1 TESI DI LAUREA TRIENNALE IN FISICA DIPARTIMENTO DI FISICA E.R. CAIANIELLO FLUTTUAZIONI QUANTISTICHE ED EFFETTO CASIMIR I Docenti : Prof. Gaetano Lambiase (relatore) Prof. Alfonso Romano (correlatore) Candidato: Cuono Mennitto Matricola 0512600170 2 FLUTTUAZIONI QUANTISTICHE ED EFFETTO CASIMIR A mio nonno Mauro 3 Abstract L'elaborato rappresenta un'introduzione alla quantizzazione del campo elettromagnetico ed è dedicato in particolare alla descrizione di uno degli eetti della quantizzazione del campo: l'eetto Casimir. Nella prima parte della tesi vengono richiamati i concetti fondamentali della teoria elettromagnetica classica e una breve descrizione dell'oscillatore armonico in meccanica quantistica, argomenti propedeutici alla quantizzazione del campo. Nella seconda parte verrà discusso l'eetto Casimir e saranno trattate le veriche sperimentali. 4 Introduzione I fenomeni elettromagnetici sono stati in larga misura esplorati nel XVII secolo, anche se la conoscenza fenomenologica non era aancata da una formulazione teorica ecace. È nella seconda metà del XIX secolo che, grazie al lavoro di J.C. Maxwell, prende forma quella che viene chiamata la teoria classica dell'elettromagnetismo. Secondo questa teoria il campo elettromagnetico è descritto da un set di equazioni dierenziali alle derivate parziali. Una particolare soluzione di queste equazioni descrive fenomeni ondulatori che prendono il nome di onde elettromagnetiche. La teoria classica prevede che l'energia associata alla radiazione elettromagnetica possa essere emessa o assorbita dalla materia con un continuo di possibili valori. In altre parole non esiste un limite inferiore alla quantità di energia che la materia può scambiare. Tale previsione era in netto contrasto con alcune osservazioni sperimentali riguardanti lo studio della radiazione di corpo nero. Fu Max Planck che nei primissimi anni del XX secolo risolse le problematiche legate allo studio del corpo nero ipotizzando che l'energia legata alla radiazione fosse emessa o assorbita dalla materia solo in pacchetti discreti chiamati quanti: nasce la meccanica quantistica. Negli anni successivi alla nascita e allo sviluppo della meccanica quantistica si arontò il problema della quantizzazione dei campi. La quantizzazione del campo elettromagnetico in particolare portò alla formulazione dell' elettrodinamica quantistica con conseguenze che per la teoria classica erano impensabili. Una di queste è l'esistenza di un'energia legata al vuoto. è responsabile del fenomeno che prende il nome di L'energia di vuoto eetto Casimir, argomento principale della presente tesi. L'elaborato si compone di quattro capitoli. Il primo capitolo sarà dedica- to alla teoria classica dell'elettromagnetismo: verranno scritte le equazioni di Maxwell che descrivono i campi elettrici e magnetici. Introdurremo i potenziali elettromagnetici e discuteremo della gauge di Lorentz. Dimostreremo che i campi elettromagnetici e i potenziali soddisfano l'equazione delle onde di D'Alembert. Quest'ultima sarà risolta a titolo di esempio per il potenziale vettore per poi adattare la soluzione ai campi elettrici e magnetici nel vuoto (in assenza di sorgenti). Inne verrà scritta l'Hamiltoniana del campo elettromagnetico in funzione della sua utilità nella trattazione quantistica. I richiami alla teoria classica sono necessari per meglio comprendere i concetti che fanno parte della teoria quantistica, illustrata a partire dal secondo capitolo dove sarà prima discusso brevemente il problema di corpo nero che ha dato origine alla meccanica quantistica. Prima di procedere alla quantizzazione del campo elettromagnetico verrà introdotta la trattazione quantistica dell'oscillatore armonico, in virtù della sua analogia con il problema della quantizzazione del campo elettromagnetico. In particolare verrà descritto l'oscillatore armonico quantistico tramite gli operatori di creazione e distruzione che saranno poi ripresi nella quantizzazione del campo. 5 Il terzo capitolo sarà dedicato a quella che è la descrizione teorica dell'eetto Casimir, che prende il nome dal sico olandese Hendrik Casimir che lo teorizzò nel 1948 studiando gli eetti dell'energia del vuoto tra due piastre metalliche conduttrici con carica elettrica nulla e perfettamente parallele. Si tratta infatti di una forza attrattiva che si sviluppa fra le suddette piastre. Verrà descritto il procedimento che porta al calcolo della forza di Casimir che si sviluppa nel vuoto tra due piatti paralleli. Seppur teorizzato nel 1948, l'eetto Casimir ebbe la conferma sperimentale solo nel 1997. I risultati degli esperimenti precedenti, anche se non contraddicevano la teoria, erano viziati da consistenti errori sperimentali. Un esempio è dato dalla ricerca condotta in Olanda da Marcus Sparnaay e il suo team nel 1958. Nel quarto capitolo verrà discussa la parte sperimentale dell'eetto Casimir con particolare attenzione all'esperimento condotto nel 1997 da Steven Lamoreaux presso l' università di Washington a Seattle. In questo esperimento si scelse di calcolare la forza tra una lastra piana e una sfera. La condizione di parallelismo delle due piastre è stata per anni la sda più ardua per i sici sperimentali che si sono cimentati in una verica dell'eetto Casimir, questo per evidenti limiti tecnologici ed è per questo che sono state considerate diverse congurazioni dei sistemi. Indice 1 La teoria dell' elettromagnetismo 7 1.1 Le Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 1.2 I potenziali elettromagnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.3 Le trasformazioni di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.4 Soluzione dell'equazione delle onde e campo elettromagnetico . . 13 1.5 Hamiltoniana del campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . 16 2 Quantizzazione del C.E. 18 2.1 Oscillatore armonico quantisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 2.2 La quantizzazione del campo elettromagnetico 22 . . . . . . . . . . 3 Eetto Casimir 28 3.1 Modi di oscillazione del campo tra due armature parallele . . . . 3.2 Energia e forza di Casimir 28 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 4 Veriche sperimentali 33 4.1 Esperimento condotto da Lamoreaux (1997) . . . . . . . . . . . . 34 4.2 Esperimento di Mohideen e Roy (1998) . . . . . . . . . . . . . . . 36 4.3 Esperimento condotto da Onofrio e Bressi (2002) . . . . . . . . . 37 5 Conclusioni 39 6 Appendici 41 Γ(z) di Eulero . . Funzione ζ(z) di Riemann 6.1 Appendice I: Funzione . . . . . . . . . . . . . . 41 6.2 Appendice II: . . . . . . . . . . . . . . 42 6 Capitolo 1 La teoria dell' elettromagnetismo Nel 1864, partendo da noti risultati sperimentali sullo studio dei fenomeni elettromagnetici, Maxwell pubblica il suo famoso articolo su una teoria dinamica del campo elettromagnetico. Il culmine della teoria sono le equazioni di Maxwell, un set di quattro equazioni che inglobano e riproducono i risultati empirici ottenuti da famosi scienziati quali Cavendish, Coulomb, Ampére e Faraday. A partire da queste quattro equazioni che Hertz nel 1888 riesce a includere nel loro potere descrittivo una classe più ampia di fenomeni quali le onde elettromagnetiche trasverse, che si propagano alla velocità della luce. Lo scopo di questo capitolo è di ripercorrere la teoria di Maxwell a partire dalle quattro equazioni che descrivono i campi elettrici e magnetici per giungere poi alla descrizione equivalente tramite l'introduzione dei potenziali elettromagnetici che riduce a due le equazioni. Si vedrà come esse contengano l'equazione delle onde di D'Alembert. Attraverso le trasformazioni di gauge si vedrà che i campi descritti sono soggetti ad invarianze che ne semplicano ulteriormente i calcoli. Verrà risolta l'equazione delle onde per il potenziale vettore. Questo aspetto ha lo scopo di evidenziare la natura ondulatoria della radiazione poichè la soluzione è una sovrapposizione di onde piane polarizzate. Inne sarà ricavata l'Hamiltoniana del campo elettromagnetico. 7 CAPITOLO 1. 1.1 8 LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO Le Equazioni di Maxwell Le equazioni di Maxwell che descrivono i fenomeni elettromagnetici nel vuoto sono (nel sistema cgs): dove e ε0 Ē ¯ Ē(r̄, t) = ρ(r̄,t) ∇· ε0 (1.1) ¯ × B̄(r̄, t) = µ0 j̄(r̄, t) + 1 ∂ Ē(r̄, t) ∇ c2 ∂t (1.2) ¯ × Ē(r̄, t) = − ∂ B̄(r̄, t) ∇ ∂t (1.3) ¯ · B̄(r̄, t) = 0 ∇ (1.4) rappresenta il campo elettrico e B̄ il campo magnetico; le costanti µ0 sono rispettivamente la costante di permeabilità magnetica e la costante dielettrica nel vuoto mentre 1/c2 ). c è la velocità della luce (il prodotto µ0 ε0 è pari a La sorgente del campo elettrico è rappresentata dalla densità di carica mentre quella del campo magnetico è la densità di corrente j̄ ρ queste due quantità sono direttamente legate dalla equazione di continuità: ∂ρ(r̄,t) ¯ · j̄(r̄, t) = 0 +∇ ∂t (1.5) La (1.5) esprime la legge di conservazione della carica elettrica. La (1.4) indica che B̄ è un campo solenoidale e ciò è legato al fatto che al contrario della carica elettrica che possiede due stati di carica ( + e - ) sembra non esistere il monopolo magnetico, ovvero una particella che abbia un polo esclusivamente negativo o positivo. La (1.2) e la (1.3) descrivono l'evoluzione dei campi elettrico e magnetico nel vuoto. È possibile dimostrare che l' equazione di continuità non è indipendente dalle equazioni di Maxwell ma discende da queste ultime [1] . Consideriamo infatti la (1.2) e applichiamo l'operatore di divergenza ad ambo i membri: ¯ · (∇ ¯ × B̄) = µ0 ∇ ¯ · j̄ + µ0 ε0 ∇ ¯ · ∂ Ē ∇ ∂t Per l'identità vettoriale secondo cui la divergenza del rotore del campo magnetico è nulla, e scambiando l'ordine di derivazione tra la divergenza e la derivata temporale si ottiene: ¯ · j̄ + µ0 ε0 µ0 ∇ ¯ Ē) ∂(∇· =0 ∂t Utilizzando la legge di Gauss ovvero la (1.1) e dividendo per la costante di permeabilità magnetica nel vuoto si perviene all'equazione (1.5). La forza associata al campo elettromagnetico che agisce su un punto materiale dotato di carica elettrica è la forza di Lorentz: F̄ = q(Ē + v̄ × B̄) (1.6) CAPITOLO 1. dove q LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO è la carica e v̄ 9 è la velocità del punto materiale. È possibile scrivere il vettore campo elettrico e il vettore campo magnetico come somma di due campi: uno longitudinale, la cui divergenza è nulla, ed uno trasversale, il cui rotore è [2] nullo. Quanto detto è sintetizzato come segue : B̄ = B̄L + B̄T Ē = ĒL + ĒT (1.7) ¯ × ĒL = 0 ∇ (1.8) ¯ · ĒT = 0 ∇ (1.9) ¯ × B̄L = 0 ∇ (1.10) ¯ · B̄T = 0 ∇ (1.11) Eettuando questa scomposizione le equazioni contenenti il rotore dei campi ( 1.2; 1.3) ovvero quelle che descrivono la dinamica del campo elettromagnetico risultano dipendere solamente dalle componenti trasversali del campo, mentre la (1.1) descrive solamente la componente longitudinale del campo elettrico. Per la (1.4) non fa dierenza poichè entrambe le componenti del campo magnetico risultano essere solenoidali, dunque se B̄L risulta essere sia solenoidale che irro- tazionale (rispettivamente per la (1.4) e per la (1.10))esso è identicamente nullo e il campo magnetico coincide esclusivamente con la sua componente trasversale: B̄ ≡ B̄T (1.12) Risulta chiaro quindi che scomponendo anche il vettore densità di corrente nello stesso modo, le equazioni che descrivono il moto del campo elettromagnetico si riducono alla descrizione delle componenti trasversali: ¯ × ĒT (r̄, t) = − ∂ B̄T (r̄, t) ∇ ∂t ¯ ¯ × B̄T (r̄, t) = µ0 j̄T (r̄, t) + 1 ∂ ET (r̄, t) ∇ 2 c ∂t (1.13) (1.14) Le altre due equazioni di Maxwell ssano le componenti longitudinali. 1.2 I potenziali elettromagnetici È opportuno osservare che le equazioni di Maxwell contengono sei incognite che coincidono con le tre componenti spaziali di campo elettrico e campo magnetico, tuttavia le equazioni risultano essere otto dato che sono due equazioni scalari e due equazioni vettoriali. La forma matematica delle equazioni di Maxwell permette di fare alcune considerazioni: CAPITOLO 1. • LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO Il campo magnetico B̄ è solenoidale ( ¯ · B̄ = 0 ∇ 10 ) ciò è matematicamente equivalente a dire che se lo spazio in cui il campo magnetico è denito è semplicemente connesso allora campo vettoriale Ā(r̄, t) B̄ può essere scritto come il rotore di un : ¯ × Ā B̄ = ∇ Il campo Ā(r̄, t) (1.15) è chiamato potenziale vettore o potenziale magnetico poichè è associato al campo magnetico. • In base alla precedente considerazione è possibile riscrivere il campo elettrico Ē nel seguente modo: Ē = − Per ricavare la (1.16) si sostituisce a di derivazione su B̄ B̄ ∂ Ā ¯ − ∇φ ∂t (1.16) l'espressione (1.15). Invertendo l'ordine e mettendo in evidenza il rotore si ottiene: ¯ × (Ē + ∂ Ā ) = 0 ∇ ∂t (1.17) questa condizione equivale matematicamente ad aermare che il campo scritto tra le parentesi è un campo conservativo, esso può essere espresso come il gradiente di un campo scalare φ(r̄, t): Ē + ∂ Ā ¯ = −∇φ ∂t (1.18) ∂ Ā ¯ − ∇φ ∂t (1.19) da cui: Ē = − Il campo φ è chiamato potenziale scalare o elettrico. Grazie all'introduzione dei potenziali elettrico e magnetico che diventa possibile ridurre il numero di equazioni da quattro a due. Infatti le equazioni di Maxwell diventano tramite la (1.15) e la (1.19): −[∇2 φ + ∇2 Ā − ∂ ¯ ρ (∇ · Ā)] = ∂t ε0 1 ∂ 2 Ā ¯ ∇ ¯ · Ā + ∂φ ) = −µ0 j̄ − ∇( 2 2 c ∂t ∂t (1.20) (1.21) Le equazioni eliminate grazie all'introduzione dei potenziali elettromagnetici sono diventate un'identità. te. Queste due equazioni dierenziali sono accoppia- Per disaccoppiarle verrà introdotta una particolare simmetria del campo elettromagnetico che discende dalle proprietà di questi potenziali. CAPITOLO 1. 1.3 11 LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO Le trasformazioni di gauge I potenziali descritti godono di una certa arbitrarietà. Infatti, per come è stato scritto il campo magnetico attraverso il potenziale vettore, ci si accorge che se al potenziale vettore si aggiunge il gradiente di una qualsiasi funzione scalare λ(r̄, t) [2] il campo magnetico risulta invariato : ¯ Ā0 = Ā + ∇λ (1.22) ¯ × Ā0 = ∇ ¯ × Ā + ∇ ¯ × ∇λ ¯ B̄ 0 = ∇ (1.23) Se il campo è continuo nelle derivate seconde Il rotore del gradiente risulta nullo per cui si ha dalla (1.23): ¯ × Ā0 = ∇ ¯ × Ā = B̄ B̄ 0 = ∇ (1.24) Al campo elettrico scritto nella (1.19) applichiamo la stessa trasformazione: Ē 0 = − ¯ ¯ ∂ Ā0 ¯ = − ∂ Ā − ∇φ ¯ − ∂ ∇λ = Ē − ∂ ∇λ − ∇φ ∂t ∂t ∂t ∂t Per ottenere quindi la stessa simmetria in modo che Ē = Ē 0 (1.25) bisogna implemen- tare sul potenziale elettrico la seguente trasformazione: ¯ ¯ → ∇φ ¯ 0 = ∇φ ¯ − ∂ ∇λ ∇φ ∂t Queste non sono semplici trasformazioni ad hoc e prendono il nome di zioni di gauge. (1.26) trasforma- Un primo esempio è la gauge di Coulomb o gauge di radiazione in cui risulta: in termini di ¯ · Ā0 = 0 ∇ (1.27) ¯ · Ā ∇ 2 λ = −∇ (1.28) λ: Con questa assunzione le due equazioni di Maxwell scritte in termini di potenziale scalare e potenziale vettore si semplicano come segue: ∇ 2 φ0 = − ∇2 Ā0 − ρ ε0 ¯ 0 1 ∂ 2 Ā0 ∂ ∇φ − = −µ0 j̄ c2 ∂t2 ∂t (1.29) (1.30) La (1.29) si chiama equazione di Poisson e ha come soluzione: 1 φ(r̄, t) = 4πεo ˆ Ω ρ0 (r̄0 , t) dV |r̄ − r̄0 | (1.31) Per quanto riguarda il potenziale vettore la soluzione diventa più dicile. Occorre utilizzare la scomposizione del potenziale vettore in parte trasversale e CAPITOLO 1. 12 LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO longitudinale come fatto in precedenza per campo magnetico e campo elettrico. La gauge di Coulomb risulta particolarmente utile per studiare l'elettrodinamica dei campi e delle particelle. Per i nostri scopi risulta maggiormente importante quella che viene chiamata gauge di Lorentz. Essa è una particolare scelta dei potenziali del campo elettromagnetico che permette di disaccoppiare la (1.20) dalla (1.21), ed inoltre ha la proprietà di essere invariante sotto trasformazioni di Lorentz. La gauge di Lorentz è data da: ¯ · Ā + ∂φ = 0 ∇ ∂t (1.32) Questa scelta appare molto conveniente nella soluzione delle equazioni di Maxwell perchè permette di disaccoppiarle riconducendole entrambe all'equazione non omogenea delle onde di D'Alembert per il potenziale scalare e il potenziale vettore. Infatti dalla (1.32) possiamo ricavare: ¯ · Ā = − ∂φ ∇ ∂t (1.33) Sostituendo nella (1.20) otteniamo: 1 ∂2φ ρ =− 2 2 c ∂t ε0 ∇2 φ − (1.34) Allo stesso modo sfruttiamo la condizione sulla (1.21) ottendendo: ∇2 Ā − 1 ∂ 2 Ā = µ0 j̄ c2 ∂t2 (1.35) Le due equazioni possono essere abbreviate introducendo l'operatore d'alambertiano: @= ∂2 ∂2 1 ∂2 1 ∂2 ∂2 2 + + − = ∇ − ∂x2 ∂y 2 ∂z 2 c2 ∂t2 c2 ∂t2 per cui: φ = − ρ ε0 Ā = µ0 j̄ (1.36) (1.37) I campi in questione possono essere deniti anche senza le sorgenti che li generano in tal caso (1.36) e (1.37) diventano: φ = 0 (1.38) Ā = 0 (1.39) Prima di procedere alla soluzione di queste equazioni alle derivate parziali vediamo che anche il campo elettrico e il campo magnetico soddisfano l'equazione delle onde di D'Alembert. In assenza di sorgenti l'equazione (1.2) si scrive: ¯ × B̄ = − 1 ∂ Ē ∇ c2 ∂t (1.40) CAPITOLO 1. 13 LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO Applicando l'operatore di rotore ad entrambi i membri e invertendo l'operazione di derivazione rispetto al tempo di ottiene: Ē con il rotore, e sostituendo la (1.3) si 2 ¯ × (∇ ¯ × B̄) = − 1 ∂ B̄ ∇ c2 ∂t2 (1.41) ¯ × (∇ ¯ × B̄) = ∇( ¯ ∇ ¯ · B̄) − ∇2 B̄ ∇ (1.42) Ricordando che: e la (1.4) ne consegue che: in maniera analoga si giunge a: 1.4 B̄ = 0 (1.43) Ē = 0 (1.44) Soluzione dell'equazione delle onde e campo elettromagnetico Come esempio illustrativo scegliamo di risolvere l'equazione (1.39). Per farlo è necessario utilizzare la trasformata di Fourier. A condizione che Ā(r̄, t) sia una funzione a quadrato sommabile in tutto lo spazio, ossia: ˆ |Ā(r̄, t)|2 dV < ∞ (1.45) Ω esiste una funzione f¯(k̄, t) a quadrato sommabile tale che: Ā(r̄, t) = dove f¯(k̄, t) ˆ 1 f¯(k̄, t)eik̄·r̄ d3 k̄ 2 (2π) 3 è detta trasformata di Fourier di f¯(k̄, t) = L'idea è di sostituire Ā (1.46) ed è denita da: ˆ 1 2 (2π) 3 Ā(r̄, t)e−ik̄·r̄ d3 r̄ (1.47) Ā nell'equazione (1.39) con l'espressione destra della (1.46). Potendo invertire l'operazione di derivazione con quella di integrazione (il dominio di integrazione non dipende dalle variabili su cui si deriva) si ottiene: 1 ik̄·r̄ ∂ 2 f¯(k̄, t) 3 e ]d k̄ = 2 c2 ∂t2 (2π) 3 ˆ 1 1 ∂ 2 f¯(k̄, t) ik̄·r̄ 3 2 ¯ [f (k̄, t)(k̄ · k̄)(i) − 2 ]e d k̄ = 0 2 c ∂t2 (2π) 3 1 ˆ [f¯(k̄, t)∇2 eik̄·r̄ − (1.48) In generale anche se l'integrale è nullo non è certo che anche la funzione integranda sia identicamente nulla. Se essa è continua sul dominio di integrazione CAPITOLO 1. LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO 14 e se l'ugualgianza vale per ogni dominio di integrazione allora posso uguagliare a zero la funzione integranda: 1 ∂ 2 f¯(k̄, t) =0 f¯(k̄, t)(k̄ · k̄) + 2 c ∂t2 Eettuando la sostituzione k 2 c2 = ω 2 , dove k̄ · k̄ , otteniamo: ∂ 2 f¯(k̄, t) + ω 2 f¯(k̄, t) = 0 ∂t2 (1.49) Questa è l'espressione della (1.39) nel dominio del momento coniugato ad , ossia k̄ . k̄ Il signicato sico di verrà chiarito in seguito. r̄ La funzione che soddisfa l'equazione (1.49) è della forma: f¯(k̄, t) = c̄1 (k̄)eiωt + c̄2 (k̄)e−iωt (1.50) Questa soluzione è rappresentata da una combinazione di esponenziali complessi, essa è una funzione periodica e i vettori c̄1 e c̄2 determinati a partire dalle condizioni iniziali. pulsazione ovvero ω = 2πν dove ν , in generale complessi, sono Il parametro ω rappresenta la è la frequenza di oscillazione. Tramite la (1.46) è possibile riscrivere il potenziale vettore: Ā(r̄, t) = ˆ h 1 (2π) 2 3 i ¯ c̄1 (k̄)ei(ωt−k̄·r) + c̄2 (k̄)e−i(ωt+k̄·r̄) d3 k̄ Eettuando la trasformazione Ā(r̄, t) = ˆ h 1 (2π) 2 3 k̄ → −k̄ otteniamo: i c̄1 (−k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + c̄2 (−k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄ Denendo: (1.51) ¯ c̄1 (−k̄) = ā(k) ¯ c̄2 (−k̄) = ā∗ (k) (1.52) (1.53) (1.54) la (1.52) assume la forma: Ā(r̄, t) = 1 2 (2π) 3 ˆ h i ¯ k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄ ā(k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + a∗( (1.55) Dall'ultima espressione si evince quindi che il potenziale vettore non è altro che una sovrapposizione di onde piane di pulsazione k̄ . La condizione ¯ · Ā = 0 ∇ ω ampiezza ā e vettore d'onda implica che le ampiezze sono perpendicolari alla direzione di propagazione che coincide con il vettore d'onda k̄ : k̄ · ā(k̄) = 0 (1.56) Onde che soddisfano questa condizione vengono chiamate 'trasversali'. Introduciamo i versori di polarizzazione deniti dalle seguenti relazioni: ˆ1 (k̄) · ˆ2 (k̄) = ˆ1 (k̄) · k̄ = ˆ2 (k̄) · k̄ = 0 (1.57) CAPITOLO 1. LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO ˆ1 (k̄) × ˆ2 (k̄) = k̄ |k̄| 15 (1.58) Con questa denizione risulta utile scrivere le ampiezze in termini dei versori di polarizzazione: ā = a1 ˆ1 + a2 ˆ2 (1.59) e la (1.55) diventa : Ā(r̄, t) = 2 ˆ X 1 h i ˆi (k̄) ai (k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + a∗i (k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄ 2 (2π) 3 (1.60) i=1 Ricordando che anche il campo elettrico e il campo magnetico soddisfano la stessa equazione in assenza di sorgenti, è possibile pervenire al medesimo risultato: Ē(r̄, t) = B̄(r̄, t) = ˆ h 1 2 (2π) 3 1 (2π) ˆ h 2 3 i ε̄(k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + ε̄∗ (k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄ (1.61) i β̄(k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + β̄ ∗ (k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄ (1.62) È importante sottolineare che le ampiezze delle onde di campo magnetico e campo elettrico sono uguali, ossia potenziale vettore, ¯ B̄ ∇· e ¯ Ē ∇· |β̄| = |ε̄|. In assenza di sorgenti, come per il sono entrambi nulli per cui risultano essere onde trasversali anche i campi elettrici e magnetici nel vuoto. Per questo valgono le condizioni : k̄ · ε̄ = 0 (1.63) k̄ · β̄ = 0 (1.64) k̄ β̄ = × ε̄ k (1.65) In g. 1 è mostrata una rappresentazione del campo elettromagnetico come onde stazionarie con particolare attenzione alle condizioni (1.64), (1.65), (1.66). g.1 È doveroso ricordare che l'esistenza delle onde elettromagnetiche era stata teorizzata circa 22 anni prima essere dimostrata sperimentalmente da Hertz che fu capace di misurarne la velocità. Prima di procedere alla trattazione quantistica con la quantizzazione del campo elettromagnetico è opportuno introdur- Hamiltoniana re l' del campo elettromagnetico, in vista della sua importanza (anche se in veste di operatore) in meccanica quantistica. CAPITOLO 1. 1.5 16 LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO Hamiltoniana del campo elettromagnetico La funzione Hamiltoniana o semplicemente Hamiltoniana di un sistema sico è denita come H =T +V (1.66) dove T rappresenta l'energia cinetica e V l'energia potenziale. Risulta quindi ovvio che l'Hamiltoniana di un sistema altro non è che l'energia totale associata ad esso. Quando in una regione di spazio sono presenti sia campi magnetici che campi elettrici non nulli allora l'energia totale risulta essere la somma dell'energia associata ai singoli campi. Pertanto è necessario scrivere l'energia associata al campo elettrico e magnetico. L'energia del campo elettrico creato da una distribuzione discreta di cariche si ottiene calcolando il lavoro neccessario a portare ogni carica dall'innito alla posizione che occupa nella distribuzione lavoro è: Ue = 1X qk Vk 2 [1] , tale (1.67) k dove qk rappresenta una carica del sistema e Vk il qk . altre cariche nel punto in cui si trova la carica distribuzioni continue di carica si avrà: Ue = 1 2 potenziale generato dalle Naturalmente nel caso di ˆ ρV dτ (1.68) Ω Manipolando l'espressione tramite l'equazione (1.1) si ottiene: ε0 Ue = 2 ˆ ¯ · Ē)dτ V (∇ (1.69) Ω Utilizzando la relazione: ¯ · (ĒV ) = V (∇ ¯ · Ē) + Ē · ∇V ¯ ∇ (1.70) la (1.69) può essere scritta nella seguente forma: ε0 Ue = 2 Ricordando che ¯ Ē = −∇V ˆ ¯ · (ĒV ) − Ē · ∇V ¯ ]dτ [∇ (1.71) Ω l'espressione (1.71) assume la forma: Ue = ε0 2 ˆ ¯ · (ĒV ) + E 2 ]dτ [∇ (1.72) Ω Applicando poi il teorema della divergenza: ε0 Ue = 2 ˆ [ ∂Ω ˆ E dτ ] 2 (V Ē · n̂)dS] + [ (1.73) Ω Estendendo ora il dominio di integrazione a tutto lo spazio in cui il campo elettrico sia apprezzabilmente diverso da zero, il primo dei due integrali diventa trascurabile per cui l'energia associata al campo elettrico diventa: CAPITOLO 1. LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO ε0 Ue = 2 17 ˆ E 2 dτ (1.74) Ω L'espressione dell'energia associata al campo magnetico è analoga a quella del campo elettrico e si scrive: Ub = 1 2 ˆ B 2 dτ (1.75) Ω L'espressione dell'Hamiltoniana del campo magnetico sarà quindi: H = Ue + Ub = ε0 2 ˆ (|E|2 + |cB|2 )dτ (1.76) Ω Nel prossimo capitolo quando verrà quantizzato il campo elettromagnetico si dimostrerà che questa Hamiltoniana corrisponde a quella di inniti oscillatori armonici disaccoppiati. Capitolo 2 Quantizzazione del campo elettromagnetico La meccanica quantistica nasce dall'esigenza di spiegare alcune evidenze sperimentali che contraddicevano la teoria classica dell'elettromagnetismo. Tali evidenze riguardavano l'interazione della radiazione elettomagnetica con la materia o più precisamente la radiazione di corpo nero. Il corpo nero è un oggetto ideale introdotto dal sico Wein. Esso è capace di assorbire la totalità della radiazione elettromagnetica incidente senza quindi rietterla; in questo modo tutta l'energia associata alla radiazione incidente viene assorbita e successivamente irradiata di nuovo. La densità di energia emessa in funzione della lunghezza d'onda della radiazione uscente risultava essere sperimentalmente una curva con la caratteristica forma a campana avente la temperatura come parametro (g.1). Questo risultato contraddiceva la teoria di Maxwell che prevedeva un'intensità innita della radiazione emessa. Fig.2: distribuzione dell'intensità della radiazione emessa in funzione della lunghezza d'onda. La curva di colore nero rappresenta il risultato teorico ottenuto applicando le equazioni di Maxwell. 18 CAPITOLO 2. 19 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. Tale risultato teorico prese il nome di catastrofe ultravioletta. Per risolvere questa discrepanza tra teoria ed esperimento Max Planck nel 1900 avanzò l'ipotesi che l'energia potesse essere scambiata solo in pacchetti discreti di energia chiamati quanti di energia, indistinguibili e quanticati dalla seguente formula: E = hν dove mata ν rappresenta la frequenza della radiazione e costante di Planck pari a h = 6, 626 · 10−34 J · s. h è una costante chia- Planck riteneva la sua intuizione un mero espediente matematico per far tornare i conti, ma questa intuizione diede luogo alla nascita della meccanica quantistica. La maturazione della meccanica quantistica non avviene però prima del 1926, anno in cui Erwin Schrodinger pubblica un articolo in cui spiega l'equazione cardinale della meccanica quantistica: l'equazione di Schrodinger. Successivamente il campo elettromagnetico viene quantizzato e la sua formalizzazione matematica risulta essere equivalente allo studio dell'oscillatore armonico quantistico. 2.1 Oscillatore armonico quantisico [3] Lo studio dell'oscillatore armonico quantistico può essere eettuato in due modi • Attraverso la risoluzione dell'equazione di Schrodinger per gli stati stazionari, poichè il potenziale non dipende dal tempo (metodo analitico). • Tramite l'introduzione degli operatori di creazione e distruzione (metodo algebrico). In questo caso specico verrà studiato utilizzando il secondo metodo, non solo per via della sua semplicità ma anche per la sua rilevanza nel caso del campo elettromagnetico. L'oscillatore armonico classico è rappresentato dalla seguente Hamiltoniana: H= dove q 1 p2 + mω 2 q 2 2m 2 rappresentano le coordinate e scillatore armonico e ω (2.1) p i momenti coniugati, m è la massa dell'o- è la pulsazione. In meccanica quantistica la forma del- l'Hamiltoniana resta invariata ma diventa un operatore (in questa notazione gli operatori sono contrassegnati dall'accento circonesso). Nella rappresentazione delle coordinate: ¯ ; q → q̂ p̂ → −i~∇ Dalla (2.2) si vede che p̂ operatore moltiplicativo. è un operatore dierenziale mentre (2.2) q̂ è un semplice Le relazioni di commutazione tra i due operatori, posizione e momento, sono date da: [q̂i , p̂j ] = i~δij (2.3) : CAPITOLO 2. 20 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. Ed inoltre: [p̂, p̂] = [q̂, q̂] = 0 L'operatore Hamiltoniano dell'oscillatore armonico si scrive : Ĥ = − h2 2 1 ∇ + mω 2 q̂ 2 2m 2 (2.4) Per semplicità sarà risolto l'oscillatore armonico monodimensionale e quindi isotropo, dunque l'Hamiltoniano è : Ĥ = − h2 d2 1 + mω 2 x̂2 2m dx2 2 (2.5) La forma dell'Hamiltoniano permette di introdurre due operatori tali che il loro prodotto riproduca l'operatore Hamiltoniano a meno di un termine costante. Tali operatori si chiamano operatori di creazione e distruzione e sono deniti come segue: 1 [mωx̂ − ip̂] 2~mω 1 ↠= √ [mωx̂ + ip̂] 2~mω â = √ (2.6) (2.7) La relazione di commutazione tra i due operatori è (dalla (2.3)): [â, ↠] = 1 (2.8) Ed inoltre: [â, â] = [↠, ↠] = 0 Il prodotto di operatori in generale non è commutativo â↠= 1 (m2 ω 2 x̂2 + p2 + mωi[x̂, p̂]) 2~mω (2.9) ↠â = 1 (m2 ω 2 x̂2 + p2 − mωi[x̂, p̂]) 2~mω (2.10) Ricordando la relazione di commutazione tra la posizione e il momento coniugato e individuando l'Hamiltoniano del sistema, la (2.8) e la (2.9) diventano â↠= Ĥ 1 − ~ω 2 (2.11) ↠â = Ĥ 1 + ~ω 2 (2.12) È possibile quindi scrivere l'Hamiltoniano e di conseguenza la posizione e il momento tramite gli operatori di creazione e distruzione: 1 Ĥ = ~ω(â↠+ ) 2 (2.13) CAPITOLO 2. r x̂ = r p̂ = i Introducendo 21 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. ~ (â + ↠) 2mω (2.14) m~ω † (â − â) 2 (2.15) l'operatore numero â↠= N̂ si scrive l'equazione di Schrodinger per gli stati stazionari utilizzando l'Hamiltoniano scritto nella (2.12): 1 Ĥ |ψn i = En |ψn i = [~ω(N̂ + )] |ψn i 2 Poichè l'operatore N̂ (2.16) soddisfa l'equazione N̂ |ψn i = n |ψn i (2.17) troviamo che lo spettro energetico dell'oscillatore armonico è : 1 En = ~ω(n + ) 2 n = 0, 1, 2, ....... (2.18) La ragione per cui vengono chiamati operatori di creazione e distruzione risiede nel fatto che in seguito all'applicazione di uno di essi ad uno stato n-esimo dell'oscillatore armonico l'energia risulta aumentata o diminuita di un quanto a seconda dell'operatore applicato [3] : Ĥ(â|ψn >) = (En + ~ω)â|ψn > (2.19) Ĥ(↠|ψn >) = (En − ~ω)↠|ψn > (2.20) Applicando m volte l'operatore ↠allo stato n-esimo si ha: (↠)m |ψn >→ (En − m~ω)|ψn > (2.21) Se m è molto grande si arriverà ad un' energia minore del minimo del potenziale, questo non sarebbe possibile. Si può sfruttare però questa condizione per trovare le autofunzioni dell' oscillatore armonico, immaginando di applicare ↠allo stato fondamentale ottenendo zero: ↠|ψ0 >= 0 Ricordando la denizione di ↠(2.22) (equazione (2.6)) : mωx̂ψ0 + ~ d ψ0 = 0 dx (2.23) Questa è un'equazione dierenziale lineare del primo ordine a coecienti non costanti con soluzione: ψ0 = Ae− mωx2 2~ (2.24) CAPITOLO 2. 22 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. e costante di normalizzazione: A=( mω 1 )4 π~ (2.25) Per ottenere gli autostati successivi basta far agire l'operatore di creazione, anche se bisogna tener conto che non si ottiene direttamente lo stato successivo ma uno stato proporzionale ad esso con costante di proporzionalità da trovare con la condizione di normalizzazione : hψn |ψn i = 1 (2.26) Questi sono gli aspetti rilevanti che verranno poi ripresi nella trattazione del campo elettromagnetico. Si dimostrerà che l'Hamiltoniana (e quindi il corri- spondente operatore hamiltoniano) del campo elettromagnetico corrisponde a quella di inniti oscillatori armonici disaccoppiati. 2.2 La quantizzazione del campo elettromagnetico Come accennato nel primo capitolo le varie trasformazioni di gauge risultano utili per semplicare i calcoli. Riprendiamo l'equazione delle onde per il potenziale vettore ottenuta mediante le equazioni di Maxwell in assenza di sorgenti ¯ utilizzando la gauge di Coulomb (∇ · Ā = 0 ; φ = 0) ∇2 Ā − : 1 ∂ 2 Ā =0 c2 ∂t2 (2.27) Per quantizzare il campo risulta utile risolvere nuovamente l'equazione appena scritta con una particolare condizione al contorno: Ā(r̄, t) = Ā(r̄ + ¯l, t) (2.28) Questa condizione di periodicità corrisponde al fatto che il campo è contenuto |¯l|. La ragione di questa condizione al conĀ è espresso in funzione di un set di variabili in uno spazio cubico limitato di lato torno risiede nel fatto che il campo continue e questo può creare qualche problema quando si passa alla rappresentazione delle variabili come operatori nello spazio di Hilbert. esprime Ā Così facendo si in termini di innite variabili discrete. Per risolvere la (2.27) si uti- lizza il metodo della separazione delle variabili: il potenziale vettore si scrive come il prodotto di due funzioni, una funzione dipendente esclusivamente dalla variabile r̄ e l'altra funzione dipendente esclusivamente dalla variabile temporale t: Aj (r̄, t) = ξj (r̄)ψ(t) (2.29) Sostituendo questa espressione nella (2.27) si ottiene: ψ(t) 3 2 X ∂ ξj (r̄) i=1 ∂x2i = ξj (r̄) d2 ψ(t) c2 dt2 (2.30) CAPITOLO 2. 23 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. dividendo contemporaneamente la (2.30) per ξJ ψ si trova che la parte tempo- rale e quella spaziale sono uguali. L'unico modo anchè questo accada e che entrambi i membri siano uguali ad una costante chiamata 3 1 X ξj (r̄) i=1 ∂ 2 ξj (r̄) ∂x2i = 3 2 X ∂ ξj (r̄) ∂x2i i=1 1 c2 ψ(t) −k 2 d2 ψ(t) ⇒ dt2 (2.31) = −k 2 ξj 1 d2 ψ(t) = −c2 k 2 ψ(t) dt2 La funzione che risolve l'ultima delle equazioni scritte e che determina la parte temporale del potenziale vettore è: ψ(t) = αk (0)e±iωk t dove è stato posto c2 k 2 = ωk2 . (2.32) L'equazione che determina la parte spaziale dell'onda invece è chiamata equazione di Helmholtz ed ammette come soluzione: ¯ = β̄e∓ik̄·r̄ ξ(r̄) In generale β̄ è complesso. (2.33) Ora bisogna utilizzare la condizione di gauge e le condizioni al contorno che riguardano la parte spaziale e che si ricordano essere: ¯ · Ā = 0 ∇ (2.34) Ā(r̄, t) = Ā(r̄ + ¯l, t) (2.35) La prima è la condizione di trasversalità delle onde e la seconda riguarda il fatto che si considera il campo contenuto in un volumetto cubico di lato Combinando le due condizioni per r̄ = 0 |¯l|. otteniamo per componenti: 3 3 X X dξj dξj cxj =0 = cxj =lj = 0 dx dx j j j=1 j=1 (2.36) j = 1, 2, 3. Esplicitando l'esponenziale in termini di seno e coseno: β̄e∓ik̄·r̄ = ācos(k̄ · r̄) ∓ ib̄sin(k̄ · r̄) (2.37) nella quale la condizione (2.36) porta a: bj = 0; sin( 3 X j=1 kj lj ) = 0 (2.38) CAPITOLO 2. 24 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. da cui: kj = nj π lj (2.39) nj = ±1, ±2, ±3, ...... Ciò che si evince è che il vettore d'onda non è più una variabile continua. Una condizione importante oltre a quella di trasversalità è la condizione di normalizzazione: la probabilità di trovare le onde all'interno del cubo è pari a uno. Questa condizione si esprime attraverso la formula: ˆ ¯ 2 dτ = 1 |ξ(r̄)| (2.40) V in un volume V = l3 1 , ne consegue che la costante di normalizzazione √ V trasforma la (2.33) in: 1 ξ¯λ (r̄) = √ ˆλ e∓ik̄·r̄ V dove ˆλ rappresenta (2.41) il versore polarizzazione ossia una delle due possibili pola- rizzazioni del campo. Pertanto per ogni ssato k̄ si ha: 1 ξ¯kλ (r̄) = √ ˆkλ e∓ik̄·r̄ V (2.42) k̄ · ˆkλ = 0 (2.43) ˆkλ · ˆkλ0 = δλλ0 (2.44) con le relazioni: Ovviamente, per la linearità delle equazioni di Maxwell, una combinazione delle onde con diverso momento è ancora una soluzione dell'equazione delle onde: Ā(r̄, t) = X [ψk (t)ξ¯kλ (r̄) + ψk∗ (t)ξ¯kλ ∗ (r̄)] = k̄λ 1 X =√ [αk e−i(ωk t−k̄·r̄) + αk∗ ei(ωk t−k̄·r̄) ]ˆ kλ = V kλ 1 X =√ [ψk (t)ei(k̄·r̄) + ψk∗ (t)e−i(k̄·r̄) ]ˆ kλ V kλ con: k̄ = ( nx π ny π nz π , , ) lx ly lz (2.45) (2.46) nx,y,z = 0, ±1, ±2, ........ Ricordando le relazioni che intercorrono tra potenziale vettore, campo elettrico e campo magnetico è possibile trovare quindi Ē(r̄, t) = − B̄ ed Ē : ∂ Ā i X =√ ωk [αk (t)ei(k̄·r̄) − αk∗ (t)e−i(k̄·r̄) ]ˆ kλ ∂t V kλ (2.47) CAPITOLO 2. 25 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. X ¯ × Ā = √i B̄(r̄, t) = ∇ [αk (t)ei(k̄·r̄) − αk∗ (t)e−i(k̄·r̄) ]β̂kλ V kλ (2.48) con: β̂ = k̄ × ˆ Una volta ottenuta l'espressione dei campi, è possibile scrivere la funzione Hamiltoniana ricavandola dalla formula scritta nel primo capitolo: H= ε0 2 ˆ (|E|2 + |cB|2 )dτ = V X k2 2 kλ |αk (t)|2 (2.49) dove V è il volume del cubo in cui è contenuto il campo. A questo punto non resta altro che dimostrare che questa Hamiltoniana è equivalente a quella di inniti oscillatori armonici disaccoppiati. Per far ciò introduciamo le seguenti quantità: 1 [αk (t) + αk∗ (t)] c2 ik pkλ (t) = 2 [αk∗ (t) − αk (t)] c per ωk e sommando i quadrati qkλ (t) = moltiplicando la (2.50) otteniamo: (2.50) (2.51) della (2.50) e della (2.51) 1 2 k2 (pkλ + ωk2 qkλ ) = |αk (t)|2 2 2 (2.52) da cui possiamo concludere che: H= 1X 2 (pkλ + ωk2 qkλ ) 2 (2.53) kλ che corrisponde all'Hamiltoniana di un sistema formato da un insieme discreto di oscillatori armonici, ciascuno con pulsazione ωk . Il processo di quantizzazione avviene partendo dall' Hamiltoniana scritta nella (2.53) sostituendo le variabili pkλ e qkλ con i rispettivi operatori quantistici. Al pari della trattazione vista per l'oscillatore armonico si introducono gli operatori di creazione e distruzione. Per le equazioni (2.50) e (2.51) è evidente che tali operatori saranno la trasposizione quantistica delle ampiezze classiche nel seguente modo: s αk −→ s αk† −→ 2π~c2 âkλ ωk (2.54) 2π~c2 † â ωk kλ (2.55) Analogamente a quanto visto per l'oscillatore armonico, gli operatori posizione e impulso possono essere scritti in termini dei due operatori (2.54) e (2.55). La CAPITOLO 2. 26 QUANTIZZAZIONE DEL C.E. dierenza sostanziale è che in questo caso non abbiamo un solo oscillatore armonico ma un insieme discreto, ciascuno con un momento ciascun operatore). Gli operatori âkλ e â†kλ k (per ogni k abbiamo sono deniti dalle (2.6) e (2.7) con la dierenza che ora sono deniti da due indici che trasformano la relazione di commutazione in: mentre 3 [âkλ (t), â†k0 λ0 (t)] = δkk 0 δλλ0 (2.56) [âkλ (t), âk0 λ0 (t)] = [â†kλ (t), â†k0 λ0 (t)] = 0 (2.57) Sostituendo il tutto all'interno dell'espressione del potenziale vettore si ottiene: r Ā(r̄, t) = 2π~c2 X 1 [âkλ (t)ei(k̄·r̄) + â†kλ (t)e−i(k̄·r̄) ]¯ kλ V ωk (2.58) kλ Da cui si ricavano inne i campi elettrico e magnetico quantizzati: r 2π~c2 X iωk [âkλ (t)ei(k̄·r̄) + â†kλ (t)e−i(k̄·r̄) ]¯ kλ V (2.59) 2π~c2 X i [âkλ (t)ei(k̄·r̄) + â†kλ (t)e−i(k̄·r̄) ](k̄ × ¯kλ ) V ωk (2.60) Ē(r̄, t) = kλ r B̄(r̄, t) = kλ È ora evidente la somiglianza tra l'oscillatore armonico quantistico e il campo elettromagnetico quantizzato. In questo schema di quantizzazione il quanto associato al campo elettromagnetico è chiamato fotone, e gioca un ruolo fondamentale nella descrizione delle interazioni tra particelle cariche in ellettrodinamica quantistica. Ricordiamo che tutti i calcoli sono stati eettuati supponendo di essere nel vuoto. L' energia del campo elettromagnetico nel vuoto può essere scritta (in analogia con la (2.13)) nel seguente modo: Ĥ = X kλ 1 ~ω(â†kλ âkλ + ) 2 (2.61) Si denisce l'operatore numero: Nˆkλ = â†kλ âkλ (2.62) che soddisfa l'equazione agli autovalori: Nˆkλ ψnkλ = nkλ ψnkλ nkλ rappresenta il numero di fotoni aventi un determinato momento λ. Con questa premessa il numero di fotoni totale del sistema da: X nkλ (2.64) L'autovalore k̄ e polarizzazione sarà dato (2.63) kλ CAPITOLO 2. QUANTIZZAZIONE DEL C.E. 27 Ad ogni modo normale è associato uno spettro energetico. Esso ha la medesima espressione dello spettro energetico dell'oscillatore armonico ossia: 1 Enkλ = ~ωk (nkλ + ) 2 (2.65) nkλ = 0, 1, 2, 3, ....... Poichè l'Hamiltoniana può essere scritta come somma delle Hamiltoniane dei singoli oscillatori, l'energia totale sarà data dalla somma sui momenti e sulle possibili polarizzazioni del campo En = Enkλ dato X kλ nella (2.65) ossia: 1 ~ωk (nkλ + ) 2 (2.66) Questo è il risultato a cui si voleva pervenire: la (2.66) racchiude in se le profonde dierenze con la teoria classica. Una prima sostanziale dierenza è che al campo elettromagnetico non si può associare qualsiasi valore dell'energia (tale proprietà è sempre presente nei sistemi quantistici). La cosa più rilevante è che se per ogni modo normale non si avesse nessun fotone l'energia non sarebbe nulla ma sarebbe: E0 = X1 k Questa energia prende il nome di 2 ~ωk energia di punto zero o del vuoto. (2.67) Una pos- sibile spiegazione di questa energia risiede nella creazione e annichilazione di particelle virtuali, ossia una creazione di coppia particella - antiparticella che si annichilano quasi istantaneamente. In realtà l'esistenza di un'energia del vuoto è strettamente legata al principio di indeterminzaione di Heisenberg. Tale prin- cipio aerma che il prodotto delle incertezze su una misura simultanea (ossia nello stesso stato) di quantità di moto e posizione lungo lo stesso asse non sarà mai minore di una certa quantità costante ovvero: 4p4x ≥ ~ 2 (2.68) Tale principio è enunciabile anche per le variabili incompatibili energia e tempo: 4E4t ≥ ~ 2 (2.69) L'esistenza dell'energia di punto zero quindi è coerente con uno dei principi più importanti della meccanica quantistica. Sarà l'energia del vuoto il punto di partenza per la descrizione di una delle sue conseguenze ossia l'eetto Casimir. Capitolo 3 Eetto Casimir Poichè la meccanica quantistica è utilizzata per descrivere sistemi microscopici la maggior parte delle novità apportate da questa teoria si manifestano su queste scale. Tuttavia in alcuni casi gli eetti quantistici sono osservabili anche su scala macroscopica. L'eetto Casimir rappresenta uno di questi casi. Come già accennato tale fenomeno prende il nome da Hendrik Casimir che lo studiò nel 1947. Egli descrisse inizialmente il fenomeno di attrazione tra due piastre parallele nel vuoto attraverso la forza di dispersione di London, ossia un particolare tipo di forza di Van Der Waals che si genera tra molecole o atomi neutri posti a distanza di pochi nanometri in seguito alla formazione di multipoli istantanei, senza quindi fare riferimento all'energia di punto zero. Solo successivamente attribuì la sua origine alle uttuazioni quantistiche descritte nel precedente capitolo. In eetti il motivo dell'esistenza delle forze di Van Der Waals risiede proprio nella presenza delle uttuazioni quantistiche del campo elettromagnetico. In questo capitolo sarà ricavata l'espressione della forza di Casimir che si sviluppa tra due piastre parallele nel vuoto. A tale scopo giocheranno un ruolo cruciale le condizioni al contorno che i campi devono soddisfare per eetto della presenza di piatti che determinano la congurazione del sistema (questo è un primo esempio di teoria quantistica dei campi con condizioni al contorno non banali). Successivamente, dierenziando l'energia associata al vuoto, si giungerà all'espressione della forza di Casimir. 3.1 Modi di oscillazione del campo tra due armature parallele Si è visto come nel vuoto il campo elettromagnetico sia rappresentato da una sovrapposizione di onde piane espresse matematicamente dalle equazioni (2.59) e (2.60). Per poter determinare come variano le condizioni al contorno aggiungendo le armature si prende in considerazione un sistema di assi cartesiani in modo che una prima armatura sia contenuta all'interno del piano 28 x−y con z = 0, CAPITOLO 3. 29 EFFETTO CASIMIR mentre la seconda armatura è posta a distanza L dalla prima ed è perfettamente parallela ad essa (gura 3). g.3 armature perfettamente parallele a distanza L l'una dall'altra. Sia n̂ il versore normale alle lastre. Le condizioni al contorno che si vogliono implementare sono le seguenti: n̂ × Ē|z=0 = 0 (3.1) n̂ · B̄|z=0 = 0 (3.2) La prima delle due equazioni esprime la condizione secondo cui la combinazione di onde piane del campo elettrico abbia un nodo quando z = 0, ossia il campo elettrico è parallelo al versore normale alla prima placca. La seconda condizione esprime il fatto che il campo magnetico sia perpendicolare al versore normale alla prima armatura. In sintesi le due condizioni esprimono il fatto che ci sia un nodo d'onda sul piatto posto nel piano x−y con z = 0. Occorre ora trovare i modi di oscillazione del campo. È importante ricordare che per un dato vettore d'onda k̄ l'onda piana associata al campo elettrico è della forma: Ēk = ˆ1,2 ei(k̄·r̄−ωt) (3.3) CAPITOLO 3. con i versori polarizzazione (kx , ky , kz ). 30 EFFETTO CASIMIR ˆ1 e ˆ2 perpendicolari al vettore d'onda, con k̄ ≡ Per la condizione (3.1) l'onda piana può trovarsi in combinazione solamente con un'onda che ha un vettore d'onda k̄ 0 ≡ (kx , ky , −kz ) nel seguente [10] modo : Ēk = ˆ1,2 ei(kx x+ky y+kz z−ωt) − ei(kx x+ky y−kz z−ωt) (3.4) che a sua volta è uguale a: Ēk = 2iˆ 1,2 sin(kz z)ei(kx x+ky y−ωt) (3.5) Pertanto una possibile base per i modi di oscillazione è rappresentata da Ē = ˆ1,2 sin(kz z)ei(kx x+ky y−ωt) Occorre adesso considerare le condizioni per la piastra posizionata in (sempre contenuta nel piano (3.6) z = L x − y) n̂ × Ē|z=L = 0 (3.7) n̂ · B̄|z=L = 0 (3.8) Ricordando che il vettore d'onda k̄ è quantizzato, ovvero può assumere solo valori discreti come specicato nell'equazione (2.46), in questo caso il campo elettrico è dato da Ē = ˆ1,2 sin( con n≥1 3.2 e nπ z)ei(kx x+ky y−ωt) L (3.9) 0 < z < L. Energia e forza di Casimir Abbiamo precedentemente visto che l'energia associata al vuoto è data dalla somma delle singole energie di ogni fotone con assegnato modo di oscillazione. Tale energia di punto zero è detta anche energia di Casimir, in virtù della sua importanza verrà riscritta: ECasimir = X1 i 2 ~ωi (3.10) Il problema di questa energia è che in generale è una serie innita e diverge. Tale problema viene risolto ricorrendo ad una teoria di sica teorica moderna: 'la teoria di rinormalizzazione'. Secondo questa teoria alcune divergenze che emergono dal calcolo delle grandezze siche, in questo caso l'energia di Casimir, possono essere eliminate con opportune tecniche di regolarizzazione (entrare nel merito dei calcoli di questa teoria risulta complicato e non rientra nello scopo di questa tesi). Una possibilità per rendere nita l'energia di Casimir consiste nel considerare la dierenza tra l'energia in assenza dei piatti (L → ∞) CAPITOLO 3. 31 EFFETTO CASIMIR e l'energia in presenza dei piatti (L nito), questo è un primo esempio semplice di regolarizzazione. Per il campo libero, la somma sui modi di oscillazione corrisponde ad un integrale su tutti i possibili vettori d'onda polarizzazione 1,2 k̄ e sommando sui due vettori di si ottiene: ˆ dk̄ X ωk 2π 2 ECasimir = V (3.11) 1,2 La costante ~ è stata posta uguale a uno. k. ad una sola dimensione nello spazio d arbitrario di dimensioni Questo integrale è quello inerente Riscriviamo l'integrale per un numero (la trattazione in d dimensioni viene utilizzata per [8] semplicare il processo di regolarizzazione) ˆ ECasimir = V : dd k X ωk (2π)d 2 (3.12) 1,2 ωk 2 è indipendente dalla polarizzazione per cui (nel caso di campi non interagenti) la somma corrispondente da semplicemente un fattore 2. Un altro Il termine fattore 2 proviene dal fatto che nella (1.52) può essere espresso l'esponenziale kz di k è discreta π dkz = L . Pertanto in termini di seno e coseno. Tra le due piastre la componente nπ L dove L è la distanza tra le due lastre) per cui [10] l'integrale diventa : ( kz = ˆ ECasimir = 4V ∞ dd−1 k X ωk (2π)d−1 n=1 4L (3.13) Il rapporto tra il volume e la distanza tra le armature è uguale alla supercie delle due armature (A = V L ). Esplicitando ˆ ECasimir = A ωk si ottiene: ∞ dd−1 k X (2π)d−1 n=1 r n2 π 2 + k2 L2 (3.14) A questo punto la risoluzione dell'integrale viene eettuata ricorrendo ad una rappresentazione della radice quadrata tramite integrale del tipo : r n2 π 2 + k2 = L2 ˆ∞ 0 2 dt − 1 −t(k2 + m2 +π ) 1 L2 t 2e t Γ( 21 ) (3.15) Senza entrare nel merito del calcolo matematico, l'energia di Casimir (ottenuta [9] dalla dierenza della (3.12) e (3.14)) assume la seguente espressione ECasimir = − dove 2A 2d+1 π d+1 2 Ld Γ( d+1 )ζ(d + 1) 2 Γè la funzione gamma di Eulero [appendice I] e ζ (3.16) è la funzione di Riemann [appendice II]. Tale energia in uno spazio di dimensione tre (d forma: : = 3) assume la CAPITOLO 3. 32 EFFETTO CASIMIR ECasimir = − Aπ 2 720L3 (3.17) Il passaggio dall'energia alla forza di Casimir è immediato e si ottiene semplicemente derivando rispetto alla distanza tra le due lastre: FCasimir = − dEc A~cπ 2 =− dL 240L4 (3.18) Quest ultimo passaggio risulta essere il più semplice dei tre eettuati per giungere alla forza di Casimir. In generale non è aatto semplice data la geometria degli oggetti in gioco calcolare i modi normali di oscillazione. Inoltre le divergenze che emergono dalla somma su tutti i singoli modi di oscillazione non sono in generale facilmente trattabili. Dall' espressione di questa forza risulta che è molto sensibile alla distanza tra le due lastre ed ha una forma simile alle altre forze intermolecolari quale la forza di Van der Waals, forza di Debye ecc... Notiamo che la presenza della costante di Planck rende la forza di Casimir un fenomeno puramente quantistico. Nel limite in cui ~ possa essere considerata nulla (sistemi macroscopici) la forza di Casimir tende a zero. Capitolo 4 Veriche sperimentali dell'eetto Casimir Vericare l'eetto Casimir e soprattutto vericare l'espressione della forza di Casimir non è stato semplice. Sebbene non si possa parlare di esperimenti negativi (ovvero non contraddicevano la teoria del sico olandese ), i primi esperimenti non riuscivano a dare una precisione tale da ergersi a prova eettiva dell'esistenza di energia di punto zero. Il problema principale era la geometria del sistema adottata da Casimir nei suoi calcoli teorici. Essa infatti era relativamente semplice sia nel calcolo dei modi normali di oscillazione del campo sia nel caso di calcolo dell'energia di Casimir. Tuttavia non fu aatto semplice mettere in pratica la condizione di parallelismo tra le due lastre per evidenti limiti tecnologici. Il primo team che si cimentò nella verica sperimentale dell'eetto Casimir fu quello del sico olandese Marcus Sparnaay circa 11 anni dopo la pubblicazione del lavoro di Casimir. La scelta eettuata da Sparnaay fu quella di adottare la stessa geometria con cui Casimir condusse i suoi calcoli a livello teorico, ovvero due piatti conduttori perfettamente paralleli. L'esperimento rivelò l'esistenza di una forza attratti- va ma l'apparato sperimentale produsse evidenti errori e l'incertezza sui dati [4] sperimentali ( un'incertezza del 100%) evidenziò la dicolta sia di rendere perfettamente paralleli gli oggetti in gioco sia di raggiungere una condizione di vuoto spinto. La dicoltà di riprodurre l'apparato sperimentale per i due piastri paralleli suggerì di modicare la geometria degli oggetti. Al posto delle due lastre parallele risultò più semplice per Blokland e Oveerbeek nel 1978 ( circa 20 dopo l'esperimento di Sparnaay) eettuare l'esperimento utilizzando come conduttori una sfera e una lastra. Seppur la condizione di parallelismo risultò più semplicemente attuabile, non fu immediato riadattare i calcoli di Casimir nel suddetto caso. L'esperimento ebbe un certo successo: si riuscì a ridurre l'incertezza delle veriche precedenti, tuttavia tale incertezza era sempre consistente e stimata di 33 CAPITOLO 4. 34 VERIFICHE SPERIMENTALI circa il 25%. Solo circa 50 anni dopo, nel 1997, l'eetto Casimir fu dimostrato sperimentalmente con un' incertezza tale da confermare le predizioni teoriche. Fu Steven Lamoreaux che guidò l'esperimento nell'università di Washington, a Seattle. 4.1 Esperimento condotto da Lamoreaux (1997) La scelta eettuata per condurre l'esperimento fu quella di misurare (come nel caso di Blokland e Oveerbeek) la forza attrattiva tra una sfera e una lastra. In tal caso la forza da misurare era ben diversa da quella avente l'espressione della forza di Casimir ( ovvero l'equazione 3.18). Tale congurazione comporta una correzione dovuta all'attrazione coulombiana chiamata Approximation. FCasimir = Dove d R Proximity Force L'espressione della forza di Casimir assume la forma π 3 ~cR 360d3 [5] : (4.1) è il raggio della sfera che deve essere molto maggiore della distanza tra i due oggetti in gioco. La lastra doveva essere in ottima approsimazione piana (infatti misurava in spessore circa 0, 5 2, 54 cm), 4 cm. Il materiale scelto per gli SiO2 ) più comunemente noto come cm mentre in larghezza mentre la sfera fu scelta di un diametro di oggetti in gioco fu il diossido di silicio ( quarzo. Apparato sperimentale L'apparato per eseguire l'esperimento era costituito oltre che dalla lastra e dalla sfera di quarzo anche da un sistema elettromeccanico basato su un pendolo di torsione sul cui braccio venne posizionata la lastra. Per quanto riguarda la sfera, essa venne posizionata su un preciso sistema di microposizionamento che modicava con accuratezza la distanza tra la sfera e la lastra. Ai lati del pendolo vennero poste due piastre conduttrici che formavano un condensatore. Con tale espediente si riuscì a superare il problema di mantenere sso l'angolo del pendolo poichè nel momento in cui questo variava, veniva modicata anche la capacità del 'condensatore' e di conseguenza la posizione del pendolo veniva ricalibrata applicando alle armature una tensione correttiva [5] . CAPITOLO 4. 35 VERIFICHE SPERIMENTALI g 4. Rappresentazione schematica dell'apparato di Lamoreaux Principali dicoltà Una delle dicoltà dell'esperimento era rappresentata dall'eliminazione di tutte quelle forze elettrostatiche aggiuntive che interferivano con la forza di Casimir. Una di queste forze era quella generata dal potenziale elettrostatico presente tra i due conduttori adoperati per correggere le variazioni dell'angolo del pendolo di torsione. Tale tensione era dell' ordine di qualche centinaio di mV e si tentò di eliminarlo applicando una tensione esterna. Tuttavia il potenziale non fu eliminato del tutto ma fu ridotto al minimo possibile, tanto piccolo da essere considerato trascurabile. Svolgimento e risultati In primis vennero eliminati gli eetti dovuti alle particelle d'aria che fu rarefatta raggiungendo una pressione di 10−2 P a. Tramite sistema piezoelettrico veniva modicata molto lentamente ( variando di una innitesima quantità ) la distanza tra la sfera e la lastra e tramite la forza necessaria a mantenere sso l'angolo del pendolo (forza misurata in funzione della tensione applicata ai compensatori) fu misurata la forza di Casimir. Il range della distanza investigato fu da 0,6 µm a 6µm e ogni misura fu aetta da un'incertezza del 5% che nel range osservato signicava 0,01µm. Tuttavia Lamoreaux non vericò direttamente le deviazioni dal calcolo ideale che adoperava conduttori di conducibilità innita al contrario del caso reale. CAPITOLO 4. 4.2 36 VERIFICHE SPERIMENTALI Esperimento di Mohideen e Roy (1998) Nel 1986 venne inventato il microscopio a forza atomica, uno strumento di indagine che utilizza come principio proprio la forza di Van Der Waals. Fu questo lo strumento principale adoperato per eettuare l'esperimento del 1998 a Riverside da parte di Mohideen e Roy. Il microscopio a forza atomica consiste di una microleva alla cui estremità è montata una punta acuminata, tipicamente composta di silicio o nitruro di silicio, che presenta un raggio di curvatura dell'ordine dei nanometri. La punta investigatrice viene collocata nelle strette vicinanze della supercie del campione di cui si vuole eettuare la scansione. La Forza di van der Waals che agisce tra la punta ed il campione provoca una deessione della microleva (la cui costante elastica è nota), in accordo con la legge di Hooke. La deessione della leva viene misurata utilizzando un punto [6] laser riesso dalla sommità della microleva verso una matrice di fotodiodi . g.5 schema del microscopio a forza atomica. Ancora una volta venne modicata la geometria degli oggetti e si scelse di misurare la forza di Casimir tra una sfera e un disco. La sfera fu scelta con un diametro di 196µm e il materiale scelto fu il polistirene mentre il disco fu scelto di zaro e avente un diametro di 1,25 cm. Apparato sperimentale Come nell'esperimento precedente veniva applicata una tensione esterna per eliminare quasi totalmente la tensione presente tra i due conduttori. La sfera fu posizionata sulla punta della microleva del microscopio a forza atomica . Poichè bisognava far incidere i laser sulla sfera questa fu ricoperta di alluminio per garantire una peretta riessione. La temperatura alla quale fu svolto l'esperi◦ mento era di 20C e la pressione dello stesso ordine di grandezza dell'esperimento precedente [6] . CAPITOLO 4. 37 VERIFICHE SPERIMENTALI g.6 Schema dell'apparato sperimentale utilizzato da Mohideen e Roy nel 1998. Svolgimento e risultati L'esperimento venne eettuato facendo incidere un fascio laser sulla sfera (g.6). Il fascio, raccolto da due fotodiodi, provocava una deessione della microleva su cui era appoggiata la sfera e questo faceva deettere il fascio laser modicandone la ricezione da parte dei due fotodiodi. Grazie alla deessione del laser era possibile calcolare quindi le variazioni della forza tra i due conduttori semplicemente utilizzando la legge di Hooke ovvero F̄ = kδ¯l dove δ ¯l era la deessione della microleva e k la costante elasitca del materiale utilizzato nella costruzione del microscopio.Ad ogni misura la sfera e il disco vennero avvicinati di 3,6µm. I fattori di disturbo quali conducibilità nita e temperatura nita furono stimati ed eliminati raggiungendo un'accuratezza del 1% e il range di distanze degli oggetti in gioco alla quale misurarono la forza di Casimir era compreso tra 0,1 e 0,9 4.3 µm. Esperimento condotto da Onofrio e Bressi (2002) Prima di ripetere l'esperimento condotto da Sparnaay nel 1958 passarono 44 anni. Fu il team italiano dell'università di Padova condotto da Onofrio e Bressi che nel 2002 riprodusse l'esperimento com era inizialmente stato concepito, ovvero calcolando la forza tra due piastre piane parallele. Infatti grazie all'invenzione della ibra ottica il team italiano riuscì ad eliminare i problemi legati alla condizione di parallelismo delle due lastre. Più precisamente tale mossa venne eettuata utilizzando un interferometro a bra ottica. Apparato sperimentale Le due piastre erano rappresentate da due microleve (simili a quella utilizzata nel 1998 con il microscopio a forza atomica) di cui una poteva ruotare libe- CAPITOLO 4. 38 VERIFICHE SPERIMENTALI ramente intorno al proprio perno e una era ssa poggiata su un sistema di posizionamento analogo a quelli utilizzati per i precedenti esperimenti. La condizione di parallelismo era garantita da un motorino che permetteva di ruotare le due microleve. Le leve avevano le dimensioni di 1,9 cm in lunghezza, 1,2mm di largezza e uno spessore di 50 nm per quanto riguarda la microleva ssa mentre quella mobile aveva uno spessore di 47µm. La condizione di parallelismo si raggiungeva massimizzando la capacità dei conduttori che corrispondeva ad una capacità di 22 pF corrispondente ad una distanza di 0,4 µm[7] . Svolgimento e Risultati La misura della Forza di Casimir avvenne tramite un interferometro a bra ottica capace di rilevare le variazioni nella frequenza della microleva quando essa si avvicinava alla leva ssa. La forza di Casimir induce una variazione nella frequenza di oscillazione della microleva mobile. Eliminando alla variazione di frequenza totale quella dovuta alla tensione residua tra i conduttori si ottenne: ∆ν 2 (d) = ν 2 − ν02 = −Cel Ccas Vr2 − 5 d3 d (4.2) ε0 S 4πm∗ Kc S = πm∗ Cel = Ccas dove 0 è la costante dielettrica nel vuoto S è l'area eettiva delimitata da due superci interagenti e determinato per la m∗ è CCas la massa ecace della microleva mobile. era di Ccas = (2, 34 ± 0, 34) · 1028 Hz 2 m5 e [7] coeciente della forza di Casimir fu simato Kc = Il valore dunque il : εCcas = (1, 22 ± 0, 18) · 10−27 N · m2 4Cel (4.3) L'accuratezza dell'esperimento fu stimata in un errore del 15% circa sulle misure. Ancora oggi gli esperimenti sull'eetto Casimir non si arrestano e progrediscono in un crescendo di accuratezza nei risultati. come si è visto in questa breve parentesi sulle veriche sperimentali le dicoltà maggiori nella realizzazione degli esperimenti consistono nel confronto tra caso reale e caso ideale e nel poter eliminare tutti quei fattori che rendono non ideali i conduttori utilizzati, quali conducibilità e temperatura non innite o la ruvidezza dei conduttori (ossia il fatto che su scale molto ridotte essi non siano perfettamente piani). Capitolo 5 Conclusioni La meccanica quantistica rappresenta senz altro una rivoluzione nell'ambito della sica, sia per quanto riguarda i suoi principi fondamentali, sia per i fenomeni che scaturiscono da tali principi. L'idea che il vuoto, inteso come assenza di qualsiasi forma di energia o materia non esista, è a dir poco rivoluzionaria. Il nuovo paradigma del vuoto è quello di essere un mare di particelle virtuali che si creano e annichilano incessantemente e continuamente, e come visto, sotto opportune condizioni tali particelle sono in grado di interagire con la materia. In termini moderni dunque il concetto di vuoto non è lo stesso di spazio vuoto, dato che tutto lo spazio è riempito dai campi quantizzati che costituiscono l'universo. Il vuoto è semplicemente lo stato di più bassa energia possibile di questi campi, un concetto molto dierente da quello di spazio vuoto. La forza di Casimir descritta rappresenta solo uno degli eetti della quantizzazione del campo elettromagnetico. un altro fenomeno ad esempio, è il lamb shift. Il lamb shift riguarda l'interazione dell'elettrone di un atomo di idrogeno o idrogenoide con il vuoto e quindi con l'energia di punto zero, questo modica i livelli energetici. la forza di Casimir è stata introdotta storicamente come una dispersione di London forza di che si esercita tra atomi o molecole generalmente neutri ma che formano momenti di dipolo istantaneo che permettono alla molecola polarizzata di attrarre altre molecole o atomi. Il discorso è aperto anche per quanto riguarda le applicazioni tecnologiche anche se questo è un settore di studio molto recente che riguarda soprattutto le nanotecnologie, ambito che abbraccia scienze quali la sica, l'ingegneria, la biologia e la medicina. L'energia di punto zero gioca un ruolo cruciale anche in ambito di teorie cosmologiche. Infatti l'esistenza di energia del vuoto potrebbe essere direttamente collegata all'espansione accelerata dell'universo e alla costante cosmologica Λ introdotta da Einstein per rendere statico il suo mo- dello di universo. Infatti scoperte successive alla teoria della relatività generale di Einstein hanno confermato che l'universo è in espansione. Anche i modelli in espansione possono però includere una costante cosmologica Λ in cui signi- cato sico è oggi associato all'energia oscura dell'universo interpretata quindi come energia del vuoto. le osservazioni mostrano che l'espansione dell'universo 39 CAPITOLO 5. CONCLUSIONI 40 sta accelerando, ed indicano in eetti la presenza di una costante cosmologica positiva. Il valore osservato è positivo ed enormemente più piccolo di quello che ci si aspetterebbe, circa 10−120 . Infatti il valore teorico atteso per la densità di energia (calcolato con la teoria della relatività generale) è: Dove MP è la massa di ρΛ ≈ MP4 ≈ 1076 GeV 4 q ~c 19 Gev Planck (MP = G ≈ 1, 2209 × 10 c2 ). Mentre il valore misurato è: ρΛ = Λ = MP2 Λ ≈ 10−47 GeV 4 ≈ (10−3 eV )4 8πG Dunque la ricerca in questo campo sia in ambito teorico che sperimentale è molto attiva e abbraccia ambiti che non riguardano esclusivamente le discipline siche. Capitolo 6 Appendici Nel calcolo dell'energia di Casimir sono comparse funzioni con proprietà particolari. La funzione gamma di Eulero e la funzione zeta di Rieamann sono spesso presenti nell'ambito della sica teorica. Esse saranno descritte insieme alle proprietà in virtù della loro importanza nei calcoli eettuati. 6.1 Appendice I: Funzione Γ(z) di Eulero In matematica la funzione gamma di Eulero è una funzione a variabile complessa, meromorfa e continua sui numeri reali positivi. complesso z è positiva, la funzione Γ(z) Se la parte reale del numero è denita come: ˆ∞ tz−1 e−t dt Γ(z) = (6.1) 0 L'integrale (6.1) converge assolutamente. Tuttavia è possibile, tramite prolungamento analitico, esetendere la denzione della Γ a tutti i numeri complessi, anche con parte reale non positiva, ad eccezione degli interi minori o uguali a zero. Proprietà La funzione di Eulero gode delle seguenti proprietà: • È possibile dimostrare tramite integrazione per parti che: Γ(z+1) = zΓ(z). • Γ(1) = 1. • Γ(n + 1) = n! questo ∀n ∈ N. π sin(πz) questa proprietà viene chiamata 'formula di riessione di Eulero'. • Γ(1 − z)Γ(z) = 41 CAPITOLO 6. 42 APPENDICI • ´La seguente proprietà ∞ z−1 −t t e [ln(t)]n dt 0 riguarda le derivate della funzione Γ: Γ(n) (z) = Alcuni valori notevoli che la funzione assume su numeri non interi sono: • Γ(1/2) = • Γ(n/2) = √ (n−2)!! √ 2 La funzione π (n−1) 2 π Γè presente con alta frequenza nei calcoli statitistici, ossia quando si ha a che fare con un numero molto elevato di corpi. Per questa ragione emerge dal calcolo dell'energia di Casimir. 6.2 Appendice II: Funzione ζ(z) di Riemann In matematica la Funzione di Riemann è una funzione a variabile complessa denita come la serie di Dirichlet: ζ(z) = Per ogni numero complesso z ∞ X 1 z n n=1 (6.2) di parte reale maggiore di 1. Questa restrizione risulta necessaria anché la serie risulti convergente, tuttavia la funzione si può prolungare analiticamente a una funzione olomorfa su tutto il piano complesso ad eccezione di 1, dove ha un polo semplice. La funzione zeta possiede zeri semplici negli interi pari negativi, detti zeri banali, mentre tutti gli altri zeri sono Re(z) = 21 , detta retta critica, e 0 < Re(z) < 1 , detto intervallo critico. Una disposti simmetricamente rispetto alla retta sono tutti contenuti nell'intervallo importante proprietà di questa funzione è il prodotto di Eulero: ζ(z) = valida per Re(z) > 1 ∞ X Y 1 1 = z n 1 − p−z n=1 p primo (6.3) e dove il prodotto è eettuato su tutti i numeri primi p. È interessante notare che la formula di Eulero ha come conseguenza che vi sono inniti numeri primi. Infatti, se vi fosse solo un numero nito di numeri primi allora il prodotto di Eulero sarebbe un prodotto nito e quindi sarebbe denito anche per s = 1, mentre in tale punto la funzione zeta ha un polo. Bibliograa [1] C. Mencuccini, V. Silvestrini, Fisica II: elettromagnetismo - ottica, Liguori editore. [2] J. Jackson, Elettrodinamica classica, Zanichelli. [3] David J. Griths, Introduzione alla meccanica quantistica, Casa Editrice Ambrosiana. [4] M. J. Sparnaay, Physica (Utrecht) 24, 751. [5] S. K. Lamoreaux, Phys. Rev. Lett. 78, 5. [6] U. Mohideen and Anushree Roy, Phys. Rev. Lett. 81, 21. [7] G. Bressi, G. Carugno, R. Onofrio and G. Ruoso, 041804. [8] G. Lambiase, G. Scarpetta, V. Nesterenko, vol.6 (2004). [9] K. Milton, Phys. Rev. Lett. 88, La rivista del nuovo cimento, The Casimir eect, World Scientic, (2006). [10] C. Itzykson and J.B. Zuber, Quantum Field Theory, McGraw Hill Inc. 43