento
delle orbite successive e ottenere una spiegazione, almeno qualitativa, della tavola periodica di Mendeleev.
Dirac pensò allora di sfruttare a suo vantaggio questo principio assumendo che tutti
i possibili stati a energia negativa fossero occupati da elettroni. Ne conseguiva che, per
un elettrone a energia positiva, era impossibile fare una transizione in uno stato a energia negativa, dato che tutti i posti erano occupati: era come volere una camera in un
S=±
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albergo completamente occupato. In questo modo Dirac poteva risolvere il problema
della stabilità [3].
D’altro canto, questa interpretazione portava a una serie di conseguenze. Infatti, un
elettrone a energia negativa può assorbire un fotone con energia sufficiente per passare
a uno stato ad energia positiva. Si arriva a una situazione che presenta una lacuna nel
“mare” degli elettroni a energia negativa più un elettrone a energia positiva. Come si
possono interpretare le lacune?
Figura 2. I pallini bianchi sulla scala delle energie negative indicano stati occupati. Il quadrato bianco
una lacuna ed i pallini neri indicano stati occupati a energia negativa e positiva.
In Figura 2 abbiamo rappresentato gli stati pieni a energia negativa con pallini bianchi
e un pallino nero, dato che ci concentreremo su questo elettrone. Gli stati vuoti sono
i quadratini bianchi. La situazione corrisponde a un elettrone ad energia negativa che
sia stato eccitato (pallino nero ad energia positiva), lasciando una lacuna nel mare.
Se all’elettrone ad energia negativa sottostante alla lacuna (pallino nero) applichiamo
energia sufficiente per andare a occupare la lacuna sovrastante, vediamo che la lacuna
precedente viene occupata, mentre si libera una lacuna al posto dell’elettrone rappresentato dal pallino nero. Il risultato è che, applicando energia, la lacuna si è trasferita
in basso, quindi, se assegniamo un impulso alla lacuna, vediamo che la sua quantità di
moto è aumentata. Dunque, una lacuna si comporta come una particella.
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Figura 3. Nella figura sono rappresentate delle cariche negative più una lacuna.
Se poi consideriamo un sistema di cariche negative, come in Figura 3, con una lacuna,
cui applichiamo un campo elettrico, le cariche negative si sposteranno in direzione
opposta al campo e quindi la lacuna si sposterà verso destra. Pertanto la lacuna si comporta come una normale particella ma con carica opposta a quella dell’elettrone. Dire
lacuna è come dire antiparticella. L’antiparticella è identica alla particella (di cui è anti),
salvo che ha segno opposto della carica.
Siamo adesso in grado di capire i nuovi processi che si possono generare. Se un
elettrone a energia negativa assorbe un fotone e passa a uno stato ad energia positiva,
è come dire che il fotone iniziale produce un elettrone ad energia positiva più una
lacuna o antiparticella. Questo processo è detto di creazione di coppie. In maniera analoga, se abbiamo una lacuna ed un elettrone ad energia positiva che emette un fotone
con energia tale da permettergli di arrivare ad occupare la lacuna, dalla coppia iniziale
elettrone-lacuna o elettrone-positrone produciamo energia e la coppia sparisce, dato
che non abbiamo più né l’elettrone né la lacuna iniziali: è il processo di annichilazione
di coppie.
Questa interpretazione fu data da Dirac nel 1931 e l’anno dopo Anderson, osservò
il passaggio di una particella con la massa dell’elettrone ma con carica opposta, tramite
uno strumento detto “camera a nebbia”. Si tratta di una camera che contiene del vapore
sovrasaturo in cui, il passaggio di una particella carica crea dei nuclei di condensazione
che danno luogo a delle minuscole goccioline. La traccia della particella può quindi
essere visualizzata fotografando la camera. Ovviamente questo fu un enorme successo
per la teoria di Dirac e fu presto dimostrato che ogni particella ha la sua propria antiparticella. Qualche volta accade anche che l’antiparticella della particella sia la particella stessa. Questo vale per le particelle che non hanno alcun tipo di carica come, per
esempio, il fotone la cui antiparticella è il fotone stesso.
3. I collisionatori di particelle
Il 7 Marzo 1960, Bruno Touschek, brillante fisico teorico austriaco trapiantato a Roma,
tenne uno storico seminario ai Laboratori di Frascati (dove lavorava), in cui fu discussa
la possibilità di realizzare un nuovo tipo di acceleratore di particelle con fasci di elettroni e di positroni che avrebbero dovuto collidere tra di loro.
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La novità di questa proposta non stava tanto nel fatto di far collidere delle particelle le une contro le altre, sfruttando l’energia in modo molto più vantaggioso rispetto
alla collisione su un bersaglio fisso. Infatti, si può mostrare che in una collisione tra
particelle che si urtano tra loro con velocità uguali ed opposte, l’energia a disposizione
è data semplicemente dalla somma delle energie dei due fasci. Invece, nel caso del bersaglio fisso, l’energia disponibile va come la radice quadrata dell’energia del fascio. Per
esempio, se facciamo collidere due fasci di protoni di 30 GeV ciascuno, si ha un’energia
a disposizione pari a 60 GeV. Per raggiungere lo stesso risultato con una macchina a
bersaglio fisso, occorrerebbe un fascio con energia di circa 2000 GeV. Questo significa
che a parità di energia a disposizione, l’acceleratore può avere dimensioni più piccole
realizzando allo stesso tempo un grosso risparmio in energia elettrica per il funzionamento. In effetti questa soluzione era già stata proposta nel 1943 da Ralf Wideroe, un
fisico norvegese con il quale Touschek aveva collaborato in gioventù. La stessa idea
era stata ripresa anche negli Stati Uniti intorno agli anni Cinquanta. In questo caso si
considerava la possibilità di fare due anelli tangenti con elettroni che circolavano nei
due anelli (in direzione opposta) e che si potevano scontrare nella regione di tangenza.
L’idea fu ripresa anche in Russia ma, in tutte questi casi, l’attenzione era più sui vantaggi della macchina in quanto tale e non sulla fisica che si poteva studiare. Per esempio,
nella collisione elettrone-elettrone nei due anelli tangenti si poteva fare uno studio
dell’elettrodinamica quantistica a energie più elevate, ma le speranze di poter analizzare
nuova fisica erano alquanto scarse.
Le idee di Touschek erano diverse. Touschek voleva realizzare una macchina in cui
fosse possibile studiare nuovi fenomeni. Occorre anche ricordare che l’unica teoria
quantistica delle particelle elementari che era ben fondata era appunto l’elettrodinamica quantistica, mentre molto poco si sapeva sulle interazioni forti e la teoria delle
interazioni deboli, formulata da Fermi, non aveva basi sicure.
Touschek comprese che la situazione ideale stava nel far collidere particelle su antiparticelle e, in particolare, elettroni su positroni. Un ulteriore vantaggio di quest’idea,
oltre al guadagno energetico, stava nel fatto che era sufficiente utilizzare un singolo
anello. Infatti, in un acceleratore circolare, c’è bisogno di un campo elettrico per accelerare le particelle e di un campo magnetico per farle curvare. Ma particelle di carica
opposta si muovono in direzione opposta sotto l’azione di un campo elettrico. Inoltre il
verso di curvatura di una particella in un campo magnetico dipende sia dal segno della
velocità sia da quello della carica. Quindi, due particelle di carica e velocità opposte
curvano nello stesso modo. Pertanto, con un unico anello, un unico campo elettrico ed
un unico campo magnetico, si potevano accelerare in direzioni opposte i due fasci di
elettroni e di positroni.
Ma la cosa più rilevante per Touschek era il fatto che tramite il processo di annichilazione dell’elettrone con il positrone era possibile produrre particelle anche di
massa più elevata dell’elettrone. Infatti, se pensiamo che nel processo di annichilazione
si produce un fotone con energia pari a 2E, dove E è la comune energia dei due fasci,
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questo fotone può poi materializzarsi in una coppia particella-antiparticella di massa
totale minore od uguale a 2E (vedi Figura 4).
Per esempio con una coppia elettrone positrone, ognuna di energia pari a 1 GeV, si
può produrre una coppia protone-antiprotone, dato che la massa del protone vale circa
0.94 GeV. Ricordiamo qui che l’elettronvolt (eV), è l’energia che un elettrone acquista
passando attraverso una differenza di potenziale di 1 Volt. I multipli più usati dell’eV
sono il MeV = 106 eV, il GeV = 109 eV, e il TeV= 1012 eV.
e+
N
fotone
e-
N*
Figura 4. La creazione di una coppia di nuove particelle NN* (dove N* è l’antiparticella di N), tramite
l’annichilazione della coppia elettrone-positrone .
Un gruppo di fisici di Frascati si mise immediatamente al lavoro per mettere a punto i
dettagli tecnici della macchina da costruire, che avrebbe dovuto essere un prototipo di
dimensioni contenute. La macchina fu chiamata AdA (Anello di Accumulazione) ed
entrò in funzione il 27 Febbraio 1961, meno di un anno dopo il seminario di Touschek
(vedi Figura 5).
Figura 5. Il primo collisionatore elettrone-positrone (AdA) costruito nei Laboratori Nazionali di Frascati
nel 1960. Le sue dimensioni sono dell’ordine di quelle di un normale tavolo.
L’elenco degli acceleratori di tipo AdA, adesso chiamati collisionatori, è impressionante. Quelli realizzati sino al 2003 sono i seguenti:
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1964 VEPP 2, Novosibirsk, URSS - 1965 ACO, Orsay, France - 1969 ADONE,
Frascati, Italy - 1971 CEA, Cambridge, USA – 1972 SPEAR, Stanford, USA –
1974 DORIS, Hamburg, Germany – 1975 VEPP-2M, Novosibirsk, URSS – 1977
VEPP-3, Novosibirsk, URSS – 1978 VEPP-4, Novosibirsk, URSS – 1978 PETRA,
Hamburg, Germany – 1979 CESR, Cornell, USA – 1980 PEP, Stanford, USA – 1981
Sp-pbarS, CERN, Switzerland - 1982 Fermilab p-pbar, USA – 1987 TEVATRON,
Fermilab, USA – 1989 SLC, Stanford, USA – 1989 BEPC, Peking, China = 1989
LEP , CERN, Switzerland - 1992 HERA, Hamburg, Germany - 1994
VEPP4M, Novosibirsk, Russia – 1999 DAΦNE, Frascati, Italy – 1999 KEKB, Tsukuba,
Japan – 1999 PEP-II, Stanford, USA – 2003 VEPP-2000, Novosibirsk, Russia.
La maggior parte di queste machine ha avuto un ruolo importante per lo sviluppo
delle nostre conoscenze nel mondo delle particelle elementari. In particolare vorrei citare
la scoperta di una particella chiamata J/ψ, che è stata determinante per l’affermazione
definitiva del modello a quark per le particelle elementari. Questa scoperta fu annunciata
in contemporanea il giorno 11 Novembre 1974 dal gruppo che lavorava a Brookhaven
su una macchina convenzionale e dal gruppo di SLAC che usava un collisionatore elettrone-positrone, chiamato SPEAR e fu confermata una settimana dopo dal gruppo di
Frascati che usava ADONE, il successore di AdA. Un’altra tappa importante fu quella di
PETRA (ancora un collisionatore elettrone-positrone) ad Amburgo, che portò nei primi
anni Ottanta alla prima evidenza sperimentale dei gluoni, i portatori delle interazioni
forti (le interazioni forti sono quelle responsabili delle forze nucleari).
Infine all’inizio degli anni Novanta, i due collisionatori LEP al CERN e SLC a
SLAC hanno contribuito alla conferma della validità del modello standard delle particelle elementari. Questo modello descrive i quark (costituenti dei protoni e dei neutroni), i leptoni (per esempio, l’elettrone) e le loro interazioni elettromagnetiche, deboli
e forti. L’evoluzione di queste macchine, a partire da AdA, che poteva essere ospitata
su un tavolo, fino ad arrivare a LEP, è stata enorme, sia per l’energia dei fasci sia per le
dimensioni. Ricordiamo che LEP era costituito da un anello circolare di circa 28 Km.
di circonferenza!
Vorrei anche ricordare l’ultimo acceleratore di particelle costruito presso il CERN
di Ginevra, LHC (Large Hadron Collider) che è stato realizzato utilizzando lo stesso
tunnel in cui risiedeva LEP. LHC è un acceleratore protone-protone e quindi, apparentemente, non è del tipo particella-antiparticella. Ma il punto è che i protoni non sono
costituiti solamente da quark: essi contengono anche coppie quark-antiquark che non
contribuiscono alla carica totale. Il numero di queste coppie, che i due fasci osservano
quando si scontrano, aumenta con l’energia. LHC avrà una energia massima per fascio
di 7 TeV e in queste condizioni il numero di coppie è molto elevato. Inoltre, i processi
che interessano sono quelli corrispondenti alle collisioni quark-antiquark. I due fasci di
protoni, illustrati in Figura 6, emettono gluoni (linee ondulate) che producono coppie
di quark-antiquark. I processi interessanti sono quelli in cui un quark di una coppia si
annichila con l’antiquark dell’altra, producendo nuove particelle.
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Figura 6. A LHC i due fasci di protoni (p) emettono gluoni (linee ondulate) che danno luogo a coppie quark
antiquark. Il quark di una coppia si annichila con l’antiquark dell’altra coppia generando nuove particelle.
La produzione di antiparticelle, e in particolare di positroni, ha importanza anche in medicina dove si è sviluppata una tecnica chiamata PET (Proton Emission Tomography).
Questa tecnica si basa sull’introduzione nell’organismo di opportuni isotopi radioattivi
che decadono emettendo positroni. Questi positroni viaggiano per pochi millimetri e
poi si annichilano con elettroni del corpo umano e decadono in due fotoni. I fotoni
vengo emessi in direzioni opposte e vengono rivelati entrambi. Da qui è possible ricostruire con buona precisione il punto in cui è avvenuta l’annichilazione. Uno scanner
utilizza la rilevazione delle coppie di fotoni per mappare la densità dell’isotopo nel
corpo. La mappa risultante (vedi Figura 7) rappresenta i tessuti in cui la molecola campione si è maggiormente concentrata e viene letta e interpretata da uno specialista in
medicina nucleare o in radiologia al fine di determinare una diagnosi e il conseguente
trattamento.
Figura 7. Immagine di una tipica acquisizione di scansione del cervello ottenuta tramite la PET.
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Bibliografia
[1] Dirac, P. A. M, The Quantum Theory of electron, Proc. Roy. Soc., A117, 1928, pp.
610-624.
[2] Dirac, P. A. M, The Quantum Theory of electron, Proc. Roy. Soc., A118, 1928, pp.
351-361.
[3] Dirac, P. A. M, Quantum Singularities in the Electromagnetic Field, Proc. Roy. Soc.,
A133, 1931, pp. 60-72.
[4] Anderson, C. D., The Apparent Existence of Easily Deflectable Positives, Science
76, 1932, pp. 238-239.
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