FLUTTUAZIONI QUANTISTICHE ED EFFETTO CASIMIR I Docenti :

1
TESI DI LAUREA TRIENNALE IN FISICA
DIPARTIMENTO DI FISICA E.R. CAIANIELLO
FLUTTUAZIONI QUANTISTICHE ED EFFETTO
CASIMIR
I Docenti
:
Prof. Gaetano Lambiase (relatore)
Prof. Alfonso Romano (correlatore)
Candidato: Cuono Mennitto
Matricola 0512600170
2
FLUTTUAZIONI QUANTISTICHE ED EFFETTO
CASIMIR
A mio nonno Mauro
3
Abstract
L'elaborato rappresenta un'introduzione alla quantizzazione del campo elettromagnetico ed è dedicato in particolare alla descrizione di uno degli eetti della
quantizzazione del campo: l'eetto Casimir. Nella prima parte della tesi vengono richiamati i concetti fondamentali della teoria elettromagnetica classica e una
breve descrizione dell'oscillatore armonico in meccanica quantistica, argomenti
propedeutici alla quantizzazione del campo. Nella seconda parte verrà discusso
l'eetto Casimir e saranno trattate le veriche sperimentali.
4
Introduzione
I fenomeni elettromagnetici sono stati in larga misura esplorati nel XVII
secolo, anche se la conoscenza fenomenologica non era aancata da una formulazione teorica ecace. È nella seconda metà del XIX secolo che, grazie al
lavoro di J.C. Maxwell, prende forma quella che viene chiamata la teoria classica dell'elettromagnetismo. Secondo questa teoria il campo elettromagnetico è
descritto da un set di equazioni dierenziali alle derivate parziali. Una particolare soluzione di queste equazioni descrive fenomeni ondulatori che prendono il
nome di
onde elettromagnetiche.
La teoria classica prevede che l'energia associata alla radiazione elettromagnetica possa essere emessa o assorbita dalla materia con un continuo di possibili
valori. In altre parole non esiste un limite inferiore alla quantità di energia che
la materia può scambiare.
Tale previsione era in netto contrasto con alcune
osservazioni sperimentali riguardanti lo studio della radiazione di corpo nero.
Fu Max Planck che nei primissimi anni del XX secolo risolse le problematiche
legate allo studio del corpo nero ipotizzando che l'energia legata alla radiazione fosse emessa o assorbita dalla materia solo in pacchetti discreti chiamati
quanti:
nasce la meccanica quantistica.
Negli anni successivi alla nascita e allo sviluppo della meccanica quantistica
si arontò il problema della quantizzazione dei campi.
La quantizzazione del
campo elettromagnetico in particolare portò alla formulazione dell' elettrodinamica quantistica con conseguenze che per la teoria classica erano impensabili.
Una di queste è l'esistenza di un'energia legata al vuoto.
è responsabile del fenomeno che prende il nome di
L'energia di vuoto
eetto Casimir,
argomento
principale della presente tesi.
L'elaborato si compone di quattro capitoli.
Il primo capitolo sarà dedica-
to alla teoria classica dell'elettromagnetismo: verranno scritte le equazioni di
Maxwell che descrivono i campi elettrici e magnetici. Introdurremo i potenziali elettromagnetici e discuteremo della gauge di Lorentz.
Dimostreremo che i
campi elettromagnetici e i potenziali soddisfano l'equazione delle onde di D'Alembert. Quest'ultima sarà risolta a titolo di esempio per il potenziale vettore
per poi adattare la soluzione ai campi elettrici e magnetici nel vuoto (in assenza
di sorgenti). Inne verrà scritta l'Hamiltoniana del campo elettromagnetico in
funzione della sua utilità nella trattazione quantistica.
I richiami alla teoria classica sono necessari per meglio comprendere i concetti che fanno parte della teoria quantistica, illustrata a partire dal secondo
capitolo dove sarà prima discusso brevemente il problema di corpo nero che ha
dato origine alla meccanica quantistica. Prima di procedere alla quantizzazione
del campo elettromagnetico verrà introdotta la trattazione quantistica dell'oscillatore armonico, in virtù della sua analogia con il problema della quantizzazione
del campo elettromagnetico. In particolare verrà descritto l'oscillatore armonico quantistico tramite gli operatori di creazione e distruzione che saranno poi
ripresi nella quantizzazione del campo.
5
Il terzo capitolo sarà dedicato a quella che è la descrizione teorica dell'eetto
Casimir, che prende il nome dal sico olandese Hendrik Casimir che lo teorizzò
nel 1948 studiando gli eetti dell'energia del vuoto tra due piastre metalliche
conduttrici con carica elettrica nulla e perfettamente parallele. Si tratta infatti
di una forza attrattiva che si sviluppa fra le suddette piastre. Verrà descritto
il procedimento che porta al calcolo della forza di Casimir che si sviluppa nel
vuoto tra due piatti paralleli.
Seppur teorizzato nel 1948, l'eetto Casimir ebbe la conferma sperimentale
solo nel 1997. I risultati degli esperimenti precedenti, anche se non contraddicevano la teoria, erano viziati da consistenti errori sperimentali.
Un esempio
è dato dalla ricerca condotta in Olanda da Marcus Sparnaay e il suo team nel
1958.
Nel quarto capitolo verrà discussa la parte sperimentale dell'eetto Casimir
con particolare attenzione all'esperimento condotto nel 1997 da Steven Lamoreaux presso l' università di Washington a Seattle.
In questo esperimento si
scelse di calcolare la forza tra una lastra piana e una sfera. La condizione di
parallelismo delle due piastre è stata per anni la sda più ardua per i sici
sperimentali che si sono cimentati in una verica dell'eetto Casimir, questo
per evidenti limiti tecnologici ed è per questo che sono state considerate diverse
congurazioni dei sistemi.
Indice
1 La teoria dell' elettromagnetismo
7
1.1
Le Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
1.2
I potenziali elettromagnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
1.3
Le trasformazioni di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
1.4
Soluzione dell'equazione delle onde e campo elettromagnetico
. .
13
1.5
Hamiltoniana del campo elettromagnetico
. . . . . . . . . . . . .
16
2 Quantizzazione del C.E.
18
2.1
Oscillatore armonico quantisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19
2.2
La quantizzazione del campo elettromagnetico
22
. . . . . . . . . .
3 Eetto Casimir
28
3.1
Modi di oscillazione del campo tra due armature parallele
. . . .
3.2
Energia e forza di Casimir
28
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30
4 Veriche sperimentali
33
4.1
Esperimento condotto da Lamoreaux (1997) . . . . . . . . . . . .
34
4.2
Esperimento di Mohideen e Roy (1998) . . . . . . . . . . . . . . .
36
4.3
Esperimento condotto da Onofrio e Bressi (2002) . . . . . . . . .
37
5 Conclusioni
39
6 Appendici
41
Γ(z) di Eulero . .
Funzione ζ(z) di Riemann
6.1
Appendice I: Funzione
. . . . . . . . . . . . . .
41
6.2
Appendice II:
. . . . . . . . . . . . . .
42
6
Capitolo 1
La teoria dell'
elettromagnetismo
Nel 1864, partendo da noti risultati sperimentali sullo studio dei fenomeni elettromagnetici, Maxwell pubblica il suo famoso articolo su una teoria dinamica
del campo elettromagnetico. Il culmine della teoria sono le equazioni di Maxwell, un set di quattro equazioni che inglobano e riproducono i risultati empirici
ottenuti da famosi scienziati quali Cavendish, Coulomb, Ampére e Faraday. A
partire da queste quattro equazioni che Hertz nel 1888 riesce a includere nel loro
potere descrittivo una classe più ampia di fenomeni quali le onde elettromagnetiche trasverse, che si propagano alla velocità della luce.
Lo scopo di questo
capitolo è di ripercorrere la teoria di Maxwell a partire dalle quattro equazioni
che descrivono i campi elettrici e magnetici per giungere poi alla descrizione
equivalente tramite l'introduzione dei potenziali elettromagnetici che riduce a
due le equazioni. Si vedrà come esse contengano l'equazione delle onde di D'Alembert.
Attraverso le trasformazioni di gauge si vedrà che i campi descritti
sono soggetti ad invarianze che ne semplicano ulteriormente i calcoli. Verrà risolta l'equazione delle onde per il potenziale vettore. Questo aspetto ha lo scopo
di evidenziare la natura ondulatoria della radiazione poichè la soluzione è una
sovrapposizione di onde piane polarizzate. Inne sarà ricavata l'Hamiltoniana
del campo elettromagnetico.
7
CAPITOLO 1.
1.1
8
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
Le Equazioni di Maxwell
Le equazioni di Maxwell che descrivono i fenomeni elettromagnetici nel vuoto
sono (nel sistema cgs):
dove
e
ε0
Ē
¯ Ē(r̄, t) = ρ(r̄,t)
∇·
ε0
(1.1)
¯ × B̄(r̄, t) = µ0 j̄(r̄, t) + 1 ∂ Ē(r̄, t)
∇
c2
∂t
(1.2)
¯ × Ē(r̄, t) = − ∂ B̄(r̄, t)
∇
∂t
(1.3)
¯ · B̄(r̄, t) = 0
∇
(1.4)
rappresenta il campo elettrico e
B̄
il campo magnetico; le costanti
µ0
sono rispettivamente la costante di permeabilità magnetica e la costante
dielettrica nel vuoto mentre
1/c2 ).
c
è la velocità della luce (il prodotto
µ0 ε0
è pari a
La sorgente del campo elettrico è rappresentata dalla densità di carica
mentre quella del campo magnetico è la densità di corrente
j̄
ρ
queste due quantità
sono direttamente legate dalla equazione di continuità:
∂ρ(r̄,t)
¯ · j̄(r̄, t) = 0
+∇
∂t
(1.5)
La (1.5) esprime la legge di conservazione della carica elettrica. La (1.4) indica
che
B̄
è un campo solenoidale e ciò è legato al fatto che al contrario della
carica elettrica che possiede due stati di carica ( + e - ) sembra non esistere
il monopolo magnetico, ovvero una particella che abbia un polo esclusivamente
negativo o positivo. La (1.2) e la (1.3) descrivono l'evoluzione dei campi elettrico
e magnetico nel vuoto.
È possibile dimostrare che l' equazione di continuità
non è indipendente dalle equazioni di Maxwell ma discende da queste ultime
[1]
.
Consideriamo infatti la (1.2) e applichiamo l'operatore di divergenza ad ambo i
membri:
¯ · (∇
¯ × B̄) = µ0 ∇
¯ · j̄ + µ0 ε0 ∇
¯ · ∂ Ē
∇
∂t
Per l'identità vettoriale secondo cui la divergenza del rotore del campo magnetico
è nulla, e scambiando l'ordine di derivazione tra la divergenza e la derivata
temporale si ottiene:
¯ · j̄ + µ0 ε0
µ0 ∇
¯ Ē)
∂(∇·
=0
∂t
Utilizzando la legge di Gauss ovvero la (1.1) e dividendo per la costante di
permeabilità magnetica nel vuoto si perviene all'equazione (1.5).
La forza associata al campo elettromagnetico che agisce su un punto materiale dotato di carica elettrica è la forza di Lorentz:
F̄ = q(Ē + v̄ × B̄)
(1.6)
CAPITOLO 1.
dove
q
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
è la carica e
v̄
9
è la velocità del punto materiale. È possibile scrivere il
vettore campo elettrico e il vettore campo magnetico come somma di due campi:
uno longitudinale, la cui divergenza è nulla, ed uno trasversale, il cui rotore è
[2]
nullo. Quanto detto è sintetizzato come segue
:
B̄ = B̄L + B̄T
Ē = ĒL + ĒT
(1.7)
¯ × ĒL = 0
∇
(1.8)
¯ · ĒT = 0
∇
(1.9)
¯ × B̄L = 0
∇
(1.10)
¯ · B̄T = 0
∇
(1.11)
Eettuando questa scomposizione le equazioni contenenti il rotore dei campi (
1.2; 1.3) ovvero quelle che descrivono la dinamica del campo elettromagnetico
risultano dipendere solamente dalle componenti trasversali del campo, mentre
la (1.1) descrive solamente la componente longitudinale del campo elettrico. Per
la (1.4) non fa dierenza poichè entrambe le componenti del campo magnetico
risultano essere solenoidali, dunque se
B̄L
risulta essere sia solenoidale che irro-
tazionale (rispettivamente per la (1.4) e per la (1.10))esso è identicamente nullo
e il campo magnetico coincide esclusivamente con la sua componente trasversale:
B̄ ≡ B̄T
(1.12)
Risulta chiaro quindi che scomponendo anche il vettore densità di corrente nello
stesso modo, le equazioni che descrivono il moto del campo elettromagnetico si
riducono alla descrizione delle componenti trasversali:
¯ × ĒT (r̄, t) = − ∂ B̄T (r̄, t)
∇
∂t
¯
¯ × B̄T (r̄, t) = µ0 j̄T (r̄, t) + 1 ∂ ET (r̄, t)
∇
2
c
∂t
(1.13)
(1.14)
Le altre due equazioni di Maxwell ssano le componenti longitudinali.
1.2
I potenziali elettromagnetici
È opportuno osservare che le equazioni di Maxwell contengono sei incognite che
coincidono con le tre componenti spaziali di campo elettrico e campo magnetico,
tuttavia le equazioni risultano essere otto dato che sono due equazioni scalari
e due equazioni vettoriali.
La forma matematica delle equazioni di Maxwell
permette di fare alcune considerazioni:
CAPITOLO 1.
•
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
Il campo magnetico
B̄
è solenoidale (
¯ · B̄ = 0
∇
10
) ciò è matematicamente
equivalente a dire che se lo spazio in cui il campo magnetico è denito è
semplicemente connesso allora
campo vettoriale
Ā(r̄, t)
B̄
può essere scritto come il rotore di un
:
¯ × Ā
B̄ = ∇
Il campo
Ā(r̄, t)
(1.15)
è chiamato potenziale vettore o potenziale magnetico
poichè è associato al campo magnetico.
•
In base alla precedente considerazione è possibile riscrivere il campo elettrico
Ē
nel seguente modo:
Ē = −
Per ricavare la (1.16) si sostituisce a
di derivazione su
B̄
B̄
∂ Ā
¯
− ∇φ
∂t
(1.16)
l'espressione (1.15). Invertendo l'ordine
e mettendo in evidenza il rotore si ottiene:
¯ × (Ē + ∂ Ā ) = 0
∇
∂t
(1.17)
questa condizione equivale matematicamente ad aermare che il campo scritto tra le parentesi è un campo conservativo, esso può essere espresso come il
gradiente di un campo scalare
φ(r̄, t):
Ē +
∂ Ā
¯
= −∇φ
∂t
(1.18)
∂ Ā
¯
− ∇φ
∂t
(1.19)
da cui:
Ē = −
Il campo
φ
è chiamato potenziale scalare o elettrico.
Grazie all'introduzione dei potenziali elettrico e magnetico che diventa possibile ridurre il numero di equazioni da quattro a due. Infatti le equazioni di
Maxwell diventano tramite la (1.15) e la (1.19):
−[∇2 φ +
∇2 Ā −
∂ ¯
ρ
(∇ · Ā)] =
∂t
ε0
1 ∂ 2 Ā
¯ ∇
¯ · Ā + ∂φ ) = −µ0 j̄
− ∇(
2
2
c ∂t
∂t
(1.20)
(1.21)
Le equazioni eliminate grazie all'introduzione dei potenziali elettromagnetici
sono diventate un'identità.
te.
Queste due equazioni dierenziali sono accoppia-
Per disaccoppiarle verrà introdotta una particolare simmetria del campo
elettromagnetico che discende dalle proprietà di questi potenziali.
CAPITOLO 1.
1.3
11
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
Le trasformazioni di gauge
I potenziali descritti godono di una certa arbitrarietà. Infatti, per come è stato
scritto il campo magnetico attraverso il potenziale vettore, ci si accorge che se
al potenziale vettore si aggiunge il gradiente di una qualsiasi funzione scalare
λ(r̄, t)
[2]
il campo magnetico risulta invariato
:
¯
Ā0 = Ā + ∇λ
(1.22)
¯ × Ā0 = ∇
¯ × Ā + ∇
¯ × ∇λ
¯
B̄ 0 = ∇
(1.23)
Se il campo è continuo nelle derivate seconde Il rotore del gradiente risulta nullo
per cui si ha dalla (1.23):
¯ × Ā0 = ∇
¯ × Ā = B̄
B̄ 0 = ∇
(1.24)
Al campo elettrico scritto nella (1.19) applichiamo la stessa trasformazione:
Ē 0 = −
¯
¯
∂ Ā0
¯ = − ∂ Ā − ∇φ
¯ − ∂ ∇λ = Ē − ∂ ∇λ
− ∇φ
∂t
∂t
∂t
∂t
Per ottenere quindi la stessa simmetria in modo che
Ē = Ē 0
(1.25)
bisogna implemen-
tare sul potenziale elettrico la seguente trasformazione:
¯
¯ → ∇φ
¯ 0 = ∇φ
¯ − ∂ ∇λ
∇φ
∂t
Queste non sono semplici trasformazioni ad hoc e prendono il nome di
zioni di gauge.
(1.26)
trasforma-
Un primo esempio è la gauge di Coulomb o gauge di radiazione
in cui risulta:
in termini di
¯ · Ā0 = 0
∇
(1.27)
¯ · Ā
∇ 2 λ = −∇
(1.28)
λ:
Con questa assunzione le due equazioni di Maxwell scritte in termini di potenziale scalare e potenziale vettore si semplicano come segue:
∇ 2 φ0 = −
∇2 Ā0 −
ρ
ε0
¯ 0
1 ∂ 2 Ā0
∂ ∇φ
−
= −µ0 j̄
c2 ∂t2
∂t
(1.29)
(1.30)
La (1.29) si chiama equazione di Poisson e ha come soluzione:
1
φ(r̄, t) =
4πεo
ˆ
Ω
ρ0 (r̄0 , t)
dV
|r̄ − r̄0 |
(1.31)
Per quanto riguarda il potenziale vettore la soluzione diventa più dicile. Occorre utilizzare la scomposizione del potenziale vettore in parte trasversale e
CAPITOLO 1.
12
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
longitudinale come fatto in precedenza per campo magnetico e campo elettrico.
La gauge di Coulomb risulta particolarmente utile per studiare l'elettrodinamica
dei campi e delle particelle. Per i nostri scopi risulta maggiormente importante
quella che viene chiamata gauge di Lorentz. Essa è una particolare scelta dei
potenziali del campo elettromagnetico che permette di disaccoppiare la (1.20)
dalla (1.21), ed inoltre ha la proprietà di essere invariante sotto trasformazioni
di Lorentz. La gauge di Lorentz è data da:
¯ · Ā + ∂φ = 0
∇
∂t
(1.32)
Questa scelta appare molto conveniente nella soluzione delle equazioni di Maxwell perchè permette di disaccoppiarle riconducendole entrambe all'equazione
non omogenea delle onde di D'Alembert per il potenziale scalare e il potenziale
vettore. Infatti dalla (1.32) possiamo ricavare:
¯ · Ā = − ∂φ
∇
∂t
(1.33)
Sostituendo nella (1.20) otteniamo:
1 ∂2φ
ρ
=−
2
2
c ∂t
ε0
∇2 φ −
(1.34)
Allo stesso modo sfruttiamo la condizione sulla (1.21) ottendendo:
∇2 Ā −
1 ∂ 2 Ā
= µ0 j̄
c2 ∂t2
(1.35)
Le due equazioni possono essere abbreviate introducendo l'operatore d'alambertiano:
@=
∂2
∂2
1 ∂2
1 ∂2
∂2
2
+
+
−
=
∇
−
∂x2
∂y 2
∂z 2
c2 ∂t2
c2 ∂t2
per cui:
φ = −
ρ
ε0
Ā = µ0 j̄
(1.36)
(1.37)
I campi in questione possono essere deniti anche senza le sorgenti che li generano in tal caso (1.36) e (1.37) diventano:
φ = 0
(1.38)
Ā = 0
(1.39)
Prima di procedere alla soluzione di queste equazioni alle derivate parziali vediamo che anche il campo elettrico e il campo magnetico soddisfano l'equazione
delle onde di D'Alembert. In assenza di sorgenti l'equazione (1.2) si scrive:
¯ × B̄ = − 1 ∂ Ē
∇
c2 ∂t
(1.40)
CAPITOLO 1.
13
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
Applicando l'operatore di rotore ad entrambi i membri e invertendo l'operazione
di derivazione rispetto al tempo di
ottiene:
Ē
con il rotore, e sostituendo la (1.3) si
2
¯ × (∇
¯ × B̄) = − 1 ∂ B̄
∇
c2 ∂t2
(1.41)
¯ × (∇
¯ × B̄) = ∇(
¯ ∇
¯ · B̄) − ∇2 B̄
∇
(1.42)
Ricordando che:
e la (1.4) ne consegue che:
in maniera analoga si giunge a:
1.4
B̄ = 0
(1.43)
Ē = 0
(1.44)
Soluzione dell'equazione delle onde e campo
elettromagnetico
Come esempio illustrativo scegliamo di risolvere l'equazione (1.39). Per farlo è
necessario utilizzare la trasformata di Fourier. A condizione che
Ā(r̄, t)
sia una
funzione a quadrato sommabile in tutto lo spazio, ossia:
ˆ
|Ā(r̄, t)|2 dV < ∞
(1.45)
Ω
esiste una funzione
f¯(k̄, t)
a quadrato sommabile tale che:
Ā(r̄, t) =
dove
f¯(k̄, t)
ˆ
1
f¯(k̄, t)eik̄·r̄ d3 k̄
2
(2π) 3
è detta trasformata di Fourier di
f¯(k̄, t) =
L'idea è di sostituire
Ā
(1.46)
ed è denita da:
ˆ
1
2
(2π) 3
Ā(r̄, t)e−ik̄·r̄ d3 r̄
(1.47)
Ā nell'equazione (1.39) con l'espressione destra della (1.46).
Potendo invertire l'operazione di derivazione con quella di integrazione (il dominio di integrazione non dipende dalle variabili su cui si deriva) si ottiene:
1 ik̄·r̄ ∂ 2 f¯(k̄, t) 3
e
]d
k̄
=
2
c2
∂t2
(2π) 3
ˆ
1
1 ∂ 2 f¯(k̄, t) ik̄·r̄ 3
2
¯
[f (k̄, t)(k̄ · k̄)(i) − 2
]e d k̄ = 0
2
c
∂t2
(2π) 3
1
ˆ
[f¯(k̄, t)∇2 eik̄·r̄ −
(1.48)
In generale anche se l'integrale è nullo non è certo che anche la funzione integranda sia identicamente nulla. Se essa è continua sul dominio di integrazione
CAPITOLO 1.
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
14
e se l'ugualgianza vale per ogni dominio di integrazione allora posso uguagliare
a zero la funzione integranda:
1 ∂ 2 f¯(k̄, t)
=0
f¯(k̄, t)(k̄ · k̄) + 2
c
∂t2
Eettuando la sostituzione
k 2 c2 = ω 2 ,
dove
k̄ · k̄
, otteniamo:
∂ 2 f¯(k̄, t)
+ ω 2 f¯(k̄, t) = 0
∂t2
(1.49)
Questa è l'espressione della (1.39) nel dominio del momento coniugato ad
, ossia
k̄ .
k̄
Il signicato sico di
verrà chiarito in seguito.
r̄
La funzione che
soddisfa l'equazione (1.49) è della forma:
f¯(k̄, t) = c̄1 (k̄)eiωt + c̄2 (k̄)e−iωt
(1.50)
Questa soluzione è rappresentata da una combinazione di esponenziali complessi,
essa è una funzione periodica e i vettori
c̄1 e c̄2
determinati a partire dalle condizioni iniziali.
pulsazione ovvero
ω = 2πν
dove
ν
, in generale complessi, sono
Il parametro
ω
rappresenta la
è la frequenza di oscillazione.
Tramite la
(1.46) è possibile riscrivere il potenziale vettore:
Ā(r̄, t) =
ˆ h
1
(2π)
2
3
i
¯
c̄1 (k̄)ei(ωt−k̄·r) + c̄2 (k̄)e−i(ωt+k̄·r̄) d3 k̄
Eettuando la trasformazione
Ā(r̄, t) =
ˆ h
1
(2π)
2
3
k̄ → −k̄
otteniamo:
i
c̄1 (−k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + c̄2 (−k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄
Denendo:
(1.51)
¯
c̄1 (−k̄) = ā(k)
¯
c̄2 (−k̄) = ā∗ (k)
(1.52)
(1.53)
(1.54)
la (1.52) assume la forma:
Ā(r̄, t) =
1
2
(2π) 3
ˆ h
i
¯ k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄
ā(k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + a∗(
(1.55)
Dall'ultima espressione si evince quindi che il potenziale vettore non è altro che
una sovrapposizione di onde piane di pulsazione
k̄ .
La condizione
¯ · Ā = 0
∇
ω
ampiezza
ā
e vettore d'onda
implica che le ampiezze sono perpendicolari alla
direzione di propagazione che coincide con il vettore d'onda
k̄ :
k̄ · ā(k̄) = 0
(1.56)
Onde che soddisfano questa condizione vengono chiamate 'trasversali'. Introduciamo i
versori di polarizzazione
deniti dalle seguenti relazioni:
ˆ1 (k̄) · ˆ2 (k̄) = ˆ1 (k̄) · k̄ = ˆ2 (k̄) · k̄ = 0
(1.57)
CAPITOLO 1.
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
ˆ1 (k̄) × ˆ2 (k̄) =
k̄
|k̄|
15
(1.58)
Con questa denizione risulta utile scrivere le ampiezze in termini dei versori di
polarizzazione:
ā = a1 ˆ1 + a2 ˆ2
(1.59)
e la (1.55) diventa :
Ā(r̄, t) =
2 ˆ
X
1
h
i
ˆi (k̄) ai (k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + a∗i (k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄
2
(2π) 3
(1.60)
i=1
Ricordando che anche il campo elettrico e il campo magnetico soddisfano la
stessa equazione in assenza di sorgenti, è possibile pervenire al medesimo risultato:
Ē(r̄, t) =
B̄(r̄, t) =
ˆ h
1
2
(2π) 3
1
(2π)
ˆ h
2
3
i
ε̄(k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + ε̄∗ (k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄
(1.61)
i
β̄(k̄)ei(k̄·r̄−ωt) + β̄ ∗ (k̄)e−i(k̄·r̄−ωt) d3 k̄
(1.62)
È importante sottolineare che le ampiezze delle onde di campo magnetico e
campo elettrico sono uguali, ossia
potenziale vettore,
¯ B̄
∇·
e
¯ Ē
∇·
|β̄| = |ε̄|.
In assenza di sorgenti, come per il
sono entrambi nulli per cui risultano essere onde
trasversali anche i campi elettrici e magnetici nel vuoto. Per questo valgono le
condizioni :
k̄ · ε̄ = 0
(1.63)
k̄ · β̄ = 0
(1.64)
k̄
β̄ = × ε̄
k
(1.65)
In g. 1 è mostrata una rappresentazione del campo elettromagnetico come
onde stazionarie con particolare attenzione alle condizioni (1.64), (1.65), (1.66).
g.1
È doveroso ricordare che l'esistenza delle onde elettromagnetiche era stata
teorizzata circa 22 anni prima essere dimostrata sperimentalmente da Hertz che
fu capace di misurarne la velocità. Prima di procedere alla trattazione quantistica con la quantizzazione del campo elettromagnetico è opportuno introdur-
Hamiltoniana
re l'
del campo elettromagnetico, in vista della sua importanza
(anche se in veste di operatore) in meccanica quantistica.
CAPITOLO 1.
1.5
16
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
Hamiltoniana del campo elettromagnetico
La funzione Hamiltoniana o semplicemente Hamiltoniana di un sistema sico è
denita come
H =T +V
(1.66)
dove T rappresenta l'energia cinetica e V l'energia potenziale. Risulta quindi
ovvio che l'Hamiltoniana di un sistema altro non è che l'energia totale associata
ad esso. Quando in una regione di spazio sono presenti sia campi magnetici che
campi elettrici non nulli allora l'energia totale risulta essere la somma dell'energia associata ai singoli campi. Pertanto è necessario scrivere l'energia associata
al campo elettrico e magnetico.
L'energia del campo elettrico creato da una
distribuzione discreta di cariche si ottiene calcolando il lavoro neccessario a portare ogni carica dall'innito alla posizione che occupa nella distribuzione
lavoro è:
Ue =
1X
qk Vk
2
[1]
, tale
(1.67)
k
dove
qk
rappresenta una carica del sistema e
Vk il
qk .
altre cariche nel punto in cui si trova la carica
distribuzioni continue di carica si avrà:
Ue =
1
2
potenziale generato dalle
Naturalmente nel caso di
ˆ
ρV dτ
(1.68)
Ω
Manipolando l'espressione tramite l'equazione (1.1) si ottiene:
ε0
Ue =
2
ˆ
¯ · Ē)dτ
V (∇
(1.69)
Ω
Utilizzando la relazione:
¯ · (ĒV ) = V (∇
¯ · Ē) + Ē · ∇V
¯
∇
(1.70)
la (1.69) può essere scritta nella seguente forma:
ε0
Ue =
2
Ricordando che
¯
Ē = −∇V
ˆ
¯ · (ĒV ) − Ē · ∇V
¯ ]dτ
[∇
(1.71)
Ω
l'espressione (1.71) assume la forma:
Ue =
ε0
2
ˆ
¯ · (ĒV ) + E 2 ]dτ
[∇
(1.72)
Ω
Applicando poi il teorema della divergenza:
ε0
Ue =
2
ˆ
[
∂Ω
ˆ
E dτ ]
2
(V Ē · n̂)dS] + [
(1.73)
Ω
Estendendo ora il dominio di integrazione a tutto lo spazio in cui il campo
elettrico sia apprezzabilmente diverso da zero, il primo dei due integrali diventa
trascurabile per cui l'energia associata al campo elettrico diventa:
CAPITOLO 1.
LA TEORIA DELL' ELETTROMAGNETISMO
ε0
Ue =
2
17
ˆ
E 2 dτ
(1.74)
Ω
L'espressione dell'energia associata al campo magnetico è analoga a quella del
campo elettrico e si scrive:
Ub =
1
2
ˆ
B 2 dτ
(1.75)
Ω
L'espressione dell'Hamiltoniana del campo magnetico sarà quindi:
H = Ue + Ub =
ε0
2
ˆ
(|E|2 + |cB|2 )dτ
(1.76)
Ω
Nel prossimo capitolo quando verrà quantizzato il campo elettromagnetico si
dimostrerà che questa Hamiltoniana corrisponde a quella di inniti oscillatori
armonici disaccoppiati.
Capitolo 2
Quantizzazione del campo
elettromagnetico
La meccanica quantistica nasce dall'esigenza di spiegare alcune evidenze sperimentali che contraddicevano la teoria classica dell'elettromagnetismo. Tali evidenze riguardavano l'interazione della radiazione elettomagnetica con la materia
o più precisamente la
radiazione di corpo nero.
Il corpo nero è un oggetto ideale introdotto dal sico Wein. Esso è capace
di assorbire la totalità della radiazione elettromagnetica incidente senza quindi
rietterla; in questo modo tutta l'energia associata alla radiazione incidente
viene assorbita e successivamente irradiata di nuovo.
La densità di energia
emessa in funzione della lunghezza d'onda della radiazione uscente risultava
essere sperimentalmente una curva con la caratteristica forma a campana avente
la temperatura come parametro (g.1). Questo risultato contraddiceva la teoria
di Maxwell che prevedeva un'intensità innita della radiazione emessa.
Fig.2: distribuzione dell'intensità della radiazione emessa in funzione della lunghezza d'onda. La curva di colore nero
rappresenta il risultato teorico ottenuto applicando le equazioni di Maxwell.
18
CAPITOLO 2.
19
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
Tale risultato teorico prese il nome di
catastrofe ultravioletta.
Per risolvere
questa discrepanza tra teoria ed esperimento Max Planck nel 1900 avanzò l'ipotesi che l'energia potesse essere scambiata solo in pacchetti discreti di energia
chiamati
quanti di energia, indistinguibili e quanticati dalla seguente formula:
E = hν
dove
mata
ν
rappresenta la frequenza della radiazione e
costante di Planck
pari a
h = 6, 626 · 10−34 J · s.
h
è una costante chia-
Planck riteneva la sua
intuizione un mero espediente matematico per far tornare i conti, ma questa
intuizione diede luogo alla nascita della meccanica quantistica. La maturazione
della meccanica quantistica non avviene però prima del 1926, anno in cui Erwin Schrodinger pubblica un articolo in cui spiega l'equazione cardinale della
meccanica quantistica: l'equazione di Schrodinger.
Successivamente il campo
elettromagnetico viene quantizzato e la sua formalizzazione matematica risulta
essere equivalente allo studio dell'oscillatore armonico quantistico.
2.1
Oscillatore armonico quantisico
[3]
Lo studio dell'oscillatore armonico quantistico può essere eettuato in due modi
•
Attraverso la risoluzione dell'equazione di Schrodinger per gli stati stazionari, poichè il potenziale non dipende dal tempo (metodo analitico).
•
Tramite l'introduzione degli operatori di creazione e distruzione (metodo
algebrico).
In questo caso specico verrà studiato utilizzando il secondo metodo, non solo
per via della sua semplicità ma anche per la sua rilevanza nel caso del campo
elettromagnetico.
L'oscillatore armonico classico è rappresentato dalla seguente Hamiltoniana:
H=
dove
q
1
p2
+ mω 2 q 2
2m 2
rappresentano le coordinate e
scillatore armonico e
ω
(2.1)
p i momenti coniugati, m è la massa dell'o-
è la pulsazione. In meccanica quantistica la forma del-
l'Hamiltoniana resta invariata ma diventa un operatore (in questa notazione gli
operatori sono contrassegnati dall'accento circonesso). Nella rappresentazione
delle coordinate:
¯ ; q → q̂
p̂ → −i~∇
Dalla (2.2) si vede che
p̂
operatore moltiplicativo.
è un operatore dierenziale mentre
(2.2)
q̂
è un semplice
Le relazioni di commutazione tra i due operatori,
posizione e momento, sono date da:
[q̂i , p̂j ] = i~δij
(2.3)
:
CAPITOLO 2.
20
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
Ed inoltre:
[p̂, p̂] = [q̂, q̂] = 0
L'operatore Hamiltoniano
dell'oscillatore armonico si scrive :
Ĥ = −
h2 2 1
∇ + mω 2 q̂ 2
2m
2
(2.4)
Per semplicità sarà risolto l'oscillatore armonico monodimensionale e quindi
isotropo, dunque l'Hamiltoniano è :
Ĥ = −
h2 d2
1
+ mω 2 x̂2
2m dx2
2
(2.5)
La forma dell'Hamiltoniano permette di introdurre due operatori tali che il loro
prodotto riproduca l'operatore Hamiltoniano a meno di un termine costante.
Tali operatori si chiamano
operatori di creazione e distruzione
e sono deniti
come segue:
1
[mωx̂ − ip̂]
2~mω
1
↠= √
[mωx̂ + ip̂]
2~mω
â = √
(2.6)
(2.7)
La relazione di commutazione tra i due operatori è (dalla (2.3)):
[â, ↠] = 1
(2.8)
Ed inoltre:
[â, â] = [↠, ↠] = 0
Il prodotto di operatori in generale non è commutativo
â↠=
1
(m2 ω 2 x̂2 + p2 + mωi[x̂, p̂])
2~mω
(2.9)
↠â =
1
(m2 ω 2 x̂2 + p2 − mωi[x̂, p̂])
2~mω
(2.10)
Ricordando la relazione di commutazione tra la posizione e il momento coniugato
e individuando l'Hamiltoniano del sistema, la (2.8) e la (2.9) diventano
â↠=
Ĥ
1
−
~ω 2
(2.11)
↠â =
Ĥ
1
+
~ω 2
(2.12)
È possibile quindi scrivere l'Hamiltoniano e di conseguenza la posizione e il
momento tramite gli operatori di creazione e distruzione:
1
Ĥ = ~ω(â↠+ )
2
(2.13)
CAPITOLO 2.
r
x̂ =
r
p̂ = i
Introducendo
21
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
~
(â + ↠)
2mω
(2.14)
m~ω †
(â − â)
2
(2.15)
l'operatore numero â↠= N̂
si scrive l'equazione di Schrodinger
per gli stati stazionari utilizzando l'Hamiltoniano scritto nella (2.12):
1
Ĥ |ψn i = En |ψn i = [~ω(N̂ + )] |ψn i
2
Poichè l'operatore
N̂
(2.16)
soddisfa l'equazione
N̂ |ψn i = n |ψn i
(2.17)
troviamo che lo spettro energetico dell'oscillatore armonico è :
1
En = ~ω(n + )
2
n = 0, 1, 2, .......
(2.18)
La ragione per cui vengono chiamati operatori di creazione e
distruzione risiede nel fatto che in seguito all'applicazione di uno di essi ad uno
stato n-esimo dell'oscillatore armonico l'energia risulta aumentata o diminuita
di un
quanto
a seconda dell'operatore applicato
[3]
:
Ĥ(â|ψn >) = (En + ~ω)â|ψn >
(2.19)
Ĥ(↠|ψn >) = (En − ~ω)↠|ψn >
(2.20)
Applicando m volte l'operatore
â†
allo stato n-esimo si ha:
(↠)m |ψn >→ (En − m~ω)|ψn >
(2.21)
Se m è molto grande si arriverà ad un' energia minore del minimo del potenziale,
questo non sarebbe possibile. Si può sfruttare però questa condizione per trovare
le autofunzioni dell' oscillatore armonico, immaginando di applicare
↠allo stato
fondamentale ottenendo zero:
↠|ψ0 >= 0
Ricordando la denizione di
â†
(2.22)
(equazione (2.6)) :
mωx̂ψ0 + ~
d
ψ0 = 0
dx
(2.23)
Questa è un'equazione dierenziale lineare del primo ordine a coecienti non
costanti con soluzione:
ψ0 = Ae−
mωx2
2~
(2.24)
CAPITOLO 2.
22
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
e costante di normalizzazione:
A=(
mω 1
)4
π~
(2.25)
Per ottenere gli autostati successivi basta far agire l'operatore di creazione,
anche se bisogna tener conto che non si ottiene direttamente lo stato successivo
ma uno stato proporzionale ad esso con costante di proporzionalità da trovare
con la condizione di normalizzazione :
hψn |ψn i = 1
(2.26)
Questi sono gli aspetti rilevanti che verranno poi ripresi nella trattazione del
campo elettromagnetico.
Si dimostrerà che l'Hamiltoniana (e quindi il corri-
spondente operatore hamiltoniano) del campo elettromagnetico corrisponde a
quella di inniti oscillatori armonici disaccoppiati.
2.2
La quantizzazione del campo elettromagnetico
Come accennato nel primo capitolo le varie trasformazioni di gauge risultano
utili per semplicare i calcoli. Riprendiamo l'equazione delle onde per il potenziale vettore ottenuta mediante le equazioni di Maxwell in assenza di sorgenti
¯
utilizzando la gauge di Coulomb (∇
· Ā = 0 ; φ = 0)
∇2 Ā −
:
1 ∂ 2 Ā
=0
c2 ∂t2
(2.27)
Per quantizzare il campo risulta utile risolvere nuovamente l'equazione appena
scritta con una particolare condizione al contorno:
Ā(r̄, t) = Ā(r̄ + ¯l, t)
(2.28)
Questa condizione di periodicità corrisponde al fatto che il campo è contenuto
|¯l|. La ragione di questa condizione al conĀ è espresso in funzione di un set di variabili
in uno spazio cubico limitato di lato
torno risiede nel fatto che il campo
continue e questo può creare qualche problema quando si passa alla rappresentazione delle variabili come operatori nello spazio di Hilbert.
esprime
Ā
Così facendo si
in termini di innite variabili discrete. Per risolvere la (2.27) si uti-
lizza il metodo della separazione delle variabili: il potenziale vettore si scrive
come il prodotto di due funzioni, una funzione dipendente esclusivamente dalla
variabile
r̄ e l'altra funzione dipendente esclusivamente dalla variabile temporale
t:
Aj (r̄, t) = ξj (r̄)ψ(t)
(2.29)
Sostituendo questa espressione nella (2.27) si ottiene:
ψ(t)
3 2
X
∂ ξj (r̄)
i=1
∂x2i
=
ξj (r̄) d2 ψ(t)
c2
dt2
(2.30)
CAPITOLO 2.
23
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
dividendo contemporaneamente la (2.30) per
ξJ ψ
si trova che la parte tempo-
rale e quella spaziale sono uguali. L'unico modo anchè questo accada e che
entrambi i membri siano uguali ad una costante chiamata
3
1 X
ξj (r̄) i=1
∂ 2 ξj (r̄)
∂x2i
=
3 2
X
∂ ξj (r̄)
∂x2i
i=1
1
c2 ψ(t)
−k 2
d2 ψ(t)
⇒
dt2
(2.31)
= −k 2 ξj
1 d2 ψ(t)
= −c2 k 2
ψ(t) dt2
La funzione che risolve l'ultima delle equazioni scritte e che determina la parte
temporale del potenziale vettore è:
ψ(t) = αk (0)e±iωk t
dove è stato posto
c2 k 2 = ωk2 .
(2.32)
L'equazione che determina la parte spaziale
dell'onda invece è chiamata equazione di
Helmholtz
ed ammette come soluzione:
¯ = β̄e∓ik̄·r̄
ξ(r̄)
In generale
β̄
è complesso.
(2.33)
Ora bisogna utilizzare la condizione di gauge e le
condizioni al contorno che riguardano la parte spaziale e che si ricordano essere:
¯ · Ā = 0
∇
(2.34)
Ā(r̄, t) = Ā(r̄ + ¯l, t)
(2.35)
La prima è la condizione di trasversalità delle onde e la seconda riguarda il
fatto che si considera il campo contenuto in un volumetto cubico di lato
Combinando le due condizioni per
r̄ = 0
|¯l|.
otteniamo per componenti:
3
3
X
X
dξj
dξj
cxj =0 =
cxj =lj = 0
dx
dx
j
j
j=1
j=1
(2.36)
j = 1, 2, 3.
Esplicitando l'esponenziale in termini di seno e coseno:
β̄e∓ik̄·r̄ = ācos(k̄ · r̄) ∓ ib̄sin(k̄ · r̄)
(2.37)
nella quale la condizione (2.36) porta a:
bj = 0; sin(
3
X
j=1
kj lj ) = 0
(2.38)
CAPITOLO 2.
24
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
da cui:
kj = nj
π
lj
(2.39)
nj = ±1, ±2, ±3, ......
Ciò che si evince è che il vettore d'onda non è più una variabile continua. Una
condizione importante oltre a quella di trasversalità è la condizione di normalizzazione: la probabilità di trovare le onde all'interno del cubo è pari a uno.
Questa condizione si esprime attraverso la formula:
ˆ
¯ 2 dτ = 1
|ξ(r̄)|
(2.40)
V
in un volume
V = l3
1
, ne consegue che la costante di normalizzazione √
V
trasforma la (2.33) in:
1
ξ¯λ (r̄) = √ ˆλ e∓ik̄·r̄
V
dove
ˆλ rappresenta
(2.41)
il versore polarizzazione ossia una delle due possibili pola-
rizzazioni del campo. Pertanto per ogni ssato
k̄
si ha:
1
ξ¯kλ (r̄) = √ ˆkλ e∓ik̄·r̄
V
(2.42)
k̄ · ˆkλ = 0
(2.43)
ˆkλ · ˆkλ0 = δλλ0
(2.44)
con le relazioni:
Ovviamente, per la linearità delle equazioni di Maxwell, una combinazione delle
onde con diverso momento è ancora una soluzione dell'equazione delle onde:
Ā(r̄, t) =
X
[ψk (t)ξ¯kλ (r̄) + ψk∗ (t)ξ¯kλ ∗ (r̄)] =
k̄λ
1 X
=√
[αk e−i(ωk t−k̄·r̄) + αk∗ ei(ωk t−k̄·r̄) ]ˆ
kλ =
V kλ
1 X
=√
[ψk (t)ei(k̄·r̄) + ψk∗ (t)e−i(k̄·r̄) ]ˆ
kλ
V kλ
con:
k̄ = (
nx π ny π nz π
,
,
)
lx
ly
lz
(2.45)
(2.46)
nx,y,z = 0, ±1, ±2, ........
Ricordando le relazioni che intercorrono tra potenziale vettore, campo elettrico
e campo magnetico è possibile trovare quindi
Ē(r̄, t) = −
B̄
ed
Ē :
∂ Ā
i X
=√
ωk [αk (t)ei(k̄·r̄) − αk∗ (t)e−i(k̄·r̄) ]ˆ
kλ
∂t
V kλ
(2.47)
CAPITOLO 2.
25
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
X
¯ × Ā = √i
B̄(r̄, t) = ∇
[αk (t)ei(k̄·r̄) − αk∗ (t)e−i(k̄·r̄) ]β̂kλ
V kλ
(2.48)
con:
β̂ = k̄ × ˆ
Una volta ottenuta l'espressione dei campi, è possibile scrivere la funzione
Hamiltoniana ricavandola dalla formula scritta nel primo capitolo:
H=
ε0
2
ˆ
(|E|2 + |cB|2 )dτ =
V
X k2
2
kλ
|αk (t)|2
(2.49)
dove V è il volume del cubo in cui è contenuto il campo. A questo punto non
resta altro che dimostrare che questa Hamiltoniana è equivalente a quella di
inniti oscillatori armonici disaccoppiati. Per far ciò introduciamo le seguenti
quantità:
1
[αk (t) + αk∗ (t)]
c2
ik
pkλ (t) = 2 [αk∗ (t) − αk (t)]
c
per ωk e sommando i quadrati
qkλ (t) =
moltiplicando la (2.50)
otteniamo:
(2.50)
(2.51)
della (2.50) e della (2.51)
1 2
k2
(pkλ + ωk2 qkλ ) =
|αk (t)|2
2
2
(2.52)
da cui possiamo concludere che:
H=
1X 2
(pkλ + ωk2 qkλ )
2
(2.53)
kλ
che corrisponde all'Hamiltoniana di un sistema formato da un insieme discreto
di oscillatori armonici, ciascuno con pulsazione
ωk .
Il processo di quantizzazione
avviene partendo dall' Hamiltoniana scritta nella (2.53) sostituendo le variabili
pkλ e qkλ con
i rispettivi operatori quantistici. Al pari della trattazione vista per
l'oscillatore armonico si introducono gli operatori di creazione e distruzione. Per
le equazioni (2.50) e (2.51) è evidente che tali operatori saranno la trasposizione
quantistica delle ampiezze classiche nel seguente modo:
s
αk −→
s
αk†
−→
2π~c2
âkλ
ωk
(2.54)
2π~c2 †
â
ωk kλ
(2.55)
Analogamente a quanto visto per l'oscillatore armonico, gli operatori posizione
e impulso possono essere scritti in termini dei due operatori (2.54) e (2.55). La
CAPITOLO 2.
26
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
dierenza sostanziale è che in questo caso non abbiamo un solo oscillatore armonico ma un insieme discreto, ciascuno con un momento
ciascun operatore). Gli operatori
âkλ
e
â†kλ
k
(per ogni
k
abbiamo
sono deniti dalle (2.6) e (2.7) con
la dierenza che ora sono deniti da due indici che trasformano la relazione di
commutazione in:
mentre
3
[âkλ (t), â†k0 λ0 (t)] = δkk
0 δλλ0
(2.56)
[âkλ (t), âk0 λ0 (t)] = [â†kλ (t), â†k0 λ0 (t)] = 0
(2.57)
Sostituendo il tutto all'interno dell'espressione del potenziale vettore si ottiene:
r
Ā(r̄, t) =
2π~c2 X 1
[âkλ (t)ei(k̄·r̄) + â†kλ (t)e−i(k̄·r̄) ]¯
kλ
V
ωk
(2.58)
kλ
Da cui si ricavano inne i campi elettrico e magnetico quantizzati:
r
2π~c2 X
iωk [âkλ (t)ei(k̄·r̄) + â†kλ (t)e−i(k̄·r̄) ]¯
kλ
V
(2.59)
2π~c2 X i
[âkλ (t)ei(k̄·r̄) + â†kλ (t)e−i(k̄·r̄) ](k̄ × ¯kλ )
V
ωk
(2.60)
Ē(r̄, t) =
kλ
r
B̄(r̄, t) =
kλ
È ora evidente la somiglianza tra l'oscillatore armonico quantistico e il campo elettromagnetico quantizzato. In questo schema di quantizzazione il quanto
associato al campo elettromagnetico è chiamato fotone, e gioca un ruolo fondamentale nella descrizione delle interazioni tra particelle cariche in ellettrodinamica quantistica. Ricordiamo che tutti i calcoli sono stati eettuati supponendo
di essere nel vuoto. L' energia del campo elettromagnetico nel vuoto può essere
scritta (in analogia con la (2.13)) nel seguente modo:
Ĥ =
X
kλ
1
~ω(â†kλ âkλ + )
2
(2.61)
Si denisce l'operatore numero:
Nˆkλ = â†kλ âkλ
(2.62)
che soddisfa l'equazione agli autovalori:
Nˆkλ ψnkλ = nkλ ψnkλ
nkλ rappresenta il numero di fotoni aventi un determinato momento
λ. Con questa premessa il numero di fotoni totale del sistema
da:
X
nkλ
(2.64)
L'autovalore
k̄
e polarizzazione
sarà dato
(2.63)
kλ
CAPITOLO 2.
QUANTIZZAZIONE DEL C.E.
27
Ad ogni modo normale è associato uno spettro energetico. Esso ha la medesima
espressione dello spettro energetico dell'oscillatore armonico ossia:
1
Enkλ = ~ωk (nkλ + )
2
(2.65)
nkλ = 0, 1, 2, 3, .......
Poichè l'Hamiltoniana può essere scritta come somma delle Hamiltoniane
dei singoli oscillatori, l'energia totale sarà data dalla somma sui momenti e sulle
possibili polarizzazioni del campo
En =
Enkλ dato
X
kλ
nella (2.65) ossia:
1
~ωk (nkλ + )
2
(2.66)
Questo è il risultato a cui si voleva pervenire: la (2.66) racchiude in se le profonde
dierenze con la teoria classica. Una prima sostanziale dierenza è che al campo
elettromagnetico non si può associare qualsiasi valore dell'energia (tale proprietà
è sempre presente nei sistemi quantistici).
La cosa più rilevante è che se per
ogni modo normale non si avesse nessun fotone l'energia non sarebbe nulla ma
sarebbe:
E0 =
X1
k
Questa energia prende il nome di
2
~ωk
energia di punto zero o del vuoto.
(2.67)
Una pos-
sibile spiegazione di questa energia risiede nella creazione e annichilazione di
particelle virtuali, ossia una creazione di coppia particella - antiparticella che si
annichilano quasi istantaneamente. In realtà l'esistenza di un'energia del vuoto
è strettamente legata al
principio di indeterminzaione di Heisenberg.
Tale prin-
cipio aerma che il prodotto delle incertezze su una misura simultanea (ossia
nello stesso stato) di quantità di moto e posizione lungo lo stesso asse non sarà
mai minore di una certa quantità costante ovvero:
4p4x ≥
~
2
(2.68)
Tale principio è enunciabile anche per le variabili incompatibili energia e tempo:
4E4t ≥
~
2
(2.69)
L'esistenza dell'energia di punto zero quindi è coerente con uno dei principi più
importanti della meccanica quantistica.
Sarà l'energia del vuoto il punto di
partenza per la descrizione di una delle sue conseguenze ossia l'eetto Casimir.
Capitolo 3
Eetto Casimir
Poichè la meccanica quantistica è utilizzata per descrivere sistemi microscopici
la maggior parte delle novità apportate da questa teoria si manifestano su queste scale. Tuttavia in alcuni casi gli eetti quantistici sono osservabili anche su
scala macroscopica. L'eetto Casimir rappresenta uno di questi casi. Come già
accennato tale fenomeno prende il nome da Hendrik Casimir che lo studiò nel
1947. Egli descrisse inizialmente il fenomeno di attrazione tra due piastre parallele nel vuoto attraverso la forza di dispersione di London, ossia un particolare
tipo di forza di Van Der Waals che si genera tra molecole o atomi neutri posti a
distanza di pochi nanometri in seguito alla formazione di multipoli istantanei,
senza quindi fare riferimento all'energia di punto zero.
Solo successivamente
attribuì la sua origine alle uttuazioni quantistiche descritte nel precedente capitolo.
In eetti il motivo dell'esistenza delle forze di Van Der Waals risiede
proprio nella presenza delle uttuazioni quantistiche del campo elettromagnetico. In questo capitolo sarà ricavata l'espressione della forza di Casimir che si
sviluppa tra due piastre parallele nel vuoto. A tale scopo giocheranno un ruolo
cruciale le condizioni al contorno che i campi devono soddisfare per eetto della
presenza di piatti che determinano la congurazione del sistema (questo è un
primo esempio di teoria quantistica dei campi con condizioni al contorno non
banali). Successivamente, dierenziando l'energia associata al vuoto, si giungerà
all'espressione della forza di Casimir.
3.1
Modi di oscillazione del campo tra due armature parallele
Si è visto come nel vuoto il campo elettromagnetico sia rappresentato da una sovrapposizione di onde piane espresse matematicamente dalle equazioni (2.59) e
(2.60). Per poter determinare come variano le condizioni al contorno aggiungendo le armature si prende in considerazione un sistema di assi cartesiani in modo
che una prima armatura sia contenuta all'interno del piano
28
x−y
con
z = 0,
CAPITOLO 3.
29
EFFETTO CASIMIR
mentre la seconda armatura è posta a distanza L dalla prima ed è perfettamente
parallela ad essa (gura 3).
g.3
armature perfettamente parallele a distanza L l'una dall'altra.
Sia
n̂ il
versore normale alle lastre. Le condizioni al contorno che si vogliono
implementare sono le seguenti:
n̂ × Ē|z=0 = 0
(3.1)
n̂ · B̄|z=0 = 0
(3.2)
La prima delle due equazioni esprime la condizione secondo cui la combinazione
di onde piane del campo elettrico abbia un nodo quando
z = 0,
ossia il campo
elettrico è parallelo al versore normale alla prima placca. La seconda condizione
esprime il fatto che il campo magnetico sia perpendicolare al versore normale
alla prima armatura. In sintesi le due condizioni esprimono il fatto che ci sia un
nodo d'onda sul piatto posto nel piano
x−y
con
z = 0.
Occorre ora trovare i
modi di oscillazione del campo. È importante ricordare che per un dato vettore
d'onda
k̄
l'onda piana associata al campo elettrico è della forma:
Ēk = ˆ1,2 ei(k̄·r̄−ωt)
(3.3)
CAPITOLO 3.
con i versori polarizzazione
(kx , ky , kz ).
30
EFFETTO CASIMIR
ˆ1
e
ˆ2
perpendicolari al vettore d'onda, con
k̄ ≡
Per la condizione (3.1) l'onda piana può trovarsi in combinazione
solamente con un'onda che ha un vettore d'onda
k̄ 0 ≡ (kx , ky , −kz )
nel seguente
[10]
modo
:
Ēk = ˆ1,2 ei(kx x+ky y+kz z−ωt) − ei(kx x+ky y−kz z−ωt)
(3.4)
che a sua volta è uguale a:
Ēk = 2iˆ
1,2 sin(kz z)ei(kx x+ky y−ωt)
(3.5)
Pertanto una possibile base per i modi di oscillazione è rappresentata da
Ē = ˆ1,2 sin(kz z)ei(kx x+ky y−ωt)
Occorre adesso considerare le condizioni per la piastra posizionata in
(sempre contenuta nel piano
(3.6)
z = L
x − y)
n̂ × Ē|z=L = 0
(3.7)
n̂ · B̄|z=L = 0
(3.8)
Ricordando che il vettore d'onda
k̄
è quantizzato, ovvero può assumere solo
valori discreti come specicato nell'equazione (2.46), in questo caso il campo
elettrico è dato da
Ē = ˆ1,2 sin(
con
n≥1
3.2
e
nπ
z)ei(kx x+ky y−ωt)
L
(3.9)
0 < z < L.
Energia e forza di Casimir
Abbiamo precedentemente visto che l'energia associata al vuoto è data dalla
somma delle singole energie di ogni fotone con assegnato modo di oscillazione.
Tale energia di punto zero è detta anche energia di Casimir, in virtù della sua
importanza verrà riscritta:
ECasimir =
X1
i
2
~ωi
(3.10)
Il problema di questa energia è che in generale è una serie innita e diverge.
Tale problema viene risolto ricorrendo ad una teoria di sica teorica moderna:
'la teoria di rinormalizzazione'.
Secondo questa teoria alcune divergenze che
emergono dal calcolo delle grandezze siche, in questo caso l'energia di Casimir,
possono essere eliminate con opportune tecniche di regolarizzazione (entrare
nel merito dei calcoli di questa teoria risulta complicato e non rientra nello
scopo di questa tesi).
Una possibilità per rendere nita l'energia di Casimir
consiste nel considerare la dierenza tra l'energia in assenza dei piatti (L
→ ∞)
CAPITOLO 3.
31
EFFETTO CASIMIR
e l'energia in presenza dei piatti (L nito), questo è un primo esempio semplice
di regolarizzazione.
Per il campo libero, la somma sui modi di oscillazione corrisponde ad un
integrale su tutti i possibili vettori d'onda
polarizzazione
1,2
k̄
e sommando sui due vettori di
si ottiene:
ˆ
dk̄ X ωk
2π 2
ECasimir = V
(3.11)
1,2
La costante
~
è stata posta uguale a uno.
k.
ad una sola dimensione nello spazio
d
arbitrario di dimensioni
Questo integrale è quello inerente
Riscriviamo l'integrale per un numero
(la trattazione in d dimensioni viene utilizzata per
[8]
semplicare il processo di regolarizzazione)
ˆ
ECasimir = V
:
dd k X ωk
(2π)d 2
(3.12)
1,2
ωk
2 è indipendente dalla polarizzazione per cui (nel caso di campi non
interagenti) la somma corrispondente da semplicemente un fattore 2. Un altro
Il termine
fattore 2 proviene dal fatto che nella (1.52) può essere espresso l'esponenziale
kz di k è discreta
π
dkz = L
. Pertanto
in termini di seno e coseno. Tra le due piastre la componente
nπ
L dove L è la distanza tra le due lastre) per cui
[10]
l'integrale diventa
:
(
kz =
ˆ
ECasimir = 4V
∞
dd−1 k X ωk
(2π)d−1 n=1 4L
(3.13)
Il rapporto tra il volume e la distanza tra le armature è uguale alla supercie
delle due armature (A
=
V
L ). Esplicitando
ˆ
ECasimir = A
ωk
si ottiene:
∞
dd−1 k X
(2π)d−1 n=1
r
n2 π 2
+ k2
L2
(3.14)
A questo punto la risoluzione dell'integrale viene eettuata ricorrendo ad una
rappresentazione della radice quadrata tramite integrale del tipo :
r
n2 π 2
+ k2 =
L2
ˆ∞
0
2
dt − 1 −t(k2 + m2 +π
) 1
L2
t 2e
t
Γ( 21 )
(3.15)
Senza entrare nel merito del calcolo matematico, l'energia di Casimir (ottenuta
[9]
dalla dierenza della (3.12) e (3.14)) assume la seguente espressione
ECasimir = −
dove
2A
2d+1 π
d+1
2
Ld
Γ(
d+1
)ζ(d + 1)
2
Γè la funzione gamma di Eulero [appendice I] e ζ
(3.16)
è la funzione di Riemann
[appendice II]. Tale energia in uno spazio di dimensione tre (d
forma:
:
= 3)
assume la
CAPITOLO 3.
32
EFFETTO CASIMIR
ECasimir = −
Aπ 2
720L3
(3.17)
Il passaggio dall'energia alla forza di Casimir è immediato e si ottiene semplicemente derivando rispetto alla distanza tra le due lastre:
FCasimir = −
dEc
A~cπ 2
=−
dL
240L4
(3.18)
Quest ultimo passaggio risulta essere il più semplice dei tre eettuati per giungere alla forza di Casimir. In generale non è aatto semplice data la geometria
degli oggetti in gioco calcolare i modi normali di oscillazione. Inoltre le divergenze che emergono dalla somma su tutti i singoli modi di oscillazione non sono
in generale facilmente trattabili. Dall' espressione di questa forza risulta che è
molto sensibile alla distanza tra le due lastre ed ha una forma simile alle altre forze intermolecolari quale la forza di Van der Waals, forza di Debye ecc...
Notiamo che la presenza della costante di Planck rende la forza di Casimir un
fenomeno puramente quantistico. Nel limite in cui
~
possa essere considerata
nulla (sistemi macroscopici) la forza di Casimir tende a zero.
Capitolo 4
Veriche sperimentali
dell'eetto Casimir
Vericare l'eetto Casimir e soprattutto vericare l'espressione della forza di
Casimir non è stato semplice.
Sebbene non si possa parlare di esperimenti
negativi (ovvero non contraddicevano la teoria del sico olandese ), i primi
esperimenti non riuscivano a dare una precisione tale da ergersi a prova eettiva
dell'esistenza di energia di punto zero.
Il problema principale era la geometria del sistema adottata da Casimir nei
suoi calcoli teorici.
Essa infatti era relativamente semplice sia nel calcolo dei
modi normali di oscillazione del campo sia nel caso di calcolo dell'energia di
Casimir. Tuttavia non fu aatto semplice mettere in pratica la condizione di
parallelismo tra le due lastre per evidenti limiti tecnologici. Il primo team che
si cimentò nella verica sperimentale dell'eetto Casimir fu quello del sico
olandese Marcus Sparnaay circa 11 anni dopo la pubblicazione del lavoro di
Casimir.
La scelta eettuata da Sparnaay fu quella di adottare la stessa geometria con
cui Casimir condusse i suoi calcoli a livello teorico, ovvero due piatti conduttori
perfettamente paralleli.
L'esperimento rivelò l'esistenza di una forza attratti-
va ma l'apparato sperimentale produsse evidenti errori e l'incertezza sui dati
[4]
sperimentali ( un'incertezza del 100%)
evidenziò la dicolta sia di rendere
perfettamente paralleli gli oggetti in gioco sia di raggiungere una condizione di
vuoto spinto.
La dicoltà di riprodurre l'apparato sperimentale per i due piastri paralleli
suggerì di modicare la geometria degli oggetti. Al posto delle due lastre parallele risultò più semplice per Blokland e Oveerbeek nel 1978 ( circa 20 dopo
l'esperimento di Sparnaay) eettuare l'esperimento utilizzando come conduttori
una sfera e una lastra. Seppur la condizione di parallelismo risultò più semplicemente attuabile, non fu immediato riadattare i calcoli di Casimir nel suddetto
caso. L'esperimento ebbe un certo successo: si riuscì a ridurre l'incertezza delle
veriche precedenti, tuttavia tale incertezza era sempre consistente e stimata di
33
CAPITOLO 4.
34
VERIFICHE SPERIMENTALI
circa il 25%. Solo circa 50 anni dopo, nel 1997, l'eetto Casimir fu dimostrato
sperimentalmente con un' incertezza tale da confermare le predizioni teoriche.
Fu Steven Lamoreaux che guidò l'esperimento nell'università di Washington, a
Seattle.
4.1
Esperimento condotto da Lamoreaux (1997)
La scelta eettuata per condurre l'esperimento fu quella di misurare (come nel
caso di Blokland e Oveerbeek) la forza attrattiva tra una sfera e una lastra.
In tal caso la forza da misurare era ben diversa da quella avente l'espressione
della forza di Casimir ( ovvero l'equazione 3.18). Tale congurazione comporta una correzione dovuta all'attrazione coulombiana chiamata
Approximation.
FCasimir =
Dove
d
R
Proximity Force
L'espressione della forza di Casimir assume la forma
π 3 ~cR
360d3
[5]
:
(4.1)
è il raggio della sfera che deve essere molto maggiore della distanza
tra i due oggetti in gioco. La lastra doveva essere in ottima approsimazione
piana (infatti misurava in spessore circa
0, 5
2, 54 cm),
4 cm. Il materiale scelto per gli
SiO2 ) più comunemente noto come
cm mentre in larghezza
mentre la sfera fu scelta di un diametro di
oggetti in gioco fu il diossido di silicio (
quarzo.
Apparato sperimentale
L'apparato per eseguire l'esperimento era costituito oltre che dalla lastra e dalla
sfera di quarzo anche da un sistema elettromeccanico basato su un pendolo
di torsione sul cui braccio venne posizionata la lastra.
Per quanto riguarda
la sfera, essa venne posizionata su un preciso sistema di microposizionamento
che modicava con accuratezza la distanza tra la sfera e la lastra. Ai lati del
pendolo vennero poste due piastre conduttrici che formavano un condensatore.
Con tale espediente si riuscì a superare il problema di mantenere sso l'angolo
del pendolo poichè nel momento in cui questo variava, veniva modicata anche
la capacità del 'condensatore' e di conseguenza la posizione del pendolo veniva
ricalibrata applicando alle armature una tensione correttiva
[5]
.
CAPITOLO 4.
35
VERIFICHE SPERIMENTALI
g 4. Rappresentazione schematica dell'apparato di Lamoreaux
Principali dicoltà
Una delle dicoltà dell'esperimento era rappresentata dall'eliminazione di tutte
quelle forze elettrostatiche aggiuntive che interferivano con la forza di Casimir.
Una di queste forze era quella generata dal potenziale elettrostatico presente tra
i due conduttori adoperati per correggere le variazioni dell'angolo del pendolo
di torsione. Tale tensione era dell' ordine di qualche centinaio di mV e si tentò
di eliminarlo applicando una tensione esterna.
Tuttavia il potenziale non fu
eliminato del tutto ma fu ridotto al minimo possibile, tanto piccolo da essere
considerato trascurabile.
Svolgimento e risultati
In primis vennero eliminati gli eetti dovuti alle particelle d'aria che fu rarefatta
raggiungendo una pressione di
10−2 P a.
Tramite sistema piezoelettrico veniva
modicata molto lentamente ( variando di una innitesima quantità ) la distanza
tra la sfera e la lastra e tramite la forza necessaria a mantenere sso l'angolo del
pendolo (forza misurata in funzione della tensione applicata ai compensatori)
fu misurata la forza di Casimir. Il range della distanza investigato fu da 0,6
µm
a 6µm e ogni misura fu aetta da un'incertezza del 5% che nel range osservato
signicava 0,01µm. Tuttavia Lamoreaux non vericò direttamente le deviazioni
dal calcolo ideale che adoperava conduttori di conducibilità innita al contrario
del caso reale.
CAPITOLO 4.
4.2
36
VERIFICHE SPERIMENTALI
Esperimento di Mohideen e Roy (1998)
Nel 1986 venne inventato il microscopio a forza atomica, uno strumento di indagine che utilizza come principio proprio la forza di Van Der Waals. Fu questo
lo strumento principale adoperato per eettuare l'esperimento del 1998 a Riverside da parte di Mohideen e Roy. Il microscopio a forza atomica consiste di
una microleva alla cui estremità è montata una punta acuminata, tipicamente composta di silicio o nitruro di silicio, che presenta un raggio di curvatura
dell'ordine dei nanometri. La punta investigatrice viene collocata nelle strette
vicinanze della supercie del campione di cui si vuole eettuare la scansione.
La Forza di van der Waals che agisce tra la punta ed il campione provoca una
deessione della microleva (la cui costante elastica è nota), in accordo con la
legge di Hooke. La deessione della leva viene misurata utilizzando un punto
[6]
laser riesso dalla sommità della microleva verso una matrice di fotodiodi
.
g.5 schema del microscopio a forza atomica.
Ancora una volta venne modicata la geometria degli oggetti e si scelse di
misurare la forza di Casimir tra una sfera e un disco. La sfera fu scelta con un
diametro di
196µm
e il materiale scelto fu il polistirene mentre il disco fu scelto
di zaro e avente un diametro di 1,25 cm.
Apparato sperimentale
Come nell'esperimento precedente veniva applicata una tensione esterna per eliminare quasi totalmente la tensione presente tra i due conduttori. La sfera fu
posizionata sulla punta della microleva del microscopio a forza atomica . Poichè
bisognava far incidere i laser sulla sfera questa fu ricoperta di alluminio per
garantire una peretta riessione. La temperatura alla quale fu svolto l'esperi◦
mento era di 20C e la pressione dello stesso ordine di grandezza dell'esperimento
precedente
[6]
.
CAPITOLO 4.
37
VERIFICHE SPERIMENTALI
g.6 Schema dell'apparato sperimentale utilizzato da Mohideen e Roy nel 1998.
Svolgimento e risultati
L'esperimento venne eettuato facendo incidere un fascio laser sulla sfera (g.6).
Il fascio, raccolto da due fotodiodi, provocava una deessione della microleva su
cui era appoggiata la sfera e questo faceva deettere il fascio laser modicandone la ricezione da parte dei due fotodiodi. Grazie alla deessione del laser era
possibile calcolare quindi le variazioni della forza tra i due conduttori semplicemente utilizzando la legge di Hooke ovvero
F̄ = kδ¯l dove δ ¯l era
la deessione
della microleva e k la costante elasitca del materiale utilizzato nella costruzione
del microscopio.Ad ogni misura la sfera e il disco vennero avvicinati di 3,6µm. I
fattori di disturbo quali conducibilità nita e temperatura nita furono stimati
ed eliminati raggiungendo un'accuratezza del 1% e il range di distanze degli
oggetti in gioco alla quale misurarono la forza di Casimir era compreso tra 0,1
e 0,9
4.3
µm.
Esperimento condotto da Onofrio e Bressi (2002)
Prima di ripetere l'esperimento condotto da Sparnaay nel 1958 passarono 44
anni. Fu il team italiano dell'università di Padova condotto da Onofrio e Bressi che nel 2002 riprodusse l'esperimento com era inizialmente stato concepito,
ovvero calcolando la forza tra due piastre piane parallele. Infatti grazie all'invenzione della ibra ottica il team italiano riuscì ad eliminare i problemi legati
alla condizione di parallelismo delle due lastre.
Più precisamente tale mossa
venne eettuata utilizzando un interferometro a bra ottica.
Apparato sperimentale
Le due piastre erano rappresentate da due microleve (simili a quella utilizzata
nel 1998 con il microscopio a forza atomica) di cui una poteva ruotare libe-
CAPITOLO 4.
38
VERIFICHE SPERIMENTALI
ramente intorno al proprio perno e una era ssa poggiata su un sistema di
posizionamento analogo a quelli utilizzati per i precedenti esperimenti. La condizione di parallelismo era garantita da un motorino che permetteva di ruotare
le due microleve. Le leve avevano le dimensioni di 1,9 cm in lunghezza, 1,2mm
di largezza e uno spessore di 50 nm per quanto riguarda la microleva ssa mentre quella mobile aveva uno spessore di 47µm. La condizione di parallelismo si
raggiungeva massimizzando la capacità dei conduttori che corrispondeva ad una
capacità di 22 pF corrispondente ad una distanza di 0,4
µm[7] .
Svolgimento e Risultati
La misura della Forza di Casimir avvenne tramite un interferometro a bra
ottica capace di rilevare le variazioni nella frequenza della microleva quando
essa si avvicinava alla leva ssa. La forza di Casimir induce una variazione nella
frequenza di oscillazione della microleva mobile. Eliminando alla variazione di
frequenza totale quella dovuta alla tensione residua tra i conduttori si ottenne:
∆ν 2 (d) = ν 2 − ν02 = −Cel
Ccas
Vr2
− 5
d3
d
(4.2)
ε0 S
4πm∗
Kc S
=
πm∗
Cel =
Ccas
dove
0 è
la costante dielettrica nel vuoto S è l'area eettiva delimitata da due
superci interagenti e
determinato per la
m∗ è
CCas
la massa ecace della microleva mobile.
era di
Ccas = (2, 34 ± 0, 34) · 1028 Hz 2 m5 e
[7]
coeciente della forza di Casimir fu simato
Kc =
Il valore
dunque il
:
εCcas
= (1, 22 ± 0, 18) · 10−27 N · m2
4Cel
(4.3)
L'accuratezza dell'esperimento fu stimata in un errore del 15% circa sulle
misure.
Ancora oggi gli esperimenti sull'eetto Casimir non si arrestano e progrediscono in un crescendo di accuratezza nei risultati. come si è visto in questa breve
parentesi sulle veriche sperimentali le dicoltà maggiori nella realizzazione degli esperimenti consistono nel confronto tra caso reale e caso ideale e nel poter
eliminare tutti quei fattori che rendono non ideali i conduttori utilizzati, quali
conducibilità e temperatura non innite o la ruvidezza dei conduttori (ossia il
fatto che su scale molto ridotte essi non siano perfettamente piani).
Capitolo 5
Conclusioni
La meccanica quantistica rappresenta senz altro una rivoluzione nell'ambito della sica, sia per quanto riguarda i suoi principi fondamentali, sia per i fenomeni
che scaturiscono da tali principi.
L'idea che il vuoto, inteso come assenza di
qualsiasi forma di energia o materia non esista, è a dir poco rivoluzionaria. Il
nuovo paradigma del vuoto è quello di essere un mare di particelle virtuali che
si creano e annichilano incessantemente e continuamente, e come visto, sotto
opportune condizioni tali particelle sono in grado di interagire con la materia.
In termini moderni dunque il concetto di vuoto non è lo stesso di spazio vuoto, dato che tutto lo spazio è riempito dai campi quantizzati che costituiscono
l'universo. Il vuoto è semplicemente lo stato di più bassa energia possibile di
questi campi, un concetto molto dierente da quello di spazio vuoto. La forza
di Casimir descritta rappresenta solo uno degli eetti della quantizzazione del
campo elettromagnetico. un altro fenomeno ad esempio, è il
lamb shift.
Il lamb
shift riguarda l'interazione dell'elettrone di un atomo di idrogeno o idrogenoide
con il vuoto e quindi con l'energia di punto zero, questo modica i livelli energetici.
la forza di Casimir è stata introdotta storicamente come una
dispersione di London
forza di
che si esercita tra atomi o molecole generalmente neutri
ma che formano momenti di dipolo istantaneo che permettono alla molecola
polarizzata di attrarre altre molecole o atomi.
Il discorso è aperto anche per quanto riguarda le applicazioni tecnologiche
anche se questo è un settore di studio molto recente che riguarda soprattutto
le nanotecnologie, ambito che abbraccia scienze quali la sica, l'ingegneria, la
biologia e la medicina. L'energia di punto zero gioca un ruolo cruciale anche in
ambito di teorie cosmologiche. Infatti l'esistenza di energia del vuoto potrebbe essere direttamente collegata all'espansione accelerata dell'universo e alla
costante cosmologica
Λ
introdotta da Einstein per rendere statico il suo mo-
dello di universo. Infatti scoperte successive alla teoria della relatività generale
di Einstein hanno confermato che l'universo è in espansione. Anche i modelli
in espansione possono però includere una costante cosmologica
Λ
in cui signi-
cato sico è oggi associato all'energia oscura dell'universo interpretata quindi
come energia del vuoto. le osservazioni mostrano che l'espansione dell'universo
39
CAPITOLO 5.
CONCLUSIONI
40
sta accelerando, ed indicano in eetti la presenza di una costante cosmologica
positiva. Il valore osservato è positivo ed enormemente più piccolo di quello che
ci si aspetterebbe, circa
10−120 .
Infatti il valore teorico atteso per la densità di
energia (calcolato con la teoria della relatività generale) è:
Dove
MP
è la massa di
ρΛ ≈ MP4 ≈ 1076 GeV 4
q
~c
19 Gev
Planck (MP =
G ≈ 1, 2209 × 10
c2 ).
Mentre il
valore misurato è:
ρΛ =
Λ
= MP2 Λ ≈ 10−47 GeV 4 ≈ (10−3 eV )4
8πG
Dunque la ricerca in questo campo sia in ambito teorico che sperimentale è
molto attiva e abbraccia ambiti che non riguardano esclusivamente le discipline
siche.
Capitolo 6
Appendici
Nel calcolo dell'energia di Casimir sono comparse funzioni con proprietà particolari.
La funzione gamma di Eulero e la funzione zeta di Rieamann sono
spesso presenti nell'ambito della sica teorica. Esse saranno descritte insieme
alle proprietà in virtù della loro importanza nei calcoli eettuati.
6.1
Appendice I: Funzione
Γ(z)
di Eulero
In matematica la funzione gamma di Eulero è una funzione a variabile complessa,
meromorfa e continua sui numeri reali positivi.
complesso
z
è positiva, la funzione
Γ(z)
Se la parte reale del numero
è denita come:
ˆ∞
tz−1 e−t dt
Γ(z) =
(6.1)
0
L'integrale (6.1) converge assolutamente. Tuttavia è possibile, tramite prolungamento analitico, esetendere la denzione della
Γ
a tutti i numeri complessi,
anche con parte reale non positiva, ad eccezione degli interi minori o uguali a
zero.
Proprietà
La funzione di Eulero gode delle seguenti proprietà:
•
È possibile dimostrare tramite integrazione per parti che:
Γ(z+1) = zΓ(z).
• Γ(1) = 1.
• Γ(n + 1) = n!
questo
∀n ∈ N.
π
sin(πz) questa proprietà viene chiamata 'formula di riessione di Eulero'.
• Γ(1 − z)Γ(z) =
41
CAPITOLO 6.
42
APPENDICI
• ´La seguente proprietà
∞ z−1 −t
t e [ln(t)]n dt
0
riguarda le derivate della funzione
Γ: Γ(n) (z) =
Alcuni valori notevoli che la funzione assume su numeri non interi sono:
• Γ(1/2) =
• Γ(n/2) =
√
(n−2)!! √
2
La funzione
π
(n−1)
2
π
Γè presente con alta frequenza nei calcoli statitistici, ossia quando si
ha a che fare con un numero molto elevato di corpi. Per questa ragione emerge
dal calcolo dell'energia di Casimir.
6.2
Appendice II: Funzione
ζ(z)
di Riemann
In matematica la Funzione di Riemann è una funzione a variabile complessa
denita come la serie di Dirichlet:
ζ(z) =
Per ogni numero complesso
z
∞
X
1
z
n
n=1
(6.2)
di parte reale maggiore di 1. Questa restrizione
risulta necessaria anché la serie risulti convergente, tuttavia la funzione si può
prolungare analiticamente a una funzione olomorfa su tutto il piano complesso
ad eccezione di 1, dove ha un polo semplice.
La funzione zeta possiede zeri
semplici negli interi pari negativi, detti zeri banali, mentre tutti gli altri zeri sono
Re(z) = 21 , detta retta critica, e
0 < Re(z) < 1 , detto intervallo critico. Una
disposti simmetricamente rispetto alla retta
sono tutti contenuti nell'intervallo
importante proprietà di questa funzione è il prodotto di Eulero:
ζ(z) =
valida per
Re(z) > 1
∞
X
Y
1
1
=
z
n
1 − p−z
n=1
p primo
(6.3)
e dove il prodotto è eettuato su tutti i numeri primi
p.
È interessante notare che la formula di Eulero ha come conseguenza che vi sono
inniti numeri primi. Infatti, se vi fosse solo un numero nito di numeri primi
allora il prodotto di Eulero sarebbe un prodotto nito e quindi sarebbe denito
anche per
s = 1,
mentre in tale punto la funzione zeta ha un polo.
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